La Pausa Magazine N.01

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PRIMA RIVISTA LA

GRATUITA


VIAGGI

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>>VISIT LONDON and ENJOY!

CINEMA

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>> IL GIRO DEL MONDO IN 19 FILM ANNO 1

N.1

giugno 2013 Rivista on-line Gratuita ------------------------------------------------------------------------------------------

MUSICA

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DIRETTORE RESPONSABILE Pasquale Ragone

DIRETTORE EDITORIALE Laura Gipponi HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Marco Faioli, Diana Ghisolfi, Giuseppe Pastore,Nicola Guarneri, Luca Romeo, Gianmarco Soldi,Gianluca Corbani, Simone Zerbini, Marta Ettari, Gaia Bonvini. DIREZIONE_REDAZIONE_PUBBLICITA’ AURAOFFICE EDIZIONI Proprietà de: “Il Tesoro della Mente SRL a socio unico” 26013 Crema (Cr) _ Via Diaz 37 Tel 0373 80522 _ Fax 0373 254399 edizioni@auraoffice.com GRAFICA E IMPAGINAZIONE Stile Libero adv_Francesco Ettari_Cremona www.lineastilelibero.it ©Testi e foto non possono essere riprodotti senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di espressione.

Registrato al ROC n°: 23491

>> 1973: THE BEGINNING OF THE END?

BASKET >>LYNETTE WOODARD, LA GIRAMONDO

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NATURA

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>> I GIRDINI LA MORTELLA

TELEFILM

ANIMALI

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>> LE DUE FACCE DELL'ACQUA

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>> A IS FOR ALIVE

LIBRI

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>> SAVIANO RIPARTE DA ZERO >> IL PICCOLO PRINCIPE DIVENTA GRANDE

POLITICA

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>> ARRIVEDERCI AL DIVO DELLE GUERRE PUNICHE

GIOCHI

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>> LA RIFORMA TEDESCA

38

>> QUIZCROSS: UN QUIZ DA TRIS

CALCIO

OROSCOPO 40 >> QUELLO CHE IL FUTURO NON TI RISERVA

Chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi è come se fermasse l’orologio per risparmiare il tempo. Henry Ford

78 MILA PERSONE LEGGONO “LA PAUSA”

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VIAGGI | VISIT LONDON and ENJOY

“Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita..."

VISIT LONDON

and ENJ

Disse Samuel Johnson, letterato britannico: “Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra c’è tutto ciò che la vita può offrire”.

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E quindi via: un aereo (magari low cost), un treno, e si è catapultati in questa grande, immensa realtà, che fa di Londra la capitale europea per eccellenza, la più estesa e cosmopolita. La sua influenza mondiale a livello economico, politico, artistico e sociale è tra le più rilevanti, e lo avvertirete semplicemente camminando per le sue strade o incontrando la sua gente. Spostarsi nella città, di giorno, vi apparirà relativamente semplice, grazie all’antica London Underground, la metropolitana, un po’ cara ma molto efficiente. Gli spostamenti sono relativamente più difficoltosi durante la notte, che in questa città vale almeno un po’ la pena di vivere; la metropolitana è chiusa ma esistono servizi di bus notturni, non sempre semplici da individuare e con l’obbligo di avere il biglietto prima di salire. Per tutto il resto, la parola d’ordine è TAXI! Nei casi più disperati, è possibile prenotare i famosi CAB, convenienti sopratutto se siete in gruppo. Se visitate la città nel periodo invernale

armatevi di sciarpe, guanti e impermeabili, perché troverete una temperatura per nulla gradevole. Trovare alloggio a Londra è semplice, anche grazie ai molti siti web che confrontano i prezzi dei vari hotel. Attenzione però, in quanto essi sono generalmente cari: prezzo basso può spesso voler dire scarsa qualità. Accertatevi nei limiti delle possibilità delle condizioni dell’hotel, o magari della sua ubicazione, affinché non risulti essere troppo lontana dal centro città. Se siete un gruppo numeroso, potete optare per l’alternativa dell’appartamento per dividere e abbattere la spesa. Le possibilità di svago a Londra sono più che variegate: coloro che amano il turismo classico non possono mancare i simboli della città, come the Houses of Parliament e il suo Big Ben, la vicina Abbazia di Westminster (sì, dove William e Kate si sposarono), il London Eye, Buckingam Palace, il Tower Bridge, e non molto distante la Tower of London.


JOY! Per gli amanti dei musei, il British Museum e la National Gallery, nonostante siano tra i più rinomati al mondo, sono anche totalmente gratuiti. Se invece deciderete di fare una capatina al simpatico Madame Tussauds, il famoso museo delle cere, vi accorgerete di come sia simpatico anche il prezzo del suo biglietto! Molte sono le piazze e i luoghi di ritrovo di londinesi e non, come la celeberrima Piccadilly Circus, Covent Garden, piena zeppa di negozi, Trafalgar Square, Soho e l’immenso Hyde Park. Rimarrete impressionati dalla miriade di locali, tra ristoranti, pub e bancarelle di ogni tipo. Il cibo non è sicuramente il punto forte di Londa: dovrete sapervi accontentare dei loro piatti, un po’ abbondanti in salse & company, oppure lasciarvi andare in cibi distruggi-fegato (fish&chips, hamburgers, e chi più ne ha più ne metta).


VIAGGI | VISIT LONDON and ENJOY

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Per rendere felici le donzelle torniamo al discorso-shopping: mano al portafogli ragazzi, o pronti a strisciare la vostra carta, perché su questo Londra ha davvero di cui vantarsi. Il distretto di OxfordRegent-Carnaby-New Bond Street è il tempio dello shopping “tradizionale”, dove innumerevoli negozi e alcuni dei più imponenti grandi magazzini inglesi avranno di che soddisfarvi. Anche Piccadilly e Knightsbridge sono degni di nota, specie per la presenza nei pressi di Harrods, un must see della città, con oltre 300 reparti su sette piani, dove è facile che tempo e denaro scorrano via senza accorgersene. Da citare anche Westifield, King’s Road, Canary Wharf e Bluewater. Per gli amanti dello shopping “alternativo”, Londra mette a disposizione una miriade di mercatini, con gli oggetti più svariati: dall’antiquariato al vintage, dagli alimentari ai fiori, insomma qualsiasi tipo di merce vi possa venire in mente. Tra i più rilevanti troviamo Billingsgate, Smithfiled e Borough per gli alimentari, Portobello Road, Alfie’s Antiques, Petticoat Lane e Brick Lane per l’antiquariato e oggettistica. Menzione speciale per il mercato di Camden Town, che fa parte a mio avviso di quei luoghi che una persona almeno una volta dovrebbe vedere. Qui nascono le mode e gli stili si incontrano, regalando la visione più

alternativa della città, specie per i fashion victim! Per gli amanti della musica, molti sono i locali che offrono situazioni dal vivo, alcuni dei quali hanno visto passare alcune delle band e artisti ora più conosciuti (Blur, Oasis, Coldplay, Muse). Da citare The Barfly Club, The Garage e Bush Hall. Presenti le discoteche, tra le quali il Fabric e The Ministry of Sound, tra le più grandi d’Europa, e un music theatre per i grandi concerti, famoso in tutto il mondo, la Royal Albert Hall. Molto attiva a Londra è la cultura del musical e del teatro. Specie nella zona del West End, gli inglesi spendono molto per queste attività, anche se tutto è effettivamente molto caro. Per informarvi sui musical e sugli spettacoli sempre attivi nella città, potete attenervi senza problemi alle migliaia di locandine sparse per la metropolitana. Marco Faioli



NATURA | I GIRADINI LA MORTELLA

TRA NATURA E MUSICA:

I GIARDINI LA MORTELLA 8

NELL’ISOLA DI ISCHIA SI TROVA UN VERO E PROPRIO PARADISO NATURALE. LASCIATE CHE LA MUSICA VI TRASPORTI IN UNO DEI PIÙ SUGGESTIVI PARCHI D’EUROPA, COSTRUITO SU COMMISSIONE DELLA FAMIGLIA WALTON DAI PIÙ NOTI ARCHITETTI PAESAGGISTI DEL SECOLO SCORSO.



NATURA | I GIRADINI LA MORTELLA

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I giardini La Mortella sono un’esplosione di colori, profumi e suoni. Spettacolare parco botanico privato, tra i più belli d’Europa, costruito dalla famiglia Walton nel 1956, sorge sul lato di una collina vulcanica a Forio, nell’isola di Ischia. Da una cava di pietra La Mortella (luogo dei mirti) è diventata un giardino mediterraneo e Subtropicale, aperto al pubblico dal 1991, si può visitare a partire dal mese di aprile fino ad ottobre. Il merito della realizzazione è dell’argentina Susana Walton, moglie del compositore inglese William Walton, che con amore e creatività ha offerto al marito uno spazio intimo nel quale lavorare in pace, immerso in migliaia di piante rare ed esotiche e non solo. Subito all’ingresso, nella parte inferiore denominata la Valle, progettata dal noto architetto paesaggista Russell Page, si apre una zona piantata con pini domestici, alberi tropicali dai fiori rossi e un Ginko biloba, un albero considerato un fossile vivente. Il microclima riprodotto è umido e ombroso e l’atmosfera è avvolgente. Si continua lungo il viale principale fiancheggiato da vari agrumi e qui l’olfatto e la fantasia si mescolano in un sogno dal sapore esotico. Poi l’acqua ruba la scena e diventa la protagonista dell’esplorazione. Ci si imbatte in una fontana a quattro vasche con piante palustri, intorno fanno da cornice delle magnolie orientali, delle ortensie e delle felci. Un’altra fontana ottagonale circondata da alberi dei tulipani e da un sottobosco di brome-

lie, felci, begonie e orchidee. La Valle è attraversata da un ruscelletto e maestoso si erige il grande albero dal tronco spinoso, la Chorysia Speciosa, piantata da seme nel 1983. Per raggiungere la fontana grande che comprende il papiro gigante, il fior di loto e le ninfee si sale leggermente di livello ma ci si trova ancora ai piedi di casa Walton. La fontana alta zampilla accanto a un colonnato di palme e ad alberi sempreverdi dai fiori a piumino rosso. Di fianco la serra della Victoria è situata sulla parete di roccia e presenta al suo interno “La Bocca” scolpita da Simon Verity, sotto regna nell’acqua la regina, la ninfea gigante che fiorisce di notte, la Victoria Longwood Hybrid. Nella Valle si possono ammirare anche la serra delle orchidee e la voliera dove vengono tenute diverse specie di pappagalli. Poi c’è il Museo al cui interno sono visibili i cimeli di William Walton: il pianoforte, i bozzetti delle sue opere, manifesti di film, fotografie di Cecil Beaton e un teatrino di Lele Luzzati. Si salgono le scale e pian piano si vede il mare e le teste verdi degli alberi che sembrano essere venuti da ogni parte del mondo proprio per assistere al panorama mozzafiato. Arrivati nella parte superiore, la Collina, sviluppata interamente da Lady Walton, si estende il giardino Mediterraneo da cui spunta il Ninfeo, memoriale di Susana dal gusto classicheggiante.


Mentre le ceneri di Sir Walton sono nel punto più incantevole del giardino, in una piramide di pietra che domina tutta la baia di Forio. Dopo aver superato la scalinata costeggiata da agavi e palme grigie ci si trova davanti al Tempio del sole, decorato internamente da bassorilievi che richiamano la mitologia dedicati ad Apollo, dio del sole e della musica. Il percorso fisico e sensoriale continua e si arriva alla Cascata del Coccodrillo che si trova quasi sulla sommità della Collina così come la Glorieta, una pergola coperta da rampicanti, passiflore e gelsomini che si affaccia su un “lago” di ghiaia di vetro blu ed è pervasa dal profumo di rose ed erbe aromatiche. Il Teatro Greco è il tocco magico del giardino dal 2006. Gradinate ornate da timo strisciante, una terrazza sulla quale viene suonata musica sinfonica e il mar Tirreno come sfondo, il tutto addolcito da un bosco di lecci, delle rose cinesi e da un’illuminazione davvero suggestiva. L’ultimo tocco particolare è la Thai House, il padiglione thailandese affacciato su uno specchio d’acqua, simbolo della quiete e della riflessione in un sentiero di aceri giapponesi. La Mortella non è solo natura ma anche cultura. Nel 1983, alla morte del compositore, Susana ha creato la Fondazione William Walton che oggi gestisce il giardino e promuove la cultura organizzando eventi musicali per aiutare giovani musicisti di talento.

Questo era il più grande desiderio di Sir Walton. Infatti durante l’anno si svolgono tre stagioni concertistiche: in primavera, in estate e in autunno. L’atmosfera creata dalla virtuosa Susana viene riconosciuta ogni volta dai musicisti che hanno l’occasione di immergersi nei giardini perché considerati fonte di ispirazione e di intense emozioni artistiche. Diana Ghisolfi


ANIMALI | LE DUE FACCE DELL’ACQUA

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LE DUE FACCE DELL’ACQUA: LIBERTA’ E SCHIAVITU’ NEL MONDO SUINO Dormire, prendere il sole e tuffarsi in acque limpide. Non è semplicemente il sogno di chi lavora a lungo, ma è la vera e propria vita di alcuni maialini sbarcati a Big Major Cay, un’isola delle Bahamas. In un paradiso terrestre del genere è difficile resistere alla tentazione di buttarsi in quell’acqua così cristallina. E dei maialini rosa, marroni e a macchie sembrano aver seguito alla lettera il famoso consiglio di Oscar Wilde: hanno ceduto alla tentazione e si sono buttati in acqua. Insomma si godono la vita, la paura di essere macellati o costretti a vivere in spazi minuscoli non è un loro problema.

Sulla spiaggia meridionale di Big Major Cay, soprannominata Pig Beach grazie ai suoi unici abitanti, si riposano distesi su spiagge bianchissime i suini, che da domestici sono ritornati ad essere selvatici. La straordinaria presenza di questi mammiferi in un territorio tropicale è da ricondurre a una storia non accertata che racconta di come alcuni marinai in viaggio si siano fermati sull’isola portando con sé gli animali per avere una fonte sicura di cibo, ma il destino ha voluto che i marinai se ne andassero e i maialini restassero, facendo di quella zona la loro nuova dimora.


Nel 2003 il professionista Eric Cheng, esperto di fotografia subacquea, naviga nei pressi delle isole Exuma alla ricerca dello squalo longimanus e avvicinandosi a Big Major Cay vede con i propri occhi ciò che fino a quel momento aveva solamente sentito dire. Il giovane fotografo immortala il panorama insolito con centinaia di scatti. «Quando la gente del posto porta loro del cibo, i maiali si tuffano e nuotano fino alle barche in arrivo come per salutare. È già abbastanza strano vedere maiali gironzolare per spiagge tropicali di sabbia bianca - racconta Cheng - ma vederli tuffarsi in acqua per salutare le barche in arrivo è semplicemente bizzarro».


ANIMALI | LE DUE FACCE DELL’ACQUA

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La notorietà di questi maialini si diffonde con fotografie, filmati e articoli su internet. D’ora in avanti Pig Beach diventa un’attrazione turistica. Ogni giorno vengono organizzate escursioni per portare i turisti a nuotare con i maiali. Alla costante ricerca di divertimento e di novità sorprendenti, i turisti si avvicinano ai maialini e lanciano loro pezzetti di cibo, li fotografano, fanno video e documentano quel momento come qualcosa di eccezionale che hanno vissuto. E gli abitanti locali hanno fatto degli animali esotici un business, a Guana Cay si possono nutrire le iguane con l’uva, mentre a Compass Cay si può provare il brivido di sfamare uno squalo (sperando di non essere il dessert). In queste zone è possibile anche fare escursioni a tema e visitare i luoghi dove sono stati girati due film che hanno come protagonista James Bond: “Thunderball operazione tuono” e il remake “Mai dire mai”. E a proposito di film e attori, la moda del maialino-marino incanta anche alcuni vip come Johnny Depp, Nicholas Cage, Eddie Murphy e l’illusionista David Copperfield i quali, avendo acquistato delle piccole isole alle Bahamas, hanno come vicini di casa propri i simpatici suini. Se è considerato stravagante vedere dei maialini crogiolarsi sui lidi candidi delle isole tropicali, più familiari sono le loro doti ac-

quatiche, infatti se vengono abituati sin da piccoli, i maialini imparano a nuotare e ad amare l’acqua. Anche in Oriente conoscono l’abilità nel nuoto dei maiali e la sfruttano senza tener conto del loro benessere. In Cina e in Vietnam vengono organizzate delle gare atletiche, le Iron Pig, olimpiadi in miniatura per maialini talentuosi. Le prove principali prevedono il nuoto, i tuffi da un trampolino, le corse ad ostacoli e i salti in cerchi infuocati. Sempre in Cina, nella provincia di Hunan, un allevatore di maiali è convinto di aver trovato un modo per rendere la carne di questi animali più buona e più saporita: costringerli all’attività fisica. Huang Demin ha costruito una palestra con piscina e trampolino alto dieci metri per i poveri maialini che sono costretti a saltare dalla piattaforma da un minimo di tre volte al giorno a un massimo di trenta volte. Ovviamente le creature non gradiscono il volo al quale sono costrette e quindi vengono spinte giù con forza. Il movimento renderebbe la carne più magra e il contadino più felice dato che vende i suoi maialini al triplo del prezzo di mercato. Due realtà opposte che rispecchiano due mondi culturalmente diversi nell’affrontare il tema della convivenza con gli animali.

Diana Ghisolfi



CINEMA | IL GIRO DEL MONDO IN 19 FILM

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Pretty Little Liars “A” is for “Alive”


Il giro del mondo in 19 film Paul Newman e Joanne Woodward si baciano sulla locandina del 66° Festival di Cannes, in un’immagine tratta da A New Kind Of Love (1963, in italiano “Il mio amore con Samantha”), e sembrano ricordarci che, mai come in questi tempi bui, il cinema ha la funzione e forse anche il dovere di essere non solo la fotografia dell’esistente, ma anche strumento di distrazione e immaginazione, ancora di salvezza da levare per salpare verso luoghi e tempi lontanissimi. Il programma dei film in concorso - più ecumenico del solito per provenienza geografica, età media e temi trattati - conferma questa sensazione. Cominciamo patriotticamente dai nostri colori, difesi dal solito Paolo Sorrentino, ormai di casa sulla Croisette. La grande bellezza si colloca ambiziosamente sulla scia di un filmettino da niente come La dolce vita, che proprio a Cannes vinse nel 1960, con il ritorno - dopo l’esperienza americana di due anni fa - agli attori e ai temi che hanno decretato il successo al regista napoletano: Roma, Toni Servillo, la decadenza morale e intellettuale di quel generone capitolino già impietosamente fotografato nel Divo. Il film è molto suggestivo e forse, permetteteci, leggermente furbetto - qualità che non manca mai nel cinema comunque figurativamente lussuoso di Sorrentino. Uno dei favoriti (alla fine rimasto a mani vuote) era Nicholas Winding Refn, il danese rivelatosi con Drive e atteso alla mancata consacrazione con l’ambizioso ma deludente Only God forgives, ambientato a Bangkok con il feticcio Ryan Gosling e una Kristin Scott Thomas molto lontana dai suoi abituali ruoli eterei à la Paziente Inglese. Resta senza premi anche un altro “animale da festival” come il prolificissimo François Ozon, che a pochi mesi dall’ottimo Nella casa torna di nuovo in pista con Jeune et jolie con la nuova musa Marine Vacth. La ben guarnita pattuglia americana ha visto in prima fila i fratelli Coen, alle prese con l’insolito ritratto di un musicista folk anni ‘60 semi-sconosciuto al di qua dell’Atlantico: Inside Llewyn Davis si merita il Gran Premio. Una menzione e nulla più per l’imbolsito Steven Soderbergh, comunque sempre amatissimo a Cannes tanto da ammettere in concorso il suo biopic Behind the

Candelabra sulla vita del controverso pianista Liberace, interpretato da un Michael Douglas brillante ma se possibile ancora più imbolsito del suo regista. Più allettante appare l’opera di Alexander Payne: Nebraska, classico road-movie padre-figlio di quelli tanto cari al regista di Omaha, con il vecchio Bruce Dern si merita il premio per l’Interpretazione Maschile. Capitolo Estremo Oriente: constatata la sorprendente assenza di pellicole sud-coreane, è il Giappone a battere due colpi con l’ultimo lavoro del venerato maestro Takeshi Miike: si chiama Wara No Tate e, a quel che ci è dato sapere dal trailer giapponese, è la solita solida storia di yakuza che non deluderà gli amanti. Più oscura è la carriera di Hirokazu Kore-eda, noto tra i cinefili più accaniti per il suo stile intimista e poco esportabile all’estero, che approda a Cannes con Soshite Chichi Ni Naru. Il titolo, traducibile in italiano con “Tale padre, tale figlio”, si aggiudica il Premio della Giuria. La Cina si ferma al lussureggiante A touch of sin di Jia Zhangke, che qualcuno di voi ricorderà vincitore di un clamoroso e iper-inatteso Leone d’Oro a Venezia 2006 con Still Life, una decisione che non mancò di sollevare polemiche; Zhangke conferma il feeling con le manifestazioni europee e si aggiudica il premio per la sceneggiatura. Per assegnare la Palma d’Oro il nostro viaggio prosegue in Medio Oriente: se l’aggiudica il tunisino Abdellatif Kechiche, con l’opera più sensuale, appassionata e conturbante dell’edizione, La vie d’Adèle - Blue is the Warmest Colour. Speciale menzione anche per l’iraniano Ashgar Farhadi, attesissimo dopo l’exploit di Una separazione (Orso d’Oro a Berlino e Oscar per il miglior film straniero). Il successo degli ultimi anni ha consentito a Farhadi di approdare in Francia e girare con una star come Bérénice Bejo (premio per l’interpretazione femminile), anche lei reduce dal boom di The Artist. Dal Medio Oriente all’Africa, ecco Grigris del ciadiano Mahamat-Saleh Haroun. Non manca ahinoi neanche la quota francese, in nome della quale Cannes ha avallato alcune delle peggiori nefandezze delle ultime edizioni. Detto dell’inappuntabile Ozon, riecco anche l’ottimo Arnaud Desplechin che torna a battere un colpo a cinque anni dallo stupendo Racconto di Natale


CINEMA | IL GIRO DEL MONDO IN 19 FILM

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(2008): il film in concorso si chiama Jimmy P. e racconta la storia dell’amicizia, ambientata subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, tra un antropologo e un soldato americano ricoverato in un ospedale militare dopo aver combattuto in Francia. Meno certezze assicurava Michael Kohlhaas del carneade Arnaud des Pallières, del quale è stato in concorso quello che sostanzialmente è il suo primo lungometraggio nonché il peggior film in concorso. Arruolabile alla legione francese è anche la nostra Valeria Bruni Tedeschi, sorella di Carlà e recentemente vista in Viva la libertà di Roberto Andò, che torna dietro la macchina da presa per il commovente Un château en Italie. Breve sconfinamento in Olanda per riferirvi del thriller Borgman di Alex van Warmerdam. Spostiamoci quindi in Messico dove ci accoglie il 34enne Amat Escalante, il regista più giovane della rassegna, che già si era affacciato a Cannes nel 2005 con Sangre. Qui ritorna dalla porta principale con Heli, dramma palpitante sullo sfondo dei cartelli del narcotraffico di Guanajato che si aggiudica a sorpresa il Premio alla Regia. Chi manca? Ah sì, dulcis in fundo: due colonne portanti dall’età non più verde. Qualcun altro, complice anche l’età non più verde, si accontenta di ripetere i passati schemi di successo: è il caso di Roman Polanski che, dopo il fortunato Carnage, ritenta la strada del cine-teatro con Venere in pelliccia, adattamento di un testo teatrale di David Ives (che non c’entra niente con La Venus a la fourrure, film del 1960 con Liz Taylor dal titolo italiano che può trarre in inganno). Il gran finale del Festival è stato affidato a quel marpione di Jim Jarmusch che - parsimonioso come suo costume - ha lasciato trapelare ben poco del suo Only Lovers Left Alive con l’ultima proiezione in concorso sabato 25 maggio, prima di lasciare spazio alla cerimonia di premiazione del giorno dopo. Di seguito tutti i premi assegnati. Palma d’Oro per il miglior Film: La vie d’Adèle di Abdellatif Kechiche Gran Premio : Inside Llewyn Davis di Ethan e Joel Coen. Premio per l’Interpretazione Maschile: Buce Dern (Nebraska) Premio per l’Interpretazione Femminile: Bérénice Béjo (Le passé) Premio alla Regia: Amat Esclalande (Heli) Premio alla Sceneggiatura: Jia Zhangke per (Tian zhu ding) Premio della Giuria: Soshite chichi ni naru (Tale padre, tale figlio) di Hirokazu Kore-Eda Camera d’Or per la miglior Opera Prima: Ilo Ilo, di Anthony Chen Palma d’Oro per il miglior cortometraggio: Safe di Moon Byoung-gon Menzione speciale ex-aequo per: Whale Valley di Gudmundur Arnar Gudmundsson e 37°4 S di Adriano Valerio.

Giuseppe Pastore



TELEFILM | A IS FOR ALIVE

Pretty Little Liars “A” is for “Alive”

Tra minacce e cadaveri, sms e giochi di potere, la quarta stagione del teen drama della ABC riparte con un nuovo interrogativo: Alison è ancora viva?

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Bastano poche scene per cancellare le certezze di più di 70 episodi. A meno di tre mesi dallo sconvolgente finale di stagione (in Italia l’ultimo episodio uscirà tra pochi giorni, il 6 di giugno), la ABC Family anticipa l’uscita della quarta serie di Pretty Little Liars, annunciando inoltre di aver rinnovato l’accordo per una quinta stagione. Dove ci eravamo lasciati? Fin dal primo episodio gli interrogativi hanno assillato le menti dei telespettatori. Al di là dei più o meno coinvolgenti conflitti amorosi, che assicurano comunque una discreta fetta di pubblico, Pretty Little Liars si è fatto apprezzare per quella continua danza sul filo del

mistero, un vedo-non-vedo che attizza al punto giusto. I continua ricatti di “A”, sempre pronta (o pronto?) a mettere i bastoni tra le ruote alle inseparabili amiche, come i dubbi sulla sua identità, hanno tirato il carretto dei dubbi fin dalla prima puntata. Fino all’ultimo episodio della terza stagione sembrava almeno esserci una certezza: la morte di Alison DiLaurentis, la più carismatica tra le ragazze di Rosewood. E invece… Alison è viva? La terza stagione si chiude in maniera rocambolesca: Aria, Hanna, Spencer ed Emily, in compagnia di Mona (una della tante aiutanti di “A”), rischiano la morte in seguito ad un incendio, proprio quando pensavano di essere vicine a scoprire l’identità di “red coat”, una ragazza dai capelli biondi che sembra tirare i fili degli inganni. Sconvolte dai fumi dell’incendio, o forse sicure dei propri sensi, Hanna, Mona


e Spencer dicono di aver riconosciuto “red coat”: sotto il cappuccio rosso si nasconde proprio Alison, che le porta in salvo dalla casa infuocata. La teoria viene supportata ad arte dall’ultima scena della stagione: una mano che spunta dalla terra di un giardino, nell’esatto punto in cui venne ritrovato (ma qui sorge spontanea la domanda: fu veramente ritrovato?) il cadavere di Alison. Quarta stagione. L’11 giugno in America parte la nuova stagione (in Italia arriverà solo l’8 novembre) e il titolo della prima puntata è già enigmatico: “A is for Alive”. Dal trailer disponibile su Youtube (potete vederlo a questo indirizzo) si evince come il leit motiv delle scorse stagioni sia confermato: “A” sembra avere preso le protagoniste ancora una volta per i fondelli, avendo previsto ogni loro mossa. Nel breve filmato, dal quale si intuisce come Mona sia stata reintegrata nel gruppo, le protagoniste leggono il primo messaggio di “A”: “La verità non vi renderà libere. Vi ci seppellirò”. Nel video si vedono Aria, Hanna, Spencer, Emily e Mona in abito nero, probabilmente ad un funerale. Nella prima puntata quindi scopriremo l’identità del cadavere nel bagagliaio della macchina del detective Wilden: sarà Toby? Lo stesso Wilden? O un nuova vittima? Non siate impazienti, le risposte arriveranno. Forse.

Nicola Guarneri


LIBRI | SAVINO RIPARTE DA ZERO/IL PICCOLO PRINCIPE DIVENTA GRANDE

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Leggi Saviano e senti un morso allo stomaco.

Saviano riparte da zero Leggi Saviano e il tuo cervello non riesce a pensare ad altro che a quello che hai davanti agli occhi. Leggi Saviano e ogni tuo singolo muscolo è concentrato sulla storia che ti sta raccontando. Inizialmente stai male, perché ti senti complice di un mondo assurdo, ingiusto e criminale, complice perché non fai niente per cambiare le cose; poi però ti senti meglio, capisci che anche solo leggendo quel libro, stai contribuendo con la tua consapevolezza a migliorare le cose. Era stato così per Gomorra, il libro con cui sei anni fa Roberto Saviano si era presentato al pubblico denunciando i movimenti criminali della camorra e così è ancora nel suo ultimo lavoro editoriale, un libro che parla di cocaina, ZeroZeroZero. La cocaina è “la polvere attraverso la quale vedi il mondo”, perché in un mondo prigioniero del tempo e soggiogato alla fretta, diventa lo stimolo per non sentire la fatica. Non è più la droga dei ricchi: la usa il camionista che non vuole patire i crampi alla cervicale, come il chirurgo che riesce a compiere sei interventi in un giorno. E come tutte le cose, anche la cocaina ha una storia. Saviano la racconta partendo dalla Colombia di Pablo Escobar e dei cartelli

criminali, per passare alle organizzazioni messicane e al commercio negli Stati Uniti, primo paese al mondo per consumo. Il legame con l’Italia giunge con la criminalità organizzata che compra direttamente in Sud America e smercia da Milano a Palermo. Le Americhe e l’Europa, ma anche la Russia e l’Africa: le vie (commerciali) della coca sono infinite. Saviano colpisce con la storia di Kiki, un infiltrato della Dia scoperto e torturato brutalmente dai narcos e poi della bellissima Natalia Paris, la modella colombiana che pare sia stata la compagna di un boss della cocaina. Ma la storia che scuote e dà consapevolezza al lettore è un’altra. È la storia di una cagnolina che sfida le fiamme di un grosso incendio e riesce a salvare miracolosamente i suoi cuccioli dal rogo, mentre tutt’intorno nessuno sa imitarla nel suo coraggio, nemmeno gli uomini, che hanno paura a entrare nel fuoco. Saviano insegna che ognuno di noi può fare la sua parte per cambiare il mondo, basta avere coraggio, il coraggio di quella cagnolina. Leggi Saviano, leggi ZeroZeroZero e sai che puoi contribuire a cambiare le cose.

Luca Romeo


Il Piccolo Principe diventa grande. Sono passati settant’anni da quella primavera del 1943 in cui Antoine de Saint Exupéry riuscì a farsi pubblicare Le petit prince e mai avrebbe potuto immaginare che la sua storia sarebbe stata tradotta in 257 lingue e dialetti, che ne sarebbero nati film e opere teatrali, che il nome di quello strano viaggiatore bambino sarebbe finito in canzoni e citazioni di ogni sorta. “Tutti gli adulti sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano”, questa è una delle frasi storiche dell’aviatore-scrittore, che con l’intento palesato di realizzare un libro per bambini, ha in realtà composto un’opera che riletta da adulti assume tutto un altro fascino e regala una diversa consapevolezza. L’asteroide B612 dove il principino vive in totale solitudine, la rosa ‘tiranna’ e la pecora che vuole mangiarla, l’ubriacone che beve “per dimenticare la vergogna di bere” e poi la volpe che vuole “essere addomesticata”: ambienti e personaggi ormai entrati nell’immaginario collettivo di chiunque abbia viaggiato con la fantasia sulle pagine di questo libro. Si chiede: “Chi ha ucciso il Piccolo Principe” De Gregori, quando nel 1976 dedica il brano Festival a Luigi Tenco; sulla storia di Saint Exupéry realizza addirittura un musical Riccardo Cocciante nel 2002. Oltre il valore artistico, Il Piccolo Principe è diventato preziosissimo anche sul piano didattico: ogni scuola elementare del mondo racconta la sua storia, una piccola rivalsa che rende i bambini orgogliosi di essere ‘piccoli’, in quanto diversi dagli adulti e allo stesso modo accende nei ‘grandi’ una spia spenta da tempo e che permette di non confondere il disegno di un cappello da cowboy e quello di un serpente boa che mangia un elefante. Questo è Il Piccolo Principe, un road movie inter-stellare che nulla ha a che fare con la

fantascienza, un percorso antropologico ed esistenziale, un trattato di filosofia a portata di mano e per tutte le età. Un’idea covata negli anni della seconda guerra mondiale e ora finita su tutti gli scaffali e in tutte le librerie del pianeta. A ciascuno la sua copia. Pochi mesi dopo l’uscita del suo capolavoro, Antoine de Saint Exupéry scomparse a bordo del suo aereo sul Mar Mediterraneo, probabilmente senza rendersi conto del tesoro che stava lasciando in eredità al mondo. Settant’anni dopo, in una realtà umana così consumista e superficiale, riecheggiano nell’aria ogni tanto queste sue parole: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Una lezione caduta nell’oblio, investita dalle leggi del mercato e dalla creazione di bisogni che non abbiamo. Del resto, in coda al libro, Saint Exupéry l’aveva già capito: “I grandi non capiranno mai che questo abbia importanza”. Così è stato.

Luca Romeo


MUSICA | 1973 THE BEGINNING OF THE END?

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1973: LE TheDUE beginNFACCE ing of the end? DELL’ACQUA: LIBERTA’ E SCHIAVITU’ NEL MONDO SUINO

Dormire, prendere il sole e tuffarsi in acque limpide. Non è semplicemente il sogno di chi lavora a lungo, ma è la vera e propria vita di alcuni maialini sbarcati a Big Major Cay, un’isola delle Bahamas. In un paradiso terrestre del genere è difficile resistere alla tentazione di buttarsi in quell’acqua così cristallina. E dei maialini rosa, marroni e a macchie sembrano aver seguito alla lettera il famoso consiglio di Oscar Wilde: hanno ceduto alla tentazione e si sono buttati in acqua. Insomma si godono la vita, la paura di essere macellati o costretti a vivere in spazi minuscoli non è un loro problema.

Sulla spiaggia meridionale di Big Major Cay, soprannominata Pig Beach grazie ai suoi unici abitanti, si riposano distesi su spiagge bianchissime i suini, che da domestici sono ritornati ad essere selvatici. La straordinaria presenza di questi mammiferi in un territorio tropicale è da ricondurre a una storia non accertata che racconta di come alcuni marinai in viaggio si siano fermati sull’isola portando con sé gli animali per avere una fonte sicura di cibo, ma il destino ha voluto che i marinai se ne andassero e i maialini restassero, facendo di quella zona la loro nuova dimora.


A quarant’anni dal periodo più florido della musica internazionale urge una riflessione: la golden age è un lontano ricordo o siamo solo degli inguaribili nostalgici?

A otto lustri di distanza dagli anni Settanta è certamente difficile convivere con un mondo musicale diventato quantomeno controverso: è meglio tuffarsi a capofitto nella musica del 2013 o continuamente volgere gli ascolti ai miti del passato, non senza un sottostrato di malinconia? È meglio proseguire l’estenuante corsa all’innovazione oppure fermarsi a riflettere se il progresso coincida con un miglioramento? I luoghi comuni e la moda (ammesso che non vengano etichettati come “movimenti sociali”) ci ricordano quotidianamente la netta spaccatura tra la generazione che sostiene la morte della musica dopo il magico decennio degli anni ‘70 e coloro che invece navigano beatamente nell’odierno prodotto discografico, ritenendo superato tutto ciò che è stato creato in passato. Ed è proprio quest’anno che si celebra il quarantennale di quello che viene considerato uno degli anni d’oro della musica moderna, il fulcro di una vera e propria età assiale, tanto che sono in molti a voler tirare le somme dell’evoluzione/involuzione musicale dal 1973 ad oggi. Gli album pubblicati nel mondo (e in Italia) quarant’anni fa sono entrati di diritto nella stretta cerchia dei capolavori, opere inarrivabili di artisti diventati icone e mostri sacri, capaci di donare a quella che all’epoca veniva chiamata “musica pop” lo status di nuova musica classica. Basti pensare a The dark side of the moon dei Pink Floyd, Selling England by the pound dei Genesis, Quadrophenia degli Who, A passion play dei Jethro Tull, Houses of the holy dei Led Zeppelin, Tubular Bells di Mike Oldfield, oltre agli album di esordio di Queen, Aerosmith e Bruce Springsteen. Lo stesso vale per l’Italia, con De Andrè, PFM, Battisti, Battiato, BDMS, Dalla, Gaber, De Gregori, Le Orme, Area ed altri nomi illustri impegnati a sfornare opere e brani che ancora vengono assunti come canoni di riferimento.


MUSICA | 1973 THE BEGINNING OF THE END?

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Della cultura sessantottina e dell’arte che gravitavano intorno al mondo della musica (basti pensare alla filosofia flower power e ai nomi degli artisti creatori delle copertine degli LP, oggi quasi inosservate per il fenomeno del download digitale) sembra restare ben poco, ma è interessante osservare quanto queste pietre miliari abbiano saputo resistere all’assalto del tempo, perdurando nelle classifiche fino ai nostri giorni (da notare il fatto che nel 2012 Led Zeppelin e Pink Floyd abbiano venduto quasi quanto i Coldplay e che The dark side of the moon resista in classifica dal 1973). I costumi e i canoni culturali cambiano con il tempo e l’industria discografica non è stata esente da mutamenti, tanto che la stessa idea di “artista” ha subito stravolgimenti consistenti: dall’era dell’analogico a quella del digitale, dalla concezione acustica all’elettronica, fino al passaggio dall’artista “a lungo termine” al cantante usa e getta costruito dai talent show. I critici affermano che la musica, a partire dagli anni Ottanta e dall’arrivo di Mtv, si sia industrializzata fino a somigliare ad una grande catena di montaggio dove l’innovazione del prodotto ha forse trasceso l’idea stessa di musica, pur notando che le nuove generazioni impazziscono per Justin Bieber e Rihanna proprio come le precedenti impazzivano per Beatles e Rolling Stones. Arriveremo forse un giorno a paragonare gli One Direction ai Deep Purple, la dance music al rock progressivo?

E se allora Lady Gaga diventa la Freddie Mercury dell’epoca post-post modernista e Beyoncé la nuova Aretha Franklin (in molti hanno paragonato il leader degli One Direction, Harry Styles, a Robert Plant, ma solamente per la vita sessuale sregolata e le notti passate con le fan), la speranza di molti di poter rivivere una decade tanto musicalmente prolifica sembra nuovamente prender forza, seppure considerando i nuovi stili e le mode del terzo millennio. Le premesse storico culturali sembrano esserci tutte, la crisi globale e lo status sociale delle nuove generazioni richiamano l’aria di cambiamento della rock generation, ma l’ostacolo più grande appare, paradossalmente, la grande paura del mutamento da parte dell’industria musicale, avvinghiata ai propri canoni artistico commerciali. E così, quarant’anni dopo quel 1973 tanto rimpianto, il desiderio degli appassionati è quello di veder sorgere un nuovo Peter Gabriel o un nuovo Jimmy Page, geni capaci di sfondare la barriera della moda discografica imperante e guidare una nuova generazione che vada oltre le tendenze, icone moderne che possano finalmente dimostrare che la musica non è morta alla fine degli anni Settanta.

Gianmarco Soldi



POLITICA | ARRIVEDERCI AL DIVO DELLE GUERRE PUNICHE

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Arrivederci al Divo delle Guerre puniche

Avrebbe potuto scegliere di lasciare questa terra in una qualsiasi delle tante date che l’anno visto protagonista da presidente del Consiglio o da Ministro, e invece Giulio Andreotti (classe 1919) ha scelto di andarsene solo tre giorni prima della commemorazione della morte di Aldo Moro, barbaramente ucciso il 9 maggio del 1978 dalle Br. È quasi l’ennesima provocazione del divo per eccellenza, l’uomo che fino al 5 maggio ricordava ai giornalisti come, alla fin fine, addebitargli anche la responsabilità delle Guerre puniche non sarebbe stata una cattiva idea. Già, perché a “Re Giulio” hanno imputato di tutto: dalla morte di Aldo Moro a quella di Mino Pecorelli, dai saccheggi pubblici di uno Stato sempre meno grasso, alle Stragi che hanno afflitto il Paese dal Secondo dopoguerra. E lui, di tutto screzio, rispondeva con battutine ironiche con la consapevolezza che, imbastire discussioni su temi delicati, avrebbe significato dover passare intere giornate sulle comode poltroncine che il giornalismo offre a chi decide di darsi in pasto all’opinione pubblica, a un modo spesso populista e poco elegante di ricordare la storia. Non cadremo quindi nel tranello di portare alla memoria tutti i suoi più celebri aforismi, ripetendo a mò di pappagallo, per l’ennesima volta, code chilometriche di parole girate ai grandi personaggi del nostro tempo. Ci piace ricordare questo suo ultimo scherzo: quello di infilarsi nel mese più drammatico (maggio), crocevia della storia d’Italia perché, ed è vero, la morte di Aldo Moro cambiò l’excursus storico del nostro paese. Il Divo, nel silenzio e degno del migliore infiltrato, ha scolpito sulla propria lapide il mese di maggio rubando la scena al “caso eccellente” che non l’aveva visto mai imputato ma “solo” responsabile morale di una scelta, quella della “linea della

fermezza”, che giustificò l’assassinio di Moro per mano dei brigatisti. Ecco allora scatenarsi nel web tutta l’ironia di chi vede nella numerologia la sentenza più ardua da consegnare ai posteri. Ma proprio nella storia, a differenza della memoria di un’Italia alla deriva, Giulio Andreotti lascia un segno indelebile. “Re Giulio” è stato espressione di un modo di fare politica che sfiora i politicanti odierni come il vento leggermente sfiora la pelle. Se si toglie quello strato di populismo, che vuole nella gobba di Andreotti la soluzione dei misteri d’Italia (come disse una volta Beppe Grillo quando era soltanto un comico e non anche politico), si scopre con stupore che invece questi è stato l’uomo dell’equilibrio tra fazioni e correnti. Andreotti è stato sette volte presidente del Consiglio in un’Italia che era al centro di una guerra drammatica, continua e invisibile fra Urss e Usa, dove il nostro paese era soggetto a golpe (vedesi De Lorenzo, Borghese e il celebre “golpe Bianco”), sempre tentati e mai riusciti, e organizzazioni eversive che pullulavano anche a sinistra e delle quali le Brigate Rosse sono state l’esempio più tristemente brillante ed efficace (per certi versi). Andreotti è stato l’uomo del “compromesso storico”, il perno in quell’idea politica di accordarsi con il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer attraverso un intenso lavoro di tessitura, portato avanti da Aldo Moro. E ancora, egli è stato l’uomo “per tutte le stagioni” attraversando di fatto trasversalmente le correnti democristiane alla ricerca di un equilibrio interno. Ma nonostante ciò, il Divo è ricordato dalla massa per il processo del 2003 che ha determinato (con prescrizione) il suo concorso esterno in associazione mafiosa; oppure per la vicenda di Mino Pecorelli, per la quale però nessuno colpa gli si può attribuire. Il nostro è allora un “arrivederci” a Giulio Andreotti con appuntamento prossimo sui libri di storia, sicuri che le Guerre puniche saranno sufficientemente, e cronologicamente, troppo lontane per impedire alle memorie distorte di associare il Divo anche a quegli eventi.

Pasquale Ragone



CALCIO | LA RIFORMA TEDESCA

LA RIFORMA TEDESCA Dal rischio di bancarotta all’egemonia economico-calcistica europea; il movimento tedesco, negli ultimi dieci anni, è riuscito a recuperare il gap con le altre nazioni europee grazie a una programmazione seria e attenta. La finale di Champions League tutta teutonica è il simbolo del sorpasso.

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CALCIO | LA RIFORMA TEDESCA

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All’alba del Duemila, quando la Germania era il grande malato d’Europa, anche il calcio – specchio dei terremoti sociali – seguiva il disagio di un Paese incapace di superare l’urto della riunificazione. Il crollo del Muro di Berlino aveva lasciato schegge di inquietudine in un popolo diviso da cinquant’anni di barriere, chiamato in breve tempo a essere tre Germanie in una. L’Ovest, l’Est e la massa dei nuovi tedeschi: i turchi, gli arabi, gli africani, i polacchi, gli italiani, povertà aggiunta che si accavallava sgomitando per uno spazio, dei diritti, un lavoro. Trascinata verso il basso, anche la Bundesliga versava

Borussia Dortmund sono le più evidenti espressioni sportive della locomotiva che governa l’Eurozona. Dalle cattedrali tedesche (l’Allianz Arena, il Westfalen Stadion) soffia il vento di un calcio diverso, iniziato quando i tedeschi sentirono l’esigenza di un nuovo metodo che li portasse verso i Mondiali in casa loro. Era partita la trasformazione. Spinto dalle riforme del mercato del lavoro, il Paese aveva guardato all’eccellenza della manifattura, riuscendo a conquistare il segmento più alto del mercato mondiale automobilistico. Innovazione, senso competitivo, lungimiranza, la manodopera

sull’orlo della bancarotta. In pochi anni la Germania era passato da 60 a 82 milioni di persone, molte con una storia di immigrazione alle spalle. La nuova Babele tedesca era diventato il popolo più numeroso d’Europa, e una giovane nazione in crisi cercava nel calcio il primo linguaggio comune per annunciarsi al mondo.

Il MODELLO

È passato un decennio abbondante. Se la finale teutonica di Wembley è l’investitura ufficiale della nuova potenza in corsia di sorpasso, Bayern Monaco e

degli immigrati come risorsa industriale. Il modello tedesco poggia su due concetti fondamentali. Il primo è utile per capire l’intransigenza verso le cicale mediterranee: spendere solo i soldi che si hanno nei portafogli, niente sperperi, chi non ha i conti a posto è colpevole. Il secondo: l’eccesso non è necessario, occorre invece l’altissimo livello, che è raggiungibile attraverso l’applicazione. Non confidare nell’eccezione, nel miracolo, ma perseverare nella propria strategia cercando di migliorarsi. Il messaggio arrivò presto nelle stanze della Federcalcio.

Il PIANO

Nel 2002 il fallimento del gruppo televisivo Kirch chiude nuovi rubinetti sulla Bundesliga, circo logoro e in continua perdita. Il momento è decisivo, molti capiscono che è in gioco il destino del calcio tedesco. Lega e Federazione fanno quadrato, e il piano del rilancio è un disegno tenace che viene steso su diversi punti, reman-


do compatti nella stessa direzione. Quella di un rinnovamento capillare, ma paziente, lento, graduale, che prenda forma nell’evoluzione di tante piccole cose. I tedeschi non cercano una rivoluzione, pianificano una grande riforma del calcio nazionale. Si riparte dalle fondamenta, senza sbandierare ricette magiche o slogan demagogici (tanto cari nello stivale), ma lavorando con cura sulla costanza del rinnovamento. I club ‘fanno sistema’ per rilanciare il prodotto-calcio, legandosi in un’azione coordinata che i vertici federali incoraggiano con finanziamenti possenti alle strutture e i settori giovanili, considerati i punti imprescindibili per la svolta. Sembra in-

credibile ma nel 2001, mentre in Germania si pensava un calcio sano e sostenibile, in Italia la Lazio di Cragnotti spendeva 43 milioni per Gaizka Mendieta, la Fiorentina, il Parma e la Roma si gonfiavano con spese folli, preparandosi al fallimento (poi più o meno scongiurato). La formica e le cicale.

GLI STADI

ma anche gli altri per 1,4 miliardi di euro. L’Allianz Arena porta nelle casse del Bayern ogni anni 6 milioni dallo sponsor, 129,2 dalla biglietteria. Ci sono biglietti da 7 euro. Nelle due semifinali la media dei prezzi tedeschi era più bassa di 100 euro rispetto a quella spagnola. Lo stadio del Borussia Dortmund è l’impianto con la media-spettatori più alta d’Europa. Un abbonamento per tutta la stagione può costare poco più di 100 euro. A Berlino, un anno fa, 75.700 spettatori hanno assistito a Hertha – Augsburg in Zweite Liga, la nostra Serie B. Dopo il 2006, il più grande popolo d’Europa si è riversato nei suoi stadi riscoprendo la gioia del calcio.

ACCADEMIE e calcio totale Parallelamente, parte il programma per i giovani. Vengono creati 366 centri federali, dove i selezionati si allenano in piccoli gruppi secondo le linee-guida del progetto tecnico, che privilegia tecnica e rapidità con la palla. Nascono una dietro l’altra anche 17 università di calcio,

Con gli stadi del Mondiale 2006 viene posta la prima pietra per il successo. Li fanno belli, comodi, accoglienti, con un tetto sopra la testa del pubblico. Vengono rimosse le piste d’atletica, non le bandiere o i tamburi. I tedeschi non ristrutturano solo i 12 impianti del Mondiale,


CALCIO | LA RIFORMA TEDESCA

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sullo stile della nostra Coverciano, nate per coltivare i professionisti del domani. Scompare la vecchia Germania rigida e legnosa, improvvisamente le rappresentative tedesche iniziano a vincere tutte le competizioni giovanili fino a diventare la prima nazionale multietnica. I figli dei figli degli emigranti, la nuova grande povertà del mondo, si moltiplica e diventa calcio. Si insegna il calcio totale. La nuova Germania deve vivere di corsa, di pressing offensivo, di gioco d’attacco, di contaminazioni etniche. Lo stesso calcio d’avanguardia raccontato dal Bayern Monaco o dal Borussia Dortmund nella feroce demolizione delle spagnole. Tutti attaccano, tutti difendono, compatti e di corsa, come l’Olanda degli anni ‘70, ma con quarant’anni di partite e di conoscenze in più. Il Dortmund – che nel 2004 aveva 170 milioni di debiti, e rischiava il fallimento – è l’esempio di questa trasformazione. Lanciare i giovani non è un vezzo. Significa investire sul domani, spendere meno, costruire appartenenza e (magari) plusvalenze, valorizzare un ragazzo cresciuto secondo un codice d’educazione interno, diventato adulto respirando la cultura del club. Significa – soprattutto – potersi permettere moduli ambiziosi e aggressivi perché i ventenni, forti e affamati, sgobbano anche per recuperarla. Il governo del calcio tedesco parla chiaro alle società: ti do i soldi, ma devi rientrare in certi parametri che ti fisso io, altrimenti sei fuori. I club tedeschi devono avere i conti a posto altrimenti viene negata l’iscrizione ai massimi campionati. Nell’ultimo decennio, molti club sono stati costretti e ripartire con i propri ragazzi. Oggi, più della metà (52%) dei calciatori in Bundesliga proviene dai settori giovanili tedeschi.

IL GIOCO DELLA GENTE

Ma la forza segreta della Bundesliga è il pubblico. In Germania, i club mirano al profitto muovendosi come imprese, eppure il calcio non è diventato schiavo delle televisioni perché appartiene alla gente. Parliamo di un sistema democratico, pensato per costruire il coinvolgimento dei tifosi, dove le infrastrutture del calcio creano addirittura occupazione: istruttori, giardinieri, addetti ai punti-vendita, operai per la manutenzione degli impianti. 40.810 i nuovi posti di lavoro creati da Bundesliga e Zweite, che insieme versano allo Stato tasse per oltre 719 milioni di euro. In questo circolo virtuoso, il tifoso si sente parte del progetto, partecipa perché viene premiata la fedeltà. Il Bayern, per dire, ha bloccato gli abbonamenti a 39 mila posti (su 70 mila) per consentire anche a chi non può permettersi un abbonamento di accedere allo spettacolo. E mentre in Italia si inventavano i tornelli e la Tessera del tifoso, in Germania i tifosi venivano inseriti nei consigli d’amministrazione dei club. ‘’Qualcosa è cambiato – disse Philipp Lahm in Sud Africa, durante i Mondiali del 2010 – Ora il mondo ci guarda con occhi diversi’’. Non possiamo prevedere con esattezza il calcio dei prossimi vent’anni. Quello tedesco, tuttavia, sfiora il confine della somiglianza.

Gianluca Corbani


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BASKET | LYNETTE WOORDARD, LA GIRAMONDO

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(Prei)Storie – Io non c’ero, e se c’ero dormivo

LYNETTE WOODARD, LA “GIRAMONDO” Eva fu la prima donna in assoluto, Amelia Earhart la prima a volare sull’Atlantico, Marie Curie la prima a diventare Premio Nobel. LynetteWoodard non ha la stessa fama a livello planetario ma sicuramente ha saputo ritagliarsi un bello spazio nella storia del basket: miglior marcatrice all-time dell’NCAA femminile, oro olimpico da co-capitano a Los Angeles ’84 e prima donna ammessa negli Harlem Globetrotters. Nata a Wichita (Kansas) il 12 agosto 1959 da Lugene e Dorothy Woodard, è la più piccola di quattro figli. Il padre pompiere e la madre casalinga sono battisti e crescono i figli secondo la loro stessa fede. Fin da piccola Lynette si appassiona al basket, giocando tutti i giorni nel playground di Piatt Park assieme agli amici, tutti maschi. Una volta tornata a casa, quando fuori è troppo buio per giocare, il fratello la allena facendola tirare con un calzino riempito di carta. Entra nella squadra femminile di basket della Marshall Junior High School e la conduce al titolo statale nel suo anno da sophomore. Per non allontanarsi troppo dalla famiglia, si iscrive alla University of Kansas, dove si laurea nel 1981 in Comunicazioni e relazioni umane. È proprio qui che inizia a farsi conoscere in tutti gli States, venendo eletta quattro volte all-American, raggiungendo la vetta nelle classifiche NCAA per punti segnati e canestri fatti e in quelle di Kansas University per rimbalzi, tiri liberi segnati, palle rubate e presenze (record tutt’oggi imbattuti). Sembra

quindi doveroso e inevitabile che, per la prima volta nella storia del basket femminile, la sua maglia venga ritirata dalla KU. Laureatasi, decide di intraprendere la strada del basket professionistico viaggiando per mezzo mondo: probabile che i baskettari sopra gli “anta” se la ricordino pure in Italia, dove milita nella UFO Schio nei primissimi anni Ottanta. La lontananza da casa e una sempre crescente solitudine, dovuta fondamentalmente alle difficoltà linguistiche, spingono Lynette a ritornare in patria, giusto in tempo per la convocazione al trionfale torneo olimpico del 1984. L’anno successivo, quando sembra volersi ritirare dal basket giocato, la possibilità di realizzare un sogno che aveva fin da piccola si materializza: gli Harlem Globetrotters, che stanno cercando di accrescere ancor di più la loro fama già mondiale, vogliono spiazzare il mondo intero inserendo nel roaster una donna.


Fondamentale è la spinta di Hubie “Geese” Ausbie, 24 anni nei Trotters e cugino della Woodard. Lynette farà parte dei “Giramondo” per due anni, giocando in ogni singola esibizione tanti minuti quanti i compagni di squadra uomini. Conclusa la bella avventura con i giocolieri di Harlem, la sua carriera cestistica sembra arrivata alla conclusione, tanto che Lynette si trasferisce a New York dove inizia a lavorare come stockbroker. Ma il mondo del basket ha ancora bisogno di lei: viene chiamata nella WNBA, dove nel 1997 viene presa come prima scelta dai Cleveland Rockers e successivamente dai Detroit Shock. La Woodard a oggi è stata inserita in dieci differenti Hall of Fames. Dal 2005 è consulente per gli investimenti per una società di sistemi di sicurezza: a quanto pare il mondo della finanza, col passare del tempo, l’ha attirata più del basket.

Simone Zerbini


GIOCHI | QUIZCROSS: UN QUIZ DA TRIS

UN QUIZ DA TRIS Quale famoso attore italiano doppiava Oliver Hardy, l’esilarante Ollio? Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Gianni Agus o Marcello Mastroianni? ...10 secondi per rispondere…

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Dopo il successo del fin troppo noto Ruzzle, arriva la nuova applicazione degli sviluppatori svedesi di MAG Interactive: Quizzcross. Questa invenzione è una perfetta miscela di trivia e del classico gioco del “tris”. Con la modalità multiplayer online asincrona è possibile sfidare avversari tra gli amici di facebook, i followers di twitter o perfetti sconosciuti. Avviata una partita, appare un tabellone con nove caselle tematiche, ognuna delle quali prevede tre domande di storia, geografia, sport, musica, intrattenimento, trivia o generi vari. Chi riscosse successo con Fly Away, nel 1999? Will Smith, Lenny Kravitz, R. Kelly o Kayne West? …solo 10 secondi per rispondere… L’obiettivo del gioco è conquistare tre caselle formando un tris orizzontale, verticale o in obliquo, e per farlo è sufficiente rispondere correttamente a tutte e tre le domande. In caso contrario, il tuo avversario può tentare di conquistare la stessa indovinando più domande di te. Nel caso di parità verrà posta una sola domanda di spareggio che determinerà l’immediata presa o perdita della pedina. In che paese si trova l’isola di Sumatra? Indonesia, Figi, Malesia o Filippine? …sempre e solo 10 miseri secondi…

Con il tasto in alto a destra nella schermata iniziale è possibile utilizzare il classico strumento della chat per comunicare con gli avversari, rinunciare a una partita, avviare una rivincita oppure leggere le regole del gioco, anche se, purtroppo (o per fortuna!), sono disponibili soltanto in inglese. Sotto la voce Achievement sono raccolti invece i vari traguardi raggiunti durante il gioco. Otterrai il titolo di globe trotter, rispondendo a 50 domande di geografia, oppure sarai un composer, esperto di musica? A te la scelta..

Marta Ettari / Gaia Bonvini


L’eleganza del parquet SHOWROOM_Via Salimbene da Parma, 18 _26100 Cremona - ITALY tel. +39 0372 803302 / +39 0372 803303 _www.quadrolegno.it


OROSCOPO |QUELLO CHE NON TI RISERVA IL FUTURO

QUELLO CHE NON TI RISERVA IL FUTURO di Paul Volpe

Pesci

(20 febbraio – 20 ma Zitti zitti portate a casa un altro m Buone notizie dal lavoro, dove no un robot omicida. Salute enigmat occhi viola iniziate a preoccuparv

Acquario

(21 gennaio – 19 febbraio): 7,5 Sguazzate nella vita che è un piacere. Sembrate Phelps alle Olimpiadi, non perdete una sfida e arrivate primi ovunque. Sesso frizzante ma occhio alle fruste.

Capricorno

(22 dicembre – 20 gennaio): 4Siete l’esempio vivente della legge di Murphy. Perdete ogni opportunità ma solo all’ultimo momento. Rosicate all’orizzonte. Notizie positive: non verrete morsi da un cane portatore di handicap.

Sagittario

(22 novembre – 21 dicembre): 5 La nube fantozziana vi segue ovunque: al lavoro, a scuola, all’università, a letto, al cinema. Occhio ai nuovi incontri: lievi rigonfiamenti in zone poco assolate dovrebbero farvi sospettare qualcosa.

Scorpione

40

(24 ottobre – 21 novembre): 6Senza infamia e senza gloria, sufficienza stiracchiata in ogni campo: status quo nel lavoro, salute in ascensore, sesso senza preliminari. Futuro: non farete 6 al superenalotto.

Bilancia

(23 settembre – 23 ottobre): 7 Un po’ di brio! Sbilanciatevi e potrebbe essere il buono per un incontro sconvolgente. Non scon quanto incontrare Batman, ma comunque sconv


arzo): 7mese da protagonisti. on verrete rimpiazzati da tica: se vi vengono gli vi.

7+

il mese nvolgente volgente.

Ariete (21 marzo – 20 aprile): 4

Soldi: pochi. Salute: male. Lavoro: non ce n’è. Per il resto nulla di cui preoccuparvi, il futuro è vostro. Notizie positive: non vi cadrà un pianoforte in testa.

Toro (21 aprile – 20 maggio): 5+

Le nubi all’orizzonte stanno per diradarsi, finalmente vedete la luce dopo il lungo inverno. Ma solo per un breve momento, poi torna a piovere. Rimandati a settembre.

Gemelli

(21 maggio – 21 giugno): 6,5 Il compleanno sarà un successone e potrebbe essere l’occasione per una nuova conquista. FBL che l’uomo/donna/uomodonna/coniglio/tosaerba della vostra vita potrebbe essere dietro l’angolo.

Cancro

(22 giugno – 22 luglio):6+ Soldi: periodo ottimo per gli investimenti. Attraversate sempre sulle strisce e anche la salute ne trarrà giovamento. Amore precario, in caso di rottura scordatevi il TFR.

Leone (23 luglio – 22 agosto): 5,5

Chi dorme non piglia gazzelle: il prossimo mese puntate la sveglia in anticipo, altrimenti rischiate di restare senza cena. Sesso acrobatico: lo saltate sempre.

Vergine

(23 agosto – 22 settembre): 8 È il vostro mese: siete più fortunati di Paperoga, ogni cosa che toccate diventa oro. Attenti a quando andate in bagno e avvisate il partner degli effetti collaterali del petting.


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