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DIECI SECOLI DI FERRO Al primo colpo di sciabola degli arabi tutto crolla per sempre Da una sponda all’altra del Grande Mare Interno, che non divide ma unisce, «arditi navigatori partono, portando con sé gli dei della città di origine, alla ricerca di nuove terre dove fondare colonie, nelle quali si innalzano templi».1 Per la Calabria sono invasioni di popoli diversi, attratti dalle imponenti foreste di pini, querce e castagni d’alto fusto e dalla pece silana che utilizzano per le loro navi. Con le armi, a prezzo di sconvolgimenti brutali e di devastazioni gli invasori si appropriano della trinità mediterranea: le messi di grano biondeggianti al sole e le colture millenarie della vite e dell’ulivo. Inglobano, assimilano e respingono verso l’interno le popolazioni che si sottomettono a sovrani lontani. I bruzi sono incapaci di resistere agli attacchi che provengono dal mare, al crollo delle fortificazioni, agli incendi, ai massacri, ai saccheggi dei loro villaggi. Sono contaminazioni di culture diverse, è l’incontro-scontro tra Oriente e Occidente che segna, definitivamente, la Calabria. Qui, nella Lunga terra delle carte nautiche saracene, un’estesa quanto fragile e inerme frontiera, da allora «i miti si amalgamano e le religioni si integrano in un solo tessuto, che è poi quello della storia della stessa civiltà della regione» (Corrado Alvaro). Segni di civiltà che si svelano o si nascondono nei modi di vivere diversi dei calabresi, nei loro straordinari volti, a volte grecanici, a volte saraceni, ma anche normanni o arbëreshë. Nel mutare della lingua e delle tradizioni accomunate da una fervente religiosità, le piccole città e i villaggi della Calabria, dove la feudalità non è mai scomparsa, hanno tanti avvenimenti, sulle complesse vicende della difesa costiera, da richiamare a blasone di nobiltà. Dal IX al XIX secolo la regione subisce il flagello delle scorrerie musulmane. Nel corso di questi dieci secoli di ferro, come li ha definiti Emilio Barillaro, sottili galee saracene e legni turchi e barbareschi che inalberano prima le verdi bandiere del Profeta e poi i rossi vessilli con la mezzaluna, portano dall’azzurro intenso del Mediterraneo lutti e rovine sulle coste degli infedeli cristiani. «Al primo colpo di sciabola
degli arabi tutto crolla per sempre: lingua e pensiero greco, inquadramenti occidentali, tutto va in fumo. È come se mille anni di storia non ci fossero stati».2 Dall’813 sulle meravigliose spiagge, baie e alte scogliere del bruzio, dalle galee lunghe quasi quaranta metri e larghe più di sei, a uno o due alberi a vele latine, con 25 o 30 banchi di remi da ciascun lato per la voga, sbarcano, stendardi al vento, cavalieri e truppe musulmane. Dal 1535 l’appellativo di saraceni segnerà anche i turchi ed i barbareschi, che continuano le imprese dei loro predecessori, fino alla loro ultima incursione di cui si ha notizia in Calabria del 1842, qualche anno prima della definitiva occupazione francese dell’Algeria, il principale stato corsaro sotto la sovranità ottomana. La presenza navale difensiva sui mari della Calabria è sconosciuta, le guarnigioni delle fortificazioni costiere sono scarse di uomini e male armate, hanno la disponibilità il più delle volte di un solo cannone ma di polvere e palle neanche a parlarne. Avvistato il nemico, militi, torrieri e cavallari, limitano la loro azione a quella di avviso del pericolo imminente agli abitanti, affinché si affrettino a raggiungere rifugi più sicuri sulle montagne. I calabresi abbandonano alle ciurme corsare tutto quello che non possono portare appresso. «Le grandi partite del presente sono state spesso giocate, vinte o perdute, nel passato» e le incursioni saracene, turche e barbaresche «costituiscono di certo uno dei molti condizionamenti negativi nella storia del Sud» (Atanasio Mozzillo). Una pressione continua e paralizzante che il Mezzogiorno d’Italia ha subito per la sua contiguità con l’Africa settentrionale, il Sud dei balcani e il vicino Oriente che hanno fatto per mille anni della Calabria una prima linea tra Cristianità e Islam e hanno determinato le diversità degli «spazi minuti, frammentati e mai ricomposti delle piccole patrie» di una regione «di perenne frontiera economico-sociale, dove spesso la quotidiana battaglia per la sopravvivenza è combattuta e persa a vantaggio dell’abbandono». Jean-Marie Roland de la Platiére alle prese con filibustieri, castelli e torri costiere tra le Bocche di Capri e lo stretto di Messina osservava che non basta qualche affusto issato su queste fortificazioni o un drappello di soldati pur animosi «pour redonner de l’âme à un peuple u abattu».
a sinistra STIGNANO RC Torre di San Fili (XIV-XV secolo) 5
DA BAGHDAD A GIBILTERRA UNA SOLA FEDE E UNA SOLA LINGUA
Nel bruzio si elevano, fin quasi a toccare il cielo, torri costiere e arroccati castelli Dopo lo sfaldamento dell’impero romano d’Occidente, le acque del Mare Nostrum non sono più presidiate e la pirateria riprende vigore. Gli imperiali d’Oriente, i bizantini, più di altri, danno vita a scorrerie, assaltano in mare aperto navi indifese e pescatori. Prendono schiavi anche sulle coste bruzie, uomini e donne sono relegati in catene nella Nuova Roma, Costantinopoli, per essere venduti agli arabi che li conducono nelle loro terre. La Lunga terra accoglie ondate di eremiti in fuga da tutto l’Oriente invaso dagli arabi e il bruzio si avvia a diventare un vero avamposto bizantino, e a riacquistare una propria vocazione mediterranea. Le montagne, ignote alla scarsa popolazione nascosta in piccoli borghi, diventano il rifugio degli eremiti e a Reggio, la città più popolata della Calabria e sentinella sullo Stretto, nel 732-733 sono ricostruite le mura di difesa.3 La regione diventa la propaggine occidentale dell’impero d’Oriente (330-1453) che avvia la sua bizantinizzazione ecclesiale, culturale, politica ed economica con l’accresciuta presenza di monaci della spiritualità Orientale che costruiscono nuovi monasteri e divulgano lingua e cultura greca. Dal VII secolo, provenienti dai deserti del vicino Oriente, i grandi nomadi arabi fanno vacillare le difese dell’impero d’Oriente. Nel 711 occupano la Spagna e nell’827 gli aġlabiti dell’Africa settentrionale avviano la guerra di conquista della Sicilia bizantina. Devastano con le loro scorrerie le coste italiane e francesi, impongono da Baghdad a Gibilterra la loro fede e la loro lingua. La penisola calabrese è il teatro di tante battaglie e il baluardo di difesa cristiano. Comincia il lungo conflitto mediterraneo musulmano-cristiano, è «notte multisecolare» (Fernand Braudel) e nella Lunga terra bruzia quanti «ebbero forze e mezzi, diedersi a costruire de’ nuovi paesi in fondo a que’ burroni, o su que’ monti, e tra que’ boschi che nelle luttuose emergenze erano serviti loro di rifugio».4 a pagina 7, da sinistra a destra
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CALOPEZZATI CS Castello feudale (XIV-XV-XVII-XVIII secolo) PIZZO VV Castello aragonese (1486)
Comincia la guerra santa dei saraceni che al grido di Allah akbarr (Allah è grande) si rivolgono contro i ricchi paesi di al-rum (bizantini), al-naşrānīī (romani cristianizzati) e al-nukubard (longobardi), un’incubo che caratterizzerà vite e identità di una lunga sequela di generazioni calabresi. A presidio delle città antichissime greche e romane, nelle selve aspre e selvagge alle pendici di maestose montagne, sulla sommità dei colli prossimi ai settecento chilometri dei litorali dello Jonio e del Tirreno e all’interno della regione, si elevano, fin quasi a toccare il cielo, torri costiere e arroccati castelli. I longobardi da parte loro per l’atteggiamento inerte degli imperiali d’Oriente, impongono rapidamente il proprio dominio sulle terre bruzie nord-occidentali. Privi di una flotta, gli uomini dalle lunghe barbe si interessano in misura minore della zona costiera, preferendo la parte interna del cosentino, caratterizzata da rilievi ricchi di boschi, tra il fiume Crati e il Tirreno, con all’apice meridionale Témesa, prima che la città svanisse fisicamente dalla storia e dalla geografia a causa di una delle prime devastanti incursioni saracene. La conquista delle terre soggette ai bizantini è discontinua, i longobardi non arrivano al completo controllo dell’intero territorio bruzio in progressivo disfacimento civile ed economico. Nel corso del lungo periodo di presenza longobarda (568-774) la regione è divisa in due zone dalle diverse influenze politiche, una meridionale di lingua e cultura greca con capitale Reggio, avamposto di Costantinopoli sullo Stretto e porta d’accesso bizantina alla regione, l’altra settentrionale, di lingua e cultura latina per l’influsso esercitato da Roma, con capitale Consentia (Cosenza). Le guerre incessanti tra bizantini e longobardi e il persistere delle incursioni saracene non permettono ai contendenti di fissare con precisione un confine militare, culturale, linguistico, che spesso è artificioso e mutevole. Nel bruzio il popolo longobardo mantiene vivo lo spirito della stirpe, la coscienza delle proprie origini, e le popolazioni calabresi assoggettate sono lasciate a se stesse, con gli usi sociali, giuridici e religiosi tollerati, in un dualismo etnico che determina l’isolamento dei conquistatori provenienti dal Nord. La vita quotidiana dei longobardi vede CIRÒ KR Castello (XIV-XVI secolo) GIOIOSA JONICA RC Castello feudale (XIV secolo) ARENA VV Castello normanno (XI-XIII-XIV-XV secolo)
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di lingua greca6, l’altro quarto è di lingua latina (bruzi, longobardi), araba (saraceni) e orientale (armeni, ebrei, bulgari, slavi). «[…] Vivono così gli uni presso gli altri e si trovano in continue relazioni popolazioni di tutte le razze e di tutte le religioni del mondo mediterraneo […]».7 I nuovi kastron bizantini, piccoli borghi fortificati con palizzate di legno e alte mura, sono adagiati lungo ripidi pendii come a Morano dove le piccole case bianche addossate le une alle altre in lunga schiera «[…] precipitano come una cascata lungo il fianco di una collina a cono, che domina il paesaggio» (Norman Douglas). Numerosi sottopassi e archi si aprono tra strade strettissime in pietra che conducono a piccoli slarghi su cui si affacciano dalle loro posizioni elevate castelli, monasteri e abbazie.8 Nella piazza del villaggio insieme ai piccoli funzionari bizantini qualche volta si intravede un proprietario terriero che riveste un’alta carica come quella di arconte.9 Sulla scenografica mesa di Santa Severina nella bellissima piazza del Campo si vanno a fronteggiare i due poteri, quello religioso e bizantino con il battistero di San Giovanni Battista (VIII-IX secolo) che si contrappone a quello civile e latino della nuova
MORANO CS Castello normanno 10
costruzione fortificata realizzata da Roberto il Guiscardo nel 1076.10 Nessuno dei due poteri, civile e religioso, latino e bizantino, cede all’altro. Tra i vicoli stretti e tortuosi del kastron si affacciano umili e anonime maestranze di artigiani che sono la struttura portante, con i contadini, della società calabrese. Sono decoratori, orefici, stuccatori, incisori, intagliatori del legno, tagliapietre, tessitori, tintori, follatori, manganatori, maestri d’ascia, calafati, cannabari delle navi. Tutti nobilitano con la loro paziente opera chiese e edifici d’ogni genere. La necessità di trovare rapidamente un sicuro rifugio in caso di pericolo, costringe la popolazione a vivere e lavorare la terra nei pressi delle colline dove sorgono i kastron. La grande proprietà è rappresentata dalla Chiesa e dai suoi monasteri, all’impero rimangono le masse silane, tropeana e nicoterana. L’assetto bizantino dei villaggi fa capo al chorìon, l’unione delle famiglie piccole possidenti a tutela degli interessi comuni. Tutta la vita sociale è organizzata in funzione del gruppo. Gli abitanti dei kastron-chorion sono contadini, sfruttano insieme i corsi d’acqua, le foreste, i pascoli naturali, provvedono alla costruzione delle strade e all’ordinamento di
campi, confini, boschi, pascoli, corsi d’acqua, al legnatico. Sono cittadini-soldati, formano sparute milizie locali di difesa e quando sopraggiunge un distaccamento militare bizantino per dar loro man forte sono costretti a collaborare al loro approvvigionamento. Don Nicola Ferrante, un sacerdote reggino, che da anni studia i santi italo-greci ci descrive come vivono le popolazioni bruzie: «i sacerdoti, con le loro famiglie, sono elementi vitali del tessuto sociale. La vita spirituale produce un’attenta vita sociale, accettabile ed adeguata ai tempi. Il lavoro è tenuto in debito conto, grazie anche ai monaci per i quali è meglio morire che elemosinare; è pure tenuta in onore l’osservanza delle leggi, delle usanze locali e il rispetto dell’autorità».11 Il 10 giugno del 901 il cielo estivo è velato dal carico di sabbia portato dallo scirocco, il vento del Sud, il giorno si fa notte e il figlio dell’emiro d’Africa, il giovane ’Abd Allâh, punta su Reggio che capitola dopo un’accanita resistenza. Sono oltre diciassettemila i reggini che cadono sotto i colpi delle scimitarre.12 I saraceni non risparmiano neanche le donne, i vecchi ed i bambini che insieme ai sacerdoti si trovano a pregare nella loro cattedrale.
SANTA SEVERINA KR Piazza del Campo
SANTA SEVERINA KR Castello normanno 11
LA GRANDE ORA DI COSENZA NELLA STORIA EUROPEA
Nel 902, il padre di ’Abd Allâh, l’emiro aġlabita Ibrâhîm ibn Ahmad, indossate le insegne del comando, barracano nero, anelli e collana d’oro, con le bandiere nere al vento, si avvia con il suo potente esercito di 30000 uomini (Ludovico Antonio Muratori) a porre fine alla millenaria storia di Roma ed al cristianesimo. L’emiro, detto Brachìmo, un autentico fenomeno di crudeltà, varca lo Stretto il 3 settembre e si spinge profondamente in Calabria con il dichiarato proposito di farne una conquista stabile e definitiva per lanciarsi in una lunga campagna contro i rûmi della Lunga terra. Gli obiettivi di Ibrâhîm sono Reggio, Cosenza, Napoli, Roma e infine Costantinopoli. Saccheggiate e messe a ferro e a fuoco le capitali della cristianità occidentale e della religiosità orientale, i guerrieri di Allâh avrebbero poi venerato la tomba di Muhàmmad.
REGGIO CALABRIA 12
Sbarcato nel bruzio, conquista Reggio e prosegue sulla strada che lo conduce alla sede apostolica. Le popolazioni calabresi sono atterrite per la sinistra fama del capo saraceno e fuggono sui monti. Nella rocca bruzia13 sul colle Pancrazio, i cosentini si apprestano all’assedio di Ibrâhîm ibn Ahmad14, si avvicina «la grande ora nella storia di Cosenza, che oppone le sue mura all’assalto africano» (Nicola Cilento). I bruzi sono determinati a non lasciare la città in mani musulmane15, Ibrâhîm e il suo esercito trovano deserte le vie e i villaggi lungo il tragitto verso la città e la superbia lo induce a crederla abbandonata al facile saccheggio delle sue truppe che vogliono innalzare la mezzaluna sul Campidoglio e sulla grande cupola di Santa Sofia. Tutti i militi di Costantinopoli16 e la popolazione cosentina sono decisi a difendere la città dagli assalti musulmani, evitano di uscire incontro alle truppe di Ibrâhîm, aspettano i saraceni e trasformano la città in una sola fortezza. Non «vi è casa che non è convertita in
rocca; né giardino murato che non è mutato in cittadella».17 Ibrâhîm investe Cosenza con un gran numero di uomini e di mezzi, inizia l’epica difesa dei cosentini che avrebbe dato alla capitale dei bruzi un posto di primissimo piano nella «grande storia europea».18 Ibrâhîm ibn Ahmad comanda personalmente l’attacco, i cosentini, riportano le cronache arabe del tempo, non arretrano di fronte agli attacchi delle truppe aġlabite. Alla difesa ad oltranza partecipano le donne e anche chi non sa maneggiare le armi, nel dedalo di stretti vicoli del borgo bruzio lanciano massi e versano olio bollente sugli assalitori. Da ogni casa piomba sulla moltitudine di armati saraceni «spaventevolmente la morte».19 La capitale dei bruzi subisce violenze inaudite e le stesse devastazioni che erano già toccate a Reggio ma Ibrâhîm è costretto ad accamparsi sulle rive del fiume Crati. Nel corso dell’assedio incominciano a giungere nel campo saraceno ambasciatori di altre città. La speranza è
di poter fermare i musulmani con trattative e versamenti di tributi, ma l’emiro si rifiuta di accogliere le richieste di tregua. Ricevuti gli ambasciatori, dopo diversi giorni, senza nemmeno ascoltarli, Ibrâhîm li umilia confermando che delle popolazioni rûmi avrebbe fatto quel che più gli fosse piaciuto e ordina loro di tornarsene subito ai luoghi di provenienza. Nessuno è in grado di resistere alle forze saracene e Napoli, Roma e Costantinopoli avrebbero presto conosciuto la spada dell’Islam. In tutta l’Italia meridionale si rafforzano le fortificazioni, si concentrano riserve di viveri e d’acqua, mentre i beni preziosi sono nascosti in luoghi sicuri. Le popolazioni della Lunga terra vivono giorni di terrore. La notte del 18 ottobre è vista nel cielo di Napoli un’insolita pioggia di stelle cadenti.20 I saraceni serrano l’assedio alla città fortificata, con grossi mangani attaccano le sue mura e si apprestano a sferrare i primi assalti. Ibrâhîm, abituato a non trovare ostacoli sul suo cammino, è preso dalla rabbia per il nuovo eccidio dei
COSENZA Castello normanno-svevo
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VIVONO GLI UNI PRESSO GLI ALTRI E SI TROVANO IN CONTINUE RELAZIONI POPOLAZIONI DI TUTTE LE RAZZE E DI TUTTE LE RELIGIONI
Non manca il coraggio ai manipoli di normanni che discendono nei piccoli centri abitati della Calabria dove si parla greco, latino e arabo. Le prime azioni degli uomini del Nordd si incastrano nelle dispute tra longobardi, bizantini e musulmani, nel cui gioco intanto si inseriscono anche le ragioni del papato. I signorotti locali, poveri economicamente e deboli sotto l’aspetto militare, sono sempre in lotta tra di loro e con i principati longobardi o l’impero bizantino. Nelle avanguardie dei cavalieri normanni che sopraggiungono in Calabria nella prima metà dell’XI secolo vi è il desiderio innato di stabilirsi in contrade che non sono barbare. I primi cadetti di Normandia che cercano fortuna nel bruzio incitano altri a partire. Sono esaltati dai racconti che celebrano le terre delle civiltà magnogreca e della spiritualità Orientale, attratti anche dal clima mite e da grano, vite, ulivo. Le schiere di guerrieri sono seguite da uomini di cultura dall’intenso desiderio di nuove conoscenze che trovano un sistema amministrativo calabro-greco «senza precedenti, con un apparato burocratico articolato e composto di funzionari specializzati, da una superba tecnica militare, da un elaborato ordinamento giuridico, da un sistema economico e finanziario altamente sviluppato».33 I musulmani dei territori bruzi non sono solo conquistatori, ma anche amministratori abili ed esperti, la loro presenza è un immane sacrificio, ma anche «irradiazione, accumulazione di beni culturali, eredità di intelligenza».34 Per la Calabria è un periodo di stabilità, ma gli studiosi si disperdono e quanto gli antichi avevano scoperto è dimenticato e le conoscenze dovute al genio dei greci scompaiono.35 È un incontro-scontro tra culture diverse, tra l’Oriente bizantino e arabo e l’Occidente latino, e porta, nel 1051, allo scisma tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli. La conquista sistematica della Calabria da parte dei normanni dura circa dodici anni dal 1048 al 1061 quando tutta la regione è nelle loro mani. Inizia un periodo di pace e di tolleranza e l’imposizione di un forte model-
lo feudale.36 Le azioni di Roberto il Guiscardo (m. 1085) e del fratello Ruggero I il Normanno, sono facilitate dall’inerzia delle forze bizantine. «I normanni erano profondamente religiosi; e dopo il primo scontro nella guerra di conquista con l’elemento greco, si accorsero che quella perfetta organizzazione burocratica e, ancor più quel culto, con l’impressionante rito e con quelle profonde e misteriose icone, toccava pure il loro cuore cristiano. Così furono generosissimi con i latini; ma non vollero dimenticare i greci. Ricostruirono alcuni monasteri di questi, già abbandonati a motivo degli arabi, e altri ne fondarono completamente nuovi».37 Ruggero I, «un conte che era quasi un re»38, «coraggioso e prudente al tempo stesso, abile e ponderato, dinamico e riflessivo, e lungimirante» (Goffredo Malaterra), riesce a limitare la nefasta azione saracena. Prepara sul Poro a Mileto la crociata normanna per porre fine all’olocausto siciliano (Gaetano Rizzo Nervo) e costringe gli arabi a lasciare la Sicilia (1060-1091). La politica normanna aspira alla costituzione di uno stato multirazziale dove possono convivere pacificamente etnie, culture e tradizioni diverse. Nasce «una civiltà composita, differente da
RUGGERO I IL NORMANNO (1040-1101) 18
ogni altra; araba nell’organizzazione, normanna per la compagine militare, bizantina per la cultura e per la lingua».39 Coesistono in Calabria la religione cattolica secondo i riti greco e latino e quella islamica. «[…] Amicizia, anzi qualche volta stima, non erano infrequenti fra arabi e cristiani».40 Ruggero I, il gran conte degli uomini del Nord, d coperto dalla dalmàtica araba, si circonda di franchi, latini, greci, longobardi e saraceni che «non dovevano sentirsi stranieri o percepire prevaricazioni dall’una o dall’altra etnia, bensì, secondo il progetto di Ruggero, dovevano sentirsi popoli di una stessa patria» (Hamel). Ai piedi di castelli feudali, città greche, villaggi musulmani, colonie longobarde, con le strade occupate da pisani, genovesi, amalfitani e al suono delle campane e delle cantilene dei muezzin sui minareti, si incrociano persone vestite con il mantello e il turbante musulmano, la maglia di ferro normanna, la lunga tunica greca e il corto saio italiano. Con Ruggero I si concludono gli anni eroici e tumultuosi della lotta di conquista normanna, si gettano le basi di una civiltà che solo pochi anni dopo sarebbe divenuta «la più raffinata
SAN MARCO ARGENTANO CS Torre di Dragone il Normanno (1055)
e la più colta di tutta l’Europa cristiana» (De Stefano). Lascia suo erede il figlio in minore età Ruggero II. La reggenza è assunta dalla vedova Adelaide e il saraceno Tamîn riprende le scorrerie sulle coste della Lunga terra, per procurarsi bottino e schiavi. Gli attacchi delle squadre di pirati, spesso di notevole entità numerica per uomini e navi, si intensificano d’estate per i raccolti. A causa delle incursioni si riprende a costruire torri di guardia e di difesa in molti punti del litorale. Ruggero II, re di Sicilia, Calabria e Puglia, ama la Calabria, culla della sua stirpe, pilastro della sua potenza. È un politico ostinato e determinato, capace di parlare e di farsi ascoltare anche dai suoi nemici dichiarati: il pontefice e gli imperatori germanico e bizantino. Domina i suoi vassalli, crea un governo accentrato ed emana nuove leggi. Promuove l’arte, la letteratura e la scienza. Quando scompare, lascia uno stato che è quasi un impero per l’ampiezza delle conquiste territoriali. La sua avventura è continuata dal nipote Federico II di Svevia che conduce all’apogeo il grande progetto normanno.41 «Sotto l’eccelso Federico d’Hohenstaufen,
RUGGERO II, RE DI SICILIA CALABRIA E PUGLIA 19
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GUAI A CHI REGGE E MAL REGGE
Il declino inesorabile delle terre bruzie Durante il periodo angioino (1266-1442) prevale in Calabria una sopravvivenza faticosa ed una progressiva decadenza, con la ricomparsa dei saraceni e della pirateria che riesplode in tutto il Mediterraneo. Insidiosi e sanguinari, i pirati, pur operando isolati, sono protetti dai vari emiri barbareschi delle coste tripoline, tunisine, algerine e spagnole. Il predominio francese sull’Italia Meridionale è ostacolato dagli aragonesi. Il Mediterraneo occidentale è continuamente solcato dai legni delle due flotte che si fronteggiano anche sulla terra ferma con i soldati delle due fazioni in lotta che vigilano sulle coste. I pirati musulmani sono costretti a limitare le loro azioni per non farsi sorprendere dai contendenti cristiani. La guerra tra angioini ed aragonesi è alternata da periodi di stasi e la Calabria è lo scenario preferito di scontri e saccheggi. Il declino delle terre bruzie è inesorabile, strette tra un governo centrale oppressivo, lo strapotere dei baroni e le incursioni di pirati e corsari musulmani.43 San Francesco di Paola nella lettera scritta nel 1447 al suo influente amico Simeone dell’Alimena gli fa presente che «un gentil uomo napoletano, contatore dei fuochi della Provincia […] è persona fastidiosa, senza alcuna discrezione […] tal uomo senza ragione e carità saria l’ultima rovina […] di tutte le povere altre Terre del nostro paese». Il grande santo taumaturgo che raggiungerà in Francia Luigi XI per cercare di salvare l’Europa cattolica dal possente attacco musulmano, conclude il suo scritto affermando che i «[…] ministeri dello Stato regio, non l’empietà, quale continuamente usano contro povere persone, vedove, pupilli, stroppiati e simili persone miserabili, quali di ragione devono essere esenti di ogni gravezza. Guai a chi regge e mal regge, alli ministri delli Tiranni e alle Tirannie, guai alli Ministri della Giustizia, che li è ordinato far giustizia e loro fanno tutto altro!». I saraceni riprendono a solcare implacabili i mari per attaccare i villaggi delle coste e l’interno della Lunga terra. Le loro scorribande costringono le sparute popolazioni dei litorali
BAGNARA RC Torre di Capo Rocchi (XIV secolo)
ad abbandonare le marine per rifugiarsi sulle alture dell’entroterra. Gli ultimi campi ancora coltivati nelle pianure prospicienti lo Jonio e il Tirreno sono abbandonati e in breve tempo si trasformano in acquitrini malarici. Continua incessantemente per i calabresi il terrore, le scorrerie musulmane sono ritenute una fatale calamità, insopprimibile. L’esistenza delle popolazioni bruzie è monotona, scandita dal ritmo dei raccolti e delle festività religiose. Un vasto impegno nella realizzazione di opere di difesa si andrà amplificando con il passare degli anni per la recrudescenza degli attacchi. Nei centri abitati non distanti dal mare si continua ad elevare torri, mura di cinta ben fortificate e castelli. Alle prime fortificazioni realizzate da greci, romani, bizantini e normanni si aggiungono quelle costruite isolatamente da feudatari e religiosi.
SAN FRANCESCO DI PAOLA 23
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L’IMPERO DEI TURCHI Le imbarcazioni di pirati saraceni e cristiani islamizzati imperversano sulle coste calabresi e determinano l’assenza di rapporti tra le città e la stagnazione dell’economia. Dalla caduta di Costantinopoli in mani turche la minaccia giunge anche da Levante e le incursioni musulmane in Calabria si intensificano. Nel Mare Nostrum, come i romani chiamavano il Mediterraneo, non si contano più gli scontri spietati tra gli alnasrânî, î i cristiani, e i musulmani. Enea Silvio Piccolomini il 25 settembre del 1453 afferma che «padroni dell’universo furono già gli itali, ora ha inizio l’impero dei turchi». La storia della Calabria s’intreccia sempre più profondamente con quella dell’espansione turca in Occidente contrastata dagli aragonesi (1435-1503). La difesa dei rûmi è frammentaria e contraddittoria e la cronaca delle incursioni si infittisce di battaglie cruente, di personaggi leggendari avvolti dal mito. Storie di pirati e corsari, di uomini così lontani e diversi, di avventure come quelle di Khair ad-Din, il più celebrato corsaro dell’impero turco. Altri se ne aggiungono, con personalità dai contorni più incerti come Torghoud raìs Dragut, il terrore del Tirreno, un pirata tanto feroce che la sola pronuncia del suo nome faceva gelare il sangue ai marinai non solo cristiani. I ricorrenti contrasti per il predominio tra le nazioni cristiane, funestano e dividono l’Europa. Gli aragonesi dilaniati da estenuanti lotte intestine e dinastiche, da spietati antagonismi e da cupe congiure nobiliari, sono costretti a realizzare altre opere a carattere militare. Il 1492 è l’anno di Cristoforo Colombo. Nel viaggio alla scoperta del Nuovo Mondo, assieme al genovese c’è il marinero Anton Calabròs, di origine calabrese. Gli spagnoli sono i primi a navigare sulle rotte oceaniche tracciate dal grande navigatore con le sue tre caravelle e giungono in Spagna i primi quantitativi di tesori predati dai conquistadores. L’apporto di oro dal Nuovo Mondo non risolve i problemi finanziari aragonesi e lo scarso denaro disponibile in Calabria è drenato dal fisco per alimentare gli eserciti e le flotte di Madrid. Gli emiri d’Africa stabiliscono accordi e inte-
se con i raìs delle sottili galeotte da guerra a un solo albero, che salpano in continuazione dai porti barbareschi a caccia di prede, sospinte dalle vele e dai remi, con circa 60 uomini a bordo. Il passaggio dei predoni saraceni per i mari della Calabria è una calamità improvvisa. Le coste sono senza protezione e bisogna fortificarle. Gli aragonesi, con ordinanza del 12 novembre 1480 decretano la fortificazione di diversi luoghi: «ad evitanda pericula, quae evenire possent propter invasionem turcarum, quicumque eorum classe Regnum hoc nostrum invaserunt».44 I giovani presi nel corso delle incursioni di pirati e corsari, quando non muoiono di stenti, continuano a conoscere le catene legati ai remi delle galere turche o diventano schiavi e sono venduti nei mercati di Tunisi e Algeri. Gli emiri sono sempre felicissimi di inviare appositi salvacondotti ai rûmi incaricati di riscattare, con denaro o con mercanzie, gli sventurati finiti in catene. Ogni chiesa della Calabria, a volte con pochi grani, contribuisce alle spese per portare sollievo ai fratelli sofferenti nei bagni. Gli ordini religiosi si adoperano per la liberazione dei captivi (schiavi) che si trovano nelle mani dei turchi. Sono pochi i fortunati che giungono alla libertà dopo il pagamento di un riscatto. Molti cristiani sono affrancati dopo quindici anni e più di schiavitù, altri decidono di farsi musulmani e alcuni diventano famosi generali ottomani. Khair ad-Din, detto il Barbarossa, conclude con il sultano di Tunisi un accordo: in cambio di un decimo del bottino le galee del pirata trovano sicuro rifugio in quel porto. Il commercio cristiano comincia a subire perdite considerevoli, ed i barbareschi dettano legge sul Mediterraneo che da quel momento diventa lago musulmano. La mattina del 28 agosto 1511, una flotta di sessanta imbarcazioni agli ordini del Barbarossa, accosta nella rada di Calamizzi. Le case e le chiese di Reggio sono incendiate e distrutte dopo che Khair ad-Din le ha spogliate di ogni cosa. Al termine del saccheggio il pirata e la sua ciurma, caricano le navi di tutti i beni depredati e dei prigionieri, riprendendo il largo indisturbati. Solimano I il Magnifico (1520-1566), gran sultano di Costantinopoli, la principale città turca, ma anche la principale città greca, armena ed ebraica, nomina Khair ad-Din suo beylebey, governatore delle province del Nord Africa con-
ROCCA IMPERIALE CS Castello svevo (1255) alle pagine 24 e 25 RICADI VV Il borgo di torre Marino e lo Stromboli
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del vento, sia l’intenzione del loro comandante che si seppe essere il famoso Barbarossa, quel numeroso naviglio si spinse al lido di Cariati […]».51 «[…] Messo a terra gran numero di quei corsari, aggredirono la città […]»52 cinta da mura, e domata la resistenza dei più valorosi, Cariati è saccheggiata ed arsa dalle truppe turche, «[…] ciò che produsse una generale costernazione».53 La popolazione con il suo vescovo Giovanni Carmuto rapito «praeteritis mensibus a Turcis»54, è tratta prigioniera sulle galere turche e condotta schiava ad Algeri. «[…] Quando doppo alcuni anni (tra il 1554 e il 156055) ritornò non picciola parte dei cittadini di Cariate, li quali dianzi erano stati schiavi, si parlava quasi comunemente in lingua turchesca».56 Per circa trent’anni, dal 1538 al 1565, i turchi non hanno rivali sul mare e le coste delle terre cristiane restano esposte alle crocere delle flotte corsare e di quelle imperiali. La paura delle incursioni e di incrociare navi turche e barbaresche continua a condizionare duramente la vita delle popolazioni calabresi e dei mercanti che sono presenti nella regione. In un contratto per la consegna della tonnina pescata presso la torre di Acconìa, stipulato in Tropea il 27 febbraio
CARIATI CS a sinistra 3!. .)#/,! !2#%,,! #3 Torre aragonese di Porto San Nicola O DEL 3ARACINO 86) SECOLO
1553, è stabilito di detrarre l’eventuale perdita a causa di furti di turchi o di corsari.57 Con l’affermarsi dell’impero ottomano, i pirati barbareschi diventano l’avanguardia armata dell’Islam sul Grande Mare Interno. Algeri, Tripoli e Tunisi, legate agli ottomani da vassallaggio, determinano «una influenza sociale ed economica di enorme importanza sui paesi latini, e in special modo sull’Italia meridionale».58 Sono gli stessi europei a dare un apporto essenziale allo sviluppo ed alla conduzione delle flotte ottomane. La guerra di corsa dei barbareschi è alimentata dall’afflusso costante nelle tre reggenze di cristiani convertiti all’islamismo. La feudalità laica ed ecclesiastica e il controllo spagnolo incidono profondamente nella vita della Calabria e costringono a servitù personali disumane. Non vi è attività esente da dazi e gabelle opprimenti. Il coefficiente della pazienza umana è abbondantemente superato. Tommaso Campanella, il frate domenicano filosofo e poeta, autore di opere capaci di «una vibrazione di sentimenti, una sincerità di passioni che invano cercheremo sotto le preziosità accademiche dei suoi contemporanei»59, denuncia la triste situazione dei calabresi che vivono «faticando, solo
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pone la Calabria alla mercé di barbareschi e turchi che la utilizzano, per la sua posizione centrale nel Mediterraneo, come testa di ponte per le loro incursioni sulle coste italiane. È la parte più vulnerabile dello scacchiere spagnolo e subisce i danni maggiori. Delle terre bruzie turchi e barbareschi conoscono anse, correnti, litorali, cale, il soffiare del vento. Le coste sono soggette alle incursioni, e le campagne ed i villaggi bruzi scontano forti tributi di uomini e cose. La paura incombe sulle popolazioni e basta la comparsa di una sola fusta sospetta per scatenare il panico e spingere le popolazioni a prendere la via dei boschi. La minaccia continua sovrasta le coscienze e determina il presente e il futuro stesso della regione. Non si conosce l’obiettivo prescelto da pirati e corsari, sono ignoti l’entità dei loro mezzi e il numero degli uomini a disposizione per i saccheggi, non si capiscono le motivazioni della frequenza degli attacchi contro una stessa città. Tutti i calabresi sanno che in un qualunque giorno della buona stagione possono giungere dal mare lutti e devastazioni. Il terrore causato dagli attacchi turcheschi è utilizzato dagli spagnoli per perpetuare la servitù volontaria delle popolazioni calabresi alle
REGGIO CALABRIA Castello aragonese (XI-XIV-XV-XVI secolo) 34
classi feudali. Per contrastare i musulmani e perseguire gli obiettivi di occupazione, gli spagnoli ritengono necessario rendere più forte la loro legittimazione. Lo stato non ha i mezzi per proteggere autonomamente le coste e la compattezza etnica e religiosa diventa funzionale alla vittoria sulla forma sociale alternativa rappresentata dagli ottomani. La lotta con i turchi si presta benissimo ad essere utilizzata per giustificare l’assetto politico dominante. È una contrapposizione frontale tra due identità e due fedi. Senza la partecipazione della popolazione è impossibile organizzare una capillare difesa, subalterna agli interessi della corona spagnola.61 Con la collaborazione dei ceti più elevati, il controllo iberico si estende capillarmente sulle comunità bruzie. Contro le incursioni terrestri dei turchi sono mobilitati tutti i cittadini dei villaggi che diventano contadini-soldati: «che tutti e ciascheduna persona delle Terre e luoghi del nostro Stato, et abitanti di essi da 15 anni ad alto e da 60 a basso, debbono star provvisti di armi, palle, polvere e miccia e pronti ad attendere alla difesa della Patria, e debbano ad ogni avviso di campana allarmi e tocco di tamburo uscire armati».
I racconti dei captivi, riscattati o fuggiti da Algeri, Tripoli, Tunisi, parlano delle libertà e delle ricchezze di queste città sospese tra il mare e il cielo. Si parla di sogno turco62, una immagine, a volte esagerata, che si va formando nei ceti popolari. È la speranza di una Turchia terra di maggiore libertà e tolleranza, di una diversa distribuzione delle opportunità di elevazione sociale, di una vita inattesa, cercata in un regno precluso, quello ottomano. Il termine turco non è inteso in senso etnico, ma politico. L’imposizione del modello spagnolo ed i rancori per le ingiustizie subite, generano sentimenti di resistenza che arrivano a vedere nel musulmano non un nemico, ma un possibile alleato. «Se il calabrese ha il senso dell’autorità come un fatto irrazionale e indiscutibile, sa tuttavia che si tratta sempre di un’autorità di uomini» (Corrado Alvaro) e la missione difensiva assegnata alla Calabria fallisce per le continue diserzioni che creano connivenze con i turchi. I cavallari delle torri costiere non avvertono i soldati spagnoli dell’apparire di flottiglie sospette. I servi si rivoltano ai feudatari e si collegano ai musulmani, attendono alle marine il passaggio di navi corsare per farsi
imbarcare. La folta presenza di schiavi italiani nei bagni dell’Africa settentrionale, consente ai capi turcheschi di parlare correntemente i dialetti delle regioni di provenienza dalla Lunga terra. Tra turchi e calabresi s’intrecciano trattative, si stabiliscono legami e strette intese. Delatori indigeni e altri calabresi diventati schiavi che hanno deciso di vivere nei territori della mezzaluna, offrono le notizie necessarie ai corsari per conoscere nei particolari avvenimenti, circostanze e luoghi utili alle loro azioni di saccheggio. Altri compiacenti informatori locali sono spinti da odi e invidie e dalla promessa di aiuto da parte dei turchi per le vendette o di protezione delle loro proprietà e delle loro famiglie. Turchi e barbareschi annidati nei pressi delle coste, sanno cosa e chi colpire. Le preziose informazioni riguardano i luoghi dove sono nascosti le derrate di grano, olive, orzo, segala, granturco, miglio, ceci, le chiese da depredare e le persone facoltose da rapire in grado di pagare forti somme di denaro per il riscatto. Come tanti altri calabresi, stretti dalla morsa dei due schemi contrapposti del potere politico e militare del tempo, cattolico e musulmano, spa-
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gnolo e turco, il trentenne marinaio calabrese Marco Antonio de Scioia63 e Tiberio Rosso di Bonifati64, fuggono dal mondo feudale65 e se ne vanno a Tunisi per diventare giannizzeri. Per Achille Riggio le azioni dei rinnegati che «guidano e capeggiano le spedizioni barbaresche» sono la «testimonianza dell’odio di classe e dello spirito di vendetta» che anima i calabresi contro la crudele tirannia, come la definisce Edmondo Infantino. «[…} La corsa barbaresca, per la Calabria, assume la forma di guerra di classe»66, in una lunga convivenza di tolleranza reciproca tra calabresi e turchi. La presenza negli stati barbareschi di molti islamizzati, rende maggiormente guardinghi la Chiesa, il governo spagnolo e i feudatari terrieri che vigilano attentamente sulle possibili collusioni con i musulmani che rischiano di sovvertire l’ordine costituito e l’intero sistema di difesa. Turchi e spagnoli trovano la loro stessa ragion d’essere nell’urto reciproco, uno scontro tra civiltà che non è altro che incomprensione, disprezzo ed esecrazione degli altri.67 Dentro la piccola cerchia delle mura dei villaggi calabresi nasce la diffidenza verso lo straniero. Onorate società colpiscono spietatamente chi è indicato,
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a volte solo sospettato, di essere un rinnegato traditore. Si diffonde la convinzione, della barbarie musulmana. L’azione politica e militare vicereale si avvia ad una migliore organizzazione della difesa delle coste contro l’infedele. La compattezza etnica e religiosa delle popolazioni è necessaria al buon funzionamento della macchina militare iberica e la limpieza de sangre si evolve in una ossessiva ortodossia religiosa68, fondamentale per la politica spagnola di tutto il XVI e buona parte del XVII secolo. È una limpieza de sangre oltremodo illusoria69, ma è una svolta radicale, dovuta anche agli effetti del concilio di Trento (1545-1563). Stato, Chiesa e feudatari cominciano a prendere in diversa considerazione la presenza in Calabria di importanti nuclei di popolazioni albanesi e valdesi e di piccoli gruppi di musulmani ed ebrei che sono perseguitati, scacciati e costretti nuovamente all’esilio. Molti raggiungono il più ospitale impero ottomano. Le tragiche persecuzioni ed i massacri delle popolazioni valdesi della Calabria, dimostrano il rinnovato fervore cattolico della corona spagnola. Si comincia a combattere ciò che è diverso dal rito latino, una è la fede e uno solo è il rito.70
a destra CORIGLIANO CS Castello dducale (XIV secolo)
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