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Riqualificazione e Valorizzazione dei Laghi di Cava

Pubblicazione a cura di: Paolo Castelnovi con la collaborazione di: Sergio Bongiovanni, Teresa Corazza, Patrizia Franco, Daria Pizzini

Immagini di copertina: Renzo Ribetto, Luca Valente

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Stampa: Nuova Stampa - Revello (Cn) - www.nuova-stampa.net

Finito di stampare: Maggio 2013

Nell’ambito del progetto di cooperazione transfrontaliera italo-francese “Risorsa Monviso”, inserito nel più ampio Piano Integrato Transfrontaliero (PIT) “Monviso: l’Uomo e le Territoire” coordinato dall’Ente Parco del Po Cuneese con il Parc naturel régional du Queyras, l’Ente Parco ha voluto affrontare, tra i molti temi, anche la tematica delle cave esistenti lungo il corso del Po.

Grazie al Piano d’Area del Po, approvato dal Consiglio Regionale nel 1995, si è attivato in questi anni un percorso virtuoso di collaborazione fra Regione, Ente Parco e gli imprenditori che operano nel settore di estrazione dei materiali litoidi.

Questa pubblicazione ha il pregio di affrontare, in modo organico, tutta la tematica del ripristino ambientale delle cave a partire dall’inquadramento nella pianificazione territoriale, illustrando gli interventi effettuati e le “buone pratiche” per quelli futuri, con l’intento di descrivere al lettore quale sarà l’assetto finale dei luoghi di estrazione, nel momento in cui tutti gli interventi di riqualificazione saranno completati.

Non dobbiamo dimenticarci che, nei prossimi anni, molte delle zone in oggetto, completato il loro ciclo produttivo, saranno affidate in proprietà all’Ente Parco, a cui spetterà la gestione per un utilizzo collettivo; una sfida difficile dal punto di vista gestionale, ma anche affascinante e sicuramente con grande beneficio per i cittadini.

E’ con piacere, infine, che ringrazio, fra gli altri, gli Imprenditori che gestiscono le cave lungo il territorio di nostra competenza, per la collaborazione e la disponibilità dimostrata negli anni e in particolare nella realizzazione della presente pubblicazione, nonché il Settore Regionale che si occupa da sempre del tema del recupero ambientale delle cave, con grande competenza e professionalità.

Il Presidente Silvano Dovetta

Le cave di sabbia e ghiaia, in Piemonte presenti soprattutto nella pianura alluvionale, necessitano un approccio gestionale in grado di conciliare le esigenze di tutela del territorio e dell’ambiente con quelle socioeconomiche della produzione di materie prime minerarie.

Questi obiettivi, che rappresentano un irrinunciabile interesse pubblico, giustificano un intervento di programmazione che si realizza attraverso il coinvolgimento di più soggetti attuatori (Regione, Enti Parco, Comuni e cavatori).

Il recupero e il percorso di rinaturalizzazione delle cave nelle aree fluviali protette, tema di questo libro, dimostrano come questa tipologia di interventi consenta, un deciso miglioramento sotto il profilo ambientale e una maggior fruizione e riutilizzo pubblico delle aree.

La Regione Piemonte, da decenni, conduce il percorso di riqualificazione delle cave secondo delle ‘buone pratiche’, in linea con quanto avviene nel resto dell’Europa, avendo come principale obiettivo la restituzione al territorio e alla collettività di aree in equilibrio dal punto di vista agro forestale e fruibili da parte pubblica.

Le ricche e numerose illustrazioni di questo libro descrivono nel dettaglio il lavoro condotto in questi anni e permettono al lettore di poter vedere i risultati raggiunti che, in stretta correlazione con le diverse caratteristiche ambientali dell’area fluviale del Po si stanno concretizzando anche nel restante territorio della fascia fluviale.

Ritengo pertanto che l’opuscolo possa fornire un contributo importante, soprattutto dal punto di vista conoscitivo e informazione, sul percorso di realizzazione di cave realmente sostenibili.

Gian Luca Vignale (Assessore al Personale e organizzazione, modernizzazione e innovazione della P.A., parchi, aree protette, attività estrattive, economia montana)

La prima piana del Po, da Saluzzo a Torino, ha tutte le caratteristiche del resto della pianura padana, con una cosa in più, poco appariscente ma importante: riposa sul miglior giacimento di ghiaie d’Italia, il più ricco e soprattutto ottimo per la qualità produttiva. Non per caso una ventina di importanti attività estrattive si sono situate lungo quel tratto di fascia fluviale, e la loro attività negli ultimi vent’anni, in parte condizionata dalla “convivenza” con gli enti di gestione dell’area protetta, è argomento interessante di un racconto e di una riflessione, che in questo libretto si comincia a delineare.

Il soggetto del racconto è l’impresa collettiva che risulta come prodotto, solo in parte consapevole, del lavoro (in parte contrastante e in parte convergente) di molti uomini, delle loro istituzioni e delle loro aziende, strette in una relazione che in una prima fase sembrava costrittiva, ma che si sta dimostrando nel tempo proficua e sostenibile. È l’impresa che in vent’anni ha condotto le attività estrattive in acqua da un ruolo “corsaro”, di profitto a scapito degli equilibri ambientali e della sicurezza idraulica del territorio, ad una funzione di sostegno, fondamentale per le strategie della rete ecologica regionale e della valorizzazione del fiume. La riflessione che consegue al racconto porta da una parte ad individuare le prospettive per migliorare gli effetti di questa alleanza, da estendere nello spazio e soprattutto nel tempo, e dall’altra a proporre queste storie d’impresa come modello di buone pratiche procedurali e imprenditoriali, da riprodurre in altri contesti, con le adeguate differenze, ma alla ricerca di risultati analoghi.

L’occasione di un approfondimento sul tratto del Po saluzzese, da raccontare ad un lettore non tecnico e non conoscitore in dettaglio delle situazioni, rivela un mondo complesso, in cui emergono i fattori culturali che sono stati alla base delle innovazioni di progetto e di atteggiamento degli operatori, pubblici e privati: una lettura della specificità dei luoghi, in cui si inseriscono tecniche e processi produttivi molto standardizzati. La capacità di valutare le caratteristiche (sia in termini di risorse che in termini di debolezze e criticità) dei contesti in cui si sviluppa l’attività estrattiva costituisce una parte rilevante della qualità dei progetti. Nei progetti si deve riuscire a indirizzare una pratica operativa piuttosto rigida, finora indirizzata solo alla produzione di inerti, ad obiettivi ogni volta sfaccettati, che riguardano risorse ambientali molto delicate, paesaggi trascurati da valorizzare, reti di relazioni territoriali da ricostruire; una capacità di inserimento, nei progetti, di attenzioni non solo per gli aspetti ambientali (il rispetto e la valorizzazione dei fattori fondamentali delle riserve, dei sic, etc.), ma anche per quelli paesistici e culturali. L’attrattiva dei luoghi connessa ad un insieme di offerte variate, che solo nel loro insieme possono generare un effetto di rete per itinerari turistici. E sulla potenzialità turistica si può costruire uno sbocco allo sviluppo locale integrativo all’attività estrattiva, attivando una dinamica simile a quella che si è delineata per le attività agrituristiche: pensate inizialmente come complemento dell’attività agricola, e diventate via via sempre più incisive nel quadro produttivo dell’azienda stessa; un’attenzione agli aspetti di processo, di gestione, di attuazione nel periodo • lungo e lunghissimo. Le attività estrattive sono tra le uniche, insieme a quelle dell’agricoltura specializzata, che sono abituate a mirare a risultati che si consolidano nel lungo periodo. Con quel tipo di imprenditori è possibile concordare su progetti venti o trentennali, in cui la capacità di organizzazione stabile e sostenibile deve essere posta al centro del progetto e del convenzionamento pubblico-privato. Con programmi di lungo periodo è più facile impegnarsi in equilibri di fattibilità e di sostenibilità degli interventi, e dall’altro ricercare una compatibilità permanente tra attività produttiva e qualificazione ambientale e paesistica.

Questa è solo una delle regole che, nel piano del Parco, definiscono i termini delle convenzioni per il proseguimento dell’attività estrattiva, e che sono state imposte ai cavatori della fascia fluviale del Po.

Solo così si è superata la prima generazione di convenzioni, ancora viva in molti territori della Regione, per cui l’attività di recupero si attua solo a cava cessata, con il rischio che non si realizzi mai, e comunque con un rinvio lunghissimo dei benefici collettivi degli interventi. Dai validi risultati che si stanno raggiungendo dentro l’area protetta sembra conveniente e forse d’obbligo (almeno per assicurare un equilibrio di mercato) assumere come modello quel tipo di procedure, di progetti e di modalità gestionali, estendendole a tutti i territori, anche non protetti. Ormai cominciamo a vedere gli effetti delle attuazioni dei recuperi previsti nelle convenzioni delle aziende estrattive, e verifichiamo che quegli interventi sono praticamente gli unici ad avere prodotto risultati significativi per la qualificazione ambientale dei territori di pianura negli ultimi 20 anni.

Infatti agli interventi di sistemazione naturalistica derivanti dalle attività estrattive si devono gli unici lembi di rete ambientale lungo i fiumi, in assenza del contributo delle politiche agrarie (di cui pure sono disponibili norme nella PAC, ma non si contano buone pratiche sufficientemente testate e condivise), in assenza di attenzione da parte dell’urbanistica, che della parte rurale si occupa solo per limitare gli usi non agricoli, lasciando alle infrastrutture o all’agricoltura mano libera, di alterare il paesaggio o di costruire in modo casuale attrezzature “rurali” sempre più simili a capannoni industriali.

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