a Calabria è una regione in cui sono fiorite diverse esperienze religiose e dove restano ancora tracce di queste presenze. La più antica e, in un certo senso, la più misteriosa, è l’incisione rupestre del bos primigenius nella grotta di Papasidero (quasi 10 mila anni a.C.); è la testimonianza di qualcuno che, con un rito magico propiziatorio, chiede protezione alle divinità durante la caccia. Da sempre gli uomini hanno cercato un rapporto con il loro Dio e la tumulazione dei defunti è sempre stata una manifestazione del legame tra i vivi e le divinità; significativo è un tumulus, una collina fatta dalle mani dell’uomo, a due chilometri dal bivio della Statale jonica, in territorio di Borgia, un centro vicino a Catanzaro Lido; è un monumento dell’antica civiltà Brettia, sicuramente è un tumulo sacrale; rinvenuto nella Valle del Corace, rappresenta il delta della parola Deus, il triangolo della Trinità, la montagna di Dio; potremmo definirlo la piramide della Calabria, sicuramente la tomba di qualche importante re brettio. I costruttori di tumuli erano adoratori del dio Sole; un altro è in località Cozzo Rotondo, in territorio di Bisignano, che secondo alcuni potrebbe essere, addirittura, la tomba del re visigoto Alarico. In tutta la Calabria sono state rinvenute tombe di epoca brettia, italica e greca, con un
corredo funerario notevole, una testimonianza del culto dell’aldilà. Anche nella ricchissima Sibari, dove erano state costruite addirittura tubature per portare il vino dalle campagne direttamente nelle abitazioni in città, vi era un vero e proprio rito per la sepoltura. In un sarcofago, su una lamina d’oro, è stata rinvenuta una preghiera rivolta alle divinità dell’oltretomba: «Vengo di tra i puri, o pura regina degli Inferi, Euklès e Eubuleus e altri numi immortali: chè dichiaro di appartenere anch’io alla vostra stirpe beata. Ma pagai la pena per azioni non giuste, e mi assoggettò il destino e il folgorante Saettatore celeste. Ora supplice vengo presso Persefone santa, perché benevola mi mandi alle sedi dei puri». Nel Museo Nazionale di Reggio Calabria, che raccoglie il materiale archeologico rinvenuto in tutta la regione, moltissimi degli oggetti esposti sono stati trovati in diverse necropoli e sicuramente appartenevano a corredi funerari. Il Santuario di Persefone a Locri Epizefiri, in contrada Mannella, è citato dalle fonti storiche come il più illustre luogo di culto della Magna Grecia, allora Italia. In una terra da sempre dedita all’agricoltura, il Santuario non poteva che essere dedicato a Persefone e a sua madre Demetra, protettrici delle messi. Secondo la mitologia greca, il dio dell’oltretomba Hades, invaghitosi di
Crotone Capo Colonna La grande colonna del Santuario di Hera Lacinia (VI-V secolo a.C.)
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Thourioi Laminetta aurea iscritta con testi di ispirazione eleusina (IV secolo a.C.)
Reggio Calabria Museo Archeologico Nazionale Pinakes
Papasidero (Cs) Incisione rupestre del Bos primigenius (9.000 a.C.) Sibari (Cs) Zona archeologica di Parco del Cavallo Il portico colonnato di un monumentale edificio della romana Copia (193 a.C. V/VI secolo d.C.)
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Reggio Calabria Museo Archeologico Nazionale Kriophoroi Figura maschile che porta un ariete sulle spalle
Persefone, la portò nel regno sotterraneo; la natura di colpo si bloccò e solo Demetra col suo intervento potè ottenere che la figlia tornasse sulla terra per metà dell’anno, facendo fiorire i raccolti. Presso il Museo reggino sono conservati anche i pinakes (quadretti), tavolette votive in terracotta; li potremmo classificare come gli attuali ex voto che riempiono i corridoi dei moderni santuari. Nella vicina contrada di Marasà, sempre a Locri, il tempio ospitava il monumento dei Dioscuri, ovvero Castore e Polluce figli di Leda e Zeus, numi tutelari di tutti i navigatori. Tra i reperti raccolti invece a Medma, l’attuale Rosarno, una terracotta di figura maschile,
con sulle spalle un ariete (kriophoroi) e che gli archeologi hanno datato al V secolo a.C., potrebbe sembrare il protagonista della parabola del Buon Pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita. Ma luogo di culto era anche il grande tempio di Hera Lacinia a Capocolonna, nei pressi di Crotone, di cui attualmente è rimasta una sola colonna a testimoniare la grandezza della costruzione. Il posto è davvero suggestivo, il promontorio si affaccia su un mare azzurrissimo; è l’estremità più orientale della Calabria jonica. Anche i pochi frammenti di un sito sono, come sostiene Cyril Mango, studioso dell’architettura antica e medioevale, «la testimonianza più tangibile e concreta delle civiltà passate. Sono documenti storici non meno
Locri (RC) Tempio jonico di Marasà (dei Dioscuri) Avanzi dello stereo-stylobates, a blocchi megalitici, del tempio di età classica seriore, con frammento di colonna jonica scanalata
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delle testimonianze scritte; in certi casi, la loro voce è ancora più chiara di quella delle scritture». Il promontorio crotonese era considerato un luogo sacro per eccellenza; tutti i giorni avveniva il miracolo dell’unione della luce con l’acqua e dell’acqua con la terra e durante i solstizi e gli equinozi il sole convergeva in determinati punti così da formare un grande orologio solare. ome arrivava la buona notizia ai contemporanei di Gesù? Ascoltando qualcuno che raccontava episodi della vita del Cristo, della sua predicazione, del suo insegnamento e sicuramente così sarà successo nel febbraio del 61 d.C. quando l’apostolo Paolo, nel corso del suo quarto viaggio, proveniente da Cesarea per Roma, si fermò a Reggio Calabria. Dopo il naufragio a Malta, Paolo con i suoi carcerieri toccò prima Siracusa dove si fermò per tre giorni, poi Reggio Calabria e, successivamente, favorito dal vento di scirocco, via mare arrivò a Pozzuoli dove c’era già un gruppetto di cristiani; poi a Roma, dove tanti fratelli nella fede l’attendevano. La tradizione vuole che l’apostolo delle genti, giunto a Reggio, chiedesse di parlare, così come aveva già fatto all’Aeropago di Atene, del Dio cristiano a quegli uomini che adoravano idoli pagani ed erano impegnati nei festeggiamenti di Diana Fascelide, il cui tempio è stato rinvenuto recentemente a nord
delle mura di cinta. La richiesta del prigioniero, ebreo ma che doveva essere giudicato a Roma, venne accolta, ma con una clausola: «Puoi predicare fino a che la torcia non si consumerà», quasi a dire: «Puoi dire quello che vuoi, ma in un tempo limitato». Paolo iniziò ad annunciare la buona novella, il messaggio d’amore di Gesù, che è un invito a bruciare l’uomo vecchio per aderire totalmente alla vita di Dio. La torcia, posta sopra un pilastro, si consumò ma non si spense, anzi prese fuoco l’intera colonna, i cui resti sono conservati nella Cattedrale reggina. Alla sua partenza, Paolo affidò i primi cristiani della Calabria ad un suo discepolo: Stefano di Nicea, che successivamente verrà martirizzato testimoniando la fedeltà a Cristo; anche in terra calabra la Chiesa si fondò sul sangue dei martiri. Essendo un punto di transito, in tanti altri luoghi della regione arrivò, in modi e tempi diversi la buona novella. Non si hanno notizie di vescovi del Bruzio né per il Concilio orientale del 381 e neppure per quello di Efeso del 431; fu solo successivamente che vennero create le prime diocesi, ma, più tardi, nell’epoca d’oro, artificiosamente, sono stati ricostruiti vescovadi e vescovi anche per quanto riguarda il primo secolo. Per trovare le più antiche tracce cristiane ci viene in aiuto l’archeologia; in una necropoli
Reggio Calabria Basilica Cattedrale di Maria Santissima Assunta Particolare della porta raffigurante San Paolo che giunge a Reggio
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Scalea (Cs) Chiesa medievale dello Spedale Frammento di affresco bizantino raffigurante San Nicola (XI-XII secolo)
di Strongoli è stata rinvenuta una iscrizione che si riferisce ad una donna, Benedicta, sicuramente un nome cristiano, e, nella vicina Botricello, è stato individuato il sito di una basilichetta cristiana dei primi secoli. Anche a Tropea, sotto la piazza della Cattedrale, sono state recuperate dodici iscrizioni paleocristiane. La presenza più significativa del cristianesimo delle origini in Calabria è occupata dalla spiritualità orientale. Così scrive, infatti, Paolo Orsi: «la vita del basilianesimo in Calabria costituisce una delle pagine più interessanti della vita non solo religiosa, ma anche politica, economica ed artistica della regione nell’alto medioevo». L’influsso e la presenza orientale è un argomento ricco e complesso, difficile da riassumere, anche per il lungo tempo in cui tale spiritualità fu alla base della vita religiosa e culturale della Calabria, dal VII al XVI secolo.
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Ad esempio tutta la zona a monte del Pollino era un immenso monastero, il Mercurion, un vero e proprio Monte di Dio, il Monte Athos dell’antichità, una moltitudine di grotte dove eremiti e monaci bizantini, scappati da Costantinopoli con le loro icone, pregavano e conducevano una vita ascetica. Ma come vivevano i primi cristiani in Calabria? Ci viene in aiuto don Nicola Ferrante, un sacerdote reggino, che da anni studia i santi italo-greci calabresi: «In famiglia veniva insegnata la Sacra Scrittura già da bambino, e anche i più umili, oltre naturalmente ai monaci e agli ecclesiastici, quotidianamente meditavano la Bibbia, specialmente i Salmi. Tutti vivevano in modo naturale e spontaneo la loro appartenenza all’unica Chiesa. I sacerdoti, con le loro famiglie, presenti a Reggio fino alla metà del XVII secolo, erano elementi vitali del tessuto sociale. Quando nel 1051 avvenne lo scisma tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, i fedeli in Calabria non ne risentirono. Nella comunità cristiana si viveva uniti in Cristo e nell’unica fede; si era molto attenti agli ammalati e alle categorie dei più deboli, come si desume dai bios di numerosi santi italo-greci e da altri documenti dell’epoca. La vita spirituale produceva però anche una attenta vita sociale, accettabile ed adeguata ai tempi. Il lavoro era tenuto in debito conto, grazie anche ai monaci per i quali è meglio morire che elemosinare; era pure tenuta in onore l’osservanza delle leggi, delle usanze locali e il rispetto dell’autorità. La vita spirituale traspariva dalle chiesette disseminate nel territorio, piene di cupolette che richiamavano il cielo, con dentro le icone dai volti dolci e tristi; dalle lunghe e partecipate
in alto a destra Stilo (RC) Basilichetta La Cattolica (IX-X secolo) Frammento di affresco bizantino raffigurante l’angelo dell’Annunciazione
a pagina 11, in basso Paola (Cs) Chiesetta longobarda di Sotterra
liturgie ricche di simboli, di canti, d’incenso, di elevazioni spirituali; dai frequenti incontri di eremiti carismatici e portatori sempre di messaggi di promozione umana e spirituale, di fiducia, di speranza. Una presenza divina quasi palpabile, non solo proveniva dalla ricchissima tradizione dei Padri e Concili Orientali, ma anche dalla presenza dei nostri umili e gloriosi santi». Tentiamo di fare solamente un elenco in ordine cronologico di questa presenza di uomini di Dio, sul territorio calabrese, nel primo millennio dell’era cristiana. IV-VIII secolo: San Fantino seniore, San Cirillo; IX-XI secolo: Sant’Arsenio, San Leoluca di Corleone (815-915), Sant’Elia il giovane (823-
903), Sant’Elia lo spelota (864-960), San Luca di Demenna (923-995), San Fantino il giovane (970), Beato Proclo da Bisignano (?-975), San Nilo di Rossano (910-1004), San Gregorio di Cassano (930-1002), San Nicodemo (9201010), San Bartolomeo da Rossano (9811055), San Giovanni Theresti (995-1050), San Cristoforo, Calì, Saba e Macario, Sant’Antonio del castello, Sant’Ieiunio di Gerace, San Ciriaco di Buonvicino, Sant’Onofrio di Cao, San Vitale di Castronovo, Santa Teodora, Beato Stefano da Rossano, San Zaccaria del Mercurio, San Pietro Spina, San Simone, San Filareto di Seminara (1020-1070), San Luca di Melicuccà (1035-1114), San Bartolomeo da Simeri (1050-1130), San Luca vescovo di Bova (1050-1136), San Cipriano di Reggio (1110-1190), San Leo di Africo, San Leone di Metone; XII secolo: San Cipriano di Reggio, San Gerasimo e San Giorgio da Valletuccio.
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e decorativo aperto a consuetudini islamiche, bizantine, cassinesi e persino inglesi. Tuttavia, l’impianto precipuo di queste costruzioni è caratterizzato fondamentalmente dalla scelta stilistica innovativa assunta dal Grandmesnil per la prima volta nella fabbrica della Trinità di Mileto (allo stato attuale delle conoscenze, è impossibile avanzare analoga ipotesi per Sant’Eufemia, la cui chiesa era forse a pilastri e non a colonne come in Mileto), scelta che risulta comprovata sia dalla documentazione grafica e iconografica esistente nonchè dai ruderi conservatisi dopo i disastri sismici del 1659 e del 1783: la fusione della pianta basilicale, scandita da colonne, d’ispirazione aulica e di tradizione paleocristiana, con un capo-croce d’impronta normanna, articolato su absidi scalari e transetto sporgente. È questa l’idea vincente del Grandmesnil. E la valenza innovativa espressa nelle due abbazie calabresi è di tale portata da improntare di sé, in modo quasi normativo, la successiva produzione edilistica legata ai cantieri di committenza normanna. Sicché è quasi possibile, alla luce di queste brevi considerazioni,
Mileto (VV) Fabbrica dell’Abbazia Benedettina della Trinità (1063)
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in alto a sinistra Tondo marmoreo del paliotto dell’altare maggiore, raffigurante la SS. Trinità in alto a destra Abbazia Benedettina della Trinità a destra Statua nel cortile del Vescovado
a pagina 17 Rossano (Cs) Basilichetta di San Marco (IX-XI secolo)
porre sullo stesso piano il ruolo avuto dai due abati benedettini, Desiderio e Roberto, nell’evoluzione dell’intera vicenda architettonica del Meridione d’Italia, ruolo di pari peso e significato: il primo per quanto riguarda l’area campano-pugliese, rientrante nel raggio d’azione della chiesa desideriana, volto al recupero di una dimensione paleocristiana e
San Demetrio Corone (CS) Chiesa di Sant’Adriano (XII secolo) Pavimentazione iscritta, marmorea policroma, con figure zoomorfe in alto a sinistra
Serpente che si avvolge in tre spire sempre piĂš strette a sinistra
Serpente dalle spire avvolte ad occhiali in alto
Animale selvatico con il corpo composto da piccole pietre
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ILO, BARTOLOMEO E IL VANGELO SIRIACO DEL VI SECOLO NELLA BIZANTINA ROSSANO
civiltà monastica dell’Occidente europeo; la sua conversione, non consistette nel passaggio dal paganesimo alla fede cristiana, ma nel lasciare «il mondo per un più vivo impegno religioso». Cassiodoro istituì, in un suo fondo, come sostiene il prof. Lipinski, la prima Università dell’Europa, dove amanuensi e copisti salvarono codici antichi e libri religiosi; questa attività era particolarmente raccomandata da Cassiodoro ai suoi monaci sia come strumento di ascesi e di perfezionamento sia come attività occupazionale. Iniziative analoghe, di fondazione di monasteri di origine signorile, ad opera di ricchi laici, non furono infrequenti nell’Italia del VI secolo; l’importanza di Cassiodoro e del suo monastero è nella Regola, che sicuramente avrà influenzato quella benedettina. Cassiodoro morì pieno di meriti, quasi centenario, sotto l’occhio di Dio e tra le lacrime dei suoi monaci; la sua istituzione non durò a lungo, principalmente per lo stabilirsi nel Sud del dominio bizantino, ostile a un centro di preservazione e diffusione della cultura latina.
Della ricca biblioteca del Vivarium alcuni codici si ritrovano nelle maggiori biblioteche europee; presso quelle di Bamberga, Wurzburg e Kassel vi sono tracce, nei codici, delle immagini del monastero e dei relativi impianti. Attualmente a Copanello, oltre alle vasche in cui Cassiodoro allevava cefali, sono visibili i resti di una basilichetta e altre poche tracce dell’attività vivariense. Rossano, in epoca bizantina (VIII-X secolo), era già sede episcopale, lo attestano alcuni documenti. La presenza di monasteri basiliani lascia alla Chiesa rossanese una grande eredità: il Codex, la Panaghia, l’Achiropita. Oltre a Nilo e Bartolomeo, è nato a Rossano anche il papa Giovanni VII (Benedetto Sanidega o Ianidega, eletto al soglio pontificio nel 705); il papa Urbano VII, nato a Roma, ma di famiglia genovese, fu vescovo a Rossano per 20 anni, dal 1553 al 1573. Eletto papa nel 1590, morì dopo appena 12 giorni di pontificato. SAN NILO (910-1004) è considerato il maggior formatore e maestro dei novizi non solo in Calabria. Nicola, così si chiamava, era sposato e aveva una figlia, ma, dopo qualche anno, si fece eremita in un monastero alle falde del Pollino, a pagina 26 Rossano (Cs) Il Patirion (Anno 1130) Pavimentazione musiva con figurazioni zoomorfe simboliche, a tessere marmoree e calcari multicolori
a sinistra
in alto
San Nilo
San Bartolomeo
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prendendo il nome di Nilo e dedicandosi esclusivamente alla Scrittura e alla preghiera. Avrebbe voluto vivere da eremita, ma il suo esempio attirò numerosi giovani, che lo convinsero ad organizzare una nuova comunità monastica, che si sviluppò in un ritiro nei pressi dell’attuale San Demetrio Corone, non lontano da Rossano. Successivamente si stabilì nel monastero del Patirion, sulle montagne di Rossano, ma Nilo assurse ben presto a quella figura importante quale egli fu non solo nella vita religiosa, ma anche in quella civile: consigliere di governanti locali, uomo di pace e difensore dei più poveri. Ma, saputo che era prossima la sua nomina a Vescovo della sua città, quasi furtivamente si allontanò dalla Calabria, rifugiandosi prima a Capua e poi a Gaeta. Spese gli ultimi anni della sua vita fondando l’abbazia di Grottaferrata, centro di cultura orientale nel cuore della Chiesa latina. SAN BARTOLOMEO (980-1055) nacque a Rossano e fin da piccolo amò le cose di Dio e della Chiesa; a sette anni i suoi genitori lo condussero dai monaci calibiti della vicina Caloveto; ma l’incontro della sua vita fu con Nilo, divenne il suo discepolo prediletto, il suo biografo e, naturalmente, il continuatore della sua opera a Grottaferrata. Nel IX centenario della morte, Pio IX ha definito Bartolomeo da Rossano «luminare della Chiesa e ornamento della Sede Apostolica»; anche Giovanni Paolo II, nella sua visita in Calabria, dell’ottobre 1984, così si esprime: «... figure di uomini santi che hanno arricchito con la loro spiritualità non solo la Chiesa di Calabria, ma tutta la Chiesa di Cristo; ricordiamo San Nilo e San Bartolomeo di Rossano, che sono le figure più rappresentative del monachesimo cenobitico italo-greco...». L CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS
Il Codex Purpureus Rossanensis è un evangeliario miniato, che contiene l’intero Vangelo di Matteo, quasi tutto quello di Marco e una parte dell’epistola a Carpiano di Eusebio. Le illustrazioni sono quindici, dodici si riferiscono a scene evangeliche; in otto le scene sono dipinte nella prima metà del foglio, con in basso alcuni profeti a mezzo busto, a significare la concordanza tra Vecchio e Nuovo Testamento. Il Codice è conservato a Rossano presso il nuovo Museo diocesano di arte sacra; è costituito da 376 pagine (188 fogli). L’evangeliario viene datato tra la fine del V secolo e l’inizio del VI, l’area di provenienza è quella siriacopalestinese. L’opera era usata per la liturgia, forse veniva portata in processione ed aveva la funzione di libro da cerimonia. La pergamena purpurea era un attributo imperiale e, nella semantica dei colori elabo-
Rossano (Cs) Museo Diocesano di Arte Sacra Codex Purpureus Rossanensis a pagina 28, in alto a pagina 28, in basso in alto
Tavola XII - Parabola del Buon Samaritano Tavola V - Ultima cena e lavanda dei piedi
Tavola XIII - Cristo davanti a Pilato e pentimento di Giuda
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Serra San Bruno (VV) a sinistra in alto
Certosa di Santo Stefano del Bosco (1090-1101)
La Chiesa con il coro per i monaci
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Nel 1084, con sei compagni, diede vita ad una piccola comunità eremitica, in una zona disabitata di Grenoble detta Chartreuse: era l’atto di nascita del nuovo Ordine dei Certosini. Il suo allievo, Oddone di Chatillon, salito sul trono di Pietro, lo volle con lui per un periodo a Roma, conferendogli un incarico di grande prestigio, ma subito dopo Brunone chiese ed ottenne di ritornare al suo silenzio. I Normanni, che da poco erano divenuti i padroni della Calabria, autorizzarono il monaco tedesco a stabilirsi nel cuore delle Serre, anzi gli diedero molti aiuti, perché sia i Certosini che i Benedettini sostenevano la
a sinistra
nuova politica normanna a favore della Chiesa romana, contro quella bizantina. Brunone con i suoi compagni iniziò la costruzione della Certosa e, alla sua morte, fu eletto come successore il fedele Lanuino, nobile normanno, congiunto degli Altavilla. Nel 1514 Leone X canonizzò San Bruno proponendo il suo ideale di vita nascosta a tutti gli uomini che vogliono vivere nel silenzio l’amore a Dio. La Certosa di Serra San Bruno è stata ricostrui-ta agli inizi del Novecento, dopo il sisma del 1783 (basta guardare una delle guglie della vecchia Certosa per capire la forza distruttrice del movimento della terra, che fu
Gioacchino da Fiore
in alto San Giovanni in Fiore (Cs) Iconografia Gioachimita - Liber Figurarum - Drago apocalittico
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allo stesso tempo sussultorio ed ondulatorio) e le soppressioni ottocentesche volute prima dai francesi e poi dalla fratellanza massonica per realizzare l’Unità d’Italia. Ma cosa fanno e come vivono i certosini? È la domanda di quanti trovano sbarrato il grande portone d’ingresso del monastero. Da qualche anno, con l’apertura del Museo della Certosa, chi cerca risposte trova delle spiegazioni. I certosini non rifuggono il mondo, lo amano tanto da rinchiudersi in un luogo per pregare per tutta l’umanità; questo è l’aspetto più importante della regola che Brunone ha voluto dare ai suoi bianchi monaci.
E PROFEZIE DI GIOCCHINO DA FIORE
L’abate Gioacchino, «di spirito profetico dotato», come lo definisce Dante nel XII canto del Paradiso, nacque a Celico, un paesino a pochi chilometri da Cosenza, nel 1130. Il suo biografo, Luca Campano, che sarà l’arcivescovo della riconsacrazione del Duomo cosentino e che, nel 1222 riceverà in dono, dalle mani di Federico II, la famosa croce reliquiario, conosciuta come la Stauroteca di Cosenza, ci racconta che Gioacchino, dopo un viaggio in Terra Santa, decise di andare a vivere con i C i s t e r c e n s i
nella Sambucina di Luzzi; successivamente fondò i Florensi, la congregazione approvata da Celestino III. Secondo Gioacchino, inizialmente c’è stata l’epoca del Padre o del timore; poi, con la venuta del Cristo, l’epoca della Grazia, della carità o del Figlio, ed ora tutta l’umanità si prepara alla nuova era, quella dello Spirito.
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Delle teorie gioachimite è impregnata tutta la cultura del XII-XIII secolo; dai suoi scritti nasce l’idea medioevale del Giubileo, di un tempo ritrovato per la remissione dei peccati. A FEDE TESTIMONIATA
Santi sette martiri di Calabria
Catanzaro - Mosaico dell’abside della Chiesa di Sant’Antonio in alto Belvedere (Cs) Convento di San Daniele
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NEL MARTIRIO
Anche in Calabria, fin dall’inizio della diffusione della buona novella, è stato sparso molto sangue a testimonianza che la fedeltà a Dio vale più della propria vita. La tradizione ci parla di numerosi martiri; il primo vescovo di Reggio, Santo Stefano di Ni-cea, dopo aver predicato la fede, fu ucciso nel 75; i fratelli martiri Cassiodoro, Senatore e Viatore (I secolo); Santa Veneranda martire locrese, San Sperato e compagni, martiri di Scilla, e Santa Domenica, martire di Tropea. La giovane Domenica aveva deciso di consacrarsi totalmente a Gesù ed al servizio della sua Chiesa, ma un nobile del suo paese pretendeva che fosse sua sposa; dopo aver ricevuto un netto rifiuto ed aver saputo che il suo rivale era Cristo, il ricco decise di denunciare la giovane donna al proconsole e Domenica, insieme ai vecchi genitori, venne mandata direttamente a Roma dall’imperatore Diocleziano, dove subì il martirio. L’ora della prova del sangue sembrava passata, ma l’ardore di portare il Vangelo a tutte le creature divenne un monito sempre più pressante per il nuovo ordine francescano, così che, Daniele Fasanella, primo ministro provinciale di Calabria, insieme ad altri sei compagni, dopo la santa benedizione di Francesco d’Assisi, decisero di andare in Marocco per far conoscere ai musulmani Gesù. È il 1227 e insieme a Daniele ci sono Angelo Tancredi, Samuele e Donnolo Rinalda da Castrovillari, Leone Somma e Nicola Abinante da Corigliano, Ugolino da Cerisano, tutti sacerdoti tranne il fratello laico Donnolo. Arrestati a Ceuta, il 10 ottobre vengono decapitati e da allora la provincia francescana di Calabria è dedicata ai Sette Martiri.
a sinistra
Un’altra eroica storia di martirio è quella di Camillo Costanzo di Bovalino e Pietro Paolo Navarro di Laino Borgo, sacerdoti gesuiti che furono uccisi nel 1622 in Giappone, dove si erano recati come missionari.
RANCESCO DI PAOLA: SANTO EUROPEO
Francesco d’Alessio o Martolilla è nato a Paola il 27 marzo 1416. Dopo una breve permanenza tra i francescani nel Convento di San Marco Argentano, si ritira in una grotta nei pressi del suo paese natìo. Da subito un gruppetto di coetani chiede di poter condividere con lui quell’esperienza di ricerca di Dio. In poco tempo i seguaci dell’eremita Francesco aumentano, tanto da rendere necessaria la costruzione prima del Convento di Paterno e, successivamente, q u e l l o
San Francesco di Paola
Dipinto di Francesco Fontebasso (1709-1769) in alto Paola (Cs) Basilica di San Francesco di Paola
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ironia della sorte, fu approvata da uno dei papi più discussi sotto il profilo morale. È davvero un vanto per la gente di Calabria che questo figlio, così legato alle povere cose, abbia una statua marmorea nella Basilica di San Pietro in Vaticano, vicino all’altare del Bernini, con evidente contrasto tra la ricchezza artistica e la sua povertà di vita. A CITTÀ DEL SOLE DI TOMMASO CAMPANELLA
A Stilo, o a Pazzano come sostengono alcuni, il 1568 nacque Giovanni Domenico Campanella che, entrando a quindici anni nell’Ordine dei Domenicani, prese il nome di Tommaso. Uomo controcorrente per il suo tempo, accusato di eresia – ma oggi tutti giurano sulla sua ortodossia – nel 1599 fu arrestato per una congiura politica contro gli spagnoli, che gli costò 27 anni di carcere duro; chiuso in cella, ebbe il tempo di produrre numerosissime opere, tra cui La città del sole. Finalmente libero, si mise al servizio del Papa, creò un collegio missionario e si oppose con suoi scritti a Lutero, «il falso profeta tedesco» che con la sua Riforma aveva accentuato la crisi di un’epoca connotata da radicali trasformazioni; propose un nuovo disegno politico consistente in una Confederazione europea
Tommaso Campanella
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UCANTONIO PIROZZO: L’UMILTÀ DELLA FEDE
di Spezzano Sila. Francesco non è un uomo accomodante, il re Ferrante non vede di buon occhio che alcuni giovani, in nome della radicalità del Vangelo, parlino di giustizia sociale e fa di tutto per contrastare il nascente Ordine dei Minimi: ma i disegni di Dio non sono quelli degli uomini. Francesco ha un feeling con l’Altissimo; nella sua vita, davanti alle difficoltà, c’è sempre l’intervento divino; solo così sono da leggere i numerosi miracoli attribuiti a frate Francesco che, davanti al rifiuto del barcaiolo Pietro Coloso di fargli attraversare lo Stretto, stende il suo mantello sulle acque e giunge in Sicilia, insieme ad un suo discepolo, tra la meraviglia dei presenti. La fama della santità di vita di Francesco arriva perfino alla corte del potente re Luigi XI di Francia, che convince il papa Sisto IV affinché il taumaturgo calabrese lo raggiunga a Tours.
Francesco, quale atto di sottomissione al Papa, parte per la Francia, dove è accolto con onori principeschi; ma il poverello di Paola non accetta i costosissimi regali del re, vive dell’essenzialità con i suoi compagni e prega, anche per l’anima del sovrano. Luigi XI non sarà guarito fisicamente, ma morirà da vero cristiano. Francesco non tornerà più nella sua terra: anche lui, come tanti suoi corregionali ha c o n o s c i u t o il dover andare per il mondo. L’Ordine dei Minimi si espande in Francia e anche in Spagna, nell’Europa dell’est e in tutto il mondo allora conosciuto; proprio un seguace di San Francesco, il padre Bernardo Boyl, accompagnò Cristoforo Colombo alla scoperta del nuovo continente. La regola dell’Ordine dell’umile figlio di Calabria, la più rigida che la storia ricordi, per
Sant’Umile da Bisignano
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di Nicola Corduano presenti oltre che nelle diocesi di Oppido e Locri, anche in Africa, Terra Santa, Usa, Messico e Filippine, è tornato alla casa del Padre il 22 settembre 1984 a Oaxaca in Messico; Antonio Lombardi, filosofo catanzarese, che ha espresso nella vita un’intensa attività di carità e di studio profondo sul tema della trascendenza (1898-1950); Elisa Miceli di Longobardi, animatrice delle Suore Catechiste rurali del Sacro Cuore (1904-1976); Mons. Enrico Montal-betti, arcivescovo di Reggio Calabria, che per amore del suo popolo diede la sua vita, nel 1943, mentre imperversavano i bombardamenti degli anglo-americani, durante la visita pastorale ad Annà di Melito Porto Salvo; Don Francesco Maiolo di Lamezia Terme (1900-1969); Don Francesco Maria Greco di Acri, fondatore delle Suore Piccole Operaie dei Sacri Cuori (18571931); Mons. Gaetano Mauro, fondatore a Montalto Uffugo dei Missionari Ardorini (18881969); Don Francesco Mottola di Tropea, iniziatore delle Case della Carità e degli Oblati del Sacro Cuore (1901-1969); Mons. Pietro Raimondi, di Verbicaro, Vescovo di Crotone nei difficili anni del dopoguerra (1896-1987); Settimia Sarpa, una semplice donna di Paola madre di 11 figli (18991982); fra’ Umile Marsico da Redipiano, un uomo di Dio che viveva di carità e per la carità (18681964); Mons. Antonio Lanza, nativo di Castiglione Cosentino, arcivescovo di Reggio Calabria, estensore della Lettera collettiva dell’Episcopato meridionale (1905-1950);
a sinistra Lungro (Cs) Cattedrale di San Nicola di Mira (XVII secolo) Cristo Pantocrator
Concetta Lombardo di Stalettì, la giovane assassinata per difendere i valori della famiglia cristiana e per seguire la strada della santificazione personale; con il suo martirio ci ricorda che «non si costruisce la storia, se non si hanno delle certezze» (1924-1948); Madre Candida Barba dell’Eucaristia, nata a Catanzaro, che entrò giovanissima nel Carmelo di Ragusa dove è stata Priora per molti anni (1884-1949); Suor Isabella De Rosis di Rossano, fondatrice dell’Istituto Suore Riparatrici del Sacro Cuore (1842-1911); Don Francesco Antonio Caruso di Gasperina, che fu per molti fedeli padre spirituale e confessore (1879-1951); Madre Brigida Pastorino di Catona, fondatrice delle Suore Immacolatine; Mons. Italo Calabrò di Reggio Calabria, «un testimone fedele aperto alle nuove istanze del nostro tempo» (1925-1990); Costantino Mortati nato a Corigliano Calabro, giudice costituzionale, docente universitario, tra i padri fondatori della Costituzione repubblicana (1891-1985); Mons. Giovanni Mele, primo eparca di Lungro, che resse la diocesi degli italo-albanesi dal 1919 alla sua morte avvenuta il 1967. Tantissimi altri, tra vescovi, sacerdoti, religiosi, suore e laici, meriterebbero di essere ricordati per aver lavorato fedelmente nella vigna del Signore; spetta a tutti noi mantenere vivo il loro ricordo per la comune edificazione. l secolo XV è caratterizzato dal più massiccio esodo di abitanti dell’Albania verso l’Italia; tale fenomeno continuerà, pur se in misura
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più contenuta, per lungo tempo, concludendosi, di fatto, solo nel XVIII secolo. I profughi albanesi si stanziarono, per ragioni storico-logistiche, negli stessi territori abitati dagli ultimi epigoni dell’ellenismo giustinianeo, o in luoghi limitrofi. A ragione di ciò, anche questi nuovi arrivati furono chiamati con il nome di greci. Il massiccio esodo di albanesi verso l’Italia e, in particolare, verso la Calabria, fu determinato dalla caduta dell’Albania in mano ai turchi a seguito della morte, il 27 gennaio 1468, dell’eroe nazionale Giorgio Kastriota Skanderberg. La venuta degli albanesi nel nostro Paese è da considerare estremamente positiva per la rivitalizzazione della Chiesa bizantina in Italia, una Chiesa che aveva vissuto periodi di grande splendore, grazie anche alla presenza dei monaci orientali, ma che, a causa della lenta ma inesorabile latinizzazione del territorio operata dai Normanni, era in chiara decadenza. Gli italo-albanesi (così vennero in seguito chiamati i profughi che, in breve tempo, si erano saputi integrare nella vita della società italiana di allora ed avevano contribuito allo sviluppo socio-economico dei territori che occupavano) furono tenaci nel voler conservare le loro tradizioni ed il loro rito, aiutati in questo da molti papi illuminati che, con il
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loro autorevole intervento, impedirono all’ignoranza di molti vescovi latini locali di avere il sopravvento. Gli interventi dei papi a favore della presenza del rito greco in Italia, testimoniati da molti documenti canonici, favorirono, dunque, la sopravvivenza di questa Chiesa, anche se, nel corso dei secoli, non poterono impedire che molte comunità abbandonassero il rito greco per passare a quello latino (emblematica, in Calabria, la scelta in questo senso di Spezzano Albanese). Gli atti più importanti posti in essere dai Sommi pontefici in favore della Chiesa italoalbanese possono essere così riassunti: nomina, nel 1595, di un vescovo, residente a Roma, che si interessava dei fedeli di rito greco presenti in Italia, ordinandone i sacerdoti; fondazione, nel 1732, di un Seminario italo-greco, con sede in Calabria, nel palazzo abbaziale di San Benedetto Ullano (Cs); promulgazione, nel 1742, della Etsi pastoralis di Benedetto XIV: si tratta di una specie di codice con cui la Santa Sede cercava di risolvere questioni interrituali e disciplinari; erezione in Calabria, il 13 febbraio 1919, da parte di Benedetto XV, con la bolla apostolica Catholici fideles, di una diocesi propria per gli italo-albanesi, con sede a Lungro, in provincia di Cosenza.
in alto Acquaformosa (Cs) Chiesa di San Giovanni Battista (XVI secolo) Mosaici di Biagio Capparelli a destra San Basile (Cs) Chiesa di Santa Maria Odigitria
P o n t e , si venera l’icona della Madonna do’ rinfriscu; le Madonne che allattano sono dette Galaktotrophousa, e, in molte immaginette sacre dei primi anni del novecento, alcuni r e s p o n sabili di santuari facevano ricoprire il seno della Madonna. Edifici religiosi sono presenti in tutta la regione; pensiamo alle montagne dove si venerano bellissime Madonne: da Polsi a Palizzi, a San Sosti, a Cerchiara di Calabria, a Pentone, a Conflenti, a Torre di Ruggero, a Gimigliano. Anche per i Santi c’è una ricca varietà; uno studioso di pietà popolare, il padre scalabriniano Maffeo Pretto, ha catalogato 417 località abitate che ricordano un santo nella toponomastica: si va dai Santi Cosma e Damiano di Riace, a San Domenico di Soriano Calabro, il cui santuario era uno dei luoghi più venerati durante il Seicento. Nel cosentino, ad Acri, si conservano le spoglie mortali del beato Angelo. In un viaggio in Calabria, tra le cose sicuramente da non perdere, per quanto riguarda l’amore a Dio ed al creato, una tappa è d’obbligo a Stilo per vedere la bellissima Cattolica e il Duomo; poi a Gerace, il paese delle cento chiese, con la Cattedrale che ricorda ancora momenti della storia religiosa di appena ieri. A Gerace risiede anche l’unico prete ortodosso dell’Italia meridionale.
Soriano Calabro (VV) Convento e Chiesa dei Padri Domenicani Ruderi del grandioso complesso, distrutto dal terremoto del 1783 Avanzi della elegante facciata barocca (1655) in alto a sinistra
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in alto a destra Altomonte (Cs) Chiesa di Santa Maria della Consolazione (1336)
a destra Serra San Bruno (VV) I Certosini in un momento di preghiera
Costantino Albanese ed a San Paolo Albanese, una parrocchia situata in provincia di Pescara a Villa Badessa, ed una in Puglia, a Lecce, la parrocchia di San Nicola di Mira. a Calabria è piena di luoghi di preghiera, di santuari dedicati alla Madonna e a Santi vari. I titoli mariani sono davvero tanti: si va dall’Achiropita (non dipinta da mano d’uomo) di Rossano, alla Madonna delle cucchiar e l l e di Nicastro; a Squillace, nel Santuario del
in alto a sinistra Pizzo (VV) Chiesa di Piedigrotta
in alto a destra
Petilia Policastro (Kr)
Santuario della Santa Spina in basso a destra Laino Borgo (Cs) Santuario delle Cappelle (XVI secolo)
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VIBO VALENTIA Serra San Bruno Brognaturo Vallelonga Tropea Tropea Spilinga Fonti Ioppolo (Monte Poro) Dinami
Santa Maria del Bosco Santa Maria della Consolazione Santa Maria di Monserrato Santa Maria di Romania Maria Santissima dell’Isola Maria Santissima delle Madonna del Carmine Maria Santissima della Catena
REGGIO CALABRIA Reggio Calabria Reggio Calabria Reggio Cal. - Gallico Cardeto San Lorenzo Motta San Giovanni Melito Porto Salvo Bova Bova Marina Palizzi Bianco Bombile di Ardore Canolo Roccella Jonica Gioiosa Jonica San Giovanni di Gerace Palmi Seminara Oppido Mamertina Villa San Giovanni Polsi
Serra San Bruno (VV) Santuario di Santa Maria del Bosco Giubileo della vita consacrata
Madonna della Consolazione Madonna di Modena Maria Santissima delle Grazie Madonna di Mallamace Madonna della Cappella Maria Santissima del Leandro Madonna di Porto Salvo Santa Maria Theotokos Madonna del Mare Madonna della Lica Santa Maria di Pugliano Madonna della Grotta Santa Maria di Prestarona Santa Maria delle Grazie Santa Maria delle Grazie Santa Maria delle Grazie Maria Santissima del Carmine Madonna dei Poveri Santa Maria delle Grazie Santa Maria delle Grazie Madonna della Montagna
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