Riqualificazione e valorizzazione dei laghi di cava

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Riqualificazione e Valorizzazione dei Laghi di Cava a cura di Paolo Castelnovi

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Riqualificazione e Valorizzazione dei Laghi di Cava


Pubblicazione a cura di: Paolo Castelnovi con la collaborazione di: Sergio Bongiovanni, Teresa Corazza, Patrizia Franco, Daria Pizzini Immagini di copertina: Renzo Ribetto, Luca Valente Stampa: Nuova Stampa - Revello (Cn) - www.nuova-stampa.net Finito di stampare: Maggio 2013


Nell’ambito del progetto di cooperazione transfrontaliera italo-francese “Risorsa Monviso”, inserito nel più ampio Piano Integrato Transfrontaliero (PIT) “Monviso: l’Uomo e le Territoire” coordinato dall’Ente Parco del Po Cuneese con il Parc naturel régional du Queyras, l’Ente Parco ha voluto affrontare, tra i molti temi, anche la tematica delle cave esistenti lungo il corso del Po. Grazie al Piano d’Area del Po, approvato dal Consiglio Regionale nel 1995, si è attivato in questi anni un percorso virtuoso di collaborazione fra Regione, Ente Parco e gli imprenditori che operano nel settore di estrazione dei materiali litoidi. Questa pubblicazione ha il pregio di affrontare, in modo organico, tutta la tematica del ripristino ambientale delle cave a partire dall’inquadramento nella pianificazione territoriale, illustrando gli interventi effettuati e le “buone pratiche” per quelli futuri, con l’intento di descrivere al lettore quale sarà l’assetto finale dei luoghi di estrazione, nel momento in cui tutti gli interventi di riqualificazione saranno completati. Non dobbiamo dimenticarci che, nei prossimi anni, molte delle zone in oggetto, completato il loro ciclo produttivo, saranno affidate in proprietà all’Ente Parco, a cui spetterà la gestione per un utilizzo collettivo; una sfida difficile dal punto di vista gestionale, ma anche affascinante e sicuramente con grande beneficio per i cittadini. E’ con piacere, infine, che ringrazio, fra gli altri, gli Imprenditori che gestiscono le cave lungo il territorio di nostra competenza, per la collaborazione e la disponibilità dimostrata negli anni e in particolare nella realizzazione della presente pubblicazione, nonché il Settore Regionale che si occupa da sempre del tema del recupero ambientale delle cave, con grande competenza e professionalità.

Il Presidente Silvano Dovetta



Le cave di sabbia e ghiaia, in Piemonte presenti soprattutto nella pianura alluvionale, necessitano un approccio gestionale in grado di conciliare le esigenze di tutela del territorio e dell’ambiente con quelle socioeconomiche della produzione di materie prime minerarie. Questi obiettivi, che rappresentano un irrinunciabile interesse pubblico, giustificano un intervento di programmazione che si realizza attraverso il coinvolgimento di più soggetti attuatori (Regione, Enti Parco, Comuni e cavatori). Il recupero e il percorso di rinaturalizzazione delle cave nelle aree fluviali protette, tema di questo libro, dimostrano come questa tipologia di interventi consenta, un deciso miglioramento sotto il profilo ambientale e una maggior fruizione e riutilizzo pubblico delle aree. La Regione Piemonte, da decenni, conduce il percorso di riqualificazione delle cave secondo delle ‘buone pratiche’, in linea con quanto avviene nel resto dell’Europa, avendo come principale obiettivo la restituzione al territorio e alla collettività di aree in equilibrio dal punto di vista agro forestale e fruibili da parte pubblica. Le ricche e numerose illustrazioni di questo libro descrivono nel dettaglio il lavoro condotto in questi anni e permettono al lettore di poter vedere i risultati raggiunti che, in stretta correlazione con le diverse caratteristiche ambientali dell’area fluviale del Po si stanno concretizzando anche nel restante territorio della fascia fluviale. Ritengo pertanto che l’opuscolo possa fornire un contributo importante, soprattutto dal punto di vista conoscitivo e informazione, sul percorso di realizzazione di cave realmente sostenibili. Gian Luca Vignale (Assessore al Personale e organizzazione, modernizzazione e innovazione della P.A., parchi, aree protette, attività estrattive, economia montana)


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INTRODUZIONE

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1. IL TERRITORIO

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2. IL FIUME Storia geologica e umana La tutela ambientale Attività estrattive lungo i fiumi

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3. BUONE PRATICHE DI PROGETTO E INTERVENTO Il piano e i progetti Il processo produttivo Interventi di naturalizzazione Il disegno dei laghi In asciutto: praterie e cespuglietti In asciutto aree boscate Le fasce spondali e le zone umide Interventi specifici per la fauna Interventi per la fruizione Accessibilità e percorsi Fruizione dei laghi di cava Birdwatching: gli osservatori Strutture per la didattica e la fruizione Il paesaggio delle attività produttive La gestione delle aree recuperate

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4. LE ATTIVITA’ ESTRATTIVE NELLA PIANA DI SALUZZO: I PROGETTI, LA STORIA Cava Bastie Cava Laurentia Cava Fontane Cava Falè Cave esterne al Piano d’Area

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5. BUONE PRATICHE DI RIQUALIFICAZIONE: CASI ITALIANI E FRANCESI Parco fluviale Isola Giarola Polo Ecologico del Forez Parco etnografico Bosco di Rubano Sito di Bernières-sur-Seine

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Bibliografia e riferimenti

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Introduzione

La prima piana del Po, da Saluzzo a Torino, ha tutte le caratteristiche del resto della pianura padana, con una cosa in più, poco appariscente ma importante: riposa sul miglior giacimento di ghiaie d’Italia, il più ricco e soprattutto ottimo per la qualità produttiva. Non per caso una ventina di importanti attività estrattive si sono situate lungo quel tratto di fascia fluviale, e la loro attività negli ultimi vent’anni, in parte condizionata dalla “convivenza” con gli enti di gestione dell’area protetta, è argomento interessante di un racconto e di una riflessione, che in questo libretto si comincia a delineare. Il soggetto del racconto è l’impresa collettiva che risulta come prodotto, solo in parte consapevole, del lavoro (in parte contrastante e in parte convergente) di molti uomini, delle loro istituzioni e delle loro aziende, strette in una relazione che in una prima fase sembrava costrittiva, ma che si sta dimostrando nel tempo proficua e sostenibile. È l’impresa che in vent’anni ha condotto le attività estrattive in acqua da un ruolo “corsaro”, di profitto a scapito degli equilibri ambientali e della sicurezza idraulica del territorio, ad una funzione di sostegno, fondamentale per le strategie della rete ecologica regionale e della valorizzazione del fiume. La riflessione che consegue al racconto porta da una parte ad individuare le prospettive per migliorare gli effetti di questa alleanza, da estendere nello spazio e soprattutto nel tempo, e dall’altra a proporre queste storie d’impresa come modello di buone pratiche procedurali e imprenditoriali, da riprodurre in altri contesti, con le adeguate differenze, ma alla ricerca di risultati analoghi. L’occasione di un approfondimento sul tratto del Po saluzzese, da raccontare ad un lettore non tecnico e non conoscitore in dettaglio delle situazioni, rivela un mondo complesso, in cui emergono i fattori culturali che sono stati alla base delle innovazioni di progetto e di atteggiamento degli operatori, pubblici e privati: • una lettura della specificità dei luoghi, in cui si inseriscono tecniche e processi produttivi molto standardizzati. La capacità di valutare le caratteristiche (sia in termini di risorse che in termini di debolezze e criticità) dei contesti in cui si sviluppa l’attività estrattiva costituisce una parte rilevante della qualità dei progetti. Nei progetti si deve riuscire a indirizzare una pratica operativa piuttosto rigida, finora indirizzata solo alla produzione di inerti, ad obiettivi ogni volta sfaccettati, che riguardano risorse ambientali molto delicate, paesaggi trascurati da valorizzare, reti di relazioni territoriali da ricostruire; • una capacità di inserimento, nei progetti, di attenzioni non solo per gli aspetti ambientali (il rispetto e la valorizzazione dei fattori fondamentali delle riserve, dei sic, etc.), ma anche per quelli paesistici e culturali. L’attrattiva dei luoghi è 10


connessa ad un insieme di offerte variate, che solo nel loro insieme possono generare un effetto di rete per itinerari turistici. E sulla potenzialità turistica si può costruire uno sbocco allo sviluppo locale integrativo all’attività estrattiva, attivando una dinamica simile a quella che si è delineata per le attività agrituristiche: pensate inizialmente come complemento dell’attività agricola, e diventate via via sempre più incisive nel quadro produttivo dell’azienda stessa; • un’attenzione agli aspetti di processo, di gestione, di attuazione nel periodo lungo e lunghissimo. Le attività estrattive sono tra le uniche, insieme a quelle dell’agricoltura specializzata, che sono abituate a mirare a risultati che si consolidano nel lungo periodo. Con quel tipo di imprenditori è possibile concordare su progetti venti o trentennali, in cui la capacità di organizzazione stabile e sostenibile deve essere posta al centro del progetto e del convenzionamento pubblico-privato. Con programmi di lungo periodo è più facile impegnarsi in equilibri di fattibilità e di sostenibilità degli interventi, e dall’altro ricercare una compatibilità permanente tra attività produttiva e qualificazione ambientale e paesistica. Questa è solo una delle regole che, nel piano del Parco, definiscono i termini delle convenzioni per il proseguimento dell’attività estrattiva, e che sono state imposte ai cavatori della fascia fluviale del Po. Solo così si è superata la prima generazione di convenzioni, ancora viva in molti territori della Regione, per cui l’attività di recupero si attua solo a cava cessata, con il rischio che non si realizzi mai, e comunque con un rinvio lunghissimo dei benefici collettivi degli interventi. Dai validi risultati che si stanno raggiungendo dentro l’area protetta sembra conveniente e forse d’obbligo (almeno per assicurare un equilibrio di mercato) assumere come modello quel tipo di procedure, di progetti e di modalità gestionali, estendendole a tutti i territori, anche non protetti. Ormai cominciamo a vedere gli effetti delle attuazioni dei recuperi previsti nelle convenzioni delle aziende estrattive, e verifichiamo che quegli interventi sono praticamente gli unici ad avere prodotto risultati significativi per la qualificazione ambientale dei territori di pianura negli ultimi 20 anni. Infatti agli interventi di sistemazione naturalistica derivanti dalle attività estrattive si devono gli unici lembi di rete ambientale lungo i fiumi, in assenza del contributo delle politiche agrarie (di cui pure sono disponibili norme nella PAC, ma non si contano buone pratiche sufficientemente testate e condivise), in assenza di attenzione da parte dell’urbanistica, che della parte rurale si occupa solo per limitare gli usi non agricoli, lasciando alle infrastrutture o all’agricoltura mano libera, di alterare il paesaggio o di costruire in modo casuale attrezzature “rurali” sempre più simili a capannoni industriali. 11


1. Il Territorio Il Po termina il suo percorso montano sfociando sul “terrazzo” di Saluzzo, circondato dalle prime dolci pendici montane, con uno scenario di fondo dominato dal massiccio del Monviso. L’ambito costituisce lo sbocco baricentrico di tre valli, incise dal Po, dal Bronda e dal Varaita, più a sud. Strutturano il paesaggio, oltre agli sfondi montani, i riferimenti visivi alla media distanza, costituiti sia dai castelli sui rilievi sia dal centro storico di Saluzzo, disposto sul vertice settentrionale del basso rilievo che separa la valle Bronda dalla piana. Il terrazzo di Saluzzo si presenta come una piana con caratteri del paesaggio agrario propri, grazie alla prossimità con la città, che ha ridotto il processo di abbandono delle terre e ha consolidato il ruolo della frutticultura, rilevante a livello regionale, valorizzando in questo modo terre evolute su conoidi accumulatesi allo sbocco delle valli alpine e sui terrazzi immediatamente sottostanti. I due alvei alluvionali racchiusi in questo ambito di paesaggio, quello del Po a nord di Saluzzo e quello del Varaita tra Verzuolo e Costigliole Saluzzo si presentano poco depressi nella pianura, con deboli scarpate che li separano dal piano del terrazzo. Nella fascia fluviale dominano le coltivazioni prevalenti nella pianura cuneese, con alternanza di mais e pioppo, mentre i corsi d’acqua sono solo orlati, e non in modo continuo, di alberature idrofile. 12


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La storica polarizzazione di Saluzzo, sede della corte dell’antico marchesato autonomo fino alla annessione sabauda all’inizio del 17° secolo, si estende ad un sistema territoriale che è organizzato a corona sul capoluogo. La piana fertile è insediata con ricche cascine e nuclei rurali minimi ma di antica formazione, segnata ai bordi da una corona di centri fortificati (Envie, Revello sulla fascia pedemontana; Torre S.Giorgio, Scarnafigi, Lagnasco a est). A nord di Revello sorge l’Abbazia cistercense di Staffarda, che ebbe grande importanza nella bonifica delle terre paludose o incolte. Il complesso abbaziale, del tardo ‘300, è connesso con grandi tenimenti, in parte tuttora boscati, costituendo un bene naturalistico raro in un piana intensamente coltivata: una stepping stone isolata della rete ecologica che ha un’asta principale lungo il Po. I progressivi irrobustimenti del sistema stradale, sino al recentissimo potenziamento della SS.589, che collega Saluzzo a Pinerolo, hanno aumentato la domanda insediativa, soprattutto per le attività produttive, che necessitano di una buona accessibilità per le merci e le lavorazioni, e l’area pedemontana è stata progressivamente interessata da urbanizzazioni lineari. Il capoluogo, dopo l’espansione tra XIX e XX secolo al piede del versante su cui si è storicamente costruito il nucleo centrale, si è sviluppato recentemente con insediamenti residenziali e impianti produttivi e 14

terziari soprattutto lungo la direttrice pedemontana verso Manta, con episodi di alto impatto visivo, rilevante dai punti panoramici collinari. In ogni caso, l’insediamento lineare pedemontano sta distruggendo l’organica relazione dei centri posti sul primo rilievo rispetto alla strada di bordo, e da alcuni anni si stanno occludendo anche le possibilità di fruizione continua della piana agricola a est del Varaita. Sui rilievi progredisce, anche se con una certa lentezza, l’abbandono degli insediamenti isolati e delle coltivazioni e cresce il bosco, soprattutto nelle parti meno soleggiate. Nella piana progredisce la distruzione del tessuto agricolo storico dovuta in parte allo sfruttamento intensivo degli impianti di frutticoltura, in parte alla coltura del mais, che è di fatto è la prima causa di banalizzazione del paesaggio, cancellandone i segni naturali e storici: dislivelli, vegetazione lineare lungo i piccoli corsi d’acqua, siepi di confine, filari. Anche il paesaggio percettivo si è impoverito, con la scomparsa della fitta trama di filari che orlavano strade e canali, o con l’introduzione di specifiche modalità colturali: al paesaggio fiorito della frutticoltura di rosacee si sta sostituendo il kiwi, che non fiorisce; si stanno utilizzando in modo generalizzato le reti antigrandine per la protezione dei raccolti, che creano un impatto visivo simile a quello delle serre.


La bassa Valle Po vista da Pian Munè (foto: De Casa)

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Il Piano paesaggistico regionale, in corso di approvazione, è l’unico strumento di governo del territorio che, pur ad una scala molto ampia e quindi sommaria, legge, tutela e valorizza gli aspetti qualitativi (e per contro affronta quelli critici) dell’intero contesto ambientale e culturale, con un’ottica omogenea, derivata da un’indagine integrata multidisciplinare, che ha investito gli aspetti geomorfologici, ecologici, agronomici, storico-culturali, semiologici e percettivi del paesaggio. Il territorio è stato suddiviso in ambiti caratterizzati, e la piana di Saluzzo, con il primo tratto di pianura del Po è compresa nell’ambito 47 (Saluzzo). La cartografia di piano, qui riprodotta per l’ambito, evidenzia una struttura del paesaggio in cui emergono alcuni aspetti caratterizzati: • l’importanza delle fasce fluviali (sia del Po che degli affluenti), in azzurro in carta), a cui si accompagnano numerosi corsi d’acqua minori, trascurabili per gli apporti idrici ma potenzialmente significativi nel segno sinuoso della pur ridotta fascia vegetata; • la relazione sistematica tra i centri “rivieraschi” storicamente consolidati (segnati con quadratino), a partire da Saluzzo (l’unico che ha una localizzazione pedemontana) a Moretta, a Cardè, Faule e Casalgrasso, allineati lungo percorsi storici frequentemente attraversanti i fiumi; • il ruolo d’eccellenza dell’ambito di paesaggio storico in sinistra Po sino a Cavour, caratterizzato dall’Abbazia di Staffarda e i suoi tenimenti e dall’ordinamento medievale delle coltivazioni di bonifica intorno a Cavour (in tratteggio rosso); • il diffuso interesse agronomico del paesaggio coltivato, connotato storicamente da filari lungostrada e da ordinamenti colturali variegati (vite, frutta) (il tratteggio verde rado) e la ricchezza di cascine di interesse storico, in particolare nell’intorno immediato di Saluzzo (i rombi rossi).

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Piano Paesaggistico Regionale. Tavola P.4.5. Componenti paesaggistiche

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2. Il Fiume

Storia geologica ed umana Il Po rallenta la sua corsa progressivamente, uscendo dalla valle montana. Convenzionalmente si assume che inizi il percorso di pianura all’altezza di Martiniana, dove a nord termina il contrafforte della valle e si riduce la pendenza del conoide, sfociando sul terrazzo di Saluzzo. Dalla relazione di accompagnamento del Piano di assetto idrogeologico: “Nel tratto Martiniana Po-Staffarda la morfologia dell’alveo, è caratterizzata da un letto largo, a canali intrecciati, molto instabile; nell’area golenale si hanno canali secondari abbandonati sia in destra che in sinistra. Le caratteristiche prevalenti sono quelle di un alveo torrentizio con accentuati fenomeni di trasporto solido anche connessi alla formazione di banchi e/o isole. Verso la parte finale del tratto il corso d’acqua assume caratteri di transizione tra alveo torrentizio e alveo fluviale e cominciano per tratti opere di difesa spondale. La sezione ha geometria molto variabile, con larghezza mediamente compresa tra 20 e 100 m e profondità modesta (1.5-2.0 m); diventa maggiormente incassata, restringendosi, man mano che si procede verso il ponte della SS 589, in prossimità dell’Abbazia di Staffarda. Nel tratto tra Staffarda e confluenza Pellice l’alveo è monocursale sinuoso, con tratti a tendenza meandriforme; in prossimità dell’immissione del Pellice vi sono diversi meandri fortemente 18

irregolari, con una maggiore instabilità. La golena è interessata da numerosi paleoalvei, sia in sinistra che in destra. I processi erosivi di sponda sono di entità relativamente modesta a eccezione della zona di confluenza del Pellice. La geometria è piuttosto regolare, con larghezza media di 3040 m e profondità di 4-5 m. Le opere di difesa spondale sono limitate alla protezione di alcune infrastrutture viarie e delle curve più pronunciate. Nel tratto successivo l’alveo è monocursale meandriforme fino alla confluenza del Varaita, caratterizzato da una marcata instabilità parzialmente controllata da difese spondali, in particolare immediatamente a valle della confluenza del Pellice, confermata dalla rapida evoluzione a cui sono andati soggetti i meandri (vedi la pagina seguente, con le riproduzioni di carte IGM 1880 e 1960, da cui emerge il movimento dei meandri nel tratto di Po riquadrato nella carta a fianco). La sezione si mantiene di dimensioni pressoché uniformi, con larghezza compresa tra 60 e 100 m e profondità di 5-7 m. A valle dell’immissione del Varaita (Casalgrasso, Pancalieri) l’alveo diventa prevalentemente rettilineo, a seguito del taglio artificiale di numerose anse e meandri attuato nel secolo scorso, per allontanare il corso d’acqua dai centri abitati. La sezione ha una geometria abbastanza regolare; con quote di fondo vincolate da una briglia a valle del ponte di Casalgrasso.”


corso d’acqua

porto

ponte

2007 [Ortofoto Geoportale Naionale, volo 2007] 1991 [Carta tecnica Regionale, 1991] 1960 [Carta IGM - Impianto storico, 1955 - 1969]

1854 [Carta Degli Stati Sardi in Terraferma di Sardegna, 1854] 1816 [Gran Carta degli Stati Sardi in Terraferma, 1816-1830] Paleoalvei

Fascia A del PAI Fascia B del PAI Fascia C del PAI

Divagazioni del Po 1816-2007 leggibili attraverso il confronto tra carte storiche

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Divagazioni del Po e del Pellice alla confluenza, confronto tra carte IGM 1880 e 1960

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Le variazioni planimetriche dell’alveo del Po possono essere ricostruite mediante un esame della documentazione cartografica apparsa in questi ultimi due secoli. I primi documenti in grado di consentire una certa ricostruzione dei tracciati fluviali sono costituiti dalla “Carta degli Stati Sardi di Terraferma”, alla scala 1:50.000, redatta dall’esercito regio nel primo quarto del XIX secolo. Comunque una sufficiente precisione, che assicura la confrontabilità di diverse carte, si ottiene solo dopo l’Unità d’Italia: a partire dal 1880 l’IGM pubblica la cartografia topografica ufficiale, in scala 1:25.000.

2007 [Ortofoto Geoportale Naionale, volo 2007]

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L’IGM ha aggiornato sistematicamente le proprie carte, per la serie diacronica qui sovrapposta a quella del 1880 si è scelta la carta dei primi anni ’60 del ‘900, riportando i tracciati sulla base della Carta tecnica regionale (CTR) dei primi anni ’90, e completando la serie con il tracciato degli alvei desunto dall’ortofoto disponibile presso il Geoportale nazionale, del 2007. La carta inquadra il Po e le confluenze con il tratto terminale del Fiume Pellice (affluente di sinistra) e del Varaita (di destra). Come risulta evidente nel tratto il Po è incassato e non ha energia sufficiente per imporre

1991 [Carta tecnica Regionale, 1991]

1960 [Carta IGM , 1955 - 1969]


pesanti divagazioni, che invece caratterizzano il tratto terminale del Pellice, e di conseguenza il fiume maggiore nei primi chilometri dopo la confluenza. Dal confronto tra i diversi assetti degli alvei nel tempo risultano chiaramente i segni che i movimenti dei fiumi lasciano sul terreno, costituendo un ambito lineare, che coinvolge una fascia ampia, ben maggiore di quella costituita dagli attuali alvei. Il paesaggio della fascia fluviale è caratterizzato dalla presenza di elementi curvilinei, ben distinguibili quando sottolineati da alberature, che sono i segni relitti ma ancora leggibili dei paleoalvei (le linee

1880 [Carta IGM , 1880]

curve in verde), anse una volta percorse dal fiume. La fascia fluviale è priva di insediamenti, poco percorsa da infrastrutture che non siano connesse alle attività spondali o ai transiti obbligati, con ponti o traghetti. Il tratto d’alveo rettilineo, a valle della confluenza del Varaita, è frutto di un allineamento, voluto nella prima metà dell’800, per assicurare dalle alluvioni il Ponte di Casalgrasso.

1816 [Gran Carta degli Stati Sardi in Terraferma, 1816-1830]

Paleoalvei

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Infatti più il corso d’acqua è rettilineo e preme meno sulle sponde laterali. Ma dove il fiume non è confinato artificialmente, l’energia diversamente distribuita delle acque e la diversa resistenza dei terreni facilitano i cambiamenti di direzione, in prima fase casuali, e poi segnati da incisioni sempre maggiori. Nelle curve di cambiamento di direzione, la forza centrifuga della corrente è maggiore verso l’esterno, con il risultato di erodere la sponda, mentre si depositano limi e ghiaie all’interno, dove la velocità è minore. Quindi i meandri comportano naturalmente una progressiva erosione nei punti più fragili, fino al “salto”, che comporta un nuovo allineamento del corpo idrico, con maggiore energia, e quindi lo spostamento della pressione più a valle, a formare nuove sinuosità. Il salto di meandro fa passare la maggior parte del corpo idrico lungo il

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nuovo percorso, più breve e quindi più pendente, provocando nell’ansa abbandonata dalla corrente un progressivo impaludamento: la formazione di lanche che nel periodo di 50/70 anni si riempiono e vengono infine utilizzate a scopi agricoli, residuando solo la forma curvilinea della sponda antica (i paleoalvei evidenti lungo la fascia). E’ evidente che l’ampia fascia laterale all’alveo, percorsa dal movimento recente dei meandri ospita i depositi alluvionali più accessibili dal piano di campagna, pur insistendo su un “materasso” di ghiaie di profondità omogenea, del tutto simile a quello che si registrerebbe scavando direttamente in alveo. Questo spiega la disponibilità a rilocalizzarsi lungo la fascia delle attività estrattive, allontanate qualche decennio fa dall’alveo, per la pericolosità delle alterazioni di quota lungo il percorso delle acque vive.


La formazione delle lanche provocate dai salti di meandro

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I confini comunali, quasi sempre secolari, sono collocati sull’andamento del fiume in epoche passate e rivelano oggi l’ampiezza della fascia di divagazione dell’alveo, contrappuntati dai piloni votivi e dalle cappelle, tradizionalmente poste sul primo contrafforte

non toccato dalle inondazioni, quasi a segnare il bordo delle terre abitabili, ancora verificato, alla luce delle recenti alluvioni catastrofiche, e quindi il fronte delle terre “di mezzo” non più del fiume e non ancora completamente dell’uomo.

Stralcio Carta Topografica degli Stati in Terraferma di S.M. di Sardegna, Corpo Reale dello Stato Maggiore, 1854

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Infatti le aree abbandonate dal fiume si interrano lentamente. In una fase di grande interesse per la biodiversitĂ e di nessun interesse per le attivitĂ umane le zone umide si coprono di vegetazione spontanea e vengono prima colonizzate da coltivi, a basso reddito (in

particolare pioppete), per la bassa fertilitĂ e la troppa umiditĂ della cotica superficiale, mentre si integrano pienamente con il resto della piana solo nel secolo successivo. Continuamente percorse da processi trasformativi potenti, tra uomo

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e natura, le fasce fluviali sono storicamente poco interessate da processi insediativi stabili. Era comunque necessario dotare di attrezzature per lo scavalco del fiume le vie di comunicazione che collegavano i centri maggiori (tutti in sicurezza, sui terrazzi argillosi pedemontani o sui loro relitti di “vauda”). Dove la strada intercettava un fiume trovando un sito favorevole per la posizione e la potenza delle acque, si predisponevano passi da guadare. Dove la potenza delle acque riduceva troppo il periodo sicuro per i guadi, come lungo il Po, erano attrezzati traghetti (e i relativi attracchi, chiamati “porti”). Le tracce dei “porti” sono spesso ancora leggibili e in alcuni casi gli attracchi sono ancora utilizzabili. Un traghetto tipo “era formato da due barche accostate o da una sola,

grande, sulle quali veniva costruito un impalcato con una baracca. L’ancoraggio era effettuato tramite un pilotto di legno piantato al centro del corso del fiume, al quale era legata una corda collegata alle baracche del porto sull’una e l’altra riva. Una barca sussidiaria, più piccola, veniva posta a metà del tiro di corda” [dal museo civico di Carignano] Dove l’importanza della strada imponeva una transitabilità permanente, si sono realizzati ponti, prima in legno, poi, in muratura, in modo diffuso solo a partire dal secolo XIX. In questo periodo talvolta si interviene pesantemente sul fiume, come accade a Casalgrasso per la strada militare, assestando e rettificando l’alveo a monte e a valle, per garantire la sicurezza e la durabilità del ponte.

Il porto e il traghetto di Pancalieri ai primi del ‘900 (Archivio privato)

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Carta Topografica [...] 1854, con indicazione delle strade di collegamento principali e secondarie, dei punti di attraversamento dei corsi d’acqua (porti, guadi, ponti) e dei boschi

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La tutela ambientale La Regione Piemonte protegge con un Parco l’intera asta del Po che interessa il suo territorio, sin dal 1990. Nel tratto di pianura il Parco istituito ha interessato una fascia fluviale abbastanza ampia, per lo più confinata dai segni dei paleoalvei che definiscono il campo di gioco della sinuosità “recente” del fiume. Alla fascia fluviale si sono aggiunti i limitrofi tenimenti dell’Abbazia di Staffarda, con significative parti boscate, che costituiscono l’ultimo relitto dei vasti boschi planiziali del terrazzo (lontani dal fiume) ormai da molto tempo sostituiti da coltivi o frutteti. Nell’area protetta regionale ricadono i Siti di interesse comunitario (SIC), selezionati nell’ambito del progetto europeo Natura 2000 per specifiche situazioni (le confluenze degli affluenti: Bronda, Pellice, Varaita), o endemismi (Boschi e chirotteri a Staffarda) classificati di interesse regionale (SIR). Ad oltre 20 anni dalla sua istituzione, l’area protetta del Po cuneese (come tutte le altre aree protette regionali) è stata inserita entro la rete ecologica, con L.R.26/2009. Ai fini della protezione della natura e della funzionalità della rete ecologica, la legge distingue diversi tipi di zone da proteggere: parchi naturali e riserve, naturali o speciali, identificate con una severa selezione tra le aree che effettivamente presentano oggi aspetti di qualificazione ambientale che le rendano “core 30

area” ai fini della rete ecologica. Le Riserve naturali che nella legge regionale si sono identificate corrispondono ai SIC nelle fasce di confluenza fluviale, già classificati con Natura 2000. Oltre ad essi sono classificati come riserva un tratto di Po in località Paracollo (comuni di Revello e Saluzzo) e l’area estrattiva Fontane, in recupero ambientale (comune di Faule e Pancalieri), come illustrato dalle schede riportate di seguito. Inoltre si sono identificate come Zone naturali di salvaguardia, le parti delle aree protette preesistenti che non sono state classificate come parchi naturali o riserve. Una successiva sentenza della corte costituzionale ha bocciato la possibilità di definire le aree naturali di salvaguardia (in cui la legge regionale ammette la caccia) come una delle tipologie di zone facenti parte delle aree protette. Quindi ad oggi, data la illegittimità della definizione delle aree di salvaguardia, le aree protette regionali si limitano alle parti definite riserve (naturali o speciali) e ai parchi naturali, mentre le rimanenti parti istituite come aree protette negli anni precedenti il 2000 sono considerate Zone contigue all’area protetta, sottoposte ad un blando regime di attenzione e di promozione di attività di qualificazione da parte dell’ente Parco. E’ comunque fatta salva l’osservanza di piani ambientali o d’area, che continuano ad essere vigenti, come quello per le aree protette della fascia fluviale del Po.


Riserva Naturale

Confluenza Varaita

Zona umida di Zucchea [SIR]

Bosco di Vigone [SIR]

[SIC IT1160013 ]

Riserva Naturale

Confluenza del Pellice [SIC IT1110015]

Riserva Naturale

Fontane

Bosco e colonia di Chirotteri di Staffarda [SIR]

aree contigue della fascia fluviale del Po cuneese

Riserva Naturale

Paracollo, Ponte pesci vivi

Riserva Naturale

Confluenza del Bronda [SIC IT1160009 ]

riserve naturali (ente di gestione aree protette del Po cuneese)

Rete Natura 2000 SIC (Siti di Importanza Comunitaria)

aree boscate e/o a gestione naturalistica

aree contigue della fascia fluviale del Po tratto cuneese

SIR (Siti di Importanza Regionale)

bacini di cava

formazioni vegetazionali lineari

Elementi della rete ecologica della pianura del Po cuneese, classificati ai sensi L.R. 26/2009

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Riserva naturale della CONFLUENZA PO-BRONDA SIC Comuni Superficie Ambiente

Confluenza Po-Bronda (Foto: A.Gaggino)

IT1160009 Revello, Saluzzo (CN) 136 ha area di greto colonizzata da vegetazione erbacea e cespugliosa sommersa durante le piene. Nei pressi della confluenza boscaglie di salici e robinie costituiscono un rifugio per la fauna, in un’area dominata dall’attività agricola a prevalenza di seminativi, pioppeti e frutteti.

Fauna ittica trota marmorata (Salmo marmoratus) vairone (Leuciscus souffia) sanguinerola (Phoxinus phoxinus) lasca (Chondrostoma genei) barbo (Barbus plebejus) anfibia tritone crestato (triturus carnifex) tritone punteggiato (triturus vulgaris meridionalis) lucertola muraiola (Podarcis muralis) avicola corriere piccolo (Charadrius dubius) piro piro piccolo (Actitis hypoleucos) garzetta (Egretta garzetta) averla piccola (Lanius collurio) invertebrata Sympetrum pedemontanum Orthetrum albistylum. Vegatazione riparia a salice bianco (Salix alba)

Confluenza Po-Bronda (Foto: R.Ribetto)

Riserva naturale di PARACOLLO PONTE PESCI VIVI Comuni Revello, Saluzzo (CN) Superficie 19 ha Ambiente tratto strettamente di pertinenza fluviale con presenza di alcune zone umide caratterizzate da una notevole ricchezza di flora acquatica, abitata da numerose specie di anurudi. Nell’area è presente una cascina ristrutturata, adibita a struttura ricettiva e didattica in gestione agli Amici del Po (Villafranca P.te).

Paracollo (Foto: R.Ribetto)

Riserva Naturale FONTANE Comuni Faule (CN), Pancalieri (TO) Superficie 58 ha Ambiente zona caratterizzata dalla presenza di un sito estrattivo con progetto di rinaturalizzazione in corso di realizzazione. Nella fascia compresa tra il fiume e il sito di cava è stato attivato un intervento di rimboschimento, la ricostituzione della situazione vegetazionale spontanea di ripa.

Fontane (Foto: R.Ribetto)

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Riserva naturale della CONFLUENZA DEL PELLICE SIC Comuni Superficie Ambiente

IT1110015 Faule (CN), Pancalieri, Villafranca P.te(TO) 145 ha zona di confluenza tra corsi d’acqua di quasi pari grado, a valle della quale il Po acquista l’aspetto di fiume. Le sponde sono costituite da fascia di bosco ripariale, interrotta solo in corrispondenza della confluenza da una ristretta area di greto

Fauna ittioca trota marmorata (Salmo marmoratus) vairone (Leuciscus souffia) savetta (Chondrostoma soetta) lasca (Chondrostoma genei) barbo (Barbus plebejus e meridionalis) barbo canino (Barbus meridionalis) cobite (Cobitis taenia) scazzone (Cottus gobio) anfibia lampreda padana (Lethenteron zanandreai) rana di Lessona (Rana lessonae) ramarro (Lacerta bilineata) avicola totano moro (Tringa erythropus) gambecchio (Calidris minuta) garzetta (Egretta garzetta) airone rosso (Ardea purpurea) martin pescatore (Alcedo attui) Vegetazione pioniera dei banchi fangosi riparia legnosa a salici (Salix eleagnos, S. purpurea, S. triandra)

Confluenza Pellice (Foto: R.Ribetto)

Confluenza Pellice (Foto: R.Ribetto)

Riserva naturale della CONFLUENZA VARAITA SIC IT1160013 Comuni Casalgrasso, Faule, Polonghera (CN), Pancalieri (TO) Superficie 170 ha Ambiente zona di confluenza caratterizzata dalla presenza di una esigua fascia boscata di tipo ripariale, saliceti ad alto fusto e robinieti lungo le sponde, l’area esterna alla confluenza è a prevalenza agricola con zone a seminativi, prati stabili e pioppeti. Fauna ittica lampreda (Lethenteron zanandreai) luccio(Esox lucius) scazzone (Cottus gobio) Confluenza Varaita (Foto: R.Ribetto) ghiozzo di fiume (Padogobius martensi) trota marmorata (Salmo marmoratus) anfibia raganella italiana (Hyla intermedia) rana dalmatina (Rana dalmatina) rana di Lessona (Rana lessonae) ramarro (Lacerta bilineata) lucertola muraiola (Podarcis muralis) avicola totano moro (Tringa erythropus) gambecchio (Calidris minuta) garzetta (Egretta garzetta) airone rosso (Ardea purpurea) martin pescatore (Alcedo atthis) Vegetazione riparia a salice bianco (Salix alba) del Ranunculion fluitantis e CallitrichoBatrachion

Confluenza Varaita (Foto: R.Ribetto)

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Piano d’area e Progetto territoriale operativo del Po nel tratto cuneese di pianura

LIMITEDEL SISTEMADELLE AREE PROTETTE L.R. 28/90 E S.M.I LIMITE RISERVA NATURALE SPECIALE L.R. 28/90 E S.M.I FASCIA DI PERTINENZA FLUVIALE - art. 2.2

ARTICOLAZIONI IN ZONE - da 1 a 313 - art. 2.3 Zone di interesse naturalistico - art. 2.4 N1 - Zone di primario interesse N2 - Zone di integrazione tra aree naturali ed agrarie N3 - Zone di potenziale interesse Zone di prevalente interesse agricolo - art. 2.5 A1 - Zone senza sostanziali limitazioni all’uso agricolo A2 - Zone con parziali limitazioni all’uso agricolo A3 - Zone con forti limitazioni all’uso agricolo Zone urbanizzate - art. 2.6 U1 - Zone urbane consolidate U2 - Zone di sviluppo urbanolo U3 - Zone per impianti produttivi o specialistici di livello territoriale T - Zone di trasformazione orientata EMERGENZE DEL SISTEMA NATURALISTICO - art. 3.3 Lanche Boschi Sito ad alta concentrazione di specie faunistiche rare Garzaie Siti di interesse geologico Principali corridoi ecologici Reticolo ecologico minore

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AREE ED ELEMENTI DI SPECIFICO INTERESSE STORICOARTISTICO-CULTURALE-PAESAGGISTICO - art. 3.7 Centri e nuclei storici Emergenze architettoniche di rilevante interesse storico-culturale Beni di interesse documentario e di architettura minore Annucleamenti rurali Siti di interesse archeologico Percorsi storici accertati Percorsi panoramici collinari AREE DEGRADATE - INSEDIAMENTI MARGINALI E AMBIENTALI - art. 3.11 Insediamenti arteriali Baracche fluviali Principali aree degradate STRADE, PERCORSI E CIRCUITI DI ACCESSO E DI FRUIZIONE - art. 3.8 Ferrovie e stazioni di interesse del Parco Autostrade e superstrade Assi portanti del sistema di accessibilità Percorsi di connessione secondaria e di accessibilità al fiume Attestamenti del sistema di accessibilità

Il Piano d’area del Po, approvato nel 1995 per tutta l’asta piemontese del fiume, è ad oggi l’unico strumento pubblico che assicura un’attenzione senza soluzioni di continuità lungo la fascia fluviale, in modo da farle svolgere un effettivo ruolo di asta di connessione della rete ecologica, in un territorio intensamente sfruttato dall’agricoltura intensiva e quindi ecologicamente poco permeabile. Accompagnava il Piano d’area un Piano territoriale operativo (PTO), oggi decaduto, redatto ai sensi della legge urbanistica regionale, che individuava gli interventi infrastrutturali e di gestione urbanistica di maggior peso, da realizzare per completare le strategie di valorizzazione e tutela della fascia fluviale. Il Piano d’area individua in modo articolato le aree sottoposte a diversa disciplina di attenzione, di fatto separando l’area considerata “pertinenza fluviale”, da restituire al paesaggio e alla vegetazione spontanea, dalle aree rurali o insediate del contesto, che dovrebbero essere semplicemente “allertate” della presenza delle risorse ambientali. In tali aree il piano raccomanda da una parte la permeabilità ambientale negli usi rurali e dall’altra un’attenzione specifica alle situazioni critiche e agli inserimenti paesistico ambientali delle trasformazioni funzionali. Nel Piano d’area il primo tratto di Po di pianura non risultano situazioni gravemente problematiche, anzi, le modeste risorse ambientali evidenziate come zone N, di interesse naturalistico, sono per lo più state riprese come siti di interesse comunitario. D’altra parte, i riquadri in cartografia segnalano le aree dove sono concentrate le attività estrattive, posizionate immediatamente a valle delle zone di confluenza, per gli apporti di materiale recati dagli affluenti, e quindi, e coincidenti aree di interesse naturalistico.

Percorsi di fruizione Traghetti, porti natanti, guadi, passerelle pedonali ATTREZZATURE PER LA FRUIZIONE STRUTTURE DI INTERESSE DEL PARCO - art. 3.9 Attrezzature del sistema di fruizione Strutture di interesse del Parco STRUMENTI ATTUATIVI - art. 4.1 Ambiti relativi alle schede progettuali e agli schemi grafici illustrativi - art. 4.1.3

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Il Piano d’area dedica un’attenzione particolare al tema delle attività estrattive in zona parco, curandone gli aspetti gestionali e il processo di sistemazione. Una norma di attuazione prevede il progressivo allontanamento delle attività produttive esistenti, e soprattutto vieta l’apertura di nuove attività; ad essa si accompagnano però le indicazioni sulla contrattualizzazione dei recuperi ambientali conseguenti alla fine delle coltivazioni di cava. Infatti il piano agisce sul doppio registro, di disciplina regolativa e di incentivo alla sistemazione, in modo che l’intero processo di conclusione dell’attività estrattiva si risolva in opere di sistemazione qualificate e non richiedano ulteriori costi per interventi di bonifica o recupero a carico della mano pubblica. Le indicazioni generali per il recupero (e il contestuale prolungamento dell’attività estrattiva sino ad un massimo di 20-22 anni) sono contenute in una normativa dettagliata che definisce anche i contenuti della convenzione che accompagna gli accordi tra Parco, Comuni e operatori, e in una serie di schemi cartografici di dettaglio, indicativi delle potenzialità e dei limiti posti nei siti di trasformazione, già oggi interessati da attività estrattive pregresse, come quello a valle della confluenza del Pellice.

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Piano d’area e Progetto territoriale operativo del Po. Stralci per le aree delle cave Laurentia e Bastie (sotto ) e per la zona dell’ambito 16 di Faule e Casalgrasso (a destra) Schema grafico Ambito 16 del PIano d-Area del Po - Comuni di Casalgrasso, Faule e Polonghera


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Attività estrattive lungo i fiumi La carta geologica rende evidente la relativa omogeneità della stratigrafia alluvionale della pianura saluzzese, interessata solo per una parte dai relitti del terrazzo argilloso più antico e per il resto occupata da sedimenti ghiaiosi di diversa portata ma relativamente omogenei, soprattutto nell’ampia fascia di “riempimento” accumulata nell’ultimo periodo (geologico, naturalmente) dal Po e dai suoi affluenti (in giallo chiaro). E’ evidente che i giacimenti di ghiaie, di interesse produttivo per il settore edilizio, sono diffusi in tutta la fascia di accumulo più recente, ma sono particolarmente accessibili quelli a ridosso delle fasce fluviali, dove lo strato fertile del terreno non si è ancora consolidato, e con esso la risorsa produttiva per l’agricoltura. D’altra parte si deve tener conto che la propensione degli operatori, a rimanere a ridosso del fiume, deriva dalla modalità storica di estrazione delle ghiaie: direttamente dall’alveo, con tecniche che sfruttavano la capacità della corrente di apportare sempre nuovi materiali nelle fosse predisposte lungo il corso d’acqua, o rimuovevano i depositi accumulati nelle parti interne dei meandri. Così lungo il Po insistono quattro cave per lo più localizzate in siti recentemente percorsi dal fiume o ad esso limitrofi, in qualche caso in zona di riserva naturale a valle delle confluenze, e allo stesso modo lungo il Varaita si localizzano due importanti attività con i bacini posti in parallelo all’alveo, come a triplicarne la portata. La localizzazione prossima al fiume consente di predisporre progetti di recupero non isolati ma integrati a formare tratti reali della rete ecologica, nominalmente riconosciuta lungo l’asta fluviale con le aree protette. I recuperi realizzeranno le uniche “stepping stones” di questo tratto di fiume, punti tappa che saranno preziosi per la connettività complessiva della rete nella piana agricola, come dimostrano le seguenti schede analitiche dei progetti di riqualificazione ambientale. 38


Dimensione attivitĂ [mc/anno] > 200.000 50.000 - 100.000 20.000 - 50.000 < 20.000

Alluvioni fluvio-glaciali ghiaiose e ciottolose, talora con grossi trovanti alterate in terreni argillosi Alluvioni ghiaiose talora sabbiose e limose, antiche e terrazzate Depositi alluvionali prevalentemente limoso-argillosi con lenti sabbioso-ghiaiose, loess argillificato, ferretto Alluvioni sabbiose e limose con debole strato di alterazione Alluvioni ghiaiose e sabbiose non recenti Alluvioni ghiaiose recenti ed attuali degli alvei fluviali

Cave di sabbie e ghiaie per quantitĂ estrattiva autorizzata al 2012 su carta litologico giacimentologica (Arpa)

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3. Buone Pratiche di Progetto e Intervento

Il piano e i progetti

La qualità degli interventi lungo il fiume dipende prevalentemente da due fattori: la progettazione e la gestione. A loro volta la qualità della progettazione e quella della sua gestione operativa dipendono da un buon rapporto tra i soggetti territoriali pubblici (gli enti che devono pianificare e controllare) e privati (gli imprenditori che devono progettare e realizzare). Nella fascia del Po piemontese si è verificato un caso di diffusa “buona pratica” dei progetti estrattivi e di sistemazione ambientale, in cui gli enti hanno stabilito regole abbastanza condivise dagli operatori e gli operatori hanno redatto progetti, discussi, assestati e controllati nelle sedi pubbliche. Inoltre, caso raro nel panorama italiano, le attese pubbliche e private si sono poi realizzate in una sintesi di risultati accettabili dal punto di vista naturalistico, valorizzando un ambito fluviale in altro modo non fruibile e si stanno dimostrando sostenibili, sia economicamente che ambientalmente. Per ottenere questo risultato è contata molto la disponibilità di uno strumento pianificatorio con spiccata attenzione per gli aspetti gestionali, quale il Piano d’area, ma poi sono indispensabili i soggetti che hanno facilitato gli accordi, sperimentato le convenzioni (tra privati, Regione e Comuni), accompagnato la lunga fase di 40

gestazione amministrativa e tecnica: in particolare gli Enti di gestione delle aree protette. Nel Piano d’area, che costituisce il quadro di riferimento per le attività pubblico-private nell’area Parco, le attività estrattive esistenti alla data di adozione (1995) sono ammesse, sino ad esaurimento, compresi eventuali ampliamenti, purché incorporate entro progetti di sistemazione e recupero naturalistico dei luoghi. Il Piano d’area raccoglie i criteri generali di buona coltivazione della cava, di sicurezza idrogeologica e di recupero del sito ad attività cessata, disciplinati dalla L.R. 69/1978 e da successivi provvedimenti (in particolare il Documento regionale di programmazione delle attività estrattive DPAE, del 2000, e il Piano di assetto idrogeologico - PAI, del 2001), a cui aggiungono regole di qualificazione del recupero poste dal Parco. Nell’insieme gli elementi tecnici della disciplina per i progetti di sistemazione a cui attenersi lungo il Po sono sintetizzabili in: • riuso finalizzato alla fruizione pubblica o come verde attrezzato o come area a destinazione ecologico naturalistica, • non edificabilità delle fasce A del PAI e delle aree con vincolo paesaggistico (150 m. dall’alveo) salvo interventi di recupero finalizzati alla


rinaturalizzazione, piccole attrezzature per la fruizione o impianti legati all’attività estrattiva, da rimuovere a coltivazione cessata, • interventi di sistemazione finalizzati ad una restituzione dei processi naturali e di morfologie paesistiche naturaliformi, da ottenere per fasi, durante l’attività estrattiva, e nel rispetto delle seguenti regole parametriche: • distanza di almeno 150 m tra il ciglio superiore dello scavo e l’alveo fluviale attivo, • profondità degli scavi limitata alla falda freatica senza connessioni con gli acquiferi profondi • fasce di rinaturalizzazione al contorno del lago di superficie almeno pari a quella del lago, • fasce di rinaturalizzazione al bordo del lago di larghezza non inferiore a 50 metri. Lo studio di valutazione di impatto e i monitoraggi I progetti di sistemazione sono stati sistematicamente accompagnati da studi di valutazione di impatto (obbligatori data l’area protetta, la dimensione degli interventi estrattivi e l’interferenza in fasce fluviali di attenzione idrogeologica). Le valutazioni di impatto in numerosi casi hanno comportato condizionamenti significativi dei progetti: modificando forma e posizionamento dei laghi proposti o riducendone la profondità e la superficie, imponendo attenzioni per gli habitat di fauna endemica, per le

connessioni ecologiche e per gli aspetti paesistici, richiedendo attrezzature per la fruizione, l’accessibilità e la sicurezza del pubblico, a lavori terminati. Alle indagini conoscitive dei luoghi e dell’ambiente normalmente richieste per gli studi di impatto (vedi l.r.40/1998) si sono aggiunti approfondimenti sugli aspetti geotecnici e idrogeologici, con carotaggi profondi e valutazioni scientifiche sui campioni di terreno e di acque, soprattutto per verificare i rischi di interferenza delle parti scavate con le falde profonde, durante lo scavo e nei periodi successivi. Importanti sono anche le verifiche di idraulica fluviale, per controllare le eventuali interferenze fiume-cava in occasione di eventi catastrofici. La gestione dei progetti di sistemazione, a cura delle imprese proponenti, viene accompagnata da un robusto protocollo di monitoraggi e da una commissione di controllo (presenti il Parco,la Regione, i Comuni). I monitoraggi verificano con scadenze diverse (trimestrali le acque, annuali il resto): • i livelli freatici della falda, • la qualità chimica e biologica delle acque a monte e a valle dei laghi, • l’andamento della dinamica fluviale in relazione ai bacini estrattivi, • l’attuazione del progetto estrattivo (profondità dello scavo e dimensioni laghi), • l’attuazione del progetto di recupero e sistemazione (vegetazione e attrezzature per fauna e visitatori). 41


Il processo produttivo Il processo produttivo di coltivazione di un giacimento in falda è piuttosto omogeneizzato e si è evoluto nel tempo con innovazioni tecniche che hanno aumentato la potenza, la sicurezza e l’efficienza delle macchine: gli asterischi * seguenti segnano le attrezzature che si sono evolute con innovazioni tecnologiche significative negli ultimi anni. Tuttavia, in termini, operativi la sequenza delle operazioni è rimasta la stessa da oltre un secolo: • si libera il suolo dalla vegetazione e si asporta la frazione superficiale del suolo, composta di terreno vegetale, per raggiungere lo strato di ghiaie (o di sabbie) utili nella produzione edilizia: lo scotico; a parte si accumula lo strato fertile della cotica rimossa, per ristenderlo alla fine dell’attività estrattiva;

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• si scava con escavatori sino a raggiungere la falda superficiale (a profondità normalmente di 2-5 metri dal piano di campagna iniziale) e si forma un lago a bassa profondità (7-8 metri) e di ridotta dimensione, con sponde a pendenza inferiore al 30% per garantire stabilità alla parte di terraferma e sicurezza per chi la percorre; le acque provenienti dall’esterno vengono drenate in modo da non confluire nel lago, per evitare eventuali inquinamenti; • sul lago viene varata una draga galleggiante*, dotata di benna mordente elettrica spesso di grandi dimensioni (fino a 9 mc), che consente l’estrazione direttamente dal fondo subacqueo, formando una fossa fino alle profondità di progetto, verso la quale converge il materiale circostante;


• il materiale estratto, liberato dall’acqua e dai materiali grossolani, viene portato con nastri trasportatori (pgalleggianti e a terra) agli impianti di vagliatura*, consistenti in setacci a varia misura, che consentono di accumulare il materiale selezionato per le diverse pezzature (la dimensione media dei grani) utili per diversi prodotti in edilizia; • il materiale più grossolano viene frantumato in appositi impianti di frantoio*, fino al raggiungimento delle dimensioni richieste (nella produzione di calcestruzzi è anche necessaria una quota di pietra frantumata); • il materiale, prima di essere spostato con benne gommate e autocarri e accumulato in grandi mucchi per la vendita, viene lavato a fondo, in impianti che separano le ghiaie dai residui e dai limi*, depositati insieme alle acque di lavaggio in appositi bacini di decantazione.

Sopra, i nastri galleggianti per il trasporto dei materiali e gli impianti di selezione e trattamento Sotto, draga galleggiante con benna mordente A sinistra, estrazione del materiale in alveo prima metà ‘900. (Foto:archivio fam. Ghione)

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Interventi naturalizzazione Il disegno dei laghi Un recupero correttamente realizzato di un’attività estrattiva deve potersi considerare una valorizzazione naturalistica dei luoghi, che migliora nel complesso la situazione ambientale precedente: non solo quella dovuta all’attività industriale, ma anche quella della campagna agricola intensiva. Per questo i recuperi sono generalmente impostati per assicurare un ruolo centrale alla vegetazione “naturale” (cioè artificialmente realizzata, ma con caratteristiche di impianto e di essenze simili a quelle che si sarebbero sviluppate spontaneamente) e alla formazione di habitat che favoriscano una maggiore biodiversità, anche faunistica. Obiettivo generale è quindi accompagnare l’attecchimento e la crescita vegetazionale per ottenere unità ecosistemiche diverse e integrate, che

raggiungano la complessità e la stabilità per evolvere naturalmente. Nelle schede seguenti si sintetizzano per tipi gli interventi principali di ricostruzione naturalistica, distinguendo tra le zone in asciutto e quelle umide, ma il risultato qualitativo dipende molto dall’integrazione che si riesce ad ottenere nel progetto complessivo di sistemazione di ciascun sito, sia entro la parte di recupero che in relazione al progetto dell’attività produttiva, in modo che la valorizzazione ambientale proceda di pari passo con le fasi estrattive. Il progetto estrattivo deve anticipare alcuni dei caratteri fondamentali della sistemazione ambientale finale, almeno per la parte di profilatura e di modellamento dei bacini lacustri, che coniughi l’esigenza produttiva con le morfologie

CASO SFAVOREVOLE

CASO INTERMEDIO Realizzazione di zone umide lungo tutte le sponde

Realizzazione di una grande zona umida

Realizzazione di un’isola

Creazione di due diversi laghi

CASO FAVOREVOLE

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I FASE ampliamento lago recupero ambientale

II FASE ampliamento lago recupero ambientale

III FASE

ampliamento lago recupero ambientale

IV FASE ampliamento lago recupero ambientale

curvilinee e mosse che si riscontrano in natura lungo i fiumi, nelle fasce segnate da lanche e paleoalvei di meandri. D’altra parte si è verificato che la regola generale, di autorizzare attività estrattive che comportino meno del 50% di acque profonde, ha eliminato la tendenza al massimo sfruttamento dei lotti, che spingeva al disegno di laghi quadrangolari, con bordi il più vicino possibile al confine dei lotti disponibili, anche se è evidente che dalle parti d’angolo si ottengono volumi ridotti e difficili da estrarre. Al contrario, rispetto al lago perfetto per il cavatore che è circolare, con la draga al centro sono modeste le “perdite” di volumi estraibili se si

disegnano con qualche attenzione profili spondali con anse e bassi gradienti di pendenza nei primi metri subacquei: le “acque basse”, di particolare interesse ambientale. Un progetto integrato tra estrazione e recupero consente infine di evitare interferenze gravi tra le parti sistemate e l’attività produttiva ancora in essere, sia per contenere il disturbo ambientale e l’impatto percettivo (degli impianti, dei mucchi di ghiaie estratte, dei parcheggi), sia per assicurare l’accessibilità e la sicurezza dei visitatori.

Sopra, esempio di recupero ambientale per fasi contestuali alle attività di coltivazione ed estrazione A sinistra, tipologie di profilatura dei laghi per ottimizzare l’habitat faunistico nelle fasce spondali

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In asciutto:praterie e cespuglieti Le praterie, da sfalcio o da pascolo, svolgono un importante ruolo ecologico, di radura e intervallo delle aree boscate ed arbustate, contribuendo alla biodiversità vegetazionale e faunistica. E’ un ruolo ormai consolidato nell’ecosistema attuale, in parte legato alle attività antropiche, perchè nei processi naturali il prato, nelle situazioni geoclimatiche della pianura, non è una forma stabile: evolverebbe verso il bosco se non ci fosse l’intervento umano a mantenerlo pulito dal novellame di alberi e arbusti. Quindi negli interventi di naturalizzazione vanno mantenute alcune superfici erbate, che rendono aperto il bosco planiziale e facilitano l’arricchimento della gamma ecotonale (cioè della fascia preziosa dove sono compresenti due ecosistemi) tra zone umide e sistema alberato. Nei recuperi di aree che sono state a

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lungo denudate e sterili l’operazione preliminare è la ristesura di terreno “vegetale” (in buona parte derivante dagli accumuli fatti all’inizio delle attività estrattive, e quindi giacente da anni senza areazione e rinnovo delle parti vitali). E’ in questa prima fase che l’inerbimento costituisce una fase iniziale, di una durata di almeno 2-3 anni, obbligatoria per stabilizzare la terra stesa di recente e per ricostituirne un minimo di vitalità fertile. L’inerbimento può essere effettuato con la semina meccanica o in alternativa, su terreni in pendenza o di difficile accessibilità, con l’idrosemina, consistente nella distribuzione di una miscela complessa di sementi, concimi, collanti ed acqua con una speciale pompa, l’idroseminatrice, normalmente utilizzata nei recuperi ambientali. Particolare attenzione deve essere rivolta alla scelta del miscuglio di


sementi, che deve tener conto delle specie rilevate in zona, delle caratteristiche ecologiche che presumibilmente si instaureranno nella situazione finale, degli aggruppamenti fitosociologici di riferimento e della disponibilità sul mercato, scartando le varietà commerciate correntemente per le aree verdi urbane oppure come foraggere per l’allevamento. Per introdurre elementi di valorizzazione paesistica e naturalistica della prateria nel primo periodo di recupero, si possono utilizzare arbusti autoctoni, notevoli per il fogliame o le fioriture (sia per l’uomo che per l’avifauna),

che si dovrebbero impiantare a macchie di 20-30 arbusti, irregolari come grandezza, forma, disposizione, anche ad integrazione della vegetazione arborea preesistente. Le specie arbustive da utilizzare possono essere: biancospino (Crataegus monogyna), rosa selvatica (Rosa canina), prugnolo (Prunus spinosa), crespino (Berberis vulgaris), ligustro (Ligustrum vulgare), nocciolo (Corylus avellana), pallon di maggio (Viburnum opulus), berretta da prete (Euonymus europaeus). Sopra e a fianco, esempi di recupero naturalistico a praterie

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Come il prato, l’arbusto e il cespuglio costituiscono formazioni instabili che spontaneamente tendono ad evolvere nelle formazioni boschive planiziali. Solo una gestione antropica, anche se discreta e attenta ai processi naturali, consente il mantenimento di un paesaggio variato e complesso, in cui il cespuglieto costituisce uno degli elementi di maggiore pregio per la ricchezza di forme e colori stagionali, costituendo d’altra parte un importante appoggio alimentale e di nidificazione per l’avifauna. Il cespuglieto arbustivo assume diverse connotazioni a seconda delle diverse situazioni in cui è inserito. A macchie isolate è corredo del prato, se aumenta in densità e si posiziona al bordo del bosco di piante arboree costituisce un complemento vegetazionale importante per ospitare una 48

varietà di piccola fauna e di insetti. D’altra parte l’introduzione di impianti a cespugli è una pratica di notevole utilità nel processo di attuazione del recupero, dato che permette di ottenere risultati significativi in un periodo medio-breve, mentre la parte arborea si afferma solo in tempi più lunghi. Queste performance derivano dalla relativa facilità di propagazione, dalla rapidità di crescita che consente di avere validi risultati estetici in tempi brevi e le resistenza anche nelle fasi di prima crescita (in molti casi si tratta di piante pioniere).

Sopra e a fianco, esempi di recupero naturalistico con cespuglieti arbustivi


Un caso: Cava Fornace Violani a Ravenna Gli impianti di una fascia di cespugli di bordo della ex cava, hanno lo scopo di arricchire la vegetazione dell’area, procurare nuove nicchie per la fauna selvatica, nonché contenere lo sviluppo delle specie esotiche (es. robinia) e, infine, proteggere meglio gli ambienti interni al sito (l’area è in un contesto ad elevata antropizzazione e la vicinanza di infrastrutture viarie la mette a rischio di intrusioni, discariche abusive etc.). Si è posta particolare attenzione al reperimento del materiale impiegato, realizzando appositamente alcuni “vivai volanti”, dove le piante erano riprodotte da seme (proveniente dal limitrofo parco del Delta del Po) o comunque recuperate in natura (talee poi fatte radicare o giovani individui). Alle piante messe a dimora (alte circa un metro e dell’età di 2-3 anni) si è assicurata una manutenzione per i primi 3-4 anni dall’impianto: messa in posto di un film plastico nero attorno alla siepi all’impianto; sfalci delle specie erbacee e lianose nel raggio di 50 cm, mediante decespugliatore portatile. Nell’arco di 10 anni le siepi perimetrali si sono impiantate stabilmente (senza più necessità di manutenzione da almeno 5 anni). In particolare, si è ottenuto un significativo incremento della biodiversità, con l’inserimento di specie che ormai da secoli erano scomparse dal territorio considerato.

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In asciutto: aree boscate Dove la sponda risale al piano di campagna, la presenza del fiume influenza poco l’assetto vegetazionale che spontanemente evolve, senza presenza umana, verso il bosco mesofilo (cioè con fabbisogno idrico medio, rispetto al bosco idrofilo e a quello xerico). Nell’area della pianura piemontese il bosco mesofilo è a prevalenza di farnia (Quercus robur), con rovere (Quercus petraea), frassino maggiore (Fraxinus excelsior), e carpino bianco (Carpinus betulus) quali principali specie accompagnatrici. Dunque nel progetto di recupero, per la parte arborea massiva, si fa riferimento a queste formazioni arboree, da distribuire secondo impianti non regolari e con una densità media di 800 piante/ha (una ogni 12/13 mq). Per un buon risultato almeno la metà

degli impianti è di farnia, poi il carpino e il frassino per almeno il 10% e altre in misura minore: olmo e acero campestre, tiglio, ciliegio selvatico, pioppo bianco. A completamento dell’associazione vegetale, da impiantare anche successivamente all’attecchimento delle piante arboree, un impianto arbustivo delle essenze in precedenza citate, per almeno il 25 % del totale degli alberi (una densità di circa 200 piante/ha). Il sesto di impianto per un bosco naturaliforme è privo di geometrie riconoscibili, tuttavia, per facilitare la manutenzione e lo sfalcio nei primi anni, è normale ricorrere a un impianto “a onde” parallele la cui regolarità a piante cresciute non è percepibile ma, mantenendo un intervallo solo erbato di circa 4 metri, consente il passaggio delle macchine operatrici.

Un caso: Cava Ghiarella a Modena Un rimboschimento ormai consolidato del fondo (13.000 mq.) di una cava in asciutto, a circa 15 m sotto al piano di campagna attuale. Nei due anni precedenti all’impianto si inerbì il fondo con erba medica (Medicago sativa L.), per migliorarne le caratteristiche fisiche e agronomiche. L’erbaio al secondo anno fu poi interrato (sovescio), l’area concimata con letame bovino maturo e arata per 50 cm di profondità ed, infine, erpicata. Teli in polietilene nero impedivano la crescita di specie erbacee concorrenti per luce e nutrienti, assicurando una certa umidità del suolo. Il sesto d’impianto (3 x 3 m), scelto al fine di favorire la chiusura delle chiome, limitava ulteriormente la crescita delle specie erbacee concorrenti (contenendo in tal modo anche i costi di manutenzione per gli sfalci). Le piante utilizzate sono delle specie classiche per il bosco mesofilo con aggiunta di salici per le parti più vicine alla falda, e sono state posate per lo più in fitocella, dell’età di 1-2 anni ed altezza di 20-50 cm, per il resto a radice nuda o in forma di talea. 50


Sopra, schema e realizzazione di bosco mesofilo con sesto di impianto a onde parallele Sotto, bosco planiziale con sesto di impianto naturaliforme ad uno stadio evoluto

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In molti casi i programmi di recupero devono ottimizzare i risultati attraverso una strategia di intervento che, fase per fase, media tra l’obiettivo di ottenere una vegetazione climax (cioè, nella fase matura, naturalmente adatta alla situazione geoclimatica locale) e la difficoltà ad ottenere in tempi relativamente brevi tale evoluzione, a partire da suoli degradati. Il primo intervento spesso richiede formazioni vegetali “di colonizzazione” che costituiscono il primo stadio evolutivo della serie di vegetazione che si vuole costituire, che poi vengono accompagnate verso le associazioni vegetazionali più evolute (ed esigenti).

erba

erba radi arbusti

erba arbusti radi alberi

erba arbusti alberi

Una nota specifica occorre per gli interventi di valorizzazione della vegetazione spontanea preesistente, che per lo più, nella parte mesofila, è ridotta a minimi termini per la pressante incidenza dell’agricoltura, che sgombra le piante improduttive. Non dovunque va mantenuto ciò che resta di non coltivato. Infatti, a parte rari casi di esemplari arborei importanti, lasciati nel campo proprio per il loro portamento, le macchie alberate sono spesso infestate dalla Robinia pseudoacacia e da varie specie alloctone del 52

Un metodo efficace per innestare con una certa velocità e naturalezza il processo è quello di impiantare sin dalla prima fase macchie seriali, ponendo in sequenza specie diverse di vegetazione partendo dalle formazioni erbacee situate verso l’esterno e finendo con la formazione boschiva verso l’interno. Si utilizzano specie arboree in zolla di altezza elevata (circa 2,5 metri) al centro della formazione e di taglia minore, fino a piantine di 40-60 cm al margine della formazione; lo stesso per le specie arbustive (tra i 150 e i 40 cm), in modo da ottenere effetti di questo tipo:

erba arbusti radi alberi

erba radi arbusti

erba

sottobosco, che vanno contenute, limitandone la diffusione con decespugliamenti sistematici e viceversa densificazioni con piante autoctone, ove risultino parti più rade. Infine, la gestione naturalistica del bosco impone di lasciare sul terreno parte della piante abbattute che costituiscono rifugio per la fauna selvatica (per rettili, piccoli mammiferi), alimento per insetti xilofagi e quindi appoggio di biodiversità e di stabilità delle catene ecologiche locali.


Esempi di recupero e rinaturalizzazione con inserimento di macchie seriali

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Le fasce spondali e le zone umide Come già accennato la fascia delle acque basse è strategica per valorizzare naturalisticamente un sito estrattivo. Poiché la profondità dell’acqua condiziona pesantemente lo sviluppo della vegetazione, particolare attenzione va posta nell’attuare una morfologia spondale che faciliti l’attecchimento di una vegetazione variata in ragione della presenza dell’acqua. Una sequenza classica, e di massima funzionalità per gli habitat faunistici di interesse per queste zone, presenta le seguenti tipologie vegetazionali: • zona dei salici e degli ontani • zona dei grandi carici (magnocariceto) • zona della cannuccia palustre (fragmiteto) • zona delle tife (tifeto) • zona delle piante acquatiche. Inoltre i diversi popolamenti sono anche influenzati dalle variazioni di livello della falda, diversificando ulteriormente le condizioni ecologiche nel raggio di pochi metri.

Questa complessità concentrata dell’habitat vegetazionale è una premessa indispensabile per l’insediamento di una fauna diversificata che, a partire da consumatori primari giunge sino ai predatori, (insetti, crostacei, pesci, uccelli) costituendo una complessa rete alimentare. Nelle sponde dei bacini di cava con sezione appositamente studiata per favorire la naturalizzazione delle acque basse, la colonizzazione delle piante igrofite ed elofite avviene per lo più spontaneamente, vista la rapidità di diffusione e di adattamento di molte specie. In qualche caso è necessario innescare il processo di colonizzazione tramite l’introduzione di nuclei di idonee specie erbacee, accelerandone i tempi di sviluppo, assumendo come

bosco mesofilo planiziale arbusteti di scarpata

tifeto

salici e ontani cariceto fragmiteto

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riferimento le serie vegetazionali che caratterizzano le più vicine lanche, nei diversi stadi di impaludamento e di interrimento. Sulla base del livello medio dell’acqua si distinguono tre situazioni tipiche:

prevalenza di Phragmites australis, con presenze di Nasturtium officinale, Veronica anagallis-aquatica, Sparganium erectum, Iris pseudacorus, Rumex conglomeratus, Alisma plantago-aquatica

• le fasce a maggiore profondità, con livello medio della falda compreso tra -150 cm e -80 cm, destinate alle macrofite sommerse appartenenti all’All. Potamion, con presenza talvolta di specie appartenenti all’All. Nymphaeion (macrofite galleggianti): Callitriche stagnalis, Potamogeton nodosus, Potamogeton pusillus, Ceratophyllum demersum, Myriophillum spicatum

• la fascia al limite dell’asciutto, maggiore di -30 cm, ma comunque con falda non più profonda di 30 cm, con i tipici popolamenti di interrimento a carice: Carex elata, Carex pseudocyperus, Lycopus europaeus, Lysimachia vulgaris, Polygonum hydropiper, Mentha aquatica, Lythrum salicaria, Myosotis scorpioides, Equisetum palustre.

• le fasce intermedie, comprese tra -80 cm e -30 cm, adatte ai canneti a prevalenza di Typha latifolia e delle prime forme di interramento a

Nell’altra pagina e sotto, successione degli habitat vegetazionali e faunistici che caratterizzano gli ambienti acquatici e spondali (da Le Cave in Provincia di Cremona 1996)

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

Rigogolo Storno Pavoncella Gallinella d’acqua Pendolino e nido Tarabusino Cannaiola Biscia d’acqua Rana Airone cenerino

11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20.

Germano reale Alzavola Testuggine palustre Triotto Airone rosso Cannareccione Porciglione Cuculo Nitticora Usignolo di fiume

21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28.

Luccio Sterna Moriglione Svasso maggiore Scardola Cormorano Carpa Anguilla

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Per mantenere un buon ricambio d’acqua è opportuno che nelle aree estese di acque basse siano presenti canali con acque di profondità maggiore di 150 cm (quindi poco o nulla vegetate). Le aree ad acque basse si realizzano normalmente con scavi fino a 150-200 cm dal livello medio della falda e, ove necessario, con un successivo riporto di terreno non sterile con pendenza modesta, in modo da stabilire una situazione dove spontaneamente si attesti l’intera sequenza vegetale (e faunistica) dell’ecotono acqua-terra. Ove necessario i materiali di scavo possono essere riutilizzati per la formazione di rilevati che modellano la parte in asciutto, ad esempio a formare le scarpate per uccelli fossori (vedi oltre).

La colonizzazione delle macrofite sommerse si ottiene affondando fastelli di canne, nel periodo della prima primavera. Dove possibile è opportuno utilizzare rizofite a foglie galleggianti e a foglie sommerse, comuni nel passato nelle lanche, sia per l’estetica (le fioriture) che per il ruolo di ossigenazione dell’acqua e di formazione di ambienti adatti alla riproduzione di anfibi e (quindi) di avifauna. Per il canneto e il cariceto si avvia il popolamento (che successivamente procede spontaneamente) con messa a dimora di rizomi nel tardo inverno, piantandoli nel fondo bagnato o in ceste di rete metallica, se a maggiore profondità. Per le specie di difficile reperimento o riproduzione si utilizzano piantine coltivate. Esempio di canneto con canale libero per il ricambio delle acque

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Un caso: Lanca di S.Michele (Carignano- Carmagnola) La lanca, prodotta da un salto di meandro del 1976, risulta in fase di progressivo interramento nel 1998, quando si avvia il progetto di recupero del sito (di oltre 100 ettari, comprensivo di due grandi bacini estrattivi e del Bosco del Gerbasso, area pubblica in un’ansa del Po rimboschita negli anni ’70). Il progetto di sistemazione da una parte prolunga la vitalità della lanca, ripulendola dalle tife e aprendo varchi di acque libere, dall’altra riproduce nelle immediate vicinanze, al bordo del lago di cava, uno spazio di acque basse di dimensioni e caratteristiche vegetazionali simili, ma reso vivo in permanenza per il contatto con le acque profonde del lago estrattivo. Preventivamente all’attività estrattiva profonda, è stata quindi realizzata al bordo del lago una fascia di acque basse vegetate di dimensioni simili a quelle della vicina lanca in progressivo interramento. I profili e le profondità sono stati studiati per mantenere un equilibrio ecosistemico nonostante le significative escursioni di quota della falda (oltre 120 cm.) e l’intervento di naturalizzazione ha riprodotto le popolazioni vegetali della lanca “storica” vicina, che si sono sviluppate velocemente (in meno di 5 anni), comportando una spontanea ricollocazione preferenziale dell’avifauna stanziale e di passo. Nuove aree ad acque basse, canneto e saliceto realizzate in prossimità dell’antica lanca in progressivo interramento

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Il saliceto connota la fascia spondale dei corsi d’acqua padani, oggi spesso con tratti degradati e discontinui (soprattutto lungo le acque minori e poco tutelate). Anche la vegetazione spontanea delle sponde dei bacini estrattivi abbandonati sviluppa saliceti, ma quasi sempre risulta limitata e degradata da un punto di vista della varietà floristica. Con l’abbandono delle pratiche colturali che utilizzano il salice come materiale per gli usi domestici, è ormai raro trovare saliceti arborei (e non arbustivi) in posizioni distanti dai fiumi e in configurazioni di macchia estesa e non solo lineare. Per questa rarità relativa, e per il ruolo consolidato che svolgono nel sistema vegetale ripario, ad integrazione delle fasce umide e delle acque basse, i

saliceti sono importanti nei progetti di recupero dei bacini estrattivi. Anche in questo caso l’impianto serve solo come start-up di un processo che si sviluppa naturalmente. Per il solo salice bianco (Salix alba) è in generale facile prelevare talee in aree prossime alla zona dell’intervento, con costi modesti. Per arricchire il sistema, con l’ontano nero (Alnus glutinosa) ed il pioppo bianco (Populus alba) e da arbusti tendenzialmente mesoigrofili, generalmente si ricorre all’utilizzo di piantine radicate. A completare la sequenza acqua-terra svolge un ruolo ecosistemico rilevante il “prato bagnato”, che viene sommerso in certi casi di falda alta o di microeventi alluvionale, e che in natura rappresenta la fase più evoluta A destra, sponda con spiaggia ghiaiosa e sequenza saliceto, prateria, arbusteto, bosco mesofilo Sotto, aree spondali a saliceto

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di interramento delle lanche e delle paludi. Il miscuglio da utilizzare per l’inerbimento fa riferimento ai raggruppamenti fitosociologici della Classe Molinio-Juncetea Br.Bl. (Ordine Molinetalia coerulae): sono popolamenti di un certo interesse ecosistemico funzionali soprattutto dove integrate ai saliceti, alle aree umide a canneto ed alle acque basse. Anche in questo caso l’inerbimento artificiale serve solo ad innescare il processo di colonizzazione dell’area che evolve in una formazione stabile attraverso la selezione naturale delle specie ecologicamente più adatte. A complemento della sequenza vegetale delle sponde umide, per la biodiver-

sità delle fasce fluviali sono importanti le spiagge in ciottoli e ghiaia, che formano microambienti xerici, la cui funzionalità è migliore se sono localizzati a monte dell’area umida, in prossimità delle macchie alberate mesofile. L’interesse delle zone xeriche è prevalentemente faunistico: sono frequentate per la sosta o la nidificazione per specie di uccelli poco comuni quali il fraticello (Sterna albifrons), la sterna (Sterna hirundo) e il corriere piccolo (Charadrius dubius); inoltre sono aree adatte ai rettili, per i quali è opportuno sistemare microhabitat di rifugio, formati da cumuli di pietrame grossolano, di ramaglie o di tronchi morti. 59


Interventi specifici per la fauna La geografia delle aree a valenza ambientale nella piana saluzzese evidenzia sia la rarità delle connessioni ecologiche tra versanti e piana occidentale sia la mancanza di adeguate connessioni ecologiche lungo l’asse nord sud, nonostante le fasce fluviali. Infatti lungo il primo tratto del Po di pianura è ormai rada la vegetazione spondale e le uniche isole di (relativa) qualità ambientale sono le parti recuperate delle cave. La connettività ecologica a scala territoriale si deve assegnare soprattutto alle aree recuperate intorno ai bacini di cava, che formano stepping stones, cioè punti tappa, funzionali per l’avifauna, in transito o stanziale. Per questo in generale l’obiettivo principale delle sistemazioni dei laghi di cava è indirizzato a formare oasi per l’avifauna, soprattutto nelle parti spondali, e, per quanto possibile, a migliorare le connessioni fini (almeno in termini di siepi e filari) ramificate nel contesto agricolo.

artificiali. A titolo di esempio, di seguito si riporta la realizzazione di isolotti artificiali per un progetto di assistenza alla nidificazione di una colonia di Sterne. Per la nidificazione delle Sterne comuni è importante predisporre idonee zattere ancorate ricoperte di ghiaioni, con tegole o ripari antipredazione per i piccoli, adeguatamente sollevati rispetto all’innalzamento del livello dell’acqua anche a seguito di forti precipitazioni.

Isolotto artificiale per la nidificazione delle sterne

Isolotti artificiali Nelle aree umide sono preziose per l’avifauna le parti più isolate, non disturbate e difficilmente accessibili ai predatori. In questo senso valgono gli isolotti, con ridotta copertura vegetazionale, affioranti dalle acque anche in condizioni di falda alta. Quando non è possibile realizzare isolotti naturali, sono utili gli isolotti 60

Isola artificiale con vegetazione per l’avifauna.


Un caso: Cava le Chiesuole (Parma, tra Madregolo e Collecchiello) Il recupero naturalistico esemplare della cava, utilizzata fino al 1998, ha ricostituito un complesso di zone umide con differenti profondità dell’acqua, che si è fuso con la parte a terra, già densamente colonizzata dai canneti e da boschetti di salici e ontani. L’ampia rete di canali alternati a lembi parzialmente inondati popolati da tife, giunchi e carici costituisce un ampio comparto idoneo per la riproduzione di anfibi e per il rifugio di aironi e rallidi. Nel bacino lacustre si trovano alcune isole in ghiaia a cui si sono aggiunte numerose “zattere galleggianti”, che ospitano la più numerosa colonia di sterne comuni presente nel Parco, che si aggiungono alle varie specie di aironi, anatre, rapaci diurni e notturni che ormai sono presenti con continuità. Le zattere, ancorate in modo da seguire le oscillazioni della falda, sono di dimensione intorno al metro quadrato (adatte ad una coppia di sterne), possono essere collegate rendendo disponibili piattaforme più ampie. I materiali sono semplicissimi: la base in legno trattato (spesso si utilizzano pallet), con una rete al fondo che contiene pani di polistirolo per assicurare il galleggiamento, coperti da uno strato di argilla e rifinito con ghiaietto e ramaglia. A complemento una rampetta per facilitare l’accesso all’acqua dei pulcini, sponde di assi per proteggere la nidiata nelle giornate ventose, tegole come ripari antipredazione (le cornacchie e i gabbiani). Isolotto artificiale per la nidificazione delle sterne, particolari e collocazione nel bacino di Le Chiesuole

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Scarpate verticali per la nidificazione

Siepi e filari

Le pareti nude, di sabbie e ciottoli, costituiscono importanti habitat per la nidificazione di specie ornitiche fossorie solitarie (martin pescatore) o coloniali (gruccione e topino). Poiché ormai tali tipologie sono scarsamente rappresentate lungo le sponde fluviali, occorre prevedere la creazione di pareti verticali stabili, non disturbate da attività antropiche e prive di vegetazione, in substrati consistenti ma non troppo duri. Sono necessari tratti di scarpata di lunghezza di circa a 50-100 m e di altezza intorno ai 3 m, con un’esposizione soleggiata.

La progressiva scomparsa delle siepi e dei filari, tradizionalmente posti lungo strada, lungo canale e spesso ai confini dei lotti, riduce di molto la permeabilità ecosistemica del territorio rurale, oltre a banalizzare e impoverire il senso del paesaggio agrario. Perciò i progetti di recupero dei siti alterati devono tenere conto il più possibile delle connessioni aperte con il territorio, partecipando alla ricostituzione di filari arborei e di un sistema di siepi utili per la piccola fauna. Le essenze tradizionali dei filari erano spesso connesse a funzioni utilitaristiche complementari all’agricoltura alimentare: il gelso per la seta e la paleria, il salice per i vimini, l’acero per l’oggettistica; le siepi svolgevano ruolo di frangivento e di protezione. I filari lungo strada o all’ingresso delle cascine o dei paesi sono di specie decorative per il portamento, le fioriture, l’ombra (il tiglio, l’ippocastano, il platano), ma anche per le siepi a bordo di giardini e orti ha avuto importanza la componente estetica, dei fiori e dei frutti. Le specie più diffuse sono: Biancospino (Crataegus monogyna), Crespino (Berberis vulgaris), Spincervino (Rhamnus catharticus), Prugnolo (Prunus spinosa), Ligustro (Ligustrum vulgare), Nocciolo (Corylus avellana), Rosa selvatica (Rosa canina). Le siepi contribuiscono al controllo delle popolazioni di organismi dannosi alle colture agrarie attraverso una maggiore diffusione di uccelli

Schema e immagine di pareti verticali per specie ornitiche fossorie

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insettivori e riducono l’eutrofizzazione delle acque svolgendo la funzione di filtro biologico dei fertilizzanti utilizzati nel campo. Per questi motivi almeno la fascia di confine tra aree sistemate naturalisticamente ed aree agricole circostanti devono essere messi a dimora siepi e possibilmente filari arborei. Dove è documentato l’assetto storico dei filari nel territorio circostante (ad esempio con riferimento alle carte IGM di 100 anni fa) è opportuno prevedere l’estensione dei filari nella campagna, sin dove possibile, in ragione delle proprietà e delle disponibilità degli operatori.

Nei filari le piante si pongono con sesto di impianto di circa 5 metri, con un eventuale diradamento alla loro maturità: nei filari decorativi il sesto è di 8/10 metri, per piante che raggiungono i 20 m di altezza. Le siepi e gli arbusti sono posti su due file parallele ma sfalsate (quinconce), con un sesto di impianto di circa 50 cm; vengono quindi poste a dimora 4 piante arbustive per metro quadro, permettendo la totale chiusura della siepe nell’arco di pochi anni.

Ricostituzione di un sistema di siepe-filare

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Interventi per la fruizione Il recupero delle aree estrattive, è stato indirizzato prevalentemente agli obiettivi tipici della gestione delle aree protette: qualificare le risorse ambientali e migliorarne la fruibilità. In particolare, nel Piano d’area del Parco del Po, la fruizione è orientata e promossa in modo abbastanza dettagliato, con indicazioni che in molti casi sono state inserite nei progetti in corso di attuazione. In tutti i casi si pongono attenzioni per evitare che l’apertura al pubblico interferisca o danneggi gli obiettivi ecologici del progetto di recupero. Ma oggi il tema della fruizione non è riducibile ad una semplice attività di servizio complementare e non necessaria alla qualità dei recuperi delle aree estrattive, vista la difficoltà degli enti a gestire, manutenere e assicurare il presidio delle aree ripristinate e cedute. Infatti la pressione dei contesti antropizzati e degli utilizzi impattanti sul territorio (strade, agricoltura intensiva, discariche,..) non consente di guardare con tranquillità all’evoluzione spontanea di aree naturalizzate, che, in una situazione ideale, dovrebbero “autogestirsi”: il rischio di vandalismi e inquinamenti è molto forte, soprattutto se le aree sistemate si presentano come una terra di nessuno, abbandonata. Per evitare queste dinamiche degradanti è importante consolidare un’immagine di funzionalità e di valore patrimo64

niale delle aree, che siano apprezzate come bene utile per utenti di diverso tipo: da un pubblico generico, alla didattica scolastica, alle attività associative naturalistiche o sportive. D’altra parte, in ragione delle peculiarità dei siti recuperati, è necessario graduare gli usi in considerazione dell’”impronta” che determinano sul contesto, in un ventaglio che va dalla pura fruizione esplorativa della natura, per piccoli numeri e su percorsi guidati, all’utilizzo dei bacini di cava per attività sportive con attrezzature. Ciascun progetto di recupero deve quindi tener conto, sin dall’inizio, della più opportuna distribuzione degli utilizzi e delle pressioni nella gestione del sito, riservando zone alla riserva di naturalità, altre ad una fruizione “leggera”. Quindi, salvo casi specifici che richiedono una gestione particolarmente attenta, per ogni sito dovrebbe essere messa a punto una strategia gestionale sostenibile (anche economicamente), che tenga conto: • delle peculiarità delle risorse di ciascun sito (o della progettualità dei gestori) che possono diventare motivo di attrattività turistica (fauna particolare, panoramicità, attività specifiche, etc.), • dei necessari effetti di sistema da ottenere, inserendo i progetti di ciascun lago in programmi che integrino in itinerari di qualità paesistica diversi siti di interesse naturalistico o culturale.


Criteri per interventi a favore dell’uso didattico e ricreativo Dall’analisi di diversi casi esaminati, per l’area golenale emergono orientamenti che possono essere articolati in tre linee di interventi. 1. Valorizzazione turistico - ricreativa, con riferimento ad un bacino di utenza costituito dai paesi limitrofi, in cui è già attivo un turismo domenicale, che potrebbe essere attuabile attraverso interventi di modesto impatto ambientale come piste ciclabili, percorsi vita, aree pic-nic e sport acquatici (canottaggio, canoa, ecc.). 2. Valorizzazione ai fini della didattica ambientale, nei casi in cui l’area presenti aspetti appropriati, quali la coesistenza di un ambiente relitto (lanche di Po) e di un ambiente artificiale che nasce nell’ambito di interventi rivolti alla mitigazione delle attività estrattive in golena. Le aree recuperate possono essere inserite nel circuito delle Aree protette regionali, dei Siti Natura 2000, delle Aree di riequilibrio ecologico, dei Musei di storia naturale e della civiltà contadina del Po, delle zone d’interesse storico architettonico. Sui laghi di cava possono anche essere resi disponibili piccoli centri attrezzati da utilizzare per la didattica sul campo delle scienze naturali, ad uso delle scuole o del pubblico più in generale. 3. Organizzazione a poli attrezzati per ricerche ecologiche ed idrobiologiche ad indirizzo applicativo-gestionale. Il quadro di riferimento è quello dell’ecologia delle aree perifluviali, delle zone umide, delle “buffer strips”, ecc. In questo senso possono essere coinvolte scuole medie superiori ed Università. Attualmente sono realizzate, in diversi bacini di ex cava, alcune linee di ricerca applicata, come ad esempio: a) studi sulla capacità di autodepurazione e sulla resistenza di questi ambienti alle perturbazioni legate all’inquinamento di origine diffusa proveniente dalle aree agricole circostanti e/o recapitato da corsi d’acqua inquinati; b) sperimentazione dell’allevamento di pesce planctofago obbligato che si configura per un basso impatto sulla qualità dell’acqua (non si usa mangime); c) recupero di aree poco profonde da utilizzare per la riproduzione ed il ripopolamento con fauna ittica indigena; quest’ultima linea di ricerca ha avuto un importante sviluppo con una sperimentazione di reintroduzione assistita dello storione (Acipenser naccarii) svolta in Provincia di Piacenza. [Da MUZZI E., ROSSI G. (acura di ), 2003, Manuale teorico-pratico “Il recupero e la riqualificazione ambientale delle cave in Emilia Romagna”, Regione Emilia Romagna]. 65


Accessibilità e percorsi L’offerta di fruizione dei siti recuperati dovrebbe fare riferimento a due tipologie di utenza:

attrezzature ricettive anche piccole ma qualificate paesisticamente e “di charme”.

• i locali (gli abitanti nei comuni del contesto), che costituiscono la domanda più consolidata: le visite scolastiche, gli usi del tempo libero (la pesca, la passione ambientale e per gli animali...); • i visitatori, che si prefigurano come una domanda potenziale per i fine settimana, per lo più proveniente dalle città nel raggio di 50/100 chilometri.

Questi requisiti superano il singolo progetto e richiedono pianificazione (vedi i primi esperimenti sul “Po dei laghi”) e investimenti a scala territoriale, per offrire percorsi completi, sistemi intermodali (ferrovia-bici, auto-bici etc.), coordinamento nella gestione dei beni (orari, servizi etc...).

Nei progetti sino ad ora attuati il potenziale dei visitatori “cittadini” è stato trascurato anche perchè in Italia il turismo di prossimità è molto meno diffuso che in altri paesi. In ogni caso è evidente che gli obiettivi e i comportamenti del turista sono completamente diversi da quelli del residente. Quindi, se da una parte è un motore di sviluppo locale, perchè è disposto a pagare per le visite, dall’altra richiede prestazioni e attrezzature diverse da quelle sinora pensate nei progetti di recupero. Dalle esperienze francesi e tedesche, molto diffuse, emerge che il turismo di prossimità richiede mete in collana, itinerari di greenways (percorsi senza motore nel paesaggio non urbanizzato) o di strade quiete (vicinali o comunali percorrribili a bassa velocità, in contesti di buona qualità paesistica), 66


mete della fruizione

attrezzature di interscambio

musei ed ecomusei porta del fiume

traghetto cascine didattiche punti di vendita diretta prodotti agricoli

nodo intermarca

percorsi di connessione loisir naturalistico

sport/attivitĂ en plein air

sport/attivitĂ attrezzate

Sistema degli itinerari di greenways o strade quiete per la fruizione dei beni e delle mete

Sopra e a fianco, un esempio di pianificazione della fruizione attraverso reti di itinerari, mete e punti di interscambio a scala d’area vasta (dal Masterplan del Po dei Laghi per il Parco del Po Torinese, a cura Castelnovi e Paicon, 2011)

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Per agevolare la fruizione occorre comunicazione orientata: da una parte la presentazione didattica, con una cartellonistica (o video, o presentazioni) accattivante e facilmente comprensibile, che illustri gli aspetti naturalistici del luogo ma anche la storia degli interventi; dall’altra una documentazione più approfondita, che tratti di risorse e problematiche generali, pur presenti nel caso specifico, e si possa portare a casa. E’ importante anche la rete infrastrutturale interna, che comunque deve assicurare: • una buona accessibilità complessiva (per i bambini, gli anziani, i portatori di handicap), • i parcheggi, posizionati il più possibile all’esterno, defilati e filtrati rispetto a luoghi d’interesse naturalistico, • i percorsi, studiati in modo da contenere le esigenze di “esplorazione” dei visitatori, facendole corrispondere agli itinerari di visita e collegando in sequenza le attrezzature e le mete interne.

Passerella in legno (Ris. Nat. Valle Canal Novo, Ud)

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Segnaletica nel parco (Gran Parc Miribel Jonage, Lyon)


Fruizione dei laghi di cava Gli specchi d’acqua costituiscono il fulcro attrattivo di tutti i tipi di fruitori, dai pescatori agli amanti del paesaggio, e le loro sistemazioni presentano molte potenzialità d’uso per il tempo libero, da gestire ottenendo un equilibrio con le esigenze ambientali. Quindi, ferme restando le risorse naturalistiche ottenute qualificando le fasce spondali, per i laghi abbastanza grandi sono possibili diversi tipi di attività in acqua, con le relative sistemazioni spondali (arenili, pontili, alberature da ombra etc..) e attrezzature (approdi, rimesse per imbarcazioni, sistemi di sicurezza). E’ importante che già nel progetto complessivo di attuazione del bacino siano previste le diverse possibilità, in modo da profilare le sponde e definire le profondità più opportune sin dall’inizio. Per una buona gestione vanno dunque attivate specifiche attenzioni: • per assicurare una certa separatezza paesistica e ambientale tra le parti a più alta pressione antropica (per affluenza e per intensità degli usi) e quelle più riservate alla fruizione naturalistica e di piccoli numeri, • per evitare l’intrusione e la diffusione di specie ittiche esotiche, che destabilizzano gli equilibri ecosistemici complessivi, • per garantire la sicurezza di nuotatori e natanti, tenendo conto della pericolosità implicita nelle importanti profondità dei bacini estrattivi. Sopra, schema (Muzzi, 2003) e immagini sull’utilizzo del lago per pesca (Cava Tuna, Gazzola, Pc), sport acquatici e piccole imbarcazioni (Le Bandie, Treviso)

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Birdwatching: gli osservatori Gli osservatori per l’osservazione dell’avifauna (bird watching) costituiscono una delle mete principali dei percorsi naturalistici nelle fasce spondali. Sono disposti in luoghi strategici per osservare l’avifauna in acqua, talvolta con pontili e camminamenti sulla palude, o con torrette panoramiche per consentire la vista al di sopra della vegetazione. La casistica di questo tipo di attrezzature è molto varia, come dimostra il campionario seguente, e in qualche caso diventa occasione per segnare paesaggi monotoni con elementi di spicco, con ruolo di landmark architettonici. Oasi Naturalistica La Madonnina Sant’Albano Stura - Cn

L’Oasi Naturalistica, ottenuta da un sito di cava e gestita da un’associazione privata, dispone di tre punti di osservazione, predisposti su rilevati con pareti e capanni in legno e mascheramento dei percorsi di accesso.

Centro Cicogne e Anatidi Racconigi - Cn

L’“Osservatorio sulla Palude” è una struttura in legno, allestita con pannelli illustrativi, con piano rialzato, studiato appositamente a corredo della nuova zona umida. Dal livello inferiore si osserva la porzione di bacino in primo piano, mentre dal piano superiore si gode di una visione panoramica della zona umida. 70


Area naturalistica Le Chiesuole Parco del Taro - Pr

La sistemazione dell’ex cava è indirizzata ad una utenza scolastica e per gruppi. Un ampio camminamento pedonale conduce ad aule didattiche all’aperto, alla torre osservatorio che può ospitare fino a 10 persone, e ai capanni per l’osservazione che costituiscono un punto di sosta attrezzata fruibile anche dai disabili motori.

Palude di Brivio Brivio, Parco Adda Nord - Lc

Osservatorio a due piani del Parco Adda Nord costruito su pontili nell’area umida, costituisce un punto di riferimento visivo per il visitatore e un punto panoramico importante dell’intera radura paludosa.

Parco le Folaghe Casei Gerola - Pv

Osservatorio a due piani dell’oasi naturalistica (ex cava di argilla), riconosciuta come importante stepping stone della rete ecologica lombarda, punto di riferimento internazionale per il birdwatching (oltre 250 specie). 71


Strutture per la didattica e la fruizione Le attrezzature per la fruizione (aule didattiche, case del parco, sedi espositive, blocchi di servizi) sono oggetto molto diversificato delle convenzioni delle attività estrattive e delle relative sistemazioni ex-post, che vengono realizzate dagli operatori industriali e cedute in uso ad associazioni o al Parco. In qualche caso (felice) attrezzature importanti, accompagnate talvolta anche da attività ricettive, vengono inserite in cascine. Si tratta di complessi edificati che residuano dalle tenute acquistate in blocco dagli operatori industriali per le attività estrattive e che alla fine si trovano inserite in un nuovo contesto paesistico e ambientale, d’acqua invece che di terra, prive della funzionalità originaria e quindi disponibili per nuove attività. In altri casi si tratta di edifici nuovi, realizzati appositamente per le nuove funzioni o connessi all’attività estrattiva, o ancora di strutture precarie, predisposte per funzionare come punto di servizio per la fruizione naturalistica durante l’attività produttiva. Parco del Po Cuneese (Faule - Cn) Vicino alla Cava Fontane, è stato recentemente allestito con fondi regionali ed europei (che hanno permesso anche la realizzazione di questo volume) il Centro Didattico del Parco del Po Cuneese dedicato alle geologia. Grazie a laboratori didattici specifici, le scuole si avvicinano alla geologia del luogo e del Parco, partendo dal presupposto che tutto è collegato al suolo. Germaire e Lanca di S.Michele Carignano -To

Edificio, posto all’ingresso del percorso naturalistico della Lanca di S.Michele e dei laghi di cava, predisposto in parte per gli uffici dell’attività produttiva, in parte come attrezzatura per il parco, con sala e portico per didattica e punto sosta. Alla fine dell’attività estrattiva l’intero edificio viene ceduto e diviene interamente in disponibilità del Parco. 72


Parco dei Laghetti (Martellago - Ve) In un’area di circa 60 ettari, ex cava di argilla recuperata a parco con numerose attività di fruizione, sono inserite due nuove strutture: un punto ristoro e una sala polivalente. Le due strutture, in acciaio e legno, presentano forme differenti, suggerite dalla diversità dei luoghi. Un parallelepipedo appoggiato sul prato per il punto ristoro-bar; una struttura a palafitta per la sala polivalente, accessibile attraverso una passerella, scelta per mettere in risalto il dislivello dal piano di campagna.

Cascina del Rotto (La Loggia - To) Il progetto di riassetto definitivo prevede il recupero e il riuso a fini ricettivi e di servizio al Parco della Cascina del Rotto, che oggi si affaccia sui laghi di cava. Si prevede la separazione del bacino principale in due, realizzando un itsmo, sul quale viene ripristinato il viale di accesso alla cascina, documentato dai catasti storici, con filari di pioppo cipressino.

Oasi del Ceretto (Carignano - To) L'Oasi Botanico Ricreativa è inserita da oltre 10 anni nel contesto di una cava attiva, e dispone di attrezzature lungo un percorso paesistico naturalistico con centro visite attrezzato per proiezioni e esercitazioni pratiche. La costruzione polifunzionale richiama, nella struttura, l’architettura tipica della cascina piemontese. 73


Il paesaggio delle attività produttive Ormai da tempo i reperti delle attività produttive dismesse sono entrati nel novero delle testimonianze storiche che rendono interessante il paesaggio culturale. L’attenzione per l’archeologia industriale dagli edifici si è estesa ad interi ambiti territoriali interessati storicamente da insediamenti produttivi complessi, ad iniziare dal comprensorio della Ruhr, in Germania. I siti di cava, paesisticamente connotati dai laghi, dal fiume ma anche dalle attrezzature per l’estrazione e la lavorazione degli inerti, sono adatti a diventare mete di visita di un paesaggio “culturale” interessante, utilizzando come landmark le attrezzature dismesse, o rendendo visitabili alcune parti degli impianti ancora in attività. L’attrattiva aumenta di fronte ai macchinari innovativi, come ad esempio le attrezzature di nuova generazione per la produzione di inerti o gli esperimenti di fotovoltaico flottante. In ogni caso, superati i temi complessi della sicurezza dei visitatori e della separazione tra attività produttiva e fruizione, si può individuare nei progetti e nei programmi gestionali di questi siti una prospettiva di interesse turistico per i segni dell’attività industriale e delle sue attrezzature, costituendo in questo modo una meta particolare negli itinerari variati del turismo di prossimità.

Emscher Park, parco archeologico industriale della Ruhr (Oberhausen - Duisburg)

Riuso artistico e per la fruizione di strutture produttive dismesse (Oasi del Garettino, Carignano - To)

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Esempi di utilizzo di tecnologia fotovoltaica sulla superficie di laghi di cava. Sopra, La Pommeraie-sur-Sèvre. A destra, cantina Petra, Suvereto

Parco delle cave nella valle del fiume Marecchia Museo all’aperto a tema geologico (Poggio Berni - Rn)

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La gestione delle aree recuperate Nelle esperienze di recupero compiute si dimostra l’importanza di una gestione attenta, che si prolunga oltre la cessazione dell’attività produttiva. Dove le aree vengono cedute al patrimonio pubblico (quasi 1000 ettari cedute al 2020, solo lungo il Po sino a Torino), si verifica un punto critico al momento della chiusura dell’attività: cessano i versamenti degli oneri convenzionari dei cavatori e contemporaneamente i costi gestionali delle parti recuperate cominciano a gravare sulle casse pubbliche. Perciò la spending review degli enti pubblici spinge a cercare soluzioni strategiche alternative da perseguire nei recuperi e e nella loro gestione, sempre tenendo conto delle risorse ambientali da valorizzare e non consumare.

Si aprono, quindi, due prospettive: • inserire i siti estrattivi recuperati come mete di reti fruitive dedicate, sostenibili economicamente soprattutto se si collegano beni culturali e ambientali nell’hinterland di città importanti. I siti recuperati devono offrire un ventaglio di opportunità, dall’esplorazione naturalistica agli sport e alle manifestazioni all’aperto con livelli diversi di attrezzature; • organizzare gli interventi in modo da consentire la continuità delle attività produttive (estrattive o alternative, ad esempio il fotovoltaico) insieme ad una piena funzionalità ambientale e fruitiva delle parti recuperate, da gestire con convenzioni a carico degli operatori industriali.

Cava e recupero: un caso di integrazione La cava di Settepolesini si attiva nel 1984, in una golena del Po a Bondeno (Ferrara), accompagnata immediatamente con interventi di rinaturazione e di valorizzazione storico-ambientale, arrivando a formare un’oasi naturalistica (la più ricca di fauna della provincia, con reintroduzioni ittiche sperimentali, come gli storioni) e un paesaggio agrario tradizionale in una significativa fascia di contesto (con vigneti, filari, recupero degli edifici). Importanti ritrovamenti fossili (mammut, rinoceronte, bisonte,..) sono stati studiati dall’Università e dalla competente Soprintendenza e oggi il sito è meta frequentata di visite, con un museo dedicato agli animali preistorici locali. Con il recupero del fienile della cascina padronale si è ottenuto un Centro attrezzato per ricevimenti e meeting. Il progetto è esteso alle connessioni viarie: è stata realizzata, a cura dell’azienda, una pista ciclabile lungo il canale di Burana, che collega il sito con Ferrara. In queste condizioni l’attività produttiva è equilibrata con le attività di servizio per la fruizione e la valorizzazione ambientale e culturale, e viene mantenuta dagli operatori privati convenzionati con i soggetti pubblici, senza scadenze. 76


Esempio di Cava in parte ancora attiva e in parte recuperata e utilizzata a fini ricreativi e naturalistici con centro visite, centro didattico, area congressi e eventi, vigneti (Settepolesini di Bondeno, Fe)

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Torre Pellice

Cavour

Revello

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Pancalieri

Falè Fontane

Casalgrasso

Faule Villafranca Piemonte

Cardè

Villanova Solaro

Cascina Biscaretto Fontanile Ruffia

Ponte Varaita

Laurentia Bastie

Saluzzo

Savigliano

4. Le Attività Estrattive nella Piana di Saluzzo: i Progetti, la Storia 79


Cava Bastie F.lli Piumatti snc Revello, Saluzzo 15,8 2,5 13,3 5 anni 266.000 2004

Cava di modeste dimensioni, avviata nel 1991 e continuata con un progetto quinquennale di ampliamento, realizzato tra il 2004 e il 2012 (l’interruzione della strada di accesso dovuta all’erosione della sponda ha fermato la cava dal 2008 al 2010), che aumenta significativamente i contenuti di valorizzazione ambientale del recupero, da ultimare nel 2014, con lo smontaggio degli impianti e la cessione delle aree. Il progetto di recupero è stato indirizzato alla tutela attiva di specifici endemismi, il cui ruolo è stato particolarmente evidenziato nella Valutazione di Incidenza, la relazione che accompagna ogni progetto trasformativo dell’assetto ambientale nei SIC (o in loro prossimità): nel caso l’area “Confluenza Po-Bronda”. Infatti, per tutelare l’habitat riproduttivo di una specie protetta (il tritone crestato italiano – triturus carnifex) che aveva colonizzato la parte sud del lago, il progetto estrattivo si è limitato ad un modesto ampliamento nella parte nord e alla realizzazione di un setto di separazione dalla parte protetta.

Operatore Comuni Superficie totale (ha) Superficie finale lago (ha) Superficie recupero ambientale (ha) Periodo di attuazione del recupero ambientale Quantità autorizzate (mc) Anno di autorizzazione

Il laghetto mantenuto separato dal lago maggiore per proteggere la colonia di tritoni insediatasi

La sponda del lago a recupero ambientale avvenuto

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bosco mesofilo planiziale

canneto

lago di cava a fine recupero

bosco ripariale golenale arbusteto golenale

prato bosco esistente

fabbricato

Progetto di recupero ambientale - Stato finale

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Nel particolare il recupero della parte in asciutto dell’area di proprietà (in cessione a progetto ultimato) ha comportato una fascia di naturalizzazione circumlacuale di oltre 50 metri di profondità, che è stata realizzata riproducendo le sequenze vegetazionali delle formazioni forestali planiziali spontanee: una prima fascia, prospiciente il lago, riconducibile al bosco umido o ripario, seguita da una seconda fascia con essenze proprie del bosco planiziale asciutto, con bordi diversificati, formati da macchie e radure, realizzando una fascia boscata naturaliforme a partire da uno schema d’impianto irregolare, con le piantine disposte a gruppi. A completare la fascia boscata sono stati realizzati interventi di miglioramento forestale nella zona demaniale compresa tra il lago e l’alveo del Po finalizzati: a rinnovare le piantagioni vetuste e ormai morte, a contenere la

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robinia e a sostituirla nel medio periodo con essenze proprie del bosco spontaneo. Per la fascia umida, di rilevante importanza visto il ruolo di habitat della specie protetta, si è proceduto con: • un disegno delle sponde movimentato, con piccole anse ed emergenze, con tratti sommersi in occasione dei picchi di falda e in asciutto nei periodi siccitosi, • la formazione di alcune aree umide con la costituzione di canneti spondali, bordati da una zona a boscaglia arbustiva golenale (salice, ontano nero): piante mesoigrofile cioè in grado di sopportare sommersioni temporanee a seguito delle escursioni di falda, • la messa alla fonda di quattro isolotti artificiali di 5/10 metri quadrati. Un monitoraggio sistematico della colonia di Tritoni consente non solo di


verificare eventuali impatti negativi provocati dalle attività estrattive, ma anche di arricchire la conoscenza scientifica specifica sulla specie e le sue relazioni con un habitat controllato.

Sopra, le isole artificiali realizzate lungo la sponda est del lago

Sotto, visione d’insieme delle sponde del lago con evidenza delle sponde già recuperate e di quelle in cui il recupero è in atto

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profilo finale lago di cava aree interessate dal progetto di recupero

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2007

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Cava Laurentia Dastrù D. & C. snc Operatore Revello Comuni 24,7 Superficie totale (ha) 8,7 Superficie finale lago (ha) 16,0 Superficie recupero ambientale (ha) 15 anni Periodo di attuazione del recupero ambientale 754.000 Quantità autorizzate (mc) 1997 Anno di autorizzazione

Attività estrattiva incominciata negli anni ‘80 con l’escavazione del bacino nord, ampliatasi al bacino sud a partire dal progetto del 1990 e successivamente con il progetto quindicennale del 1997. Gli interventi di recupero e di valorizzazione ambientale sull’area sono quelli maggiormente diffusi, a partire dall’impianto di formazioni boschive mesofile, alternate a radure erbose e a macchie arbustive, su terreni movimentati in altezza, per ottenere un migliore effetto scenico. Per mitigare e redere più naturaliforme il bacino nord, molto regolare, con i progetti degli anni ‘90 si è costituita una fascia di acque basse ai bordi, attraverso ritombamenti e risagomature dei profili e l’introduzione di isole artificiali per l’avifauna. Negli anni però, la forte escursione della falda (oltre i 2 metri) ha reso difficoltoso il pieno attecchimento delle vegetazioni igrofile e danneggiato le isole. I due specchi d’acqua risultano divisi dalla strada comunale S.Firmino che costiuisce un filtro verde e conduce al guado sul Po e all’area impianti. 86

Particolari della riprofilatura delle sponde nel lago Nord


bosco mesofilo planiziale

area per attrezzature

parcheggio

arbusteto planiziale arbusteto golenale prato

lago di cava a fine recupero fabbricato approdi e pontili

recinti equitazione capanno deposito attrezzature fruizione ciclopedonale e viabile

Progetto di recupero ambientale - Stato finale

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Diversamente dagli altri progetti, il recupero del sito assume interesse per gli interventi, sulla tenuta, sugli immobili ed in generale sui progetti di fruizione, che non sono affidati ad un generico ed indefinito futuro gestore, ma sono parte della strategia aziendale della famiglia proprietaria, ancora presente con attività ricettive rivolte ad un turismo dedicato. Quindi una parte significativa degli interventi di valorizzazione è indirizzata alla fruizione complessiva del sito, di cui l’area interessata dall’attività estrattiva è solo una delle polarità fruitive, prevalentemente orientata all’osservazione della natura e dell’avifauna. Il polo fruitivo naturalistico sarà corredato di alcune attrezzature di minimo impatto: • percorsi didattici per il riconoscimento della flora e delle

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essenze autoctone, capanni mimetizzati per il birdwatching, arenili sabbiosi, pontili di attracco per piccole imbarcazioni • un edificio in legno, a servizio del personale e di documentazione per la fruizione, assegnato al Parco. Il polo della ricettività sarà ospitato nella cascina padronale e caratterizzato da iniziative di nicchia (pet therapy, escursioni territoriali e osservazione naturalistica e paesistica).


Sopra, particolare degli interventi di recupero realizzati sulle sponde del lago sud Sotto, vista d’insieme del lago nord

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profilo finale lago di cava aree interessate dal progetto di recupero

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2007

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Cava Fontane Fontane sas Faule (cn) Pancalieri (to) 85,3 34,8 50,5 20 anni 4.900.000 2011

Importante intervento di sistemazione definitiva, recentemente corredato di un progetto di ampliamento sostanziale, che porterà ad oltre 50 ettari l’area di recupero “in asciutto”, sugli oltre 85 ettari interessati dall’intervento. L’attività estrattiva è iniziata negli anni ‘80 nella zona nord est, la più vicina al meandro fluviale e compresa nella riserva naturale del Parco. A ciascuna fase estrattiva è corrisposto, dagli anni ‘90, un recupero spondale e della fascia in asciutto retrostante, oggi in gran parte completato e ormai qualificato sia per gli aspetti paesistici che per quelli naturalistici. Il posizionamento degli impianti e delle attrezzature produttive a terra consente di proseguire l’attività produttiva nell’ambito sudovest, esterno alla riserva naturale, senza ulteriori interferenze con l’area di valorizzazione naturalistica del lago a nord, compresa tutta la fascia fluviale del meandro. Il progetto nel suo complesso restituisce un ambito naturalistico diversificato e complesso, un settore a 92

Operatore Comuni Superficie totale (ha) Superficie finale lago (ha) Superficie recupero ambientale (ha) Periodo di attuazione del recupero ambientale Quantità autorizzate (mc) Anno di autorizzazione

Il lago per la pesca sportiva e il pontile in legno

Aree con ghiaioni e coperture prative rade xerofile

Una delle strutture realizzate per la fruizione


bosco mesofilo planiziale arbusteto planiziale bosco ripariale golenale

lago di cava a fine recupero fabbricato approdi e pontili

area attrezzata osservatorio naturalistico lago pesca sportiva

arbusteto golenale canneto prato area per attrezzature

passerella pedonale ponticello carrabile parcheggio area ricreativa

capanno pescatori capanno deposito attrezzature capanno ricovero imbarcazioni fruizione ciclopedonale e viabile

Progetto di recupero ambientale - Stato finale

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connotazione transitoria naturalisticoricreativa (riguardante le sponde lacuali distanti dalla fascia fluviale adibite a spiaggia) ed aree a funzione prevalentemente ricreativa quali il laghetto per la pesca sportiva con le attrezzature connesse e l’area occupata dagli impianti durante la fase produttiva. La sistemazione naturalistica della fascia spondale del lago merita una descrizione di dettaglio: • una zona umida, caratterizzata da canneti e arbusteti golenali, fondata su piani posti a circa 30 e 100 cm. al di sotto del livello minimo di falda (adatti alla crescita di vegetazione palustre, habitat ideale per molti migratori), direttamente collegata al bacino principale attraverso canali più profondi, che consentono una permanente alimentazione idrica, • uno stagno semipermanente completamente separato dalle acque

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del lago, che va in asciutta nei periodi più aridi, adatto all’erpetofauna e agli anfibi, • le sponde disegnate con anse, piccole penisole, scarpate a varia pendenza (in parte verticali per agevolare la nidificazione di specifiche specie come topini, gruccioni, martin pescatore etc... ), • un isolotto collegato alla terraferma attraverso due passerelle in legno, al fine di separare il lago principale, a destinazione naturalistica, dal laghetto secondario destinato alla pesca sportiva. Per la parte di terraferma prevale l’impianto di alberature d’alto fusto, al fine di separare il lago dalle aree agricole attigue, mentre sono state riservate per l’habitat della fauna specifica alcune radure xeriche e tratti dove affiorano le ghiaie. Per la fruizione paesistica è stata realizzata una collinetta con un


osservatorio per birdwatching, mentre a sud a conclusione del progetto sono previste zone di radura che consentono la fruizione del lago per il tempo libero e la pesca (fascia sudovest, di futura realizzazione).

Vista del laghetto per la pesca sportiva con sullo spondo le attrezzature di servizio alla fruizione realizzate

Vista del lago di cava dalla sponda sud con gli impianti di estrazione in attività e le sponde già recuperate dalla seconda metà degli anni ‘80 sullo sfondo

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profilo finale lago di cava aree interessate dal progetto di recupero

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Cava Falè Monviso Spa Casalgrasso 45,6 22,6 23,0 20 anni 4.800.000 2000

Intervento di sistemazione definitiva di un bacino di cava aperto nel 1971, a seguito del divieto dell’attività estrattiva svolta sino ad allora dall’azienda in alveo, lungo il tratto rettificato del fiume a monte del ponte di Casalgrasso. Il progetto completa un disegno e una modalità gestionale già attenta, negli anni ‘90, alla sistemazione vegetazionale delle sponde e aperta al dialogo con la comunità locale: ad esempio, una convenzione con l’Associazione pescatori promuove da tempo la pesca sportiva in tratti del lago non interessati dall’attività estrattiva. Il progetto ottiene, anche nella fase “di cantiere” (di durata ventennale), un assetto paesistico e ambientale soddisfacente, sia delle parti d’acqua che di quelle vegetate: se da un lato, infatti, si mettono a sistema gli interventi di recupero naturalistico e per la fruizione e il tempo libero; dall’altro, l’ampliamento della cava, è disegnato in modo da aumentarne l’aspetto naturaliforme.

Operatore Comuni Superficie totale (ha) Superficie finale lago (ha) Superficie recupero ambientale (ha) Periodo di attuazione del recupero ambientale Quantità autorizzate (mc) Anno di autorizzazione

Interventi di piantumazione sulle sponde del lago

Il percorso ciclopedonale di fruizione

Le sponde del lago nordest recuperate

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bosco mesofilo planiziale arbusteto planiziale arbusteto golenale canneto prato area per attrezzature

lago di cava a fine recupero miglioramento forestale fabbricato approdi e pontili

osservatorio naturalistico area attrezzata capanno pescatori capanno deposito attrezzature

parcheggio campeggio turistico temporaneo

fruizione ciclopedonale e viabile

Progetto di recupero ambientale - Stato finale

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Sopra, il tratto di lago, nella fascia sudest, adibito a pesca sportiva Sotto, la sponda ovest del lago recuperata mentre sulla sponda opposta continuano le fasi di estrazione e recupero

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Il sito, bordato da due lati da corsi d’acqua, si presta ad un sistema di utilizzi differenziato: per l’ambito di fruizione più intensa, situato dalla parte dell’abitato di Casalgrasso e accessibile dalla strada della cappella S.Croce, il progetto ha previsto un capanno per i pescatori ed un parcheggio per gli utenti del lago, attrezzature realizzate sin dal 2010, dato il definitivo allontanamento dell’attività estrattiva (la draga procede in senso orario riavvicinandosi da ovest all’area impianti). Al contrario, dalla parte della confluenza tra Varaita e Po, il progetto mira ad ottenere una maggiore naturalità, anche in ragione del limitrofo Sito di Interesse Comunitario (SIC); perciò a progetto completato, la fruizione è consentita al solo percorso spondale, come previsto dal Piano d’area. Anzi, per ridurre l’impatto antropico,

la commissione di controllo ha deciso di sostituire la passerella ciclopedonale sul Varaita, prevista nel progetto iniziale per completare l’itinerario disegnato nel piano d’area, con un allungamento del percorso spondale sino al ponte che connette Casalgrasso a Polonghera, evitando un ulteriore intervento nell’area SIC. Anche l’impianto vegetazionale corrisponde ai diversi utilizzi finali previsti: nelle aree di maggiore fruizione, sponde direttamente accessibili, radure, impianti arborei per ombreggiare, rade e concentrate macchie di cespugli; nelle aree a maggiore naturalità, sponde con acque basse e vegetazione idrofila, macchie seriali di vegetazione arborea e a cespuglio a ridotta penetrabilità, sistemazioni su rilevati di fronti ripidi e nudi per la nidificazione degli uccelli fossori.

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profilo finale lago di cava aree interessate dal progetto di recupero

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Cave esterne al Piano d’Area Anche fuori dal Piano d’Area e dalla fascia fluviale del Po, l’attività estrattiva si localizza lungo i fiumi maggiori, scegliendo le zone pedemontane ottimali per il materasso alluvionale di ghiaie che, come si può vedere dalla carta geolitologica, è ben diffuso in tutta la piana saluzzese. Il Varaita è l’affluente del Po più importante che percorre il terrazzo, confluendo al confine tra le province di Cuneo e Torino. In sinistra e in destra del Varaita si sono insediate quasi contemporaneamente (fine anni ’90) e a poche centinaia di metri di distanza, due attività estrattive di grandi dimensioni, con una storia parallela. Le procedure da seguire per ottenere le autorizzazioni all’escavazione sono simili, dentro e fuori il Parco, salvo in parte i contenuti e il monitoraggio per il progetto di recupero ambientale. Resta fermo però che il Piano d’area (vigente dal 1995) vieta l’apertura di nuove cave nell’area del Parco, così come perimetrato alla data di adozione, limitando l’attività estrattiva alla prosecuzione delle cave esistenti. Infatti nel Piano d’area la sistemazione ambientale costituisce l’obiettivo principale dell’intervento di recupero di una situazione critica data dalle escavazioni precedenti, a cui si allinea il programma di scavo, considerato necessario per ottenere una congruenza economica all’intervento di recupero, 104

realizzato esclusivamente con investimento privato. Viceversa, fuori dal Piano d’area, le attività estrattive sono avviabili nelle zone ammesse dagli strumenti urbanistici e dai programmi provinciali (non ancora approvati), e il progetto di recupero ne è solo una parte complementare, dovuta per minimizzare e compensare l’impatto della trasformazione produttiva (in particolare per il consumo di suolo, le attività industriali in aree libere, la prossimità con gli alvei fluviali). Queste diverse condizioni spiegano le diverse dimensioni (significativamente maggiori fuori Piano d’area per quantità di estrazioni, tempi di realizzazione del progetto, grandezza degli specchi d’acque profonde rispetto alle parti di zona umida o in asciutto naturalizzate), e la relativa standardizzazione dei progetti di recupero (ridotti alla sistemazione di corone piuttosto omogenee attorno ai laghi, definiti dal terreno a disposizione piuttosto che da un disegno naturaliforme). Restano invece vincolanti per tutti le valutazioni relative alla sicurezza idraulica e idrogeologica, in termini di rispetto degli alvei e delle falde profonde, e le regole fondamentali di buona pratica estrattiva e di gestione dei siti.


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Cava C.na Biscaretto-Fontanile Selghis spa, Pub srl Ruffia Villanova Solaro 78,6 34,0 44,6 20 anni 7.745.000 2006

Operatore Comuni Superficie totale (ha) Superficie finale lago (ha) Superficie recupero ambientale (ha) Periodo di attuazione del recupero ambientale Quantità autorizzate (mc) Anno di autorizzazione

lago di cava a fine recupero funzione naturalistica funzione ricreativa zona di trasizione

I due progetti estrattivi, qui illustrati, attivati sulla base di autorizzazioni comunali della metà degli anni ‘90 e nuovi progetti provinciali intorno al 2005, prevedono recuperi paesaggistici indirizzati a formare una fascia filtro tra il sistema rurale circostante e il lago, con una fascia boscata che si infittisce progressivamente sino alle sponde, con profili tali da ospitare una fascia di vegetazione palustre.

Progetto di recupero ambientale.

bosco mesofilo planiziale bosco ripariale golenale arbusteto golenale canneto

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prato lago di cava a fine recupero approdi e pontili parcheggio

osservatorio naturalistico area attrezzata fruizione ciclopedonale e viabile

Sullo sfondo il progetto di recupero presentato nel 2005, i retini e le linee sovrapposti rappresentano le modifiche apportate al progetto poi autorizzato nel 2006 con la predisposizione della fascia di rispetto di 150m dall’argine del fiume.


Cava Ponte Varaita Inerti Varaita srl Ruffia 68,6 31,5 37,1 30 anni 8.173.700 2004

Operatore Comuni Superficie totale (ha) Superficie finale lago (ha) Superficie recupero ambientale (ha) Periodo di attuazione del recupero ambientale Quantità autorizzate (mc) Anno di autorizzazione

Dalla parte del fiume i progetti sono stati modificati, predisponendo una fascia in asciutto e boscata di spessore superiore a 150 metri, in sede di autorizzazione. La fruizione, pensata per il tempo libero (aree pic-nic e radure per il gioco, con approdi per piccole imbarcazioni), è tenuta distante dalla parte più prossima al fiume, che ha una sistemazione più naturalistica e meno accessibile.

Progetto di recupero ambientale. Stato finale

bosco mesofilo planiziale arbusteto planiziale bosco ripariale golenale canneto

prato area per attrezzature lago di cava a fine recupero miglioramento forestale

fabbricato area attrezzata fruizione ciclopedonale e viabile

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5. Buone Pratiche di Riqualificazione Casi Italiani e Francesi 109


Parco Fluviale Isola di Giarola Il Parco Fluviale di Isola Giarola interessa un bacino estrattivo di sabbie e ghiaie, ubicato in golena del Po a Villanova sull’Arda (PC). Il progetto di sistemazione, predisposto nel 1991 si attiva in parte nell’area di lanca, mentre l’estrazione del materiale prosegue fino al 1995. Nel 1999 iniziano i lavori di riqualificazione dell’intero sito, distinti in diversi ambiti con usi diversificati. Nel 2007 viene ceduta l’area, che comprende il lago di circa 20 ettari collegato al Po da un canale artificiale. Il progetto si estende anche ad aree limitrofe al sito estrattivo dove è presente una vegetazione spondale a canneti e saliceti progressivamente arricchita con l’impianto di numerose specie autoctone, alternando parti a bosco igrofilo e parti a bosco mesofilo

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oltre il quale si trovano ampie zone a prato e quinte arboree perimetrali. Nel sito si svolge una ricerca sperimentale nel campo dell’ecologia delle acque interne e dell’evoluzione di ambienti lacustri artificiali, svolta in collaborazione con l’università di Parma. La ricerca studia le variazioni stagionali dei principali parametri idrochimici e la struttura dei popolamenti planctonici, con l’obiettivo di individuare indicatori di sintesi da utilizzare nella gestione dell’ambiente acquatico e monitorare lo stato di “salute” dei laghi di cava. Il Parco è attrezzato per attività fruitive, organizzate da guide: escursioni didattiche e naturalistiche lungo itinerari dotati di pannelli illustrativi e percorsi attrezzati per il birdwachting, principalmente nell’area del Lancone,


il quale conserva ancora un alto grado di naturalità. Le sue sponde sono colonizzate da canneti e saliceti, habitat di una ricca comunità di invertebrati, di pesci e di anfibi che favoriscono la sosta, e in alcuni casi, la nidificazione di numerose specie di uccelli, in particolare ardeidi e passeriformi. Il Lancone, per il suo valore conservazionistico è stato annesso nel 2005 al SIC IT4010018 “Fiume Po da Rio Boriacco a Bosco Ospizio”. Il lago è interessato inoltre da un’attività ittiogenetica mirata alla riproduzione dello storione e da attività di pesca sportiva. Oltre all’accessibilità da terra è possibile raggiungere l’area direttamente dal Po, grazie all’attracco galleggiante realizzato nel 2008 che consente ad imbarcazioni turistiche di sostarvi, inserendo così il sito nel circuito turistico fluviale del Parmense.

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Polo Ecologico del Forez L’area di Chambéon, lungo il primo tratto della Loira, costituisce un importante punto di passo per uccelli migratori che trovano in questi luoghi oltre 300 bacini diversi e varie zone umide, aree di sosta e possibilità di facile alimentazione, costituendo così la settima zona per la riproduzione dell’avifauna in Francia. Il Polo Ecologico del Forez, situato nel comune di Chambéon, costituisce sin dal 1987 un osservatorio privilegiato della fauna e della flora per tutta la Regione Rhône-Alpes. E’ gestito in collaborazione tra un’azienda estrattiva, proprietaria delle aree, e la Fédération Rhône-Alpes de Protection de la Nature section Loire (FRAPNA Loire).

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Mentre erano ancora in corso le attività di estrazione degli inerti alluvionali, la società ha avviato con FRAPNA un percorso comune per migliorare la dinamica del fiume Loira e per riabilitare gli ecosistemi ad esso associati. Già nel 1991 la ditta esercente ha iniziato a trasferire la gestione delle aree non direttamente interessate dall’attività estrattiva a FRAPNA. Questa proficua collaborazione ha portato quindi, nel 1992, alla firma di una prima convenzione annuale attraverso la quale è di fatto nato il progetto “Ecopôle Forez”. Tutta la riqualificazione del sito è stata poi eseguita secondo le indicazioni progettuali del FRAPNA Loire:


• formazione di due stagni e di tre isole a breve distanza dalle sponde, costituendo un habitat specifico per l’avifauna • rimodellamento delle sponde, dei bacini e creazione di setti ed aree ad acque basse; • diversificazione degli habitat (creazione di isole di ghiaia, canneti, fronti di sabbia...) • attrezzatura di uno spazio pubblico, di loisir e per manifestazioni. Un accordo del 2007 ha reso permanente la concessione delle aree a FRAPNA Loire e il sostegno economico alle azioni di monitoraggio scientifico della biodiversità e la sua estensione a nuovi ed ulteriori campi di indagine. Il Polo Ecologico del Forez ha ricevuto anche il sostegno finanziario della Commissione europea per sviluppare

un ulteriore polo ecologico di 11750 ettari, rispetto al quale l’odierno Ecopôle costituisce la zona centrale. Ogni anno, Ecopôle Forez accoglie più di 70.000 visitatori, di cui 20.000 studenti, che possono sfruttare un percorso educativo e didattico di 6 km costellato di punti di sosta e osservatori.

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Parco Etnografico Bosco di Rubano Il Parco Etnografico di Rubano, (periferia di Padova) deriva dal recupero di un sito di cava attiva dal 1974 al 1985 in uno dei paleoalvei del Brenta. Sin dalla fine degli anni ‘70 viene predisposto di concerto con associazioni e Comune un progeto di sistemazione dell’area di cava, che si realizza per parti dopo il termine delle attività produttive. Il progetto di ripristino ambientale della cava prevede una suddivisione in tre zone dell’area: una riserva naturale orientata per l’insediamento della fauna selvatica e la messa a dimora del bosco; un parco attrezzato per attività ricreative e didattiche e infine, una zona esterna di rispetto con siepi, filari e coltivazioni biologiche. I lavori di movimento terra hanno riguardato la costruzione degli argini e delle isole nelle zone umide, riprofilando l’eccessiva pendenza delle sponde. Dal 1999 l’area diviene Parco Etnografico con costruzione di una fattoria didattica e riproduzione di un antico casone veneto, tipica abitazione delle famiglie bracciantili posta a margine delle tenute padronali. Il parco, oggi di proprietà del Comune di Rubano, viene gestito dalla Cooperativa sociale “Terra di Mezzo”, che, oltre alle tradizionali funzioni di tutela ambientale, offre servizi di carattere sociale e culturale; vi si tengono attività di educazione ambientale, visite guidate, attività scout e manifestazioni varie. 114


Bernières-sur-Seine Il sito dell’ex cava di Bernières-surSeine (nel dipartimento dell’Eure in Alta Normandia) si inserisce in un contesto geografico di notevole interesse ecologico, in stretta relazione con il sito del Castello Gaillard, meta culturale d’eccellenza. Gli interventi di recupero sono frutto di concertazioni multiple aperte con gli attori locali (DRIRE Direzione regionale ambiente e territorio, amministratori, proprietari di terreni, residenti...). Il progetto di recupero del sito estrattivo di grande dimensione, si è sviluppato secondo due direttrici: • di valorizzazione ambientale con il rimboschimento di circa 200 ha, con oltre trenta essenze diverse che ospita una fauna molto differenziata (in particolare endemismi di anfibi e insetti acquatici…); • di ricostruzione degli habitat per l’avifauna e di alcune specie endemiche con la realizzazione di zone umide per oltre 50 ha, e la predisposizione di praterie aride che ospitano specie rare in alta Normandia come l'occhione stridulo e di altre specie emblematiche della valle della Senna. L’attuazione degli interventi di valorizzazione ambientale ha ottenuto come risultato la classificazione dei siti come zone di protezione speciale (ZPS) ai sensi della direttiva uccelli (Natura 2000) e “Grande Site" ai sensi della legge di protezione del paesaggio del 1930. 115


Bibliografia • AA.VV., 2000, Recuperi ambientali. Esempi di recupero ambientale di cave e dissesti nella Provincia di Modena, Quaderni di documentazione ambientale, Provincia di Modena, Settore difesa del suolo e tutela dell’ambiente Modena. •

AA.VV., 2002, Coltivazioni minerarie ecocompatibili: tre scommesse vinte, in Portland, Buzzi Unicem, Agosto 2002 n. 26.

AA.VV., 2006, Guide de bonnes pratiques. Aide à la prise en compte du paysage dans les études d’impact des carrières et du milieu naturel en Provence-Alpes-Côte d’Azur. Tomes 1 and 2. 2006. Direction Régionale de l’Environnement PACA et Direction Régionale de l’Industrie, de la Recherche et de l’Environnement PACA.

• AA.VV., 2009, Linee guida per il recupero ambientale dei siti interessati dalle attività estrattive in ambito golenale di Po nel tratto che interessa le Province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia, Regione Emilia Romagna. • AA.VV., 2010, Non-energy mineral extraction and Natura 2000 – guidance document, European Commission • AA.VV., 2010, Le attività estrattive in Lombardia. Esperienze a confronto: le nuove sfide ambientali, Convegno organizzato da Anepla e Regione Lombardia, Milano. • BRODKOM F., 2001, Codice di buona pratica ambientale nell’industria estrattiva europea; con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Roma , Edizioni PEI. • CARINI R., ADORNI S. 2005, Conservazione della colonia di sterna comune (Sterna hirundo) presso l’area naturalistica “Le Chiesuole”. Atti I Convegno “Avifauna acquatica: esperienze a confronto”. Comacchio: pp. 77-79. • DASNIAS P., 2002, Aménagement écologique des carriere en eau. Guide pratique, Charte UNPG, Paris. • FERRARI V., BARBORINI M., 1996. Le cave in provincia di Cremona. Provincia di Cremona. Centro di documentazione ambientale. • GISOTTI G., 2008, Le cave. Recupero e pianificazione ambientale, Dario Flaccovio Editore. 116


• MUZZI E., ROSSI G. (a cura di ), 2003, Manuale teorico-pratico “Il recupero e la riqualificazione ambientale delle cave in Emilia Romagna” Regione Emilia Romagna • REGIONE PIEMONTE, Documento di Programmazione delle Attività Estrattive (DPAE), I stralcio “Inerti da calcestruzzo, conglomerati bituminosi e tout-venant per riempimenti e sottofondi”, approvato con DGR n. 27-1247 del 6.11.2000 • SARTORI F., 1991. Utilizzo delle macchie seriali di vegetazione negli interventi di ricostituzione della copertura vegetale naturale spontanea. Simposio nazionale della Società Botanica Italiana, Gruppo di Lavoro per la Conservazione della Natura, Pavia, 15 novembre 1991. Verde Ambiente (Suppl.) 6: 38-39. • TRASI N., 2001, Paesaggi rifiutati paesaggi riciclati. Prospettive e approcci contemporanei, Dedalo Librerie.

Le schede progettuali hanno attinto, per le informazioni base, dalle relazioni redatte dai progettisti: Bastie: Geostudio e G.Uliana Laurentia: Esagon e SEAcoop Fontane: Geostudio e G.Uliana Falè: P.Castelnovi e SEAcoop Cascina Biscaretto-Fontanile e Cava Ponte Varaita: Geostudio e G.Uliana

Si ringrazia per la fornitura di dati relative alle dimensioni produttive, la consultazione dei progetti e delle foto aeree delle attività estrattive prese in esame il Settore Programmazione e monitoraggio Attività Estrattive della Regione Piemonte – Direzione Attività Produttive. Si ringrazia inoltre per la collaborazione e la consulenza fornita durante lo sviluppo di questo volume il dott. Pier Paolo Varetto della Regione Piemonte e Maurilio Paseri - Responsabile Servizio Tecnico del Parco del Po Cuneese. 117


Immagini: fonti e riferimenti Le immagini dei capitoli 1, 2 e 4, salvo diversa indicazione in didascalia, sono elaborazione degli autori. Per le immagini dei capitoli 3 e 5 si vedano le indicazioni seguenti. cap. 3. Buone pratiche di progetto e intervento / Interventi di naturalizzazione Per gli interventi di naturalizzazione le immagini fanno riferimento a siti di cava localizzati lungo il corso del Po piemontese. Una fonte preziosa di esperienze e progettualità nella gestione dei recuperi naturalistici, deriva dalle relazioni di progetto e direzione lavori delle sistemazioni definitive delle cave lungo il Po piemontese redatte dai tecnici di SEAcoop, in particolare da Daniele Fazio. Di seguito i riferimenti ad esempi e siti specifici citati: Area Naturalistica Le Chiesuole, Parco Regionale del Taro, Collecchio (Pr) www.parcotaro.it parchi.parma.it Cantina Petra, Suvereto (Li) www.scintec.it/ricerca/energia/ftc.html Cascina del Rotto, La Loggia (To) Progettista: Arch. Giorgio Beltramo www.studiobeltramo.it Cava Tuna, Gazzola (Pc) pescaepesca.forumfree.it Centro Cicogne Anatidi, Racconigi (Cn) Progettista: Arch. Enrica Vaschetti www.cicogneracconigi.it Emscher Park, Oberhausen (DE) www.mai-nrw.org/Industrialculture.22.0.html?&L=1

Le Bandie, Spresiano (Tv) www.bandieventi.com Oasi del Ceretto, Carignano (To) AA.VV., 2002, Coltivazioni minerarie ecocompatibili[...], pp. 3-6. Oasi del Garrettino, Carignano (To) Progettista: Arch. Giorgio Beltramo www.studiobeltramo.it Oasi Naturalistica La Madonnina, Sant’Albano Stura (Cn) http://www.oasimadonnina.eu/ Parco dei Laghetti, Martellago (Ve) Progettista: Studio MTGMArchh http://mtgm.it/site/lavori/opere-pubbliche/ parco-laghetti-martellago-ve-2/

Grand Parc Miribel Jonage, Lyon (FR) www.grand-parc.fr

Parco della Cava valle fiume Marecchia, Poggio Berni (Rn) www.rimini-it.it/poggio-berni/parcopoggioberni.htm E. Muzzi, G. Rossi, , 2003, pp. 449-451

La Pommeraie-sur-Sèvre, Pays de la Loire (FR) www.scintec.it/ricerca/energia/ftc.html

Palude di Brivio, Parco Adda Nord (Lc) www.parcoaddanord.it www.inanellamentoitalia.it/stazioni

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Parco Le Folaghe, Casei Gerola (Pv) www.parcolefolaghe.it/progetti.asp Riserva Naturale Valle Canal Novo, MaranoLagunare (Ud) www.riservenaturali.maranolagunare.com

Ortofoto e foto aeree Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Geoportale nazionale

Settepolesini, Bondeno (Fe) www.locandailfagiano.it www.pesaresi.com/it/ambiente/parcodella-cava.html E. Muzzi, G. Rossi, 2003, pp. 429-430

cap. 5. Buone pratiche di riqualificazione: casi italiani e francesi • Parco Fluviale Isola di Giarola, Villanova sull’Arda (Piacenza) www.villanovaparchi.it • Parco ecologico del Forez (Cava di Chambeon), regione Rhône-Alpes (FR) www.frapna-loire.org/sites-naturels/lecopole-du-forez.html www.loiredecouverte.com/nature-et-loisirs/ecopole-du-forez.php C. Clapier, C. Cayre, A. Plantier, R. Faure,“Les fruits de la concertation” Cemex, Lpo, 2009, pp. 20-21 • Parco Etnografico di Rubano, Rubano (Padova) www.parcodirubano.org www.magicoveneto.it • Bernières sur Seine, Bernières sur Seine (FR) www.lafarge-france.fr www.charte.unicem.fr/data/rpe_haute_normandie_site_de_bernieres_sur_seine.pdf

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La prima piana del Po, da Saluzzo a Torino, ha tutte le caratteristiche del resto della pianura padana, con una cosa in più, poco appariscente ma importante: riposa sul miglior giacimento di ghiaie d’Italia, il più ricco e soprattutto ottimo per la qualità produttiva. Non per caso una ventina di importanti attività estrattive si sono situate lungo quel tratto di fascia fluviale, e la loro attività negli ultimi vent’anni, in parte condizionata dalla “convivenza” con gli enti di gestione dell’area protetta, è argomento interessante di un racconto e di una riflessione. Il soggetto del racconto è l’impresa collettiva che risulta come prodotto, solo in parte consapevole, del lavoro (in parte contrastante e in parte convergente) di molti uomini, delle loro istituzioni e delle loro aziende, strette in una relazione che in una prima fase sembrava costrittiva, ma che si sta dimostrando nel tempo proficua e sostenibile. È l’impresa che in vent’anni ha condotto le attività estrattive in acqua da un ruolo “corsaro”, di profitto a scapito degli equilibri ambientali e della sicurezza idraulica del territorio, ad una funzione di sostegno, fondamentale per le strategie della rete ecologica regionale e della valorizzazione del fiume.

REALIZZATO CON IL SOSTEGNO DEL FONDO EUROPEO DI SVILUPPO REGIONALE PROGRAMMA ALCOTRA IT - FR 2007 / 2013

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