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Maledetto Modigliani Modì e le cariatidi
Per il centenario della morte del grande artista, nei cinema di Roma solo per il 12, 13 e 14 ottobre si è proiettato il film documentario “Maledetto Modigliani” , diValeria Parisi. Ripercorrendo la vita di Modigliani attraverso le parole di Jeanne Hébuterne, l’ ultima giovane compagna, lo spettatore viene catapultato nell’arte e nell’essenza di questo grande genio. Modigliani, colui che ha incarnato al meglio il mito bohémien dell’artista geniale e maledetto, l’ebreo italiano colto, dal grande charme, facile agli scatti di collera, alle liti, agli amori tormentati, alle ubriacature, ma anche alle gentilezze. E sempre Modigliani, il maestro dei volti dal collo lungo, dei nudi sinuosi e degli scuri occhi a mandorla. Nel 1906, dopo varie difficoltà causate dalle ristrettezze economiche della famiglia, Modì riesce a trasferirsi a Parigi; nella capitale francese gli atelier di Montparnasse danno vita alle sperimentazioni creative più audaci, mentre di notte i cafè di Montmartre si trasformano nel punto di ritrovo di grandi artisti. Ed è attraverso bistrot, caffè, cabaret, osterie, che in breve tempo Modigliani viene a contatto con le opere di Henry de Toulouse Lautrec e di Cézanne. Conosce inoltre Picasso, Derain,Apollinaire, Rivera e artisti e
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poeti provenienti da tutta Europa. Tra il 1905 e il 1906 a Parigi l’arte africana inizia ad affascinare sempre più gli artisti che, interessati, studiano e rielaborano le nuove forme proposte; un ideale artistico già conosciuto fin dall’Ottocento, ma che solo in quegli anni prende piede. Modigliani, In quest’atmosfera densa di suggestioni, attratto dalla novità, esamina e riadatta l’arte africana, la fa propria, estrapola i vari elementi e li unisce alla sua formazione classica per maturare un genere singolare che sarà evidente fino alle sue opere più mature. Quella che venne definita Art Nègre, e che catturò tutti quegli artisti che ricercavano la purezza ascetica e allegorica, portò Modigliani e i suoi colleghi a spogliarsi e a tornare a uno stato primitivo, mostrando al pubblico la vera essenza di quell’arte ancestrale, quella nascosta, che riguarda il valore dell’anima e della spiritualità. Il viso diventa una maschera ma a Modigliani invece interessa l’anima, quello che una maschera non mostra, l’anima che farà trapelare dagli occhi vuoti e allungati dei suoi soggetti. Da qui nasce l’ossessione di Modì per le cariatidi: la cariatide è un volto visto di fronte o di profilo, estremamente ieratico,
volutamente inespressivo; è la maschera che cela la vera natura dell’individuo. Attraverso questo procedimento creativo Amedeo Modigliani mira a una fisionomia priva di espressione che permette però un’indagine introspettiva più ampia e più profonda; infatti l’osservatore può superare la superficie della maschera e ritrovare se stesso, la propria autentica natura, al di là della soglia, in uno specchio nascosto. Dal 1912 Modigliani si interessa a questo particolare tema delle cariatidi, oggetto di un gruppo di sculture e una decina di oli. Le Cariatidi, le celebri donne di Carie, antica città della Laconia, sostenitrici dei Persiani e fatte prigioniere dagliAteniesi, nella storia dell’arte sono sempre poste a sostegno degli architravi e proprio per questo la cariatide viene intesa come elemento architettonico di sostegno. La novità nelle Cariatidi di Modigliani è che non riprende i soliti modelli greci e romani, ma riscopre la statuaria etrusca e africana, in particolar modo le cariatidi egiziane, dalle quali Modigliani era molto affascinato. Le solite sculture classiche vengono sostituite da forme essenziali, ma forti, espressive, i colori non sono quelli del marmo, ma quelli della terra. E’ così che Modigliani compie la ricerca per semplificare le forme, per raggiungere la purificazione assoluta della linea del corpo umano legandola con gli schemi della figura africana. Nei “nudi” che all’epoca suscitarono grande scalpore, l’artista riprenderà gli stessi concetti, ormai padrone della sua nuovissima ancestrale innovativa arte. Un giorno di gennaio del 1920 Zborowsky trovò Amedeo malato di tubercolosi con accanto la moglie Jeanne, incinta di nove mesi. Il pittore fu ricoverato in ospedale ma la sera del 24 gennaio 1920 morì. Così l’artista che aveva fatto del desiderio di esplorare l’animo umano il centro focale del suo impegno pittorico lasciò il mondo all’età di soli 35 anni. Due giorni dopo la morte del compagno, Jeanne si gettò dal quinto piano della casa di famiglia.
MOA