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Quando essere kurdo era un reato Giovanna Marconi

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Quando essere kurdo era un reato

Giovanna Marconi

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La storia del cinema si è incrociata più volte con le rivendicazioni delle minoranze e dei popoli indigeni. Non ci riferiamo ai festival militanti o di nicchia, ma alle manifestazioni di rilievo mondiale che difficilmente vengono associate a temi come questi.

Il 27 marzo 1973, quando si tiene la quarantecinquesima edizione degli Oscar, uno dei premiati è assente. Marlon Brando, che dovrebbe ricevere la statuetta per il ruolo d i protagonista nel film Il padrino, ha mandato al proprio posto Sacheen Littlefeather, un'indiana che ha partecipato all'occupazione di Alcatraz (20 novembre 1969-11 giugno 1971). La donna legge un testo dove Brando dice che rifiuta il premio per protestare contro la politica americana nei confronti degli Indiani. In precedenza l'attore ha già manifestato il proprio appoggio alla causa amerindiana.

Nove anni dopo, il 26 maggio 1982, il trentacinquesimo festival di Cannes premia ex aequo due film: Missing, diretto da Costa Gavras, e Yol (La strada), realizzato da Yilmaz Güney. Se si esclude qualche cinefilo, il pubblico ignora chi sia questo regista kurdo proveniente dalla Turchia (quindi presentato come turco). In effetti questo signore di quarantacinque anni è un regista molto diverso da quelli che solitamente ricevono il prestigioso Academy Award.

Yilmaz Güney (al secolo Y lmaz Pütün) nasce nel 1937 nei pressi di Adana, l'antica Antiochia di Cilicia, da una famiglia kurda. Dopo aver studiato diritto ed economia nelle università di Ankara e Istanbul entra nel mondo del cinema. Prima lavora come assistente di Atif Yilmaz, poi come attore, diventando uno dei più noti del tempo. Nel 1960 l'esercito depone il governo di Adnan Menderes e instaura la dittatura. Oppositori e minoranze, soprattutto se di sinistra, vengono perseguitati in modo spietato. Güney, marxista convinto, viene condannato a 18 mesi di prigione per il romanzo Boynu bükük öldüler (Morti col collo piegato), dal quale emergono chiaramente le sue idee politiche.

L'esordio nella regia avviene nel 1966 con At, avrat, silah (Uomo, donna, pistola). Güney si impone subito per la critica radicale nei confronti del potere. La questione kurda non ha ancora ottenuto visibilità internazionale e la censura colpisce ogni riferimento alla diversità culturale, ma i suoi film contengono dei particolari che non lasciano dubbi. In Seyyit han (La sposa della terra, 1968) la protagonista ha un nome kurdo, Keje: il film viene considerato il primo che presenta personaggi kurdi. Lo stesso avviene in Umut (Speranza, 1980), anche se questa alterità culturale non viene manifestata apertamente. Il film viene apprezzato da Elia Kazan, che lo definisce "un film poetico, del tutto autoctono e non un'imitiazione di Hollywood o di nessun grande regista europeo".

Arrestato ancora nel 1972, in prigione scrive dei copioni che poi vengono diretti da altri. Nel 1981 evade e ripara in Francia. Premiato a Cannes nel 1982, Güney muore a Parigi due anni dopo per un male incurabile.

L'ascesa del cinema kurdo

La storia del cinema kurdo inizia nel 1926 con Zare, girato in Armenia da Hamo Beknazarian. Il paese fa parte dell’URSS e la censura vieta ogni riferimento alla cultura kurda. Per vedere un film girato in kurdo bisogna aspettare Un canto per Beko (1992), di Nizamettin Aric, anche questo girato in Armenia ma con produzione tedesca. La svolta definitiva si verifica nel 2000 grazie a due registi kurdi iraniani, Samira Makhmalbaf (Lavagne) e Bahman Ghobadi (Il tempo dei cavalli ubriachi), entrambi premiati a Cannes. Ghobadi consolida il successo con Marooned in Iraq (2002), Turtles Can Fly (2004) e Half Moon (2006). I suoi film trattano con toni più o meno politici i problemi kurdi. Il più recente è A Flag without a Country (2015), che si svolge fra la Siria e l’Irak. Ambientato fra i Kurdi che vivono in Turchia è La canzone perduta (2014), di Erol Mintas. Festival del cinema kurdo si tengono in molte città: da Londra a Melbourne, da Pordenone a Vienna.

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