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L’elusione fiscale connessa all’utilizzo della holding

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SOMMARIO 10.1

L’elusione e l’abuso (delle forme giuridiche) nel diritto tributario

10.2

La creazione di una holding da parte di persone fisiche

10.3

Il conferimento delle partecipazioni nella holding nell’ambito delle ristrutturazioni societarie

10.4

La creazione di una holding da parte di persone fisiche


314 10.1

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L’elusione e l’abuso (delle forme giuridiche) nel diritto tributario Il tema dell’elusione fiscale e dell’abuso del diritto1 ad esso correlato che qui si vuole solo brevemente commentare2 – non essendo questa la sede per svolgere compiute osservazioni sul tema che meriterebbero una specifica e ampia trattazione – è di notevole attualità e interesse, essendo note a tutti, studiosi e operatori del settore, sia l’evoluzione giurisprudenziale nazionale e comunitaria delle stesse definizioni di elusione e abuso del diritto sia le recenti prospettive di riforma da più parti auspicate – ma al momento sembra arenate – anche al fine di ridare equilibrio sistematico a tutta la materia. Come premessa di carattere metodologico si ritiene utile innanzitutto evidenziare l’ambito applicativo delle non omogenee definizioni di elusione fiscale, nazionale (comma 1 dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973)3 e comunitaria (art. 11 della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, n. 90/434/CE, relativa alle riorganizzazione societarie transfrontaliere4, come di recente rifusa), cosi come

1 La teoria dell’abuso del diritto ebbe origine in Francia e immediato sviluppo soprattutto in Germania, grazie al contributo di illustri studiosi come Becher, Blumenstein, Hensel, Dino Jarach, che nella c.d. Scuola di Pavia, tentò per primo di provare l’esistenza in chiave ermeneutica, anche nell’ordinamento italiano, di una «clausola antielusiva» di portata generale che, similmente alle corrispondenti disposizioni dell’ordinamento tedesco, imponesse di far riferimento all’intrinseca natura e agli effetti economici dell’atto negoziale realizzato dalle parti non tenendo conto della forma apparente dello stesso. Non va dimenticata ovviamente l’opera compiuta da altri autorevoli studiosi della scuola di Pavia come, ad esempio, Vanoni, Griziotti, Pugliese, Giannini; va infatti ricordato che l’interpretazione antielusiva della norma tributaria è nata nel nostro Paese nel decennio 1920-1930 proprio a seguito dell’opera scientifica compiuta dal Griziotti nel settore degli studi di finanza pubblica. Cfr., in dottrina, anche per un inquadramento generale della tematica, G. Falsitta, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali, in Elusione ed abuso nel Diritto Tributario, Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del diritto ai fini dell’imposizione tributaria, a cura di G. Maisto, Quaderno n. 4 della Rivista di Diritto Tributario, p. 3 e ss., nonché P.M. Tabellini, L’elusione fiscale, Milano, 1988. 2 Per un’analisi compiuta del fenomeno dell’elusione tributaria, nella prospettiva nazionale e comunitaria, della sua evoluzione nonché dell’abuso delle forme societarie nell’imposizione sul reddito rimandiamo agli autorevoli contributi forniti in Elusione ed abuso, cit. 3 Le norme antielusive di sistema presenti nel nostro ordinamento tributario sono l’art. 37-bis citato, nonché l’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, inserito nell’ambito del Testo Unico dell’imposta di registro e rubricato «Interpretazioni degli atti». In realtà, la natura antielusiva di tale ultima norma – affermata ad esempio nella sentenza della Corte di Cassazione del 23 novembre 2001, n. 14900 – non è stata condivisa dal Consiglio nazionale del Notariato nello studio n. 95/2003/T. 4 Va ricordato che secondo l’art. 11 della direttiva n. 90/434/CE uno Stato membro può non applicare il regime di neutralità previsto dalla direttiva per le operazioni in essa contemplate quando risulta che un’operazione ha come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l’evasione fiscale; il fatto che un’operazione non sia effettuata per valide ragioni economiche, quali la ristrutturazione o la razionalizzazione delle attività delle società partecipanti all’ope-


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interpretate dai giudici nazionali e comunitari, e di abuso del diritto. In particolare, se da una parte la normativa nazionale relativa all’elusione fiscale, in quanto inserita nell’ambito delle norme sull’accertamento delle imposte sui redditi, si applica al solo comparto delle Imposte Dirette5, dall’altro la definizione fornita in sede comunitaria dalla Corte di Giustizia in materia di abuso del diritto (in particolare, ci si riferisce alla nota sentenza «Halifax» del 21 febbraio 2006, causa C-255/026,) a stretto rigore non potrebbe trovare diretta e immediata applicazione all’interno dei differenti ordinamenti nazionali tributari, se non limitatamente al comparto dell’imposizione sul valore aggiunto, rispetto alla quale l’ordinamento comunitario prevede una espressa normativa – contenuta nelle direttive IVA – vincolante per tutti gli Stati membri. Infatti, soltanto in ambito IVA, settore questo come noto armonizzato, il diritto nazionale interno deve obbligatoriamente conformarsi all’ordinamento comunitario, mantenendo invece ampia libertà nel settore della fiscalità diretta. Infatti, in tale ultimo ambito, ove la Corte di Giustizia circoscrive il fenomeno dell’abuso del diritto unicamente alla luce delle libertà fondamentali, sarà precipuo compito dell’interprete nazionale individuare disposizioni anti-abuso applicabili ai singoli casi (in ambito domestico, quindi, si dovrà far riferimento alla clausola generale antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973). Questo convincimento trova del resto conferma nella opinione prevalente espressa dalla dottrina più autorevole7 la quale dopo aver osservato che in via

razione, può costituire al presunzione che quest’ultima abbia come obiettivo principale o uno degli obiettivi principali la frode o l’evasione fiscale. Come osservato da autorevole dottrina – cfr. G. Zizzo, L’elusione tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario: definizioni a confronto e prospettive di coordinamento, in Elusione ed abuso, cit., p. 60, «la situazione individuata dall’art. 11 [della direttiva] sembra connotata da un unico profilo, che si sviluppa essenzialmente sul piano soggettivo. Conta che l’obiettivo principale o uno degli obiettivi principali dell’operazione sia la frode o l’evasione fiscale (rectius l’elusione e l’evasione)». Secondo l’interpretazione della norma fornita dall’Autore l’eventuale assenza delle valide ragioni economiche da origine ad una presunzione che l’operazione abbia come obiettivo principale, o uno degli obiettivi principali, la frode o l’evasione fiscale. 5 Tale principio è stato confermato in via interpretativa dall’Amministrazione finanziaria nel par. 6.2 della circolare 19 dicembre 1997, n. 320, nel quale è stato chiarito che l’art. 37-bis può trovare applicazione solamente con riferimento al settore delle imposte sui redditi. 6 Tale sentenza si riferisce all’imposta sul valore aggiunto ed è relativa ad una questione pregiudiziale che attiene l’applicazione dell’IVA nel Regno Unito. Per un commento a tale sentenza, cfr. in dottrina, P. Pistone, L’elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le imprecisioni terminologiche della Corte di Giustizia in tema di Iva, in Riv. Dir. Trib., 2007, IV, pp. 3 e ss.; M. Basilavecchia, Norma antielusione e «relatività» delle operazioni imponibili, in Corr. Trib., 2006, pp. 4466 e ss.; A. Santi, Il divieto di comportamenti elusivi si applica anche al settore dell’IVA, in Riv. Giur. Trib., n. 5/2006, pp. 377 ss. 7 Cfr. L. Salvini, L’elusione Iva nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Corr. Trib. n.


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di principio la prevalenza del diritto comunitario su quello interno sembrerebbe far propendere per la diretta applicabilità anche al comparto delle imposte dirette della nozione di abuso elaborata in sede comunitaria ha ritenuto che «una diretta efficacia interpretativa del principio [di abuso del diritto di matrice comunitaria] potrebbe ipotizzarsi solo nelle materie fiscali disciplinate dal diritto comunitario, e quindi per le imposte armonizzate»8. Sul tema, pare opportuno richiamare l’orientamento anche espresso a livello giurisprudenziale, nonché interpretativo: in particolare, con riferimento al primo va segnalato che la Corte di Cassazione nella sentenza 5 maggio 2006, n. 103539, ha ritenuto indispensabile, per contrastare il fenomeno dell’abuso nel comparto dell’IVA10, far riferimento ai principi espressi dalla Corte di Giustizia UE, in quanto direttamente applicabili in ambito nazionale, nonostante l’assenza di una norma antielusiva esplicita nel D.P.R. n. 633/1972. L’Amministrazione finanziaria con la circolare del 13 dicembre 2007, n. 67, ha ritenuto che «che gli uffici possano (e debbano) tener conto, in sede di controllo, dei principi enunciati in via generale dalla Corte di Giustizia, in tema di abuso del diritto, facendone applicazione in tutti i casi in cui possono configurarsi i presupposti prima richiamati». Inoltre, la stessa Corte di Cassazione, dopo aver abbandonato un primo filone giurisprudenziale elaborato verso la fine del 200511 che basava il giudizio di elusi-

39/2006, pp. 3097 ss.; M. Poggioli, La Corte di Giustizia elabora il concetto di «comportamento abusivo» in materia d’IVA e ne tratteggia le conseguenze sul piano impositivo: epifania di una clausola generale antielusiva di matrice comunitaria?, in Riv. Dir. Trib., 2006, III, pp. 122 ss. 8 Non sembra condividere questa impostazione A. Parolini, Commenti a margine sulla dottrina dell’abuso del diritto applicata all’imposta sul valore aggiunto in Elusione ed abuso, cit., p. 4008 il quale ritiene sulla base degli stessi principi formulati dalla Corte di Giustizia che «è possibile affermare, senza tema di smentita, che il principio dell’abuso del diritto agli effetti dell’IVA può trovare diretta applicazione nei singoli ordinamenti, a prescindere dalla presenza di disposizioni specifiche». 9 In tale sentenza, relativa ad una controversia Iva discussa tra l’altro lo stesso giorno in cui veniva emessa la sentenza «Halifax», è stata fatta menzione infatti proprio ai principi stabiliti in sede comunitaria «a dimostrazione di quanto sia fertile nel nostro Paese il terreno su cui la giurisprudenza comunitaria si è venuta ad innestare». (cfr. L. Salvini, op. cit., p. 3097). Tra l’altro, l’autorevole Autrice osserva sul punto che la Corte di Cassazione già nelle sentenze 14 novembre 2005, n. 22932, e 21 ottobre 2005, n. 20398, relative al c.d. dividend washing e all’usufrutto azionario, aveva condiviso e fatto proprio l’orientamento elaborato dalla Corte di Giustizia in materia di abuso del diritto. 10 Cfr. in dottrina sul tema dell’abuso del diritto applicato all’imposta sul valore aggiunto, A. Parolini, Commenti a margine sulla dottrina dell’abuso del diritto applicata all’imposta sul valore aggiunto in Elusione ed abuso, cit. p. 407 e ss., nonché la dottrina italiana ed estera citata dall’Autore in particolare nella nota n. 7 di p. 408. 11 Tale filone interpretativo, sulla base del quale era stata affermata la nullità civilistica dei contratti (e, quindi, in buona sostanza la nullità degli stessi per difetto di causa ex art. 1418 c.c. o per


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vità di una determinata condotta sulla base della nullità civilistica dei contratti, ha accolto e fatto proprio il principio di divieto di abuso del diritto elaborato in sede comunitaria. Infatti, la Suprema Corte a Sezioni unite nelle sentenze 23 dicembre 2008, n. 30055, n. 30056 e n. 30057 ha introdotto nel nostro ordinamento il principio secondo cui nel comparto dei tributi non armonizzati (rectius: nel comparto delle imposte sui redditi) il principio generale antielusivo non deve considerarsi di derivazione comunitaria, ma di matrice domestica, essendo diretta derivazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, quest’ultimo relativo al principio della capacità contributiva12. In altri termini, a giudizio dei giudici tributari il divieto di abuso del diritto sarebbe immanente nel nostro ordinamento tributario, quale diretta emanazione del principio della progressività e della capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione, con la conseguenza che il comportamento elusivo è perseguibile sempre e comunque – anche al di fuori, quindi, del comparto delle imposte sui redditi e in ogni grado del giudizio – senza la necessità di invocare l’art. 37-bis. La singolarità oltre che originalità della posizione espressa ha suscitato sin da subito forti critiche da parte della dottrina più autorevole, alla quale si rimanda13:

frode alla legge) ha trovato una sua compiuta espressione nelle sentenze n. 20398 cit., 26 ottobre 2005, n. 20816, e n. 22932 cit., relative alle cc.dd. operazioni di dividend stripping e di dividend washing. Per completezza si osserva che tale schema argomentativo basato, come osservato, sulla nullità civilistica del negozio è stato definitivamente abbandonato dalla Corte di Cassazione con le sentenze 29 settembre 2006, n. 21221, 16 gennaio 2008-4 aprile 2008, n. 8722, e 16 gennaio 2008-21 aprile 2008, n. 10257. 12 La Corte di Cassazione nella successiva sentenza del 21 gennaio 2009 n. 1465, sembra aver ulteriormente argomentato tale principio generale, avendo chiarito che «l’abuso costituisce una modalità di aggiramento della legge tributaria utilizzata per scopi non propri con forme e modelli ammessi dall’ordinamento giuridico» e richiede che l’Amministrazione finanziaria confronti il comportamento abusato con il comportamento fisiologico aggirato al fine di fare emergere quella anomala differenza incompatibile con una normale logica economica se non per pervenire a quel risultato elusivo». 13 G. Falsitta, (cfr. L’interpretazione antielusiva, cit., p. 3 e ss.) osserva autorevolmente: «corretto il riferimento all’art. 53, primo comma, della Costituzione come base di supporto dell’interpretazione antielusiva delle leggi d’imposta ma il riferimento stesso, in sé e per sé, avulso dal necessario raccordo con altri parametri costituzionali (racchiusi negli artt. 2 e 3 Cost.) finisce per risultare incompleto e francamente piuttosto criptico perché non permette di capire quale legame di consecuzione logica venga ad instaurarsi tra i testé citati parametri costituzionale e l’esigenza di ritenere immanente al sistema delle leggi d’imposta il criterio della interpretazione antielusiva. La Cassazione “scavalca” e “supera”, per così dire, il problema del carattere generalista dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 (…) e arriva, in definitiva, ad applicare il disposto dell’art. 37-bis a casi verificatisi prima che tale disposizione venisse inserita nel sistema». Cfr. in dottrina anche M. Beghin, Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema impositivo nazionale, in Elusione ed abuso, cit. p. 24 e ss.; G. Zizzo, op. cit., p. 57 e ss.; con particolare riferimento al rapporto esistente tra norme antielusive, l’abuso del diritto e le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, cfr. G. Maisto, Norme anti-elusive,


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ci sia comunque consentito osservare che nell’affermare tale principio, di portata così generale, la Corte di Cassazione sembra essere «passata» sopra il Legislatore (rectius: si è sostituita al Legislatore), nel senso che è stato affermato un principio che proprio per la sua importanza avrebbe dovuto essere affermato in sede legislativa e non giurisprudenziale14. I giudici della Suprema Corte, probabilmente indotti a tanto anche a causa del non sempre corretto e lecito utilizzo nei casi ad essi sottoposti degli strumenti giuridici messi a disposizione dell’ordinamento e del (l’imbarazzante) silenzio sul tema da parte del nostro Legislatore, nell’invocare gli artt. 3 e 53 della Costituzione per ammettere l’implicita esistenza nel nostro ordinamento di un generale principio antielusivo fondato sui principi di capacità contributiva e di progressività hanno tuttavia trascurato la fondamentale circostanza che il destinatario naturale di tali previsioni normative è il Legislatore e non il singolo contribuente; a tal fine, appare condivisibile l’orientamento da chi in dottrina ha autorevolmente ritenuto che «l’elusione fiscale è certamente un comportamento riprovevole che contrasta con il principio di capacità contributiva soprattutto se letto insieme al principio di solidarietà: (...) tuttavia ciò non è mai stato inteso come principio immanente e generale dell’ordinamento ma come indirizzo al legislatore che ha il dovere di colpire tali comportamenti attraverso espresse norme antielusive»15. Dalle considerazioni in precedenza emerge un quadro, normativo e interpretativo, non del tutto omogeneo che produce importanti conseguenze anche sul piano pratico: ad esempio, come si avrà modo di osservare anche nel proseguo, mentre la norma nazionale, e più in dettaglio il comma 1 dell’art. 37-bis, presuppone, al fine di qualificare una determinata operazione come elusiva, l’assenza delle valide ragioni economiche, l’aggiramento degli obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, nonché il conseguimento di un vantaggio tributario indebito, per la giurisprudenza comunitaria (il riferimento è alla sentenza «Halifax» citata) la condotta abusiva si identifica non solo con quella posta in essere per ottenere un vantaggio fiscale – che deve costituire lo scopo essenziale dell’operazione -, essendo altresì necessario che l’attribuzione di quel vantaggio sia in conflitto con l’obiettivo perseguito dalla relative disposizioni (ossia, sia disapprovato dal sistema). Inoltre, sul piano sostanziale e procedimentale, mentre sono suscettibili di elusività solamente le operazioni previste nel comma 3 dell’art. 37-bis citato,

abuso del diritto e convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni sul reddito» in Elusione ed abuso, cit. p. 277 e ss.; G. Marino, Via l’elenco delle operazioni elusive in Dir. Prat. Trib., n. 3/2009, pp. 637 e ss. 14 Cfr. in dottrina, T. Di Tanno, La Cassazione è passata sopra la Legislatore»in Dir. Prat. Trib., n. 3/2009, pp. 635 e ss. 15 Cfr. in dottrina, F. Marchetti, Con l’abuso del diritto si seppellisce il principio di legalità, in Dir. Prat. Trib., n. 3/2009, pp. 628 e ss.


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nel caso dell’abuso del diritto qualsiasi negozio, ovvero singolo atto, potrebbe potenzialmente costituire oggetto di censura16. E ancora, a stretto rigore, solamente nel caso dell’elusione fiscale il contribuente potrebbe attivare la particolare procedura di interpello prevista dal comma 8 dello stesso art. 37-bis, tra l’altro di recente interpretata dall’Amministrazione finanziaria nella circolare ministeriale del 14 giugno 2010, n. 3217. Con particolare riferimento all’ambito applicativo dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 – il quale come noto dispone che sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi privi di valide ragioni economiche diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti18 – si ritiene utile osservare che l’elusione fiscale si concretizza di fatto quando sussistono congiuntamente le tre seguenti condizioni: a. sia stata posta in essere una operazione, o una serie concatenata di atti, fatti o

16 Per una disamina dei diversi interpelli previsti dalla legge, nonché dell’efficacia e della impugnabilità degli stessi, cfr. in dottrina, G. Fransoni, Efficacia e impugnabilità degli interpelli fiscali con particolare riguardo all’interpello disapplicativo, in Elusione ed abuso, cit. pp. 77 ss. 17 Sul tema validi spunti argomentativi sono forniti da L. Salvini, op. cit., p. 3102, la quale osserva che sotto un profilo non esclusivamente procedimentale la diretta applicazione nel nostro ordinamento del principio di abuso del diritto elaborato in sede comunitaria pone dei problemi sul piano delle garanzie relative al contraddittorio e alla riscossione che il Legislatore ha accordato a garanzia del contribuente nell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. A giudizio dell’autorevole Autrice tale aspetto potrebbe costituire un ulteriore punto di frizione con il nostro ordinamento del principio antiabuso comunitario. 18 Benché il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, alla sua entrata in vigore, non contenesse specifiche disposizioni antielusive, l’opportunità di introdurre nel sistema tributario nazionale una clausola di tal genere risale ai tempi dell’istituzione della c.d. Commissione Cosciani, istituita per lo studio della riforma tributaria degli anni 1971-1973. Tale intenzione non ebbe però conferma, dal momento che nel testo della legge-delega non si rinviene alcun esplicito riferimento ad un principio generale antielusione. Solamente con la legge 29 dicembre 1990, n. 408, e successive modificazioni, fu prevista espressamente una norma antielusione, con lo scopo di contrastare la sottrazione di base imponibile attraverso determinate operazioni d’impresa. In particolare, l’art. 10, comma 1, di detta Legge – antesignano dell’attuale art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 – assume rilievo nella disamina storica del fenomeno dell’elusione fiscale, non soltanto perché ha introdotto il principio delle «valide ragioni economiche», ancora vincolante nell’attuale normativa antielusiva, ma anche per avere investito l’Amministrazione finanziaria di funzioni nuove preordinate al disconoscimento di vantaggi tributari nei confronti di qualsiasi operazione posta in essere dal contribuente priva di valide ragioni economiche e con lo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta. L’art. 7 del D.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, ha sostituito l’art. 10 della legge n. 408/1990 e ha introdotto l’art. 37-bis nel D.P.R. n. 600/1973. In particolare, sui lavori compiuti dalla Commissione Cosciani si rimanda a P.M. Tabellini, Tabellini, op. cit., pp. 43 e ss.


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negozi, priva di valide ragioni economiche; b. vi sia stato 1’aggiramento di un obbligo o divieto previsto dal nostro ordinamento tributario; c. sia stato conseguito un vantaggio fiscale altrimenti indebito19. La norma parla di atti, fatti o negozi anche collegati tra di loro privi di valide ragioni economiche: il riferimento operato al plurale a atti, fatti e negozi legati tra di loro da un collegamento di tipo funzionale vale, tra l’altro, a distinguere il fenomeno dell’elusione fiscale da quello dell’abuso del diritto, dal momento che quest’ultimo può riguardare il compimento anche di una solo operazione, come ad esempio la cessione di un credito, ovvero di una partecipazione. Inoltre, è necessario che tali atti, fatti e negozi siano privi di valide ragioni economiche, ossia siano finalizzati, anche non esclusivamente, all’ottenimento di benefici fiscali indebiti: per essere concreti, secondo le (a volte discutibili) interpretazioni fornite dalla nostra Amministrazione finanziaria, nonché dai giudici di legittimità e di merito, le ragioni economiche sono valide quando il contribuente pone in essere una determinata operazione secondo una logica economica genuina, razionale e ragionevole, ispirata da una corretta ed economica logica imprenditoriale, non con il fine quindi di ottenere un risparmio di imposta indebito, ma di riorganizzare al meglio l’esercizio della propria attività imprenditoriale. Ad esempio, in materia di operazioni straordinarie, si ritiene che una fusione sia sorretta da una valida ragione economica quando abbia lo scopo di determinare sinergie produttive, commerciali, finanziarie, tra più realtà aziendali; non lo è, invece, ad esempio, una fusione tra due società di cui una in perdita posta in essere senza valide ragioni economiche allo scopo di compensare le perdite della società incorporata con gli utili della società incorporante. E ancora, come affermato in svariati interpelli emessi dal Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive (oggi abrogato), una scissione è assistita da una valida ragione economica se riguarda, ad esempio, una società che svolge due attività distinte e ha lo scopo imprenditoriale della separazione delle strutture produttive, con continuazione dell’attività d’impresa20, oppure quando è giustificata dall’esistenza di

19 Alcuni autorevoli Autori (cfr. P. Ludovici, La rilevanza dei tributi esteri ai fini dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, in Elusione ed abuso, cit. p. 263) hanno osservato che l’art. 37-bis non opera nessun riferimento ad elementi di transnazionalità, ai quali comunque occorrerebbe far riferimento. Si pensi, ad esempio, al tema, tra l’altro posto in evidenza dallo stesso Autore, se il conseguimento di un vantaggio tributario estero possa costituire o meno una valida ragione economica, precludendo il disconoscimento da parte della nostra Amministrazione finanziaria del vantaggio tributario italiano, altrimenti indebito. 20 Cfr., ad esempio, i pareri del 21 settembre 2005, n. 19 e del 14 ottobre 2005, n. 40, nei quali il Comitato ha ritenuto l’operazione di scissione parziale non elusiva, in quanto lo scorporo del ramo immobiliare da quello commerciale era finalizzato a facilitare l’ingresso di nuovi soci nella


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un dissidio insanabile tra i soci21. Per contro, invece tale operazione è considerata elusiva, se attuata, ad esempio, con scopi diversi dalla continuazione dell’attività d’impresa, ma solamente per creare una società contenitore, allo scopo quindi di far circolare, o meglio di cedere, non beni di primo grado – ossia il ramo aziendale oggetto della scissione – ma la partecipazione che il socio, per effetto della scissione, si trova a detenere nella società beneficiaria; in tale ipotesi, infatti, il vantaggio consiste nel realizzare una plusvalenza su partecipazioni, in luogo di una plusvalenza su beni di primo grado in genere fiscalmente più onerosa22. Sul tema ci sembra interessante sviluppare qualche ulteriore osservazioni. La valutazione della validità di una ragione economica e, quindi, in buona sostanza

compagine societaria. In altri termini, tale scorporo avrebbe facilitato l’ingresso di nuovi soci, in quanto questi non avrebbero dovuto corrispondere un sovrapprezzo azionario proporzionato al valore degli immobili. 21 Cfr. sul punto le conclusioni cui è giunta l’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano nella Norma di comportamento n. 147/2002 nella quale è stato ritenuto che costituisce valida ragione economica della scissione la presenza di un dissidio insanabile tra i soci che in quanto tale pregiudica in modo irreversibile la continuità aziendale. Anche nei pareri del Comitato del 30 luglio 2002, n. 14, del 4 luglio 2002, n. 7, e del 13 maggio 1998, n. 4, la scissione parziale è stata considerata come non elusiva in presenza di un dissidio insanabile tra i soci; infatti, in tale ipotesi, è stato ritenuto che tale operazione consentiva lo scioglimento del rapporto giuridico esistente tra i soci, nonché la prosecuzione da parte degli stessi in via autonoma dell’attività dell’impresa. Interessante, inoltre, appare essere l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria nella risoluzione del 4 ottobre 2007, n. 281, relativa ad una scissione parziale proporzionale, avente ad oggetto il solo ramo immobiliare, ritenuto non elusiva, in quanto volta a consentire la successione generazionale nella conduzione della società posseduta in parti uguali da due soci; uno di questi, non interessato alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale, aveva venduto la propria partecipazione ai figli dell’altro socio i quali, già dipendenti della società, avrebbero assunto un ruolo direzionale all’interno della società. Nel caso di specie, inoltre l’elusività dell’operazione è stata esclusa perché i due soci avevano espressamente manifestato l’intenzione di non cedere successivamente le partecipazioni che, a seguito della scissione, si trovavano a detenere nella società beneficiaria. 22 Cfr., ad esempio, i pareri del 4 ottobre 2006, nn. 27 e 28 con i quali Comitato si è espresso per l’elusività della scissione parziale proporzionale in quanto considerata operazione finalizzata esclusivamente a realizzare la cessione del ramo d’azienda relativa all’attività caratteristica svolta dalla società, sfruttando impropriamente il regime di neutralità fiscale proprio dell’operazione di scissione societaria. In particolare, la scissione è stata considerata elusiva perché, secondo la tesi sostenuta dal Comitato, i soci per il suo tramite avrebbero perseguito lo scopo di assoggettare la plusvalenza derivante dalla successiva cessione delle partecipazioni detenute nella società beneficiaria al più favorevole regime fiscale previsto per la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione delle partecipazioni. Va osservato che con riferimento alle scissioni, il tema della elusività si pone quando per il suo tramite si attua la trasformazione di beni di primo grado (beni immobili) in beni di secondo grado (partecipazioni) attraverso una società veicolo, al fine di procedere ad un successivo trasferimento della partecipazione da un soggetto ad un altro, scontando un diverso regime di tassazione. Cfr., sul tema anche i pareri resi dal Comitato consultivo del 24 febbraio 2005, n. 5, e del 19 gennaio 2005, n. 1.


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della bontà della logica economica sottostante, non dovrebbe spettare – a stretto rigore – né all’Amministrazione finanziaria né ai giudici tributari (la cui competenza tra l’altro è per legge limitata ai tributi di ogni genere e specie comunque denominati – art. 2 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non si estende dunque all’apprezzabilità economico-gestionale di una determinata operazione), ma esclusivamente all’imprenditore, con il solo limite della ragionevolezza in termini economici della scelta attuata. Detto in altri termini, dovrebbe costituire oggetto di censura – e, quindi, del disconoscimento fiscale, e non civilistico, dell’operazione posta in essere – solamente quel comportamento illogico, incomprensibile, privo di qualsiasi senso economico, non validato da nessuna ragione economica, il cui unico è quello del risparmio di imposta indebito. Come detto, infatti, la valutazione della validità di una ragione economica (rectius: dell’apprezzabilità in termini economico-gestionale di una determinata operazione) dovrebbe spettare esclusivamente all’imprenditore, unico soggetto in grado di valutare in modo naturale se quella determinata operazione risponde in un’ottica di medio – lungo periodo ad una genuina logica economica. Al fine di qualificare un determinato comportamento come elusivo gli atti, fatti o negozi privi di valide ragioni economiche devono essere poi diretti ad aggirare divieti o obblighi previsti dall’ordinamento nazionale; tale aggiramento implica l’utilizzo non fisiologico degli strumenti giuridici messi a disposizione dal sistema e, pertanto, si caratterizza per la presenza di una serie di passaggi ritenuti non congrui rispetto al risultato perseguito23. Inoltre, dalla temporaneità di una determinata struttura societaria non dovrebbe discendere automaticamente l’assenza di una valida ragione economica: la temporaneità potrebbero costituire indizio di elusione, ma non certo l’unico elemento che deve essere preso in considerazione al fine di considerare l’operazione come elusiva. A tal fine, ci sembra opportuno richiamare l’orientamento prevalente della Corte di Giustizia, espresso in particolare nella sentenza 17 luglio 1997, causa C-28/95 «Leur Bloem» 24; in tale sentenza, infatti, i giudici comunitari, dopo aver chiarito che le autorità nazionali per accertare l’obiettivo elusivo di una determinata operazione non possono limitarsi ad applicare criteri automatici in maniera automatica (il che in buona sostanza equivale a dire che l’accertamento dell’elu-

23 Significativo al riguardo ci pare essere l’orientamento espresso ad esempio nel Parere del Comitato consultivo del 16 novembre 2005, n. 27, in cui è stato ritenuto che gli obiettivi perseguiti dal contribuente potevano essere raggiunti in maniera più lineare attraverso la liquidazione di una società piuttosto che per il tramite di una fusione, essendo nel caso di specie la liquidazione una procedura meno complessa e pertanto più «fisiologica» in rapporto allo scopo perseguito. Sul tema dell’aggiramento si confrontino anche le risoluzioni ministeriali 22 marzo 2007, n. 57, e 18 novembre 2008, n. 446. 24 Per un commento a tale sentenza, cfr. in dottrina, D. Stevanato, Nota a Corte di giustizia Ce 17 luglio 1997, n. C-28/95, in Corr. Trib. 1997, pp. 3666 e ss.


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sione non può essere fatto in modo preordinato, prescindendo quindi da una valutazione di fatto, e quindi nel merito, delle operazione poste in essere) hanno ritenuto, in maniera condivisibile, che anche un’operazione mirante a configurare una determinata struttura, o ristrutturazione giuridica, per un periodo limitato, e, quindi, in maniera non duratura, può ugualmente perseguire valide ragioni economiche, anche se ciò può costituire un semplice indizio di elusione. Inoltre, in tale sentenza è stato chiarito che non ricorre una valida ragione economica quando l’operazione è posta in essere esclusivamente per conseguire un risparmio d’imposta, o un rimborso, altrimenti indebito. Quest’ultimo aspetto, spesso trascurato dai giudici sia di legittimità che di merito – ossia la circostanza che l’unico motivo dell’operazione deve essere costituito dal risparmio d’imposta indebito – ci sembra di particolare importanza, dal momento che a nostro avviso non tutti i risparmi d’imposta dovrebbero costituire oggetto di censura, sia nazionale che comunitaria; l’accoglimento infatti di una tesi contraria produrrebbe l’assurdo e non condivisibile risultato che il contribuente, al fine di non vedersi pregiudicati gli effetti fiscali di una determinata operazione dovrebbe adottare nelle proprie operazioni di impresa sempre e solo il comportamento fiscalmente più oneroso, il che francamente ci sembra contrario alla stessa logica delle valide ragioni economiche. Il contribuente invece dovrebbe quindi avere il diritto di scegliere le diverse modalità di realizzazione di una operazione, nonché di scegliere quella fiscalmente meno onerosa; la stessa Commissione europea nella comunicazione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale europeo n. 785/2007 citata, nel parlare di misure antiabuso nel settore dell’imposizione diretta, ha affermato il principio secondo cui l’obiettivo di ridurre al minimo l’onere fiscale costituisce per sé una considerazione commerciale valida, purché le costruzioni attuale a questo fine non comportino trasferimenti fittizi di utili. Anche l’Amministrazione finanziaria nella risoluzione 16 luglio 2001, n. 119, ha riconosciuto il diritto da parte del contribuente di scegliere tra operazioni alternative, quali la fusione ovvero la liquidazione di società25. Tale interpretazione ci pare logica e coerente, dal momento che come evidenziato anche dalla Corte di Cassazione nella sentenza 17 ottobre 2008, n. 25374, l’impiego delle forme contrattuali, ovvero organizzative, che consentono un minore carico fiscale dovrebbe costituire esercizio della libertà d’impresa e di iniziativa economica. Tuttavia, non va trascurato che di recente

25 In tale risoluzione sono stati forniti chiarimenti in merito all’ammissibilità di una operazione di riorganizzazione il cui fine era quello di acquisire il controllo diretto di una società operativa tramite la fusione per incorporazione di società sub-holding, ovvero tramite la liquidazione di quest’ultima successivamente alla acquisizione della partecipazione nella società operativa. In particolare, è stato ritenuto che le due ipotesi alternative (fusione e liquidazione della holding intermedia) sono entrambe ammissibili, non essendo previste nel nostro ordinamento specifiche preclusioni verso una delle due operazioni, anche se le conseguenze fiscali da loro rilevanti sono diverse.


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l’Amministrazione sembra aver modificato il proprio orientamento, dal momento che, ad esempio, nei pareri del Comitato consultivo n. 27/2005 citato e del 9 maggio 2007, n. 27, è di fatto venuta meno la scelta tra due alternative possibili, in particolare la fusione e liquidazione, dal momento che quest’ultima è stata ritenuta nel caso di specie una procedura meno complessa e per ciò fisiologica allo scopo perseguito26. Si ritiene corretto ritenere che qualsiasi operazione sorretta da valide ragioni economiche, che non determina alcun aggiramento di obblighi tributari, ma che produce, quale sua naturale conseguenza, un risparmio d’imposta non indebito (e quindi non contrario ai principi del sistema) non debba essere considerata come elusiva: a tal fine, a nulla dovrebbe valere la comparazione tra quella particolare operazione e quella (più onerosa in termini fiscali) che a giudizio dell’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto essere posta in essere. Tale tra l’altro sembra essere l’orientamento espresso in tema di abuso del diritto dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza «Halifax» citata nella quale al par. 86 viene chiarito che affinché possa parlarsi di comportamento abusivo le operazioni controverse devono procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle disposizioni previste dalle direttive IVA, nonché dalla legislazione nazionale che le ha trasposte27. Inoltre, il conseguimento di detto vantaggio deve costituire lo scopo essenziale della soluzione contrattuale prescelta, ossia per utilizzare l’espressione utilizzata dai giudici comunitari «deve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi che dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale» (si veda al riguardo anche il par. 58 della sentenza della Corte di Giustizia 21 febbraio 2008, causa C-425/06 «Part Service S.r.l.» 28). Detto in altri termini, è sufficiente che lo scopo di ridurre il

26 Si confrontino la nota 23, nonché le risoluzioni ministeriali 22 marzo 2007, n. 57, relativa ad uno scambio di partecipazioni tramite conferimento, e 18 novembre 2008, n. 446, avente ad oggetto il trattamento tributario delle donazioni e dei conferimenti di partecipazioni azionarie; cfr, in dottrina, G. Maisto, Abuso del diritto ancora a metà del guado, in Dir. Prat. Trib., n. 3/2009, pp. 638 e ss. 27 Cfr. inoltre anche le sentenze della Corte di Giustizia «Cadbury Schweppes» citata (in particolare, il par. 37), nonché 9 marzo 1999, causa C-212/97, «Centros Ltd», nella quale è stato chiarito che il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento. Inoltre, nel par. 96 della sentenza 30 settembre 2003, causa C-167/2001, Inspire Art Ltd, è stato precisato che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro unicamente per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce un abuso e ciò anche qualora la società in questione svolga l’essenziale, se non il complesso, delle sue attività economiche nello Stato di stabilimento. 28 Per un commento a tale sentenza, cfr. in dottrina G. Zizzo, Abuso del diritto, scopo di risparmio d’imposta e collegamento negoziale, in Rass. Trib., 2008, pp. 869 ss.; P. Centore, Lo «spettro» dell’abuso sulle operazioni soggette ad Iva, in Riv. Giur. Trib. 2008, pp. 753 ss.


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carico fiscale sia essenziale, ancorché non necessariamente esclusivo, con la conseguenza che «eventuali concorrenti obiettivi economici [ad esempio, di marketing, ovvero organizzativi] sarebbero di ostacolo all’accertamento dell’abuso, [e probabilmente anche all’elusione fiscale domestica] a meno che non siano assolutamente marginali o irrilevanti»29. La contrarietà del comportamento attuato rispetto alle diposizioni, comunitarie e nazionali, previste postula in buona sostanza l’asistematicità del vantaggio tributario conseguito, aspetto questo spesso trascurato dai giudici nazionali nella valutazione delle condotte elusive. Peccato che la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8772/2008 citata nel richiamare la sentenza «Halifax» abbia dimenticato, ovvero omesso di riportare – tra l’altro, proprio citando il par. 86 della sentenza «Halifax» – la locuzione, a nostro avviso di fondamentale importanza, «vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni», a dimostrazione probabilmente di un diverso atteggiamento utilizzato dai giudici nazionali nella valutazione delle condotte elusive. Desta infine qualche perplessità l’approccio seguito dai giudici della Suprema Corte nel par. 3.6 della sentenza n. 30057/2008, dove si legge «nessun dubbio può (...) sussistere riguardo la concreta rilevabilità d’ufficio, in questa sede di legittimità, della inopponibilità del negozio abusivo all’erario»: non ci sentiamo di condividere tale impostazione, tra l’altro non riproposta nella successiva sentenza n. 1465/2009. Ci limitiamo in questa sede ad osservare che la rilevabilità d’ufficio in qualsiasi grado del giudizio, e quindi anche in sede di Corte di Cassazione, della condotta elusiva, ovvero abusiva, compromette nella sostanza il giusto rapporto tra le parti, dal momento che il contribuente potrebbe vedersi disconosciuta una determinata operazione anche sulla base di elementi nuovi non emersi nel corso dei precedenti gradi del giudizio. 10.2

La creazione di una holding da parte di persone fisiche Svariate sono le motivazioni che possono giustificare la creazione da parte di persone fisiche, legate o meno da rapporti di parentela, di una holding sia per gestire pacchetti partecipativi sia per svolgere attività di produzione. Per praticità ipotizziamo il caso in cui tre persone fisiche legate tra loro da rapporto di parentela detengano partecipazioni in svariate società operative (operanti, ad esempio, nei settori bancario, assicurativo, industriale, della concessione autostradale). In tale ipotesi, queste potrebbero costituire una holding, ovvero un doppio livello di holding, al fine ad esempio di un più efficace esercizio da parte della stessa dell’attività di direzione e coordinamento delle diverse società operative, di una migliore gestione della liquidità, di una più efficace gestione dei rapporti

29 Cfr., G. Zizzo, L’elusione tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario, cit. p. 62.


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famigliari, di una più efficiente gestione di pacchetti partecipativi in società ad esempio operanti in diversi settori, ovvero per consentire il c.d. passaggio generazionale. Significativo al riguardo può essere l’esempio del riassetto partecipativo di recente attuato dalla famiglia Gavio, riportato sulla stampa specializzata30 che tra l’altro si caratterizza per la presenza di un doppio livello di holding, Aurelia e Argo – quest’ultima partecipata interamente dalla prima – che controllano tutte le partecipazioni detenute dalla famiglia (dalle concessionarie Auto TO-MI e SIAS – Società Iniziative Autostradali e Servizi – fino ad arrivare a quelle detenute in Mediobanca e Assicurazioni Generali). Come si apprende nello stesso articolo, il riassetto partecipativo di tutto il gruppo, attuato anche attraverso l’ampliamento del Consiglio di amministrazione delle due holding, ha consentito l’ingresso della seconda generazione. Va anche osservato che eventuali posizioni di conflitto tra le persone fisiche (siano essi fratelli ovvero il padre dei propri figli), derivanti ad esempio dal mancato indirizzo comune sulle modalità di svolgimento dell’attività delle varie società operative, in assenza della holding rischierebbero di compromettere la stessa operativa aziendale; a tal fine, per un più efficace assetto di governance la funzione della holding potrebbe essere proprio quella di esprime un indirizzo comune sulla gestione delle varie società operative, il che in buona sostanza equivale a dire che le eventuali posizioni di conflitto sono gestite a livello della holding e non singolarmente a livello di singole società operative che non vedrebbero pregiudicata la propria attività31. La gestione delle partecipazioni a livello di holding e non di persone fisiche consente tra l’altro in termini generali anche di ottimizzare la struttura da un punto di vista fiscale, con particolare riferimento al regime dei dividendi e della participation exemption: infatti, i dividendi e le plusvalenze realizzate in ambito societario (rectius: nel regime IRES) scontano un regime di tassazione migliore rispetto a quello proprio delle persone fisiche. In altri termini, a ricorrere dei presupposti previsti dalla normativa (in particolare, artt. 87 e 89 del D.P.R. n. 917/1986) la realizzazione di plusvalenze realizzate a seguito della cessione da parte della holding delle partecipazioni detenute nelle singole società operative, nonché la distribuzione di dividendi da parte di queste sconta una tassazione pari all’1,375% (ossia solamente il 5% di detti componenti reddituali è soggetto all’applicazione dell’aliquota IRES del 27,5%). Con particolare riferimento al tema dell’elusione tributaria, riteniamo innanzitutto corretto ritenere che il riassetto societario posto in essere, nell’esempio in precedenza fatto, dalle persone fisiche finalizzato all’ottenimento di un trattamen-

30 Cfr. In casa Gavio sale la seconda generazione, in Il Sole 24 Ore del 14 luglio 2010, p. 39. 31 Cfr. su tali temi, P. Jovinetti, Strategie mobiliari per la continuità e la successione d’impresa, Milano, 1988.


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to tributario più favorevole, ma non disapprovato dal sistema, quale è quello IRES di cui potrebbe godere la holding, non possa essere considerato come un comportamento elusivo, dal momento che la stessa riforma tributaria del 2004 introducendo nel nostro ordinamento gli istituti della dividend exemption, nonché della participation exemption ha inteso legittimare e quindi ha reso sistematica la fruizione di tali benefici32. In linea di principio, quindi, la riorganizzazione finalizzata all’ottenimento dei benefici propri del mondo IRES non dovrebbe essere considerata come potenzialmente elusiva, con la conseguenza che l’attribuzione da parte di persone fisiche in una holding delle partecipazioni detenute non dovrebbe ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. A tal fine, a nulla dovrebbe valere il confronto tra il regime IRES e quello IRPEF, sia perché non avrebbe senso confrontarli (a causa della loro sostanziale diversità) sia perché, come acutamente osservato da autorevole dottrina33, «ogni qualvolta tra le società operative e i soci persone fisiche venga interposta [inserita] una holding, o quando una società operativa si trasformi in holding, conferendo la sua azienda, andrebbe applicata la norma antielusiva, posto che il regime IRES (e la connessa possibilità di accedere alla PEX) è per definizione «più vantaggioso» del regime IRPEF», il che francamente – come evidenziato dalla stessa dottrina richiamata – sembra eccessivo, oltre che non coerente con lo spirito del sistema. Tra l’altro, l’aver attribuito alla circolazione delle partecipazioni (c.d. share deal) un trattamento tributario diverso (rectius: più favorevole) rispetto a quello della circolazione delle aziende (c.d. asset deal) costituisce la conseguenza di una precisa e voluta scelta di politica fiscale attuata dal nostro Legislatore con la riforma fiscale del 2004. 10.3

Il conferimento delle partecipazioni nella holding nell’ambito delle ristrutturazioni societarie L’Amministrazione finanziaria è intervenuta nell’ambito delle operazioni di ri-

32 Senza pretese di esaustività rimandiamo in dottrina a D. Liburdi, Gruppi societari, la riorganizzazione finalizzata ai benefici non è elusiva, in Italia Oggi del 14 ottobre 2004, p. 30; M. Andriola, La norma antielusiva generale alla prova del passaggio dall’Irpeg all’Ires, in Fisco Oggi del 23 settembre 2004. 33 Cfr. in dottrina, D. Stevanato, Scambi di partecipazioni ed elusione tributaria, in Corr. Trib., n. 2/2009, pp. 151 e 152; A. Bampo, D. Stevanato, A. De Pra, La capacità economica nei conferimenti in natura. Scambi di partecipazioni ed elusione tributaria, in Dialoghi di Diritto Tributario, n. 3/2007, pp. 323 ss.; in particolare, tali ultimi Autori a p. 353 ritengono che «i riassetti societari finalizzati alla precostituzione dei requisiti finalizzati al successivo godimento di regimi tributari volti, tra l’altro, all’ottimizzazione della compensazione delle perdite con i redditi delle società appartenenti al gruppo, non possono ritenersi volti a realizzare un risparmio indebito, dal momento che sono proprio i suddetti istituti giuridici a consentire tali risultati».


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strutturazioni societarie che hanno coinvolto una holding con le risoluzioni n. 57/2007 e n. 446/2008, relative rispettivamente allo scambio di partecipazioni mediante conferimento e al trattamento tributario delle donazioni e dei conferimenti di partecipazioni azionarie, e più recentemente con la circolare 17 giugno 2010, n. 33/E con la quale, come si dirà meglio in seguito, sono state superate le posizioni restrittive precedentemente espresse. Nelle due risoluzioni citate, l’Amministrazione finanziaria aveva in buona sostanza negato, anche se con argomentazioni non del tutto coincidenti, l’applicabilità della normativa prevista dal comma 2 dell’art. 177 TUIR e, quindi, del regime della neutralità fiscale34 previsto nel caso dello scambio di partecipazioni. In particolare, nella risoluzione n. 57/200735, ampiamente commentata e criticata dalla dottrina36, è stato ritenuto che il conferimento in una holding di famiglia di azioni di una società il cui controllo risultava di fatto, già prima del conferimento stesso, in capo ai medesimi soci persone fisiche della società conferitaria, costituiva un’operazione con finalità elusive, posto che non si ravvisavano nel caso di specie delle valide ragioni economiche; a giudizio dell’Amministrazione finanziaria inoltre l’unico scopo dell’operazione (rectius: del conferimento delle partecipazioni nella holding) era quello di consentire ai soci di effettuare il conferimento delle azioni in una società senza l’emersione di alcuna plusvalenza fiscalmente imponibile, sottraendosi così alla tassazione a valore normale secondo quanto previsto dall’art. 9 del TUIR. Nel caso di specie (rappresentato nella tavola 10.1) quattro fratelli possedevano una partecipazione del 25% nella holding di famiglia Alfa S.p.a. la quale, a sua

34 Va ricordato che il regime di neutralità fiscale trova applicazione solamente qualora i valori fiscali che la società conferitaria attribuisce alla partecipazione ricevute sono identici a quelli che le stesse partecipazioni avevano in capo al soggetto conferente. Infatti, il Legislatore nazionale nel prevedere nel secondo comma dell’art. 177 del TUIR la neutralità fiscale degli scambi di partecipazioni posti in essere mediante conferimento non si è basato sul c.d. meccanismo del roll-over relief – che consiste nella trasmissione automatica del relativo valore fiscale dalle partecipazioni oggetto di conferimento a quelle di scambio -, ma al comportamento contabile adottato dalla società conferitaria. 35 Le conclusioni di tale risoluzione sono state in parte riprese nella risoluzione n. 446/2008. 36 Cfr., in dottrina, G.M. Committeri, G. Scifoni, Il regime di «neutralità indotta» nello scambio di partecipazioni mediante conferimento, in Corr. Trib., n. 30/2010, pp. 2463 ss.; L. Rossi, M. Ampollina, L’elusione negli scambi di partecipazioni mediante conferimento, in Corr. Trib., n. 28/2009, pp. 2250 ss.; D. Stevanato, Legittimo utilizzo di scambi azionari per attuare riassetti partecipativi infragruppo, in Corr. Trib., n. 10/2008, pp. 776 ss.; D. Scandiuzzi, Lo scambio azionario ex art. 177 Tuir e la confusione tra il procedimento di interpello statutario e quello antielusivo, in Riv. Dir. Trib., 2007, Parte II, pp. 791 ss.; F. Dami, Le norme antielusive in scissioni societarie e conferimento di azioni, in Corr. Trib., n. 20/2007, pp. 1651 ss.; A. Dragonetti, S. Salvadeo, Conferimento di partecipazioni. Analisi della ris. n. 57/E del 2007 e norma di comportamento ADC, in Il Fisco, n. 8/2008, pp. 1337 ss.


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volta, deteneva una partecipazione di minoranza nel capitale sociale della società operativa Beta S.p.a.; la restante parte del capitale sociale della Beta S.p.a. era suddivisa tra i quattro fratelli e altre persone fisiche. Era intenzione dei quattro fratelli effettuare, avvalendosi del sostanziale regime di neutralità fiscale previsto in tema di scambio di partecipazione dal comma 2 citato, lo scambio di tutte le partecipazioni da essi detenute nella società operativa Beta S.p.a. con quelle della holding Alfa S.p.a., mediante il conferimento delle prime nella holding di famiglia. Tale operazione era finalizzata non solo all’acquisizione da parte della holding Alfa S.p.a. (scalante, ovvero conferitaria) del controllo di diritto ex. art. 2359, comma 1, n. 1), C.C. della società operativa Beta S.p.a., ma anche ad una più efficiente gestione dei rapporti inter-familiari, senza il necessario coinvolgimento di soggetti estranei alla stessa famiglia, e ad un più efficace esercizio dell’attività di direzione e coordinamento della società operativa Beta.

Tavola 10.1

Situazione ante-conferimento

PF1 25%

PF2 25%

PF3 25%

PF4 25%

ALFA

PF1 10,11%

PF2 10,11%

29,91%

ALFA

PF3 10,11%

PF4 10,11%

Terzi 30,65


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IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING

Tavola 10.1

Situazione post-conferimento

S1 25%

S2 25%

S3 25%

S4 25%

ALFA

69,35%

Terzi 30,65%

ALFA

L’Amministrazione finanziaria aveva negato l’applicazione del regime di neutralità fiscale previsto dal citato comma 2 dell’art. 177 del TUIR sulla base dell’assunto che, ancor prima del conferimento delle azioni della Beta S.p.a. nella holding Alfa S.p.a. (che avrebbe permesso a quest’ultima di acquisire il controllo di diritto della prima) il controllo di Beta S.p.a. era di fatto già riconducibile ai quattro fratelli. In altri termini, l’applicazione del regime di neutralità era stata negata perché lo scambio azionario avveniva all’interno dello stesso gruppo, in seno ad un’unica compagine azionaria, non permettendo il conferimento delle partecipazioni nella holding di famiglia di far acquisire a quest’ultima ex novo il controllo sostanziale della società operativa Beta S.p.a. Venendo ai profili qui di interesse, la tesi espressa dall’Amministrazione finanziaria nelle due risoluzioni in commento non convinceva sia per quanto riguarda l’interpretazione data al comma 2 dell’art. 177 del TUIR sia per non avere sufficientemente argomentato l’insussistenza delle valide ragioni economiche. La stessa Amministrazione finanziaria nella recente circolare n. 33/2010 l’ha infatti


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superata. In effetti il comma 2 dell’art. 177 del TUIR37, di chiara matrice comunitaria38, dispone che «le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 1), c.c., ovvero incrementa in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario la percentuale di controllo sono valutate ai fini della determinazione del reddito del conferente in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento»39. Posto che il regime di neutralità disciplinato dalla norma deve porsi su un piano di pari dignità con la disciplina di cui all’art. 9 del TUIR rispetto alla quale trova applicazione alternativa40, la stessa Amministrazione fi-

37 Per un’analisi di tale disciplina – che si applica anche alle persone fisiche non imprenditori – cfr. in dottrina, M. Leo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Tomo II, Milano, 2010, pp. 2744 ss. L’autorevole Autore osserva che «anche per gli scambi attuati tramite conferimento la norma richiede anzitutto che l’operazione abbia ad oggetto una partecipazione idonea a far assumere alla società acquirente il controllo della società scambiata. Nonostante la norma non faccia riferimento al fenomeno dell’“integrazione” della partecipazione di controllo (contrariamente a quanto previsto nel comma 1 [dell’art. 177 del TUIR]), sembra che l’Amministrazione finanziaria abbia aderito ad una tesi “estensiva”, rendendo omogeneo l’ambito applicativo delle due tipologie di scambi (comma 1 e comma 2); nella circolare n. 320/E [circolare del 19 dicembre 1997, n. 320], difatti, ebbe a chiarire che “Entrambe le operazioni citate sono accomunate dal fatto di essere poste in essere da un soggetto che acquisisce o integra una partecipazione di controllo ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1, c.c. in un altro soggetto a fronte dell’attribuzione, ai soci della società partecipata, di una partecipazione al proprio capitale”». 38 L’evidente natura comunitaria della norma in esame si desume dalla lettura della direttiva 434/90/CEE citata, come rifusa dalla direttiva 17 febbraio 2005, 2005/19/CE. In particolare, l’art. 1 di tale ultima direttiva ha sostituito l’art. 2, lett. d), della direttiva 434/90/CEE, disciplinando lo scambio di azioni come l’operazione mediante la quale una società acquisisce nel capitale sociale di un’altra società una partecipazione il cui effetto sia quello di conferire la maggioranza dei diritti di voto di questa società o, se dispone già di tale maggioranza, acquisisce un’ulteriore partecipazione, in cambio dell’assegnazione ai soci di quest’ultima, in contropartita dei loro titoli, di titoli rappresentativi del capitale sociale della prima società ed eventualmente di un saldo in contanti che non superi il 10% del valore nominale o, in mancanza del valore nominale, della parità contabile dei titoli assegnati in cambio. Nel «Considerando» n. 15 della direttiva 2005/19/CE si legge: «L’attuale definizione di “scambio di azioni”, di cui all’art. 2, lett. d), della direttiva 90/434/CEE, non precisa se questo termine comprenda ulteriori acquisizioni che conferiscano più della maggioranza semplice dei diritti di voto. Non è raro che gli statuti delle società e le regole di voto siano formulati in modo che siano necessarie ulteriori acquisizioni prima che l’acquirente possa ottenere il controllo totale della società destinataria. La definizione di “scambio di azioni” dovrebbe pertanto essere modificata per precisare che questo termine copre tutte le ulteriori acquisizioni». 39 La frase «incrementa in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario la percentuale di controllo» è stata aggiunta nella norma dall’art. 1, comma 1, lett. c), numero 2), del D.lgs. 6 novembre 2007, n. 199, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva n. 2005/19/CE; cfr., in dottrina, L. Miele, In via di recepimento la direttiva su operazioni straordinarie transfrontaliere, in Corr. Trib. n. 34/2007, pp. 2751 ss. 40 Questo è il chiarimento che si desume dalla lettura della circolare ministeriale n. 33/2010 citata,


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nanziaria nella più recente interpretazione ha ritenuto che il comma 2 dell’art. 177 del TUIR «si disinteressa degli eventuali rapporti partecipativi o di gruppo sussistenti tra soggetti conferenti e società conferitarie, con la conseguenza che – al ricorrere dei requisiti previsti, la disciplina recata (…) appare destinata tanto alle operazioni di scambio che attuino un’aggregazione di imprese tra soggetti terzi quanto alle operazioni realizzate all’interno dello stesso gruppo per modificare gli assetti di governance»41. Peraltro, si deve osservare che tale condivisibile opinione era già stata espressa da Assonime nella circolare 12 aprile 2007, n. 20, nonché dall’Associazione italiana dei Dottori Commercialisti nella Norma di comportamento n. 170/2002. Infatti, le due autorevoli associazioni, anche sulla base di taluni chiarimenti giurisprudenziali elaborati dalla Corte di Giustizia UE – in particolare, nella sentenza «Leur Bloem» citata – avevano già avuto modo di osservare che il regime di neutralità fiscale delineato dal comma 2 dell’art. 177 del TUIR, si applica indifferentemente sia alle operazioni di scambio che attuino un’aggregazione di imprese precedentemente indipendenti sia alle operazioni poste all’interno dello stesso gruppo, come nel caso di specie oggetto della risoluzione n. 57/200742. Ne consegue quindi che il regime di neutralità deve potersi applicare, al ricorrere delle condizioni previste dalla legge, anche quando lo scambio azionario avviene all’interno dello stesso gruppo, in costanza di compagine azionaria, determinando solamente un mutamento del rapporto di controllo. Così come evidenziato dall’Associazione italiana Dottori Commercialisti nella Norma n. 170 citata infatti «il contenuto della norma dettata dall’art. 177, comma 2, cit. non permette interpretazioni limitative della sua applicabilità ai soli casi in cui vi sia assenza di rapporti partecipativi fra soggetti conferenti e società conferitaria, co-

nella quale è stato chiarito che «a maggiore precisazione di quanto espresso con le risoluzioni n. 57/E del 22 marzo 2007 e n. 446/E del 18 novembre 2008 si ritiene che l’operazione di scambio di partecipazioni mediante conferimento (…) costituisce oggetto di un’apposita e “speciale” disciplina tributaria in virtù della sua matrice comunitaria e del suo carattere “riorganizzativo” (i.e. consentire ad una società di acquisire – ovvero incrementare in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario – il controllo di un’altra società) (...). Ne deriva, pertanto, che il regime disciplinato dal più volte nominato art. 177, comma 2, è posto su un piano di pari dignità con la disciplina di cui all’art. 9 del TUIR rispetto alla quale trova applicazione alternativa, in presenza dei presupposti di legge». Secondo alcuni Autori – cfr. P. Meneghetti, L. Miele, Ok agli scambi di quote infragruppo, in Il Sole 24 Ore del 26 luglio 2010, Norme e Tributi, p. 3 – tale ultima affermazione «consente di non considerare elusive tout court determinate operazioni». 41 Cfr. circ. n. 33/2010 cit. 42 In particolare, l’Assonime nella circ. n. 20/2007 a giustificazione della propria tesi ha richiamato il punto 6 della massima della sentenza «Leur Bloem», cit., nel quale i giudici comunitari hanno ritenuto che «la circostanza che una stessa persona fisica che era l’unico azionista ed amministratore delle società acquistate diventi l’unico azionista e amministratore della società acquirente non osta a che l’operazione di cui trattasi possa essere qualificata come fusione per scambio di azioni».


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sicché detta norma deve ritenersi applicabile anche ai casi in cui, fra i primi e la seconda anche anteriormente al conferimento, esistono rapporti di partecipazione diretti o indiretti siano essi di minoranza oppure di controllo». A ciò si aggiunga che, come chiarito nella sentenza «Leur Bloem» citata, un’interpretazione della norma (come a nostro giudizio quella operata nella risoluzione n. 57/2007) in commento che escluda in maniera automatica alcune categorie di operazioni dall’agevolazione fiscale a prescindere dal sussistere di un’effettiva evasione o frode fiscale sarebbe sproporzionata. La risoluzione n. 57/2007, ma anche la risoluzione n. 446/2008, non convincevano appieno neanche per quanto riguarda la valutazione della sussistenza delle valide ragioni economiche: infatti, la circostanza che il conferimento delle partecipazioni nella holding avrebbe consentito una più efficiente gestione dei rapporti inter-familiari, senza il necessario coinvolgimento di soggetti estranei alla famiglia stessa, nonché un più efficace esercizio dell’attività di direzione e coordinamento della società operativa, non è stata neanche presa in considerazione dall’Amministrazione finanziaria43. Era stata trascurata anche la circostanza – a nostro avviso invece di fondamentale importanza – che proprio la scelta riorganizzativa voluta dal contribuente, finalizzata come visto all’acquisizione da parte della holding di famiglia del controllo di diritto della società operativa Beta S.p.a., dovrebbe costituire per sé una valida ragione economica, in quanto volta ad una migliore e più efficiente organizzazione di tutta la struttura del gruppo, così come espresso anche dalla dottrina: «le ragioni economiche sono intimamente innestate nella scelta riorganizzativa mediante lo scambio di azioni che, per qualità e quantità consentono di modificare la catena partecipativa mediante l’innesto di un nuovo soggetto in posizione di controllo»44. 10.4

L’utilizzo della holding nelle operazioni di riorganizzazione societaria Nel presente paragrafo descriveremo alcuni esempi pratici di pianificazione fiscale finalizzati alla riorganizzazione societaria che coinvolgono una o più società holding, analizzandone i principali vantaggi45 e gli aspetti di eventuale elusività.

43 Tra l’altro, l’Amministrazione finanziaria non sembra avere a sufficienza argomentato la circostanza per cui a suo giudizio il controllo, anche prima del conferimento, era riconducibile di fatto congiuntamente ai quattro fratelli. 44 Cfr. in dottrina M. Beghin, Scambi azionari domestici, interpretazione restrittiva, giurisprudenza comunitaria e «Fisco-legislatore», in Riv. Dir. Trib., 2009, Parte II, pp. 84 ss. 45 Alcune delle principali variabili strategiche di tipo fiscale delle operazioni di M&A sono state evidenziate da A. Furlan in Aspetti strategici di fiscalità nelle operazioni di M&A, in Fiscalità Internazionale, gennaio-febbraio 2010, pp. 7 ss., e marzo-aprile 2010, pp. 117 ss.


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10.4.1 Costituzione di una holding in Italia da parte di soci non residenti

In tale ipotesi (v. tavola 10.2), la società LLC cinese (individualmente o unitamente ad altri soggetti) ha deciso di riorganizzare il proprio assetto operativo, mediante la costituzione della società Holding Italia, all’interno della quale vengono fatte confluire le partecipazioni detenute in società operative italiane e non. La costituzione della società Holding Italia è funzionale al coordinamento e alla razionalizzazione delle risorse che si rende necessaria all’interno di un gruppo societario ramificato; inoltre, consente la fruizione dei benefici fiscali riconosciuti dalla normativa italiana, nonché dalla normativa comunitaria, circa la tassazione dei dividendi e degli interessi e delle royalties. La società Holding Italia, qualora ceda in tutto o in parte le partecipazioni detenute, potrà beneficiare della participation exemption e, al ricorrere delle condizioni previste, potrà esercitare l’opzione per il Consolidato fiscale nazionale con ITA1, ovvero mondiale con UE1 e UE2. Qualora nell’esempio proposto la holding non fosse italiana ma ad esempio Tavola 10.2

LLC Cina

PLC Usa

Holding Italia

ITA 1

UE 1

UE 2

francese, il pagamento di interessi e delle royalties da parte di ITA1 a favore della stessa holding sarebbe considerato potenzialmente elusivo, ai sensi della lett. fter dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, dal momento che i soci della holding non sono soggetti comunitari. Inoltre, sempre ipotizzando che la società holding sia francese la distribuzione dei dividendi effettuata da ITA1 beneficia della c.d. direttiva «madre-figlia» solamente a condizione che si dimostri che la holding


10. L’ELUSIONE FISCALE CONNESSA ALL’UTILIZZO DELLA HOLDING

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non detenga la partecipazione allo scopo esclusivo o principale di beneficiare del regime in esame (cfr., comma 4 dell’art. 27-bis del D.P.R. n. 600/1973). Con particolare riferimento al pagamento degli interessi, riteniamo corretto ritenere che, nel caso in cui sia soddisfatto il requisito in base al quale la holding francese sia l’effettivo beneficiario degli interessi ricevuti, non dovrebbe applicarsi la disposizione antielusiva contenuta nella lett. f-ter) citata. Infatti, sulla base della condivisibile interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria46, la norma antielusiva pare riguardare unicamente le situazioni in cui si sia proceduto artatamente a trasferire il finanziamento da un soggetto extra-UE ad un soggetto UE, controllato direttamente o indirettamente dal primo, affinché quest’ultimo benefici delle esenzioni da imposizione dei proventi percepiti. Per quanto riguarda il pagamento dei dividendi da ITA1 alla holding francese, in buona sostanza si dovrà dimostrare che quest’ultima sia la beneficiaria effettiva degli stessi e che, pertanto, ha la piena e incondizionata disponibilità economica e giuridica dei dividendi stessi. In altri termini, la holding francese deve avere il diritto incondizionato a beneficiare nonché a godere direttamente dei dividendi percepiti, potendo liberamente decidere se distribuire, in tutto o in parte, ovvero reinvestire, i dividendi percepiti47. Riteniamo utile ricordare che le direttive interessi e royalties e madre-figlia potrebbero trovare applicazione anche nel caso in cui gli interessi e le royalties, ovvero i dividendi, fossero corrisposti ad una società svizzera che detiene partecipazioni in una società italiana: infatti, l’art. 1548 dell’Accordo fiscale concluso il

46 Nella circolare ministeriale n. 47/2005 citata, intervenuta a commento del regime fiscale applicabile al pagamento degli interessi e delle royalties tra società consociate di Stati membri diversi, al par. 3, è stato chiarito che «la norma [ossia la lett. f-ter dell’art. 37-bis] si riferisce, in concreto, alle ipotesi in cui gli effettivi beneficiari di pagamenti di interessi e canoni siano residenti in uno Stato non appartenente all’Unione Europea e intendano strumentalmente far transitare le operazioni da cui derivano detti pagamenti per uno Stato membro al solo scopo di fruire del regime di esenzione e, quindi, al fine di sottrarsi all’applicazione della tassazione ordinaria che gli stessi avrebbero subito qualora tali pagamenti fossero ad essi corrisposti direttamente». 47 Cfr. in dottrina, F. Avella, Antiabuso e direttive Madre-Figlia e interessi-royalties, in Elusione ed abuso, cit., pp. 339 ss., nonché le slides discusse a Milano il 16 ottobre 2006, nell’ambito degli incontri di diritto tributario internazionale organizzati dalla sezione italiana dell’IFA, da P. Braccioni e R.A. Papotti relative all’attuazione della direttiva interessi e royalties. Per un’analisi delle disposizioni previste dalla tale direttiva, cfr., in dottrina M. Gusmeroli, Triangular Cases and the Interest and Royalties Directive: Untying the Gordian Knot?, Part 1, 2, 3, in European Taxation, gennaio-marzo 2005 (rispettivamente pp. 2 e ss., pp. 39 e ss., 86 e ss.), nonché S. Grilli, R.A. Papotti, Considerazioni critiche in merito al recepimento in Italia della cd. direttiva Interessi e Royalties, in Riv. Dir. Trib., n. 6/2009, pp. 69 ss.. 48 Tale articolo prevede che i dividendi corrisposti dalla società «figlia» alla società «madre» non sono soggetti a ritenuta fiscale nello Stato della fonte qualora: i) una delle due società abbia la residenza fiscale in uno Stato membro UE e l’altra società in Svizzera;


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26 ottobre 2004 tra la Comunità Europea e la Confederazione Elvetica ha di fatto esteso anche alle società elvetiche l’applicazione di misure equivalenti a quelle previste dalle direttive sopra citate49. Sull’applicabilità di tale Accordo tra l’Unione Europea – in particolare, l’Italia – e la Svizzera è intervenuta l’Amministrazione finanziaria con la risoluzione ministeriale 10 maggio 2007, n. 93/E, nella quale con particolare riferimento ai dividendi è stato chiarito, probabilmente in maniera eccessivamente rigida e pragmatica, che l’ambito soggettivo dell’art. 15 citato non può essere esteso alle società elvetiche che, anche se non totalmente esenti da imposizione, siano beneficiarie

ii) nessuna delle due società abbia la residenza fiscale in uno Stato terzo sulla base di una Convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi stipulata con tale Stato terzo; iii) la società «madre» detenga direttamente almeno il 25% del capitale della società «figlia» per un minimo di due anni; iv) entrambe le società siano assoggettate, senza fruire di regimi di esonero, all’imposta sul reddito delle società; v) entrambe le società abbiano la forma giuridica di una società di capitali. Tali requisiti sono stati in sostanza previsti anche nel caso di pagamenti di interessi e royalties effettuati tra società consociate, o loro stabili organizzazioni; evidenziamo solamente che al fine di godere della non applicazione della ritenuta nello Stato della fonte, tali società devono essere collegate da una partecipazione diretta minima pari al 25% per almeno due anni, ovvero devono essere entrambe detenute da una terza società che detiene direttamente almeno il 25 % del capitale, tanto della prima quanto della seconda società, per un minimo di due anni. 49 Per un commento dell’art. 15 dell’Accordo, cfr. in dottrina, P. Bernasconi, Cooperazione svizzera in material fiscale: novità storiche negli accordi bilaterali bis con l’Unione Europea, in Dir. Prat. Trib. Internaz., n. 2/2005, pp. 379 ss.; G. Cervino e G. Bacelli, A margine della direttiva sul risparmio: la direttiva sugli interessi e le royalties ed il nuovo trattamento dei dividendi e le implicazioni per le imprese svizzere, disponibile sul sito www.cinfis.com; D. Fuxa, Accordo Svizzera-Ue sui dividendi infragruppo, in FiscoNelMondo.it;. S. Mayr, Il nuovo regime fiscale dei dividendi tra l’Italia e la Svizzera, in Boll. Trib., n. 12/2005, pp. 927 ss.; S. Mayr, Dividendi leggeri anche in Svizzera, in Il Sole 24 Ore del 23 giugno 2005; E. Mignarri, L’attuazione in Svizzera della direttiva sulla fiscalità del risparmio, in Il Fisco, n. 35/2005, pp. 5469 ss.; E. Mignarri, Italia-Svizzera: intesa sullo scambio di informazioni in attuazione dell’accordo sulla tassazione dei redditi da risparmio, in Il Fisco, n. 42/2005, pp. 6556 ss.; G. Pirola, «Madri-figlie», operativo l’accordo Ue-Svizzera, in Il Sole 24 Ore del 14 ottobre 2006; G. Rolle, Svizzera e Italia fanno i conti con il patto europeo sui dividendi, in Il Sole 24 Ore del 23 ottobre 2005. Con riferimento alla dottrina estera, cfr. H. R. Hull, The EC Parent-Subsidiary Directive in Switzerland – Swiss Outbound Dividends, in Bulletin For International Taxation, n. 2/2005, pp. 63 ss.; H. R. Hull, Switzerland and European Union – Tax Treatment of Intra-group Cross-border Dividends, in Bulletin For International Taxation, n. 2/2006, pp. 73 ss; M.R. Jung, Art. 15 of the Switzerland – EC Savings Tax Agreement: Measures Equivalent to Those in the EC Parent-Subsidiary and the Interest and Royalties Directives. A Swiss Perspective, in European Taxation, n. 3/2006, pp. 112 ss; X. Oberson, Agreement Between Switzerland and the European Union on the Taxation of Savings – A Balanced «Compromis Helvétique», in Bulletin For International Taxation, n. 3/2005, pp. 108 ss.: M. Voch, KESt-Abzug bei Zahlung von Konzerndividenden in die Schweiz, in Steuer und Wirtschaft International, 4/2007, pp. 171 ss.


10. L’ELUSIONE FISCALE CONNESSA ALL’UTILIZZO DELLA HOLDING

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di esenzioni ad almeno uno dei tre livelli (municipale, cantonale e federale) di tassazione diretta sul reddito. In altri termini, secondo questa interpretazione ministeriale, le società elvetiche che intendano beneficiare del regime previsto dalla direttiva madre-figlia, non devono godere – in applicazione di disposizioni di legge o anche per effetto di provvedimenti amministrativi, come ad esempio nel caso di ruling – di particolari regimi agevolativi consistenti nell’esenzione dei redditi da uno dei tre livelli di tassazione diretta (municipale, cantonale e federale)50. 10.4.2 Costituzione di una holding Società europea

La società holding potrebbe essere utilizzata, come ad esempio nel caso delle società assicurative Allianz AG e RAS, anche per dare luogo ad una Società europea (SE), essendo la costituzione della holding una delle modalità attraverso cui dar vita ad una SE51 (v. tavola 10.3). Al riguardo, per un approfondimento delle disposizioni esistenti nei singoli ordinamenti europei che permettono la costituzione di una SE, si rimanda allo studio predisposto dall’International Bureau of Fiscal Documentation nel settembre del 2003, rubricato Survey on the Societas Europea. Dalla lettura di tale documento emerge che tra gli Stati comunitari solamente il Belgio non sembra aver adottato correttamente le disposizioni della direttiva 90/434/CEE che di fatto consentono la formazione di una SE holding.

50 Per una lettura critica della risoluzione n. 93/2007, cfr. in dottrina, F. Avella, Il regime tributario dei dividendi distribuiti a società residenti nel territorio della Confederazione Elvetica», in Riv. Dir. Trib., 2007, Parte V, pp. 195 ss:; l’Autore è dell’avviso che la circostanza per cui la società elvetica non deve beneficiare di esenzioni non dovrebbe essere riferita ad un solo livello di tassazione, «poiché questo non terrebbe nella debita considerazione il fatto che l’imposizione sui redditi in Svizzera è inscindibilmente articolata su tre livelli, e porterebbe a negare i benefici dell’Accordo anche nei casi di mera riduzione del carico impositivo equiparabili ad esenzioni parziali. Pertanto, si ritiene che la verifica circa la sussistenza di eventuali esenzioni debba essere condotta in termini complessivi, considerando le tre imposte federale, cantonale e municipale come un’unica imposta; in caso contrario, l’interpretazione dell’Accordo potrebbe rilevarsi in contrasto con il suo stesso scopo di introdurre misure equivalenti a quelle previste dalla direttiva Madre-Figlia». 51 L’art. 2 del regolamento CE del Consiglio dell’8 ottobre 2001, n. 2157/2001, relativo allo statuto della Società Europea, prevede quattro modalità di costituzione di una SE: mediante fusione, mediante la costituzione di una SE holding, mediante la costituzione di una SE affiliata e mediante la trasformazione di una SE. La fusione tra società di Stati membri diversi costituisce quindi una delle modalità attraverso cui costituire una SE; posto che non tutti gli Stati membri ammettono dal punto di vista civilistico l’istituto della fusione transnazionale (come, ad esempio, per certi versi il Belgio e l’Olanda) riteniamo utile segnalare la sentenza della Corte di Giustizia del 13 dicembre 2005, C-411/03, relativa al caso «Sevic AG». Inoltre, per un approfondimento della disciplina della SE si rimanda in dottrina a F. Pocar, U. Draetta, La società europea, Milano, 2002.


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IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING

Tavola 10.3

S.p.a. Italia

LTDC GB

SE Holding

10.4.3 Costituzione di una holding italiana in operazioni di conferimento

Si ipotizzi la situazione ante-conferimento illustrata nella tavola 10.4. LLC costituisce una NewCo Holding in Italia a cui conferisce il ramo d’azienda. Successivamente, il ramo d’azienda viene conferito nella società italiana NewCo 2. Tavola 10.4

Situazione ante-conferimento NewCo HOLDING Italia

LLC USA Ramo d’azienda

Situazione post-conferimento 1 LLC USA

100 %

NewCo HOLDING Italia

Situazione post-conferimento 2 LLC USA

100 %

NewCo HOLDING Italia

100 % NewCo 2 HOLDING Italia


10. L’ELUSIONE FISCALE CONNESSA ALL’UTILIZZO DELLA HOLDING

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In tale ipotesi, la società LLC statunitense conferisce un ramo d’azienda a NewCo Holding, ottenendo in cambio del conferimento stesso delle partecipazioni in tale società; a sua volta, NewCo Holding conferisce tale ramo nella società NewCo 2, ottenendo in cambio del conferimento stesso delle partecipazioni in tale società. L’operazione di conferimento, sempre che sia sorretta da valide ragioni economiche, risulta idonea a favorire l’ingresso di LLC nel mercato italiano, mediante l’acquisizione di partecipazioni nella società NewCo 2. La convenienza fiscale della seconda operazione di conferimento consiste, al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 176 del TUIR, nell’applicazione del regime della neutralità fiscale; tra l’altro, tale neutralità potrebbe trovare applicazione anche nel primo conferimento, qualora il ramo d’azienda sia situato in Italia (cfr. il comma 2 dell’art. 176 del TUIR). NewCo 2 potrebbe riallineare, mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva, i valori fiscali a quelli di bilancio relativamente ai beni materiali e immateriali contenuti all’interno del ramo di azienda conferito, consentendo in tal modo il c.d. step-up (rivalutazione) delle attività. Per il tramite di NewCo Holding il soggetto statunitense potrebbe acquisire anche altre pacchetti azionari; tra l’altro, il conferimento da parte di NewCo Holding del ramo d’azienda alla società NewCo 2 potrebbe essere finalizzato all’esercizio da parte della holding stessa di un’esclusiva attività di assunzione di partecipazione. 10.4.4 Creazione di una sub-holding UE per acquisire una società target noncomunitaria

In questo caso (v. tavola 10.5), la società holding italiana costituisce una subholding in un Paese UE al fine di acquisire una società target non comunitaria; la sub-holding potrebbe essere finanziata, ovvero essere capitalizzata dalla stessa holding italiana a seguito di un finanziamento da questa ricevuto. Uno dei vantaggi dell’operazione è rappresentato dall’ottimizzazione fiscale del flusso dei dividendi ricevuti dalla holding italiana, dal momento che questi potrebbero beneficiare, al ricorrere delle condizioni ivi previste, della direttiva «madre-figlia». Si potrebbe ipotizzare che la holding italiana conferisca un credito di finanziamento ad una società finanziaria UE, a seguito del quale la prima partecipa la seconda; assumendo che tale società finanziaria abbia una sostanza economica reale e che l’operazione sia supportata da valide ragioni economiche, da detto conferimento potrebbero derivare indubbi vantaggi di natura fiscale.


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IL REGIME FISCALE DELLE SOCIETÀ HOLDING

Tavola 10.5

NewCo HOLDING Italia

dividendi

credito

SUB-HOLDING UE

TARGET Extra-UE

Società finanziaria UE


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