I Giochi dei castelli di carta

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A mia nipote Miriam, amore e gioia della mia vita Alla mia famiglia A Carola, una giovane donna forte

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“Avrete vissuto se avrete amato” Alfred de Musset

”L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi. Se vi si resiste, l’anima si ammala di nostalgia per ciò che ha negato a se stessa” Oscar Wilde

“…Il coraggio, uno non se lo può dare” Alessandro Manzoni

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non lo lascia crescere, a me crea fastidio, ma è impossibile parlare con quella donna. È arrogante e, ogni volta che affrontiamo un discorso, finisce che litighiamo e io tiro fuori il lato peggiore di me. Vorrei che fosse Marco a capire che è ora di camminare da solo. Cambierà – penso - quando andremo a vivere insieme; io lo farò cambiare e lui diventerà più responsabile. Marco non mi desidera, non come un uomo dovrebbe desiderare una donna: questo lo percepisco, per quanto ancora ingenua. Mi ripete che il problema è mio, che sono frigida: per questo non insiste per avere rapporti con me. La cosa è un po’ anomala: due che si amano di solito fanno l’amore. Marco e io invece no. Usciamo con gli amici, andiamo a mangiare la pizza, ma non rimaniamo mai soli, né cerchiamo di farlo. Anche questo cambierà quando staremo sotto lo stesso tetto, penso. Ma la mia è un’illusione! La mia presunzione o ingenuità mi porta a credere che io avrò la fiaba a lieto fine. Ci sposeremo, avremo una casa e avremo una bella bambina, con gli occhi verdi e i capelli ricci, sì, sarà così, sarà certamente così. Mio padre e mia madre vogliono che io cerchi una casa da comperare: ormai lavoro, sono autonoma e posso affrontare queste spese. Mi dedico molto al mio lavoro, sono molto ambiziosa, lo so, ma è forse un male essere ambiziosi? Ancora oggi, dopo molti anni, cerco di dare il massimo. Hanno ragione i miei, è ora che io cerchi casa.

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Capitolo II Da bambina ho sempre adorato la casa di un’amica di mamma: le stanze non erano enormi, ma aveva un terrazzo grandissimo e meraviglioso, che in primavera si riempiva di fiori colorati. C’erano campanule di un blu cobalto come il mare d’estate, grappoli di rose rosse e ciocche di buganvillea color magenta, ibiscus scarlatti che si ergevano su un folto fogliame verde intenso. Tutto intorno il profumo afrodisiaco del gelsomino ubriacava l’aria. Ricordo che ogni volta che mia mamma ed io andavamo a farle visita, volevo vedere il terrazzo: mi dava un senso di libertà e di gioia. Le case, oggi, si comperano sulla carta. Si vede il progetto e si sceglie uno dei disegni, che quasi magicamente si trasformeranno in case. Il costruttore mi mette davanti uno di quei fogli con la planimetria del palazzo. Sono rimasti solo due appartamenti. “Sono rimasti questi due, deve decidere quale dei due vuole” sentenzia il costruttore, un uomo meraviglioso che oggi non c’è più, ma che ricordo con affetto.

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Non riesco a credere ai miei occhi: uno degli appartamenti disponibili è un attico con ampio terrazzo. “Prendo questo” dissi senza alcuna esitazione. Mio padre comincia a blaterare: “Sveva, è meglio l’appartamento del secondo piano, nell’altro avrai problemi di caldo e di freddo.” Rimango irremovibile, voglio la casa dei miei sogni. Così si conclude l’accordo. Sono emozionata, avrò quello che ho sempre desiderato. In fondo sono una ragazza fortunata! Controllo la costruzione del mio appartamento giorno per giorno: tutto deve essere al suo posto. Già vedo il terrazzo ricco di fiori colorati e pieno zeppo, nei mesi estivi, dei giocattoli della mia bambina. Mi consegnano le chiavi, l’appartamento è finito. Un attico bellissimo, con una posizione stupenda. Nel soggiorno troneggia un camino realizzato in tufo bianco e rosa. La bocca del camino è ornata da un doppio arco a sesto acuto, messo in risalto dai giochi dei due colori combinati; la cappa a ventaglio si chiude più stretta sull’alto soffitto e la luce che vi si riflette crea un’ombra a forma di mezza stella. Non ho pensato ad un arredamento tutto moderno, lo trovo freddo e impersonale; credo che mescolerò gli stili perché la mia casa deve essere calda, accogliente e, soprattutto, deve parlare di me. “Marco” dico un giorno “bisogna che cominciamo ad arredare la casa, poco per volta troveremo quello che ci piace e, a casa finita, potremo sposarci.” “Sveva tu corri sempre troppo” mi risponde “ le cose si fanno

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piano, con gradualità.” Non era la risposta che mi sarei aspettata, ero così eccitata all’idea di poter andare a vivere nella mia casa e invece lui, che pure sembrava partecipe, quando si parlava di concretizzare, sfuggiva e si infastidiva. “Cosa fai? Vuoi venire al mare con me o vuoi ancora pensare alla casa? Ormai è estate, ci penseremo in autunno, godiamoci il mare” insiste Marco. Non avevo voglia di andare a Diamante, benché nessun altro posto al mondo avrei scelto per le mie vacanze. Diamante: un paese stupendo, la città dei murales, dove arte e paesaggio diventano un’unica cosa, lambita dal mare e coccolata dallo sciabordio delle onde che si infrangono schiumose contro la scogliera. Ma non avevo voglia di passare le giornate a guardare Marco che parlava con sua madre o lavava la sua moto con la dedizione di un amante per la sua donna. Anche questo – mi dicevo - sarebbe cambiato una volta che avessimo vissuto insieme. Marco si sarebbe abituato, pensavo, alle mie cose: con questo desiderio parto per le ferie. Qualcosa dentro però mi inquietava, non ero tranquilla. Passavo le mie giornate a camminare lungo la scogliera, da sola, ad ammirare la bellezza del paesaggio. Pensavo al mio rapporto con Marco, anni in cui tutto sembrava perfetto, l’inizio di una vita, di una carriera, anni di felicità ed entusiasmo. E ora, all’improvviso, avevo l’impressione che i bei tempi si fossero incrinati e che, forse, stava per iniziare un lento declino. Soprattutto nell’ultimo anno percepivo la sensazione che qualcosa in me fosse cambiata, ma non volevo crederci e non affrontavo l’argomento. Mi rendevo conto che ormai

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uscivo a resistere alla tentazione di vederlo, di sentire la sua voce, di rubare un suo sorriso. Era diventato troppo importante per me! Un pomeriggio l’aria fuori era gelida e il cielo era plumbeo. Mi preparai. Rimasi sorpresa nel constatare quanta cura mettessi nel vestirmi e truccarmi per un incontro di pochi attimi. Indossai un vestito nero con un’ampia scollatura e calzai degli stivali molto alti; un doppio filo di perle che mi pendeva tra la scollatura illuminava il mio aspetto. Arrivai puntuale all’appuntamento e, non appena entrata, lui mi accolse con il solito sorriso. “Sei bellissima ed elegantissima, dove devi andare dopo?” chiese lentamente. “In nessun posto, sono venuta qui e poi vado di corsa a casa ho del lavoro da finire” risposi. “C’è sempre un velo di tristezza nei tuoi occhi e non è giusto, sei bella, intelligente, devi dare una svolta alla tua vita” continuò. Ed io di rimando: “Ma, quando una è frigida, non può aspettarsi che un uomo, neppure quello che vuole sposarla, possa provare attrazione per lei. Ha ragione Marco: io non sarò mai in grado di provare emozioni, non potrò mai essere di un uomo in quel senso. Devo ormai farmene una ragione, devo rassegnarmi.” “Ma che dici, non è come pensi o come ti hanno fatto credere. Sei una donna stupenda, con te ci vuole tanta dolcezza e vedrai che tutto succederà, in modo semplice e naturale. Non credo che Marco questo possa dartelo. Da quello che mi racconti è un uomo infantile ed egoista.”

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Cominciai a piangere, lui aveva un modo tutto suo di parlare e a me piaceva. Nonostante ciò, non dovevo dimenticare che Andrea era sposato. Per questo mantenevo una certa distaccata freddezza. Passarono i mesi e la situazione con Marco non cambiò affatto, anzi le cose peggioravano, giorno dopo giorno. Nonostante ciò andavo avanti lo stesso nei preparativi di quella che doveva essere la casa perfetta per due giovani sposi. Nel frattempo avevo conosciuto, per caso, sull’autobus, un bel ragazzo e si era stabilita tra noi una sorta di amicizia telefonica. La cosa mi faceva piacere. Le sue telefonate mi tenevano compagnia, ma non riuscivo a capire cosa volesse da me, era una persona molto ambigua. In uno dei consueti appuntamenti ne parlai con Andrea. Oggi a distanza di anni credo che confidare a lui questo mio segreto fu la cosa più sbagliata al mondo! Rimasi sorpresa quando lui mi invitò a dare una possibilità a questo ragazzo. Diceva: “Sveva, dagli una possibilità, se tu vuoi lui cadrà ai tuoi piedi. Sei bellissima, non potrà resisterti e così la smetterai di pensare che sei frigida!” Mi sembrava che quelle parole avessero un senso, anche se in fondo mi ferirono. Avevo sperato che fosse lui a volermi e, invece, mi stava invitando a stare con un altro. I mesi passavano, le stagioni si rincorrevano ed io ero sempre sospesa nella mia vita inutile. La presenza telefonica di questo ragazzo mi teneva compagnia, anche se a volte ero stufa di ascoltare i suoi continui brontolii.

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E intanto Andrea mi chiedeva, nei nostri incontri, come procedesse questa storia. Marco era sempre piĂš occupato a curare la sua immagine: palestra, partite di calcetto con gli amici, serate organizzate, ogni tanto usciva con me. Una squallida pizza e una lite continua era quello che mi offriva e poi di corsa a casa. Il nostro rapporto era un disastro: faceva sempre tardi e io tamponavo le sue assenze caricandomi sempre piĂš di lavoro. Mentivo, giorno per giorno per trovare delle scuse al suo comportamento ed ero costretta a subire, a ragione, le sfuriate di mio padre che, nonostante fosse legato a lui, mal sopportava questa mancanza di responsabilitĂ . Le tensioni che accumulavo durante le giornate erano inesprimibili: gli unici momenti in cui stavo tranquilla erano quando andavo da Andrea; il mio unico svago erano le lunghe telefonate di Federico.

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Capitolo IV Ero dimagrita tantissimo e mi accorsi con gioia che potevo indossare i vestiti che un tempo ammiravo nelle vetrine e che mai avevo osato pensare di poter un giorno comprare. Era quasi Natale, volevo farmi dei regali. La giornata era bella, il sole riscaldava un po’ l’aria gelida è cristallina di dicembre. Misi un paio di jeans attillati, un morbido pullover di lana d’angora bianco, delle scarpe comode, un giubbotto di piuma d’oca nero avvitato e uscii. Quel giorno comperai tanta biancheria intima molto sexy, non riuscivo a riconoscermi riflessa nello specchio con quei reggiseni e quegli slip: l’immagine era di un’altra donna, diversa da quella che ero. Per la prima volta dopo tantissimi anni mi piacevo. Fu a quel punto che pensai di fare una cosa bizzarra. Eccitata, corsi da una mia amica fotografa, impiegai non più di un quarto d’ora ad arrivare. “Buongiorno” dissi “come va Dalia?”

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“Bene” rispose “anche se oggi fa ancora più freddo nonostante il sole.” Dalia è una fotografa eccellente, fra le più brave: le sue fotografie sembrano quadri nati dal pennello dei grandi impressionisti francesi. È una ragazza minuta, con occhi grandi e neri, molto graziosa e, soprattutto, solare. Sempre sorridente e ama il suo lavoro. “Sai, Dalia, avrei pensato di fare una sorpresa a Marco. Ho un’idea un po’ stravagante ma intendo realizzarla e tu sei l’unica che può aiutarmi.” “Sveva, mi hai incuriosita, di cosa si tratta?”. “Promettimi che non riderai!”. “Promesso.” “Oggi mi sono vista davvero piacente allo specchio e allora ho pensato che voglio realizzare delle fotografie particolari, diciamo birichine, per il mio fidanzato.” “E come le vuoi fare?” “Potremmo fare le fotografie a casa mia. Delle foto molto maliziose, sexy.” “È strana come richiesta, ma accetto, perché mi sembra una bella cosa: solo che non posso dartelo prima di fine gennaio.” “Perfetto Dalia, regalerò a Marco questo book fotografico per San Valentino… e speriamo che si decida a crescere. Ho casa quasi pronta, già tutta arredata e lui ancora non vuol saperne di sposarsi.” “Va bene, allora alla fine della settimana prossima faremo le fotografie e poi le sceglieremo insieme.” Ero felice, stavo per fare una cosa che mai avrei sognato di

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fare in tutta la mia vita. Il merito era di Andrea, era riuscito con la sua dolcezza a farmi sentire una donna graziosa, ma anche del regime alimentare che continuavo a mantenere, nonostante tutto. Mai più falso fu un mio pensiero! In realtà il merito non era della dieta, che non avevo mai seguito, ma dello stress a cui ero quotidianamente sottoposta, che mi chiudeva lo stomaco: per giorni rifiutavo il cibo, ma ero troppo cieca e testarda per ammetterlo. La madre di Marco era insopportabile. Sempre in mezzo tra me e lui. Non riuscivo a parlare con il mio fidanzato in modo tranquillo, perché lei era sempre lì, pronta ad intervenire su qualsiasi cosa. Questo suo modo di fare mi innervosiva, ero cosciente che lei impediva a suo figlio di crescere e di prendersi le sue responsabilità. Ormai era una lite continua ma, scioccamente, pensai che tutto sarebbe cambiato dopo il matrimonio.

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Capitolo V Marco era preso come sempre da cose futili, non mi chiedeva mai come facessi a prendere delle decisioni per la nostra casa, non gli importava di arredarla, mentre io cercavo minuziosamente di trovare mobili che potessero andare bene, di stile e a buon costo. Perché i miei mi hanno insegnato che si deve risparmiare cercando di avere ciò che ci piace! Un giorno Marco mi disse: “Sai, Sveva, la mia moto ormai è vecchia e dovrei cambiarla.” “Ma, Marco, dobbiamo affrontare così tante spese e poi che te ne farai di una moto quando avremo una bambina? Lascia stare! Tieniti questa finché puoi.” “Vedremo, comunque io figli non ne voglio, costa troppo oggi mantenerli!” Rimasi senza parole! Speravo che quella affermazione fosse scaturita dall’immaturità del momento. Ci saremmo sposati e avremmo avuto una bambina: sarebbe stato Marco a volerla più di me.

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Quanto mi sbagliavo! Intanto la moto era un argomento che Marco per un po’ aveva accantonato, pensai di essere riuscita a convincerlo. Feci quel book fotografico, ero soddisfatta perché così bella non mi ero mai vista. Feci recapitare a Marco il suo regalo il giorno di San Valentino: io ero presente e molto eccitata per la reazione che avrebbe avuto. “Delle tue fotografie?” fece lui, dopo aver aperto il pacco. “Belle, ma cosa me ne devo fare? Non sono un camionista!” Fu un’affermazione che mi gettò nello sconforto. Non mi ero mai vista bella, per la prima volta ero piena di me. Quel book lo avevo fatto perché volevo stimolare il mio fidanzato, volevo che lui mi desiderasse come donna. Invece riuscì a rovinare tutto e sua madre, sempre presente, nell’osservare le mie foto, contrasse il muso in una smorfia arrogante. Rimasi in silenzio sgomenta e senza alcun entusiasmo. Marco non aveva compreso il mio gesto. Avrei dovuto aspettarmelo! Marco non ha mai capito nulla di me! Vivevamo in due mondi separati. Non parlavamo mai, non c’era mai l’occasione giusta per esprimere i nostri sentimenti. Cominciavo a domandarmi cosa mai avessi costruito insieme a lui. C’era davvero qualcosa che condividevamo? Oppure era tutto una vana illusione? Non sapevo più se l’amavo oppure no, ero combattuta. Marco, invece, era talmente sciocco da non accorgersi che era

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fatto diventare un po’ euforica. “Marco” sussurrai avvicinandomi a lui e prendendo posto sulle sue gambe. “Sveva, era tutto buono ma, lo sai, io preferisco la pizza. Comunque non preoccuparti, non è successo niente di grave.” Non è successo niente di grave! Aveva una faccia tosta abominevole! Avevo preparato con cura tutto e lui, a momenti, mi chiedeva delle scuse: era assurdo! Sentivo il viso in fiamme e il sangue che ribolliva dalla rabbia, avrei voluto urlargli contro e dirgli che era uno stupido bambino senza cervello, ma mi trattenni… sbagliando! Cercai di fingermi tranquilla. “Sì, tesoro, lo so” feci, con voce disgustosamente mielosa e con fare felino “ma volevo fare una cosa diversa.” “Ma, sì, Sveva, non preoccuparti.” Cominciai, sotto l’effetto del vino, a baciarlo e lui rispondeva ai miei baci, anche se non erano i baci appassionati che io sognavo e immaginavo, ma forse era così che funzionava, pensai scioccamente. Cominciai a spogliarlo e a spogliarmi, a toccarlo e a farmi toccare … ma il gioco lo conducevo io, stavo facendo tutto io, lui era lì, sembrava un manichino, era passivo. E intanto il mio desiderio calava sempre più e aumentava il senso di frustrazione. Ma continuavo decisa a cercare di fare l’amore con lui. Alla fine non accadde nulla: lui aveva, forse, goduto ma non mi aveva posseduta. Rimasi delusa e incapace di pronunciare parola.

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Ma la sola idea mi fece rabbrividire e mi ritornò il lacerante senso di colpa. ”Ma perché pensi a lui?” mi rimproverai “non è l’uomo che devi desiderare, non sarà mai tuo in nessun modo, né come amico, né come uomo, né come amante! Pensa a Marco, è lui il tuo uomo e devi sposarti prestissimo!” Una vocina mi consigliava di fare il passo al più presto, eppure, nel contempo, non riuscivo a fare a meno di pensare ad Andrea e desideravo vederlo proprio in quel momento. Quanto può ingannare la mente umana! Nonostante il freddo pungente uscii in terrazza e, avvolta nel mio poncho, sorseggiai una tazza di rooibos, the rosso dei Masai, gradevolmente aromatizzato all’arancia. La fresca brezza ebbe su di me un effetto rifocillante. Sopra di me il cielo si stava scurendo e il sole cedeva il posto alla luna e alle stelle che già incominciavano a intravedersi, nonostante ancora flebile vi fosse un bagliore di luce. Puntuale arrivò la telefonata di Federico. Non avevo voglia di parlare, anche perché le gocce che avevo preso mi avevano fatto cadere in uno stato di torpore. Risposi senza entusiasmo e lui se ne rese conto. “Cosa hai?” mi chiese. “Federico purtroppo non sto bene, mi hanno prescritto delle gocce per sedarmi e farmi dormire, sono mesi che non dormo! Il mio cervello, ed anche il mio fisico non reggono più” risposi con quel po’ di forze che avevo. “Non credo che facciano bene le medicine, io sono contrario e mi fai arrabbiare se le prendi. Non devi assumere farmaci, poi fai come vuoi!”

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Dovetti stare a sentire i suoi rimproveri, sembrava sinceramente preoccupato per me, poi cambiò discorso e cominciò a parlare di se stesso (quello era il vero senso della telefonata), ascoltai per un po’, ma non ce la facevo a sentire, tanto meno a rispondere, mi scusai e chiusi la conversazione. Era come se il corpo e la mente fossero in me due entità differenti. Quella notte dormii profondamente, così come le notti successive. Dopo un mese di cura del sonno, sembravo più positiva e in grado di poter affrontare quel matrimonio che ormai non si poteva più rimandare. Ma la serenità durò poco, e la mia ancora meno! Da mesi tenevo sotto controllo un nodulo che si era venuto a formare ad uno dei seni, una mattina decisi di andare a fare il consueto controllo. Ero tranquilla, non era il primo che facevo, ma, purtroppo, quella volta dall’ecografia si evinse un raddoppiamento del diametro del fibroadenoma. Il medico cercò di rasserenarmi: “Non si deve preoccupare, fino a tre centimetri possiamo stare tranquilli, il suo è di un centimetro e mezzo.” “Dottore, non sono una stupida, la crescita non può, in soli tre mesi, essere così veloce, quindi c’è qualcosa che non va.” “Sì. Lei ha ragione, in genere si ha una crescita lenta di questi tipi di noduli. Ma i contorni sono regolari, è ancora piccolo. Non mi preoccuperei molto, certo lo teniamo sotto controllo più marcato.” Per quanto fosse bravo, io non ero convinta che tutto andas-

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