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Perché il genocidio armeno resta un tabù Erol Özkoray

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Perché il genocidio armeno resta un tabù

Erol Özkoray

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La prima volta che sentii parlare del genocidio armeno fu negli anni Settanta, quando vivevo a Parigi. La domanda perfettamente logica che mi feci, e che espressi in alcuni scritti, era la seguente: se la repubblica turca si basa sul rifiuto dell'impero ottomano, perché il genocidio armeno del 1915 non viene addebitato agli ottomani? Perché la Turchia si assume la responsabilità di questa tragedia orribile, che è stato il primo genocidio del ventesimo secolo? Nella mia carriera di giornalista questa domanda è sempre rimasta in primo piano.

Io sono noto come il giornalista che ha scritto sull'ASALA, la famosa organizzazione terroristica armena, durante la prima metà degli anni Ottanta. Ero socialista, ma ero anche fermamente contrario al terrorismo, e i miei articoli causarono un deterioramento delle relazioni fra la Turchia e il governo socialista di François Mitterrand, del quale ero un convinto sostenitore.

La mia famiglia e i miei amici sono stati colpiti duramente dall'ASALA. Il padre del mio amico Nazan Erez, l'ambasciatore turco in Francia Ismail Erez, è stato ucciso a Parigi. Un altro mio amico, Gökberk Ergenekon, è stato ferito a Roma. Il mio nome è stato sulla lista nera dell'ASALA, e ne è stato tolto soltanto dopo il mio incontro con Patrick Devedjian, all'epoca legale dell'organizzazione terroristica e oggi rispettabile esponente politico gollista. Nel 1982 non credevo che gli Armeni fossero stati vittime di in genocidio, ma al tempo stesso rifiutavo il negazionismo ufficiale. Mio cugino Sitki Sencer è rimasto coinvolto nell'attacco dell'ASALA all'aereporto Esenboga di Ankara ed è stato colpito otto volte dalla polizia (si è salvato per miracolo), mentre mia madre e le sue sorelle, anch'esse sul luogo del fatto, sono rimaste illese per puro caso. Insomma, mi sono occupato della questione armena per 35 anni e ho anche sofferto a causa di questa, quindi credo di avere il diritto di scrivere quello che state per leggere.

Partiamo dall'inizio. Via via che leggevo e mi documentavo, appariva sempre più chiaro che la mia domanda iniziale - perchè non incolpare del genocidio gli ottomani - era priva di senso per almeno tre motivi. Il primo riguarda Mustafa Kemal. Come sappiamo, il fondatore della Turchia non fu coinvolto nel genocidio, dato che all'epoca era impegnato sul fronte di Gallipoli, dove si stava guadagnando quella fama di leader che avrebbe fatto di lui il fondatore della Turchia.

Comunque il fatto che il genocidio fosse stato già realizzato gli tornò molto utile, perché il nuovo stato repubblicano che voleva costruire era un paese per turchi. Nel suo disegno nazionalista non c'era posto per gli altri. Quindi l'Anatolia doveva essere "depurata" da tutti gli elementi cristiani e stranieri (Armeni, Assiri, Greci e Kurdi). Per sradicare le loro basi culturali, sociali ed economiche vennero realizzati sette genocidi. In Anatolia non rimase neanche un cristiano. Riuscirono a resistere soltanto i Kurdi, nonostante i quattro genocidi che erano stati programmati per cancellarli. Tutti coloro che vivono in Turchia dovrebbero rispettarli per la loro lotta coraggiosa. Gli stermini di massa dei repubblicani, quindi, erano eredi diretti di quelli realizzati sotto l'impero ottomano. In un secolo queste terre sono state teatro di dieci genocidi. Fra i fondatori della Turchia c'erano alcuni di quelli che li avevano programmati e realizzati.

Veniamo al secondo motivo. La continuità fra l'impero e la repubblica viene confermata dal fatto che i beni confiscati agli Armeni fornirono un sostegno economico decisivo alla guerra d'indipendenza. Le armi e gli aiuti economici ricevuti da Lenin non sarebbero bastati. Le ricchezze confiscate alle vittime del genocidio furono utilizzate per comprare armi e per organizzare un esercito. In questo modo si formò la nuova classe sociale che avrebbe dato vita alla repubblica.

Eccoci infine al terzo motivo. Gli esecutori materiali del genocidio (in altre parole, quelli con le mani sporche di sangue) aderirono alla struttura politica e amministrativa del nuovo stato. Acquistarono la propria rispettabilità finanziando la guerra d'indipendenza col denaro confiscato agli 1 8

Armeni. Mustafa Kemal non voleva sapere niente del loro passato. Basti pensare a Mustafa Abdülhalik Renda (presidente dell'Assemblea nazionale), Ali Cenani Bey (Ministro dell'Industria), Rü tü Aras (Ministro degli Esteri). Anche qui la continuità col periodo ottomano era evidente. I responsabili del genocidio furono i mattoni coi quali Mustafa Kemal costruì la repubblica turca.

I tre motivi che ho appena esposto spiegano perché il genocidio rimane un tabù, tanto che qualsiasi riferimento a questo scatena spesso reazioni isteriche. Altrimenti sarebbe stato facile chiamarsi fuori e scaricare la colpa sul regime ottomano. Lo studioso che ha messo in luce tutto questo è Taner Akçam. I suoi libri hanno avuto una forte influenza sugli intellettuali turchi. La tesi ufficiale afferma che la repubblica è stata fondata dopo una guerra antimperialista, ma in realtà la guerra d'indipendenza fu combattuta contro i Greci, e non contro la Francia o la Gran Bretagna, che erano le potenze imperialiste dell'epoca. La verità è un'altra: la repubblica è stata fondata sul genocidio degli Armeni. La storia che ci è stata raccontata è un enorme castello di falsità. È questo che spiega perché parlare di genocidio armeno scatena un trauma intollerabile. Insomma, la situazione è più complessa di quanto affermano certi intellettuali, secondo i quali sarebbe soltanto lo stato a negare il genocidio.

Parlare del riconoscimento del genocidio significa mettere in discussione tutto: la repubblica, il kemalismo, l'ideologia ufficiale, coloro che hanno fondato e governato la repubblica, il suo sistema politico, universitario, giudiziario, etc. Un carico di questa portata scoraggia e terrorizza chiunque. Soprattutto nel regime criptofascista che domina la Turchia oggi. Il governo islamista attuale non ha la forza necessaria per gestire una situazione così delicata. Gli accordi conclusi fra la Turchia e l'Armenia sono inutili, perché Erdo an li trasforma in carta straccia poche ore dopo averli firmati.

La Turchia, nella sua struttura attuale, rifiuterà qualsiasi soluzione, perché non ne esiste una che possa accettare. Il problema - come gli altri problemi del paese - potrà essere risolto soltanto da uno statista di grande rilievo intellettuale, un uomo che abbia fatto propria l'essenza della democrazia, che sia capace di cambiare radicalmente l'opinione pubblica. Sono obiettivi troppo grandi per le persone mediocri che governano la Turchia oggi. Abbiamo bisogno di figure come François Mitterrand, Salvador Allende, Felipe Gonzales. In altre parole, abbiamo bisogno di grandi uomini.

La nona arte racconta i genocidi

Buona parte delle iniziative editoriali realizzate per il centenario del genocidio armeno è costituita da libri che ripercorrono la tragedia e da testimonianze dei sopravvissuti. Fra le poche eccezioni spicca Operation Nemesis: A Story of Story of Genocide and Revenge, un volume a fumetti che merita molta attenzione. Inconsueto è anche il tema: l'opera racconta la storia poco nota di Soghomon Tehlirian, il sopravvissuto che uccise Talaat Pasha, il vero architetto dello sterminio dove erano morte 1.500.000 persone. L'o micidio, che avvenne a Berlino nel 1921, era stato organizzato con molta cura: "Operazione Nemesis" era il nome dell'iniziativa ideata da alcuni me mbri della diaspora armena. Tehlirian fu processato, ma assolto. Il volume (Devil’s Due, 2015) è stato realizzato da Josh Blaylock (testo), Hoyt Silva (disegni) e Greg & Fake Studio (colori). In questo modo la nona arte conferma la crescente attenzione per le tragedie più o meno note che hanno segnato la storia di popoli, minoranze e comunità religiose. Altre opere dedicate al genocidio armeno sono Medz Yeghern, il grande male (Hazard Edizioni, 2007), interamente realizzato dal giovane disegnatore friulano Paolo Cossi, Le cahier à fleurs, di Laurent Galandon e Viviane Nicaise (Bamboo, 2010) e Varto, di Gorune Aprikian e Stéphane Torossian (Steinkis, 2015). Alla Shoah sono dedicati Auschwitz, di Pascal Croci (Emmanuel Proust, 2002), e il celebre Maus di Art Spiegelman (Einaudi, 2010). In Quaderni ucraini. Memorie dai tempi dell'URSS (Mondadori, 2010) Igort rievoca l'holodomor, il genocidio per fame che costò la vita a molti milioni di ucraini. Centomila giornate di preghiera (Coconino Press, 2013), di Michaël Sterckeman e Loo Hui Phang, ricorda il genocidio dei popoli cambogiani attuato dal regime comunista di Pol Pot. Rupert Bazambanza, sopravvissuto alla tragedia ruandese, la racconta in Smile through the Tears (Soul Asylum Poetry, 2004). Ovvia mente si tratta di una lista incompleta.

Giovanna Marconi

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