La bellezza si fa impresa

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Artigianato artistico a Modena e Reggio Emilia



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Artigianato artistico a Modena e Reggio Emilia


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Progetto realizzato da Lapam Confartigianato Imprese Modena - Reggio Emilia con il contributo di Confartigianato Emilia-Romagna per il progetto Artigeniale Coordinamento editoriale e testi a cura di Lapam Confartigianato Imprese Modena - Reggio Emilia Grafica Manuela Pollari Rielaborazione fotografie inviate dalle ditte Alessia Zoni Stampa Tipografia AMC Edizione 2021


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UNA RIFLESSIONE SULL’ARTIGIANATO ARTISTICO E TRADIZIONALE

di Gilberto Luppi Presidente Generale Lapam Confartigianato Modena e Reggio Emilia

L’artigianato artistico e tradizionale è la branca del variegato mondo dell’artigianato nel quale l’apporto creativo, il valore della lavorazione manuale, l’unicità emergono con maggiore evidenza. Non si può essere artigiani del comparto artistico e tradizionale senza avere una cultura del bello, senza conoscere la storia del proprio territorio e la tradizione del proprio mestiere. Molti comparti del mondo artigiano vivono e coltivano l’innovazione di prodotto e di processo in quanto fonte di vantaggio competitivo: digitalizzazione, automazione, informatizzazione dei processi. Per stare sul mercato il mondo della meccanica, degli impiantisti, della termotecnica ed altri non possono non permettersi un continuo e radicale aggiornamento delle proprie modalità di lavoro. Nuove macchine sostituiscono quelle vecchie e nella migliore delle ipotesi diventano attrazione nei musei industriali, nuovi metodi di lavoro riducono il consumo di energia, migliorano i tempi di lavoro, rendono più efficiente il processo. Per l’artigianato artistico il mantenere e preservare le tecniche di lavorazione, tramandate di generazione in generazione è un valore aggiunto, perché il frutto del suo lavoro incorpora storia, cultura, tradizione, territorio. Un marchio di provenienza che è parte integrante e costituente del più ampio marchio di provenienza geografica “Made in Italy”. Il che non vuol dire, si badi bene, che gli artigiani artistici e tradizionali fanno sempre le stesse cose, o che non fanno innovazione. Al contrario. Nelle pagine che compongono questo volume, realizzato all’interno del progetto per la valorizzazione dell’artigianato artistico e tradizionale “Artigeniale” in collaborazione con Confartigianato Emilia Romagna, abbiamo raccolto una selezione di imprese del comparto. Basta dare un’occhiata alle foto delle loro attività o curiosare sui loro siti web, sui loro profili social o meglio ancora andarli a trovare nelle loro botteghe, per rendersi conto che sono realtà dinamiche, innovative, che hanno saputo inventare e reinventare nuovi prodotti nel solco della tradizione. Prodotti moderni, accattivanti, al passo coi tempi, di piccole realtà di eccellenza che possono costituire, oggi più che mai, ispirazione e punto di riferimento anche per i giovani alla ricerca di una vera e pragmatica cultura del lavoro. Il volume si apre con tre contributi che abbiamo raccolto da parte di tre storici dell’arte e di storia contemporanea sul mondo dell’artigianato a Modena e Reggio Emilia. Sono storie che parlano di eccellenza, tradizione e innovazione. Sia nei secoli trascorsi sia ad inizio novecento. Perchè Modena e Reggio Emilia sono due Province che non possono e non debbono rinunciare a conoscere e riscoprire la storia del proprio artigianato.


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STORIA DI ARTIGIANATO A MODENA NEL NOVECENTO Testo a cura di Daniel Degli Esposti Foto di Fiorella Buonagurelli

All’inizio del Novecento Modena è una terra di agricoltura. Nella società rurale tante persone sono abituate a lavorare con le mani: anche se in pianura iniziano a comparire le prime macchine, soprattutto per la trebbiatura dei cereali, quasi tutte le attività richiedono la fatica delle braccia e l’abilità delle dita. Durante l’inverno, quando cessano i lavori nei campi, i mezzadri e i contadini riparano gli attrezzi in vista della primavera. Chi non ha la terra, come i braccianti, cerca un modo per sopravvivere nella precarietà: alcuni entrano nei cantieri delle opere pubbliche, altri sbarcano il lunario liberando le strade dalla neve, tutti tirano la cinghia. Nella pianura carpigiana la tradizione artigianale del truciolo apre tuttavia nuove opportunità di lavoro stagionale: molti uomini ricavano le paglie dalle cortecce dei salici e le trasformano in trecce, fornendo la materia grezza alle mani sapienti delle cappellaie. Le donne della pianura non confezionano soltanto copricapi adatti al lavoro nei campi: gli imprenditori del truciolo esportano infatti le trecce e i cappelli grezzi a Londra, a New York e in diversi mercati dell’Occidente. La moda dell’epoca premia l’arte del truciolo, che fornisce le materie prime e i semilavorati per realizzare capi ricercati. Tante case coloniche del carpigiano diventano così laboratori di una produzione diffusa, che integra i redditi dell’agricoltura e arricchisce gli imprenditori più capaci di soddisfare le esigenze della moda. A par tire dal 1907 il settore cerca di incrementare la produzione, introducendo elementi di lavorazione in serie, ma subentra la crisi: i mercati esteri continuano infatti a richiedere manufatti artigianali di alta qualità e non grandi quantità di materiale. Il settore del truciolo entra dunque in una fase diffi-


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cile, interrotta soltanto temporaneamente dalla Grande Guerra: nel 1915 alcuni imprenditori decidono infatti di convertire la propria attività nella produzione di mascheramenti per mezzi, strade e postazioni militari. I laboratori cominciano a produrre frasche finte e altri oggetti di camoufflage: l’abilità manuale delle cappellaie lascia il posto a una lavorazione intensiva, finalizzata a produrre quantità crescenti di materiale bellico, impiegando anche manodopera non specializzata e a basso costo. Il conflitto lascia inoltre un segno profondo sulla società dell’intera provincia modenese, colpita dal lutto per i caduti e da gravi difficoltà economiche. Quando la guerra finisce, si esauriscono anche gli ordini dei mascheramenti e il truciolo ripiomba nella crisi. Questo settore non riesce del tutto a rinascere, ma il modello produttivo della lavorazione a domicilio trova una nuova vitalità nello sviluppo delle maglierie. Nel secondo dopoguerra sono proprio queste attività a lanciare il boom economico del carpigiano, generando un “distretto industriale”: parecchie imprese assumono dimensioni di piccola e media industria, ma continuano ad affidare una parte del processo produttivo alle magliaie, che lavorano a domicilio. Persistono inoltre fino a oggi attività artigianali, che puntano sull’elevata qualità dei prodotti, lavorati a mano e secondo le tecniche tradizionali. Anche nella città di Modena il know how dell’artigianato artistico sopravvive nelle lavorazioni di lusso, come quelle dei maestri orafi e gioiellieri, determinati a conciliare la loro tradizione secolare con le esigenze del mondo contemporaneo. Si affermano inoltre diverse botteghe artigiane di pelletteria, capaci di realizzare manufatti ricercati e personalizzati. La sensibilità artistica e culturale della città rinnova anche la tradizionale arte dei liutai, costruttori e riparatori di strumenti musicali. In una provincia nota per la diffusione dei “villaggi artigiani” e dei distretti industriali, decisivi per l’affermazione del “modello emiliano”, restano quindi aperti spazi per coloro che vogliono dare valore all’arte della propria professione.


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MODENA E LA SUA PROVINCIA, UNA STORIA FANTASTICA Testo a cura di Antonio Mascello Foto di Fiorella Buonagurelli

Modena e la sua provincia, ovunque note come la patria delle “supercars” e dei miti che il rombo dei bolidi evoca, sono questo ma anche molto di più: un luogo bello da visitare e l’occasione di una brillante esperienza umana, artistica, culturale; un territorio che, come forse nessun altro al mondo, offre una sorprendente panoramica della brillante, lunghissima, avventura di un popolo. La scena è uno spazio relativamente ristretto, mutevolissimo, dalle piatte pianure a sud del Po a ridenti colline, fino ai monti del crinale appenninico. Dapprima fu un insediamento etrusco. Poi nasce “Mutina”, colonia romana. È il 183 a. C. quando la fonda il console Marco Emilio Lepido, (oggi sta, in statua, all’ingresso del Palazzo Ducale. Il Clemente la alzò nel 1560). Una tappa di quella via Emilia, porta il suo nome, che, da Piacenza a Rimini, è anima e racconto di una Regione. Da allora, tutto stratifica, lascia vestigia di sé, si trasforma, offre sfondi per ambienti cangianti, generazione dopo generazione. Il Centro Storico, un mondo delimitato dal tracciato delle antiche mura, il cui diametro è di circa un chilometro, racconta innumerevoli avventure di civiltà e di arte, impresse nelle pietre, nelle sculture, nei dipinti di palazzi, musei, chiese. A pochi metri dalla chiesa di Sant’Agostino, alzata fra Manierismo e Barocco, da una dinastia che voleva “stupire”, il lapidario all’interno del Palazzo dei Musei ci guida in questa Modena del mondo antico, che Cicerone, il grande oratore, definiva “ornamento e baluardo del popolo romano”. Rivivono volti, vicende, orgogli familiari, municipali, economici, di carriera, degli abitanti di allora. Avanzando nel tempo, vediamo i loro beni riusati durante giorni impoveriti, o professori e studenti dello “Studium” medioevale intenti ad una lezione o, chissà, ad un esame. Lì presso un crociato è remoto nella sua perenne compostezza. Il piano superiore dello stesso edificio custodisce, nella Biblioteca Estense, una delle massime istituzioni nazionali del settore, quell’assoluto dell’arte miniata che è la Bibbia di Borso d’Este: 1.200 pagine di meraviglie che Taddeo Crivelli e Franco de’ Russi dipinsero per il Duca. Correvano gli anni fra il 1455 ed il 1461. Sempre lo stesso luogo ospita anche la Galleria Estense, essa pure fra le grandi gallerie pubbliche italiane. Qui si ammirano opere di El


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Greco, Brueghel il giovane, Velàzques, Paolo Veronese, Correggio, Nicolò dell’Abate, Bernini, Annibale Caracci, Tintoretto, Guido Reni, Stringa, Ludovico Lana, Guercino, Begarelli, Sansovino, Giambologna, nonché arte romana, smalti del XIV secolo, bronzetti, avori e molto altro. Il medagliere estense, esso pure fra le collezioni, comprende 35.000 pezzi fra conii, placchette, medaglie, dall’epoca romana a quella bizantina sino ad opere dei grandi del Rinascimento. Se si è nel Palazzo dei Musei, all’inizio di quella via Emilia che rappresenta, della piazza S. Agostino, ha nome dalla Chiesa, col “Portico del Collegio”, il “salotto buono” della città, parte esibita delle vie e piazze di passeggio e “shopping” che le stanno attorno, si è probabilmente utilizzato, a pochi metri di distanza, il grande parcheggio sotterraneo di servizio del Centro. Proprio questo parcheggio, con il suo scavo, rievoca alla vita un archeologicamente rarissimo quartiere, le vestigia sono esposte all’interno, commerciale e artigianale del mondo antico. Lì si producevano e commerciavano beni di ogni fatta, dal cibo all’artigianato. Lì era già ben vivo lo spirito di “produttori” del modenesi, testimoniato da tal “Fortis”, che, con la sua famiglia, visto che tutti, al tempo suo, erano illuminati ad olio, esportava lucerne ovunque nell’Impero Romano, che era tutto il mondo di allora: prodotti seriali belli, robusti, non molto costosi. Apriva la via a quell’universo di “multinazionali tascabili” che tanti artigiani modenesi hanno inventato. Lì, da dove adesso c’ è il parcheggio, dipartiva la strada internazionale, oggi visibile al centro di un parco che fa da tetto alle auto in sosta, che anticipava la via attuale che unisce il territorio modenese al Brennero. Collegava le province germaniche al Mediterraneo e fissava, nel suo intersecare la via Emilia, il ruolo di Modena come porta commerciale e culturale del mondo germanico. Testimoniano queste lunghe frequentazioni, sol per citare, il sapore agrodolce dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena o certe mostarde proposte dalle botteghe sparse per le vie del Centro. Esse sono mostre ricchissime di formaggi e raffinati salumi, quali il “Parmigiano Reggiano”, il territorio ne è zona tipica di produzione, il prosciutto D. O. P. “Modena” lo zampone I. G. P. “Modena”. Indispensabile per annaffiare il tutto il Lambrusco D.O.C. declinato nelle sue varie zone di produzione (figlio del vino che fu la “Brusca Vitis” dei romani). C’è altro assai: conserve del sottobosco d’Appennino, funghi, liquori vari dall’”Anicione” di Finale al “nocino” tradizione, quella di produrlo, diffusa nel modenese ma che nacque sulle colline attorno a Sassuolo, patria, lo dice il nome, del “Sassolino”. Per chi voglia trarre dalla visita in città un succulento bottino, scoprire queste ed altre leccornie è gioco necessario nel meandro delle stradette medioevali dai tortuosi tracciati che fronteggia il gran candore del duomo romanico di Lanfranco e Wiligemo (XI sec.) e della torre Ghirlandina, o per le vie, dritte e dignitose, volute dai duchi d’ Este, nelle quali, attorno al gran Palazzo Ducale, aleggia l’aria, composto


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decoro mitteleuropeo, di una piccola capitale che guardava a Vienna e all’Impero. Pure, in queste ultime, è facile riconoscere l’intersecarsi rettangolare della centuriazione romana ma anche il bisogno di secondare il corso del canali dai quali Modena, un tempo, era solcata, che la connettevano al territorio circostante, città d’acque ad imitare Venezia, essa pure un porto, lo si legge ancora nella struttura a darsena di corso Vittorio Emanuele, che, per navigazione fluviale, alla metropoli lagunare portava. I nomi di alcune antiche strade sono ancora quelli dei canali che scorrono al disotto della loro sede: Canal Grande, (ove sorge il teatro ottocentesco dedicato a Luciano Pavarotti), Canal Chiaro, Canalino. Il loro corso, tramite la “Casa delle Acque”, sotto il palazzo Ducale, confluisce nel canale “Naviglio” o “delle navi”, che portava i natanti al “Bomporto”, oggi fiorente centro della pianura a nord della città. Irregimentare queste acque fu opera laboriosa dei monaci benedettini, che bonificarono e recuperarono al lavoro gli antichi campi romani dopo l’abbandono seguito alla caduta dell’Impero. La loro presenza è rappresentata dall’Abazia di San Pietro, (fondata nel 983 d.C.), scrigno delle sculture rinascimentali di Antonio Begarelli, ma soprattutto da un altro miracolo del Romanico, a far paio col duomo, pochi chilometri a nord, nella pianura: la Abbazia di Nonantola, diletta da papi e imperatori, che Sant’Anselmo Longobardo fondò nel 752 d. C. col suo museo e con le molte tentazione gastronomiche che attorno ad essa pure si propongono. Tempi nei quali il lavoro, che oggi esplode per mille vie creative, era concepito come esclusivamente agricolo nel riproporsi infinito delle stagioni. Tale lo declinano le “Opere dei Mesi” negli stipiti della “Porta della Pescheria” in Cattedrale. Stanno sotto una lunetta che narra fatti di cavalieri, di dame, di Arturo di Camelot. Raffinatezze senza dimenticare la tabella dei lavori. L’arte dei maestri argentieri ha in città una scuola antica, specie ebraica, che ebbe fama mondiale. Altri filoni di artigianato artistico e tradizionale sono radicati con successo, praticati tutt’ora da artigiani (o artisti?) anche molto giovani sia in tutto il territorio: dai ferri battuti, specie nella zona d’Appenino, alle tarsie, più nell’area di Carpi, con una storia del mobile intarsiato che data addirittura ai tempi di Giulia Gonzaga, all’arte sottile di far botti a mano alla maniera antica, indispensabile retroterra alle “batterie” nelle quali si travasa il Balsamico Tradizionale di Modena, ai vetri dipinti, che rimandano direttamente all’arte remota della cattedrali, fino alle pietre che, sempre sul Monte, qualcuno sa ancora scolpire con le stesse tecniche ed effetti di


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chi lavorò al Duomo o alle chiese sparse per il territorio. In “Piazza Grande”, una volta al mese, antiquari e restauratori incontrano, in una vivacissima riunione, la città. In quella occasione questi ambiti di artigianato sono discussi e confrontati fra loro e dai cittadini che, in mezzo ai banchi degli espositori, coltivano il gusto per la ricerca dell’oggetto non comune. Da qualche chilometro dal centro cittadino c’è l’universo, altrettanto creativo ma più “business oriented” di chi, attorno a Sassuolo fa, della terra del monte, ceramiche che vanno con successo nel mondo, o moda, nell’area del distratto carpigiano, o ancora sofisticate tecnologie sanitarie in quello di Mirandola. La provincia, altresì, è terra di castelli, imponenti come la dimora, già dei Pio che domina il cuore della città di Carpi, scenografici e teatrali come la reggia di Sassuolo, garbatamente barocchi quale quello di Guiglia, o fieri come a Finale Emilia, San Felice, Vignola, Montecuccolo. Le pievi antiche introducono una nota campestre e mistica all’ambiente e di pievi romaniche. Alcune, come Ganaceto o Quarantoli (sorge nel territorio di un’altra Signoria di gran nome, quella dei Pico), stanno remote nella pianura, assolata d’estate e nebbiosa d’inverno, a custodire i misteri delle loro sculture, molte negli ambienti della montagna, sono bellissime: Rocca Santa Maria, domina una natura collinare,Trebbio con le emergenze dei Sassi di Roccamalatina a farle da sfondo, Renno, presso Pavullo, capitale dell’antica area del Frignano, a Rubbiano, in vista di Montefiorino, quasi sul crinale d’ Appennino, in luoghi, con il museo della Resistenza nel castello di Montefiorino, ancora ben memori dei molti, terribili mesi di battaglie sulla “Linea Gotica” e delle mille storie della Resistenza (anche a San Cesario c’è una chiesa bellissima, risalente al IX secolo d. C. però è una basilica, non una pieve). Più alto di tutto il Cimone, col suo comprensorio sciistico e con note località turistiche, come Sestola, dominata anch’essa da un bel castello, Pievepelago, Fiumalbo, un gioiello medievale fra due fiumi nel punto più remoto dei monti, Abetone, che, infine, segna il confine fra il modenese e la toscana.


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IDENTITA’ ITALIANA E ARTIGIANATO ARTISTICO Iacopo Cassigoli

«L’elemento basilare dell’identità italiana è l’artigianalità. L’obiettivo dell’attività artigiana è quello di realizzare oggetti che possiedano valore. In questo modo la bellezza e il benfatto coincidono. L’artigianato rende evidente, permette di riconoscere e percepire l’anima degli oggetti: il contenitore esprime l’essenza del contenuto, la forma esalta la sostanza».

Romano Benini, Lo stile italiano. Storia, economia e cultura del Made in Italy

1.1 Nascita del moderno concetto di artigianato artistico Il termine “artigiano”, come possiamo intenderlo oggi, divenne di comune utilizzo in Italia all’indomani dell’unità nazionale, quando Cavour nel 1864 soppresse le varie Corporazioni di arti e mestieri. La stessa idea di “arte” come di un qualcosa che ha reciso il profondo legame con la capacità tecnica dell’artista, il quale viene inteso sempre più su piano puramente intellettuale, è altrettanto un fatto abbastanza recente. Per secoli tra “artista” e “artigiano”, stando al significato e al valore che attribuiamo a queste due parole, non vi fu alcuna differenza. Esisteva soltanto l’artista come maestro d’arte e “imprenditore” a capo di una bottega, tanto che, fino al Rinascimento, quando cominciò a profilarsi una sorta di antagonismo tra i ruoli in questione, le due figure furono di fatto indistinguibili. Dovremo attendere fino al Seicento per veder sfociare quel dualismo nel netto differenziarsi di ambiti lavorativi e carriere, con la conseguente subordinazione delle procedure manuali e meccaniche all’atto creativo, le une affidate all’artigiano propriamente inteso, l’altro invece all’artista, costantemente impegnato a compiere, per dirla con Edward Lucie-Smith, «la sua ascesa della gerarchia sociale». Fatto cenno al formarsi di questa storica distinzione professionale, ci domandiamo adesso quando sia pensabile situare la nascita del moderno concetto di artigianato artistico. Considerando che esso rientra nell’ambito delle discipline definite dalla storiografia ottocentesca coi termini di “arti applicate” o “arti decorative”, già a torto ritenute “arti minori”, categorie riferibili anche alla così detta “arte popolare” di cui parleremo più avanti (che di quel tipo di artigianato è certo una delle manifestazioni più rilevanti), possiamo dire che il bandolo della vicenda sia rintracciabile proprio nella visione retrospettiva e revivalistica dell’Ottocento. Dunque in pieno storicismo, quando, nella seconda metà del secolo, il movimento inglese Arts and Crafts promosso dal pittore e architetto William Morris con l’appoggio del critico d’arte John Ruskin (sostenitore della Confraternita dei pittori Preraffaelliti), opponendosi alla “disumanizzante” e crescente industrializzazione, si prefisse di “resuscitare” il sapere corale e la mitizzata spiritualità cristiana delle botteghe artigiane medievali. Alle origini del movimento si ritrovano le enfatiche riflessioni dell’architetto Augustus W. N. Pugin sullo stile gotico, che egli riteneva la più alta rappresentazione morale del pensiero e dell’affla-


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to cristiano nella storia, riprese anche da Ruskin (in The Seven Lamps of Architecture del 1849 e in The stones of Venice del 1851). Questo esperimento socio-economico, animato dallo spirito riformista di Morris e sostenuto dalla fervida idealizzazione della figura dell’artigiano già dichiarata da Ruskin nei suoi libri, mirava a coniugare progresso ed estetizzante creazione artistica “handmade” su larga scala. Il fine era quello di produrre con accuratezza e con l’utilizzo di materiali pregevoli, suppellettili di elevata “qualità culturale”, destinate a una fascia di mercato sensibile alle istanze del gusto medievaleggiante. Con la Morris & Co., così era informalmente nota la ditta, la visione neomedievale del tempo superava il dualismo instauratosi in età rinascimentale tra artista e artigiano, i cui ruoli ritornavano ora ad essere uniti dentro la bottega proprio come nel Medioevo. Malgrado allo stesso Morris dispiacesse quanto «agli artigiani che avevano lavorato per lui alla Morris & Co. fosse stato offerto poco spazio creativo» (E. Lucie-Smith). Nel secolo dello storicismo, dunque, artisti, artigiani e architetti guardarono ai così detti “stili storici” e alle arti del passato come ad un ricco ed inesauribile catalogo illustrato, dal quale attingere per molteplici utilizzi di tipo “filologico”. Soprattutto nella fase di stampo positivista, ad esempio, si utilizzò tale metodo per il restauro “integrativo” dei monumenti medievali, per ricostruire quanto era andato perduto o per completarne quelle parti che la durata secolare delle venerande fabbriche aveva lasciato incompiute. Questo genere di intervento, che poteva scadere, come non di rado accadde, nel più arbitrario dei pastiche, nel far rivivere le sapienze artigiane di un epoca che la cultura romantica aveva trasfigurato in un sogno da “reinventare”, si fondava sulle teorie dell’architetto Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, che dagli anni Quaranta dell’Ottocento curò il restauro stilistico del patrimonio monumentale francese medievale, compromesso dai guasti del tempo e della Rivoluzione. Quanto accadeva in Francia e in Inghilterra fu parte di un vasto movimento europeo, che riguardò anche l’Italia (dove la lezione di Viollet-le-Duc venne ripresa da Camillo Boito) col suo secolare tessuto di botteghe artigiane, immenso “giacimento” di conoscenze tecniche specialistiche. Simile ricchezza, nel consentire la reviviscenza del Medioevo secondo i canoni del Gothic revival, di cui si è detto fu apostolo Pugin, avrebbe al contempo reso possibile rilevanti restauri architettonici, i cui cantieri, specialmente nei decenni che seguirono l’Unità nazionale, videro ancora la convivenza dello scalpellino, del pittore, del plasticatore in stucco o terracotta, quindi di tutta una gamma di maestrie che, pur ammodernandosi, avevano perpetuato nei secoli una sapienza antica. Le ragioni che portarono anche in Italia, durante l’Ottocento, alla nascita del “gusto del Medioevo” nelle arti e nell’artigianato e del suo perdurare nei primi tre decenni del Novecento, sono complesse ma non esulano dalla nostra indagine. Tale predilezione di gusto, ebbe infatti fin dalla sua origine una specifica coloritura politica, poiché fu la cultura risorgimentale, figlia di quella romantica, a individuare nell’età dei padri della lingua italiana, Dante, Petrarca, Boccaccio e nelle arti al tempo dei liberi Comuni, quel determinante fattore destinato a conferire una condivisibile identità alla nascente idea di stato unitario. Il Medioevo con la sua storia fu assunto dunque a mito fondativo nazionale, venendo elevato a metafora delle correnti vicende politiche, come è ben testimoniato anche dal coevo melodramma di Giuseppe Verdi e dalla pittura di Francesco Hayez (che di Verdi fu scenografo). I decenni successivi all’unificazione, furono segnati dallo sforzo di superare la somma-


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toria di tutte quelle piccole patrie di cui si componeva l’Italia. Ciononostante, erano state proprio le incommensurabili differenze culturali e sociali esistenti tra i cento, mille campanili del paese, parimenti alla cucina che Pellegrino Artusi radunava nel suo volume mettendo tutti insieme gli italiani a tavola, ad aver dato vita alla ricchezza e alle tipicità dell’artigianato artistico reperibili in ogni angolo della penisola. Questo immenso patrimonio afferente la “cultura materiale”, che riguarda la così detta “arte popolare”, riconosciuto come tale fin dalla seconda metà dell’Ottocento dai pionieristici studi di etnografia (si pensi al basilare lavoro demopsicologico di Giuseppe Pitrè sul folklore siciliano), venne fin da subito ritenuto un ingrediente qualificante per attuare la nuova narrazione nazionale. Come difatti attestò la nascita del Museo delle arti e tradizioni popolari di Roma, che documentava vita quotidiana, lavoro e religiosità, mediante una sconfinata collezione di oggetti raccolti dall’etnologo Lamberto Loria in giro per l’Italia tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Oltre trentamila manufatti che vennero per la prima volta esposti al pubblico nella Mostra etnografica delle regioni del 1911, tenutasi nel corso dell’esposizione nazionale organizzata per celebrare il cinquantenario dell’Unità. Non sorprenda allora che nell’Italia fascista delle Corporazioni il 1925 vedesse la nascita dell’ENAPI (Ente Nazionale Artigianato e Piccola Industria), ente destinato a valorizzare le innumerevoli tipicità dell’artigianato artistico regionale, che utilizzando la sua funzione promotrice, convogliò l’orgoglio identitario delle molteplici realtà locali nella esaltazione del regime e dell’identità nazionale. Il MinCulPop vide infatti nell’artigianato un efficacissimo strumento di propaganda, incoraggiando pertanto il moltiplicarsi di feste, sagre, mostre e varie manifestazioni di ambito regionale, tutte tese a dare risalto alle specialità territoriali in chiave “strapaesana”. Esplicativo, in merito a quanto detto finora, è la nascita della Fiera di Firenze, avvenuta nel 1923 per volontà degli artigiani fiorentini, che nel 1931 divenne Fiera Nazionale dell’Artigianato (oggi Mostra Internazionale dell’Artigianato), venendo per l’occasione inaugurata dal Ministro delle Corporazioni Giuseppe Bottai, ospitata dal 1939 nell’apposito Palazzo delle Esposizioni, grandioso edificio di quasi 10mila metri quadri a forma di ferro di cavallo.

2.1 Artigianato artistico contadino e modelli figurativi tra la Bassa e l’Appennino modenese-reggiano Uno degli aspetti più interessanti dell’artigianato artistico è la sua stretta relazione con l’arte popolare e, nella fattispecie, con una serie di manufatti appartenenti alla civiltà contadina, che a breve vedremo. È necessario però, prima di parlarne fare una rapida premessa. L’arte popolare ha attraversato il tempo mantenendosi fedele ai propri canoni stilistici e simbolici, avendo prodotto oggetti rimasti di generazione in generazione pressoché immutati, testimoniando il perdurare dell’identità sociale e culturale di una determinata collettività. Oggetti di uso specifico, le cui finalità pratiche sottendono propositi estetici, altresì ribaditi da elementi ornamen-

Tigella raffigurante la rosetta celtica


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Nonantola, cripta della chiesa abbaziale: capitello con rosetta celtica o fiore della vita

tali che assolvono indispensabili funzioni simboliche. Forme e ornati che nascevano dalla necessità di visualizzare esigenze rituali, legate soprattutto a un bisogno di protezione, passate dalla cultura pagana a quella cristiana venendo “addomesticate” e tollerate dalla Chiesa, per sopravvivere fino al secondo dopoguerra, agli anni del “boom economico” e della nuova industrializzazione che segnò la fine di una civiltà millenaria, perpetuatasi tramandando nei secoli le proprie tradizioni e preservando intatto il proprio orizzonte culturale. È il caso della “rosetta celtica” o “fiore della vita”, simbolo solare presente nell’architettura romanica di una vasta area appenninica, montana e pedemontana, sia padana (la ritroviamo intagliata in uno dei capitelli altomedievali della cripta dell’Abbazia di Nonantola) che toscana, che precedentemente ritroviamo nei manufatti celtici e in quelli di molte culture e popoli sia del bacino mediterraneo che del continente europeo, dalla Spagna visigota all’Italia longobarda. Questo fiore a sei petali inscritto nel cerchio lo si osserva intagliato anche sui carri agricoli reggiano-modenesi prodotti ancora nel primo Novecento da numerose botteghe specializzate (di intagliatori e di fabbri che ne assemblavano i pezzi) e nelle tigelle, dischi di pietra refrattaria (oggi altresì riproposto nelle moderne “tigelliere” elettriche), che imprimono quell’inconfondibile disegno che ancora oggi connota le crescentine tipiche dell’Appennino Modenese, tipiche cioè di un territorio, il Frignano, dove la presenza celto-ligure prima e longobarda poi, è ben testimoniata (l’etimo è da ricondurre alla tribù ligure dei Friniati). Carro agricolo reggiano (Villa Sesso), 1911: Sui carri agricoli, che accompagnavano i momenti più scannello con rosetta celtica importanti della vita sociale e rituale contadina (festività e processioni religiose, matrimoni, fiere...) ritroviamo anche altri numerosi elementi figurativi direttamente provenienti dall’architettura romanica, precisamente riscontrabili, ad esempio, nel Duomo di Modena e nella Ghirlandina, intagliati e scolpiti con funzione “apotropaica”, la stessa per la quale il clero aveva incaricato lo scalpellino medievale di eseguirli: teste umane, animali reali e mostruosi, elementi vegetali, mascheroni di origine romana e teste umane “mutanti” di oriCrescentine raffiguranti la rosetta celtica


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Carro del diavolo, 1855, bottega reggiana di Giovanni Boiardi, in deposito da Achille Maramotti al Museo Civico Polironiano di San Benedetto Po, particolare con la sirena dalla doppia coda

gine celtica come il “green man”, l’uomo verde dei boschi. Raffigurazioni che sui carri, parimenti all’architettura romanica, svolgevano una funzione protettiva ribadendo il senso di precarietà del mondo contadino, poiché ogni carro non poteva dirsi compiuto se non era dotato di un cospicuo, millenario, repertorio di maledisiòun, destinate a scongiurare i disastri che mettevano in pericolo il raccolto, intervenendo “magicamente” sul ciclo naturale per propiziarlo. Si veda ad esempio il così detto “Carro del diavolo”, costruito nel 1855 nella bottega reggiana di Giovanni Boiardi e intagliato da Vincenzo Cavecchi, in deposito dalla collezione carpigiana di Achille Maramotti al Museo Civico Polironiano di San Benedetto Po. Sul suo frontone, parte di un folto “bestiario” che accoglie intagliato e scolpito sulle varie parti di cui si compone (generalmente sui carri si osservano serpenti, draghi, cani, galli, anitre, accompagnati dal sole e dalla luna), ammiriamo una magnifica sirena con la doppia coda, col sesso oscenamente in mostra, presente più volte nel Duomo di Modena e nella Ghirlandina. Essa raffigurava la tentazione femminile (ha una pettinatura coi boccoli tipica della metà dell’Ottocento, monito Sirena bicaudata e Cane-pesce, Modena, Ghirlandina, angolo N-E per un comportamento morale che la sposa del proprietario doveva tenere) e, al contempo, la fertilità della terra, con riferimento al mito di Melusina, la sirena patrona delle acque che in area francese sovrintendeva al ciclo vitale. Alcuni di questi elementi figurativi si ritrovano ancora nelle case di montagna, scolpiti o intagliati in pietra, esercitanti sempre la solita funzione “magica” e protettiva dal Male, quali “rosette celtiche” di cui si è detto, cani che vigilano sulla sicurezza e mammelle propiziatorie di latte, dunque di ricchezza. E, su tutti, ritroviamo le “margolfe”, ovvero teste umane mozzate che rinviano al sostrato culturale celtico delle têtes coupée, presenti in molti manufatti di quel popolo che esponeva come segno di protezione il capo decollato dei suoi nemici, motivo decorativo che attraverso il retaggio longobardo è poi perEsempio di Margolfa a Fiumalbo


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venuto, come la rosetta, fino all’età del romanico. Tant’è che le osserviamo scolpite su capitelli, cornici, architravi, peducci in chiese e pievi della montagna, oltre che nel Duomo di Modena dove, ad esempio, sono visibili all’esterno nei peducci delle ghiere delle cornici. Queste maschere litiche chiamate anche faccioni, sono presenti in gran numero nell’area del Frignano, in specie a Pavullo e a Fiumalbo, dove ancora oggi sono scolpite, confermando l’atemporalità di alcuni temi e la convivenza di “alto” e “basso” in certi manufatti popolari, quindi sul versante pistoiese dell’Appennino, per essere di fatto diffuse lungo tutto l’arco montuoso, dalla Liguria alla Lunigiana, dalla Modena, Duomo, testa femminile come peduccio degli architetti di una ghiera, transetto sud Garfagnana al Modenese all’Alto Reno bolognese fino alla Romagna (oltre ad essere riscontrabili in altre aree della penisola da nord a sud). Il nome, infine, con il quale esse sono note a Fiumalbo, “margolfa” o “marcolfa”, oltre a testimoniare attraverso la persistenza di un etimo germanico (e nell’area non è certo l’unico) l’antica presenza longobarda nel Frignano, spiega anche con molta chiarezza la loro specifica funzione a presidio di un confine invisibile: Markulf, nome germanico, composto da mark = confine e wolf = lupo, sarebbe infatti da intendersi come «confine del lupo, cioè luogo dove i lupi (e il male da essi rappresentato) non possono giungere; dove c’è la marcolfa c’è il limes [confine] che il male non può oltrepassare» (Andrea Signorini in Maschere e volti). 3.1 Artigianato artistico e identità storica: orafi e argentieri nel Ducato di Modena e intagliatori del legno nel Ducato della Mirandola, dal Seicento alla prima metà dell’Ottocento I Capitoli statutari delle Arti e dei Mestieri di Modena, risalenti al Medioevo, vennero aggiornati in età rinascimentale e, nello specifico, quello degli Orafi e Argentieri fu ulteriormente riformato nel 1620 per evitare comportamenti illeciti. In tale occasione si stabilì come dovesse essere la nuova lega di oro e di argento cui bisognava attenersi, quindi si registrarono di nuovo pesi e bilance. Chi voleva iscriversi a questa arte era necessario che avesse esercitato l’oreficeria a Modena almeno per cinque anni di seguito e nel caso fosse straniero doveva fornire una sorta di assicurazione in denaro, da rinnovare dopo otto anni, oltre a possedere beni in modo da potersi garantire una cauzione in caso di necessità. Tutti pagavano una “obbedienza” in denaro al massaro, il Mirandola, Chiesa del Gesù: ancona intagliata da Paolo Bonelli per l’altare della Madonna della Rosa


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responsabile dell’arte (la cui carica era rinnovabile), fossero essi cittadini modenesi o no, cristiani o ebrei. Questi ultimi poi, in quanto tali, pagavano molto di più di tutti gli altri ed erano tenuti maggiormente sotto controllo per eventuali truffe o ricettazioni che i corporati potevano commettere. Inoltre gli ebrei, che a Modena vivevano in una fiorente comunità, per commerciare legalmente erano obbligati a pagare una apposita tassa nel giorno di sant’Eligio, patrono dell’Arte orafa. Le loro botteghe in città erano piuttosto numerose: nel 1680 ne erano state censite ben dieci su un totale di venticinque. La Falera celtica di Manerbio, Brescia, maggior concentrazione di manifatture orafe fin Museo di Santa Giulia dall’epoca medievale era in Piazza Grande. Le piccolissime botteghe erano di norma allocate nelle arche sepolcrali romane un tempo presenti sulla piazza, addossate al Duomo e ubicate fra le sue absidi e il Palazzo Comunale, dove la porzione meridionale del loggiato, in prossimità della Ghirlandina, avrebbe poi preso il nome di “Portico degli Orefici”, poiché alla loro attività erano stati riservati i fondachi di quell’ala dell’edificio. Numerosi manufatti recanti il marchio del Ducato, l’aquila estense, riferibili alla produzione degli argentieri modenesi attivi tra XVIII e XIX secolo, sono entrati a far parte delle raccolte dei Musei Civici di Modena con la donazione alla città della collezione del commercialista modenese Carlo Sernicoli (scomparso nel 2007, ha lasciato alla comunità due importanti nuclei collezionistici composti da 36 dipinti e da ben 49 pezzi di argenteria estense). Essi costituiscono una cospicua testimonianza di quel che usciva dalle botteghe orafe cittadine nel settore dell’arredo domestico, ascrivibile ai nomi di Vincenzo Parlaschi, (notizie dal 1771 al 1795), Stefano Paltrinieri, (notizie dal 1776 al 1812), Giuseppe Manzini (notizie dal 1775 al 1796), Giacomo Vincenzi (notizie dal 1812 al 1837) e suo figlio Luigi. Quest’ultimi che ebbero il titolo di “argentieri e bisuttieri della Real Casa” furono a capo di una delle più floride botteghe cittadine del primo Ottocento, eccellendo nella produzione di pregevoli suppellettili destinate oltre che alla corte estense a illustri dimore, chiese della città e del territorio, alla Cattedrale e alla Sinagoga. Nella loro bottega, situata sotto i Portici del Collegio, presero forma anche nove candelieri col monogramma di Francesco IV d’Este, appartenuti agli arredi di Palazzo Ducale e recentemente recuperati sul mercato antiquario di Parigi, di cui una coppia di esemplari è ora parte della raccolta di Luigi Vincenzi, Candeliere di S. Geminiano, part., 1830, corredo per l’altare di San argenti del Museo Civico d’Arte e, anzitutto, il corredo Geminiano situato nella cripta del Duomo di Modena, oggi nel Museo del Duomo


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di argenterie sacre per l’altare di San Geminiano nella cripta del Duomo. Realizzato nel 1833 previo concorso pubblico indetto dalla Municipalità modenese tre anni prima e da essa donato all’altare del Santo, il corredo che oggi si trova presso il Museo del Duomo consta di candelieri, vasi porta-palma, lampade, cornici per cartegloria ad opera dei Vincenzi, su disegno di Francesco Vandelli. Riguardo la sua realizzazione riportiamo un brano estratto da un articolo pubblicato su La Voce della Verità. Gazzetta dell’Italia Centrale, n. 250, di martedì 12 marzo 1833, interessante documento sulla realtà artigiana modenese del tempo: «Aveva la Società decretato di impiegare la cospicua somma di 1200 Zecchini in 6 Candelieri e 6 Vasi per fiori da offerirsi alla tomba del Santo […]. Non sappiamo come abbastanza lodarne il disegno datone dal nostro Professore Ingegnere Francesco Vandelli Architetto della R. Corte se non col dire che alla magnifica ricchezza e insieme alla purissima eleganza degli ornamenti frammisti di mascheroncini medaglie e figure esso ricorda i meravigliosi lavori che dier tanta fama agli artisti Italiani del bel Secolo XVI. Nell’officina dell’Argentiere della R. Corte Giacomo Vincenzi e specialmente per opera del di lui figlio Luigi stato più anni a perfezionarsi in Roma venivano essi condotti con tale amore e precisione che in quella gran Capitale del mondo e delle arti non saprei come meglio Bottega di Giacomo e Luigi Vincenzi, candeliere di Francesco IV d’Este, Modena, Museo Civico d’Arte potessero essere eseguiti. […] E questa è bella gloria di Modena che in sì magnifico donativo nulla si trovi che qui non sia lavorato poiché le stesse palme di fiori le quali nulla hanno di che invidiare a quelle che ci giungono da Parigi o dalle Fieschine di Genova e che costano zecchini 36 sono opera delle Modenesi Sorelle signore Tartarini e vengono offerte da uno degli Ascritti alla pia Unione». Caratteristica dell’artigianato storico è stata il sapiente utilizzo di risorse e materie reperibili in loco, che hanno indirizzato le manifatture connotandone i prodotti e ovviamente contenendone i costi. Come nel caso dell’argilla, usata per la tipica produzione padana di mattoni, coppi e di un vasto repertorio di manufatti in laterizio ad uso architettonico, dai listelli per cornici ai moduli per grigliati, realizzati con l’ausilio di stampi in legno dalle numerose fornaci dell’Oltrepo mantovano e della Bassa reggiana e modenese, eredi di una plurisecolare tradizione protrattasi fino agli anni Sessanta/Settanta del XX secolo (si rammentino, ad esempio, la Fornace Vigarani di Modena chiusa nel 1960 e la Fornace Pioppa di San Possidonio, attiva Altare del SS. Crocifisso con l’ancona intagliata da Paolo Bonelli e il pulpito di Giacomo Gibertoni, nella chIesa del Gesù a Mirandola


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fino ai primi anni Settanta). A Mirandola l’abbondanza di legname e l’assenza di materiali “nobili” consentì nel Seicento la nascita dell’artigianato dell’intaglio, durato fino al primo Ottocento, quando la settecentesca moda rocaille nel prediligere lo stucco e la scagliola che si lavoravano a Carpi, gradualmente condusse tale attività all’estinzione. Favorite dalla munificenza ducale dei Pico nacquero dunque importanti botteghe di intagliatori, dalle quali uscirono stupefacenti “macchine” barocche, le “ancone”, caratterizzate dall’esuberanza naturalistica del fittissimo intaglio abbagliante di oro, formato da festoni, cornici, colonne tortili avvinte da tralci, foglie e fiori secondo gli esempi di Gian Lorenzo Bernini. Esse erano destinate a sormontare gli altari di alcune tra le più importanti chiese della Mirandola e del suo territorio, come la Collegiata, l’oratorio del S.S. Sacramento, la chiesa del Gesù e la pieve di Quarantoli. La prima bottega fu probabilmente quella di Pietro Giacomo Guagnelini, di cui rimane in Collegiata l’ancona della Beata Vergine delle Benedizioni (ora della Madonna di Pompei) eretta nel 1667 su commissione della principessa Maria Pico (proveniente dall’oratorio di San Rocco). La scuola mirandolese vide quindi il suo esponente più importante in Paolo Bonelli. Formatosi nell’arte dell’intaglio a Verona, alla sua maestria si devono le ancone ancora oggi presenti nel transetto della chiesa del Gesù per l’altare della Madonna della Rosa, già di sant’Ignazio di Loyola e per l’altare del S.S. Crocifisso, già di san Francesco Saverio, realizzate nel 1692. A fianco del Bonelli nella chiesa dei Gesuiti, terminata nel 1688 sotto Alessandro II Pico, già dall’ottavo decennio del Seicento lavoravano anche altri intagliatori: Giacomo Gibertoni (autore del pulpito), Giovan Battista Salani e Felice Brancolini, cui si devono le cornici sopra gli altari nelle cappelle laterali della navata. Le teatrali ancone lignee del Bonelli non vennero ricoperte di oro bensì, su probabile richiesta della committenza, lasciate color legno scuro (creando un forte contrasto con il luminoso interno della chiesa), in modo da attenuare, nel rispetto delle istanze gesuitiche, l’iperbolico senso di sfarzo emanante di norma da quei maestosi e virtuosistici dossali. La scuola mirandolese dell’intaglio ligneo, come detto poc’anzi, non ebbe vita molto lunga. Oltre a ragioni legate al mutare del gusto, la sua decadenza si deve anche alla fine del ducato dei Pico (entrato nel 1711 a far parte dei domini estensi) e alla perdita della loro fondamentale committenza.


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Orologi, tarsie lignee, seta: eccellenze dell’artigianato artistico a Reggio Emilia nella storia, in città e nel suo territorio Durante la signoria milanese, iniziata nel 1371, la torre civica del Palazzo Comunale di Reggio venne dotata di un favoloso congegno meccanico: un orologio pubblico, tra i primi in funzione nell’Italia medievale, opera del magister orologii Jacopino Magnano. Esso era destinato a scandire il tempo laico delle attività economiche che là si tenevano, poiché a piano terra del palazzo si aprivano le botteghe che il Comune affittava ad artigiani, cambiavalute e mercanti. Alla sua costruzione non doveva essere certo estranea la volontà di Galeazzo II e Gian Galeazzo Visconti, che in quanto appassionati estimatori di quelle macchine speciali protessero Giovanni de’ Dondi, medico e umanista creatore dell’Astrarium, un orologio astronomico ammiratissimo dai contemporanei, che mostrava l’ora, il calendario annuale, il moto del Sole, della Luna e dei pianeti allora conosciuti. L’orologio di maestro Jacopino venne rifatto nel 1415 da Rolando Regoli da Collecchio e ancora nel 1444 da Bartolomeo Rainieri, il fondatore della dinastia di orologiai di Reggio. Giovan Paolo Rainieri, figlio di Bartolomeo, rifaceva infatti l’orologio civico nel 1481 dotandolo di un quadrante circolare a doppio ordine di indici con intarsi in marmo di Carrara, di Verona e pietra d’Istria, nel quale si osservavano il moto del sole attraverso i segni dello zodiaco e le fasi della luna. Ad ogni scoccare di ora entrava quindi in azione un carillon di automi, raffigurante i Magi annunciati da Giampaolo Rainieri, Orologio di Piazza San Marco a Venezia un angelo con la tromba, che passavano davanti alla Vergine col Bambino, mentre un “gigante” batteva le ore su una campana. Zampaolo de horologiis divenuto celebre con l’orologio di Reggio, per il quale si era ispirato all’orologio di Bologna, venne poi chiamato a costruirne uno per la torre comunale di Modena (sostituito nel 1518) e a rinnovare quello di Parma (perduto con il crollo della torre nel 1606). Mentre Giovan Paolo su incarico della Comunità si occupava della manutenzione dell’orologio reggiano, con il figlio Giovanni Carlo che gli subentrò in tale compito (dotandolo nel 1507 di un meccanismo astronomico completo), venne chiamato dalla Serenissima a congegnare per la torre eretta da Mauro Codussi l’orologio “dei Mori” di Piazza San Marco a Venezia. Inaugurato nel 1499, questo è indubbiamente il più noto tra


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gli orologi antichi a noi giunti, il suo capolavoro, che oltre ad essere importante in sé, lo è ancora di più perché costituisce testimonianza diretta dell’esemplare di Reggio dal quale derivava, che invece non ci è disgraziatamente pervenuto. Caduto in disuso e sostituito nel 1846, quindi per anni abbandonato negli scantinati del palazzo che dal XVI secolo ospitò il Monte di Pietà (che da allora avrebbe indicato l’edificio come Palazzo del Monte), allorché gli Anziani spostarono la loro sede nel nuovo fabbricato sul lato opposto di Piazza Grande, meccanismo e automi finirono addirittura sul banchetto di un rigattiere, dove per fortuna vennero comprati (e salvati) dal garibaldino reggiano Francesco Chiloni, che ne fece dono al Museo della città. Anche i fratelli di Giovanni Carlo, Giovanni Ludovico e Leonello, si occuparono della conservazione dell’orologio di Reggio; Leonello poi, entrato in società con Cristoforo da Ponte, ispirandosi al “capostipite” reggiano costruì l’orologio per la Torre di Rigobello a Ferrara, anch’esso però non più esistente, Piano di rolino intarsiato con ritratto di Giuseppe perduto col crollo della torre nel 1553. Garibaldi, Rolo, Museo della Tarsia Tra le storiche “eccellenze” dell’artigianato artistico tipiche del territorio reggiano, non possiamo fare a meno di rammentare la speciale arte dell’intarsio, nata dalla antica conoscenza contadina del legno e delle tecniche per lavorarlo, consistente nel saper tagliare varie essenze in lamine sottilissime per accostarle a crear disegni, che si sviluppò a Rolo nel Settecento ed è oggi attentamente documentata dal locale Museo della Tarsia. Come a Mirandola, dove si sviluppò l’arte dell’intaglio, anche a Rolo si doveva evidentemente trovare legname tale da poter essere lavorato, mentre la mancanza di una corporazione lasciò gli intarsiatori liberi nel fare impresa. Inoltre, fatto fondamentale, similmente ai Pico, anche i marchesi Sessi, feudatari imperiali che ressero Rolo fino al tardo Settecento, svolsero nei confronti dei legnaioli del luogo una munifica politica di committenza. Tant’è che nel XVIII secolo si censivano a Rolo ben dieci botteghe di ebanisti, tra le quali ricordiamo la più importante, quella di Giuseppe Preti, che oltre a fornire arredi alla chiesa di San Zenone a Rolo (si rammenta il pulpito, con piallacci di noce a spinapesce e accostamento di radiche), eseguiva i mobili in noce della Sagrestia dei Canonici del Duomo di Reggio e lavorava per il Duca di Modena. I maestri rolesi furono particolarmente influenzati dalla manifattura veneta e lombarda, in specie da Giuseppe Maggiolini, i cui mobili non è da escludere potevano aver conosciuto nel castello dei Sessi. Con la morte dell’ultimo marchese nel 1776, Gaetano, che non ebbe eredi, il feudo tornò alla corona imperiale cui apparteneva. Rolo passò pertanto sotto l’amministrazione austriaca del regno Esempio di rolino, Lombardo-Veneto, che in modo avvedufine XIX secolo


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to continuò a sostenere l’attività degli ebanisti. Infatti, tra il 1777 e il 1787 le botteghe passarono addirittura da dieci a diciotto, continuando a produrre sempre un gran numero di cassettoni, ribalte e tavoli che di norma erano venduti alla fiera di Reggio. Nella seconda metà dell’Ottocento, i più valenti intarsiatori di Rolo, per adeguarsi ai cambiamenti provocati dall’industrializzazione in corso, avviarono la produzione dei celebri “rolini” (ancora oggi prodotti e protetti da due marchi di qualità registrati). Questi tavolini costituirono uno tra i primi esempi di mobile da assemblare, di poco precedente la famosa sedia Thonet, peculiarità che ne permise il diffondersi capillare anche attraverso la spedizione. Nel saper coniugare tradizione artigiana e capacità produttiva industriale, aggiornando il proprio repertorio al corrente gusto revivalistico del tempo, gli ebanisti di Rolo seppero abbattere i costi di lavorazione e incrementare la richiesta di simili oggetti sul mercato, al punto che all’inizio del Novecento si producevano ogni anno dai sei ai settemila “rolini”, per la cui realizzazione erano impiegati oltre cento artigiani. Concludiamo ora questo rapido excursus tornando in città, nella vivacissima Reggio Registro commerciale della fabbrica Trivelli del “Secolo dei Lumi”, dove incontriamo la Manifattura Trivelli e Spalletti fondata nel 1718 da mercanti di origine svizzera, che rimase in attività fino al 1787. Di essa nei Musei Civici reggiani si conservano otto registri di fabbrica e due campionari tessili, assieme a un ricco corpus di carte private, che testimoniano la produzione e vendita di stoffe in seta e il commercio di generi in lana, lino e cotone acquistati sul mercato italiano ed europeo. Questa preziosa documentazione ci offre lo spaccato esemplare di una rara capacità imprenditoriale, che fu in grado di occupare aree di commercio libere dai monopoli francesi e inglesi, raggiungendo nella penisola quei centri che non venivano approvvigionati dalle produzioni tessili di Milano, Firenze e Genova, città che storicamente in Italia detenevano le maggiori quote di quel mercato. La produzione Trivelli e Spalletti seguiva già una logica pre-industriale, ovvero di tipo seriale, destinata com’era ai ceti medi emergenti e all’alta borghesia. Le stoffe erano di qualità, ma non ricche come le tradizionali trame broccate e lanciate: nelle sete reggiane non c’erano né oro né argento e la rapida lavorazione creava tessuti cangianti, leggeri e morbidi, adatti alla moda del tempo. Gli ornati, delicati e “moderni”, erano di due tipi: geometrico e floreale, sempre di piccole dimensioni.


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CARPANI SCI Carpani sci si colloca tra le emergenti realtà artigianali dell’Appennino Tosco-emiliano ed è tra le poche aziende in Italia che produce sci completamente 100% made in Italy. Carpani sci propone un’ampia gamma di modelli che comprende: slalom carver, race carver, modelli per il freeride e sci da gara, tutti realizzati, con cura e professionalità, con un’anima di legno, rinforzi in titanal e fibre composite. La caratteristica principale dell’azienda è la possibilità del custom made su tutta la produzione. Dietro consultazione sono in grado di capire perfettamente cosa chiede il cliente in relazione alla propria sciata. Si può avere uno sci dimensionato per la propria capacità e statura, esaltando le caratteristiche tecniche preferite; in questo caso intervengono ad arte su diverse componenti: dall’anima ai rinforzi. Realizzano un’estetica unica e irripetibile. Con un file del disegno desiderato, grazie al metodo della sublimazione su vari materiali plastici, il cliente potrà avere una grafica personalizzata. Il ciclo produttivo avviene tutto internamente all’azienda, utilizzando materiali pregiati, hightech e selezionati. Il mix vincente tra innovazione e artigianalità ha trovato il giusto connubio nei nuovi progetti. Carpani ha equipaggiato anche alcuni tra gli atleti in competizione nella Coppa del Mondo.

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INSETTI XILOGRAFI Insetti Xilografi nasce dal connubio tra la passione per il legno e la formazione artistica nelle arti visive. Un laboratorio di restauro e riqualificazione del materiale ligneo, nonché di stampa calcografica ed a rilievo con le metodologie antiche dell’uso del torchio. Principe la xilografia, che appunto si serve delle potenzialità espressive e tecniche della matrice in legno che, una volta intagliata con l’uso di sgorbie e bulini, viene stampata su supporto cartaceo o tessile, sia per finalità decorative che per scopi artistici tout court. Madre di tutte le ispirazioni è il mondo della natura, con le sue infinite forme e simbologie che nutrono l’immaginario di Insetti Xilografi per la creazione dei soggetti e dei disegni, insieme al continuo aggiornamento sulle tecniche e sulle tradizioni del passato che costituiscono le maestre più importanti per la sapienza del presente. L’intento di Insetti Xilografi è quello di captare ancora una volta la falda sotterranea del sapere delle mani, di cui il nostro territorio ha visto esponenti importanti e maestri di prima linea. Un ribaltamento del concetto di velocità, dove ogni cosa concepita è fatta a mano con i tempi dell’artigianalità e le caratteristiche dell’unicità.

via F. Montanari, 10 - Mirandola (MO) tel. 329 1034549 insettixilografi@outlook.com @insetti_xilografi


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MARCO BASTASIN FALEGNAMERIA E ARREDAMENTO SU MISURA L’azienda nasce da una passione trentennale per il legno e le sue possibili applicazioni per garantire una migliore qualità di vita. Nel territorio modenese da oltre 20 anni, offre progettazione e realizzazione su misura di mobili, complementi d’arredo, scale, pavimentazioni da interno ed esterno con particolare attenzione alla sostenibilità ambientale. Produrre in modo sostenibile per noi significa ricercare un benessere naturale: • utilizzare materie prime provenienti da coltivazioni controllate, collanti e vernici non tossici e ridurre scarti e rifiuti • utilizzare forme e colori vicini alla natura e sempre attuali, costruendo mobili fatti per durare nel tempo • progettare e costruire “su misura” secondo le esigenze del cliente. Forniamo progetti personalizzati per l’arredamento dei vostri ambienti e li realizziamo con cura utilizzando materiali selezionati. Produciamo mobili per ogni ambiente su nostro progetto o su progetto di studi esterni. A completamento dell’arredo possiamo fornire scale e pavimentazioni in legno bioecologico, pavimentazioni da esterno e oggettistica.

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FRANCO ORAFO Franco Pignattari, orefice artigiano, a Modena è un’istituzione. Prima licenza conseguita nel lontano 1983, è tra i pochi nella città estense ad offrire oggi un servizio unico a una clientela sempre più esigente e informata. Franco Orafo è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di diverso, di evoluto, ma soprattutto di “suo” perché fare sempre le stesse cose a lui non piace. La sua clientela storica è quindi fatta di persone che vogliono un gioiello che si distacchi completamente dagli altri, sia nell’esecuzione del lavoro che nell’oggetto stesso. Il processo parte dell’idea “grossolana” del cliente, che viene a mano a mano depurata dall’artigiano che suggerisce le migliori soluzioni per arrivare alla realizzazione di un gioiello unico. Questo percorso è fatto di tappe: si parte dall’ordine, passando poi alla prova a metà lavoro, quando è ancora possibile effettuare modifiche, arrivano, infine, alla consegna. Classicità però non significa che non vengano utilizzate le più moderne e innovative tecnologie. Il punto forte rimangono le fedi personalizzate, oramai sempre più richieste. Il suo sogno? Insegnare a chiunque abbia intenzione di fare questo mestiere, così com’è successo a lui tanti anni fa, con amore, tempo, pazienza e voglia di imparare l’arte orafa.

via L. Nobili, 46 - Modena tel. 059 829210 francoorafo@libero.it www.francoorafo.it


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BONUCCHI MASSIMO Bonucchi Massimo, classe 81, vive a Riolunato in provincia di Modena. Da qualche anno ha intrapreso la via delle decorazioni e delle personalizzazioni su qualunque tipo di supporto; una passione per il disegno nata da bambino, che si è sviluppata nel tempo. Tutto ciò che ha appreso è frutto di una immensa pazienza da autodidatta. Massimo ritiene di avere ancora tanta strada da fare, ma con impegno cerca sempre di accontentare i propri clienti... Ricordando sempre che i suoi lavori sono pezzi unici e, per una sua filosofia, mai replicabili! Altrimenti che personalizzazione è!

Massimo Bonucchi (Boku art design) bokuartdesign@gmail.com - tel. 339 6444385 - 350 5983625


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PASTICCERIA TURCHI Dal 1973 Maria Marisa Tognarelli è titolare del piccolo laboratorio “Pasticceria Turchi”, situato nel centro di Sestola, piccolo paese turistico dell’Appennino Modenese, ai piedi del Monte Cimone, e il suo negozio è oramai conosciuto dai turisti come “Il negozio di Chocolat”. Marisa ha cominciato la sua carriera di pasticcera lavorando il croccante, modellandolo in diverse forme e proponendolo per matrimoni e altre cerimonie, rispettando così una vecchia tradizione del luogo. Dopo aver frequentato diverse scuole in Italia e all’estero per corsi di aggiornamento, ha iniziato a proporre ai clienti cioccolato di qualità, puro, abbinato ai prodotti del suo territorio: ai frutti del sottobosco, alle castagne, raccolte dalle secolari piante che riempiono le foreste locali o alla frutta secca. Il suo laboratorio emana profumi intensi di cioccolato e di croccante che, mescolati all’aria limpida delle montagne, invitano i clienti a entrare e gustare la bellissima collezione di praline lucide e brillanti come gioielli. Appartenente al gruppo A.C.A.I. (Associazione Cioccolatieri Artigiani Italiani), ha partecipato a diversi concorsi in ambito Nazionale ottenendo vari riconoscimenti. La CCIAA di Modena le ha assegnato il Marchio “Tradizioni e Sapori di Modena”, per la lavorazione del croccante artistico.

via C. Umberto, 36 - Sestola (MO) tel. 0536 62540 - 338 6151359 info@pasticceriaturchi.it Pasticceria Turchi di Marisa Tognarelli Marisa Tognarelli


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CALZOLERIA CARLINO Il titolare Riccardo Cianci, all’età di 19 anni, decide di seguire le orme di nonno Carlino, al fianco del suo maestro Riccardo impara le tecniche del mestiere fino ad essere in grado di rinnovare la bottega acquistando nuovi macchinari e adottando tecniche innovative. La volontà di dare un nuovo volto alla Calzoleria spinge Riccardo a disegnare anche una sua linea di calzature. È grazie alla conoscenza con un maestro di una storica bottega di calzature fiorentina, che Riccardo sviluppa le giuste abilità per affinare la sua collezione di calzature interamente fatte a mano. Di fatto la realizzazione delle calzature avviene rigorosamente secondo la tradizione: partendo da un tronchetto di legno lavorato con una sciabola del ‘900 si ottiene l’anima del piede; successivamente viene definito il modello in 2D, dalle cuciture al taglio, alla scelta tra l’accurata selezione di pelli e cuoio. Chi desidera la propria scarpa su misura può scegliere ogni singolo dettaglio, ma sono necessari un paio di mesi prima di poter indossare il proprio pezzo unico. Il lavoro di Riccardo è così magico che i suoi clienti, anche stranieri, fanno visita alla bottega e si immergono nel processo produttivo e nella città di Sassuolo. Riccardo infatti dopo aver mostrato loro il laboratorio, li accompagna presso l’atelier, un salottino arredato in stile anni ‘20 nel cuore della città. È qui che tutto inizia: vengono prese le misure, si sceglie il modello della calzatura, dando vita a una nuova scarpa unica al mondo.

via Radici in Monte, 60 - Sassuolo (MO) - tel. 339 8656367 carlino.sassuolo@gmail.com - www.calzoleriacarlino.com


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ANSEO Anseo, il nome che Elisa ha scelto per la propria attività artigianale, significa “Qui”, una parola gaelica figlia di un viaggio in Irlanda. Dal 2014 Elisa si occupa di ceramica e in particolare progetta e realizza a mano gioielli e complementi d’arredo per la casa, occupandosi anche di progetti su commissione, workshop e collaborazioni con diversi negozi e realtà del territorio. L’ispirazione per le collezioni le arriva soprattutto dal mondo naturale. Studio Loom - Coworking artigiano è dove condivide lo spazio lavorativo con altri professionisti e dove i clienti possono vedere di persona le sue creazioni.

via Paolo Ferrari, 94 - Modena tel. 339 2076852 elisa@anseo.it - www.anseo.it


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PAOLO TOLLARI L’impresa artigiana Paolo Tollari si occupa di restauro e ricostruzione di organi storici, della costruzione di organi con trasmissione meccanica e del restauro di casse intagliate e cantorie lignee policrome. Paolo Tollari nasce a Fossa Mirandolese dove si dedica agli studi classici presso il vicino Liceo di Mirandola. Dopo essersi laureato in Storia della Musica presso l’Università di Bologna con la tesi “Gli organi dell’antico ducato della Mirandola”, trasforma la sua passione in mestiere. Cultore di storia degli organi, è autore di numerose pubblicazioni con documenti d’archivio inediti. È stato docente di Organaria Storica nel Conservatorio di Musica di Mantova e in quello di Bologna, collabora con varie Soprintendenze per la tutela e il censimento degli organi storici. Nella località nativa, ha avviato il laboratorio artigianale Paolo Tollari dove ha progettato e costruito 31 organi in stile emiliano e restaurato 132 organi storici sotto l’Alta Sorveglianza del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, specializzandosi in strumenti di scuola bolognese, mantovana, bresciana, pistoiese e meridionale.

via Val di Sole, 7 - Concordia sul Secchia (MO) - tel. 347 8963164 paolo@tollari.com - www.tollari.com


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VETRERIA ARTISTICA D’ARTE IL DIPINTO DI PAOLA CAVAZZUTI Paola Cavazzuti nella sua Bottega d’arte, laboratorio artistico con sede a Modena in Strada Vaciglio Centro 309 è specializzata nella progettazione e realizzazione di vetrate artistiche per l’arredamento con varie tecniche di lavorazione. Vetrate Tiffany, rilegature a piombo, vetrate dipinte in Grisaglia a fuoco, decoro a mano con smalti, vernici e resine. Tantissimi sono i progetti e gli sviluppi, dalla creazione di specchiere, lampade, lampadari, applique e complementi d’arredo dipinti a mano. Con la sua esperienza oltre trentennale, Paola si propone di offrire un riferimento per chiunque abbia il desiderio di possedere un’opera unica e personalizzata, eseguita con la padronanza delle antiche tecniche vetrarie e pittoriche, frutto di una continua ricerca e passione, con la massima cura dei soggetti e la scelta dei materiali. Paola Cavazzuti “maestra d’arte” crea vetrate artistiche per porte, finestre, divisorie per tutti gli ambienti, per piccoli e grandi spazi, vetrate per scale, porte blindate e per qualsiasi spazio si voglia abbellire con questi quadri in vetro colorato. Inoltre si realizzano vetrate artistiche Sacre per chiese, cappelle private cimiteriali e luoghi di culto, oltre a innumerevoli Restauri, per riportare le vetrate al fascino e alla bellezza originale.

strada Vaciglio Centro, 309 - Modena tel. 059 372782 - 333 5659567 www.ildipintodipaolacavuzzi.it il dipinto di Paola Cavazzuti paola-cavazzuti


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ACQUARAMA Cornici su misura e soluzioni d’arredo innovative e di design che si trasformano in opere d’arte per abitazioni e uffici grazie alle competenze artigianli di Roberto Bardi. Dal 1994, le creazioni del laboratorio partono dallo stile del cliente per diventare quadri, lampade, tavoli, sedie e altri complementi d’arredo. L’abilità tecnica e la sinergia tra artigiani con differenti competenze, si fonde per dare vita a infinite soluzioni per privati e aziende: cornici artistiche per valorizzare un quadro o una foto, oggetti d’arredo originali e unici, pannellature senza vetro su MDF, PVC e FOAMBOARD per mostre e fiere, stampa su tela o carta fotografica e fine art. Si nutrono di arte e sono ispirati dagli stimoli che i clienti trasmettono con le loro richieste.

Laboratorio via Giordano Bruno, 9 - Nonantola (MO) - tel. 331 1298753 Negozio via G. Mazzini, 15 - Bologna - tel. 051 6342300

www.laboratorioacquarama.com


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PAOLA DAVOLI L’azienda Paola Davoli è una micro impresa con tre dipendenti e tre soci, a conduzione familiare. Oltre all’esperienza e alla tradizione del saper produrre abbigliamento oggi occorrono competenze digitali e di marketing evolute. L’utilizzo della tecnologia è molto importante, e l’azienda ha già esperienza grazie a una particolare passione nell’utilizzo delle funzioni digitali per la comunicazione. Utilizzano infatti sistemi informativi automatizzati, internet e social media, da diversi anni hanno un catalogo elettronico per i clienti business. I clienti sono concentrati sulle caratteristiche tecniche ma anche la storia del prodotto e l’italianità hanno un peso, fantasia e creatività sono aspetti fondamentali. Per l’azienda il lavoro è piena dedizione e passione, sanno fare quello, si sono specializzati. Come impresa di produzione e vendita hanno l’obiettivo di soddisfare i clienti e offrire loro prodotti adeguati, combattendo spesso contro una concorrenza sleale che sui prezzi è competitiva, ma a vincere è il rapporto speciale che hanno costruito con i propri clienti. La moda viene spesso erroneamente definita un settore che opera nell’ambito dell’effimero, Paola Davoli ritiene piuttosto che si tratti di un ambito dove contano molto le componenti emozionali e oggi è diventato fondamentale saperle comunicare.

via Vespucci, 41 - Carpi (MO) tel. 059 693557 - 329 2313801 info@paoladavoli.it - www.paoladavoli.info


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FOTO MANFREDINI L’immagine è la voce del tempo: istanti di vita, paesaggi, storia. Lo studio fotografico Manfredini è uno sguardo attento al servizio della comunicazione: informazione e intrattenimento documentati con esperienza e intelligenza, per trasmettere l’indispensabile sensazione dell’“io c’ero”. Attivo nel campo dell’immagine fotografica da più di 75 anni, lo Studio mette a servizio del cliente la propria competenza e il proprio archivio per una partnership che va dall’ambientazione, all’immagine di repertorio, alla documentazione storica, al servizio su commissione. In un continuum tecnologico che va dall’analogico al digitale, aggiornato sulle più moderne tecnologie di acquisizione, rielaborazione immagine e stampa, lo Studio Fotografico Manfredini è il partner ideale per aziende, quotidiani, riviste specializzate e agenzie pubblicitarie. - AREA ARCHIVIO - Nel 1935 il Cav. Remo Storchi fonda l’omonimo studio fotografico in Pavullo, da quell’anno tutti gli scatti commissionati o raccolti per passione vengono conservati in un archivio che nel 1968 viene rilevato dall’allora apprendista di Remo: Guglielmo Manfredini. Oggi lo studio Manfredini dispone di una ricca documentazione fotografica degli eventi che negli ultimi settantacinque anni hanno segnato la storia e la vita della provincia di Modena e dell’Appennino: foto storiche di eventi politici, sportivi e mondani, eventi naturali, monumenti, paesaggi e borghi, scorci di vita vissuta in un altro tempo, negli stessi luoghi. - AREA EVENTI E INDUSTRIALE - Lo Studio Fotografico Manfredini ha sviluppato negli anni la propria propensione all’immagine narrativa: lavorando in stretta collaborazione con enti, associazioni e quotidiani del territorio è oggi un affidabile interprete degli eventi che scandiscono la vita della società. Dalle manifestazioni politiche e culturali, alle sfilate di moda, agli spettacoli, agli eventi sportivi lo Studio Manfredini mette il suo obiettivo al servizio del committente per far emergere dal “racconto” l’angolazione più inattesa o quella più istituzionale. - AREA RITRATTI E STILL-LIFE - Foto di repertorio, panoramiche, monografie, ritratti, still life, books di presentazione: la divisione “ritratti” dello Studio Fotografico Manfredini offre al proprio cliente un serbatoio di immagini pronte o costruite su misura per gli usi più disparati. La competenza acquisita nel corso degli anni nell’ambito dell’elaborazione digitale dell’immagine è garanzia di fotoinserimenti professionali, ritratti nitidi e naturali, evocazioni impalpabili, orientati al mondo della pubblicità.

via Giardini, 53 - Pavullo nel Frignano (MO) - tel. 0536 20583 info@fotomanfredini.com - www.fotomanfredini.com


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MORINI SILVIO La ditta è stata fondata nel 1980 da Morini Silvio, 53 anni di esperienza nel settore, che dopo avere lavorato presso una azienda di complementi d’arredo, una di serramenti, una di arredamento per interni e in una ditta specializzata nella costruzione di arredamenti per bar e negozi, ha deciso di iniziare un’attività in proprio come ditta individuale. Da una ventina d’anni gli si è affiancato il figlio, Morini Fabio, che dopo gli studi da geometra lavora come collaboratore. Nel 2000 Fabio ha partecipato al restauro degli Stalli dei Conservatori del Comune di Modena e successivamente al restauro di dipinti e ricostruzioni di cornici con finitura a foglia d’oro, presso ville private. Hanno realizzato il restauro di portoni in dimore storiche di Modena e provincia. Nel 2015 hanno partecipato all’EXPO realizzando sedie RJR in Cascina Triulza. Insieme hanno creato un’azienda che rispecchia la tradizione della vecchia falegnameria artigianale, che segue ogni cliente in modo diretto, dagli infissi agli arredi e che sa dare il giusto spazio a solidità e dettagli senza trascurare la praticità, l’innovazione e la sicurezza. Con i loro prodotti rendono reali le esigenze dei clienti in modo da rendere ogni casa unica.

via degli Ombrellai, 2/4 Castelfranco Emilia (MO) tel. 059 922345 tel. 338 6064042 Silvio Morini tel. 338 2999352 Fabio Morini


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CALZOLAIOMATTO Il Calzolaiomatto di Reggio Emilia, è Gianluca Tagliamonte, cha ha ripreso le tradizioni sartoriali e pellettiere di famiglia, dove la qualità della pelle e la professionalità erano la base del mestiere. Gianluca si chiude nel proprio laboratorio a mescolare alchimicamente stili antichi a linee moderne, sempre con il prezioso suggerimento della clientela, in modo da personalizzare ogni creazione per renderla unica e su misura. Produce anche borse artigianali e cinture con pellami ricercati e ripara scarpe.

via Emilia A S. Pietro, 57 - Reggio Emilia - tel. 344 0320366 tagliamonte.gianluca@gmail.com


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GOZZI INTERNI Corrado Gozzi nasce a Modena nel 1964 e fin da bambino mostra una passione per le attività pratiche, tecniche e manuali, che lo porterà ben presto a muovere i primi passi nel mondo della falegnameria. Insieme alla carriera professionistica nell’hockey su pista, completa l’apprendistato e, nel 1985, inizia una collaborazione con il falegname Antonio Scutece. Dal maestro impara i segreti del mestiere con l’obiettivo di aprire, un giorno, la propria attività. Accade nel 1993, quando nasce la falegnameria Gozzi Interni. Da quel momento in poi, Corrado ha cercato di affinare un proprio metodo e una propria concezione creativa, in collaborazione con architetti e designer, al passo coi tempi ma senza mai trascurare quell’approccio artigianale che è caratteristica peculiare dei suoi lavori. Questa costante ricerca, guidata tanto dalla passione quanto dal desiderio di rispondere adeguatamente alle richieste dei committenti, ha permesso all’azienda di realizzare innumerevoli arredi su misura per case, negozi, locali pubblici così come allestimenti e spazi espositivi. Nel 2006 si trasferisce in via Nicolò Biondo, nel cuore del Villaggio Artigiano. Qui conosce l’architetto Cesare Leonardi e i suoi collaboratori. Un’altra straordinaria occasione di crescita, che ha permesso alla falegnameria di confrontarsi con il lavoro di un progettista di riconosciuto valore internazionale. Oggi la falegnameria si è arricchita di nuove professionalità: una squadra affiatata che, sotto la guida di Corrado, porta avanti la storia dell’azienda.

via Nicolò Biondo, 90 - Modena - tel. 335 8407729 info@gozzinterni.it - www.gozzinterni.it


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SAPORI DEL BORGO ANTICO Sapori del Borgo Antico di Iseppi Tiziana è un’azienda artigianale nata nel 2000 nel cuore del Frignano in provincia di Modena con lo scopo di portare avanti un’antica tradizione “Il Croccante Artistico”: cioè danno le forme più svariate a questo dolce tipico per festeggiare tutte le ricorrenze, Natale e Pasqua compresi. Negli anni sono diventati anche azienda agricola e si sono specializzati nella coltivazione di nocciole, e con 320 piante in piena produzione dispongono della materia prima necessaria per il loro prodotto di punta: il croccante. Coltivano anche grani antichi che, uniti alla farina di nocciole e al cioccolato, danno vita a frollini molto particolari. Altra produzione importante è quella del cioccolato con i cremini, i nocciolati, le creme da spalmare e la pralineria (a cui uniscono i prodotti del territorio come parmigiano reggiano, aceto balsamico, croccante, nocciole, lampone, frutti di bosco), cocco, grappa, limoncino e rum per soddisfare ogni palato.

via Montebonello, 53/a Pavullo nel Fr. (MO) tel. 0536 51303 - 335 8141544 Sapori.04@gmail.com www.saporiborgoantico.com


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ARTISTICA MAZZINI Lavorazione Artistica del Ferro Battuto. Style e Design Artistica Mazzini nata nel 1972, fondata da Mazzini Emilio che ne è il principale ideatore e collaboratore, è un’azienda a carattere familiare specializzata nella creazione di oggetti di arredamento, pezzi da collezione e lavori artistici di vario genere su qualsiasi disegno, misura, stile e con le più originali caratteristiche. L’arte della lavorazione del ferro battuto si presta a innumerevoli applicazioni, intese a decorare con gusto e raffinatezza qualsiasi spazio abitativo. Le creazioni artistiche ed esclusive vengono realizzate rispettando la tradizione degli antichi metodi di lavorazione assimilati in diversi anni di passione ed applicazione verso l’arte del ferro battuto, quali ad esempio la chiodatura, la fasciatura o l’intarsio, tanto per citare alcuni metodi di assemblaggio. Anche le finiture possono essere innumerevoli e svariate: decorazioni ad acquarello, foglia oro nonchè sfumature, anticature, bruniture e satinature anche personalizzabili per soddisfare l’esigenza di qualsiasi cliente. Presso la sede, troverete svariate soluzioni per rendere unica la vostra casa e i vostri ambienti.

via Giardini Nord, 75 - Pavullo nel Frignano (MO) - tel. 0536 51002 info@artisticamazzini.com - www.artisticamazzini.com


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NICOLE SALA ART LAB Nicole Sala, artista originaria dell’Appennino Modenese, fonda il suo Art Lab nel 2007 dopo essersi laureata all’Accademia di Belle Arti di Bologna con lode. Specializzata in più settori artistici, lavora su commissione spostandosi prevalentemente nelle zone di Modena, Bologna e relativi appennini. Nel suo laboratorio si occupa di sculture, ritratti e caricature in terracotta, ceramica, resine e argille polimeriche, opere uniche o pezzi a tiratura limitata e numerata. Realizza inoltre dipinti su tela o direttamente su parete, consulenza, progettazione e decorazione di interni per locali pubblici e abitazioni private. La terza sezione del suo laboratorio invece è dedicata alla creazione di maschere e protesi, props ed effetti speciali di make-up per il cinema e il teatro.

tel. 339 6579534 www.nicolesala.it nicolesalart@gmail.com Nicole Sala Art Lab - Nicole Sala Make Up Sfx NS Art Lab Bomboniere D’Autore Nicolesalart Nicole_Sala_Make_Up_Sfx NS_Art_Lab_Bomboniere


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HOBBY LEGNO di Ceccarelli Roberto Roberto Ceccarelli ha ottantadue anni, Hobby Legno, la sua attività, è iniziata circa 15 anni fa, quando ancora lavorava come muratore. Nel tempo libero Roberto ha iniziato a creare piccoli oggetti, ma non disponendo della giusta attrezzatura, realizzava quello che poteva. Vista la passione “per il fare”, quando ha lasciato il lavoro in edilizia, anche a causa dell’età, si è procurato un po’ di strumenti e attrezzi e ha iniziato a dedicarsi a tempo pieno alle proprie creazioni. Fino a qualche tempo fa le vendeva anche nei mercati locali, ricevendo numerose richieste. Oggi, dice Roberto, la passione e il “saper fare” non sono cambiate, ma la carta d’identità sì!

via delle Selvi Vecchie, 66 - Abetone Cutigliano (PT) - tel. 348 7761915


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PASTICCERIA BUSUOLI È il 1966 quando Goliardo Busuoli e la moglie Bianca, grandi appassionati di arte dolciaria, aprono il loro primo negozio a Mirandola: inizia da lì una lunga tradizione di dolcezza. Una storia che continua con i figli Tiziano e Cristina, subentrati nella gestione nel 1986 portando un tocco in più, che all’evoluzione della pasticceria tradizionale ha affiancato (a partire dagli anni ’90) la produzione di specialità a base di cioccolato. Contemporaneamente, Cristina si diploma vetrinista e segue corsi di specializzazione per il confezionamento a regola d’arte di tutti i prodotti. Con la terza generazione, Emanuele, continua la tradizione ed evolve la caffetteria. Oggi la pasticceria Busuoli offre ai suoi clienti tutta la qualità che la passione, l’artigianalità e l’esperienza cinquantennale dell’azienda possono garantire. Con un punto fermo: ogni prodotto venduto è fatto a mano, dall’inizio fino al confezionamento, con una cura particolare nella scelta delle materie prime nella migliore tradizione artigianale. “Essere artigiani significa conquistare il cliente con la qualità dei nostri dolci, della ristorazione, della cioccolata home-made, di succhi di frutta ed estratti. Significa produrre freschezza, genuinità ma soprattutto sapori meravigliosi per ogni palato e per tutti i gusti. Con cura, passione e amore ma anche studio e innovazione.”

p.zza Costituente, 48 - Mirandola (MO) - tel. 0535 21245 info@pasticceriabusuoli.it - www.pasticceriabusuoli.it - www.mirandolina.info


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VETRERIA D’ARTE La Vetreria d’arte nasce nel 1985 nel comune di Nonantola ed è stata rilevata dalla famiglia Gregori nel 2015 continuando la tradizione della lavorazione artistica dei vetri ma ampliando i servizi offerti ai propri clienti diventando un punto di riferimento per qualsiasi lavoro che necessiti l’intervento di un vetraio. La gamma di servizi è molto ampia: lavorazione artigianale del cristallo, specchi su misura, decorazione vetri e specchi, fornitura e montaggio box doccia anche decorati, sostituzione vetri porte, finestre, vetrine negozi, vetrocamere, decorazione con tecnica legatura a piombo. Inoltre nel corso degli anni la Vetreria si è specializzata nella riparazione di oggetti in vetro o cristallo collaborando con antiquari, negozi di cristalli, negozi di lampadari e singoli privati. La Vetreria d’arte è una piccola realtà artigiana dove il cliente può confrontarsi direttamente con il vetraio per trovare la migliore soluzione al suo problema.

via Nicolò Copernico, 81 Nonantola (MO) tel. 059 549476 vetreriadartesnc@gmail.com


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ZOBOLI RESTAURI È un’impresa attiva da più di 50 anni, tramandata di padre in figlio, che ha aperto intorno al 1963. Si occupano prevalentemente di restauro di mobili antichi, dal semplice cassettone o comò di casa, alla più complicata opera d’arte lignea, prevalentemente dal ‘600 in poi fino agli anni ‘50 - ‘60. La lavorazione è quasi esclusivamente manuale, dal rifacimento delle parti mancanti, intagli, intarsi, patinature, dorature, al trattamento antitarlo, alla corretta rilettura del mobile per togliere interventi maldestri passati o componenti mancanti. La lucidatura è fatta prettamente a mano a gommalacca con il tampone. Cercano di far tornare il mobile al suo antico splendore, ma puntando alla funzionalità, per un suo utilizzo più attuale. Perché in fondo il calore che può dare un mobile o un’opera di casa tramandata da padre in figlio non ha uguali. Anche se le case completamente antiche non si trovano quasi più, è bene sottolineare che anche il mobile antico può stare tranquillamente in un arredamento moderno, dando quel tocco di esclusività e originalità senza eguali.

via Peretti, 58/C - Modena - tel. 059 302526 info@zobolirestauro.com - www.zobolirestauro.com


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SUMO ARTIGIANATO ARTISTICO: UNA PASSIONE PER UNA VITA Tutte donne. A cominciare dalla fondatrice Silvana. Argentina di nascita, cittadina del mondo nel cuore: mente creativa e motore imprenditoriale. E seguita dalla figlia Anabel. Un nome d’arte e una bottega: Sumo. Da oltre vent’anni viaggiano per passione, pioniere di un movimento culturale che sarebbe diventato moda per tanti. Per loro, invece, è ancora una ricerca artistica. Scovano oggetti particolari e meravigliosi quali abiti, gioielli, oggettistica e accessori. Li acquistano, li trasportano, e li fanno arrivare nei loro punti vendita del paese in cui hanno deciso di vivere: l’Italia. Il luogo votato alla trasformazione creativa è una casa laboratorio sull’Appennino modenese: qui si confezionano vestiti e si inventano pezzi unici in argento, pietre, perline e metalli poveri, per creare uno stile unico e personalizzato adatto a qualsiasi occasione. Negli anni hanno imparato a sfruttare la tecnologia per ampliare la clientela e far viaggiare i loro prodotti in tutta Italia. Il contatto diretto con il pubblico, tuttavia, rimane un punto centrale nel loro lavoro. E’ nell’incontro con il cliente che il lungo viaggio dell’oggetto che hanno scelto o creato ha termine; ed è in quel momento che ne comincia un altro.

via San Vitale 3/C - Bologna via Ponte Muratori 2/E - Vignola www.sumoshop.it


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IL FOTOGRAFO di Maria Rosa Bellodi “La Rosa”, ecco come la chiamano dalle sue parti. Maria Rosa ha aperto l’attività negli anni ‘90 e si è sempre dedicata alla fotografia di tutti i tipi, rivendendo anche attrezzatura fotografica e prodotti inerenti il mondo della fotografia (cornici, portafoto ecc..). Il Mondo cambia. Proprio così, il mondo cambia e anche velocemente. Quando ha iniziato questo lavoro esisteva solo la pellicola e le foto erano sviluppate nella famosa camera oscura. Ora questo mondo si è trasformato in una passione per pochi. Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito all’esplosione del mondo digitale che ha radicalmente cambiato il modo di fare fotografia, perciò anche, e sopratutto, chi lavora con la fotografia ha dovuto adeguarsi. Nuovi orizzonti. Quindi Rosa non ha fatto altro che accettare il cambiamento e supportare la propria attività con altre passioni che da sempre la caratterizzano: le idee regalo e l’arredo. Non a caso attualmente il suo negozio è ricco di oggettistica d’arredo e svariati prodotti per cerimonie, compleanni ed eventi in genere. Seguire le proprie passioni. Nella propia vita Maria Rosa ha sempre portato avanti i propri valori, i propri credo e le proprie passioni. Fare fotografia non lo sente come un vero e proprio lavoro, perché per lei è anzitutto una grande passione che trasmette emozioni e riesce a regalare tantissime soddisfazioni. Potrebbe fare un altro mestiere, impiegando la metà delle ore che dedica a ciò che fa ora, ma a fine giornata non avrebbe le soddisfazioni e la gratitudine che le trasmettono la vita che ha scelto di seguire.

via Giuseppe Mazzini, 68 - San Felice sul Panaro (MO) - tel. 0535 84749 ilfotografosanfelice@libero.it - www.ilfotografosanfelice.it


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Cenni biografici Iacopo Cassigoli Da oltre un ventennio affianca l’attività di artista e pittore a quella di ricercatore e divulgatore di Storia dell’arte, occupandosi in particolare di storia sociale delle arti, della relazione tra arte, letteratura e storia della cucina tradizionale italiana, delle consonanze tra iconografia sacra medievale e antropologia religiosa. Per conto di Lapam Federimpresa Modena - Reggio Emilia nel 2017 ha pubblicato A tavola nelle terre di Matilde di Canossa. Carta enogastronomica della Provincia di Modena. I suoi studi storico artistici sono confluiti in numerosi libri e articoli su riviste specializzate. Come pittore ha all’attivo diverse esposizioni in gallerie e istituzioni museali italiane. Nel ruolo di educatore museale ha lavorato per il Museo Marino Marini di Pistoia, Fondazione Pistoia Musei e i Musei Civici di Pistoia. Attualmente collabora con “Lapam Confartigianato Imprese Modena Reggio Emilia” alla progettazione ed esecuzione di incontri e laboratori didattici di arte e storia delle arti per le scuole di Modena.

Daniel Degli Esposti È storico del mondo contemporaneo e Public Historian. Collabora con l’Istituto Storico di Modena. È autore di saggi storici sulla memoria dei conflitti mondiali e sulla guerra aerea nel modenese. Ha curato mostre e ha realizzato progetti di storia digitale. Progetta laboratori didattici per gli istituti scolastici, costruisce percorsi di ricerca e attività di divulgazione storica con associazioni e amministrazioni comunali. È co-autore del blog Allacciati le storie.

Antonio Mascello Il modenese Antonio Mascello ha lavorato a lungo, ricoprendo vari ruoli, all’interno di Lapam Confartigianato Modena-Reggio Emilia fino a quando non si è ritirato per fine carriera. Ha studiato e insegnato discipline giuridiche ed economiche. Ha pubblicato, e pubblica tuttora, testi su materie storiche come storia dell’arte e storia locale emilano-romagnola. Vive tra Modena e Rimini.


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Indice Pag. PRESENTAZIONE Una riflessione sull’artigianato artistico e tradizionale di Gilberto Luppi 5 Storia di artigianato a Modena nel novecento di Daniel Degli Esposti 6 Modena e la sua provincia, una storia fantastica di Antonio Mascello 8 Identità italiana e artigianato artistico di Iacopo Cassigoli 12 DITTE CARPANI SCI Produzione sci 24 INSETTI XILOGRAFI Laboratorio di xilografia 26 MARCO BASTASIN Falegnameria e arredamento su misura 28 FRANCO ORAFO Oreficeria artigianale 30 BONUCCHI MASSIMO Decorazioni e personalizzazioni 32 PASTICCERIA TURCHI Croccante e cioccolato 34 CALZOLERIA CARLINO Calzature fatte a mano 36 ANSEO Complementi d’arredo 38 PAOLO TOLLARI Restauro e ricostruzione organi storici 40 VETRERIA ARTISTICA D’ARTE Vetrate artistiche per l’arredamento 42 ACQUARAMA Soluzioni d’arredo innovativo 44 PAOLA DAVOLI Abbigliamento 46 FOTO MANFREDINI Studio fotografico 48 MORINI SILVIO Restauro 50 CALZOLAIOMATTO Borse e cinture in pelle 52 GOZZI INTERNI Falegnameria 54 SAPORI DEL BORGO ANTICO Lavorazione croccante 56 ARTISTICA MAZZINI Lavorazione artistica del ferro battuto 58 NICOLE SALA - AUTO LAB Sculture e ritratti 60 HOBBY LEGNO Progetti in legno 62 PASTICCERIA BUSUOLI Produzione specialità a base di cioccolato 64 VETRERIA D’ARTE Lavorazione artistica di vetri 66 ZOBOLI RESTAURI Restauro mobili antichi 68 SUMO Oggettistica e accessori 70 IL FOTOGRAFO Laboratorio e prodotti per la fotografia 72 CENNI BIOGRAFICI 75


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