Calabria Torri e castelli tra mare e cielo

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Lungo i settecento chilometri di coste calabresi, nell’azzurro intenso dello Jonio e del Tirreno, si elevano, fin quasi a toccare il cielo, il maggior numero di torri del litorale italiano. Su cale e capi, sulle rive e sulle scogliere, o sulle sommità dei colli prossimi al mare, le torri costiere e gli arroccati castelli vanno a costituire un percorso tra culture e natura. È un tour tra terre di mare e di boschi, approdo delle più diverse culture del Mediterraneo; tra le variegate espressioni artistiche e popolari, tra i canti e la letteratura di credenze e leggende e, nel clima mite di lunghe estati fatte di sole, delle meravigliose spiagge, baie e alte scogliere, alle pendici di maestose montagne. Torri e castelli che richiamano alla mente le insidie dei pirati e dei corsari più feroci, ma anche le diverse dominazioni subìte dalla Calabria ed una feudalità che non è mai scomparsa in una regione che offre e nasconde modi di vivere diversi, il mutare della lingua e delle tradizioni, con i volti degli abitanti a volte saraceni, grecanici, arbëreshë o valdesi, ma tutti accomunati da una fervente religiosità a tratti bizantina che è propria di tutti i calabresi. Un percorso alla scoperta di torri e castelli che scava a ritroso nel tempo di secolari origini, con lo sguardo alla storia di un passato che forse ritorna, in un saliscendi tra mare e monti, tra città e paesi della Calabria che hanno tutti periodi storici da richiamare a blasone di nobiltà. La regione, terra di transito e di incontro di diverse culture, rimane un museo diffuso ed allo stesso tempo un museo all’aperto delle tante costruzioni militari. Nei mille anni che ancora oggi segnano la Calabria, dieci secoli di ferro come li ha definiti Emilio Barillaro, dall’VIII secolo con le scorrerie saracene e bizantine fino all’avvento degli Uomini del Nord, e ancora di più dal XV secolo fino a quasi tutto il 1830 con il flagello delle incursioni di pirati e corsari, si impone, a più riprese, la costruzione di un esteso complesso di opere militari difensive costituito da un dispositivo di torri di guardia lungo tutta la costa e dall’innalzamento di castelli e fortilizi. Quando il Mediterraneo diviene lago musulmano tutti gli insediamenti delle città antichissime, lasciano le marine e si arroccano a pagina 4

sulle montagne. I calabresi perdono così, progressivamente, la forte vocazione marinara ed il loro patrimonio linguistico e culturale greco e latino, per una diversa realtà legata alle attività agricole di tipo collinare e montano. Mille anni di lotte con i musulmani determinano definitivamente lo spopolamento costiero con la risalita delle popolazioni verso i monti e la formazione di quei presepi di paesi a mezza costa, a 300-400 metri sul livello del mare, tipici della Calabria. In cima alle colline, intorno a preesistenti fortificazioni, si innalzano nuovi abitati, con strade strette e tortuose che come immensi calanchi scendono dai castelli fino alle ultime abitazioni più a valle. Nella matrice medievale di questi borghi vengono a formarsi profondi solchi sotto la millenaria azione delle acque. Le strade sembrano di argilla impermeabile alle piogge, e, come calanchi esposti al sole del sud, si asciugano rapidamente. Proprio quest’arroccamento, in cui storia e tradizione coniugano ancora oggi il modo di essere, di lavorare, di pregare, ha forgiato le due diverse anime dei calabresi, la vita montana e l’amore-timore per il mare. In un percorso che è allo stesso tempo culturale ed ambientale, lungo le strade statali dei litorali calabresi, quella tirrenica da Tortora a Reggio Calabria e quella jonica fino a Rocca Imperiale, l’attenzione del viaggiatore è attratta da numerose piccole fortezze che si ergono solitarie sui dirupi a strapiombo sul mare. È una sequela di torri di difesa, edificate per avvistare pirati e corsari turchi e dare rapidamente l’allarme alle popolazioni dei dintorni per la difesa o per approntarsi a rifugiarsi sulle montagne. Realizzate a mura massicce in pietra locale, con forme troncopiramidale o cilindrica, si sviluppano su due piani, con l’ingresso sopraelevato e collegato all’esterno da un ponte levatoio. Sono comunemente conosciute come torri saracene e conservano, in buona parte, integra la loro struttura. Dalle torri che sono tuttora un riferimento di chi va per mare, in lontananza è facile scorgere delle imbarcazioni e subito ritornano alla mente antiche avventure di uomini di mare, di galee di saraceni che portano «orribili sofferenze e devastazioni» sui litorali calabresi, lunghe

Calopezzati (Cs)

Castello feudale (XV secolo) a pagina 6

Lamezia Terme (Cz)

Torre Aragonese dei Cavalieri di Malta (1550) a pagina 7

Roccella Jonica (RC)

Castello Angioino (XV secolo), dalle colonne di Melissari

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Squillace (Cz) Castello Normanno (IX-XVII secolo)

quasi quaranta metri e larghe poco più di sei, spinte nella navigazione dalle vele e manovrate a forza di ventiquattro banchi di remi. Già prima dell’813 si ha notizia di uno sbarco nei dintorni di Reggio Calabria da parte dei saraceni d’Africa, mentre dall’814 le loro incursioni si avviano a diventare un frequente flagello. Inizialmente si limitano a rapidi assalti, successivamente all’837 tendono ad assicurarsi insediamenti stabili sulla terraferma. Dall’839 all’840 i saraceni di Sicilia riescono ad insediarsi a Tropea e Santa Severina e nell’846 espugnano Nepetia (Amantea). I saraceni formano così l’emirato di Almantiah (la rocca) che, insieme agli altri due villaggi occupati, diventano i capisaldi della progressiva penetrazione all’interno delle terre bruzie. Nei pressi di Capo Spartivento si insediano altri nuclei saraceni per nuove incursioni. Alla precarietà della presenza bizantina in Calabria, aggravata dalla mancanza di efficaci dispositivi di difesa, si aggiunge quella nel Mediterraneo. Nell’880 lo stratego bizantino Gregorio si dirige verso la Calabria, a Capo Stilo e nei pressi di Reggio Calabria distrugge una flotta dei saraceni di Sicilia. Nell’885 l’imperatore bizantino Basilio I affida a Niceforo Foca il compito di liberare la Calabria dalla presenza dei musulmani. L’egida bizantina determina l’allontanamento dei Longobardi e sono scacciati anche i saraceni. L’emiro Cincimo o Cincinno nell’883 è costretto a rinunciare ad Almantiah in seguito all’invasione bizantina guidata dall’abile Niceforo Foca. Il figlio dell’emiro d’Africa, il giovane Abd Allah, punta su Reggio Calabria che capitola dopo un’accanita resistenza e sono oltre diciassettemila i reggini che cadono sotto i colpi delle scimitarre. I saraceni non risparmiano neanche le donne, i vecchi ed i bambini che insieme ai sacerdoti si trovano a pregare nella loro cattedrale. Dopo il sacco di Reggio, Abd Allah raggiunge Gerace che però non riesce ad espugnare. Intanto, nel 902, il padre, l’emiro aglabita Ibrâhîm ibn Ahmad, sbarca anch’esso in Calabria ed investe Cosenza con un gran numero di uomini e di mezzi, la città subisce con una violenza inaudita le stesse devastazioni che erano

già toccate a Reggio. La morte, come per tanti altri che hanno osato attaccare Cosenza, raggiunge Ibrâhîm ibn Ahmad sulle rive del Crati. Nel 907 il saraceno Abstele, partito direttamente dall’Africa, punta su Squillace, l’antica patria di Cassiodoro, e dopo averla saccheggiata la trasforma in propria roccaforte. Abstele riunisce quindi scontenti ed avventurieri e si abbandona ad atti di pirateria sia in mare che in terraferma, con un gran numero di prigionieri. Sabir con una flotta di quarantaquattro navi batte la costa jonica; tra il 929 e il 930 imperversa anche in Calabria, riuscendo a rapire dodicimila persone, vendute poi sui mercati africani. La piccola Sambatello, una località poco lontano dal centro di Reggio, viene trasformata in una roccaforte saracena funzionale ad azioni di guerriglia che si spingono sin sotto le mura della città dello Stretto. Un martedì del 950 gli armati reggini puntano su Sambatello, distruggono la roccaforte saracena e si appostano in attesa dei predatori, assenti in quel momento per una delle loro cruenti imprese. L’imboscata ha successo ed i pochi saraceni scampati si imbarcano precipitosamente alla volta di Messina. A breve distanza dalla foce del torrente Gerace, «fiume perenne, in cui entran le navi a gettar

Reggio Calabria

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l’ancora», vi è il porto dell’antica Locri. Nel Medio Evo il corso d’acqua assume il triste nome di Tropì (sbaraglio) a ricordo della memorabile disfatta subita dai bizantini di Malacheno l’8 maggio 952 ad opera dei saraceni guidati da El-Hâsan. È questa la più consistente azione bellica tra musulmani e bizantini. Un lungo e violento scontro con tanti comandanti militari, molti soldati e un consistente numero di navi. La cruenta azione di guerra provoca la distruzione della borgata di Santa Ciriaca, l’ultima cellula civica dell’antica e potente Locri, che, ridotta ad un cumulo di macerie, è abbandonata dagli abitanti che si trasferiscono «...sulla vetusta akropolis...» fondando l’odierna Gerace. Per le conseguenze della battaglia persa, i bizantini sono costretti a versare un pesante tributo annuo ai saraceni ed a consentire la costruzione di una moschea a Reggio Calabria, con diritto di culto e d’asilo. La presenza musulmana nella città delllo Stretto dura sei anni, fino a quando il protospatario Basilio, inviato dall’imperatore, non ristabilisce la completa sovranità bizantina, costringendo i saraceni ad uscire dalla città. La moschea viene abbattuta ed i bizantini costruiscono nuove chiese per il rito cattolico che riprende maggiore vigore. Nel 962 a Squillace la reazione popolare all’attacco saraceno è così violenta che i musulmani sono costretti ad asserragliarsi nel castello, per essere poi catturati in numero considerevole. I cronisti arabi Thietman e Ibn-El-Athir ci danno notizia che la fiumara dello Stilaro, il 13 luglio del 982, è la muta testimone dell’orrenda battaglia tra le forze congiunte degli Arabi di Sicilia e dei bizantini di Basilio II contro le truppe di Ottone II che per poco non vi lascia la vita. Allo Stilaro quando è forte il vento e scende impetuosa l’acqua dalle montagne nelle giornate di pioggia intensa, in molti giurano di sentire distinto il fragore delle armi di quella battaglia e, insieme, le grida di dolore dei difensori di Stilo che sembrano giungere dal monte Consolino. Nel 988 e nel 1009 gli Arabi attaccano nuovamente Cosenza e altri luoghi della Calabria che, insieme al flagello saraceno, devono subire quello delle truppe bizantine. Formate da russi, vandali, bulgari, turchi,

polacchi e macedoni, appena messo piede negli abitati, si abbandonano anche loro al saccheggio e alla devastazione procurando più danni di quanto non ne fanno i musulmani. L’avvento degli Uomini del Nord (1054-1194) segna l’inizio di un periodo di stabilità per la Calabria e il ritorno alla latinizzazione del clero. Sotto l’impulso dei normanni insieme alla caratteristica e unica capacità di fusione nell’arte delle ascendenze culturali dell’Occidente latino e dell’Oriente bizantino e arabo, arrivano nuove opere di difesa. Restano a testimonianza del loro alacre fervore costruttivo nella regione, la lunga teoria di castelli destinati a preservare le popolazioni bruzie dalle scorrerie delle masnade saracene, a Bova, Bovalino, Catanzaro, Crucoli, Gerace, Nicotera, Sangineto, Santa Severina, Scalea, Squillace, Vibo Valentia. La politica normanna aspira alla costituzione di uno stato multirazziale dove possono convivere pacificamente etnie e culture diverse. Il grande re degli Uomini del Nord, Ruggero I, il Normanno, coperto dalla dalmàtica araba, si circonda di normanni, latini, greci, longobardi e saraceni. Ai piedi di castelli feudali, città greche, villaggi musulmani, colonie longobarde, con le strade occupate da pisani, genovesi, amalfitani e al suono delle campane e delle cantilene dei muezzin sui minareti, si incrociano persone vestite con il mantello e il turbante musulmano, la maglia di ferro normanna, la lunga tunica greca e il corto saio italiano. Alcuni dei castelli normanni sono costruiti su preesistenti opere fortificate sulle cime delle colline dove si estendono, a partire da quel momento, i borghi della Calabria. Le belle sale di alcuni di questi castelli saranno adibite anche a residenza delle famiglie feudatarie Ruffo, Spinelli, Pignatelli, Carafa, Sanseverino, che vi ospitano pittori, scultori, decoratori di apprezzate scuole artistiche di altre regioni. Nel 1023 le incursioni saracene riprendono ed è la volta di Bruzzano Zeffiro, sulla costa Jonica, che viene saccheggiata e devastata insieme al territorio circostante. I normanni riescono in qualche modo a limitare la nefasta azione saracena e dopo il 1059 anche la Calabria conosce un periodo di pace e tolleranza e l’avvio

Vibo Valentia Castello Normanno (XI-XIII-XV secolo)

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tempo si trasformano in acquitrini malarici. Gli Angioini avviano la costruzione di altre opere fortificate che vigilano sulle anse e sulle cale, là dove l’insidia di pirati e corsari poteva maggiormente ferire, ma anche la costruzione di diversi castelli ad Amantea, Nicotera, Reggio Calabria, ricostruito da Giovanna d’Angiò sul sostrato della preesistente rocca normanna, Roccella Jonica, Sangineto e Villapiana. Sono del XIV secolo la scenografica Rocca di Praja e la torre Lombarda di Guardia Piemontese. È il secolo che vede un vasto impegno nella realizzazione di opere di difesa costiera che si andrà amplificando con il passare degli anni per la recrudescenza degli attacchi turchi. Alle prime torri realizzate da Greci, romani e bizantini si aggiungono quelle realizzate isolatamente da privati, feudatari e religiosi. Alla fine del XIV secolo le imbarcazioni di saraceni e cristiani rinnegati imperversano sulle coste calabresi e determinano l’assenza di rapporti tra le città e la stagnazione dell’economia. Nel 1391 raggiungono Reggio ma non osano attaccarla limitandosi a devastare i dintorni ed a sequestrare circa quattrocento persone. Sulla via del ritorno i cristiani rinnegati e gli infedeli musulmani sono sorpresi da tre navi genovesi che dopo averli inseguiti e catturati, gli mozzano il capo. È il periodo caratterizzato dal pensiero di Francesco di Paola, e la storia di queste coste s’intreccia sempre più profondamente con quella dell’espansione turca in Occidente contrastata dagli aragonesi (1435-1503). La caduta di Costantinopoli nel 1453 trasforma il Mare Nostrum, come i romani chiamavano il Mediterraneo, in luogo di scontri spietati tra cristiani e turchi. E la cronaca delle incursioni barbaresche si infittisce di battaglie cruente, di personaggi leggendari avvolti dal mito. Storie di pirati e corsari, di uomini così lontani e diversi, di avventure come quelle di Kamal Raìs, detto il Camalicchio, l’incubo delle popolazioni siciliane, calabresi e pugliesi nei primissimi anni del Cinquecento, di Khair ad-Din, il più celebrato corsaro dell’impero turco. Altri se ne aggiungono, con personalità dai contorni più incerti come Torghoud Rais

Dragut, il terrore del Tirreno, un pirata tanto feroce che la sola pronuncia del suo nome faceva gelare il sangue ai marinai non solo cristiani. E gli aragonesi che sono dilaniati da estenuanti lotte intestine e dinastiche, da spietati antagonismi e da cupe congiure nobiliari, sono costretti a realizzare altre opere a carattere militare. Sono elevati silenziosi castelli, arroccati su rupi e strapiombi rocciosi, in uno stile goticodurazzesco prevalente, a volte animato da sedimenti romanici: le monumentali torri angolari del castello di Reggio, erette da Ferdinando I d’Aragona, il suggestivo castello di Pizzo, l’ampliamento del complesso di Le Castella a Isola di Capo Rizzuto dove la cimosa litoranea sabbiosa con la variopinta vivacità del mantello erboso formano spiagge di sogno dalle sfumature ocra, bagnate da un mare trasparente. I giovani e le donne presi dai pirati nel corso delle loro incursioni, diventano schiavi e sono venduti nei mercati turchi, soprattutto ad Istanbul, a Tunisi, ad Algeri. Alcuni di questi schiavi divengono famosi generali ottomani, alcune schiave concubine del sultano. Ad Algeri i calabresi Euldj Alì e Uluccialy arrivano a diventare grandi ammiragli della flotta ottomana, carica che sarà poi di Scipione Cicala, conosciuto come Sinàn Capudàn Pascià, educato alla corte del sultano Murad III. Il passaggio dei predoni saraceni per i mari della Calabria è una calamità improvvisa. Le coste sono senza protezione e bisogna fortificarle. Gli aragonesi, con ordinanza del 12 novembre 1480 decretano la fortificazione di diversi luoghi. Sulle coste dell’Africa si riversano a centinaia di migliaia i Mori di Spagna cacciati da Ferdinando e Isabella di Spagna. I Moriscos sono ritenuti sudditi infedeli della Spagna e quinta colonna del sultano ottomano in terra cristiana. L’esodo dalle terre andaluse comincia proprio nel 1492, subito dopo la caduta del regno di Granada. Il destino vuole che proprio i Moriscos fuggiaschi in terra africana siano i primi animatori della guerra corsara contro le navi e le coste soggette agli spagnoli. La fondazione dei nuovi stati barbareschi sulle coste africane consente di creare porti sicuri, funzionali alle tante scorrerie di pirati e corsari nel Mediterraneo.

Isola Capo Rizzuto (Kr) Le Castella (XV-XVI secolo)

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arrivano a vedere nel Musulmano non un nemico, ma un possibile alleato. Ed il fenomeno degli islamizzati calabresi si collega alle lotte antifeudali, al brigantaggio endemico e ad altri momenti di resistenza alle articolazioni sul territorio del retrivo potere feudale spagnolo. I Mori non possono diventare giannizzeri e solo pochi diventano corsari. La classe militare-burocratica del mondo ottomano abituata alle battaglie terrestri, deve invece imparare a combattere sul mare la guerra di corsa. Sono gli stessi europei a dare un apporto essenziale allo sviluppo ed alla conduzione delle flotte ottomane. La fonte principale di reclutamento di nuove leve per pirati e corsari è quindi all’esterno del territorio nord-africano, tra i cristiani provenienti dai paesi a più stretto contatto con la corsa algerina, l’Italia e la Spagna. Con la popolazione calabrese i musulmani stabiliscono in molti casi una stretta intesa, integrata, nel tempo, da rapporti d’interesse e di parentela. È una lunga convivenza che offre a musulmani e calabresi la possibilità, in una tolleranza reciproca, di insegnare e di apprendere. Si continua a parlare di sogno turco, una immagine, a volte esagerata, che si va formando nei ceti popolari; di una Turchia terra di maggiore libertà, di tolleranza e dalle diverse opportunità di elevazione sociale, rispetto alla Cristianità. C’è chi arriva volontariamente in Barberia per convertirsi e diventare musulmano, attratto dalla possibilità di migliorare

la propria condizione. La società corsara algerina e quella ottomana in generale, nella immaginazione collettiva delle classi subalterne calabresi offre, infatti, maggiori possibilità di ascesa sociale rispetto a quella europea e cristiana, stretta com’è nei suoi ordini feudali. I racconti dei prigionieri musulmani riscattati o fuggiti, le notizie offerte dai delatori indigeni e da molti cristiani divenuti schiavi dei turchi che decidono di vivere a Tripoli, Tunisi, Algeri, la presenza sul territorio di qualche favorita che dopo anni di dorata permanenza rientra in Occidente, creano intese e connivenze con i turchi. Si intrecciano trattative, si stabiliscono legami, si alimenta una rete di informatori che consente ai musulmani la conoscenza, nei particolari, di avvenimenti, circostanze e luoghi utili alle loro azioni di saccheggio. Il termine turco non viene inteso in senso etnico, ma politico, e, così, come tanti altri calabresi, tra i due schemi contrapposti del potere politico e militare del tempo, cattolico e musulmano, spagnolo e turco, il marinaio Marco Antonio de Scioia e Tiberio Rosso di Bonifati, fuggono dal mondo feudale e se ne vanno a Tunisi per diventare giannizzeri. «Il turco ha tolto via ogni nobiltà, fuor della na-

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Corigliano (Cs)

Castello Aragonese di San Mauro (1515) in alto

Cirò Marina (Kr)

Torre di Punta Alice (XVI secolo) a sinistra

Stalettì (Cz)

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turale» dice ai suoi congiurati contro il potere feudale spagnolo il filosofo Tommaso Campanella; ed i più grandi Kapudan Pascià, cioè gli ammiragli supremi dell’impero ottomano, sono islamizzati greci, albanesi o calabresi. Le disastrose condizioni sociali ed economiche della Calabria dovute al susseguirsi per dieci secoli di questa lunga serie di eventi cruenti, influiscono su intere generazioni di calabresi che sono esclusi da ogni forma di progresso e determinano una Calabria fortemente cellulare dagli «spazi minuti, frammentati e mai ricomposti delle piccole patrie». Per circa trent’anni, dal 1538 al 1565, i turchi non hanno rivali nel Mediterraneo e le coste delle terre cristiane restano esposte alle incursioni delle flotte corsare e di quelle imperiali. La Calabria per la sua posizione geografica centrale nel Mediterraneo, rappresenta la parte più vulnerabile dello scacchiere spagnolo e subisce i danni maggiori. La paura incombe sulle popolazioni calabresi e basta la comparsa di una sola fusta sospetta per scatenare il panico e spingere le popolazioni a prendere la via dei boschi. La minaccia è continua e sovrasta le coscienze, determinando il presente e il futuro stesso della regione. Non si conosce poi l’obiettivo prescelto da pirati e corsari, sono ignoti l’entità dei loro mezzi e il numero degli uomini a disposizione per i saccheggi, non si capiscono le motivazioni della frequenza degli attacchi contro una stessa città. Tutti i calabresi sanno che in un qualunque giorno della buona stagione possono giungere dal mare lutti e devastazioni. La presenza sul territorio intorno a Reggio di tanti centri minori, di mulini, gelseti, vigneti, uliveti e giardini determina che la città dello Stretto sia tra le più colpite dall’accanito furore delle incursioni dei pirati che si ripresentano periodicamente alle sue porte abbandonandosi ad ogni genere di violenze. Dopo il saccheggio si imbarcano ordinatamente senza subire alcun attacco per poi dirigersi verso altri centri minori delle coste jonica e tirrenica. Per contrastare i musulmani e per perseguire gli obiettivi di occupazione, gli spagnoli ritengono in quel momento necessario rendere più forte la legittimazione della loro monarchia. Per pre-

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servare la propria egemonia sul Mediterraneo, utilizzano la Calabria come primo baluardo contro le forze turche e la compattezza etnica e religiosa e la fedeltà politica diventano necessarie al buon funzionamento della macchina statale spagnola. La limpieza de sangre diventa un’ossessiva ortodossia religiosa, fondamentale per la politica spagnola di tutto il XVI e buona parte del XVII secolo. In Calabria si comincia a prendere in diversa considerazione la forte presenza di importanti nuclei di albanesi, di valdesi, di piccole gruppi musulmani e l’azione politica e militare si avvia ad una migliore organizzazione della difesa delle coste contro i turchi insieme alla lotta contro l’infedele, musulmano, luterano o calvinista. Le tragiche persecuzioni di quegli anni contro le popolazioni valdesi della Calabria, dimostrano il nuovo zelo cattolico della corona spagnola. Intanto, l’11 marzo del 1565, la fabbrica della maggior parte delle torri costiere è terminata dagli aragonesi, mentre si stima in venticinquemila il numero degli schiavi cristiani presenti nella Reggenza di Algeri. Nello stesso 1565, durante una battaglia nel mare di Malta, Amurat Dragut Pascià viene sconfitto e ucciso. Per una vera riscossa cristiana bisogna attendere

San Nicola Arcella (Cs)

dai terrazzi, la torre Aragonese del Saracino (XVI secolo) in alto

Tommaso Campanella

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quelle della Monarchia spagnola». Sono di due dimensioni, le più grandi hanno un evidente aspetto di fortezza, meglio armate e capaci di consentire il rifugio all’interno di più persone. Le più piccole, semplici nella struttura, sono dette di sbarramento e sono costruite alle foci dei fiumi o a contatto con le marine. Le torri di avvistamento hanno pochi uomini di guardia e sorgono in località difficilmente raggiungibili, ma in ottima posizione per sorvegliare grandi tratti di mare. Quelle di forma cilindrica sono spesso elevate su una base a pianta quadrangolare, e sono dette cavallari perché i militi sono muniti di cavalli. Le torri edificate più all’interno, sulle alture della costa, sono dette guardiali e servono per segnalare il pericolo ai paesi all’interno della costa. Nelle torri guardiali risiedono, con una sufficiente dotazione di armi, almeno due persone di guardia. Una volta realizzato il programma di costruzione delle torri, per migliorarne la funzionalità, gli aragonesi istituiscono posti di guardia lungo il Tirreno da Napoli fino a Reggio al solo fine di poter dare l’allarme in caso di comparsa di flotta turchesca. Ma soltanto verso il sorgere del 1600, è possibile stabilire un sistema di comunicazione tra le torri, fino ad allora assolutamente mancanti di collegamenti. Alla guarnigione delle torri sono addetti i torrieri che hanno il compito di dare l’allarme in occasione delle incursioni dei pirati. I militi avvisano gli abitanti del posto e le torri vicine con un sistema di segnalamento con il suono di campane e con segnali di fumo durante il giorno e la luce dei fuochi la notte, accesi, in caso di pericolo, sulla sommità della torre. Il sistema di segnalazione tra le torri e le terre vicine, nell’approssimarsi di galee, brigantini, galeotte o altri legni, è regolato in modo che con l’allarme, un segnale che si trasmette di torre in torre al fine di avvertire tutta la costa, fosse chiaro anche il numero dei legni nemici apparsi all’orizzonte. Al sistema di difesa sono addetti anche i cavallari, soldati che percorrono le spiagge a cavallo, con il compito di avvistare le navi dei corsari e rapidamente avvertire del pericolo il più vicino posto militare. I capitani di armi sovrintendono al servizio dei cavallari e nel caso di infrazione

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alle norme debbono procedere all’esecuzione delle pene stabilite, altrimenti gli stessi capitani sono soggetti alle stesse pene. Ogni sera la persona addetta alla sopraguardia, deve vigilare che i soldati, i torregiani e i cavallari eseguano puntualmente il loro dovere. Il lavoro maggiore, pesante, faticoso e responsabile, si svolge nei mesi di primavera-estate, quando aumenta il pericolo delle incursioni di pirati e corsari. Una relazione regia dell’inizio del XVII secolo afferma che molti calabresi sono visti alle marine in attesa di qualche legno turco; lasciano la struttura feudale spagnola per scegliere una vita che sembra meno gravosa e più sopportabile con gli infedeli. Sono gli anni che le galee cominciano ad essere sostituite dai galeoni, navi a vela armate e di un maggiore numero di cannoni e Scalea nel 1600 è «fabbricata in su di un masso alla costa verso il Mezzodì a modo di ventaglio spiegato, da per tutto cinta di mura; alla cui punta stava una forte rocca, al lato sinistro due torri ed un’altra a destra, e di rimpetto la torre dell’isola; tutte considerevoli per il sito e la costruzione, e provvedute di bocche da fuoco; onde la Scalea potea dirsi bene fortificata e guardata anzi inespugnabile». L’allentamento della pressione ottomana sul Mediterraneo, con la Spagna che ormai guarda con crescente interesse alle Americhe, attenua la sfida strategica tra i due contendenti.

Scilla (RC)

Chianalea in alto

Scalea (Cs)

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Via Roma, 16 • 87052 Camigliatello Silano (CS) Italy tel. e fax +39 0984 578125 • cell. +39 335 6689611 www.newsila.it • ladea1@alice.it



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