Holding 09

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Holding e IRAP

SOMMARIO 9.1

Società holding e disciplina dell’IRAP: le peculiarità

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306 9.1

IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING

Società holding e disciplina dell’IRAP: le peculiarità Le società «holding» determinano la base imponibile ai fini IRAP con criteri peculiari. Possono innanzitutto individuarsi tre principali categorie di holding: • holding di gruppi finanziari, la cui attività consiste nel detenere partecipazioni in società creditizie o finanziarie; • holding di gruppi industriali, la cui attività consiste nel detenere partecipazioni in società industriali o commerciali; • holding miste, che si hanno quando, oltre all’attività di detenzione di partecipazioni, la holding esercita anche attività di produzione e di scambio. Comunque, in tutti i citati casi, oltre alla detenzione delle partecipazioni, la holding può tipicamente svolgere pure un’attività finanziaria (concessione di prestiti) nei confronti delle partecipate, nonché fornire altri servizi alle imprese di cui detiene il capitale. Mentre le holding finanziarie pure o miste determinano la base imponibile IRAP secondo i criteri dettati per gli enti finanziari dall’art. 6, D.lgs. n. 446/1997, per le c.d. «holding industriali» la base imponibile IRAP, tenuto conto della loro natura ibrida (compresenza di attività industriale/commerciale accanto a una di tipo finanziario), è quantificata secondo gli stessi criteri valevoli per le società industriali/commerciali di cui all’art. 5, D.lgs. n. 446/1997, aggiungendo, tuttavia anche la differenza fra gli interessi attivi e proventi assimilati e gli interessi passivi e oneri assimilati di competenza (ma gli interessi passivi rilevano solo per il 96% del relativo ammontare). Occorre al riguardo rifarsi, almeno in prima battuta, a quanto prevede l’art. 6, comma 9, D.lgs. n. 446/1997 (non a caso la norma che detta le regole di «Determinazione del valore della produzione netta delle banche e di altri enti e società finanziari»), il quale stabilisce che «Per le società la cui attività consiste, in via esclusiva o prevalente, nella assunzione di partecipazioni in società esercenti attività diversa da quella creditizia o finanziaria, per le quali sussista l’obbligo dell’iscrizione, ai sensi dell’art. 113 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, nell’apposita sezione dell’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario, la base imponibile è determinata aggiungendo al risultato derivante dall’applicazione dell’art. 5 la differenza tra gli interessi attivi e proventi assimilati e gli interessi passivi e oneri assimilati. Gli interessi passivi concorrono alla formazione del valore della produzione nella misura del 96% del loro ammontare». La citata disposizione, come riformulata dalla legge n. 244/2007 (c.d. «Legge finanziaria per il 2008»), pertanto, originariamente forniva anche i criteri di distinzione fra le holding finanziarie e quelle che non potevano essere considerate tali: per essere considerate «holding industriali», le società dovevano infatti avere


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come attività principale (benché non unica) quella di acquisire/detenere partecipazioni in società non svolgenti attività bancaria o comunque finanziaria, con connesso obbligo di iscrizione all’elenco di cui all’art. 113, D.lgs. n. 385/1993. Sennonché, nel frattempo, sono stati riformulati gli obblighi di iscrizione al citato elenco dei soggetti che esercitano le attività di cui all’art. 106, D.lgs. n. 385/19931 non nei confronti del pubblico: mentre, infatti, in precedenza, le condizioni che rendevano obbligatoria detta iscrizione erano individuate sulla base di dati oggettivi di bilancio degli ultimi due esercizi (più del 50% dell’Attivo di stato patrimoniale doveva essere composto da attività di natura finanziaria e più del 50% dei proventi di conto economico doveva essere costituito da proventi di natura finanziaria2), l’art. 12, comma 3, D.M. 17 febbraio 2009, n. 29, ha invece previsto che sono tenute all’iscrizione al citato elenco ex art. 113, D.lgs. n. 385/1993, sia le società che svolgono in maniera esclusiva, benché non nei confronti del pubblico, le attività di cui all’art. 106, D.lgs. n. 385/1993, sia quei soggetti che esercitano dette attività non nei confronti del pubblico in via comunque prevalente rispetto ad altre attività, tenendo tuttavia conto, precisa la norma, che «l’attività di assunzione di partecipazioni rileva ai fini dell’iscrizione solo se svolta congiuntamente ad altra attività finanziaria nei confronti delle partecipate». L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, dunque, i termini della questione con specifico riferimento al settore delle imposte dirette, considerata la peculiare disciplina recata dall’art. 96, D.P.R. n. 917/1986 in relazione alle modalità di deduzione degli interessi passivi per le holding finanziarie, ma con considerazioni che possono ragionevolmente estendersi anche all’ambito IRAP3. Così, la circ. 21 aprile 2009, n. 19/E, ha ritenuto che le holding «pure» non sono tenute a iscriversi alla sezione speciale dell’elenco generale di cui all’art.

1 Si tratta delle attività di «assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma e di intermediazione in cambi». 2 Cfr. D.M. 6 luglio 1994: l’art. 2 del decreto disponeva, in particolare, che «1. L’esercizio in via prevalente, non nei confronti del pubblico, di una o più attività finanziarie di cui all’art. 106, comma 1, T.U. sussiste, quando, in base ai dati dei bilanci approvati relativi agli ultimi due esercizi chiusi, ricorrono entrambi i seguenti presupposti: a) l’ammontare complessivo degli elementi dell’attivo di natura finanziaria di cui alle anzidette attività, unitariamente considerate – inclusi gli impegni a derogare fondi e le garanzie rilasciate – sia superiore al 50% del totale dell’attivo patrimoniale, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate; b) l’ammontare complessivo dei proventi prodotti dagli elementi dell’attivo di cui alla predetta lett. a), dei profitti derivanti da operazioni di intermediazione su valute e delle commissioni attive percepite sulla prestazione dei servizi richiamati dall’art. 106, comma 1, T.U., sia superiore al 50% dei proventi complessivi. 2. Nei confronti degli intermediari esercenti la prestazione di servizi di pagamento o di intermediazione in cambi è sufficiente il verificarsi del presupposto di cui al precedente comma, lett. b)». 3 In tal senso si è espressa la circ. 22 luglio 2009, n. 37/E.


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113, D.lgs. n. 385/1993 (e sono conseguentemente tenute ad applicare la disciplina applicabile alle società industriali e commerciali) nel momento in cui oltre il 50% del valore contabile del loro attivo di stato patrimoniale è costituito da partecipazioni in imprese commerciali o industriali, mentre non rilevano le risultanze del conto economico. Ai fini della corretta determinazione della condizione di prevalenza patrimoniale, va però tenuto conto non solo del valore di bilancio delle citate partecipazioni, ma anche del valore contabile degli altri elementi patrimoniali della holding relativi a rapporti intercorrenti con le medesime società (quali, ad esempio, i crediti derivanti da finanziamenti), posto che il concetto di «attività di assunzione di partecipazioni» non si esaurisce nell’acquisizione delle medesime, ma si estende anche all’attività di gestione delle partecipazioni stesse; conseguentemente, secondo l’Amministrazione finanziaria, sarebbe contrario alla ratio della norma imporre il trattamento della holding finanziaria a una società che, sia formalmente (oggetto sociale come da statuto) che concretamente, ha invece la natura di holding industriale, e ciò proprio in dipendenza della presenza di rapporti finanziari in essere con le proprie partecipate, che rientrano invece nell’attività di gestione delle partecipazioni e non in quella finanziaria (circ. 22 luglio 2009, n. 37/E). Nel caso si sia in presenza di una «holding mista», la quale, cioè, accanto all’attività di gestione di partecipazioni svolga anche un’attività industriale/commerciale oppure un’attività creditizia/finanziaria, invece, occorrerà rifarsi ai criteri già in precedenza dettati dal D.M. 6 luglio 1994: è importante notare, al riguardo, che il riferimento ai criteri di cui trattasi deve essere inteso nel senso dell’individuazione dei requisiti di prevalenza rilevanti ai fini di cui trattasi, restando viceversa irrilevante il fatto che tali requisiti si siano verificati per l’intero biennio precedente4. Tale impostazione è confermata anche dalle istruzioni ministeriali alla dichiarazione IRAP, le quali, peraltro, fanno presente che, nel periodo d’imposta in cui sussiste l’obbligo di iscrizione, l’applicazione della disciplina delle holding industriali è subordinata alla verifica, relativamente al medesimo periodo d’imposta, dei requisiti oggettivi di prevalenza, in modo da evitare, in particolare, che, in tale periodo d’imposta, la società conteggi nella sua base imponibile IRAP anche i risultati della gestione finanziaria, pur svolgendo attività finanziaria in maniera non prevalente. Ne consegue che, ai fini di cui trattasi, è nella sostanza irrilevante l’eventuale iscrizione all’elenco di cui all’art. 113, D.lgs. n. 385/1993, nel senso che, verificandosi le condizioni oggettive che permettono di qualificare una holding come «industriale», la stessa sarà inderogabilmente tenuta ad applicare le regola di

4 A sostegno di tale conclusione si faccia riferimento ai contenuti della ris. 26 febbraio 2003, n. 38/E.


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determinazione della base imponibile IRAP specificamente previste dall’art. 6, comma 9, D.lgs. n. 446/1997: in tal senso, dunque, viene sostanzialmente confermata la non necessità del requisito formale, come già aveva avuto modo di precisare la circ. 4 giugno 1998, n. 141/E, la quale, nella vigenza della precedente versione della norma, aveva affermato che il requisito dell’iscrizione nella sezione speciale dell’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario, di cui all’artt. 113, D.lgs. n. 385/1993, doveva intendersi con riferimento alla sussistenza del cennato obbligo, anche se, di fatto, non adempiuto (cosicché aveva comunque prevalenza la sostanza dell’attività esercitata dal soggetto passivo, tanto che, in ciascun periodo per cui sussisteva l’obbligo di iscrizione, l’applicazione del particolare regime di determinazione della base imponibile per le holding industriali era di fatto subordinata alla verifica, per quel periodo d’imposta, della sussistenza dei requisiti di prevalenza richiesti dal D.M. 6 luglio 1994). Si può pertanto concludere che le società holding applicano la disciplina recata dall’art. 6, comma 9, D.lgs. n. 446/1997 (base imponibile IRAP determinata secondo i criteri individuati per le società di capitali svolgenti attività industriale o commerciale, con l’aggiunta del risultato della gestione finanziaria, cui concorre il 96% degli interessi passivi e oneri assimilati) nel caso in cui, alternativamente: • si tratti di holding pura con attivo di bilancio costituito prevalentemente (in termini di valore contabile e prescindendo, dunque, da un differente valore effettivo delle partecipazioni in parola) da partecipazioni in società diverse da quelle che esercitano attività creditizia o finanziaria; • si tratti di holding mista, in cui, sulla base delle risultanze degli ultimi due esercizi, meno del 50% dell’attivo di stato patrimoniale sia costituito da società finanziarie e/o meno del 50% dei proventi conto economico derivi da attività di tipo finanziario. Ciò posto a livello di requisito soggettivo, occorre evidenziare, nel seguito, alcune peculiarità nella determinazione della base imponibile IRAP delle holding non finanziarie. Come detto, tali soggetti assumono, ai fini di cui trattasi, la base imponibile quantificata secondo i criteri di cui all’art. 5, D.lgs. n. 446/1997 (riferito alle società di capitali ed enti commerciali svolgenti attività commerciale o industriale), rettificandola però del risultato della gestione finanziaria. In pratica, dette società determinano la base imponibile del tributo: • applicando i criteri generali previsti dall’art. 6, D.lgs. n. 446/1997, per le società di capitali e gli enti commerciali svolgenti attività industriale o commerciale; • aggiungendo poi, al risultato così ottenuto, la differenza tra: - la somma dei proventi finanziari (esclusi quelli da partecipazione, dei profitti derivanti dal realizzo e dalle rivalutazioni di attività finanziarie che non


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costituiscono immobilizzazioni); - e la somma degli oneri finanziari e oneri assimilati: questi ultimi, in particolare, vanno intesi in senso lato, sicché deve farsi riferimento a rapporti che, indipendentemente dalla loro qualificazione formale o contabile, hanno una causa finanziaria, ossia che derivano dall’impiego di un capitale. Tenuto conto che, secondo quanto disposto dall’art. 44, comma 2, D.lgs. 127/1991, le holding industriali, nella redazione del proprio bilancio, sono tenute a rispettare gli schemi dettati dalla normativa civilistica (artt. 2424 e 2425 c.c.), deve concludersi che, per i citati soggetti, pertanto, accanto alla usuale differenza tra le voci A e B, assumono rilevanza anche alcune componenti positive o negative di natura finanziaria, tipicamente classificabili nelle voci dell’aggregato C dello schema di conto economico di cui all’art. 2425 c.c. Va in proposito notato, viceversa, come la norma attualmente vigente, a differenza di quella precedente all’entrata in vigore della legge n. 244/2007, non dispone più la concorrenza alla formazione della base imponibile anche di alcuni proventi e ricavi tipicamente iscrivibili nella voce D) del conto economico redatto in osservanza del citato art. 2425 c.c., quali le rivalutazioni e svalutazioni di attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni; parimenti, nel novellato sistema impositivo, non assumono più rilevanza nemmeno i profitti e le perdite derivanti dal realizzo di attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni. Tenuto tuttavia conto che restano rilevanti, ai fini di cui trattasi, gli interessi attivi e passivi, nonché le altre componenti di ricavo e costo aventi natura finanziaria, può ancor oggi farsi riferimento, per quanto concerne l’individuazione degli stessi, ai chiarimenti forniti dalla circ. 4 giugno 1998, n. 141/E. In base alla citata pronuncia, dunque, può concludersi che i proventi finanziari rilevanti sono innanzitutto costituiti da: • interessi attivi e proventi assimilati di cui alla voce C16 dello schema di conto economico di cui all’art. 2425 c.c.; • proventi da partecipazione ai fondi comuni di investimento, sempre indicati alla citata voce C16 del suddetto schema di conto economico. Per quanto concerne, invece, gli oneri finanziari, occorrerà farsi riferimento, prima di tutto, agli interessi passivi e oneri finanziari assimilati, di cui alla voce C17 dello schema di conto economico citato. Considerato, tuttavia, che, sia nella formulazione della norma novellata che nell’interpretazione della stessa fornita dall’Agenzia delle Entrate si trovano interessanti (e da presumersi voluti) richiami, anche sotto il profilo letterale, alla disciplina della deducibilità degli interessi passivi dalla base imponibile IRES delle società di capitali ed enti commerciali non svolgenti (in via esclusiva o prin-


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cipale) attività finanziaria, appare opportuno tenere altresì conto dei chiarimenti al riguardo intervenuti ad opera dell’Amministrazione finanziaria, così da delimitare meglio i confini della base imponibile delle holding industriali. Tale constatazione, del resto avallata dalla circ. 21 aprile 2009, n. 19/E, rimanda alle interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate in tema di interessi passivi deducibili dal reddito d’impresa ai sensi dell’art. 96, D.P.R. n. 917/1986 (c.d. «limite del ROL»): devono conseguentemente ritenersi estensibili al campo IRAP, per quanto compatibili, le precisazioni intervenute sul tema in ambito reddituale e, quindi, a titolo esemplificativo, i prestiti effettuati dall’impresa a propri dipendenti sono rilevanti ogniqualvolta i relativi interessi effettivamente derivino dalla messa a disposizione di una provvista di denaro per la quella sussiste l’obbligo di restituzione e in relazione alla quale sia prevista una specifica remunerazione (circ. 23 giugno 2010, n. 38/E). È in particolare con riferimento agli oneri finanziari che sono o meno soggetti alla limitazione al 96% della relativa deducibilità che giungono però in soccorso le interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate. Anche ai fini IRAP, dunque, dovrebbe potersi ragionevolmente sostenere che: • soggiacciono alle citate limitazioni gli interessi passivi maturati su depositi cauzionali aventi causa finanziaria (ma non quelli su cauzioni da rapporti di natura commerciale), mentre non andrebbero considerati gli interessi passivi, impliciti o espliciti, su debiti commerciali (circ. 23 giugno 2010, n. 38/E); • sono invece irrilevanti (e vanno quindi considerati per intero in deduzione) gli interessi passivi derivanti da debiti di natura commerciale, tanto nel caso in cui essi siano impliciti (ovvero già compresi nelle dilazioni di pagamento poste in essere nel caso di pagamento differito della fornitura), quanto nel caso in cui essi siano espliciti (ossia espressamente pattuiti nel contratto di compravendita), nonché gli interessi passivi capitalizzati e quelli portati a incremento delle rimanenze finali o dei beni-merce secondo corretti principi contabili. In linea di principio, in definitiva, dovrebbe pertanto essere scomputabile dalla base imponibile IRAP solo per il 96% del relativo ammontare, secondo l’interpretazione fornita dalla circ. 21 aprile 2009, n. 19/E, «qualunque interesse (od onere ad esso assimilato) collegato alla messa a disposizione di una provvista di danaro, titoli o altri beni fungibili per i quali sussiste l’obbligo di restituzione e in relazione ai quali è prevista una specifica remunerazione»: in altri termini, «occorre, comunque, considerare quale onere o provento assimilato all’interesse passivo, ovvero attivo, qualunque onere, provento o componente negativo o positivo di reddito relativo all’impresa che presenti un contenuto economico-sostanziale assimilabile ad un interesse passivo o attivo», posto che «tale interpretazione è in linea con l’applicazione del principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica nella rappresentazione contabile dei fatti di gestione


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secondo quanto previsto dai principi contabili internazionali IAS/IFRS», nonché, indirettamente, dalle disposizioni civilistiche nazionali, le quali, all’art. 2423-bis, comma 1, n. 1), c.c., prevedono la valutazione delle voci di bilancio tenendo conto della «funzione economica» dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato. La citata pronuncia ministeriale faceva ad esempio riferimento agli interessi originati dal c.d. notional cash pooling, alle commissioni passive su finanziamenti e fideiussioni o altre garanzie rilasciate da terzi, a oneri di natura finanziaria connessi a titoli di debito emessi, quali il disaggio di emissione o il premio di rimborso, mentre escludeva dal novero applicativo della disposizione gli interessi da pronti contro termine su titoli aventi funzione di raccolta per il cedente (tenuto però conto che rileva, invece, il differenziale negativo fra prezzo a pronti e prezzo a termine, al netto degli interessi maturati sul titolo). La circolare menzionata, inoltre, riteneva soggetti alla limitazione del 96% anche i «derivati stipulati con finalità di copertura del rischio legato ad oscillazioni del tasso di interesse, in quanto in tale caso si verifica l’integrazione (con segno positivo o negativo) dell’interesse derivante dall’operazione coperta»: in coerenza con tale impostazione, l’Amministrazione finanziaria ha così avuto modo di chiarire che, nel caso in cui maturino interessi passivi su strumenti derivati posti in essere dall’impresa, solo la parte di tali interessi avente finalità di copertura di un rischio finanziario (nel caso di specie, riferito all’oscillazione del tasso d’interesse) assume rilievo ai fini IRAP e, più in generale, nel caso di sottoscrizione di contratti derivati, i differenziali dagli stessi generati – sia in relazione ad operazioni finanziarie attive che passive – devono essere sommati algebricamente per intero al flusso di interessi prodotto dalle attività e passività specificamente coperte, senza tenere conto del limite di deducibilità al 96% per gli interessi passivi (ris. 22 giugno 2010, n. 56/E). Alla base imponibile così determinata va poi applicata l’aliquota IRAP che, per tale tipologia di società, è usualmente maggiorata, sulla base di quanto disposto dalle singole leggi regionali, rispetto a quella ordinaria: l’aliquota prevista è infatti, per le holding, solitamente pari al 4,82%. Tuttavia, in relazione al periodo d’imposta 2010, tenuto anche conto della maggiorazione che, per legge, sono tenute ad applicare in via generalizzata le regioni in deficit sanitario, il valore della produzione realizzato da holding nelle regioni Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Valle d’Aosta, nonché nelle province autonome di Trento e Bolzano, sconta l’IRAP con aliquota pari al 3,9%.


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