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MAGGIO 2021
Periodico d’informazione locale - Anno I n.3
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PALAZZO THIENE
Dopo l’acquisto resta un “giallo” e un interrogativo ALLARME
Truffe su Internet Sos anziani Ecco i rimedi IL CICLO DEI CLASSICI
L’Olimpico diventa il “Tribunale delle carezze” I CONCERTI
Festival jazz e De Gregori per l’estate LANEROSSI
Primo, vignettista dei biancorossi con il suo gatto GASTRONOMIA
Calgaro cucina da grande chef e ha l’anima sociale
TRE ANNI DI GOVERNO DEL COMUNE: I VOTI DI MAGGIORANZA E DI OPPOSIZIONE Come è valutata l’amministrazione Rucco che dal giugno 2018 è insediata a palazzo Trissino? Rispondono i protagonisti della vita politica
servizi alle pagg 8-9
C’È LA PASSIONE DI UN CERVELLO VICENTINO DIETRO LA RIVOLUZIONE DELLA BICICLETTA Pierpaolo Romio è il maggiore imprenditore turistico di viaggi in bici d’Italia. Ma è anche un inventore. Ha creato la “Tripla” per trasportare materiale e anche persone
servizio a pag 17
Esercizi di memoria Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<
“L
a memoria è l’anima” sosteneva Umberto Eco. E aveva ragione. Senza memoria si è perduti, si vaga a tentoni nel presente, figuriamoci se si riesce a progettare il domani. La frase calza a pennello per l’estate che si approssima, ricca di iniziative e manifestazioni a Vicenza. Sembra che la comunità voglia impegnarsi in svariati esercizi di memoria, ed è curioso perché Vicenza tende spesso a dimenticare, o meglio ad accantonare. È un suo difetto, lo sappiamo. segue a pag 5
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Facciamo il punto
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Esercizi di memoria Antonio Di Lorenzo >redazione@givemotions.it<
Che festa a Bassano per il ponte! C
he festa a Bassano per il ponte restaurato! Sono stati organizzate cinquanta iniziative per celebrare il ponte, simbolo di Bassano nel mondo, che è stato restaurato dopo sette anni di lavori e con una spesa di sette milioni di euro. Rischiava davvero di sprofondare e di collassare sotto il suo peso: i lavori, condotti dalla ditta Inco di Pergine (Trento) hanno consentito di ovviare a questi problemi. Le campate del ponte sono state perfino sollevate di 50 centimetri e tutto l’impianto è stato sistemato. La sindaca di Bassano, Elena Pavan, spiega che questo lungo cantiere, che è andato avanti in un percorso fatto di stop & go, è la metafora di Bassano, perché nell’avventura del restauro del ponte tutti hanno dato una mano. Ha ragione. Come prima tutti hanno lavorato adesso tutti, associazioni ed enti, stanno festeggiando a Bassano. È indicativa la vicenda del comitato di cittadini, battezzato “Aiutiamo il ponte di Bassano” che ha raccolto 170 mila euro: magari sono una goccia rispetto ai 7 milioni, ma hanno avuto il loro peso e sono stati significativamente indirizzati a finanziare l’illuminazione del ponte. Tra le molte iniziative programmate, una considerazione a parte merita la mostra che sarà aperta dal 29 maggio al 10 ottobre, intitolata “Bassano e il ponte. Invenzione, storia, mito” organizzata dai musei civici di Bassano e curata da Guido Beltramini, Barbara Guidi, Fabrizio Magani e Vincenzo Tiné. La mostra, che è allestita al museo, è accompagnata da un volume scientifico, in grado di fornire gli strumenti di lettura della storia del ponte di Bassano e dei suoi secoli di storia.
Un programma di 50 iniziative e una grande mostra
È un periodico formato da 20 edizioni locali mensilmente recapitato a 373.576 famiglie del Veneto.
è un marchio proprietà di
Questa edizione raggiunge la città di Vicenza per un numero complessivo di 43.000 copie. Iscrizione testata al Tribunale di Vicenza n. 4194/2020 V.G. del 23.11.2020; R.S. 17/2020; numero iscrizione ROC 32199
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Chiuso in redazione il 21 maggio 2021
Direzione, Amministrazione e Concessionaria di Pubblicità Locale: via Lisbona, 10 · 35127 Padova tel. 049 8704884 · fax 049 6988054 >redazione@givemotions.it< >www.ilvicenza.com<
A quanti tipi di memoria ci troviamo di fronte a Vicenza? A parecchi. C’è la memoria negata, per esempio, quella delle opere di Nereo Quagliato che si sono involate da palazzo Thiene assieme ad altri pezzi pregiati, come la “Cariatide” di Alberto Biani, aggiudicata all’asta di Pandolfini per 75mila euro. È successo tutto sotto il nostro naso, come denuncia Fernando Rigon, ma sembra che a Vicenza non importi granché, visto il dibattito tiepido che ne è scaturito. Non ha torto Rigon quando compara il palazzo al teschio di Yorick scarnificato. Così va il mondo, qualcuno dirà. Ma non basta stringersi nelle spalle. C’è la memoria dell’aeroporto Dal Molin che, con una brillante intuizione, il festival jazz recupera nella parte del parco della Pace (che sta riuscendo un gioiello) trasformando l’hangar dell’aeroclub in una sede per i concerti estivi. Povero aeroporto, che da vanto dell’era littoria e per cinquant’anni comando Nato, conosciuto da pochi ma importantissimo, Vicenza non ha più. Chi se lo ricorda, venticinque anni fa, il volo Vicenza-Roma che ebbe poca fortuna? L’iniziativa poteva essere criticabile, e lo fu. Ma il futuro del turismo si muoveva in quella direzione. Danilo Longhi aveva visto giusto. Basta pensare a Treviso, che da 50mila persone nel 1995 adesso è arrivato a 3.2 milioni di passeggeri. C’è la memoria del futuro, quello che stiamo faticosamente costruendo cercando di passare oltre – attenzione: non dimenticare – la terribile pandemia. Siamo tentati di ripartire cercando di rimettere assieme un puzzle che è andato in mille pezzi. Non possiamo tornare indietro, mentre possiamo affrontare il futuro con l’atteggiamento che ci suggerisce Marinelli, tessitore del filo conduttore degli spettacoli classici d’autunno all’Olimpico. Se la tentazione nella vita è sempre quella di cercare di dare la colpa a qualcuno, specie per i vicentini i quali pensano che la colpa sia sempre degli altri, soltanto un artista raffinato e sensibile come lui può trasfigurare, anzi ribaltare il significato di nemesi, e pensare a una giustizia distributiva sì, ma non di punizioni, bensì di carezze. Marinelli cita Eluard: “Ogni viso avrà diritto alle carezze”. E l’Olimpico diventerà nelle sue mani il tribunale delle carezze. Ha ragione lui: solo così si può ripartire senza odio e senza essere malmostosi, solo così la memoria può diventare speranza.
Redazione: Direttore responsabile Nicola Stievano >direttore@givemotions.it< Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<
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Economia
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Il panorama occupazionale. Seppur frenata dal blocco dei licenziamenti l’economia mostra segnali di ripresa. Parla Sposato
Imprese pronte ad assumere, ma cercano capacità informatiche e metalmeccaniche O
ltre 700 dipendenti, cinquemila lavoratori collocati, 100 milioni di fatturato, sede legale a Padova, quasi una quarantina di filiali in Lombardia, Liguria, Veneto, Friuli, Emilia Romagna e Toscana: è l’identikit della Eurointerim, presieduta da Luigi Sposato. Nasce nel 1998, subito dopo l’entrata in vigore della legge 196/97 voluta per incentivare, ma anche per disciplinare, il mondo del lavoro e dell’occupazione in rapida trasformazione. Prende forma per iniziativa di un gruppo di consulenti del lavoro e si caratterizza, come si legge sul sito aziendale, per essere “l’unica Agenzia per il lavoro autorizzata dal ministero, che coniuga la flessibilità e i servizi per le risorse umane con la conoscenza e il rispetto del diritto del lavoro”. Come funziona un’agenzia per il lavoro e che tipo di rapporto stabilisce con il lavoratore? “Chi si rivolge a noi sa che sarà tutelato in tutti i numerosi aspetti legali ed economici. Di fatto diventa un nostro dipendente, riceve da noi lo stipendio, avrà rispettati tutti gli adempimenti previdenziali e contrattuali, e sarà un professionista che, una volta inserito con la formula del lavoro somministrato nell’azienda che ci ha chiesto quello specifico profilo professionale, avrà il medesimo inquadramento, e quindi la medesima dignità, di un dipendente interno. Dei 5 mila lavoratori somministrati, circa il 25% è dipendente nostro a tempo indeterminato”. Un’agenzia di lavoro che assume in proprio e a tempo indeterminato? “Esatto: noi assumiamo con contratto indeterminato molti lavoratori il cui profilo è molto richiesto: con noi hanno un rapporto stabile, mentre di volta in volta sono impiegati
Luigi Sposato, presidente della Eurointerim, traccia un quadro che lascia ben sperare per il futuro dell’economia
“Purtroppo continuiamo a scontare una cronica carenza formativa del nostro sistema scolastico. I ragazzi devono uscire dalle aule e imparare davanti alle macchine e ai sistemi di automazione industriale avanzata”
temporaneamente laddove le aziende ci segnalano averne la necessità. In questo modo si garantisce serenità e continuità al lavoratore, ma insieme siamo al fianco delle imprese che devono gestire gli alti e bassi della produzione”. Com’è la situazione nel Veneto, stiamo uscendo dal tunnel del covid? “In questo momento il mondo del lavoro è dopato: siamo in una situazione di stallo perché non si può licenziare e quindi non si assume. Se da una parte, e capisco, si tutelano i lavoratori, dall’altra però non li si incentiva a intraprendere nuove esperienze. Voler cambiare lavoro non è più, come vent’anni fa, indice di difficoltà, ma un chiaro segnale di dinamicità e di voglia di migliorarsi, di crescere. Un tratto personale che gli imprenditori ormai cercano e apprezzano moltissimo”. Avete comunque segnali che qual-
che cosa si muova? “Certamente: rispetto a marzo dell’anno scorso, nello stesso mese 2021 abbiamo registrato un incremento del 110% di fatturato, chiaro segnale che il mercato del lavoro si sta positivamente rimettendo in movimento. Preciso che metà del nostro fatturato lo realizziamo nel Veneto. Come sempre sono ricercatissimi gli ambiti della metalmeccanica e della information tecnology. Purtroppo continuiamo a scontare una cronica carenza formativa del nostro sistema scolastico. I ragazzi devono uscire dalle aule e imparare davanti alle macchine e ai sistemi di automazione industriale avanzata, a contatto con chi può trasmettere loro conoscenze, esperienza e trucchi del mestiere”. Com’è la situazione a Vicenza e provincia? “Nel Vicentino abbiamo quattro
agenzie molto attive. Abbiamo rapporti continui e proficui con oltre 200 aziende e, in questo momento, stiamo curando circa 200 dipendenti in regime di lavoro somministrato. Richiestissimi anche qui quanti possono vantare una specializzazione nel ramo della metalmeccanica in generale e in quella di precisione in particolare. Ma abbiamo richieste anche per montatori di schede elettroniche, programmazione di produzione e acquisti, tecnici di ricerca e sviluppo, programmatori cad/cam, saldatori, fresatori, falegnami, un cuoco, magazzinieri, tanti impiegati commerciali. Basta scorrere gli annunci di offerte di lavoro sulle pagine delle nostre filiali per avere netta la sensazione di che cosa chiedono oggi le nostre aziende. Insomma, siamo fieri di poter aiutare e sostenere, insieme, lavoratore e azienda”. Silvio Scacco
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Il Comune
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Il bilancio dopo tre anni. A nome dell’opposizione parla il consigliere comunale Ciro Asproso: “Sono deluso e amareggiato”
“A Rucco diamo 5, non ha affrontato i problemi veri e urgenti della città” A
tre anni dalle elezioni, l’opposizione in Consiglio comunale giudica l’amministrazione. La parola a Ciro Asproso. Come sono andati questi primi tre anni? “Sono amareggiato perché ho scoperto sul tavolo temi che sollevammo 20 anni fa e devono ancora essere affrontati. Ci sono situazioni oramai indifferibili”. Quali? “Serve una città più inclusiva, più resiliente, sostenibile”. Partiamo dall’inclusività “Il sindaco ha fatto investimenti sul tema sicurezza e tuttavia questo suo prodigarsi non ha sortito effetto al di là degli eventi eclatanti come i blitz antidroga. In alcune zone della città la situazione si è aggravata, perché non si è puntato sull’inclusione sociale e su progetti che negli anni ’90 avevano dato gradi risultati: per esempio lavorammo molto per la prevenzione delle devianze e sul lavoro degli animatori di strada”. La resilienza “Sono rimasto sconcertato nel vedere che il tema del riuso e della ricucitura
urbana, della nuova centralità che gli urbanisti affermano che bisogna dare alle periferie, siano argomenti sconosciuti alla politica vicentina. Questo è clamoroso! Vedo sui tavoli troppe vendite del patrimonio comunale finalizzato ad alleggerire le spese e a rimpinguare i bilanci gravati dai restauri. Non è la risposta per rigenerare la città. Intanto la zona industriale si sta trasformando in direzionale senza gli standard necessari. Sostenibilità. “Bisogna agire per rendere più verde la città. Invece manca una gestione efficace del verde pubblico: non c’è un piano, non ci sono modalità codificate per garantire che gli interventi sul patrimonio arboreo preservino le piante e non le danneggino. Lo dimostra la moria di piante elevata che esiste a Vicenza. Abbiamo un ufficio del verde sottodimensionato, con delega di gestione ad Amcps che a sua volta ha appaltato la manutenzione a realtà esterne, e la qualità degli interventi degna di una città capoluogo di provincia va a farsi benedire”.
Ciro Asproso boccia la giunta Rucco
In fatto di sicurezza siamo peggiorati, il verde è trascurato, le periferie dimenticate, in zona industriale non ci sono standard, sulla mobilità siamo fermi a vent’anni fa, la mobilità sostenibile non ha ancora un piano
L’inquinamento chiama in causa la mobilità. Che ne pensa? “Qui siamo fermi a quello che si pensava 20 anni fa. Ad oltre metà mandato non c’è ancora il Piano urbano della mobilità sostenibile. Vedremo cosa ci dirà”. Critico su tutta la linea… “Sono stati elusi temi fondamentali come il passaggio dell’alta velocità e tutta la viabilità collegata. Se si dovesse realizzare ciò che è previsto, avremmo cantieri da oggi ai prossimi 10 anni, rispetto ai quali la giunta non si esprime. Coloro che sono in maggioranza oggi, in campagna elettorale erano contrari a quei lavori e quindi il tema è stato nascosto come la polvere sotto al tappeto”. Intende i lavori per il filobus? “Certo. Su questo asse si sarebbe dovuto riprogettare tutto il trasporto pubblico, che da anni risulta assolutamente inadeguato a Vicenza perché non contribuisce a risolvere i problemi della mobilità. Non offre un’alternativa valida all’auto”. In sintesi, che voto dà a Rucco? “Cinque, perché sono buono”. (f. b.)
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Il Comune
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Il bilancio dopo tre anni. Il sindaco Rucco valuta il suo operato: “Nonostante la pandemia, ho realizzato. Mi merito un bel sette”
“Dal parco della Pace a Campo Marzo stiamo facendo rinascere Vicenza” E
letto sindaco di Vicenza tre anni fa, il 10 giugno 2018, Francesco Rucco traccia un bilancio della sua gestione. Per quasi metà mandato ha dovuto fare i conti con la pandemia. “Sono soddisfatto di come ha risposto all’emergenza il sistema Vicenza (che comprende tutti gli enti e le autorità che concorrono al governo del territorio). Credo di poter affermare che la gestione sia stata oculata ed equilibrata sia a livello sanitario e sia per gli aiuti economici locali: non abbiamo dimenticato né i malati, e nemmeno le famiglie in grosse difficolta economiche”. Quali gli interventi più importanti? “Ne ricordo tre: la riduzione della tariffa rifiuti, la rimodulazione dell’Imu e l’efficacia dell’estensione gratuita dei plateatici per dare ossigeno ad un settore fortemente colpito dal lockdown”. L’opposizione la critica perché ha fatto poco e male. Che risponde? “Che nella prima fase abbiamo puntato molto sulla sicurezza e sul contrasto al degrado. Oltre il 70% degli obiettivi che ci eravamo posti per il mandato su questi temi sono stati raggiunti o sono in via di realizzazione. Ad esempio, sono partiti i lavori per il presidio in Campo Marzo della polizia locale”. Un po’ poco… “L’emergenza covid ci ha rallentato drasticamente il lavoro, però abbiamo pianificato i nuovi ponti di Debba, lavoriamo per riqualificare Ponte Alto, abbiamo rivisto la realizzazione dei lavori di parco della Pace per caratterizzarla come polmone verde, sta partendo l’intervento su Campo Marzo. Davvero crede che sia poco?” Però a Vicenza restano molti “buchi neri” specie in centro. “Abbiamo avviato l’iter per la progettazione della nuova Bertoliana nell’ex tribunale in Santa Corona. Su palazzo Thiene siamo solo all’inizio, ma intanto l’abbiamo portato a casa. E questo non era previsto. Tra l’altro, porteremo nella sala Quagliato le sue opere che sono di proprietà del Comune”. Che destino avrà palazzo Thiene?
Cultura: ci sarà una mostra-sorpresa in Basilica a fine giugno. E porteremo nella sala di palazzo Thiene le statue di Quagliato di proprietà del Comune e conservate al Chiericati. “Pronto a ricandidarmi nel 2023”
“Valuteremo come gestirlo, se direttamente o grazie a terzi”. L’urbanistica è un punto dolente in tutte le città. Lei come l’affronta? “Stiamo chiudendo il piano urbanistico d’indirizzo, grazie al prof. Piergiorgio Tombolan dello Iuav di Venezia. Inoltre, a proposito di rigenerazione di aree, stiamo cambiando destinazione d’uso all’ex Macello di viale Giuriolo per dare un parcheggio da 120 posti alla città. Questo ci permetterà di liberare piazza Matteotti”. L’ambiente è un nervo scoperto a Vicenza: che sta facendo? “Il consumo di suolo deve arrivare nel 2050 a zero, come previsto dalla Regione. E noi siamo allineati: vediamo una città più green, meno costruita e più indirizzata alla rigenerazione degli edifici”. Il Comune è un soggetto pianificatore, ma spesso gli investimenti devono essere dei privati. E qui le note sono dolenti… “Non è vero. Parlando con imprenditori e investitori, noto che c’è molta voglia di investire su Vicenza. Sono ottimista”. Sul fronte politico la sua maggioranza ha vissuto tre anni tribolati. “Ma nell’ultimo anno abbiamo trovato un equilibrio che ci ha permesso di accelerare il lavoro. Ringrazio consiglieri e assessori perché sono disponibili a raggiungere sempre una sintesi sul lavoro da mettere in campo”. Come vuole concludere il mandato? “L’obiettivo è di arrivare a fine mandato con gli interventi infrastrutturali realizzati e vedere il cantiere di campo Marzo e dei Ponti di Debba”. Che voto si da dopo tre anni? “Vorrei dire 8, diciamo un 7 perché mi piace l’understatement”.
Francesco Rucco, sindaco zappatore, mentre pianta il primo alberto al parco della Pace. Sopra, l’interno di palazzo Thiene
Nel 2023 si candida per il secondo mandato? “Qualsiasi sindaco per vedere realizzate le proprie opere messe in cantiere deve avere almeno 10 anni di tempo. Per quanto mi riguarda devo condividere questa decisione con coloro che mi sostengono e con cui sto lavorando”. Veniamo alla cultura: cosa bolle in pentola? “La stagione estiva e quella autunnale saranno molto vive. Abbiamo già ripreso subito con la mostra di Lotto nei sotterranei di palazzo Chiericati. Stiamo programmando gli allestimenti in Basilica: a settembre il Premio di architettura Dedalo Minosse e a dicembre sarà allestita la mostra Rinascimento privato. E in più c’è una sorpresa”. Di cosa si tratta? “Ci sarà un’altra esposizione in Basilica su cui stiamo lavorando che prenderà il via a fine giugno e si concluderà a fine agosto. Per ora non posso dire di più”. Francesco Brasco
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L’intervista
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L’emergenza sociale. Parla Maria Zatti, presidente di “Donna chiama donna” che gestisce il Centro antiviolenza di Vicenza
Le donne adesso denunciano di più Triplicati i casi di allarmi in famiglia Da gennaio 2020 a marzo 2021 sono stati 266 i casi denunciati, spesso a causa della convivenza forzata. Ma le persone che si affidano al Ceav sono anche donne sole che hanno perso il lavoro. Sta partendo anche un nuovo progetto battezzato “La casa di Caterina”
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ittime di violenza, ma anche donne in crisi di coppia o rimaste senza un lavoro e madri in smartworking alla ricerca di supporto psicologico per conciliare impegni professionali e vita privata. Sono numerose e complesse le richieste di aiuto raccolte nell’ultimo anno dal Centro antiviolenza di Vicenza attivo dal 2012 nei locali di stradella dei Cappuccini 67, la cui gestione è stata affidata fino al 2022 a “Donna chiama Donna”, l’associazione composta da trenta volontarie che affiancano il lavoro delle operatrici del Ceav con attività di consulenza psicologica, legale, di accompagnamento ai servizi sociali, sociosanitari e le seguono nella denuncia di maltrattamenti. Da gennaio 2020 ai primi tre mesi del 2021, infatti, il Ceav ha seguito 266 donne di cui 156 nuove prese in carico. Un dato triplicato rispetto agli anni precedenti che ha portato alla luce nuove situazioni di fragilità aggravate da fattori come l’isolamento, le convivenze forzate e l’instabilità socio-economica del periodo. Problematiche che le volontarie dell’associazione presieduta da Maria Zatti stanno affrontando quotidianamente non solo riorganizzando le proprie attività in modalità telematica, ma anche cercando nuovi spazi e finanziatori per potenziare i servizi. Quest’anno le richieste di aiuto e i casi seguiti dal Ceav sono triplicati: le donne denunciano di più? “La violenza domestica c’è sempre stata, ma nel tempo abbiamo notato un graduale aumento dei casi: nel 2013 seguivamo un centinaio di donne che si erano rivolte al Centro antiviolenza di Vicenza. La maggiore consapevolezza del fenomeno e la diffusione delle informazioni relative ai nostri servizi ha portato negli anni a un aumento delle richieste di aiuto che nel 2020, anche a causa del covid, sono giunte ad un totale di 266 tra Vicenza e Arzignano, città in cui gestiamo lo sportello antiviolenza”. Chi si è rivolto a voi? “Vittime di maltrattamenti domestici che sono state prese in carico dal Centro antiviolenza, ma anche donne sole che si sono rivolte allo sportello di ascolto dell’associazione; donne che hanno perso il lavoro a causa della pandemia, madri in cerca di supporto psicologico per riuscire a gestire smartworking, cura della casa e dei figli.
Donne in procinto di separarsi dai compagni, ma ancora conviventi perché economicamente impossibilitate a lasciare l’abitazione. Ragazzi e genitori che abbiamo supportato orientandoli ai servizi territoriali preposti attivando un nuovo numero telefonico dedicato (04441270142)”. In che modo la pandemia ha condizionato il vostro lavoro e come vi siete organizzate per ga-
rantire i servizi? “L’accesso alla sede e alle case rifugio è divenuto più complicato mentre i percorsi di aiuto sono stati rallentati. Da gennaio 2020 a marzo 2021, il Centro antiviolenza di Vicenza era aperto al pubblico 30 ore a settimana, mentre le attività del nostro sportello sono state digitalizzate. L’impossibilità di vedersi di persona al Centro ha fatto sentire le donne maggiormente sole.
Maria Zatti, presidente dell’associazione “Donna chiama donna”
Chiamavano di nascosto non solo per ricevere consigli su come poter evitare tensioni e violenze domestiche, ma anche per avere una parola di conforto per affrontare il momento di fragilità che stavano vivendo a causa dei cambiamenti del lavoro e della vita di coppia e famigliare. Volontarie e operatrici del Ceav erano sempre reperibili telefonicamente per aiutarle ad affrontare tutte le situazioni di criticità che, con il lockdown, si sono aggravate”. Il Comune di Vicenza ha da poco annunciato l’avvio del progetto “Casa di Caterina”: sarà una nuova casa rifugio? “Sarà una casa di sgancio, ovvero un luogo di passaggio, per un breve periodo, in cui la donna ha il tempo per riaffacciarsi alla vita sociale e lavorativa non avendo ancora strumenti economici che le garantiscano autosufficienza. È un’iniziativa che rafforza la nostra rete di servizi e che mi auguro di poter presentare presto insieme al Comune e al Lions club Vicenza Palladio, che ha dato un grande contributo per la sua realizzazione.” Quali sono i vostri prossimi obiettivi? “Stiamo creando una cooperativa sociale, chiamata “Si può fare”, dove unire volontari e professionisti in un luogo in cui le donne, ma non solo loro, possano usufruire di servizi di consulenza psicologica, legale, economica e partecipare ad attività legate alla genitorialità e a percorsi di supporto abitativo, formativo e di ricerca del lavoro. Cerchiamo degli enti partner che ci aiutino a sostenere le attività e una nuova sede dove avviare questi servizi alla comunità. Inoltre continueremo il progetto “Giovani Consapevoli”, ideato per le scuole e volto alla promozione della cultura della parità di genere”. Sara Panizzon
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Centro storico
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Il progetto per il “Fogazzaro”. Gli architetti Traverso e Vighy puntano a triplicare il parcheggio e a rivoluzionarlo
Mille posti auto, con tanto verde e canoe U
n parcheggio che sia anche garage per residenti ed esercenti e non solo per la sosta temporanea di coloro che frequentano Vicenza in centro. E poi fonte energetica e anche luogo da vivere e da riqualificare dal punto di vista urbanistico. È l’idea degli architetti Giovanni Traverso e Paola Vighy che hanno riproposto di recente un progetto quanto mai attuale di recupero e potenziamento del parcheggio Fogazzaro proposto qualche anno fa. “L’abbiamo pensato come una grande opportunità per il centro storico di Vicenza, dopo aver realizzato uno studio sulle vie d’acqua che andrebbero valorizzate e utilizzate meglio - spiegano - Dei nostri fiumi quasi ci siamo dimenticati, ma in realtà sono una risorsa importante per il capoluogo e il territorio circostante anche per gli aspetti sportivi (leggi: canoa, ndr), turistici e del tempo libero (leggi: passeggiate e ciclabili)”. Un parcheggio pensato in due grandi “scatoloni neutri” di tre piani realizzati con travi in legno lamellare, e quindi con materiali naturali, ecologici e reversibili. Esempi di costruzioni simili, precisano Traverso e Vighy, li vediamo in Austria, Svizzera e Germania, Paesi in cui il legno è maggiormente utilizzato per le costruzioni. “E poi sulla copertura prevediamo i pannelli solari - sottolineano - che possono da una parte rendere indipendente dal punto di vista energetico l’edificio ma anche offrire anche kilowatt al centro storico, dove non è possibile per ragioni di vincoli architettonici realizzare installazioni sui tetti. Dall’altra parte possono generare energia per la nuova mobilità elettrica e sostenibile. “Sarebbe sbagliato progettare un luogo così centrale solo con la funzione di parcheggio - proseguono i due architetti - Ecco perché prima di tutto siamo convinti che vadano valorizzati i percorsi ciclabili e pedonali, sul fiume e lungo le mura (da valorizzare e restaurare) ma anche creare delle aree di svago e di sport dove ci si possa fermare per bere un caffé in un angolo di verde, praticare la canoa e l’arrampicata sportiva sulle pareti degli edifici, dare ossigeno ai ragazzi con gli skateboard. Insomma siamo convinti che quell’area, ex deposito Aim, debba
diventare un vero e proprio luogo da vivere e non essere solo un deposito di auto”. Alzare un parcheggio a tre piani significa triplicare la capienza attuale che è di poco meno di 400 posti. Si arriverebbe oltre i mille posti, secondo l’algoritmo di Stefano Soprana: un terzo per residenti, un terzo per le attività produttive del centro storico e un terzo per la sosta temporanea di coloro che frequentano Vicenza entro la cinta storica. “Questo servirà a rendere sostenibile economicamente la costruzione del manufatto - spiega il noto commerciante del centro, ex consigliere comunale e ora dirigente di Confesercenti - Diamo la possibilità, ma potrebbe essere anche un obbligo, per coloro che possiedono un’abitazione o uno stabile in
Si punta a rendere il park autonomo dal punto di vista energetico, a creare piste ciclabili, percorsi pedonali e perfino una palestra di roccia. Posti auto in affitto ai residenti, così si liberano le strade del centro
Gli architetti Giovanni Traverso e Paola Vighy, autori del progetto per Confesercenti e due immagini del loro studio
centro di acquisire un certo numero di posti auto, così da liberare finalmente le strade dalle auto e rendere più bella e fruibile la città per i turisti e per tutti ed abbattere il triste fenomeno della trasformazione dei negozi in garage”. Insomma basta auto per le strade e basta posti gialli e blu che diventano garage a cielo aperto. E poi i pannelli solari che per i progettisti sono “un polmone solare per il centro storico”, ma potranno anche essere acquisiti, come i posti auto, dai proprietari di casa o di negozio per assicurarsi i 3 o i 4,5 kw dell’utenza media. Il pensiero urbanistico di Confesercenti sull’area Nord del centro (Porta Santa Croce) è finalizzato anche alla rivitalizzazione di corso Fogazzaro-nord con un’uscita dal parcheggio che attraversa l’isolato della Stradella del gas: “Va ripensata anche la mobilità pubblica - conclude Soprana - con una fermata di bus nella piazzetta della chiesa dei Carmini”. Francesco Brasco
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Attualità
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Palazzo Thiene. Il tema è destinato a restare di attualità ancora a lungo tra risvolti politici, artistici e finanziari
Acquisto ok, resta il giallo su Quagliato e un punto di domanda sulla gestione F
ernando Rigon, già direttore dei musei a Vicenza e poi consulente della Banca Popolare, lo paragona al teschio di Yorick che Amleto tiene in mano all’inizio del quinto atto. Perché palazzo Thiene è stato spogliato da tutto quello che non era vincolato, cioè dei pezzi che hanno al massimo 50 anni. IL TESCHIO DI YORICK E LA CARIATIDE. Come quel cranio scarnificato, “la luminosità dei suoi sguardi, l’affabilità della sua accoglienza, la notorietà che aveva suscitato come polo culturale sono andati per sempre perduti”. Ha usato queste parole Rigon parlando a un recente incontro dell’Accademia Olimpica. E ha segnalato un’altra opera d’arte sparita, la “Cariatide” di Alberto Biani del 1954: “Era una delle opere d’arte contemporanea tra le più importanti di tutta la provincia, acquistata nel 1989 dalla banca. S’è volatilizzata sotto il naso senza che nessuno se ne accorgesse alla fine di gennaio. È finita all’asta di Pandolfini il mese dopo: valutata tra i 6 e gli 8mila euro, ha raggiunto l’iperbolica cifra di 75 mila euro”.
Le opinioni di Fernando Rigon e Cristiano Seganfreddo. Molte opere sono scomparse, come quelle di Quagliato, cosi come gli arredi. La gestione è ancora tutta da definire: a iniziare dai costi LA PREVALENZA DEL SOFTWARE. Dopo l’acquisto da parte del Comune, su palazzo Thiene restano un punto interrogativo e un “giallo”. Il punto di domanda riguarda la gestione di cui per ora non si sa niente. Neanche dei costi. Sarà vera la cifra di un milione di euro l’anno stimata dal Fai per gestire il palazzo? Lo scopriremo solo vivendo. Ma riguardo all’acquisto Cristiano Seganfreddo, imprenditore dell’innovazione e manager culturale, è critico sul metodo: “Le dieci più grandi industrie di un decennio fa al mondo non esistono più. Sono state sostituite da altre, pensiamo ad Amazon, che hanno puntato sul software
Nereo Quagliato in una foto d’archivio al lavoro su una scultura di Firmino Miotti, Cristiano Seganfreddo e Fernando Rigon
e non sull’hardware. L’hardware è importante, sì, ma conseguente. Viceversa, nel caso di palazzo Thiene si è ragionato all’antica: ci si è preoccupati prima dell’hardware, cioè del palazzo, e non del software, cioè del cosa ci facciamo dentro, come e con chi. È il vecchio modo di pensare, dei tempi in cui si utilizzavano i soldi della Cassa di risparmio per risanare un palazzo antico e poi ci si chiedeva: cosa ce ne facciamo? Ah, non lo sappiamo, però soldi non ce ne sono più. E tutti restavano senza parole”. LA DONAZIONE E QUAGLIATO. Tra i beni artistici che non rivedremo più ci sono anche le 29 opere di Nereo Quagliato, sicuramente vendute e quasi certamente dalla nuova proprietà. È altrettanto certo, però, che l’atto di donazione redatto il 14 dicembre 2010 dal notaio Giuseppe Boschetti, il quale aveva di fronte lo scultore e il presidente della Popolare, Gianni Zonin, è assai chiaro. Poneva tre condizioni: “Le opere oggetto del presente atto di donazione sono destinate esclusivamente ad essere esposte, non sono oggetto né lo saranno di cambio commerciale”. Il donatario doveva: “Destinare le opere all’esposizione in Vicenza, mantenendole tutte unite in un corpus unico; assicurare la collocazione in un’apposita sala; consentirne la pubblica visibilità”. Ora, gli avvocati potranno discutere se questi obblighi erano ancora in capo alla nuova proprietà di palazzo Thiene oppure no. I pareri non sono univoci. Di sicuro Vicenza, per usare le parole di Rigon, ha visto sparire anche queste opere da sotto il naso. Poteva fare qualcosa di più il sindaco, che ha scoperto la sala Quagliato vuota solo martedì 11 maggio? Forse. Poteva alzare la voce con i venditori, anche se con poche speranze di ottenere qualcosa. Del resto a lui basta la soddisfazione di aver centrato l’obiettivo importante, cioè aver mantenuto la proprietà del palazzo a Vicenza, di fronte a un’opposizione che è apparsa frastornata e a rimorchio, incapace di prendere l’iniziativa. Va poi detto che di questa vicenda delle opere di Quagliato sparite, visto il dibattito di basso volume, a Vicenza non è importato granché. (a.d.l.)
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La testimonianza
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L’anniversario. Quarantacinque anni fa le tremende scosse che distrussero il Friuli. Vicenza “adottò” il Comune
Il generoso aiuto degli alpini vicentini accorsi ad Artegna dopo il terremoto C
ome definire uno che ti distrugge la casa mentre stai mettendo a letto i figli? Non può che essere un “orcolat”, un orco. Così lo hanno battezzato i friulani il terremoto del 6 maggio di 45 anni fa, magnitudo 6.5, epicentro Gemona e Artegna: una bestia senza pietà che distrugge e uccide. Non contento, l’orco è ritornato sui suoi passi anche l’11 e il 15 settembre, sempre di quel disgraziato 1976, provocando altre gravissime distruzioni e tragedie. Generosa, immensa, universale la reazione di solidarietà che da ogni contrada e città è seguita a quel terremoto. In migliaia sono arrivati a lavorare in quelle contrade sventrate, accanto agli oltre 100 mila sfollati che piangevano i loro 990 morti: c’era da ridare un tetto a una popolazione che vide distruggere 18mila case. Vicenza non si tirò indietro: nessuna associazione, gruppo, realtà di volontariato si sottrasse a quell’appello. In prima fila gli alpini, sempre presenti laddove c’è bisogno. A ricordare quei mesi di interventi a favore di una popolazione provata, ma mai rassegnata, è Francesco Basso, classe ’38, in quegli anni impiegato con responsabilità alla Fiamm, fondatore e capogruppo del gruppo alpini Monte Berico, ma soprattutto trascinatore e convinto animatore di iniziative con i suoi tanti amici alpini. La penna nera la portava dai tempi del servizio militare a Udine, dove era nata un’amicizia con i coetanei friulani con cui giocava a calcio, ma anche con le loro famiglie. Per lui quella città era una
Nelle foto, Francesco Basso che guidava i soccorsi del Gruppo alpini Monte Berico. Un’immagine del Friuli terremotato e due anziani alpini al lavoro nel 1976: Giacomo Bassanese e Arturo Carta, padre di Dino Carta, giovane calciatore e alpino ucciso dai nazifascisti.
seconda casa, tanto che quando si trattò di ritornare per portare i primi soccorsi dopo il sisma di maggio, si spostava tra le strade andando a memoria, perché molte vie erano chiuse o irriconoscibili. Non parla molto di sé Francesco Basso, preferisce che a farlo siano i molti gesti che assieme a numerosi altri amici alpini sono stati compiuti in quei mesi: corriere e auto private piene di volontari che partivano il venerdì pomeriggio da Vicenza per mettersi a disposizione degli organizzatori dei soccorsi per tutto il fine settimana, svolgendo ogni attività, da quelle più umili a quelle più impegnative, a volte anche sfidando il pericolo pur di intervenire in tempo. Due, tre volte al mese, in quella disgraziata estate, Francesco Basso partiva da Vicenza accompagnato da un suo amico udinese e,
Francesco Basso era fondatore e capogruppo del Gruppo alpini Monte Berico e guidò le penne nere vicentine nei soccorsi. Conosceva bene il Friuli perché aveva svolto a Udine il servizio militare a volte con l’auto stracarica, altre con un furgone cui attaccava anche un carrello, portava vestiti e biancheria, quasi tutta nuova o in ottimo stato, frutto della sollecita raccolta tra le molte cerchie di amici e dei vari gruppi di alpini. In autostrada alla volta del Friuli, anche la Polstrada ormai lo conosceva e, al massimo, gli faceva cenno con la mano di essere prudente. E poi, tanto lavoro, anche 1012 ore al giorno, a ripristinare un
minimo di funzionalità dei centri martoriati dalle scosse, con picconi e badili, e ancor più spesso con le mani, evitando di usare quando non strettamente necessario i mezzi meccanici. In Friuli, Basso ha conosciuto e frequentato anche l’allora ministro Giuseppe Zamberletti, scomparso poco più di due anni fa, che mise in piedi un sistema di assistenza alla popolazione e poi di ricostruzione, in stretta collaborazione con le istituzioni regionali e locali, e con gli alpini in primis, per i quali tenne a battesimo la loro meritoria Protezione civile. E che gli alpini siano da sempre una garanzia non solo di generosità ma anche di rettitudine, e non solo tra le mura domestiche, lo testimonia un fatto che Francesco Basso ricorda con orgoglio.
In quei giorni di maggio 1976, arrivò dal governo statunitense una generosa donazione di 300 mila dollari destinati alle prime necessità, ma con la clausola vincolante che a gestire quella importante cifra fossero esclusivamente gli alpini. Cosa che, ovviamente, avvenne con rigoroso scrupolo ed efficacia. Gli alpini, si sa, sono sempre pronti a fare il bene dove c’è necessità, senza vanto né ambizione, motivando e coinvolgendo i giovani, come è accaduto anche in seguito in altri scenari di emergenza, in Umbria o nell’alluvione ad Alessandria: “Dove passano gli alpini – testimonia oggi Basso con un bel sorriso sereno – lasciano un segno di bene, di speranza e di fratellanza. Il nostro mondo ne ha sempre più bisogno”. Silvio Scacco
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Attualità
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Il personaggio. Pierpaolo Romio, due vite per la bici: anima di “Girolibero” e ora inventore. Ecco la sua creatura: brevettata
La “Tripla” è la bicicletta del futuro Sarà la star del festival VeloCittà U
na vita per la bici. Anzi, due. La prima l’ha vissuta da appassionato e imprenditore. Ha creato nel 1998 “Girolibero”, che in vent’anni è diventato il più importante tour operator italiano di vacanze in bicicletta: parliamo di un’azienda con cinquanta dipendenti e 18 milioni di fatturato. È partito con 24 biciclette e 24 lucchetti. Adesso noleggia 2000 bici e 200 elettriche. Pierpaolo Romio, 56 anni, sposato, due figli, organizza, o meglio organizzava perché è stato temporaneamente fermato dalla pandemia, anche i tour nave più bici: ha acquistato una nave in Olanda, l’ha portata via acqua sul Reno e sul Danubio fino al Mar Nero e da qui all’Adriatico. Usa la barca come un hotel viaggiante: il giorno si va in bici sulle ciclabili d’Europa, la sera si sale sulla nave a dormire. Diploma al “Rossi” e laurea a Padova in relazioni internazionali, un passato da autostoppista con 500mila chilometri alle spalle (che vuol dire fare dodici volte e mezzo il giro del mondo all’equatore, tanto per capirci) Pierpaolo Romio è anche un attore che sogna di portare a teatro un testo sulla bici. La seconda vita l’ha iniziata trasformandosi in inventore. S’è applicato sul segmento delle bici-cargo e ha creato la “Tripla”, protetta da tre brevetti e già premiata a Cosmo bike, il festival della bicicletta che è un po’ l’università delle due ruote. Di cosa si tratta? È l’uovo di Colombo: ha inserito una nuova pedana tra i pedali. La nuova piattaforma offre una terza area di carico per cose o persone. Può essere light (fino a 130 chili) o pro-
fessional (portata 200 chili). “Tripla” ha mantenuto il classico telaio a diamante, semplicemente abbassandolo: così oltre al portapacchi anteriore e posteriore offre un nuovo spazio di carico, restando robusta e stabile. Si può portare anche una persona, che può sedersi o stare in piedi, come hanno dimostrato in un simpatico scatto due suoi amici vicentini, ciclisti ex professionisti: Andrea Ferrigato e Angelo Furlan. Rispetto alle altre bici-cargo, molto spaziose nel ripiano trasporto, che di fatto diventano un trasporto merci (o persone) la sua resta una bicicletta per così dire “normale” che offre spazio per altri utilizzi. “La “Tripla” è la bici del futuro – sostiene – perché risolve molti problemi. Evita di acquistare una seconda auto in casa, per esempio. Ma è utile anche per portare a spasso un figlio. O una mo-
Ha abbassato il telaio e inserito una pedana un mezzo ai pedali, così da realizzare un nuovo spazio di carico. Può trasportare cose o persone. La pedalata è assistita. Appuntamento in Campo Marzo il 27 giugno per la prima festa vicentina delle biciclette
In alto da sinistra la “Tripla” inventata da Romio, di seguito i due ex ciclisti professionisti Angelo Furlan e Andrea Ferrigato collaudono la “Tripla” di Pierpaolo Romio (accanto)
rosa, come si faceva una volta sul palo: ma era vietato, adesso con la “Tripla” è permsso. C’è una famiglia che la usa per portare in giro la bimba disabile. L’avessi costruita solo per loro, sarebbe già abbastanza per me”. Naturalmente con pedalata assistita, la “Tripla” è più di una bici normale. Intendiamoci, Romio non è l’unico ad aver provato a realizzare un prototipo del genere. Ma la sua funziona, questa è la novità. “Sono andato avanti anni per cercare la formula giusta tra monopattino e bicicletta – spiega – A Bordeaux ne hanno messe sul mercato 900 e si
sono rotte tutte: colpa del telaio. Così ho messo il palo obliquo, carino, molto basso. Si riesce a saltare su in maniera agile”. Romio sarà uno dei protagonisti di “VeloCittà”, il festival vicentino della bicicletta in programma a Vicenza domenica 27 giugno in Campo Marzo, organizzato da un Comitato che fa capo a Enrico Bisogno e sostenuto dal Comune di Vicenza, assessorato all’ambiente. La giornata sarà ricca di manifestazioni, dibattiti, stand con espositori da tutta Italia e, naturalmente, passeggiate in bici.
Palmiero: bibliotecario, musicista e scrittore che macina in bici settemila chilometri all’anno La passione per la bicicletta è contagiosa. La si può rintracciare nel mister del Lanerossi, Mimmo Di Carlo, che l’anno scorso è salito sul Grappa per pagare una scommessa per la promozione. Oppure in un barbiere come Andrea Ienna, che non pago di sciropparsi il giro del Garda alla domenica, tranquillamente nei giorni lavorativi investe il tempo della pausa pranzo in chilometri. La stessa passione per la bici si ritrova come “basso continuo” nella vita di Oreste Palmiero, 51 anni, dal 2017 bibliotecario e archivista della “Bertoliana” dopo aver lavorato nella biblioteca di Montecchio Maggiore. Palmiero è uomo di vasta cultura. Ha una laurea in storia e letteratura della musica all’università di Padova con relatore don Giulio Cattin: tra l’altro, proprio a Cattin a giugno sarà ufficial-
mente intitolata la piazza a Bertesina davanti alla chiesa, nel suo quartiere. Ma Palmiero, di origini molisane, ha anche un diploma in flauto traverso al conservatorio “Pedrollo” e al suo attivo ha numerose pubblicazioni, molte delle quali con l’Accademia Olimpica. Vale la pena sottolineare subito la sua passione per la bicicletta, che lo porta a pedalare per settemila chilometri all’anno. Mica scherzi. Non arriva ai trentamila di un professionista, ma sono pur sempre cinque volte la distanza tra Vicenza e Palermo. Per colpa della pandemia il chilometraggio s’è parecchio abbassato in questi quindici mesi, ma conta di tornare al suo ritmo abituale. L’ultimo suo lavoro è la pubblicazione in edizione critica per la Società editrice di musicologia di “Basso conti-
nuo” Romanzo musicale, così lo definiva, di Arturo Rossato. Rossato fu un vicentino illustre che Vicenza ricorda poco, anche se gli ha dedicato una via. Giornalista, scrittore, commediografo, librettista, visse tra Vicenza, dove nacque nel 1882 e Milano soprattutto, dove morì nel 1942. Fu autore di due commedie notissime nel Veneto, come “Nina no far la stupida” e “La biondina in gondoleta”. Ma fu anche redattore del “Popolo d’Italia” e in quella veste visse gomito a gomito con il socialista Mussolini, fino alla sua espulsione dal partito. All’iniziò approvò la sua svolta fascista, ma poi tenne le distanze. Carattere vivace, tanto da arrivare a duellare, Rossato ebbe una vita ricchissima di incontri. Il suo “Basso continuo”, pubblicato nel 1939, è proprio il
racconto di questi incontri, soprattutto con musicisti, molti dei quali utilizzarono i suoi libretti: Pietro Mascagni, Giacomo Puccini, Alberto Franchetti, Riccardo Zandonai, tanto per citarne alcuni.
A sinistra la copertina dell’ultimo lavoro di Oreste Palmiero, di seguito l’autore
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Turismo
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Bilanci & prospettive. Compie 30 anni il consorzio di promozione “Vicenza è”. Intervista al presidente Oscar Zago
Cibi, arte, film, sport, stampa: per fare conoscere Vicenza le inventano tutte “L’idea vincente fu quella di Danilo Longhi che mise insieme le energie di pubblico e privato. Un modello e un nome imitato da molte altre province in Italia. Grazie alle nostre professionalità abbiamo ancora molto da dire per il futuro”
Nell’immagine grande a sinistra Oscar Zago, presidente di Vicenza è, in alto Carla Padovan, direttore generale e Vladimiro Riva, consigliere delegato
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na realtà che opera in qualità di “Destination management organisation”, associando enti pubblici, organismi e operatori privati con l’obiettivo della promozione turistica di Vicenza e provincia. Una sintesi, fin troppo limitativa, per descrivere “Vicenza è”: braccio operativo nel settore turismo, il Consorzio, di cui è direttore generale Carla Padovan, ha saputo negli anni sviluppare competenze ma anche autentici rami di azienda finalizzati alla valorizzazione territoriale in settori specifici, come Vicenza Film Commission, Vicenza Sport Commission e il progetto Comuni De.Co, solo per citarne alcuni. Al presidente Oscar Zago, albergatore, veronese di nascita e vicentino di adozione il compito di guidare il Consorzio per il triennio 2021-2023. Tempi difficili, per non dire devastanti, per tutti i settori, in particolare cultura e turismo. La domanda viene spontanea: ma chi glielo ha fatto fare? “Già! Tuttavia e per fortuna non ho ancora avuto né tempo né ragione per farmi questa domanda. Potrei mutuare indegnamente papa Francesco dicendo che “nessuno si salva da solo”, ma la verità è che ho da sempre condiviso il progetto Consorzio Vicenza è. Per principio, considero più efficace “sfruttare” know how e professionalità, quando esistono, piuttosto che buttare bambino e acqua sporca così, solo per il gusto di cambiare, senza ragioni valide”. Nata 30 anni fa, Vicenza è, oggi, è una realtà consolidata e che ci viene invidiata, a livello internazionale. Un’idea lungimirante, che si è rivelata di grande successo. “Il progetto è stato finalizzato il 7 agosto 1991 con atto notarile, ma la concertazione era stata avviata qualche anno prima grazie all’indimenticato Danilo Longhi, allora presidente dell’ente camerale che tracciò il solco e fortemente volle anche il nome, peraltro duplicato in varie parti d’Italia, ricordo Geno-
vaè, Modenaè, Mantovaè e altri. Insomma lui aveva già in mente il sistema sinergico pubblico/privato nel settore turistico. A tal proposito desidero ricordare anche il collega Alfredo Talin che, con Longhi e Vladimiro Riva (attualmente consigliere delegato) ha condiviso questo innovativo metodo operativo con mandato degli operatori privati. Altre felici intuizioni: dotarsi di un osservatorio provinciale, un piano di marketing turistico, probabilmente il primo in Italia, prodotto da un organismo pubblico/ privato. Poi, grazie all’intuizione del consorzio, è arrivato anche il brand territoriale con l’iscrizione nella Lista del patrimonio mondiale dell’Unesco”. Di che cosa si occupa Vicenza è? “Lavora con la Regione per le iniziative di promozione, con alcune amministrazioni comunali per l’attività di informazione e accoglienza, con la Provincia per progettualità di competenza. Fornisce inoltre assistenza alla stampa specializzata, alle produzioni cinematografiche e dell’audiovisivo in genere con fini di valorizzazione territoriale, coordina progetti turistici e di formazione, è punto di riferimento per tour operator nazionali e soprattutto internazionali che con il tempo sono stati assistiti in loco o che si continuano ad incontrare nei meeting. Insomma, risponde e presidia il settore, attiva e seleziona validi attrattori turistici in un’ottica di innovazione continua”. Quali sono le sfide di oggi, ma, soprattutto, di domani, per il Consorzio? “Oltre all’uscita dall’emergenza sanitaria, sicuramente mantenere la squadra con giocatori validi in continua formazione, delineare obiettivi chiari, coagulare risorse su progetti attrattivi importanti e mantenere un presidio professionale nel mercato turistico. Come nello sport, se possiedi i fondamentali, puoi affrontare ogni sfida, anche quella della trasformazione magari in Fondazione per la valorizzazione turistica territoriale”. Elisa Santucci
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Tecnologia .
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Innovation lab. Al progetto del Comune collabora la Confartigianato che si impegna per colmare il “digital divide”
Allarme truffe in Rete: +60%. Sos nonni U
n accesso consapevole alle tante opportunità fornite dalla Rete, dai social network e dalle innovazioni digitali, con un occhio di riguardo alle tematiche della sicurezza. È l’obiettivo di “Innovation Lab”, voluto dal Comune di Vicenza con la partecipazione dell’Associazione nazionale pensionati della Confartigianato. Una serie di incontri tenuti online, indirizzato in special modo alla fascia di cittadini ed associati più anziana, con l’obiettivo di accompagnare all’accesso di strumenti sempre più importanti per esercitare una vita attiva, e per imparare a riconoscere ed evitare i tanti tranelli e le possibili truffe a cui si può andare incontro. È proprio sul tema delle truffe online che si è focalizzato l’ultimo convegno. Un fenomeno in continua espansione, soprattutto a danno dei più fragili. È quanto sottolinea Nicola Carrarini, coordinatore dell’Anap a Vicenza: “Stando ai dati diffusi dalla questura di Vicenza, nel 2020 i reati di truffa online sono aumentati del 56%, complice sicuramente il periodo di isolamento vissuto da molte persone a causa del covid. Il numero reale però è sicuramente molto più alto, dato che vengono conteggiati solo i reati effettivamente denunciati. Purtroppo molte vittime, spesso per senso di vergogna o magari perché si avvedono tardi della truffa, rinunciano a denunciare il fatto non solo alle autorità competenti, ma persino ai propri familiari”. È quindi molto importante denun-
Severino Pellizzari, presidente dell’Anap di Confartigianato
ciare la truffa, ma un ruolo fondamentale lo strumenti digitali in maniera accorta, dall’alsvolge ancor di più la prevenzione. “Da un’in- tro sensibilizzando chi è più vicino a queste dagine interna – prosegue Carrarini – è emer- persone, figli e nipoti ad esempio, affinché so che il 66% dei nostri associati usa rego- prestino attenzione al tema e vigilino”. Allarga ulteriorlarmente Whatsapp, mente lo sguardo mentre è in aumento Come evitare i pericoli? Severino Pellizzari, il numero di persone È necessaria un’opera di presidente dell’Anap: che usano i social netformazione verso chi è esposto. “Gli anziani trovano work, la mail, l’home molto interessanti i banking. NaturalMa ancora più serve creare delle social, soprattutto per mente, maggiore è la “reti” fisiche di persone che le possibilità di comuplatea, maggiori sono possano offrire supporto e fiducia. nicare che forniscono, i rischi di truffe. Per E non aver paura di denunciare che sono risultate di questo siamo convinfondamentale imti che sia fondamentale lavorare su un doppio binario, da un lato portanza durante l’isolamento causato dalla pandemia. Mi piace pensare che questi strufornendo tutte le informazioni possibili agli anziani per familiarizzarsi e utilizzare i nuovi menti aiuteranno sempre maggiormente i
più fragili a superare le situazioni di solitudine. Ma serve avere una visione lungimirante del tema: da un lato “smaliziando” gli anziani nell’approccio alle nuove tecnologie, dall’altro chiedendo, come avvenuto nel caso di Innovation Lab, un coinvolgimento diretto dei Comuni, della pubblica amministrazione e delle realtà associative nel colmare il divario digitale che esiste tra le generazioni”. Fornire quindi gli strumenti per accedere alle opportunità offerte dal mondo digitale e per farlo con cognizione di causa e coscienza, senza però dimenticare l’importanza delle reti “fisiche” da porre a supporto delle figure più esposte. Sottolinea Carrarini: “E’ chiaro a tutti che se siamo da soli siamo più fragili, quindi potenzialmente siamo più facilmente vittime di truffe e raggiri, sia sui canali digitali sia di persona. Come è importante sensibilizzare le famiglie sul tema, è altrettanto fondamentale andare a creare delle reti informali, delle reti di prossimità che stiano vicine ai più anziani. Dal vicino di casa al negozio di quartiere, sarebbe importante investire nella socialità per creare dei riferimenti di fiducia sicuri, una socialità che si accompagni a quella fornita da chi lo fa di mestiere; creare una sinergia tra Comuni, servizi sociali, associazioni e cittadini che le dia supporto, e dove gli anziani sappiano di potersi rivolgere in caso di necessità”. Alvise Ferronato
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Cultura
La mostra. Aperta sino al 27 giugno alle Gallerie d’Italia a palazzo Leoni Montanari. Da Depero a Warhol, da Fontana a Schifano
Cento opere per esplorare tutti i futuri L’iniziativa culturale di Banca Intesa. Ogni decennio, dai Sessanta a… domani, è caratterizzato da una parola d’ordine, che riassume il significato dei lavori presenti. Non c’è solo pittura, ma anche filosofia e fotografia. E la poesia, invocata da De Chirico
È
una mostra che finisce dove inizia. Già, perché se una mostra sul futuro – questo il titolo della rassegna, Futuro, con un sottotitolo eloquente: “Dagli anni Sessanta a domani” – si conclude con un’immagine del cielo stellato è un bel problema, in quanto non indica una fine, ma una specie di continuum spazio-temporale che non termina mai, bensì indica l’infinito. Che poi è la radice della nostra vita. Hanno fatto bene i due curatori, Luca Beatrice e Walter Guadagnini, a lasciare questa porta aperta, spalancata a ogni possibile conclusione che non sappiamo nemmeno noi dove possa condurre, dopo aver gustato con gli occhi le cento opere esposte alle Gallerie d’Italia di palazzo Leoni Montanari. Tra loro, Boccioni, Depero, Fontana, Christo, Boetti, Hirst, Vasarely, Warhol, Lichtenstein, Rauschenberg, Rotella, Schifano. E scusate se è poco, commenterebbe Totò. La visione conclusiva della mostra, una nonfine, è quindi l’eredità più autentica che lascia questa riflessione sul futuro, declinata secondo una parola d’ordine per ogni decennio. Così, negli anni Sessanta il futuro è il presente, perché la vita era sinonimo di ottimismo e consumismo, il cui emblema non poteva essere che la pop-art; negli anni Settanta è il politico, che permea di sé ogni manifestazione del pensiero e Joseph Buys lo spiegava ritraendo se stesso nel quadro intitolandolo “La rivoluzione siamo noi”; negli Ottanta, quelli dell’edonismo reaganiano, la parola d’ordine è il successo; nei Novanta il postumano; nei Duemila è l’ambiente. Vero, talmente vero che Jeffrey Deicht, curatore d’arte, spiegava: “Entro i prossimi trent’anni la paura di non essere in grado di distinguere i veri umani dai replicanti non sarà più fantascienza”. Per ogni decennio c’è una schiera di artisti che traduce il pensiero dei curatori e calamita l’attenzione. Con un prologo, quello dei futuristi, che del domani anticipato dall’oggi fanno una filosofia di vita. Depero e i suoi manifesti di bibite dalle forme squadrate ne è un esempio. E Filippo Tommaso Marinetti, il loro portabandiera, spiegava in poche parole l’energia senza tempo dell’arte: “Il tempo e lo spazio finirono ieri – ammoniva – Noi viviamo già nell’assoluto
perché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente”. Un passo dopo, e siamo alle prese Lucio Fontana, che colloca i vetri multicolori sulla tela nera e li battezza “Concetto spaziale: la luna a Venezia”. Ribalta ogni attesa e ogni convenienza l’artista argentino, proprio come faceva con i celebri tagli: “Io buco, passa l’infinito di lì, passa la luce. Non c’è bisogno di dipingere, invece tutti hanno pensato che volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito, non distrutto”. Ma nel futuro, come vaticinava Umberto Eco, ci sarà chi preferirà “tenersi in casa le sculture cinetiche invece delle vecchie stampe o dei capolavori contemporanei su tela”. Sarà un futuro da temere? Chissà. Non ci resterà che chiederci, come ammoniva Chuck Palahniuk, quando è successo che il futuro da essere una promessa è diventato una minaccia. Sarà forse quel futuro in cui un’autostrada sarà vista come uno spazio-porto, come mostra una geniale fotografia di Michael Najjar, non a caso scelta come simbolo della mostra. E mentre si resterà a guardare l’astronave che atterra, qualcuno forse si domanderà, con William Gibson, perché quel futuro è già arrivato ma è stato così male distribuito. Per tutti varrà la consolante riflessione di Giorgio De Chirico: “Quale sarà il fine della pittura nel futuro? Lo stesso di quello della poesia, della musica e della filosofia – risponde l’artista – Produrre sensazioni che non si conoscevano prima”. La vita ha sempre un senso. E uno scopo felice. (a.d.l.)
Qui sopra, un quadro del futurista Depero e, accanto, “La luna a Venezia”, pietre su tela di Lucio Fontana del 1961 In alto, la foto simbolo della mostra, di Michael Najjar: l’autostrada diventa uno spazioporto
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Stili di vita
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La vita quotidiana presa con humor. Archiviata l’esiziale polemica su Madame, affrontiamo un problema nevralgico per la città
Via i clochard dalle strade di Vicenza Meglio sulle vie di Tebe o sugli alberi? E
saurita l’esiziale questione di Madame al Teatro Olimpico, che tanto ha scosso i fragili nervi di questa città, ivi compresi svenimenti e crisi d’isteria, adombrati personalismi, suscettibilità a pelo d’istrice, permalosità da bolle cutanee (non è mancato niente a parte l’opinione della Madame medesima) passiamo ad occuparci di un tema in confronto più frivolo, quello dei clochard a Vicenza. Nell’ultimo periodo, sotto i portici di Monte Berico, di contrà Santa Lucia, della Basilica o delle vecchie Poste centrali non se ne sono mai visti in così gran numero e camminando per questi luoghi di primo mattino sembra di vivere scene della Grande Depressione. Il tema è delicato: da una parte la necessità di preservare il decoro, dall’altra quella di restare umani. Certo non si può fare come lo sceriffo della ridente cittadina che piglia l’ex-veterano e lievemente disadattato John Rambo e lo porta in centrale per un autolavaggio gratis. Senza considerare poi il rischio di ritrovarsi una città a ferro e fuoco.
D’altro canto, non si può nemmeno permettere che pezzi importanti della città diventino delle minibaraccopoli. D’accordo che la Vicenza cinquecentesca pullulava di straccioni, cenciosi, mendicanti, delinquenti, e vagabondi, ma la nostra odierna sensibilità su sicurezza, decenza, qualità della vita eccetera… ha raggiunto standard così alti (o bassi, a seconda) da far risultare sacrilego perfino il sedersi sui gradini di palazzo Chiericati o della Loggia del Capitanio. Scendendo allora da Monte Berico e osservando gli informi giacigli di fortuna di questi nostri amici senza dimora, mi è venuta un’idea che, come tutti i deficienti, non esito a definire brillante. Dite la chiusura dei portici con grate e inferriate, come è già stato fatto in altri porticati? No, troppo cattivista. Allora la verandatura degli archi trasformando il portico in una confortevole barchessa? No, troppo buonista. Mi sono concentrato invece sul filare di ippocastani di fronte: posto che la maggior parte dei senzatetto un tetto non lo vuole e
che molti di loro preferiscono il nudo porfido alle brande delle strutture assistenziali, perché non costruiamo loro delle casette sugli alberi? A tre metri di altezza, tanti piccoli rifugi fatti con assi di legno, raggiungibili con una scaletta retrattile. E ogni “barbùn” libero di popolare il proprio albero come l’uccel di bosco che desidera essere. Ci pensino su il sindaco e l’assessore al sociale: oltre a essere trendy, green e smart, il Tree Social Village ha anche molteplici vantaggi, pochissimi costi di realizzazione, città più decorosa e vigili urbani finalmente liberi dallo smaltimento di cartoni e coperte. Senza considerare poi che i nuovi abitanti si occuperebbero a titolo gratuito della manutenzione del verde pubblico che li ospita. Gli stessi clochard accoglierebbero con entusiasmo una simile proposta, se non altro perché dormire tra i rami parrebbe meglio che stare sul selciato aspettando il rapinatore generico o lo squadrista attaccabrighe di turno. Tornando all’inizio, si potrebbe anche pensare di destinare l’Olimpico ai
clochard, solo per la notte. Li togliamo dalle vie di Vicenza e li mettiamo su quelle di Tebe. Poi si potrebbe anche mettere Madame sugli alberi, vestita da Tarzan, che pubblicizza il brand cittadino nel mondo. Ma adesso ho mal di testa e ne parliamo la prossima volta. Alberto Graziani
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Spettacoli
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La 25esima edizione. Dal 1° al 10 del mese una rassegna che privilegia i concerti al Querini e al parco della Pace
Le notti di luglio profumano di jazz Festival all’aperto con molti “big” T
ornerà il jazz a luglio, dal 1° al 10 del mese, dopo aver saltato il 2020, cancellato dalla pandemia. Sarà la 25esima edizione per il festival ideato da Riccardo Brazzale nel 1995. E sarà un’edizione che avrà un titolo evocativo: “Una luce al termine della notte”. Si tratta di una citazione dal libro di Celine, “Viaggio al termine della notte”, titolo che peraltro era stato preso di sana pianta già nel 2003 e trasformato in sottotitolo del festival. Ma nessuno penserà a una ripetizione, perché la notte della pandemia è stata davvero lunga e finalmente s’è accesa la luce della nuova vita. Sarà un festival con tre caratteristiche. Prima di tutto si svolgerà in gran parte negli spazi aperti, a cominciare da parco Querini. È stata una scelta obbligata degli organizzatori, vista l’incertezza delle norme sulla pandemia. Comunque, sono previsti concerti anche a palazzo Chiericati e San Lorenzo. Naturalmente se piove, tutti sarà trasferito al teatro comunale che resta l’ancora di salvezza dell’organizzazione. Secondo: il festival inaugurerà l’hangar dell’ex aeroclub di via Sant’Antonino, che rappresenta il primo luogo recuperato del parco della Pace in via di completamento. L’hangar darà spazio anche alla Norvegia per quattro giorni, in un ideale gemellaggio che dimostra quanto la Norvegia sia molto altro al di là dello stoccafisso. Terzo: il “dopo festival” targato Trivellato si svolgerà in molti locali del centro e non soltanto al bar Borsa. E questo è solo l’antipasto di quanto ha in mente l’imprenditore appassionato da jazz, da sempre una colonna portante del festival. Trivellato annuncia che per i cento anni dell’azienda, che cadono l’anno prossimo, ha in programma un impegno ancora maggiore. Personaggi come lui sono dei benemeriti della cultura a Vicenza. Non è stato facile convincere tutti i musicisti a essere presenti a Vicenza. Brazzale parla apertamente di “pacchi” arrivati da jazzisti che, vuoi per l’età vuoi per la paura, non se la sono sentita di confermare gli impegni. Racconta anche che Brad Mehldau s’è addirittura trasferito in Europa per evitare difficoltà con quarantene e divieti.
Il programma giovedì 1 luglio ore 20.30 | Hangar Parco della Pace NILS PETTER MOLVÆR BAND venerdì 2 luglio ore 18.00 | Giardino di S. Corona ALEX SIPIAGIN & MICHELE CALGARO 5tet ore 20.30 | Teatro Comunale - Sala del Ridotto OLIMPICO JAZZ CONTEST. FINALE Giovanni Fochesato, Michele Tino, Matteo Zecchi TRYGVE SEIM “Helsinki Songs” sabato 3 luglio ore 16.00 | Palazzo Chiericati ore 17.30 | Basilica Palladiana In alto da sinistra: Brad Mehldau Luca Trivellato Michele Calgaro Paolo Fresu Riccardo Brazzale
Ma alla fine si è riusciti a varare il programma, che è interessante e ricco di interesse. Ne sono orgogliosi i presentatori che l’hanno illustrato assieme a Brazzale e Trivellato: il sindaco Francesco Rucco, l’assessore alla cultura Simona Siotto, il presidente della fondazione teatro Enrico Hüllweck. Mehldau a parte, numerose sono le star del jazz che illumineranno le notti vicentine, che per forza di cose saranno più limitate rispetto al passato. I concerti sono previsti alle 20.30 ma sono stati aboliti i concerti di mezzanotte. Tra i nomi di spicco, da ricordare Gonzalo Rubalcaba e Aymee Nuviola, il norvegese Nils Petter ma anche il vicentino Michele Calgaro, il grande Paolo Fresu e il messicano Antonio Sanchez, batterista di Pat Metheny, che si presenta con il suo quartetto.
lunedì 5 luglio ore 18 e 19 | Palazzo Chiericati WEST - DIPACE - GALLO “The Last Coat of Pink” ore 20.30 | Parco Querini GONZALO RUBALCABA & AYMÉE NUVIOLA martedì 6 luglio ore 20.30 | Parco Querini BRAD MEHLDAU mercoledì 7 luglio ore 20.30 | Teatro Olimpico FRED HERSCH TRIO con Drew Gress & Joey Baron giovedì 8 luglio ore 20.30 | Giardino di S. Corona MARK LETTIERI BAND
ANAIS DRAGO , “Solitudo”
venerdì 9 luglio ore 18.00 | Palazzo Chiericati
ore 18.00 | Palazzo Leoni Montanari FRANCESCO ZAMPINI new generation residence
QUAI DES BRUMES & STRINGS “Au bord de l’eau” Federico Benedetti Trio & Strings 4tet
ore 20.30 | Hangar Parco della Pace REBEKKA BAKKEN GROUP
ore 20.30 | Parco Querini PAOLO FRESU “HEROES” con Petra Magoni
domenica 4 luglio ore 11.00 | Hangar Parco della Pace CORO E ORCHESTRA DI VICENZA “Missa Criolla” ore 16.00 | Giardino del Teatro Olimpico HAMID DRAKE & PASQUALE MIRRA ore 18.00 | Giardino di S. Corona FLAVIO BOLTRO & FRIENDS ore 20.30 | Hangar Parco della Pace RED KITE
sabato 10 luglio ore 17.00 | Tempio di S. Lorenzo GAVINO MURGIA & FABIO GIACHINO “A Love Supreme” (foto Pino Ninfa) ore 18.30 | Giardino del Teatro Olimpico BARGA JAZZ ENSEMBLE “Hermetico” ore 20.30 | Parco Querini ANTONIO SÁNCHEZ QUARTET con Donny McCaslin / Miguel Zénon / Scott Colley
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Spettacoli
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Il 74° ciclo dei classici. La rassegna curata da Giancarlo Marinelli è intitolata alla “Nemesi” ma ne ribalta il significato
L’Olimpico sarà il tribunale delle carezze Sette i titoli, che comprendono fra l’altro “Histoire du soldat” di Stravinskij, “Antigone”, “Fedra”, “Ester” di Racine tradotto da Giacomo Zanella
Giancarlo Marinelli, curatore della rassegna degli spettacoli classici
I
l 74° ciclo di spettacoli classici al teatro Olimpico, curato da Giancarlo Marinelli, comprende sette titoli, di cui cinque in prima nazionale. Andrà in scena dal 23 settembre al 23 ottobre, per un totale di 28 repliche. Offrirà anche tre concerti nel giardino dell’Olimpico, quattro incontri sui classici, tre appuntamenti del “filò olimpico” con Antonio Stefani, un evento speciale e un incontro-conversazione sul teatro. “Nemesi, ogni viso avrà diritto alle carezze” è il titolo della nuova edizione, ispirata al tema della giustizia e alle molteplici incarnazioni della nemesi nel mito; ma è il sottotitolo (Ogni viso avrà diritto alle carezze), mutuato da un celebre verso di Paul Eluard, a mitigare l’angoscioso presentimento e a ribaltare il ruolo della dea, “capace di prendere la vendetta e farla diventare riscatto”. Le carezze raccontano infatti il desiderio, ricompensato, di tenerezza e il suo proiettarsi, dopo tanta sofferenza, alla ricerca di nuove visioni (Sorelle di Speranza, come la raccolta in versi del poeta francese cui il titolo dei classici rimanda); visioni non banalmente consolatorie, ma portatrici di nuove energie e prospettive di ripresa, nel segno forte della giovinezza e dell’eterno femminino: Nemesi, Giustizia, Carezza, Giovinezza, Speranza. Come Vicenza. Ogni nome è un nome di donna. Come sottolinea Giancarlo Marinelli, il teatro Olimpico si trasformerà nel “Tribunale delle carezze”. Il ciclo sarà aperto da “Histoire du Soldat”, una scelta che non ha solo a che fare con la ricorrenza dei 50 anni dalla morte di Igor Stravinskij, ma è profondamente legata al tema della nuova edizione. Lo spettacolo - in prima nazionale - musica di Igor Stravinskij, libretto di Charles Ferdinand Ramuz, nella versione di Giancarlo Marinelli, qui anche regista, avrà come voce narrante Drusilla Foer, mentre André De La Roche sarà il diavolo (e coreografo) e Beatrice Venezi la direttrice d’orchestra a guidare nell’esecuzione dal vivo l’ensemble dell’Orchestra del teatro olimpico. Sarà in scena giovedì 23, venerdì 24, sabato 25 e domenica 26 settembre alle 21. Il secondo titolo sarà una produzione del Teatro dei Borgia: “Eracle l’invisibile”, uno spettacolo tratto da Euripide, drammaturgia di Fabrizio Sinisi, con Chri-
stian di Domenico, progetto e regia di Gianpiero Alighiero Borgia, in programma da martedì 28 settembre a domenica 3 ottobre (alle 18 e alle 21, alcuni giorni in doppia recita), sulla terrazza de teatro comunale di Vicenza. Due recite serali e una pomeridiana sono previste per “Antigone”, da Sofocle, una produzione di Tema Cultura in prima nazionale, all’Olimpico venerdì 1° ottobre alle 21, sabato 2 alle 21.30 e domenica 3 alle 18. La rivisitazione della tragedia è di Giovanna Cordova, che è anche regista. Nel ruolo maschile di Creonte ci sarà Ivana Monti; la coreografia è a cura di Silvia Bennett. “Fedra” sarà in programma all’Olimpico venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 ottobre alle 21. È una nuova produzione con una drammaturgia originale tratta da Seneca e Racine, firmata da Francesco Niccolini, per la regia di Giuseppe Miale di Mauro e con una protagonista assoluta come Anna Bonaiuto, per la prima volta al teatro Olimpico, accompagnata da uno straordinario Fabio Sartor, con Martino Duane e Ivan Castiglione. “Sirene, l’ultimo incanto” in prima nazionale, è una produzione Theama Teatro con Stefania Carlesso, Patrizia Laquidara e Anna Zago, in scena da mercoledì 13 ottobre a domenica 17 ottobre alle 21. Jean Racine sarà all’Olimpico con “Ester”, potente tragedia di ispirazione biblica portata in scena dai giovani attori di Tema Cultura Academy in prima nazionale, sabato 16 ottobre alle 21 e domenica 17 alle 18. L’opera si presenta nella raffinata traduzione di Giacomo Zanella. Il ciclo dei classici edizione si chiuderà, nell’anno delle celebrazioni dantesche, con un viaggio in musica, nei cinque canti più noti della Divina commedia: Disco Inferno, Viaggio all’inferno di un’attrice e un dj in programma venerdì 22 e sabato 23 ottobre alle 21. Protagonisti saranno l’attrice Lucilla Giagnoni, appassionata narratrice della Commedia, proporrà i migliori versi della prima Cantica, raccontata dalla voce e trasfigurato dall’esperienza sonora del dj Alessio Bertallot; moderno Caronte, il musicista, cantante e autore accompagnerà gli spettatori oltre le barriere del suono, passando dal jazz alla musica elettronica.
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Spettacoli
Il concerto. Il 10 settembre suonerà in piazza dei Signori Francesco De Gregori. L’ultima volta si esibì 24 anni fa al palasport
Quando il gemello italiano di Bob Dylan regalava emozioni e batticuore a Vicenza È
sempre un avvenimento quando Francesco De Gregori sale sul palco. Perché il “gemello italiano di Bob Dylan”, definizione di Toni Stefani, regala emozioni e sentimenti da cinquant’anni a questa parte. Ormai almeno un paio di generazioni hanno vissuto con la colonna sonora delle sue canzoni in sottofondo. I ragazzi che lo ascoltavano agli inizi degli anni Settanta ora sono più vicini ai settanta che ai sessanta ma l’animo è rimasto quello di un tempo. E lui i settanta li ha già toccati il 4 aprile scorso, ma non ha perso la voglia di stare sul palco. Il 10 settembre, facendo tutti gli scongiuri del caso, terrà un concerto in piazza dei Signori a Vicenza, nel salotto della città, a ventiquattro anni di distanza dall’ultimo concerto vicentino. Era il 4 febbraio 1997 e davanti alla folla del palasport De Gregori recuperò la data che aveva saltato il 17 gennaio, quando fu obbligato a dare forfait a causa dell’influenza. A Vicenza era sindaco Marino Quaresimin che stava lavorando al nuovo Campo Marzo. L’aeroporto Dal Molin con la sua Quinta Ataf era il centro di coordinamento che sovrintedeva l’intervento della Nato in Bosnia. Il Vicenza calcio di Francesco Guidolin viveva il suo momento d’oro: il 24 novembre era arrivato in vetta alla classifica di serie A, mentre proseguiva la marcia che lo avrebbe portato a maggio, a vincere la Coppa Italia. Quell’anno sarà ricordato anche per la “battaglia di Vancimuglio” con i Cobas del latte che innaffiarono di letame le forze dell’ordine che cercavano di farli desistere dall’occupazione dei terreni. Riportiamo qui di seguito ampi stralci della recensione, un autentico pezzo di bravura, che Toni Stefani dedicò al concerto di De Gregori, apparsa su Il Giornale di Vicenza del 6 febbraio.
Da una parte l’universo dylaniano, interminato e ancora in fermento, gli spazi americani, il pulsare nervoso di un rock essenziale, il respiro di cieli senza orizzonte. Dall’altra, le highway che si trasformano in autostrade nostrane, i block metropolitani d’oltreoceano che diventano borgate popolate di casermoni e campetti di calcio. Con la stessa voglia di descrivere lacerazioni pubbliche e private, mettere in forma di
Accanto, un ritratto recente di Francesco De Gregori. A lato un ritaglio de Il Giornale di Vicenza con l’eloquente titolo del concerto tenuto da De Gregori nel 1998 a Vicenza, quando aveva 46 anni
canzone un amore o uno schiaffo civile. Corre così, da un quarto di secolo, tenera e ruvida, la vicenda dell’ormai 46enne professor (“che poi, andiamo, è ora di finirla con questa storia del professore, semmai avrei l’età per fare il preside”) Francesco De Gregori di Roma. Oggi di nuovo in tour per accompagnare l’uscita di “Prendere e lasciare”, ennesimo esercizio di uno stile semplice e ricercato a un tempo, impastato di parole mai casuali e di sonorità inquiete quanto eleganti. Assieme a una robusta band di otto elementi, composta da vecchie glorie e da giovani che sanno già il mestiere, De Gregori compone una scaletta aperta con disinvoltura fra pezzi nuovi e gli attesi classici, regalando agli aficionados un autentico concentrato di momenti da batticuore, una cavalcata da seguire ripetendo, assieme a lui, i versi ascoltati cento volte del disco e penetrati davvero sottopelle. Non è soltanto questione di incipit storici, come l’inevitabile “e qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure”: gli anni agrodolci di “Rimmel” sono anche il presente dell’impietosa, incalzante “L’agnello di Dio” e di quella morbidissima “Compagni di viaggio” che le radio trasmettono a ogni ora di questi giorni. Preferite il De Gregori dal mordente elettrico? Eccovi serviti con “Sangue su sangue”. Volete che vi faccia un po’ commuovere? “La donna cannone”, pur se in una versione asciutta, rimane una gemma rara. In due ore calde e tirate senza risparmio, tra i 25 titoli c’è posto per tutto o quasi. Per la “Leva calcistica” e “Generale”, per “Alice” - altra pagina generazionale - e l’epopea di “Titanic” per “Mannaggia alla musica” e per ricordare che “non c’è niente da capire”, per ripassare “Buffalo Bill” ma anche per “Battere e levare”. E, sempre rimanendo in tema di cose ultime, la delicata versione della friulana “Stelutis alpinis” che da canto di montagna diventa una perfetta ballata country, o la pittorica ed enigmatica “Un guanto”. Una caduta sciistica lo rende un pizzico claudicante, il De Gregori, ma c’è da giurare che pur questo è un segno del destino, dato che Dylan zoppica dall’epoca dell’incidente in moto. Come al gemello statunitense, anche al cantautore italiano basta imbracciare l’acustica e soffiare nell’armonica per far correre i brividi lungo la schiena dei presenti. La barba rossiccia è quella d’ordinanza, l’incipiente pelata non gode della protezione di cappelli e berretti nidi sorta. Ma la voce è quella, presente e distratta, che tutti si aspettano, il tocco sulle corde è, secondo il caso, carezzevole o di incisiva durezza, le luci transitano, fra toni pastosi o freddi, sulle gambe del bianco.
Il personaggio
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Il personaggio. Primo Valente è l’autore delle vignette con il gatto tifoso che spopolano sui social. Ora arriva il libro
Per quel micio il Lane è sempre Primo È
tifoso del Lane. E lo raffigura per interposto gatto biancorosso. Primo Valente, 62 anni, da un paio d’anni si diletta a disegnare vignette raffiguranti un micio tifoso biancorosso, un gattone di strada che ovviamente stravede per la maglia del Lanerossi. Le posta sui social e il riscontro è notevole. L’autore ha ancor più merito se si pensa che per Valente l’attività di disegnatore è iniziata per caso. “Non sono un professionista, anche se ho sempre avuto la passione per disegnare – spiega - L’ho sempre fatto nella mia vita, ma adesso che sono in pensione ho iniziato a farlo con grande continuità”. Primo Valente era un collaboratore scolastico alla scuola primaria: “Lì avevo bisogno di trovare un punto d’incontro con i bambini, un punto di dialogo con gli alunni e così ho iniziato facendo per loro dei disegni alla lavagna. Inizialmente facevo personaggi più conosciuti, come Snoopy e Paperino”. Fu il personaggio di Schultz, Snoopy, a dare il la alla passione per il disegno a tinte biancorosse: “A scuola i miei disegni erano diventati un tormentone, i bambini mi chiedevano sempre di lasciar loro un disegno alla lavagna - continua il vignettista - A un certo punto, mia moglie mi suggerì di creare
Un’immagine di Primo Valente, disegnatore con mano felice
un personaggio mio, che fosse più legato a Vicenza rispetto a Snoopy. Così è arrivato il gatto, da sempre simbolo della nostra squadra. Tuttavia, invece che fare il solito gatto carino da mettere sul comodino ho voluto fare qualcosa di diverso: un gatto di strada, spelacchiato, che uscisse un po’ dagli schemi, e ho iniziato a disegnarlo, pubblicando le vignette dopo le partite. Sono due anni che lo faccio con costanza, da quando è iniziata la nostra risalita dalla serie C. Mi sto divertendo moltissimo e non sono stato l’unico visti i riscontri positivi. L’intervento a “Diretta Bianco-
rossa” su Tv A di Sara Pinna mi ha dato ulteriore luce. Mi sto divertendo e se il riscontro continuerà ad essere positivo penso di continuare”. Il micio di Valente riflette gli umori dei tifosi del Vicenza: segue tutte le partite e non si lascia sfuggire nemmeno un dettaglio, conosce la storia del Lanerossi a memoria, tanto che omaggia i da poco scomparsi Paolo Rossi ed Ernesto Galli. Si arrabbia quando la squadra non riesce a vincere e tiene in casa un quadro in cui ha la maglia incorniciata. Non può comunque mancare un pen-
siero sul Vicenza da parte dell’autore: “Sono contento e soddisfatto della salvezza: l’obiettivo è stato raggiunto e l’abbiamo raggiunto in un campionato per niente normale. Non era facile ma ce l’abbiamo fatta, senza nemmeno soffrire eccessivamente, senza stare a sgomitare con gli ultimi in classifica”. In chiusura, Valente annuncia: “Stamperò qualche copia delle mie vignette, che sto raccogliendo in un libro. Ovviamente saranno a tiratura limitata, ma spero che possano interessare”. Edoardo Ferrio
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#Regione
Il dibattito. Dopo i toni accesi in Consiglio Regionale lo scontro si è spostato in Commissione affari istituzionali
L’inchiesta sulla gestione della pandemia infiamma il confronto fra i consiglieri M
entre finalmente il Covid sta allentando la presa, in termini di contagi e ricoveri, arde ancora il fuoco della polemica sulla gestione della pandemia e in particolare della seconda ondata che ha visto il Veneto alle prese numeri importanti e decisioni contestate. Dopo il dibattito in consiglio regionale il confronto si è spostato in commissione Affari istituzionali sull’istituzione e si è fatto particolarmente vivace sull’istituzione della commissione regionale di inchiesta sulla gestione della pandemia. Motivo del contendere, le due distinte iniziative legislative per l’avvio di una commissione speciale di studio e approfondimento. La prima proposta, primo firmatario il capogruppo del Pd Giacomo Possamai e sottoscritta dagli altri consiglieri di opposizione, presentata a seguito della seduta ‘fiume’ della commissione Sanità di confronto con il presidente Zaia, chiede di mettere sotto i riflettori la gestione in Veneto della seconda fase della pandemia e, in particolare, l’impennata nel numero di contagiati e di morti che si è verificata in Veneto tra ottobre 2020 e marzo 2021. Periodo nel quale “sono morte per Covid in Veneto il quadruplo delle persone morte nei sette mesi precedenti”. La seconda proposta di delibera, presentata dai due capigruppo della coalizione leghista Alberto Villanova e
Luciano Sandonà
Giuseppe Pan, chiede, invece, la riattivazione della commissione speciale di inchiesta sulle case di riposo, avviata a maggio 2020 sul finire della precedente legislatura e decaduta con il suo termine. La commissione d’inchiesta, nelle intenzioni dei proponenti, dovrebbe allargare il raggio di studio e approfondimento a tutto il periodo della pandemia “al fine di comprendere le azioni adottate dalla Regione del Veneto nel contrasto della pandemia”. Quattro pertanto i punti di divergenza evidenziati nel primo confronto in commissione: il ‘focus’ della commissione d’inchiesta; la pubblicità dei lavori; gli interlocutori da ascoltare; e, infine, la collaborazione diretta con l’autorità giudiziaria. Nel corso della discussione il
capogruppo del Pd Possamai e la vicepresidente dem della commissione Vanessa Camani hanno definito una ‘forzatura’ l’iniziativa della maggioranza di presentare un provvedimento istitutivo che si sovrappone a quello presentato dalle opposizioni, sottraendo alla minoranza una delle prerogative democratiche. È un sopruso gratuito, un messaggio prevaricatore per rendere ancora più difficoltosi i rapporti - attacca il capogruppo Giacomo Possamai - I veneti attendono risposte: la commissione d’inchiesta deve avere un perimetro d’azione chiaro e preciso, per consentire di arrivare rapidamente ad affrontare le questioni più rilevanti. Per quanto riguarda la pubblicità, di solito le commissioni d’inchiesta sono a porte chiuse
per un motivo semplice: tutelare i soggetti sensibili che andiamo ad ascoltare. La commissione d’inchiesta non è un talk show né un tribunale”. Il portavoce dell’opposizione Arturo Lorenzoni e la consigliera Elena Ostanel (Il Veneto che vogliamo) hanno ribadito la natura di studio e approfondimento della commissione, invitando a non equipararla ad un “tribunale’ e a garantire alle persone convocate la possibilità di esprimersi liberamente, con la scelta di secretare i lavori. Dai banchi della maggioranza il capogruppo della lista Zaia Villanova, i consiglieri della Liga veneta Marzio Favero, Enrico Corsi e Laura Cestari, Tomas Piccinini di Veneta Autonomia e Raffaele Speranzon, capogruppo di Fratel-
li d’Italia, hanno contestato la natura ‘politica’ e ‘pregiudizievole’ della richiesta delle opposizioni, sostenendo che la loro proposta istitutiva è volta ad isolare un singolo aspetto nella gestione della pandemia e a delimitare il campo degli interlocutori da ascoltare allo scopo di dimostrare un ‘teorema’ accusatorio più che di perseguire la ricerca della verità. Ancora più diretto Luciano Sandonà (Zaia Presidente), che oltretutto presiede la commissione affari istituzionali: “Chiederemo al Consiglio regionale che la commissione d’inchiesta sia accessibile a tutti, senza filtri, secondo un dovere di trasparenza e informazione che è diritto di tutti i veneti. Proponiamo anche di estendere l’inchiesta all’intero periodo Covid, non solo agli ultimi mesi come chiede la sinistra. Chiameremo a testimoniare i più autorevoli scienziati italiani e non è escluso che chiederemo l’intervento anche degli studiosi inglesi che hanno diffuso nei giorni scorsi un’importante ricerca che illustra che, in un’ottica di sanità pubblica, la diagnosi di riferimento non è rappresentata dal tampone molecolare, bensì dal test rapido. Risponderemo così con i fatti ad una sinistra che vorrebbe scienza e medicina al servizio della più becera strumentalizzazione politica”.
Zaia: “Nulla da nascondere, sempre agito nella legalità; chi non è convinto vada in Procura” “Non abbiamo nulla da nascondere e non ci sentiamo neanche nella condizione di essere trattati come dei lazzaroni o di poco di buono”. Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, dopo giorni di polemiche sulla gestione della pandemia e in particolare della seconda ondata, in quasi un’ora di intervento in Consiglio Regionale ha ricostruito passo passo, scelta dopo scelta, i 15 mesi segnati dal Covid, spiegando nel dettaglio le misure, le decisioni, i cambi di
rotta, i passi avanti. Quindi la conclusione accorata: “Fin dal primo giorno sono stato criticato per la quarantena dei ragazzi, siamo stati criticati per il pungidito che non serve a niente, siamo stati criticati per i tamponi, siamo stati criticati per tutto quello che abbiamo fatto: non c’è nulla che abbia funzionato. Mi spiace perché abbiamo cercato di buttare il cuore oltre l’ostacolo. Non c’erano le istruzioni per l’uso, hanno sbagliato gli scienziati, ma noi non siamo perfetti. Io
non vengo qua né a giustificarmi e né a farmi processare, ma vengo qua a dirvi come è stata questa storia”. Zaia ha ricordato anche l’impatto sociale della pandemia, l’impegno del mondo sanitario, le tragedie familiari. “Guardate, noi ci mettiamo la faccia tutti i giorni. Abbiamo preso decisioni codificate, comunque sancite dalla legge, perché i miei tecnici sanno che la mia parola d’ordine è sempre una, gliela potrei far dire a tutti, che è legalità, ma comunque van-
no prese le decisioni. A me quelli che giocano la schedina lunedì mattina mi fanno sorridere: non è facile gestire questa tragedia, mai avrei pensato da amministratore di trovarmi davanti a questa tragedia. Se siete così convinti, che ci sia qualcosa di illegale, gestito in maniera maldestra, che ravveda responsabilità personali, metteteci la faccia una volta: andate in Procura e fate una denuncia. Almeno chiariremo una volta per tutte la verità”.
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Regione
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Stagione estiva. Prospettive positive sulla ripartenza del settore turistico e degli stabilimenti balneari
“Confermata la Bandiera Blu e prenotazioni in arrivo per le spiagge del Delta”
L
a stagione estiva è ormai alle porte. Un altro anno segnato dalla pandemia, ma nel territorio del Delta si respira finalmente aria di ottimismo, complici i dati sull’andamento delle prenotazioni e della stagionalità per il 2021 e la conferma del riconoscimento della Bandiera Blu. Nel 2021 sono state 416 le spiagge premiate con il riconoscimento assegnato dalla Foundation for Environmental Education (FEE) ai comuni che garantiscono qualità delle acque, dei servizi offerti e di gestione ambientale. “Tra queste – evidenzia Michele Ghezzo, presidente del Consorzio Promozione turistica Delta del Po –, anche quest’anno ci sono quelle di Rosolina e Porto Tolle. Un motivo di orgoglio per tutto il territorio”. Inoltre, “il bel tempo, il miglioramento della situazione epidemiologica e il progressivo allentamento delle restrizioni, nelle ultime settimane, hanno avuto un impatto positivo sulle prenotazioni, che stanno arrivando a ritmo costante. Siamo molto soddisfatti, perché prevediamo che questa stagione estiva si riveli nettamen-
te migliore di quella passata” continua il presidente. “Il territorio del Delta del Po sta riscuotendo sempre più interesse nella popolazione veneta e straniera. Siamo dotati
di spazi ampi e spiagge profonde, oltre a offrire escursioni di tipo naturalistico. Non bisogna infatti dimenticare che la natura e la salvaguardia dell’ambiente, due aspetti su cui la destinazione punta
molto, stanno assumendo sempre più valore per i turisti” aggiunge. A ciò si sono poi sommate le recenti novità introdotte a seguito della cabina di regia del 17 maggio: “Anche se la speranza era quella di poter aprire i ristoranti al chiuso anche prima del 1° giugno – afferma Ghezzo –, questa data è incoraggiante. Lo stesso si può dire dello spostamento del coprifuoco alle 23, che poi verrà allentato alle 24 e, infine, dal 21 giugno abolito. Per questo, per la stagione estiva, nonostante il danno, la prospettiva è positiva”. Niente di nuovo poi in termini di distanziamento tra ombrelloni e norme di comportamento rispetto al 2020: “Le regole – aggiunge il presidente del Consorzio – sono le stesse dello scorso anno. Si tratta di dinamiche collaudate e che ormai rappresentano un dato di fatto. In più, gli ospiti hanno imparato ad apprezzarne gli aspetti positivi”. E conclude: “Non è un liberi tutti. Dobbiamo continuare a rispettare le regole con consapevolezza e attenzione, ma ci si può comunque rilassare e divertire”. Gaia Ferrarese
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L’intervista
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L’intervista. E’ presidente della giuria del Premio Campiello, la finale a settembre
“Da scrittore e lettore amo le storie e le vite degli altri”
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’è chi lo indica come possibile Presidente della Repubblica, ma lui della sua “vita precedente”, come la definisce, non vuole parlare. A Walter Veltroni, 65 anni, basta il suo incarico di presidente della giuria del premio Campiello. L’ha voluto il presidente degli industriali veneti, Enrico Carraro, che organizzano il premio e gli ha affidato un compito non semplice: dai 360 titoli giunti la giuria ha appena distillato la cinquina finalista dopo la riunione al Bo di Padova. La finale, dalla quale uscirà il SuperCampiello, si svolgerà il 4 settembre all’Arsenale di Venezia. Presidente, lei si sente più giornalista, scrittore o regista? “Quello che mi piace è ascoltare e raccontare delle storie. E questo si può fare in tanti modi: scrivendo, con il cinema, con i documentari; Vecchioni che è in giuria con me lo fa con le canzoni”. In una parola, le interessa la vita degli altri “La motivazione è quella. Il che rende difficile scegliere una forma rispetto alle altre”. Lei ha scritto molti libri: ce n’è uno che preferisce? “Quello cui sono più affezionato è il libro su mio padre, che si intitola “Ciao”. Lui è morto molto giovane e non l’ho conosciuto. Abitava al piano di sopra rispetto a dove abito io del tutto casualmente, e così ho immaginato di incontrarlo sul pianerottolo, di invitarlo a casa mia e di parlargli”. Il suo ultimo libro è “Tana libera tutti”, che racconta la vita di Sami Modiano, bambino uscito vivo da Auschwitz. Perché ha voluto raccontare questa storia così dolorosa? “Perché una vicenda di questo tipo, che fa vedere dove l’uomo è capace di arrivare, rischia di cre-
are paura. E allo stesso tempo è una storia straordinaria, che non si deve dimenticare. Per questo ho usato lo stesso linguaggio di Sami, persona di grande dolcezza, il bambino che sognava di giocare a nascondino e di battere la mano sull’albero e dire, appunto, Tana libera tutti. Ma era ad Auschwitz”. C’è un libro che non ha ancora scritto? “Tanti. Quello che non mi manca sono gli spunti, le idee. Mi sono appuntato tante storie. Non so ancora quale sceglierò”. Qual è il film che ha girato che le piace di più? “Dal punto di vista civile, potrei rispondere il film su Berlinguer o quello su Sami Modiano. Ma quello che mi è piaciuto di più è “I bambini sanno”, dedicato ai bambini dai 9 ai 13 anni che ho intervistato in giro per l’Italia”. Lo scrittore che ha amato di più da giovane? “Italo Calvino” Che magari avrà anche conosciuto… “No, e mi dispiace molto. Ma questa immaterialità di Calvino mi ha accompagnato nella lettura delle sue opere libero dal condizionamento che deriva da una conoscenza diretta”. Lo scrittore che le piace adesso qual è? “Tra gli stranieri Ian McEwan, tra gli italiani Sandro Veronesi”. È più difficile girare un bel film o scrivere un buon libro? “Se si ha una buona idea e l’umiltà di provare e riprovare, non è difficile né l’uno né l’altro”. Un libro di un altro che le sarebbe piaciuto scrivere “Una valanga. A me piace molto il realismo magico, la letteratura sudamericana e quindi rispondo Triste, solitario e finale di Osvaldo
Soriano”. Lei ha una produzione impressionante: ma quando scrive? “Ho sempre avuto facilità e rapidità di scrittura. Deve essere merito di mio padre giornalista. Per me è un lavoro: inizio alle otto di mattina e finisco alla sera”. One shot, come si dice, e va bene così? “Macché, sulla pagina ci torno e ci ritorno”. Ha scritto “Odiare l’odio”: perché? “Perché temo che l’odio stia diventando un codice di comunicazione del nostro tempo. Siccome ho vissuto un tempo di odio che è stato quello del terrorismo e avverto la fragilità politico-istituzionale di questo momento, ho paura che la diffusione dell’odio, di ogni forma di odio, politico, razziale, religioso, sessuale cioè l’idea della negazione della bellezza dell’altro, diventi una specie di senso comune. Quindi ho cercato di scrivere per ribellarmi”. Dal libro alla musica: lei ha firmato il film “Il concerto ritrovato”, l’incontro tra la Pfm e De Andrè. Cosa l’ha colpita? “De Andrè e la Pfm sono proprio l’esempio di un incontro con l’altro: cosa c’era di più lontano della musica d’autore coltissima di De Andrè e del rock progressivo della Pfm? Invece si sono incrociati, hanno avuto l’umiltà e il coraggio di lavorare insieme e hanno prodotto qualcosa di nuovo. Come sempre accade nella vita: quando due diversità si incontrano si genera vita nuova”. Lei è diventato anche una canzone dei Garage gang. Capita a pochissimi, quasi una consacrazione. “Mi ha molto divertito…” A proposito di musica: lei era
Walter Veltroni
“Avverto la fragilità politico-istituzionale di questo momento, ho paura che la diffusione dell’odio, cioè l’idea della negazione della bellezza dell’altro, diventi una specie di senso comune” amico di Morricone, che partecipò perfino alle primarie del suo nuovo Pd. “Certo, ero suo amico. L’ho visto poco tempo prima che se ne andasse, in una singolare circostanza. Eravamo andati lui, io, Francesco Totti e Giovanni Malagò a vedere la mostra su Sergio Leone per i trent’anni della scomparsa. È stato molto bello vederla con lui”. Lei ha firmato un film sugli indizi di felicità. Risponda: che cos’è la felicità? “È proprio la ricerca della felicità. È un viaggio, il dubbio, la voglia di scoprire volti nuovi”. Lei ha diretto anche “C’è tempo”. Ma abbiamo veramente tempo? “Sì, c’è tempo vuol dire vivere la vita non ossessionati da questo presentismo che ci uccide e che ci fa vivere rinchiusi dentro le 24 ore
dove confondiamo temporali che in realtà sono pioggerelline”. In una recensione del suo commissario Buonvino è stato scritto: a furia di leggere Veltroni si diventa veltroniani “Non so chi l’abbia scritto però mi fa piacere… Buonvino è un personaggio particolare, un eroe triste e malinconico che è caduto e risalito, che avrebbe tante ragioni per non amare la vita ma in fondo la guarda con un occhio dolce, che è molto intelligente ma non se la tira… È una persona che mi piacerebbe conoscere”. Ha un modello tra gli scrittori di gialli? “Agatha Christie”. L’imitazione che fa di lei Crozza la fa arrabbiare o divertire? “Mi diverto, devo dire anche con quella che faceva Guzzanti”. Antonio Di Lorenzo
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Novità letteraria. Romanzo d’esordio di Germana Urbani, padovana, giornalista e docente, già direttore de “La Piazza”
“Chi se non noi”: amore e illusione tra cielo e acqua A
nziché un orologio come ai suoi fratelli, per la prima comunione il nonno regala a Maria una Polaroid: è affascinata dallo spazio intorno a lei e sogna di diventare architetto da grande, di andare a vivere in città e indossare “scarpe violette magari tutti i giorni per andare in giro, a godersi la bellezza, profumando di buono”. E, anche se suo padre le ha detto che “i sogni non si realizzano mai”, Maria ce la fa: si laurea, va ad abitare a Ferrara, lavora a Bologna nello studio di un importante architetto, frequenta i convegni di bioarchitettura e le mostre dei fotografi che tanto ama, insomma ha la vita che ha sempre desiderato. Eppure, ogni venerdì torna nel Delta del Po, quel mondo paludoso che avrebbe preferito dimenticare se Luca, l’uomo che ama con un’intensità febbrile, non fosse stato così legato a quella terra. Lui
Il libro scava nei sentimenti e si immerge nelle pieghe più intime della mente, sullo sfondo il paesaggio del Delta del Po è criptico, ambiguo, manipolatore, alterna sprezzo a dolcezza. E, quando la lascia, è come se un’onda di piena si rovesciasse sotto quegli “immensi cieli color cicoria”. Germana Urbani, nata e cresciuta a Urbana, in provincia di Padova, è un’insegnante e ha lavorato come giornalista per numerose testate venete, in particolare “La Piazza”, di cui è stata a lungo direttore. Prima di dedicarsi alla narrativa lunga, ha pubblicato numerosi racconti in svariate riviste letterarie. Chi se non noi è il suo primo romanzo che, per dirla con l’autrice, “è rimasto molti anni nel cassetto”. Nel suo romanzo d’esordio, la scrittrice ha voluto immergersi – proprio come un palombaro si inabissa per portare alla luce preziosi reperti – senza remora “nelle pieghe più intime della mente di una donna” e nelle falsità e dolorose contraddizioni che portano allo svilimento dei rapporti umani e alla sofferente rottura. Germana Urbani con il suo tocco che evidenzia una rara e preziosa sensi-
bilità “scova il nodo che può legare l’amore più ingenuo e il dolore più accecante, sfuma i confini opachi tra passione e follia”. Un’altra componente che l’autrice non trascura è la dimensione storica che si intreccia indissolubilmente con la narrazione, presentando un Polesine ancora lo-
La testimonianza dell’autrice
“Il Delta nel cuore, che emozione raccontarlo”
gorato nel territorio e nelle storie familiari dal ricordo della grande alluvione del ’51. Chi se non noi si presenta così al lettore: come un vortice in grado di trascinarti e costringerti a confrontarti con “le pulsioni più oscure” della propria mente. Samuele Contiero
Quando ho dovuto decidere dove ambientare la storia che volevo raccontare ho pensato quasi subito al Delta del Po polesano, un luogo bellissimo che ho imparato a conoscere proprio lavorando al giornale La Piazza. Iniziai dal Polesine, infatti, e fu amore a prima vista per questa terra e la sua gente: fui assunta al giornale come redattrice delle edizioni rodigine, curavo Rovigo, Adria, Delta e Basso Polesine, con Badia, Lendinara e Occhiobello. Conoscevo poco le zone e, nei primi tempi, andai diverse volte a intervistare amministratori, commercianti e ad incontrare i collaboratori. Scattavo molte foto, perché si tratta di zone bellissime del nostro Veneto, anche se poco celebrate nei romanzi degli scrittori veneti. Grande cantore ne fu sicuramente Gianantonio Cibotto, le cui opere andrebbero sostenute di più sia nelle scuole che negli ambienti letterari. Il Delta, in particolare modo, mi colpì subito per il suo essere una terra lontana, di confine, affascinante per un forestiero come me eppure respingente per i giovani che andavano a studiare fuori con la speranza di non tornare. Forse perché piena di contraddizioni che, come giornalisti, abbiamo cercato di raccontare dando spazio a tutte le voci in campo: amministratori, ambientalisti, imprenditori, persino a Enel quando ancora il dibattito era aperto sul futuro della centrale. Certo è che gli anni in cui ho lavorato a la Piazza e scritto di questi posti, sono stati fondamentali per la scrittura di questo mio romanzo d’esordio. E mi piace ricordarlo, vado fiera del lavoro fatto, e spero che chi leggerà il romanzo senta forte l’impulso a partire per il nostro Delta del Po. Germana Urbani
MAGGIO 2021
Salute Le campagne di sensibilizzazione
Social e musica per raccontare l’importanza del vaccino ai giovani Il “musicalscientifico” di Lorenzo Baglioni
“S
Da Tik Tok a Instagram, influencer e vip parlano ai ragazzi del vaccino anti-Covid
i può raccontare il concetto di immunità di gregge con un musical? Si può raccontare la matematica che sta dietro al funzionamento dei vaccini passando da “Sarà perché ti amo” al “Pulcino Pio” o, per la variante inglese, da Bohemian Rhapsody a The final countdown? Noi ci abbiamo provato, insieme a un Comitato Scientifico di primo ordine”. Sensibilizzare al vaccino e spiegare l’obiettivo da raggiungere ovvero l’immunità di gregge è diventato ormai un tema ispiratore per più di un’artista. Molti personaggi del mondo dello spettacolo e della musica si sono messi a disposizione per comunicare in un linguaggio più leggero e diretto, soprattutto rivolto alle giovani generazioni, ma non solo, l’importanza della vaccinazione in questa lotta contro il Covid.
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Salute
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Consulenza scientifica Un questionario per affrontare il dopo Covid LA RICERCA. Iniziativa dell’Osservatorio della coesione sociale Hyperion
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n veloce questionario on line, rivolto a tutti i veneti, per capire quale impatto ha avuto questo lungo periodo di pandemia sul tessuto sociale. A metterlo a punto e proporlo è l’Osservatorio della coesione sociale Hyperion dell’Università di Padova, come primo passo di una ricerca relativa al grado di “salute circolare” dei cittadini della Regione Veneto. Parallelamente al monitoraggio dell’andamento della coesione sociale, unico in Veneto e in Italia, portato avanti da aprile 2020 con una costante rilevazione settimanale dell’indice di coesione della comunità, Hyperion ha predisposto uno strumento per osservare ciò che viene “messo in circolo” in termini LAdella RICERCA. dell’Osservatorio della coesione sociale Hyperion di promozione salute tra Iniziativa i cittadini, da qui l’espressione di “Salute circolare”. Ne parliamo con il professor Gian Piero Turchi, docente di psicologia clinica e psicologia delle differenze culturali all’Università di Padovaon nonché direttore dell’Osservaton veloce questionario line, rivolto re la diffusione del contagio. Vogliamo rio Hyperion. a tutti i veneti, per capire quale imaiutare i cittadini a capire la distinzione Professore, come nasce l’idea didiquesto sondaggio? patto ha avuto questo lungo periodo fra l’emergenza sanitaria e il modo in cui “Dopo aver mappato dueAmilioni pandemia sul tessuto sociale. metterlodi forme testuali per interagiamo con gli altri. Adesso ci stiamonitorare in questo anno il grado a punto e proporlo è l’Osservatorio della di coesione sociamo affidando al vaccino come soluzione le, abbiamo deciso di estendere la ricerca e chiedere la coesione sociale Hyperion dell’Universifinale, ma il vaccino non risolverà tutto. collaborazione dei primo cittadini, tà di Padova, come passoinvitati di una a compilare il queSe non coinvolgiamo la comunità dei stionario. E’ sufficiente un quarto ricerca relativa al grado di “salute circo-d’ora per rispondere Il professor Gian Piero Turchi cittadini e le loro forme di interazione il alle sull’impatto del Covid nella nostra vita lare”25 deidomande cittadini della Regione Veneto. vaccino potrebbe rivelarsi una soluzione quotidiana. I dati che raccoglieremo Se non coinvolgiamo Parallelamente al monitoraggio dell’an-ci saranno molto uti- ma il vaccino non risolverà posticcia etutto. temporanea”. lidamento per dare indicazioni comeunico guardare oltre alla fase la comunità dei cittadini e le loro forme della coesione su sociale, Il questionario comedisi interazione lega al lavoroil dell’emergenza sanitaria e concentrarsi una soluzione posticcia e temin Veneto e in Italia, portato avanti da sulla dimensione vaccino potrebbe rivelarsi di Hyperion? sociale, sulle frarilevazione le persone. Il questionario si poranea”. aprile 2020 coninterazioni una costante “Siamo bombardati di informazioIl professor Gian Piero Turchi trova sulla pagina Facebook e sul sito web dell’OsservaIl questionario come si lega almalavoro di Hyperion? settimanale dell’indice di coesione della ni sanitarie sappiamo pochissimo torio Hyperion, al cittadino è richiesto di leggere ciascuna “Siamo bombardati di informazioni sanitarie ma sapcomunità, Hyperion ha predisposto uno sulle interazioni fra le persone. Il que- dell’impatto che questa pandemia ha domanda e selezionare la risposta che maggiormente si piamo pochissimo dell’impatto che questa pandemia ha strumento per osservare ciò che viene stionario si trova sulla pagina Facebook sulla nostra vita quotidiana e sulla socieavvicina ciò cheindirette. il nostra vitaoccupando quotidiana e sulla “messo ina circolo” terminiChiude di promonessuno si sta di questo, e sul sito web dell’Osservatorio Hype- tà,sulla questionario un’unica domanda a società, nessuno si sta occupando zione della salute tra i cittadini, da qui rion, sporadicamente. Chiediamo il cittadino richiesto di leggere Onalline 25 èdomande per se dinon risposta aperta”. questo, se diretto non sporadicamente. l’espressione di “Salute circolare”. delle persone: ciascuna domanda e selezionare la ri- coinvolgimento Cosa si intende “salute Chiediamo il coinvolgimento indicazioni Ne parliamo con il per professor GiancirPie- raccogliere perché senza questi datidiretnon sposta che maggiormente si avvicinasu a aiutateci colare”? to delleaiutarci, persone: aiutateci perché ro Turchi, docente di psicologia clinica ciò possiamo diteci che cosa è sucche dirette. Chiude il questionario come guardare oltre alla senza questi dati non possiamo aspetto chedifferenze l’emergenza ha e “Un psicologia delle culturali cesso, raccontateci che impatto ha avuto un’unica domanda a risposta aperta”. messo in luce è comenonché spessodirettore sanifase dell’emergenza aiutarci, diteci sulle che cosa succesCosa si intende per “salute circolare”? questa all’Università di Padova emergenza vostreèvite”. tà e salute vengano considerati dei so, raccontateci che impatto ha “Un aspetto che l’emergenza ha mesdell’Osservatorio Hyperion. Quali gli sviluppi futuri della ricerca? sanitaria e concentrarsi sinonimi. Un conto è la sanità, quel avuto questa emergenza sulle voProfessore, come nasce l’idea di so in luce è come spesso sanità e salute “Dalle risposte vogliamo dare delle che accade all’interno del corpo, sulla sociale stre vite”. venganodimensione considerati dei sinonimi. Une indicazioni questo sondaggio? partendo da cosa sta succequando colpito dal Undi conto è la sanità, quel che accade all’in- dendoQuali gli ambiti. sviluppi futuri trovati della “Dopo viene aver mappato duevirus. milioni nei vari Ci siamo l’interazione fra le persone altro la salute, che ininvece ricerca? forme conto testualiè per monitorare questo terno del corpo, quando viene colpito dal completamente spiazzati, facciamo virtù riguarda gli aspetti interattivi, come “Dalle vogliamo dare anno il grado di coesione sociale, ab- virus. Un altro conto è la salute, che in- di certi erroririsposte e giochiamo d’anticipo, noi interagiamo con gli altri. La salute è qualcosa che cirdelle indicazioni partendo da cosa sta succedendo nei biamo deciso di estendere la ricerca e vece riguarda gli aspetti interattivi, come prepariamoci alle prossime fasi. Non cola, che sta in mezzo alle persone, fra i corpi, non dentro vari ambiti. Ci siamo trovati completamente spiazzachiedere la collaborazione dei cittadini, noi interagiamo con gli altri. La salute è entriamo nel merito delle scelte politiai corpi.a Siamo statiilinformati moltissimo sulla dimensiovirtù diche certi e giochiamo d’anticipo, che circola, ti, chefacciamo sta in mezzo invitati compilare questionario. E’ qualcosa maerrori vorremmo metter a disposizione ne sanitaria individuale ma non ci siamo occupati dell’inprepariamoci alle prossime fasi. Non entriamo nel merito sufficiente un quarto d’ora per rispon- alle persone, fra i corpi, non dentro ai dei dati con i quali poi si facciamo delle terazione, è lì che siamo stati colpiti, che siamo più fragili delle scelte politiche ma vorremmo metter a disposizione dere alle 25 domande sull’impatto del corpi. Siamo stati informati moltissimo scelte politiche, anche comunicare alla eCovid deboli. lavorando Inei di dimensione interazione sanitaria dei datiindividuale con i quali poi si facciamo politiche, sulla nellaSolamente nostra vita quotidiana. dati modi cittadinanza che delle cosa scelte è successo, che possiamo gestire la diffusione del contagio. anche comunicare alla cittadinanza cosa è successo, ci siamo occupati dell’interazioche raccoglieremo ci saranno molto utili ma non Vogliamo impatto ha avutochel’emergenza, aprire aiutare cittadini a su capire distinzionene, fraè l’emergenza impatto ha avuto l’emergenza, aprire questo dialogo lì che siamo statiche colpiti, che siamo per darei indicazioni comelaguardare questo dialogo con la cittadinanza, non sanitaria e il modo in cui interagiamo con gli altri. Adescon la cittadinanza, non solo sui numeri sanitari, macomusulla oltre alla fase dell’emergenza sanitaria più fragili e deboli. Solamente lavorando solo sui numeri sanitari, ma sulla so ci stiamo affidando al vaccino come nei soluzione comunità sé”. nità in sé”. modi difinale, interazione possiamoingestie concentrarsi sulla dimensione sociale,
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Le campagne di sensibilizzazione
Social e musica per raccontare l’importanza del vaccino ai giovani. Il “musical-scientifico” di Lorenzo Baglioni I social media sono per lo più il canale individuato per veicolare il messaggio e, man mano che si avvina l’appuntamento con i vaccini anche per i giovani e i giovanissimi, anche il ministero alle Politiche giovanili sta lavorando ad una campagna di sensibilizzazione specifica che prevede il ricorso a Tik tok, con i suoi influencer, e ad Instagram o Facebook con i suoi vip. Tra i vari artisti che si sono già cimentati in questo campo vi è Lorenzo Baglioni, comico, attore e cantautore, che ha proposto un video-musical di 5 muniti, nel quale tra musica e divulgazione scientifica si parla di pandemia, di R con zero e R con t e di immunità di gregge, ma soprattutto vuole essere una cassa di risonanza per promuovere la campagna di vaccinazione. Lo stile di Baglioni è divertente ma rigoroso, il musical nasce da un’operazione di divulgazione scientifica che vede il supporto, con il patrocinio e la collaborazione, dell’Università di padova, quella di Pavia e l’Università dell’Insubria, di Riemann International School of Mathematics e da un comitato scientifico di eccellenza. Nella sua versione italiana il musical è stato presentato sui canali social di Lorenzo Baglioni, totalizzando in brevissimo tempo quasi 600mila visualizzazioni. Ne ha fatto seguito, di recente realizzazione, la variante inglese, che s’ispira a successi rock e pop internazionali, diffuso dal canali social di varie istituzioni che sostengono l’iniziativa e animato dalla grafica di Teresa Sdralevich e Alssandro Calì. Il tono è quello dei musical, che utilizza, nella doppia versione italiana e inglese, brani famosi, ma i contenuti sono approvati dal comitato scientifico interdisciplinare composto da Antonella Viola e Drio Gregori per l’Università di Padova, Antonietta Mira e Daniele Cassani (Rism), Armando Massarenti, Furio Honsell, Paolo Giudici, Raffaele Bruno, Guido Bertolini, Riccardo Bellazzi e Alan Agresti. “Abbiamo l’obiettivo di portare questo video, ricco di musica e di scienza, tra gli studenti europei usando l’inglese come lingua ponte - dice Dario Gregori, responsabile Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica, Dipartimento di Scienze Cadio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università di Padova, componente del Comitato scientifico -. È un progetto Made in Italy ma diretto ai giovani della Generazione Erasmus. Sono anche loro, infatti, che devono continuare a muoversi, a viaggiare e a studiare, in modo sicuro ed essere testimonial della fiducia nella scienza”. “Sono fermamente convinta – spiega la professoressa Antonietta Mira - che la musica possa essere un’ottima alleata della scienza soprattutto in un momento così difficile come quello che stiamo affrontando. Penso che con questo progetto riusciremo a comunicare a una fascia significativa della popolazione in modo corretto alcuni concetti di base legati al tema più importante del momento, quello dei vaccini. Per questo ho creato un comitato interdisciplinare con tutte le competenze necessarie per supportare scientificamente Lorenzo”. Il filosofo Armando Massarenti che con il suo libro “La pandemia dei Dati. Ecco il vaccino”, ha ispirato Baglioni, promuove il musical come strumento altrettanto efficace a raggiungere lo scopo di “contrastare il rumore della pandemia dei darti con una informazione mirata e puntuale” Oltre che attraverso i canali social delle istituzioni, la variante inglese del progetto verrà veicolata in Europa grazie al Periscope, una ricerca finanziata dalla comunità europea su un bando H2020 dedicata a studiare le conseguenze socio-economiche oltre che sanitarie del Covid-19. VIDEO IN INGLESE “This is the age of the virus” https://drive.google.com/file/d/1 kWsh6XSHWhG96Qce8G909jvf3ItMB4g9/view?usp=sharing VIDEO VERSIONE ITALIANA “Il vaccino e l’immunità di gregge spiegati con un musical” https://www.youtube.com/watch?v=JvNsllGq9MM
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Fibromialgia. La diagnosi, i trattamenti e le cure
Le terme possono curare o alleviare i dolori Fangoterapia, bagni all’ozono e bagni in piscina, oltre a riposo e relax, possono essere una efficace risposta alla sindrome, ancora poco conosciuta: sono i risultati del convegno che si è svolto a Montegrotto
Il dottor Livio Pezzato: “Necessari soggiorni lunghi di almeno due o tre settimane”
L
e terme possono essere una cura o alleviare i dolori nel trattamento della Fibromialgia? E’ questo il tema conduttore della tavola rotonda che si è svolta lo scorso 12 maggio online, organizzata dal sindaco di Montegrotto terme Riccardo Mortandello e che ha visto la partecipazione di specialisti e rappresentanti di varie associazioni attive sul territorio padovano, ma anche nazionale, per riflettere su questa patologia. Nel giorno in cui l’Italia si è tinta di viola, nella giornata mondiale della Fibromialgia, con l’intento proprio di sensibilizzare l’opinione pubblica su di una patologia per molti versi ancora sconosciuta e su cui, tra indifferenza e ignoranza, continuano a circolare informazioni poco chiare e talvolta anche infondate, nel corso del convegno sono stati presi in considerazione diversi aspetti della malattia e le varie risposte in termini di cure. “Abbiamo visto che di Fibromialgia se ne parla molto, forse troppo ma non in modo completo, né sempre corretto. L’obiettivo di questa campagna di sensibilizzazione nazionale è proprio quello di dare le giuste informazioni. Le varie associazioni hanno dato vita ad un’iniziativa univoca, per parlare con una stessa voce. Abbiamo chiesto aiuto ai sindaci che hanno risposto con grande partecipazione. Spesso i malati di fibromialgia sono definiti malati invisibili: questa sindrome esiste veramente e va riconosciuta anche sul piano dei diritti” ha sottolineato nel corso del dibattito Antonella Moretto, presidente Afi Odv, che ha insistito anche sulla necessità che le varie associazioni del territorio procedano in sincronia per raggiungere in modo questo obiettivo. Elena Gianello, referente Malati Aisf Odv Padova, ha invece concentrato l’attenzione su ciò che il territorio può offrire ai malati di Fibromialgia, in termini di risorse, di informazioni e di assistenza. “La nostra missione è di essere vicini ai pazienti – ha detto – e di renderli consapevoli di quanto il territorio possa offrire. Sebbene non sia ancora stata trovata una cura per la Fibromialgia, e sebbene sia difficile anche diagnosticarla, è importante far sì che professionalità diverse mettano in comune le loro esperienze per dare unità alle azioni di intervento che possano migliorare le condizioni del malato”. Marta Bresciani, del gruppo Operatori volontari Aisf Odv Padova, ha quindi accennato ad una
prima risposta in merito alla domanda posta dal convegno di Montegrotto. “Fra le risorse, - ha sottolineato - le terme rappresentano una opportunità per i benefici comprovati nel trattamento della fibromialgia. I fanghi, i bagni all’ozono e i bagni nelle piscine termali producono significativi effetti positivi a livello fisico ma anche psicologico: sulla contrazione muscolare, sulle parestesie, sulla qualità del sonno, sul recupero di una distensione generale”. Un benessere psicofisico che consente anche di convivere in modo più accettabile con la Fibromialgia. “Il problema – ha spiegato Maurizio Massetti, responsabile scientifico Afi Odv – è che non ci sono linee guida uniche delle società scientifiche del mondo. Prima di procedere ad una diagnosi di Fibromialgia si passa per tante ipotesi: dallo stress, all’esaurimento nervoso, confondendo questi disturbi come cause e non conseguenze, quali esse sono, del problema. La Fibromialgia è stata curata come una forma di reumatismo, poi ci si è resi conto che coinvolgeva il sistema nervoso centrale. Il cervello ha un malfunzionamento arrivando ad attivare dei recettori ipersensibili. Questo approccio ha comportato la necessità di rivedere decenni di ipotesi sulle possibili cure”. Per mitigare gli effetti della disfunzione dei neurotrasmettitori si lavora prima sui cambiamenti dei fattori ambientali e psicologici e quindi si procede con le cure farmacologiche che, tuttavia, non danno la garanzia di gestire la malattia al 100%. Nutrizione e rimedi naturali sembrano tuttavia produrre risultati incoraggianti. Lo sostiene Michela Duregon, referente medico Aisf Odv Padova, almeno sulle infiammazioni croniche di basso grado, che sono insidiose perché silenti. “Moduliamo - ha spiegato – un paniere di interventi, e fra questi anche le cure termali, che ci consentono di evitare o perlomeno contenere patologie croniche degenerative”. Non è semplice gestire questo tipo di malattia anche dal punto di vista psicologico, ed è per questo motivo che il Comune di Montegrotto ha messo a disposizione un servizio di supporto, che l’assessore al Sociale Elisabetta Roetta ha illustrato come sostegno alle ricadute emotive e psicologiche della malattia.
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dare una risposta conclusiva alla domanda che ha ispirato il convegno, “le terme possono essere una cura o alleviare i dolori?”, è stato il medico termalista, Livio Pezzato. Ed è una risposta affermativa. “I trattamenti termali (fangoterapia personalizzata, bagno all’ozono e bagni nelle piscine termali) danno risultati ottimali” sostiene lo specialista. “Il meccanismo d’azione del fango è duplice – spiega ancora – in primo luogo per la stimolazione calorica alla produzione di Cortisolo endogeno ed endorfine che riducono le infiammazioni croniche subdole, a patto però che la terapia del fango sia personalizzata nella temperatura, nella durata e nella quantità di corpo coperta dal fango stesso”. “Vi è poi – prosegue - l’effetto terapeutico e antinfiammatorio delle sostanze contenute nei fanghi, efficaci come rimedio naturale”. A questo tipo di terapia vanno ad aggiungersi i benefici effetti dei bagni all’ozono, efficaci per la loro proprietà di riattivare la circolazione e i bagni nelle piscine termali, ottimali invece per la mobilitazione di muscoli ed articolazioni. A tutto questo si deve aggiungere il valore del riposo, la distrazione, il cambiamento ambientale e di relazioni, tutti “ingredienti” fondamentali a ridurre lo stress. “Le terme quindi – ha concluso il dottor Pezzato - sono un punto di approdo per i malati di Fibromialgia ma i medici di medicina generale non sempre le prescrivono. Oggi, che è più facile individuare questa malattia, sono di fatto pochissime le persone che si sottopongono a cure termali con diagnosi di Fibromialgia”. “Le cure termali tuttavia non possono limitarsi ad un fine settimana ma presuppongono soggiorni di lunga durata, di due o tre settimane, come accadeva un tempo e su questo bisogna sensibilizzare anche gli imprenditori termali, affinché cambino mentalità e approccio relativamente al concetto di vacanza rilassante e curativa”.
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Trapianto di organi. I vari gruppi di ricerca di Padova fanno squadra
Lifelab: ecco il progetto veneto per rigenerare tessuti e organi L’obiettivo è di utilizzare in un unico contesto le risorse disponibili, gli spazi di ricerca e le tecnologie e condividere i risultati in un laboratorio per la creazione di tessuti e organi da utilizzare quali sostituti di quelli ammalati
CORIS: Il Consorzio per la Ricerca Sanitaria è un’eccellenza internazionale
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l Consorzio per la Ricerca Sanitaria - CORIS è una realtà senza scopo di lucro promossa e supportata dalla Regione Veneto che si propone di promuovere, incrementare e sostenere la ricerca scientifica in senso lato, sia essa di base, traslazionale o clinica, in ambito sanitario e sociosanitario. Ne fanno parte, in qualità di Enti Consorziati, l’ULSS 1 Dolomiti, l’ULSS 2 Marca Trevigiana, l’ULSS 3 Serenissima, l’ULSS 4 Veneto Orientale, l’ULSS 5 Polesana, l’ULSS 8 Berica, l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, l’Istituto Oncologico Veneto, l’Università degli Studi di Padova, la Provincia Autonoma di Trento, l’Azienda Sanitaria Unica di Bolzano e gli IRCCS San Camillo e Sacro Cuore Don Calabria. Il Coris sostiene la ricerca sanitaria mettendo a disposizione dei propri consorziati e dei ricercatori un’ampia gamma di servizi, quali il supporto nella ricerca di fondi e per la stesura di progetti regionali, nazionali e internazionali; la gestione amministrativa e finanziaria dei progetti di ricerca, inclusa la selezione del personale necessario e l’acquisto delle strumentazioni e materie prime necessarie; il coordinamento di progetti o tavoli tecnici su specifiche tematiche. Molto importante è anche l’offerta di corsi di formazione finanziati per i ricercatori, così come la messa a disposizione di risorse condivise tra i consorziati come l’accesso a banche dati e a pubblicazioni scientifiche. Enrico Beda
ebbene la pandemia abbia condizionato l’organizzazione sanitaria di tutto il mondo, l’attività trapiantistica in Veneto non si è mai interrotta, anzi, è addirittura cresciuta nel corso del 2020: nella nostra regione gli organi trapiantati sono stati 496, contro 488 del 2019. I dati sono stati elaborati dal Coordinamento Regionale per i Trapianti del Veneto, che fornisce anche maggiori dettagli: i trapianti di rene sono stati 282 (contro 267 dell’anno precedente), quelli di cuore 49 (41 nel 2019), 132 quelli di fegato (141), 12 quelli di pancreas (7) e 21 quelli di polmone (32). Nonostante questo impegno, i pazienti in attesa di trapianto in Veneto a fine 2020 erano 1.208, un dato in miglioramento rispetto ai 1.243 in lista a fine 2019, ma che evidenzia l’annosa questione dell’insufficienza di organi. “Ogni trapianto riuscito è una vita salvata – afferma l’assessore regionale alla sanità Manuela Lanzarin – dietro alla quale si muovono in perfetto sincrono centinaia di persone, dalla famiglia che decide la donazione, al volontariato che la promuove, alle decine e decine di chirurghi, medici e infermieri che operano in totale multidisciplinarietà. Ma le vite si salvano anche con la ricerca ed è per questo che è nato il progetto di ricerca LifeLab”. Coordinato dal Coris, il Consorzio per la Ricerca Sanitaria della Regione Veneto, LifeLab comprende 21 progetti attivi in parallelo sulla rigenerazione dei più diversi tessuti e organi: dal cuore ai polmoni, dall’esofago all’udito, dai condotti urinari ai reni, dalla cute al fegato. Partito nel 2018, il programma vede impegnati complessivamente oltre 60 ricercatori dell’Azienda Ospedaliera e dell’Università di Padova. Gli obiettivi sono ambiziosi: a seconda degli ambiti di applicazione, si studia da una parte come “ringiovanire” e ricondizionare gli organi umani, al fine di rendere idonei al trapianto organi che oggi vengono ritenuti non utilizzabili, dall’altra l’applicazione di metodiche innovative per la creazione di organi artificiali con maggiore biocompatibilità rispetto alle attuali soluzioni. In questi primi anni di attività sono già stati raggiunti importanti risultati, come sottolinea il prof. Gino Gerosa, coordinatore scientifico del programma LifeLab, nonché Ordinario di Cardiochirurgia e Direttore del Centro di Cardiochirurgia V. Gallucci dell’A-
zienda Ospedaliera di Padova: “Lifelab nasce da un’intuizione: raccogliere i diversi gruppi di ricerca che a Padova si occupano di medicina rigenerativa in un unico contesto in modo da ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili quali gli spazi di ricerca e le tecnologie, condividere tra i diversi gruppi di ricerca i risultati ottenuti e creare un laboratorio per la creazione di tessuti ed organi da utilizzare quali sostituti di quelli ammalati. Tutto ciò è oggi realtà ed è in coerente visione con lo sviluppo della ricerca traslazionale, ovvero portare il prodotto della ricerca dal laboratorio al letto del paziente”. Per il futuro, le prospettive appaiono particolarmente significative: “Non possiamo fermarci ora quando tanti dei progetti avviati sono vicinissimi al raggiungimento dei risultati attesi - sottolinea il prof. Gerosa - Pensiamo solamente alla capacità di rigenerare gli organi prima del trapianto o all’impiego delle stampanti 3D con l’utilizzo di inchiostri biologici per la creazione di tessuti. Il know-how prodotto ad oggi nei laboratori di LifeLab dai diversi specialisti è un valore aggiunto irrinunciabile a disposizione di tutto il sistema sanitario regionale”. Enrico Beda
I ricercatori di Lifelab
GUIDA AL SUPERBONUS
A cura di Valeria Marcato
SUPERBONUS 110%. VERSO L’ULTERIORE PROROGA FINO AL 2023 Arrivano le prime modifiche alla disciplina del Superbonus Il D.L. n. 59/2021 stabilisce che per gli interventi effettuati dagli IACP, e soggetti assimilati, la detrazione nella misura del 110% spetti per le spese sostenute fino al 30 giugno 2023, prorogando di sei mesi la precedente scadenza fissata al 31 dicembre 2022. Viene, inoltre, separata la posizione delle persone fisiche da quella dei condomini eliminando, solo per questi ultimi, la regola del 60%, con la conseguenza che saranno agevolate le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022 senza prevedere che alla data del 30 giugno 2022 siano stati effettuati lavori per almeno il 60% dell’intervento complessivo. Inoltre entro fine maggio è atteso il decreto Semplificazioni, che porterà gli snellimenti burocratici in materia di appalti, valutazioni ambientali, PA e Superbonus, con le diverse richieste avanzate dal Ministero della Transizione Ecologica e della Pubblica Amministrazione, anche e soprattutto nell’ottica di una più efficace attuazione dei progetti e delle riforme imminenti previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in seno al Recovery Plan italiano.
MA VEDIAMO NEL DETTAGLIO
Il comma 3-bis del DL59 prevede che per gli interventi effettuati dai soggetti di cui al comma 9, lettera c) e cioè: • istituti autonomi case popolari (IACP) comunque denominati • nonche’ gli enti aventi le stesse finalita’ sociali dei predetti istituti,
• istituiti nella forma di societa’ che rispondono ai requisiti della legislazione europea in materia di “in house providing” per interventi realizzati su immobili, di loro proprieta’ ovvero gestiti per conto dei comuni, adibiti ad edilizia residenziale pubblica, le disposizioni riguardanti la detrazione fiscale si applicano anche alle spese, documentate e rimaste a carico degli IACP, sostenute dal 1° gennaio 2022 al 30 giugno 2023. Sostanzialmente si è ottenuta una proroga di 6 mesi rispetto alla normativa precedente, che consentiva la proroga al 30 giugno 2023 solo nel caso di uno stato di avanzamento lavori del 60% (ora invece il termine è prorogato senza condizioni). Per le spese sostenute dal 1° luglio 2022 la detrazione è ripartita in quattro quote annuali di pari importo. In virtu’ delle modifiche apportate dal DL59/2021 al comma 8-bis dell’art 119 del DL34/2020 si hanno le seguenti nuove scadenze: • Per gli interventi effettuati dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione, con riferimento agli interventi su edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, anche se posseduti da un unico proprietario o in comproprietà da più persone fisiche, per i quali alla data del 30 giugno 2022 siano stati effettuati lavori per almeno il 60% dell’intervento complessivo, la detrazione del 110% spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022. Il nuovo comma specifica soltanto che la norma si applica alle persone fisiche per le quali restano invariati i requisiti che prima si
applicavano anche ai condomini. • Per gli interventi effettuati dai condomini , la detrazione del 110% spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022. Con il nuovo periodo viene aggiunta una ulteriore specificazione per i condomini ai quali la detrazione spetta per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022 senza il riferimento allo stato avanzamento lavori del 60%. • L’ultimo periodo del comma 8 bis prevede che per gli interventi effettuati dai soggetti di cui al comma 9, lettera c), ossia gli IACP e altri istituti come sopra indicati, per i quali alla data del 30 giugno 2023 siano stati effettuati lavori per almeno il 60% dell’intervento complessivo, la detrazione del 110% spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023. Ossia per gli IACP spetta una proroga al 31 dicembre 2023 rispetto alla precedente norma che fissava la data al 30 giugno 2023.
GUIDA GUIDA AL AL SUPERBONUS SUPERBONUS
I BONUS PREVISTI PER LE FAMIGLIE DAL DECRETO SOSTEGNI BIS Dopo rinvii e ritardi, è arrivata l’approvazione del testo definitivo del decreto Sostegni da 40 miliardi, che entra in vigore da fine maggio.
Dopo rinvii e ritardi, è arrivata l’approvazione del testo definitivo del decreto Sostegni da 40 miliardi, che entra in vigore da fine maggio. Il nuovo provvedimento legislativo introdurrà ulteriori agevolazioni e nuove misure per favorire la ripresa economica del Paese. Vediamo ora i Bonus e gli incentivi per le famiglie e per i cittadini, previsti nel decreto approvato in Parlamento, del quale si attende l’uscita in Gazzetta Ufficiale per l’entrata in vigore.
BONUS SPESA, AFFITTI E BOLLETTE
Sono stanziati 500 milioni di euro per l’anno 2021 a favore dei Comuni, da utilizzare per l’attivazione di iniziative di solidarietà alimentare, tramite l’erogazione di buoni spesa e per concedere contributi a sostegno del pagamento dei canoni di locazione e delle utenze domestiche a favore delle famiglie in difficoltà.
BONUS PRIMA CASA
prima casa. L’accesso prioritario al fondo di garanzia sui mutui per l’acquisto della prima casa è esteso ai giovani fino a 36 anni di età per gli atti stipulati fino al il 31 dicembre 2022. Inoltre il fondo di solidarietà per la sospensione dei mutui (Fondo Gasparrini) è prorogato fino al 31 dicembre 2021. I giovani under 36 sono esonerati anche dall’imposta di registro, ipotecaria e catastale, e hanno diritto a pagare la metà delle spese notarili, per gli atti stipulati fino al il 31 dicembre 2022, ad eccezione che per l’acquisto di abitazioni di lusso.
BONUS VACANZE
Cambia la data di scadenza del bonus vacanze 2021: ora la validità del voucher è stata allungata fino a giugno 2022, dunque di due anni. Questa è la proroga stabilita dall’emendamento al decreto Sostegni presentata dal Ministro del Turismo Garavaglia e approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato. consiste in un contributo fino a un massimo 500 euro da utilizzare per soggiorni in alberghi, campeggi, villaggi turistici, agriturismi e bed & breakfast in Italia. A partire dall’approvazione dell’emendamento, è stato prorogato fino al 30 giugno 2022 il termine ultimo per
fruire del Bonus vacanze. L’agevolazione è rivolta a tutti nuclei familiari che presentano un ISEE fino a 40 mila euro. Tuttavia è necessario precisare che la proroga non riguarda l’invio di nuove domande e quindi l’apertura di una nuova finestra temporale di invio delle istanze. Nel Decreto Rilancio figura infatti come data di scadenza per procedere con la richiesta il 30 dicembre 2020, termine che ad oggi non ha subito alcuna modifica o proroga.
BONUS MAMMA DOMANI
Pensato per chi diventa genitore nel 2021, è possibile ottenere un bonus dal valore di 800 euro. Per poter beneficiare di tale misura bisogna fare apposta richiesta entro un anno dalla nascita o dalla data di adozione del bambino.
BONUS BEBÉ
Si presenta come una misura destinata a tutte le famiglie con un bambino di età inferiore ad un anno. Se non si presenta la dichiarazione ISEE, è possibile ottenere un importo minimo di 80 euro al mese, ovvero 960 euro all’anno. In presenza di ISEE particolarmente bassi, invece, conviene presentare tale attestazione, in modo tale da ottenere un importo più alto.
BONUS ASILO NIDO
Come facilmente intuibile dal nome, per poter beneficiare di tale sussidio è necessario che nel nucleo famigliare ci sia un bambino che abbia un’età inferiore ai tre anni e che la famiglia richiedente effettui delle spese per usufruire del servizio di asilo nido. L’importo di tale misura ammonta a 1.500 euro. Così come già detto con il bonus bebè, anche in questo caso è possibile beneficiare della misura senza dover presentare l’ISEE. In caso di valori particolarmente bassi, invece, conviene presentare tale dichiarazione, in modo tale da ottenere delle cifre maggiori.
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MAGGIO 2021
Pet
LASCIAMOLI ANNUSARE! Per i cani l’olfatto è uno dei primi sensi a svilupparsi, fin dai primi giorni di vita
È
evidente e noto a tutti noi quanto sia importante l’olfatto per i nostri cani. Se pensiamo in astratto ad un cane, di qualunque razza, lo immaginiamo ad annusare, prima ancora che a correre. L’olfatto canino è addirittura il primo dei sensi che i cuccioli sviluppano, prima ancora della vista e del gusto. Sentono l’odore della mamma e soprattutto del latte nelle sue mammelle. In molti lo definiscono un istinto, ma l’odorato nei cani è vera e propria genetica. A differenza da noi umani infatti, i cani hanno una zona specifica nel naso che ospita fino 300 milioni di recettori olfattivi, che consentono di immagazzinare gli odori trasportati dall’aria prima che arrivino ai polmoni, trasformandoli in percezione sensoriale talmente precisa da non avere eguali nel mondo animale. Nel cane, cosi come in altri animali, è presente anche l’organo vomero nasale, detto anche organo di Jacobson, che permette di “sentire” alcune sostanze chimiche, i feromoni, che l’essere umano non può percepire. I feromoni vengono emessi da alcune ghiandole presenti su tutti gli organismi viventi e trasmettono ai nostri amici a quattro zampe ad esempio il segnale di pericolo, oppure la disponibilità per l’accoppiamento sessuale. Tutte queste specificità genetiche
portano dunque il nostro cucciolo ad avere proprio l’olfatto come fondamento per la propria serenità. Ma l’olfatto è anche il primo in assoluto dei suoi sensi, seguito dall’udito, dalla vista, dal tatto e dal gusto. Per noi uomini invece – e questa è la macroscopica differenza – la percezione più importante è data dalla vista, poi dall’udito e dal gusto e solo al quarto posto dei nostri sensi troviamo l’olfatto, seguito dal tatto. Tutto ciò ci porta a capire quanto sia importante permettere al nostro cane di informarsi sull’ambiente in cui vive attraverso l’olfatto, sempre. Impedirgli di annusare durante
le passeggiate ad esempio, per la nostra fretta, equivale a camminare con una benda sugli occhi per noi, il che provoca smarrimento, incertezza e paura se non si è preparati a farlo. Per non parlare poi dell’importanza del “confine odoroso” per i nostri cuccioli, durante le passeggiate o le loro scorribande. Attraverso l’urina infatti ciascun cane traccia il proprio confine, come mettesse il proprio cartello di “proprietà privata”: da qui nasce la necessità per ciascuno di loro di marcare il proprio territorio e di riconoscere, attraverso l’olfatto, i confini.
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Pet Pet
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“CHIAMAMI CON IL MIO NOME” ANCHE L’IDENTITÀ VA ADDESTRATA P
er noi uomini il nome è la nostra caratteristica distintiva, compone la nostra identità in modo unico. Per gli animali domestici invece il nome è un suono, che può essere come tutti gli altri se non insegniamo al nostro cane o al nostro gatto ad identificarlo come identificativo. I cani e i gatti in questo sono davvero molto simili tra loro, perché per entrambi il nome che assegniamo loro altro non è che un suono. Ma il nostro animale deve arrivare a capire che quando sente quel suono, qualcosa che lo riguarda sta per accadere, che quel suono lo identifica e nel quale deve imparare ad identificarsi.
Ecco 3 modi per insegnare il proprio nome al nostro cucciolo 1 – Sembrerà un trucchetto, ma in realtà è alla base dell’addestramento. Il cane ed il gatto devono associare il suono del proprio nome a qualcosa di piacevole, per ottenere riscontro positivo e dunque perché si identifichino in esso. Un bocconcino, una carezza, l’inizio di un gioco faranno in modo che quel suono diventi per lui importante e non un suono qualunque.
2 – E’ molto importante anche il tono di voce che usiamo per pronunciare il nome del nostro animale, che sia cucciolo o già grande. Un tono neutro lo aiuterà a distinguere sempre e al meglio quel suono rispetto ad altri. Meglio ancora se il tono è neutro e anche allegro. Mai quindi urlare il nome, soprattutto durante un rimprovero. Il nome urlato innanzitutto non verrà subito associato e inoltre si porterà dietro il rischio che lo intenda come qualcosa di spiacevole e che quindi non risponda.
3 - Il nostro compito è quello di aiutare il nostro animale ad associare il suono al proprio nome, per attirare la sua attenzione e distoglierlo da quello che stava facendo. Ripetere il suo nome tante e troppe volte porta ad ottenere l’effetto esattamente contrario, il nostro cane o il nostro gatto inizieranno ad ignorare quel suono ripetuto inutilmente.
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laPiazza Turismo
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Mar Adriatico
Il ‘paradiso’ Tremiti e Lucio Dalla lungo amore che diventerà un film L’arcipelago adriatico, che è una Riserva Naturale Marina, farà da sfondo al nuovo ‘biopic’ dedicato al cantautore prodotto dai figli di Sergio Leone. Le isole (rimaste sempre ‘covid free’) intanto attendono i turisti, esibendo la loro incontaminata bellezza e il loro spirito di ospitalità tutto… napoletano di Renato Malaman
U
n film dedicato a Lucio Dalla e al suo genio artistico e musicale. Sarà girato alle Tremiti, l’arcipelago che ha rappresentato la sua Itaca. Il ‘biopic’ (così si chiamano i film a sfondo biografico) sarà prodotto dalla Compagnia Leone Cinematografica di Andrea e Raffaella Leone, i figli del famoso regista Sergio, il re dei grandi western all’italiana. Un’area, le Tremiti, che nelle scorse settimane è stata fra le prime della nostra penisola a mettere la testa fuori dall’emergenza legata al Covid 19. D’altronde i suoi abitanti stanziali sono soltanto 450, distribuiti fra l’isola di San Nicola e quella di San Domino (le uniche abitate dell’arcipelago), ed è stato quindi più facile vaccinarli tutti. Nelle isole non si è verificato finora alcun contagio. A proposito di abitanti… Non chiedete mai a un tremitese se si sente più pugliese (le isole fanno parte amministrativamente della provincia di Foggia) o più molisano (il porto di riferimento è Termoli). Vi risponderà meravigliato: “Noi delle Tremiti siamo napoletani!”. E il motivo c’è. L’attuale popolazione discende dai detenuti ‘redenti’ che due secoli fa il governo borbonico di Napoli (Termoli era il porto sull’Adriatico del Regno delle Due Sicilie) mandò al confino alle Tremiti. Quella colonia penale, composta da condannati napoletani, divenne dopo qualche anno un presidio di difesa delle isole per fermare l’assalto dei napoleonici ed ebbe come premio la libertà. Un po’ quello che successe in Tasmania, isola dell’Australia dove furono inviati dei galeotti inglesi che, di fatto, poi ne divennero i primi abitanti. Gente che seppe rimboccarsi le maniche. Tornando a Lucio Dalla va ricordato che la sua casa principale, la villa di San Domino, presto diventerà la sede di attività culturali per giovani musicisti. Saranno promosse da una neo costituita associazione. Tutto alle Tremiti ricorda il grande cantautore bolognese che amò queste isole profondamente, lottando strenuamente anche per la loro tutela. La sua amica Carolina La Manna, cuoca che lo accoglieva al ristorante ‘L’Architiello’, nell’isola di San Nicola, ricorda come Lucio amasse le cose semplici e tradizionali. Aveva scelto di trascorrere gran parte dell’anno in questo piccolo paradiso naturalistico e patrimonio di biodiversità perché aveva imparato ad apprezzare anche l’umanità semplice dei suoi abitanti. “Si potrebbe fare di più per queste isole - dice l’artista e ceramista Gennaro Cafiero - e non tutti i progetti
Nella copertina una splendida immagine dell’isola di San Nicola in una notte di plenilunio. Qui sopra una berta maggiore (o diomedea) in volo e, sotto, il cantautore Lucio Dalla a bordo della sua barca alle Tremiti, con accanto una suggestiva panoramica dell’arcipelago vista dal cielo
finora finanziati si sono rivelati azzeccati, però come si fa a non amare questo luogo così bello e così unico?”. Il modo migliore per contemplare il fascino delle cinque isole è circumnavigarle in barca, ammirandone le abbaglianti scogliere, perdendosi poi nella loro profumata macchia mediterranea o entrando nelle grotte marine, dove l’acqua è così trasparente e ricca di pesci che sembra quella di un acquario. Non a caso le Tremiti sono una Riserva Naturale Marina, dove nidificano specie rare come la berta maggiore (o diomedea), un uccello che sembra un piccolo gabbiano e disegna nel cielo aggraziate coreografie di volo. Il suo verso è stato definito il canto delle sirene. “Una grande suggestione ascoltarlo di notte – racconta Fabio Attanasio, operatore turistico che svolge anche il servizio di traghetto fra San
Domino e San Nicola – sembra il vagito di un neonato. Resta impresso nella memoria”. Se le Tremiti sono anche un diadema di gioielli architettonici lo si deve soprattutto ai monaci. I primi a insediarvisi, oltre mille anni fa, furono i Benedettini che, all’insegna del celebre ‘Hora et labora’, costruirono monasteri e chiese, fortificazioni e spazi destinati a una piccola agricoltura di sostentamento. San Nicola conserva le vestigia più importanti della presenza benedettina che, a un certo punto, era diventata così importante e così famosa da far meritare alle Tremiti l’appellativo di ‘Montecassino dell’Adriatico’. Non è facile vivere alle Tremiti. “ Non ci sono scuole – racconta il vicesindaco Andrea Cafiero – e durante l’anno scolastico i bambini e i ragazzi sono costretti a
trasferirsi con le loro famiglie nel continente. In Puglia o in Molise. Abbiamo richiesto di poter riaprire una scuola elementare. Ci accontenteremo di una multiclasse. Stare lontani dalle isole per così tanto tempo è dura”. Chi rimane nell’arcipelago durante l’inverno ha il mare nel Dna e sa ascoltare il vento. Sa parlarvi per rendere meno sola anche la stessa solitudine. Alle Tremiti c’è un universo fatto di bellezza e di silenzi che le stagioni turistiche meno affollate fanno risaltare meglio. Un linguaggio che raggiunge il cuore senza filtri… come un raggio di luce. Illuminando anche il ricordo di chi secondo la leggenda queste isole le abitò per primo: l’eroe omerico Diomede, in fuga dalla Tracia. Dicono che si innamorò a prima vista di questo paradiso. Successe, fatalmente, a molti altri nei secoli che venirono…
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Film e serie tv visti da vicino a cura di Paolo Di Lorenzo
La serie E’ padovano il protagonista Giuseppe Dave Seke, musicista e attore di Pontevigodarzere, insieme a Daniela Scattolin e Miguel Gobbo Diaz
Tre attori veneti in “Zero”, il primo supereroe nero italiano T
re attori veneti nel cast di Zero, la serie di Netflix che presenta il primo supereroe nero italiano. Va detto subito che, pur alternando momenti di commedia romantica allo stile Marvel, Zero fatica a trovare la propria identità nel corso della sua prima stagione. Poco male: sebbene la sceneggiatura si riveli, talvolta, zoppicante, sono l’importanza culturale e l’impatto mediatico, a rappresentare il valore innovativo del progetto. Nel cast della serie, anche tre attori veneti. Eccoli. Giuseppe Dave Seke, che presta il volto al protagonista Omar alias Zero, è un musicista e attore di Pontevigodarzere, nel padovano. Prima di essere convinto da un amico a partecipare ai provini per la serie, Dave lavorava come magazziniere. Poi è arrivata la chiamata di Netflix. Al suo fianco Daniela Scattolin, ventisettenne che alterna la carriera da attrice (è apparsa in “Tolo Tolo” di Checco Zalone) a quella accademica. Quattro esami la separano dalla lau-
rea in Farmacia a Padova. In Zero, l’attrice che è nata a Vicenza e ha vissuto con la famiglia a Scorzè, provincia di Venezia, interpreta Sara, brillante produttrice musicale. Infine, nella parte di Rico Roble, il gangster che semina il panico nel Barrio, c’è Miguel Gobbo Diaz. L’attore, che il pubblico di Rai 1 conosce per essere il co-protagonista della serie “Nero a metà” al fianco di Claudio Amendola, è cresciuto a Creazzo, vicino a Vicenza. La vicenda. “Io non c’entro mai niente con niente” dice Omar, il protagonista nell’episodio di apertura di Zero, serie in otto episodi disponibile su Netflix. Ventenne che vive al Barrio, una versione del quartiere della Barona di Milano, Omar è figlio di genitori senegalesi e sogna di trasferirsi in Belgio, dove spera di realizzare il suo sogno: diventare un disegnatore di fumetti manga. Nel frattempo si guadagna da vivere lavorando come ciclofattorino per una pizzeria del quartiere.
Trovandosi in una situazione di pericolo, Omar scoprirà di possedere un superpotere: è in grado di rendersi invisibile. Una metafora potente e non scontata, quella che è alla base della serie ideata da Antonio Dikele Distefano, il cui romanzo Non ho mai avuto la mia età, edito da Mondadori, ha fornito il punto di partenza del progetto. Mentre una società edilizia punta a radere al suolo il suo quartiere per una spregiudicata operazione di riqualificazione del territorio, Zero si ritroverà ad indossare gli scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura, scoprirà l’amicizia di Sharif, Inno, Momo e Sara, e forse anche l’amore. “Pensando alla serie mi sono detto: sarebbe bello avere un super eroe nero italiano”, ha spiegato l’autore, che ha ideato Zero insieme a Menotti, quest’ultimo già scrittore del film Lo chiamavano Jeeg Robot. “Esistere è la cosa più importante”, afferma Dikele: Zer” ha infatti il merito di essere la
prima serie televisiva italiana da vere un cast composto, per la maggior parte, da attori e attrici italiani neri. Un primato riconosciuto anche dal New York Times, che si è occupato della serie a pochi giorni dal suo esordio globale. Antonio Dikele Distefano mette le mani avanti. “Zero non vuole insegnare niente a nessuno”, dice lo scrit-
Sopra Giuseppe Dave Seke (foto Netflix)
tore, che aggiunge: “Non vuole dire: ‘Al mondo ci sono i razzisti’. No, vuol dire: ‘Esistono questi ragazzi, vivono questo tipo di vita. Forse magari se ti guardi la serie capisci che puoi entrare in connessione con loro”.
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Enogastronomia
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Il personaggio Giulio Calgaro, con un passato in locali stellati, cura il ristorante del “Pomodoro” a Bolzano Vicentino
Cucina da grande chef e ha l’anima sociale Sotto a sinistra, Giulio Calgaro al lavoro e un suo piatto di tortelli, dedicato al suo maestro Renato Rizzardi. A lato, Daniele Bernardini, presidente dell’associazione “Il pomodoro”
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a lavorato in cucine stellate. Da Renato Rizzardi alla “Locanda di Piero” a Montecchio Precalcino, con Alessandro Dal Degan alla “Tana”, alle Maldive, infine in Svizzera a Lugano. Poi Giulio Calgaro, oggi 32enne, ha deciso di lasciare Lugano, dove era pagato bene, molto bene, e da tre anni ha messo le sue capacità di cuoco a servizio del progetto de “Il pomodoro” a Bolzano Vicentino. L’associazione, che da fattoria sociale è diventata tecnicamente un’azienda di promozione sociale presieduta da Daniele Bernardini, aiuta ragazzi con varie difficoltà a trovare un posto nel mondo del lavoro. E ci riesce, come dimostrano le recenti assunzioni. Mette loro a disposizione quattro ettari di terreno, un negozio e un ristorante per maturare competenze. In questo quadro, Giulio Calgaro, dipendente del “Pomodoro” è responsabile del ristorante. Lo affianca Francesco, 33 anni, sous chef ma come Giulio pronto anche a lavare i piatti quando c’è bisogno. L’azienda è sostenuta da una quarantina di volontari che svolgono varie mansioni. C’è soprattutto da badare ai campi, coltivati a ortaggi, farro e mais. Nel negozio si vendono i prodotti di stagione: asparagi bianchi e verdi, piselli, spinaci, insalate, pomodori, oltre a prodotti di aziende fidate. Da provare anche la loro passata di pomodori, niente male. “Il Pomodoro” ha intrapreso il percorso per ottenere la certificazione biologica, a dimostrazione che la filosofia è genuinamente artigianale e sostenibile.
Cosa spinge un cuoco che ha raggiunto una sicurezza professionale ed economica a tornare indietro e abbracciare un progetto totalmente diverso? “Il sapore della sfida – risponde Calgaro sicuro – In quelle cucine si vive con l’adrenalina continua di mantenere un alto livello e l’ansia di prestazione. Perché non trasferire – mi sono detto – questa voglia di fare bene a servizio di un altro locale, dove assicurare qualità ma anche presentare in modo più semplice i piatti, a un prezzo più accessibile e a un pubblico diverso?”. Due sono le linee del locale: i banchetti e il menu alla carta. I suoi piatti dimostrano le indubbie capacità maturate e una filosofia di cucina che lui
definisce “inversa” rispetto al solito: “Normalmente un cuoco ha in testa un piatto e va a cercare gli ingredienti che gli servono. Io mi muovo in modo opposto: spesso vedo quello che c’è nel campo e immagino cosa possa starci bene assieme”. Nascono così piatti semplici ma di qualità: flan con asparagi e crema di fave e pecorino, anguilla affumicata con asparagi cotti e crudi, gnocchi con ragù di manzo espresso, tartare con brodo di manzo, tortello con rapa rossa e agretti. “La pasta ripiena è frutto della scuola di Renato – riconosce – autentico maestro nel settore”. Antonio Di Lorenzo
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Enogastronomia
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Il piatto tipico La coltivazione dell’ortaggio, diffusa in tutto il Veneto, trova nel Bassanese la sua celebrazione
Uova e asparagi, delizia di stagione N
essun altro prodotto del Veneto ha ricevuto una benedizione letteraria più illustre: di asparagi parla “Dì là dal fiume e tra gli alberi”, pubblicato da Ernest Hemingway nel 1950 e scritto fra Cuba, Cortina e Venezia. Arrigo Cipriani, neanche ventenne al tempo, se lo ricorda bene il vecchio Ernest che al tavolino nella “Stanza”, come lui chiama l’Harry’s bar, scriveva e prendeva appunti. Lo scrittore, che di lì a qualche anno riceverà il Pulitzer e il Nobel, è solo l’ultimo di una schiera di personaggi illustri che l’asparago ha incrociato nella sua millenaria vita. Tanto per ricordare qualche nome, ricordato da Giandomenico Cortese in un suo lavoro, c’è Guy de Maupassant che li cita in “Bel Ami”, Giovanni Verga nelle sue “Novelle Rusticane”, mentre Marcel Proust resta “rapito davanti agli asparagi, aspersi d’oltremare e di rosa”. Anche John Le Carrè in un suo racconto, “Single & single”, mette in tavola gli asparagi maturati nell’orto. L’asparago è patrimonio dell’umanità, d’accordo, ma nel Nordest è particolarmente di casa. I piatti legati a questo prodotto sono diventati tradizione: uova e asparagi alla bassanese, tanto per citare il più caratteristico, oppure il risotto o le fettuccine agli
asparagi, la zuppa primavera, la crema di asparagi, il pasticcio oppure i bigoli agli asparagi, la frittata agli asparagi o quelli fritti in pastella… La materia prima arriva da 1800 ettari coltivati nel Veneto che producono 10mila tonnellate di asparagi bianchi e verdi: si va dalle tremila tonnellate l’anno del Padovano, soprattutto concentrate a Pernumia, ai mille quintali ciascuno delle zone di Bassano e Cimadolmo; Arcole e il Veronese producono altre tremila tonnellate, ma vanno ricordate anche le coltivazioni Badoere, del Rodigino e del Veneziano. Seguendo le zone d’acqua, la produzione si allarga al vicino Friuli, in particolare alla zona di Tavagnacco: 250 gli ettari coltivati, 150 le aziende coinvolte e mille le tonnellate di asparagi prodotte. Se il Friuli fa risalire la produzione a tre secoli fa, il Veneto ha perso la memoria di quanto antica sia la coltivazione, tant’è che parla di sant’Antonio da Padova come padrino del prodotto: non è assolutamente vero, perché il santo a Bassano aveva ben altro cui pensare che agli asparagi. Tuonava nelle chiese contro il vero peccato del tempo, che era l’usura dei banchieri. Oddio, anche oggi avrebbe da ridire… Però resta nella mente di tutti che la
Celebrati da Hemingway, la tradizione racconta che li portò a Bassano sant’Antonio. Ma non è vero
Un piatto di uova e asparagi, semplice e di grande sapore
stagione degli asparagi va da san Giuseppe a sant’Antonio, dal 19 marzo al 13 giugno. Un retaggio del tempo in cui i contadini erano analfabeti e misuravano le stagioni con il calendario della canonica. Il Veneto è il secondo produttore in Italia di asparagi, dopo la Puglia. Ma deve guardarsi da una consistente invasione, ormai in atto da parecchi anni, che è quella degli asparagi peruviani, una marea a buon mercato che sta conquistando spazio ovunque nei negozi e supermercati. Del resto il Perù è il secondo produttore al mondo: il primo, naturalmente, è la Cina. Siete avvisati. (a.d.l)