LA RESIDENZA FISCALE DELLE PERSONE FISICHE. ALCUNE RIFLESSIONI
di Ignazio La Candia
La nostra Costituzione (art. 53) dispone che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, estendendo la giurisdizione statuale in materia tributaria anche nei confronti di quanti, pur privi della cittadinanza italiana, si pongono in un rapporto di connessione con il territorio italiano divenendo fruitori dei pubblici servizi ai quali dovranno contribuire. Ne deriva quale corollario che il nostro ordinamento non può indirizzare la propria potestà impositiva verso soggetti non residenti in relazione a redditi o beni esteri.
Come disposto dall’art. 2 del TUIR, l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) si applica sul reddito complessivo del soggetto composto: − per i residenti, da tutti i redditi prodotti in Italia e all’estero (principio del world-wide income taxation); − per i non residenti, soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato (principio della territorialità). In particolare, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni, ovvero 184 giorni, nel caso di anno bisestile) siano in possesso di uno dei seguenti requisiti (cfr. C.M. del 2 dicembre 1997, n. 304/E): − iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione residente; − domicilio nel territorio dello Stato ex art. 43 c.c.; − residenza nel territorio dello Stato ex art. 43 c.c.. Iscrizione all’anagrafe della popolazione residente Con specifico riferimento all’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, è previsto l’obbligo in capo ad ogni cittadino di chiedere, per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, l’iscrizione all’anagrafe del Comune di dimora abituale. L’assenza temporanea dal Comune di dimora abituale non produce effetti sul riconoscimento della residenza. L’iscrizione all’anagrafe è un atto dovuto quando l’individuo ha il domicilio o la residenza in un determinato Comune. Sul punto, la dottrina ha affermato il carattere oggettivo e formalistico dell'iscrizione all’anagrafe, reputata condizione di per sé da sola sufficiente a far acquisire la residenza agli effetti tributari. La tesi, pur non unanimemente condivisa dalla giurisprudenza di merito, ha ricevuto di recente un'autorevole conferma dalla Corte di Cassazione (Cassazione n. 9319/2006). La Suprema Corte ha, infatti, chiarito che l’iscrizione costituisce "un dato preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini dell'individuazione del soggetto passivo d'imposta, diversamente da quanto avviene ai fini civilistici ove le risultanze anagrafiche sono invece concordemente considerate idonee unicamente a dar luogo a presunzioni relative superabili, come tali, da prova contraria".
Parte della dottrina ha, peraltro, prospettato l’incostituzionalità del criterio dell’iscrizione anagrafica per violazione dell’articolo 53 della Costituzione, perché inidoneo ex se ad esprimere la reale capacità