Torri costiere e castelli della Calabria. Testimonianze del passato (Italiano-Inglese)

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Presentazione

La Lunga terra delle carte nautiche saracene 1 ½ -/ - Ê+1 /"Ê , Ê Ê , ," / , Ê*,"/ - Ê-1 Ê / ,, " Da una sponda all’altra del Grande Mare Interno che non divide, ma unisce, «arditi navigatori partono, portando con sé gli dei della città d’origine, alla ricerca di nuove terre dove fondare colonie, nelle quali s’innalzano templi». Per la Calabria sono invasioni di popoli diversi, attratti dalle imponenti foreste di pini, querce e castagni d’alto fusto e dalla pece silana che utilizzano per le loro navi. Con le armi, a prezzo di sconvolgimenti brutali e di devastazioni, gli invasori si appropriano della trinità mediterranea: le messi di grano biondeggianti al sole e le colture millenarie della vite e dell’ulivo. Inglobano, assimilano e respingono verso l’interno le popolazioni che si sottomettono a sovrani lontani, i bruzi sono incapaci di resistere agli attacchi che provengono dal mare, al crollo delle fortificazioni, agli incendi, ai massacri, ai saccheggi dei loro villaggi. Sono le contaminazioni dell’incontro-scontro tra Oriente e Occidente che segna la Lunga terra delle carte nautiche saracene, un’estesa quanto fragile e inerme frontiera protesa sul Mediterraneo. Da allora, nel territorio Bruzio «i miti si amalgamano e le religioni s’integrano in un solo tessuto, che è poi quello della storia della stessa civiltà della regione» e si alternano i segni di culture diverse che si svelano o si nascondono nei modi di vivere dei calabresi, nei loro straordinari volti, grecanici, saraceni, ma anche longobardi, normanni o arbëreshë. Nel mutare della lingua e delle tradizioni accomunate da una fervente religiosità, le piccole città e i villaggi della Calabria, dove la feudalità non è mai scomparsa, hanno tanti avvenimenti da

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richiamare a blasone di nobiltà sulle complesse vicende del flagello delle scorrerie musulmane e delle aggressioni provenienti da Oriente e da Occidente. Dalla caduta dell’impero romano d’Occidente la Lunga terra è sconvolta da «un succedersi di incursioni, di invasioni, di lotte esterne ed interne destinate a frantumare dominazioni, a capovolgere equilibri, a travolgere dinastie e centri di potere nella ricerca di un bilanciato assetto che sembra, tuttavia, irraggiungibile». È una continua sofferenza, il popolo Bruzio è per lungo tempo teso alla ricerca di stabili governi e governatori al di fuori e al di sopra dei motivi di dominazione esterna. «Le grandi partite del presente sono state spesso giocate, vinte o perdute, nel passato» e la presenza armata sul territorio Bruzio di saraceni, imperiali d’Oriente, longobardi, normanni, angioini, aragonesi, turchi, barbareschi, austriaci, spagnoli, «costituisce di certo uno dei molti condizionamenti negativi nella storia del Sud». L’origine del differenziarsi dello sviluppo storico della Calabria dal resto dell’Italia è dovuta a queste continue e paralizzanti pressioni che ha subito, che hanno fatto per mille anni delle terre bruzie una frontiera tra Oriente e Occidente, una prima linea tra Cristiani-

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tà e Islam, determinando le «diversità degli spazi minuti, frammentati e mai ricomposti delle piccole patrie» di una regione fortemente cellulare. Le Calabrie risultano così costituite da dodici sub-regioni, a loro volta differenziate in aree costiere e montane, che non hanno elementi fisici e storici comuni ed impediscono una sintesi armonica del possibile sviluppo economico e sociale. Sono terre in «perenne frontiera economico-sociale, dove spesso la quotidiana battaglia per la sopravvivenza è combattuta e persa a vantaggio dell’abbandono». Ciascuna dominazione ha lasciato proprie tracce, non cancellando completamente quelle precedenti e gli eventi dei secoli di ferro si riflettono su queste terre, avulse infine dalle due civiltà che ne hanno determinato il frazionamento e le diversità. L’Europa e l’Italia da parte loro hanno ignorano la Calabria quasi completamente, descrivendola, fin quasi all’inizio del Novecento, con notizie vaghe e generiche che delineano per come lo descrive il saggista Carlo Carlino «un quadro enfatico in una visione ancorata al passato».


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il teatro di tante battaglie e il baluardo di difesa cristiano, comincia il lungo conflitto mediterraneo musulmano-cristiano, è «notte multisecolare», e quanti «ebbero forze e mezzi, diedersi a costruire de’ nuovi paesi in fondo a que’ burroni, o su que’ monti, e tra que’ boschi che nelle luttuose emergenze erano serviti loro di rifugio». Per la distanza e i pericoli dei viaggi dalla Calabria a Costantinopoli, si rende necessario organizzare nuove chiese in metropolia. Tra la fine del secolo VIII e l’inizio del IX, Reggio è sede metropolitana della Calabria. L’arcivescovo della città dello Stretto è il titolare dell’Eparchia tes Kalabrias costituita dalle sedi vescovili di Amantea, Bisignano, Cassano, Cosenza, Crotone, Locri, Nicastro, Nicotera, Rossano, Squillace, Tauriana, Témesa e Vibo Valentia. I longobardi da parte loro per l’atteggiamento inerte degli imperiali d’Oriente, impongono rapidamente il proprio dominio sulla Calabria nord-occidentale. Ormai convertiti al cristianesimo, nel corso del loro lungo periodo di presenza nel Bruzio gli uomini dalle lunghe barbe hanno in gran considerazione la struttura della Chiesa romana incentrata sui vescovi, che esercita anche nella regione bruzia un ruolo sociale fondamentale in

un’epoca di crisi complessiva e si mostrano rispettosi nei confronti della gerarchia ecclesiastica e generosi in donazioni e fondazioni pie. Privi di una flotta, i longobardi s’interessano in misura minore della zona costiera, preferendo la parte interna del cosentino, caratterizzata dai rilievi ricchi di boschi tra il fiume Crati e il Tirreno, con, all’apice meridionale, Témesa, prima che la città svanisca fisicamente dalla storia e dalla geografia a causa di una delle prime devastanti incursioni saracene. La conquista delle terre soggette ai bizantini è discontinua, i longobardi non arrivano al completo controllo dell’intero territorio Bruzio in progressivo disfacimento civile ed economico. La regione è così divisa in due zone dalle diverse influenze politiche, una meridionale di lingua e cultura greca con capitale Reggio, avamposto di Costantinopoli sullo Stretto e porta d’accesso bizantina alla regione, l’altra settentrionale, di lingua e cultura latina per l’influsso esercitato da Roma, con capitale Consentia (Cosenza). Le guerre incessanti tra bizantini e longobardi e il persistere delle incursioni saracene non permettono ai contendenti di fissare con precisione un confine militare, culturale, linguistico, che spesso è artificioso e mutevole.


L’arroccamento delle popolazioni calabresi Nel IX secolo in tutta la Calabria per le invasioni da Sud degli arabi siciliani e da Nord dei longobardi del ducato di Salerno, cominciano a sorgere i castron e i castellion bizantini, luoghi di difesa più possenti delle piccole fortificazioni a guardia dei chora (terra, fondo agricolo) e delle casupole contadine. La presenza militare di Costantinopoli è precaria per la mancanza di soldati e di efficaci dispositivi di difesa mentre la marina imperiale soffre la supremazia navale musulmana. La Lunga terra è in posizione strategica nel Mediterraneo, ma nonostante la lontananza dalla capitale dell’impero solo i bizantini combattono i saraceni per riportare la Calabria sotto la loro completa autorità. La religione viene differenziandosi dallo stato e detta norme morali cui devono sottostare anche i regnanti; l’anima cristiana ingentilisce le leggi e smussa lo spirito conquistatore per fare dell’esercito bizantino lo strumento di difesa dei confini, per Giorgio Fedalto, studioso della Chiesa d’Oriente, «dai resti dell’impero romano si faceva l’impero cristiano o, come si dirà più tardi, l’impero bizantino». I saraceni, o mori o arabi o musulmani, si riversano sulle coste della Lunga terra tra l’827 e il 1091 dalla vicina Sicilia, l’isola è una munita roccaforte araba, e dall’Ifrîqıˉ ya, la Tunisia, le propaggini occidentali dell’Algeria e la Cirenaica orientale, per le innumerevoli incursioni e per stabilire dei loro capisaldi ad Amantea, Bruzzano Zeffìrio, Cosenza, Fiumara del Muro o Motta dei Mori, Fiumara Saraceno, Fiumefreddo Bruzio, Laguna di Placanica, Motticella, Rocca Imperiale, Sambatello, Santa Severina, Saracena, Scalea, Squillace, Stilo, Tropea e soprattutto a Reggio dove i musulmani nel 952 elevano verso il cielo il minareto della loro moschea. La guerra santa dei saraceni che al grido di Allâh akbar (Allah è grande) si rivolgono contro i borghi bruzi abitati da al-rum (bizantini), al-nas¸raˉ nıˉ (romani cristianizzati) e al-nukubard (longobardi), è un incubo -/ "Ê, Ê

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to Francesco di Giorgio Martini «i moderni nuovamente hanno ritrovato un istrumento di tanta violenza, che contro a quello le armi, gli studi, la gagliardia o poco o niente vale, e che più è, in picciolo tempo ogni grossa torre si mina e getta a terra, e certo tutte le altre macchine, vane e superflue si possono appellare». Si comincia a riconvertire le rudi fortezze ad una funzione residenziale «più consona ai propri ospiti», sono adeguate alla celebrazione di feste, banchetti, danze e tornei che costituiscono un elemento indispensabile del costume e del linguaggio politico rinascimentale. Durante le feste nelle residenze fortificate «non passano inosservate le dame di compagnia, ovvero le donne che nella corte hanno il compito di allietare con la loro presenza le giornate del signore. Le occasioni mondane infrangono la monotonia e la noia quotidiana e coincidono con l’arrivo di ospiti illustri o la celebrazione di speciali ricorrenze di vita familiare come il battesimo, il matrimonio e la morte in cui ogni casata egemone si riunisce nella sala del castello ostentando la ricchezza e la nobiltà attraverso il racconto di imprese gloriose, la visione delle insegne araldiche affrescate sui muri e dei ritratti degli antenati». In genere la sala principale della residenza è tenuta sgombra, all’occorrenza si montano dei tavoli su cavalletto circondati da sedie, sgabelli e panche, mentre una credenza riccamente drappeggiata è pronta per esporre l’argenteria e i piatti più belli che per questo vengono definiti da parata.

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all’immancabile fossa». La vita castellana è regolata dagli umori del barone e nelle fortezze regie dal castellano che, circondato da commensali, cavalieri, poeti, saltimbanchi e menestrelli, non perde occasione per compiacersi della sua condizione di capo la cui autorità all’inizio del Seicento è limitata ad un quadro disciplinare che gli assegna insieme alle finalità militari anche quelle civiche, facendolo diventare uno strumento diretto a mantenere l’ordine. Tra il 1707 e il 1734, nel corso del dominio austriaco, i sistemi difensivi delle coste subiscono un’evoluzione voluta da Carlo VI d’Austria che realizza una radicale trasformazione con l’applicazione di nuovi criteri bellici, ispirati ai sistemi difensivi francese ed olandese. Gli austriaci abbandonano l’ormai vetusto sistema dei castelli e delle torri marittime e si orientano verso la concentrazione della difesa in punti strategici. Attuano una protezione delle vie terrestri e parallelamente la difesa marittima cercando di prevenire sia gli attacchi barbareschi da terra che quelli dal mare. Nascono le piazzeforti marittime, sono fortificazioni permanenti, caratterizzate dall’evoluzione dell’ordinamento bastionato, dove gli austriaci

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concentrano truppe terrestri e forze navali. Con i Borbone è compilato un elenco delle torri da riparare e si dà impulso all’Armata di mare affinché le coste siano adeguatamente protette così come i traffici commerciali, e si dispongono nuove azioni sui mari contro i barbareschi. Dalla metà del Settecento i Borbone cominciano a disporre i perfezionamenti delle strutture fortificate provvedendo «alla costruzione di trincee parallele davanti i bastioni e alla realizzazione sul terreno di figure geometriche poligonali il cui lato è dettato dalle gittate delle artiglierie di fiancheggiamento ed i cui vertici sono i baluardi. Il ruolo strategico viene proiettato all’esterno della città verso il territorio circostante, i casali, le case coloniche, le ville, le nuove strade, i ponti, costituiscono punti fermi di una nuova rinnovata dinamica e infrastrutturazione del meridione ai fini della difesa». Le somme finanziate dalla Real Casa di Borbone e i paralleli investimenti delle famiglie baronali restituiscono ai maggiori castelli della regione un aspetto maestoso.


Negli ultimi decenni del XVIII secolo, osserva Mirella Mafrici, storica dell’arte castellata, la decrescente minaccia di invasioni indebolisce la volontà politica dei Borbone di provvedere alla difesa della Calabria e del regno. Ad accentuare il degrado, nel biennio 1806-1807, è l’artiglieria napoleonica e inglese che sulla costa tirrenica smantella molte piazzeforti come quelle di Amantea, Fiumefreddo, Cirella e il fortilizio di San Michele a Santa Maria del Cedro. Durante il periodo giacobino, il castello normanno-svevo di Cosenza ritorna ad assumere la sua funzione originaria quando Giuseppe Napoleone Bonaparte entra in città accolto trionfalmente. Il nuovo re di Napoli assegna all’imponente maniero Bruzio una numerosa guarnigione con a capo il generale Massena. Il regno è diviso dai giacobini francesi in province, distretti e comunità rette da sindaci. Nel 1810 il successivo re di Napoli Gioacchino Murat in occasione dell’insediamento nel castello di Cosenza della guarnigione formata da diverse centinaia di soldati, sale con tutta la sua corte militare lo splendido scalone settecentesco. Con il ritorno dei Borbone le torri calabresi sono quasi tutte cadenti e con rescritto del 21 febbraio 1827 il loro uso è ulteriormente disciplinato ed alcune sono cedute con il terreno asservito alle amministrazioni della guerra, dei telegrafi e ad altre aziende dello stato. La conquista francese dell’Algeria e l’inizio del predominio europeo sul Mediterraneo pone fine al lungo periodo di terrore, saccheggi e rapimenti, causati dalle incursioni barbaresche. Decaduta la funzione difensiva delle torri e una volta disarmate con l’abolizione dei presidi militari, tutto il sistema di salvaguardia costiera si arrende alla desuetudine. Molte torri sono abbandonate, altre sono cedute ai privati con le conseguenti trasformazioni e gli adattamenti per uso civile, altre ancora sono utilizzate dallo stato per la repressione del contrabbando. Il degrado e l’abbandono delle torri e dei castelli della Calabria è completato dai terremoti avvenuti tra il 1836 e il 1870 e dall’incuria delle famiglie

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Giardini di pietre

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feudali e borghesi che ne detengono la proprietà dall’eversione feudale (agosto 1806) e dall’Unità d’Italia. Molte strutture fortificate delle coste e residenze castellate dei borghi calabresi sono abbandonate all’incuria, diventano grandiosi «giardini di pietre». Nell’Ottocento il prete sociale di Acri Vincenzo Padula, nel suo scritto Calabria prima e dopo l’Unità, afferna tristemente che «ogni paese ha i ruderi di qualche castello». Jean-Marie Roland de la Platiére alle prese con filibustieri e fortificazioni tra Capri e lo stretto di Messina

osserva che non basta qualche affusto issato su questi baluardi o un drappello di soldati pur animosi «pour redonner de l’âme à un peuple abattu». Con l’epoca della pirateria barbaresca del Nord Africa ormai al tramonto mentre le navi di Ferdinando II «dalla Real bandiera napolitana coverte» sono impegnate nella lotta contro la tratta degli schiavi, in Calabria è arrivato finalmente il tempo di riconquistare la terra alle colture e risanare le pianure malariche dall’azione devastatrice dei fiumi.


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Presentation

The long land from the saracen charts Ê7 Ê 1/Ê , Ê Ê --Ê ," / ,Ê "1/-/, / Ê/"7 , -Ê/ Ê / ,, From one shore to the other in the Great Inner Sea that does not divide but unites, “daring navigators depart, taking along with them the Gods from their original cities, in search of new lands, where to found new colonies from which temples will be raised.” For Calabria these are invasions of different types of people, attracted by the great forests of pines, oaks, chestnuts all with high treetrunks and Silan pitch that could be used for their ships. Armed to the teeth, the invaders devastate and brutally upset the newfound land, appropriating the Mediterranean trinity: the harvest of golden wheat and the millenarian cultivations of vines and olives. They absorb, assimilate and drive inland the populations which already submit to faraway kings; the bruzis are incapable of resisting the attacks which come from the sea, the crumbling of the fortifications, the fires the massacres, the pillage of their villages. It is the contaminations of encounter/collision between East and West which marks the “Long land.” in the Saracen charts, a wide but fragile and defenceless frontier outstretched on the Mediterranean. From then on ,in the Bruzio territory “myths mingle and religion integrate into one single tissue, which is that of the history of the civilization of the region”, and signs of different culture, alternate in revealing or concealing themselves in the different ways of life of the Calabrese, in the traits of their amazing faces : Greek, Saracen, but also Longobards, Normans or even Albanians. With the continuing changes in language and traditions, joined by a fervent religious feeling, the little towns and villages of Calabria ,where feudalism has never completely disappeared, have so many events to recall noble origins on the complex successions of the scourges of the Muslim raids and the aggressions that came from East and West. From the fall of the Western Roman Empire, the Long land is overturned by a “succession of raids, invasions, external and internal wars, destined to shatter dominations, to overturn equilibriums, to overwhelm dynasties and centres of power, in the search of a balanced order which seems however unreachable”. It is a continuous suffering; for a very long time the Bruzio people searched for a stable government and for governors outside and above the grounds of external domination. “The great games of the present, have often been played, won or lost in the past and the armed presence on the Bruzio territory of Saracens, Eastern Imperial troops, Longobards, Normans, Angevins, Aragonese,

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The feudal overlords and the universities strengthen towers and castles and erect fortifications

With the Aragonese, perils and violence do not end; famine is added to the growing desolation and malaria grows as large zones in the plains are left to the overflowing of torrents. In order to survive, the population forced to defraud in the numbering of the fuochi while the crown extends the already numerous privileges to the feudal class and to the clergy, while the State’s income is insufficient for the economics needs of a prestigious foreign policy and to suppress the frequent baronial rebellions. The external threats continue with the frequent Moslem raids from their ports in North Africa and from the Middle East come the Turkish and Byzantine galleys, sailing the seas at six or nine miles per hour, with the Christian captives at the oars rowing at the beat of the drums from their gaolers who walk up and down the alley of the galleys whipping them relentlessly. When these vessels reach the Calabrese coasts they raid the settlements situated on the Ionian and on the Tyrrhenian seas . The Aragonese try to avoid rebuilding the big new feuds that are capable of competing with the crown and always ready to rise up whenever the favourable occasion occurs .They also raise the tributes that encumber on circulating goods and the duties imposed on food especially those of great consumption, such as oil and wine, and they also resume the notorious collections. Naturally those who pay the most are usually the poor. The one person who speaks up against the high number of privileged and on the meanness of the tax agents, is Saint Francis of Paola; he doesn’t hesitate in denouncing the abuse of power committed at the expense of the poor and in accusing the Aragonese of misgovernment: in his letter written in 1447 A.D. to his influent friend Simeone d’Alimena he remarks that “ a gentleman from Naples, counter of the fuochi in the Province (….) is an annoying person with no discretion, (…) such a man with no reason or sense of charity will be the last ruin (…) of all the other poor Lands in our country.” The great thaumaturgy saint who will join Louis XI in France, to try and save the Catholic Europe from the immense Moslem attack, concludes his writings saying that “ (…) the ministers of the crown, not impiety, which they use continuously against poor persons, widows, wards, cripples and such wretched persons ,those who have reason to be exempted of every burden. Woe to those

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Stories of pirates and corsairs

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Ever since 1535 A.D. the name Saracen will also indicate Turks and Berbers who continue the undertakings of their predecessors. The continuous Turkish raids never encounter any obstacles on land or sea; the naval defensive presence on the Tyrrhenian and on the Ionian is unknown, the garrisons and the coastal fortifications are lacking in manpower and badly armed; they usually have access to only one cannon, but no gunpowder or cannon balls. As soon as the enemy was sighted, militiamen, tower men and horsemen , had the simple job of warning the population of the imminent danger, in order to allow them to leave their villages and take refuge on the mountains, leaving to the Turkish and Berber crews all that they could not take away with them. The defence of the rumi is disconnected and contradictory and the chronicle of the raids is enriched with stories of bloody battles , of legendary characters surrounded by myth ; of stories of pirates and corsairs, of men so faraway and different, of adventures such as those of Kamal Rais, known as the Camalicchio, the nightmare of the Sicilian ,Calabrese and Pugliesi population in the first years of the 16th Cent., of Khair ad-Dais , the most famous corsair in the Turkish empire. Others join the list, with uncertain personalities such as Torghoud raìs Dragut, the terror of the Tyrrhenian, a pirate so fierce that the mere pronouncing of his name made one’s blood run cold, not only to Christian sailors. On the 11th March 1536 Juan Sarmiento inspects the coastal towers, the castles and other works of defence in the region and his report to the king Charles V, states that many fortifications are in a very bad shape, judging some of them such as those of Amantea, Cotrone, Oriolo and Tropea of no military importance and insufficient for defence and for Giuseppe Coniglio the royal report concludes with the hope of ulterior construction of fortified structures, suitable for defending the population living on the coast .In the periods of relative calm, from the growing peril that came from the sea, there are alternating periods of recrudescence of the phenomenon, which induce, in the first half of the 16th Century, the restoration of the ruined towers, as instruments of defence and to rebuild new ones wherever it seemed necessary , especially in those places more vulnerable and exposed, thanks to experience of previous attacks. From 1537 onwards, Charles V, (15001558) the Ruler of the world , convinced that God had invested him with great powers, so as to defend Christianity from the assaults of the Ottoman empire, orders the construction of a flexible system of coastal towers, able to withstand the feared Turkish invasion. The royal order is to realise a formidable defensive range and the viceroy , Pedro di Toledo (1484-1553), starts it off all over the vice realm. In 1559 there is a greater impetus in the reconstruction of the works of defence and the first laws are emanated to repair the damages

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Stone gardens

In the last decades of the 18th Century, according to the notes of Mirella Mafrici, an historian of the castle Art, the decreasing threat of invasions, weakens the Bourbon’s political will to provide to the defence of Calabria and the realm. To emphasise the degradation during the biennium 1806-1807, the Napoleonic and English artillery on the Tyrrhenian coast, dismantle many strongholds such as the ones in Amantea, Fiumefreddo, Cirella and the fort San Michele at Santa Maria del Cedro. During the Jacobin period, the Norman-Swabian castle of Cosenza returns to its original function when Joseph Napoleon Bonaparte enters the city in triumph. The new king of Naples assigns to the magniďŹ cent Bruzio manor a large garrison commanded by general Massena. The realm is divided by the French Jacobin into provinces, districts and communities headed by mayors. In 1810 the next king of Naples Joachim Murat, on occasion of the garrison’s settling into the castle of Cosenza, a garrison made up hundreds of soldiers, climbs with all his military court, the splendid eighteenth century monumental staircase. With the return of the Bourbons, the towers of Calabria are almost all crumbling, and with the rescript of the 21st February 1827, their use is ordered further more, and some are handed over with the surrounding grounds to the managements of war, telegraphs and other state companies. The French conquest of Algeria and the beginning of the European predominance in the Mediterranean, ends the long period of terror, rape, pillage and kidnappings caused by the Berber raids. Once that the function of defence of the towers has lapsed and once they are disarmed with the suppression of the garrisons, all the system of coastal safeguarding surrenders to neglect. Many towers are abandoned, others are granted to private citizens, with the consequential transformations and the variations for civil use; others still are used by the State for the suppression of contraband. The degradation and the abandon of the towers and castles in Calabria is completed by the earthquakes that took place between 1836 and 1870 and also thanks to the negligence of the feudal and middleclass families that own them, and thanks to the downfall of feudalism and to the Unity of Italy. Many fortiďŹ ed structures on the coasts, and castellated residences of the Calabrese small towns, are abandoned and neglected and so become grand “stone gardensâ€?. In the 19th Century the social priest of Acri, Vincenzo Padula, in his book Calabria before and after the Unity, afďŹ rms sadly that “every town has ruins of some castleâ€?. Jean – Marie Roland de la Platière at grips with adventurers and fortiďŹ cations between Capri and the Strait of Messina, observes that it isn’t sufďŹ cient to place a gun-carriage on these bastions or a platoon of brave soldiers “pour redonner de l’à me Ă un people abattu “(to give back spirit to a knocked down population). With the Era of the Berber piracy from North Africa now at an end while the ships of Ferdinand II “of the Royal Neapolitan ag protectedâ€? are engaged in battles against the slave-trade in Calabria, the time has ďŹ nally come to regain the land for cultivation and for the reclamation of marshlands from the devastating action of rivers.

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