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GENNAIO 2022
Periodico d’informazione locale - Anno II n.1
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INTERVISTA AL VESCOVO
Mons. Pizziol: “Pronti anche a vendere gli immobili” CAMPO MARZO
Piazza De Gasperi pedonale: ma chi pensa al bus?
LA MOSTRA IN BASILICA E LE CRITICHE DEI VICENTINI È POLEMICA Fernando Rigon interviene nel dibattito sul confronto tra Goldin e il presente
L’ANNIVERSARIO
servizio a pag 10
DUE MAGISTRATE VICENTINE DIFENDONO L’EUROPA DALLE FRODI
Rumor, statista finalmente rivalutato ECONOMIA
La “tempesta perfetta” che ci viene addosso SERIE TV
I successi di Muccino e Ficarra & Picone ENOGASTRONOMIA
Il broccolo fiolaro arriva fino in Giappone
Sono le nuove “procuratrici europee delegate” servizio a pag 12 e vegliano anche sul Pnrr
Conquistarsi il domani Antonio Di Lorenzo >redazione@givemotions.it<
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’è un filo che lega moltissimi argomenti di questo numero ed è il futuro. È un argomento che si può affrontare con due stati d’animo. Si potrebbe comportarsi come suggeriva Chesterton: “Non mi preoccupo mai del futuro, perché arriva sempre abbastanza presto”. Non è la parafrasi dell’ignavia, ma la traduzione della sollecitazione evangelica secondo la quale “ogni giorno ha la sua pena”.
segue a pag 5
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Facciamo il punto
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Il questore sprint e la dirigente scrittrice C
i sono un questore sprint e una vice questore scrittrice nel palazzo di viale Mazzini. Paolo Sartori, 59 anni, arrivato da Mantova, al suo primo incontro ha tenuto a sottolineare che anche i tempi di risposta ai problemi sono importanti. Ha dato a tutti l’impressione di avere obiettivi precisi e voler puntare sulla rapidità d’intervento. Problemi a Vicenza ne ha individuati due: le infiltrazioni mafiose, o più in generale della criminalità organizzata e i reati contro le fasce deboli, in particolare contro le donne. In questo campo vuole applicare, dopo che l’ha fatto a Mantova, il “Protocollo Zeus”, che si preoccupa non solo delle vittime ma anche degli aggressori. Si tratta di una novità che ha consentito di abbassare fortemente la recidiva dei reati commessi dagli uomini contro le donne. Nei giorni dell’arrivo di Sartori, a Vicenza è tornata anche Anna Capozzo, dirigente a capo della divisione anticrimine. Cinquantenne di vitalità ed esperienza, giunta da Treviso, Capozzo era stata già nella nostra città vent’anni fa a comandare le volanti della questura. Prima di Treviso ha prestato servizio a Verona, città nella quale ha fatto anche il suo debutto come scrittrice. Nel 2012 ha pubblicato, infatti, il romanzo “Tuffatori”. Dopo tanti scrittori che si occupano di commissari di polizia, per una volta è una vice questore a scrivere. Così presentava il suo libro l’editore Gabrielli: “Anna Capozzo “scatta” istantanee di un passaggio esistenziale, uomini che cercano la salvezza, il riscatto di un’intera vita nel rapporto con una donna. Si potrebbero riassumere così le sedici brevi storie che nascono dai profili maschili e dalle loro relazioni con il mondo femminile, narrati in questo libro”.
è un marchio proprietà di
È un periodico formato da 22 edizioni locali mensilmente recapitato a 426.187 famiglie del Veneto. Questa edizione raggiunge la città di Vicenza per un numero complessivo di 43.000 copie. Iscrizione testata al Tribunale di Vicenza n. 4194/2020 V.G. del 23.11.2020; R.S. 17/2020; numero iscrizione ROC 32199
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Chiuso in redazione il 14 gennaio 2022
Il libro di Anna Capozzo e il questore Paolo Sartori
Direzione, Amministrazione e Concessionaria di Pubblicità Locale: via Lisbona, 10 · 35127 Padova tel. 049 8704884 · fax 049 6988054 >redazione@givemotions.it< >www.ilvicenza.com<
È un po’ quello che ripete anche Woody Allen quando afferma: “È chiaro che il futuro offre grandi opportunità; è anche disseminato di trabocchetti; il trucco consiste nell’evitare i trabocchetti, prendere al balzo le opportunità e rientrare a casa per l’ora di cena”. Dall’altro versante c’è un grande vicentino qual è Silvio Ceccato da Montecchio Maggiore, un genio che pensava ai computer negli anni Quaranta, che afferma: “La maggior forza dell’uomo a tutte le età è che egli si dia un futuro”. Bene, cerchiamolo questo futuro per avere forza. Vicenza, in diversi settori e con differenti modalità, una prospettiva la sta cercando e ne diamo testimonianza nelle pagine che seguono. È il futuro che disegna monsignor Pizziol, che è entrato nell’anno dei suoi 75 e quindi della sua pensione da vescovo, salvo proroghe del Vaticano che adesso sono più brevi rispetto a un tempo. Il vescovo lancia un messaggio di concretezza e fiducia: la chiesa, assicura, più volta è stata minoranza, ma non per questo si spaventa. E anche adesso saprà costruire un futuro di solidarietà e speranza. Sul versante più laico, l’amministrazione comunale gioca una forte scommessa sulla cultura. Che è sempre occasione di discussione e polemiche. Lo è da quando, 46 anni fa, Renato Nicolini a Roma parlava di “cultura effimera” e sdoganò l’impegno dei Comuni nel settore. Da allora i dibattiti e le polemiche non si contano più anche dalle nostre parti. Vicenza, intanto, ha avuto il merito di aver ottenuto un milione e mezzo dal ministero e lo gioca tutto (più altri 700mila euro propri) per far rinascere l’auditorium “Canneti”. È un luogo storico. Più che ascoltare la musica, che pure sta di casa lì, in quella sala si sente battere il cuore della città per quanti incontri di tutti i tipi ha ospitato. Mentre si progetta la risurrezione dell’auditorium, sull’altro versante si litiga per i numeri della mostra in Basilica. Potrete leggere cosa pensa Fernando Rigon di queste polemiche. Le considera connaturate con il carattere dei vicentini, a proposito dei quali ricorda sempre un suo aforisma: “A Vicenza basta spuntare un po’ e comincia il tiro al bersaglio”. Con un’altra metafora sbriga il confronto tra Goldin e l’attuale rassegna, ma questo ve lo lascio scoprire da soli.
Redazione: Direttore responsabile Nicola Stievano >direttore@givemotions.it< Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<
CENTRO STAMPA QUOTIDIANI S.p.A. Via dell'Industria, 52 - 25030 Erbusco (BS) Tel: +39.030.7725594 Periodico fondato nel 1994 da Giuseppe Bergantin
L’intervista
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Parla il vescovo. Intervista a Beniamino Pizziol da oltre 10 anni alla guida della diocesi, con uno sguardo verso il domani
“Così la Chiesa sta disegnando il futuro” La prospettiva: “Vedrete, la Chiesa saprà creare una nuova presenza nel territorio”. Lo stile: “Un volto più evangelico e uno stile più collaborativo, sinodale”. Obiettivi: “Due su tutti, promuovere la pace nel mondo e il risanamento ambientale”. I cambiamenti: “Si affrontano camminando insieme con fede e coraggio”. Migranti: “Ne abbiamo accolti 200, purtroppo si lavora sempre nell’emergenza e non su un progetto condiviso”. Gli immobili: “Stiamo valutando tutto il patrimonio, pronti anche a vendere”
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eneziano di Treporti, prete da 50 anni (ordinato dall’allora cardinale Luciani), vescovo ausiliare della sua diocesi nel 2008, vescovo di Vicenza nel 2011. È l’identikit di Benianimo Pizziol, che a metà giugno compirà 75 anni: è l’occasione per tracciare un bilancio del passato e scrutare il futuro. Monsignore, come descriverebbe il suo servizio alla Chiesa vicentina? “Potrei usare due parole: fraternità e paternità. Da sempre ho percepito la mia vita, a partire dal battesimo, come una chiamata alla fraternità con tutti gli uomini e le donne che condividono la mia stessa fede e potenzialmente con tutte le persone del nostro mondo. Venendo a Vicenza ho iniziato un nuovo cammino e un altro compito, più impegnativo, mi è stato chiesto: quello di essere padre e non solo fratello. Il fatto di essere segno della paternità di Dio mi ha stimolato, ma mi ha anche fatto comprendere la mia povertà. Mi hanno aiutato molto i miei sacerdoti, i collaboratori laici, i consacrati e le consacrate. Portando i pesi gli uni degli altri, il mio compito è stato meno gravoso”. In questi dieci anni, è stata continua la sua sollecitudine verso i migranti, nel desiderio di poter offrire, come Chiesa vicentina, un proprio contributo positivo. Che cosa rimane da fare? “L’accoglienza e l’inclusione dei migranti, è stata un mio impegno fin dai primi giorni dalla nomina a vescovo di Vicenza. Si è trattato di una accoglienza di piccoli gruppi di persone, in case messe a disposizione dalla Caritas, dalle parrocchie o da privati, affidate ad alcuni volontari con il contributo dell’Ufficio diocesano Migrantes. Ne abbiamo accolti, in questi 10 anni, circa duecento. Alcuni poi sono emigrati in altri Paesi
europei. È evidente che rimane molto da fare, soprattutto nel modo con cui si fa accoglienza. Mi pare, purtroppo, che si agisca sempre nell’emergenza e quasi mai in una progettazione globale, solidale e condivisa da tutti”. In quali ambiti e temi, in particolare, ha chiesto alla sua Chiesa un impegno prioritario? “Fin dall’inizio del mio ministero ho chiesto ai preti e ai laici di riservare, quotidianamente, un tempo congruo per la preghiera e la meditazione delle Scritture, sempre accompagnate dalla conoscenza dei fatti della vita: solo così i cristiani possono essere sale e lievito nella ‘pasta’ del mondo. Una cura prioritaria deve essere rivolta poi alle persone che si trovano in difficoltà, che sono sole, ai margini dalla società. Particolare attenzione dobbiamo avere per la promozione della pace nel mondo e per il risanamento ambientale”. Sempre meno preti, qualcuno di essi che abbandona, fedeli che si allontanano (e ci mancava solo il covid): c’è la sensazione che stia succedendo qualche cosa di radicale. Lei guarda sempre alle difficoltà con speranza: che cosa sta capitando? Cerco di guardare questa nuova situazione con fede e sano realismo, consapevole che la Chiesa, nel corso dei secoli, ha vissuto sempre momenti di fatica. Spesso nella Bibbia si parla di un popolo numeroso e florido poi ridotto a poche persone impaurite, ma è proprio questo piccolo resto che diventa, con l’intervento di Dio, sale nuovo e lievito fecondo. È necessario non chiudersi, non lasciarsi andare, ma camminare insieme con fede e coraggio, per questo parliamo di ‘cammino sinodale’, certi che Dio non abbandona mai coloro che
confidano in Lui. Anche il seminario, in parte venduto, in parte dato in affitto a una scuola privata, è stato un capitolo delicato e, forse, doloroso del suo governo diocesano. “Certamente questa scelta ha portato con sé una parte di sofferenza dovuta al ricordo che molti conservavano degli anni ’50, quando abbondavano seminaristi e preti. Poi si è posto il problema di come utilizzare in modo corretto e sostenibile quella importante struttura. La decisione è stata collegiale e corale. Con il ricavato abbiamo provveduto ad una riorganizzazione di numerose realtà diocesane che vi hanno trovato un’adeguata sistemazione. Attualmente, è al lavoro una commissione che deve valutare lo stato e l’utilizzo, nonché l’eventuale alienazione, di tutti gli immobili della diocesi, sempre nell’ottica di una fruizione razionale e sostenibile, ovviamente in chiave pastorale”. Come vede la sua Chiesa vicentina dei prossimi decenni? Quali sfide pensa dovrà affrontare nello specifico? “Potrei riassumere in una espressione come immagino la Chiesa vicentina nei prossimi decenni: una Chiesa che sa inventare una nuova presenza nel territorio, con un volto più evangelico e uno stile più sinodale. Già stiamo realizzando una nuova presenza nel territorio attraverso le unità pastorali, ma la questione non può essere solo organizzativa, deve riguardare la testimonianza evangelica e la passione missionaria del clero, dei religiosi e dei laici. Non si tratta di riconquistare spazi o prestigio, ma di dare senso alla vita delle persone e di trovare insieme le risposte ai grandi problemi che affliggono l’umanità”. Cosa ci ha insegnato la pandemia?
“Ha obbligato gli uomini e le donne pensanti a rivedere la propria visione del mondo e delle relazioni umane. Ha suscitato nelle persone la consapevolezza della propria vulnerabilità. Ci ha aperto alla solidarietà: ci ha fatto capire l’importanza del ‘prendersi cura’, ma anche la necessità della ricerca scientifica e delle strutture sanitarie, la fiducia nella responsabilità dei cittadini, la funzione ineludibile della scuola, la subordinazione dell’economia al valore primario della persona, soprattutto se ammalata. Ultimamente il covid ha innescato un acceso dibattito sul concetto di libertà, sul suo esercizio, sulle sue potenzialità e sui suoi confini. Sono convinto che da un male, se affrontato con creativa resistenza e autentica solidarietà, può nascere un nuovo modo di costruire il futuro dei singoli e dell’intera famiglia umana”. Silvio Scacco
Il vescovo di Vicenza, mons. Beniamino Pizziol: è entrato nell’undicesimo anno del suo mandato, A metà giugno compirà 75 anni
Attualità
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La zona di Campo Marzo. La giunta ha approvato il progetto che prevede la spesa di 1 milione di euro per questo primo stralcio
“A fine estate inizieranno i lavori per trasformare piazzale De Gasperi” L’assessore Celebron: “L’obiettivo è di renderlo completamente pedonalizzato, così come in futuro sarà anche viale Roma. Ci sarà soltanto la linea rossa del filobus. Saranno piantati anche gli alberi. Vogliamo prolungare la passeggiata di corso Palladio”
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onostante il mancato accesso ai fondi di rigenerazionae urbana del Pnrr, la giunta prosegue nel suo impegno su Campo Marzo, grazie ai fondi comunali. Partendo dalla trasformazione di piazzale De Gasperi, il progetto punta a riqualificare tutta l’area di Campo Marzo e zone vicine. Solo per la sistemazione di piazzale De Gasperi è previsto un investimento di un milione di euro. “Sarà realizzata - spiega il sindaco Rucco in una nota - una lunga passeggiata che da corso Palladio attraverserà la nuova piazza alberata prevista in piazzale De Gasperi e quindi proseguirà per il parco, per viale Eretenio fino a Monte Berico. Si vuole rigenerare tutta l’area tra il centro storico e la stazione. Con questo intervento vogliamo che i vicentini riprendano possesso della zona facendola rivivere come un luogo
della città”. L’assessore Matteo Celebron scende nei dettagli più tecnici: “Il progetto ha tutti i pareri positivi, a partire da quello della Soprintendenza. Prevediamo di iniziare i lavori entro la fine dell’estate e dovrebbero durare sei mesi secondo il progetto. Imprevisti a parte, naturalmente”. Imprevisto che può essere il ritrovamento di un reperto antico, per esempio, che farebbe slittare i tempi. L’aspetto che più colpisce è sicuramente quello degli alberi in piazzale De Gasperi, aceri rossi come quelli di viale Dalmazia, ma l’assessore sposta l’attenzione: “La novità più interessante è che piazzale De Gasperi diventi tutta pedonale, prolungando così il percorso del centro storico, che oggi finisce alla sede di Confindustria. In futuro, quando saranno tolte le auto da viale Roma e passerà soltanto la Lan rossa (ossia
la linea del filobus, ndr.) piazzale De Gasperi diventerà una piazza che attirerà i pdeoni dall’esterno, al contrario di quanto avviene adesso”. Nella costruzione della nuova piazza si prevede l’utilizzo di lastre di porfido come indicato dalla Soprintendenza, in continuità con i materiali usati nelle aree adiacenti. La pavimentazione sarà solcata da una linea bianca in pietra di Vicenza, a richiamare il sedime della vecchia Seriola, e da un’ulteriore linea
bianca cui spetterà il compito di “accompagnare” chi passeggia da Campo Marzo e dalla stazione, attraverso viale Roma fino alla porta storica di Piazza Castello. È inoltre prevista la realizzazione di tracce a terra che seguono le fondazioni dell’arco del Revese, in modo che anch’esse vengano in una qualche misura rese visibili. Lo studio di fattibilità del progetto è stato realizzato dallo studio Ermentini e da Gabbiani & associati. (al. fe.)
L’assessore Matteo Celebron e in’immagine del progetto di piazzale De Gasperi pedonalizzato con tanto di alberi
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L’attacco dell’opposizione. Marchetti del Pd accusa: “Il progetto non è stato condiviso con i residenti ed è solo un maquillage”
“Ma chi sta pensando al nuovo piano dei trasporti che saranno rivoluzionati?” S
ul progetto per Campo Marzo, congelato dallo Stato che però procede grazie ai fondi messi a bilancio dal Comune, l’opposizione apre comunque la polemica. A proposito interviene il consigliere del Pd Alessandro Marchetti: “Ad oggi il progetto per l’area di Campo Marzo è stato approvato in giunta ma non è ancora stato discusso in commissione o in consiglio comunale. Senza dubbio la zona rappresenta un punto critico per la città e necessita di interventi. Purtroppo il progetto oggi esiste solo sulla carta, mancano in primo luogo i finanziamenti necessari. Dei 30 progetti presentati da Vicenza per avere i finanziamenti previsti dal piano di rigenerazione urbana 3 riguardavano proprio l’area di Campo Marzo, viale Roma e diale Dalmazia; come sappiamo, sono stati ammessi ma non finanziati.” Il sindaco Rucco sostiene che le risorse per sistemare piazzale De Gasperi ci siano, grazie ai fondi comunali già stanziati: “Ce lo auguriamo, ma quello che critichiamo come opposizione è proprio l’incapacità dimostrata dal Comune di sapersi organizzare sulla base di progetti strutturati per poter accedere ai fondi previsti. Gli investimenti sono possibili solo se si è in grado di accedere a questi fondi, cosa difficile da fare oggi, in assenza di una struttura dedicata che si occupi esclusivamente di questo. Conti alla mano, tra i 30 milioni sospesi del piano Pinqua sulla qualità dell’abitare e questi 18, stiamo parlando di quasi 50 milioni di euro previsti nei piani di investimento di questa amministrazione e che ad oggi sono bloccati; perché Vicenza non sa essere attrattiva per investimenti che arrivano da altri enti? E se questi fondi effettivamente non dovessero arrivare, cosa succederebbe ai vari progetti inseriti nel Piano urbano della mobilità? Verrebbero tutti accantonati o dovrebbero essere i vicentini a pagarli? Insomma, siamo in linea con la “annuncite” che caratterizza Rucco e la sua amministrazione: tante parole ma zero fatti”. In merito a quanto contenuto nel progetto, Marchetti prosegue: “Ci sono molti aspetti ad oggi non chiari. Si prevede per la zona di Campo Marzo la pedonalizzazione di tutta l’area di piazzale De Gasperi e di viale Roma, cosa positiva, ma allo stesso tempo ci chiediamo: il cambio di utilizzo di piazzale De
Le critiche del centrosinistra riguardano anche l’incapacità dell’amministrazione di creare una cabina di regìa sui progetti: “Il Comune ha perso 30 milioni dei fondi Pinqua e ora non vede finanziati lavori per altri 18. Ne ha persi quasi cinquanta”
In alto un’immagine del nuovo piazzale De Gasperi tutto alberato. Sopra Un’immagine del filobus che sarà utilizzato a Vicenza nel prossimo futuro, unico mezzo nella zona pedonale che si vuole creare. A fianco Alessandro Marchetti, del Pd
Gasperi dovrà coincidere con un nuovo piano di trasporto pubblico urbano da svolgersi al di fuori delle mura storiche, non più all’interno come oggi avviene. C’è una qualche progettualità? Svt è stata coinvolta? Un’altra nota dolente riguarda i residenti nell’area, anche loro assolutamente non coinvolti dall’amministrazione nel progetto. D’altronde, non ci possiamo attendere molto di diverso da parte di una amministrazione che vive la partecipazione come un peso,
come una perdita di tempo, come un intoppo burocratico.” Sulla stessa linea un comunicato congiunto a firma dei capigruppo delle opposizioni in Sala Bernarda: riguardo ai fondi non ottenuti, si punta il dito contro la mancanza di “una cabina di regia che si faccia carico di una pianificazione seria, creativa e con lo sguardo rivolto al futuro per essere in grado di portare a bando progettualità solide e meritevoli di essere finanziate”, oltre che all’assenza di una ragionata attività politica e della capacità di fare rete con gli altri comuni della Provincia. Per quanto concerne il progetto per Campo Marzo, il comunicato lo bolla come un “maquillage di interventi senza alla base una progettualità complessiva già definita. Perché non si è pensato seriamente alla rigenerazione dei quartieri?” Alvise Ferronato
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Attualità
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La mostra in Basilica. Dopo le critiche di Colombara e la risposta di Siotto, interviene nel dibattito Fernando Rigon
“Sulla sua carta d’identità c’è l’invidia e sul retro il lamento: così è Vicenza” Colombara sostiene che la mostra sul Rinascimento sarà un flop d’ingressi e finanziario. L’assessore è invece ottimista. L’ex direttore dei musei: “Certo che avrà meno ingressi, perché è una mostra difficile. Ma siamo stufi delle mostre facili. Il raffronto con le mostre di Goldin non regge. È come paragonare uno sciamano a Fauci”
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icentini criticoni? È polemica. Perfino doppia. Tutto nasce, e non poteva essere altrimenti, dalla mostra in corso in Basilica. I primi numeri diffusi dal municipio hanno sollevato il commento aspro di Raffaele Colombara, consigliere d’opposizione. Il quale ha fatto due conti e ha emesso un verdetto cupo che neanche l’oracolo di Delfi: se nei primi quindici giorni gli ingressi sono stati 2.518, con una media 168 visitatori, Colombara prevede che a questo ritmo la mostra “La Fabbrica del Rinascimento” chiuderà con 20mila visitatori alla volta del 18 aprile. “Sono generoso, facciamo anche quarantamila”, chiosa. Comunque niente rispetto alle centinaia di migliaia (siamo arrivati anche a 300-400 mila) delle mostre di Marco Goldin nel 2015 e nel 2018, centrate su Van Gogh. Colombara insiste a sostenere che la mostra sarà un flop anche economico: “Costa 1 milione e 300 mila euro, chi paga? I cittadini, dato che il sindaco ha ammesso che non ci sono sponsor”. Per sostenere le proprie tesi, il consigliere comunale raffronta le foto degli ingressi alla Basilica: code lunghissime con Goldin, deserto oggi. A Colombara risponde l’assessore alla Cultura, Simona Siotto, che naturalmente contesta dati e considerazioni: “La mostra fa grandi numeri, lo ribadisco – sottolinea – In 24 giorni ha incassato più di centomila euro e ha venduto quasi 9000 biglietti, comprese le prenotazioni. Sono stati già settemila i visitatori”. L’assessore contesta anche il paragone tra questa mostra e quelle di Goldin: “La nostra è un’operazione culturale, mentre quelli di Goldin sono eventi. E comunque non sono neanche situazioni paragonabili, vista la pandemia che viviamo”. Insiste Simona Siotto: “Sono ottimista sui risultati finali, perché la mostra piace. Non ci sono solo critiche incredibili, come l’ultima su Repubblica, ma anche in questi giorni ci sono visitatori. Ne sono stati registrati 1500 il giorno dell’Epifania. E mancano ancora le scuole: la parte didattica è importante. Credo in queste mostre perché la città ha bisogno di fare sistema”.
Il raffronto di immagini (elaborato da Colombara) tra gli ingressi di Goldin e quelli attuali, dalla folla al deserto. Nelle altre foto, Raffaele Colombara, Simona Siotto e Fernando Rigon
Ma è Fernando Rigon, già direttore dei musei a Vicenza, vicepresidente del Centro di architettura “Palladio”, che commenta con poche ma decise parole la situazione: “Devo ancora visitare con calma e profondità la mostra, e devo ancora leggere il catalogo, che mi hanno detto interessantissimo, con contributi nuovi, ma la prima impressione è ottima, ci sono quadri meravigliosi”. Sulla polemica che è scoppiata, Rigon dà la stura a qualcuna delle sue celebri metafore e attacca la tendenza a criticare dei vicentini: “Vicenza è fatta così, sul diritto della carta d’identità ha l’invidia e sul rovescio il lamento”. Spiega che è una caratteristica della città da secoli: “Margaret Binotto e Manuela Barausse, nel loro libro sulla storia del museo civico hanno scritto che fine ha fatto Antonio Magrini, l’uomo che ha resuscitato Palladio e ha letteralmente inventato il museo di Vicenza, inaugurandolo nel 1855. L’hanno accusato di portarsi a casa la legna del museo per riscaldarsi e lui è fuggito a Vienna. I vicentini non cambieranno mai, non capisco perché. Sarà l’acqua che bevono…”. Sul raffronto tra questa mostra e quelle di Goldin, Rigon è netto: “Certo che questa avrà meno visitatori, perché è una mostra difficile. Del resto, siamo stufi del facile. Chi vuole il facile mangia l’hamburger chi non vuole il facile sceglie la fiorentina. E questo è un parere da accademico della cucina. Vogliamo già tutto precotto e predigerito. È una mostra impegnativa, sicuramente. Ma è come paragonare uno sciamano a Fauci. Perché Goldin non aveva un Consiglio scientifico? Usciva tutto dalla sua testa, come Minerva?” (a.d.l.)
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L’anniversario
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Procuratrici europee delegate. A Venezia lavorano le pm Donata Costa di Vicenza ed Emma Rizzato di origini vicentine
Devono difendere l’Europa dalle frodi I reati da perseguire. Truffe, specie quelle “carosello”, contrabbando, riciclaggio, associazione a delinquere I nemici da non sottovalutare. Come ha detto il gen. Buratti, la presenza cinese è un pericolo crescente I prossimi fronti. Turbative e reati legati agli appalti, visti i miliardi in arrivo con il Pnrr
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a difesa degli interessi finanziari dell’Unione europea è affidata nel Nordest d’Italia a due magistrate, che hanno il rango e il titolo di procuratrici europee delegate. Si tratta di Emma Rizzato, 53 anni, e di Donata Costa, 50 anni. Entrambe hanno maturato non solo ampia capacità professionale ma anche vasta esperienza internazionale. Il loro ufficio si trova a Venezia ed è attivo da sette mesi, cioè dal giugno scorso. Loro sono figlie di due vicentini piuttosto conosciuti: Emma Rizzato è figlia del pittore Romano Lotto (che ha utilizzato un nome d’arte, probabilmente per non essere confuso con un collega omonimo, ma è Rizzato all’anagrafe) mentre Donata Patricia è figlia di Gigi Costa, pubblicitario di lungo corso e ancora più noto come critico gastronomico per la guida de L’Espresso. Di Romano Lotto, 89 anni, nato a Dueville che da molto tempo vive a Roma, è ancora negli occhi dei vicentini la fascinosa mostra che tra primavera e l’estate scorsa è stata allestita dal Comune a palazzo Chiericati. La figlia Emma ha lavorato a lungo come sostituto procuratore a Venezia ma è stata anche magistrata alla Corte europea dei diritti dell’uomo e ha al suo attivo anche una permanenza in Kosovo. La procura europea antifrodi comunitarie, nata sulla base della direttiva 1371 del 2017, è stata pensata per perseguire tutti i reati che violano gli interessi finanziari dell’Europa, prima di tutto quelli che colpiscono i dazi, cioè il contrabbando, e l’Iva, quindi le truffe che in Europa sono indicate come frodi. Solo le perdite del gettito d’Iva sono stimante in 50 miliardi di euro l’anno, grazie soprattutto alle cosiddette “frodi carosello” mentre l’uso improprio di fondi strutturali Ue è stimato in oltre 600 milioni l’anno. La procuratrice europea responsabile do tutta l’organizzazione è la rumena Laura Kövesi: è incaricata da un anno e mezzo di questo compito e il suo ufficio si trova in Lussemburgo. Dopo la sua nomina sono
stati indicati anche i procuratori nazionali europei, uno per ciascuno dei 22 Paesi che compongono l’Unione: per l’Italia è il pm Danilo Ceccarelli della procura di Milano. Il passo successivo è stato individuare in Italia i “procuratori europei delegati” distribuiti nelle nove sedi: Venezia, Milano e Torino per il Nord Italia; Bologna e Roma per il centro; Bari, Catanzaro, Palermo e Catania per il sud Italia. Ne sono previsti 20 ma nominati 15: attualmente non tutte le sedi sono coperte, soprattutto al sud, ma presto la situazione si definirà. La competenza dei procuratori europei delegati è svolgere le indagini in vari settori: il contrabbando che evita i dazi, le truffe dell’Iva, quelle per ottenere fondi europei e le frodi in materia di appalti. Naturalmente la competenza si allarga anche ai reati collegati: basti pensare al riciclaggio del denaro provento di questi reati, oppure alle associazioni per delinquere cui s’è dato vita per commetterli. Le due magistrate, che hanno vinto un concorso per essere assegnate a questo ufficio, mantengono il ruolo e il posto nelle rispettive sedi di assegnazioni. In altre
parole, Donata Costa può tornare, quando considererà conclusa l’esperienza alla procura di Milano da cui proviene. Donata ha iniziato come avvocato nello studio Accebbi, Milesi, Roetta e Dal Maso ma da oltre vent’anni è in magistratura. Ha trascorso dieci anni alla procura di Monza per poi passare a quella di Milano. Ha lavorato con Walter Mapelli, Francesco Greco e Fabio De Pasquale, occupandosi soprattutto di bancarotte e corruzione internazionale. Tra i fronti d’impegno delle due procuratrici c’è senza dubbio anche quello costituito dalla criminalità cinese, che è un problema sottovalutato e dilagante. Lo ha sottolineato in un’intervista al Gazzettino il 19 settembre scorso il generale a tre stelle Bruno Buratti, comandante della Guardia di Finanza del Nordest. Secondo l’alto ufficiale sono evasione fiscale, contraffazione di marchi, riciclaggio e sfruttamento della manodopera i settori in cui è più presente la malavita organizzata cinese. Sono 7.464, secondo i dati ufficiali, le partite Iva intestate a cittadini cinesi nel Veneto. È diffuso il sistema delle società “apri e chiudi”: il 24% delle società intestate a cittadini cinesi
Le due pm Donata Costa ed Emma Rizzato. Nell’altra foto, il generale a tre stelle della Guardia di Finanza Bruno Buratti che ha messo in guardia dall’invasione della malavita cinese
chiude nel giro di un anno, il 70% entro tre ann. Di ben 2 miliardi è il debito iscritto a ruolo a carico di 8 mila cittadini cinesi: di questi soldi, sempre secondo le cifre fornite dal generale Buratti, lo Stato recupera solo il 2 per cento. Se queste sono le cifre, è chiaro che la malavita organizzata cinese può essere un grosso nemico anche nella lotta alle frodi europee. È già successo che cittadini cinesi siano risultati intestatari di società che hanno accumulato milioni di debito con l’Iva per poi scomparire e diventare irrintracciabili, provocando danni ingenti. Così come le due magistrate dovranno essere attente anche ai quattrini che pioveranno sull’Italia grazie al Pnrr: qualsiasi stima di entrate malavitose occultate deve essere moltiplicata per dieci con l’arrivo dei fondi del Pnrr.
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Attualità
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Le gallerie diventano museo. Ma restano aperti diversi problemi legati agli spazi interni e alle opere d’arte dell’ex banca
Palazzo Thiene, il futuro tra Quagliato il rebus uffici e l’incognita giudiziaria Si avvicinano i tempi per vedere tornare le opere dell’artista scomparso 10 anni fa. Ma chi andrà ad occupare gli spazi direzionali? Le perplessità dell’Accademia Olimpica. La lite al Consiglio di Stato con la proprietà sulle collezioni artistiche, valutate 11 milioni, che Lca vorrebbe spostare e vendere
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uagliato com’era e dov’era. Il nuovo palazzo Thiene, al netto dei problemi relativi al futuro delle sue collezioni, che non sono pochi e sono anche tormentati, tornerà ad avere una sala con le opere di Nereo Quagliato. I tempi si stanno velocizzando. Armando Peressoni, il benefattore che ha acquistato le statue a Firenze, quando già erano pronte ad essere messe all’asta, rivela che il mosaico istituzionale si sta componendo e i tempi si stanno velocizzando. Com’è noto, Peressoni ha messo come condizione alla donazione delle 26 statute di Quagliato la realizzazione di una mostra in Basilica palladiana quest’anno, a dieci anni dalla scomparsa dell’amico scultore. Solo in seguito ipotizza una collocazione definitiva delle opere
a palazzo Thiene. Non ci saranno solo le ultime 26 che ha acquistato, ma anche le altre che possedeva in precedenza: inoltre, Peressoni e il Comune pensano di riunire lì anche le otto sculture che Nereo aveva donato al museo civico e qualcuna di quelle che i parenti possiedono. Insomma, se le gallerie di palazzo Thiene sono entrate ufficialmente nel sistema museale vicentino, e potranno essere visitate da tutti dal giovedì alla domenica, un’attrattiva in più sarà rappresentata dalle sculture di Quagliato, artista che ha avuto con la città un rapporto tormentato. Alla sua generosità di voler donare le proprie opere ha fatto riscontro un sostanziale disinteresse del Comune: pertanto l’artista nel 2010 ha dirottato la donazione alla Banca popolare.
Restano aperti due problemi a palazzo Thiene: uno riguarda la destinazione a uffici di almeno una parte delle sale, l’altro riguarda, come si accennava, le collezioni. Il palazzo palladiano ha una superficie di seimila metri quadrati, metà della quale ha una destinazione direzionale. Ma chi vuole trasferirsi? Si è ipotizzata l’anagrafe comunale, per esempio, mentre l’Accademia olimpica nicchia sull’idea di spostarsi dallo storico palazzo del Territorio, sua sede da 500 anni. Il fronte dell’arte è ancora più irsuto, giacché la proprietà delle collezioni (quadri straordinari, collezioni di arte contemporanea, basti pensare alla sala di Arturo Martini, e poi le stampe Remondini, le ceramiche Antonibon…) è rimasta alla Lac, società di Immobiliare Stam-
pa che insiste per poter vendere un patrimonio stimato in 11 milioni di euro. Soldi che, se entrassero, non sarebbero certo dirottati a ristorare i soci. Per superare il vincolo pertinenziale posto dalla Soprintendenza, che vuole mantenere le opere d’arte nel palazzo, la società ha intentato una causa al Tar e l’ha persa. Ma non s’è data per vinta e ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, con il Comune che pure s’è costituito parte resistente. E qui finisce la puntata del serial di palazzo Thiene, ancora lontano dalla conclusione.
Un’immagine dell’interno di palazzo Thiene ricco di opere d’arte e una scultura di Nereo Quagliato che rappresenta una giovane Franca Miotti
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Attualità
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La rinascita dell’auditorium. Dopo 13 anni di chiusura, appuntamento alla primavera del 2023 per assistere di nuovo ai concerti
Assessore e ingegnere al pianoforte per inaugurare il Canneti che risorge Simona Siotto e Giovanni Fichera avevano scommesso di suonare in duo se il Comune avesse ottenuto il contributo di un milione e mezzo per sistemare la sala. Vicenza l’ha incassato, l’auditorium rinascerà e loro devono mantenere la promessa
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a scommessa l’avevano lanciata durante i sopralluoghi all’auditorium: “Se riusciamo a ottenere il finanziamento dello Stato per i lavori, per festeggiare suoniamo assieme”. Una stretta di mano e via. Andata. Se l’erano promesso, metà scherzando e metà no, e adesso devono mantenere l’impegno: da un lato l’assessore alla cultura Simona Siotto e dall’altro l’ingegner Giovanni Fichera, funzionario comunale che ha redatto a tempi di record nella primavera scorsa il progetto per il recupero del “Canneti”, istituzione storica della città che ha rappresentato in quasi settant’anni di vita molto più che una sala da concerti. Vi hanno suonato grandi nomi, soprattutto del jazz, ma è stato anche teatro (chi era giovane negli anni Settanta ricorda una pregevole “Mandra-
gola” di Machiavelli) e luogo di dibattiti su temi amministrativi e politici. Fu in quella sala che Ignazio Gardella nel 1979 presentò il suo progetto del teatro finito poi su tutti i manuali di architettura. Fu lì che il centrodestra nel 1994 lanciò la sua campagna vittoriosa verso le elezioni di marzo. Siotto e Fichera adesso si devono preparare a un duo al pianoforte (“un pezzo, non un concerto intero”, precisa l’assessore) per inaugurare il nuovo auditorium. Dovranno rispolverare le loro conoscenze musicali giovanili e, onestamente, non hanno ancora pensato al programma. Appuntamento alla primavera del 2023, dunque, quando proprio Fichera stima che saranno conclusi i lavori, il cui inizio è previsto a settembre. Costo dell’intervento 2 milioni e
L’ing. Giovanni Fichera e un’immagine del suo progetto per il “Canneti”
200 mila euro: un milione e mezzo lo mette il governo, settecentomila li sborsa il Comune. Da sola, assicura il sindaco, l’amministrazione non ce l’avrebbe mai fatta. L’orgoglio per aver centrato l’obiettivo è doppio, perché i quattrini arriveranno da Roma a Pesaro e a Vicenza: altri nove progetti di altrettante città sono rimasti a secco perché i fondi ministeriali (in tutto sette milioni) si sono esauriti.
Tornerà a vivere, dunque, la sala del “Canneti” dopo 13 anni dall’ultima chiusura, nel 2009. La capienza sarà inferiore all’attuale, poco meno di 300 posti, ma Vicenza tornerà ad avere un auditorium. Per la felicità del sindaco Rucco (“è un’importante carta da giocare per la candidatura a capitale della cultura”) e per la soddisfazione del conservatorio “Pedrollo” che utilizza quegli spazi: il presidente
Crimì e il direttore Antonello hanno infatti controfirmato in primavera la domanda di contributo allo Stato, che prevedeva di concederli proprio ai conservatori. Per convincere il ministero, Fichera aveva spiegato nella relazione accompagnatoria che il “Canneti” di fatto è il “Ridotto” dell’Olimpico. Ha ragione, è anche quello. Furbo l’ingegnere: come si fa a dire di no a Palladio?
Quando nel 1957 Pio Chemello ricostruì la sala ingannando la Soprintendenza Quando si parla di “Canneti” il pensiero deve andare riconoscente a Pio Chemello, assessore nella giunta di Giuseppe Zampieri, di cui era sostanzialmente il braccio destro. Classe 1926, era entrato in giunta a 23 anni: aveva dieci anni meno dell’attuale vicesindaco Celebron che con i suoi 33 anni è il più giovane in giunta. Chemello diventerà anche un industriale di rilievo, perché fonderà le Argenterie vicentine a San Bortolo, ma per quasi dieci anni rimase a palazzo Trissino. Fu lui a ricostruire
il “Canneti”, distrutto dalle bombe anglo americane il 2 aprile 1944, assieme ai due teatri di Vicenza, l’Eretenio e il Verdi. Era una persona piena di interessi e di iniziativa, Chemello. Musicista lui stesso, a chi scrive spiegò che era amicissimo di Arrigo Pedrollo: “Mi raccontò di aver eseguito a Varsavia il valzer triste di Sibelius davanti all’autore, rallentando e accelerando secondo cadenze inconsuete. Alla fine dello spettacolo Sibelius andò a complimentarsi: “L’avevo scritto proprio
così”, lo assicurò”. Ma il capolavoro di Chemello fu proprio la ricostruzione del “Canneti”, che fu inaugurato nel 1957: “Era completamente diverso da quello di prima: al posto di una sala “all’italiana”, con il palcoscenico che si alzava dal pavimento e impediva la visuale, il nuovo auditorium da 450 posti era una sala morbidamente digradante verso il palcoscenico”. Chemello mi raccontò che per il progetto del “Canneti” avevano pensato di imitare il “Metropolitan” di New York che
allora entusiasmava quei giovani. E rivoluzionarono l’impostazione. Ingenui, forse, ma svegli. La Soprintendenza non avrebbe mai consentito una ricostruzione diversa dall’originale. Chemello e compagnia risolsero la difficoltà come il comandante Kirk farà nel test della Kobayashi Maru, semplicemente eliminando il problema: mostrarono un progetto falso alla Soprintendenza, che approvò, e poi ne realizzarono uno diverso, come piaceva a loro.
Pio Chemello, assessore con il sindaco Zampieri
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L’anniversario
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Parla Rosa Scapin. La direttrice artistica e responsabile generale della manifestazione spiega come s’è evoluto il festival
“Operaestate” da 40 anni anticipa i gusti Tremila spettacoli visti da quattro milioni La rassegna ha sempre guardato avanti basandosi sull’idea di presentare le novità e i protagonisti, spesso giovani, destinati a diventare famosi. L’apertura internazionale e il sostegno dell’Europa. L’intuizione del progetto “Dance well” con protagonisti i malati di Parkinson
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otremmo parlare dei grandi attori o ballerini che sono saliti, giovani e sconosciuti, su quel palcoscenico. Potremmo citare i numeri di “Operaestate” che in questi quarant’anni più uno di attività ha raggiunto almeno quattro milioni di spettatori con migliaia di spettacoli, tremila su per giù. Potremmo parlare dei record di vittorie nei bandi europei che finanziano la sua attività, potremmo ricordare che il festival bassanese ha precorso la strada del decreto ministeriale che ha riformato il settore dello spettacolo. Ma su tutti questi argomenti spicca un altro merito, che diventa il più significativo. È il programma “Dance Well”, iniziato nel 2013 e diretto soprattutto ai malati di Parkinson, che ne diventano protagonisti. Sono chiamati artisti, perché la danza non è solo una cura ma acquista un valore autonomo. Tant’è che girano anche in tournée. È un’idea mutuata dall’Olanda e importata a Bassano, dove è cresciuta e s’è affermata. Ora s’è diffusa a Roma, Firenze, Verona, Torino, Schio, Bergamo, nelle Marche, a Milano e Tokio. Quando un festival cambia la vita delle persone, come hanno commentato i protagonisti, quando la terapia diventa arte e la cultura si trasforma in vita, allora l’orgoglio è motivato. Ma Rosa Scapin, che racconta questo e altri avvenimenti, non guarda al passato, né lo rimpiange: “Il festival è cambiato e quello attuale vive la giusta dimensione. Come sempre propone il nuovo, i personaggi che diventeranno celebri in futuro”. La qualità anticipare i tempi è caratteristica della rassegna, e lei lo sa bene perché di Operaestate è anima dal debutto quarant’anni fa a Rossano Veneto, ai tempi di Loris Parise e dei padri fondatori. Era una giovane universitaria allora, adesso ha il titolo di direttore generale e direttore artistico del festival, riconfermatole nel 2020 dopo aver vinto un concorso con una decina di partecipanti. A dispetto del titolo, in realtà Operaestate dura tutto l’anno, con residenze artistiche e progetti di comunità. È un festival che s’è qualificato subito come centro di produzione inizialmente per la lirica e poi apertosi ad altri linguaggi, musica, danza e teatro. Dopo es-
sere sbarcato a Bassano nel 1991, s’è affermato come festival di un territorio assai più vasto: oggi sono 30 i Comuni in cui è presente (ma parecchi ormai sono unioni di diverse amministrazioni, per cui il numero in realtà è più ampio) e la rassegna tocca oltre Vicenza anche le province di Trento, Padova, Treviso e Belluno. Nel 2021 sono state 130 le manifestazioni dal vivo: si è tornati quasi ai livelli pre-pandemia, quando nel 2019 la rassegna ospitò 160 iniziative. Dal 2015 a oggi sono stati 900 gli spettacoli organizzati: nell’arco di 40 anni significa aver organizzato grossomodo 3000 appuntamenti e aver coinvolto quattro milioni di spettatori. C’è un’attenzione molto precisa verso i giovani e l’arte contemporanea, strada intrapresa da dieci anni in base alla filosofia secondo cui “un festival deve presentare il nuovo”. Hanno visto giusto. Così Bassano ha anticipato l’Italia. È questo, infatti, il criterio che ha informato anche il nuovo decreto ministeriale, che ha indicato quattro cardini da seguire per le manifestazioni che cercano contributi da Roma: puntare sui nuovi linguaggi, sul sostegno ai giovani, sulla qualità dei progetti e sulla capacità di lavorare assieme. In quarant’anni è cambiato il festival e sono mutati anche gli spettatori: un tempo il pubblico era onnivoro, adesso è molto più specializzato. Chi segue il teatro tradizionale non frequenta, che so, la danza contemporanea. “La nostra missione – spiega Rosa Scapin – è diventata quella di incrociare i diversi pubblici”. L’organizzazione pesa sulle spalle del Comune di Bassano, con otto persone che si occupano di progettare e realizzare gli spettacoli. La spesa complessiva è di due milioni di euro, neanche tanto se la si divide per il numero di iniziative, in media 130 all’anno. Va tenuto conto, poi, che l’80% dei finanziamenti arriva dall’esterno: ministero, Regione, Europa, sostenitori privati, fondazioni (come per esempio la Fondazione Cariverona) oltre che dagli incassi. Discorso a parte merita il sostegno dell’Unione europea: negli ultimi dieci anni Operaestate ha visto 25 progetti finanziati dall’Eu-
In alto un’immagine di Rosa Scapin e un giovane Roberto Bolle, che a diciotto anni si è esibito a Bassano per la rassegna
ropa, che premia la cooperazione, siano 3 o 30 soggetti coinvolti: “Il risultato è stato aprirsi al mondo – spiega Scapin – e promuovere la circolazione delle opere e degli artisti. Durante la rassegna B motion sono un centinaio gli operatori stranieri presenti a Bassano. Ne deriva che molti spettacoli, anche co-prodotti da Operaestate, sono programmati poi in molti altri contesti sia italiani che internazionali”
La vertigine della lista degli artisti che hanno preso parte al festival è lunga e prestigiosa. Nei primi decenni i grandi protagonisti del teatro, tra gli altri: Enrico Maria Salerno, Arnoldo Foà, Corrado Pani, Alberto Lionello, Flavio Bucci, Giorgio Albertazzi, Valeria Moriconi e della danza: Carla Fracci, Carolyn Carlson, Luciana Savignano, Ekaterina Maximova, Vladimir Vassiliev, Gheorghe Ian-
cu, Marcel Marceau, Vladimir Derevianko, Lindsay Kemp, Charles Jude, Julio Bocca, le compagnie di Bejart, Maguy Marin, Trisha Brow, Martha Graham, Bill T. Jones. Va ricordato anche un giovane Roberto Bolle che diciottenne ha danzato a Bassano, come un altro giovane attore, Maurizio Crozza, che negli anni Ottanta assieme al “Teatro dell’archivolto” di Genova presentava Goldoni. “Gli accidenti di Costantinopli”, trasformato in musical. E poi negli ultimi anni il grande impegno nel sostenere e presentare i nuovi talenti della danza, del teatro e della musica. Accompagnando dai loro primi passi artisti ormai pluripremiati come Silvia Gribaudi, Francesca Foscarini, Marco D’Agostin, Anagoor, Babilonia Teatri, per dirne solo alcuni. E la straordinaria apertura internazionale, soprattutto per la danza, presentando artisti provenienti da ogni parte del mondo, incrociando le loro esperienze e quelle dei centri, festival, teatri internazionali con Operaestate e con gli artisti che il festival sostiene.
La ricorrenza
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Il personaggio. Trentadue anni fa moriva il leader vicentino ingiustamente sottovalutato. Ora è riabilitato dagli storici
Mariano Rumor, statista che salvò l’Italia per due volte nella stagione delle bombe I
l giudizio più preciso su di lui l’ha dato Paolo Mieli quando in tv per “Passato e presente” parlò del “governo del pio Mariano”: “Rumor fu un personaggio ingiustamente sottovalutato, mentre fu un protagonista della stagione riformista”. E riguardo al suo presunto coinvolgimento nel tangentizio scandalo Lockheed, che dalla metà degli anni Settanta segnò, assieme al “parricidio” di Toni Bisaglia il suo declino politico, aggiunge: “È terribile quello che gli è successo, il suo nome fu consegnato all’opinione pubblica come un animale braccato. Ma non c’è stata nessuna evidenza contro Rumor: nessuna delle accuse fu dimostrata”. In realtà c’è molto di più. Mariano Rumor, di cui il 22 gennaio ricorrono i 32 anni dalla scomparsa, oltre a essere stato cinque volte presidente del Consiglio, salvò due volte l’Italia. Lo ha ricordato il giornalista Antonio Di Lorenzo, che ha guidato l’incontro al teatro comunale (era previsto all’odeo olimpico, ma per le troppe adesioni s’è dovuto spostarlo) organizzato dal Comune, al quale ha partecipato Marco Follini, che ha tracciato dello statista vicentino un preciso ricordo, profondo e ricco di risvolti umani e politici. Il sindaco Rucco ha testimoniato la riconoscenza verso Rumor di una generazione, come la sua, che non l’ha conosciuto: “Fu un maestro e un punto di riferimento per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, un esempio per le generazioni che sono venute dopo, cui dobbiamo guardare con attenzione e rispetto per forma e per sostanza”. Il perché è presto spiegato. Rumor affronta da presidente del Consiglio un momento delicatissimo come la strage di piazza Fontana, il 12 dicembre 1969: di fronte a 17 morti e 88 feriti, mentre nel Paese si invoca lo stato d’emergenza e il ricorso a leggi speciali. Rumor non cede alle pressioni, sceglie di rivolgersi direttamente agli italiani chiamandoli alla coesione nazionale. L’amico e giornalista Gigi Ghirotti ricorderà nella sua biografia la corsa alla Rai di Rumor quella sera, con 38 di febbre e una tosse pesante, per parlare in diretta televisiva al tg delle 20. Tranquillizza l’Italia. Qualche anno fa Maurizio Caprara, giornalista del Corriere, è andato a vedere le carte di Rumor che sono state donate da Vicenza al Senato e nelle quali nessuno prima di lui aveva messo le mani. Ha
Nel 1969 disse “no” a un governo fondato sulle bombe dopo la strage di piazza Fontana. Nel 1973 sfuggì a un attentato a Milano che era la punizione dell’estrema destra nei suoi confronti perché non aveva appoggiato il golpe Borghese
Mariano Rumor assieme a Giorgio Sala a palazzo Trissino la vigilia di Natale del 1968. La copertina della biografia scritta da Ghirotti su Rumor e il libro scritto dalla moglie, Mariangela Cisco, che racconta la loro amicizia e le loro cene a Roma con il presidente
scoperto che il 15 dicembre si svolse a casa sua un vertice per far nascere il nuovo governo di centrosinistra e Rumor fu netto: “Dico no a un governo fondato sulle bombe”. Quattro anni dopo, da ministro dell’Interno del governo Andreotti, Rumor sfugge a un attentato alla questura di Milano. Davvero miracolosamente, dato che è appena andato via quando esplode una bomba che provoca la morte di quattro persone e 52 feriti. L’attentato, è stato accertato, aveva una matrice di estrema destra. Il giudice Guido Salvini, che ha indagato a lungo su quei fatti, nel 1998 ha confermato che in quei mesi convulsi, dopo le bombe di Milano e Roma, con il suo rifiuto di appoggiare il “golpe Borghese” del dicembre 1970 Rumor di fatto salvò la democrazia in Italia. L’attentato cui scampò nel 1973 alla questura di Milano – sostiene il magistrato – era la punizione che l’estrema destra voleva infliggergli per quel “tradimento”. Rumor era un uomo mite, come ha ricordato anche Follini, ma la sua moderazione era uno stile di governo più che una collocazione politica. Dal 1968 al 1970 presiedette tre governi che lasciarono un’impronta profonda nel Paese. Sono gli anni della contestazione, dell’autunno caldo. E lui si trovò a gestire questi grandi cambiamenti come pure la strategia della tensione e la crisi petrolifera. Porta il suo nome una grande stagione di riforme: lo statuto dei lavoratori di Gino Giugni, la riforma pensionistica, la nascita delle Regioni; con i suoi governi è introdotta la scuola materna, sono liberalizzati gli accessi universitari, adottate le norme attuative per referendum e l’iniziativa legislativa
popolare. Hanno scritto in un libro Giuliano Amato e Andrea Graziosi: “Era un grande della Dc, le sue presidenze del Consiglio segnarono una svolta in chiave riformista, più ancora di quella del centrosinistra”. Era un punto di riferimento anche per i suoi coetanei vicentini, come ha ricordato Mariangela Cisco nel suo libro “A cena con il presidente”: i Ghirotti, marito e moglie, cinquantenni di poco più giovani di lui, erano intimi di Rumor che andavano a trovare nella sua casa di Roma. Affascinava perché era una persona di valori e di stile. Ai sindaci vicentini che lo applaudivano a palazzo Trissino nel 1968, quando tornò a Vicenza a quindici giorni dalla nomina a premier, spiegò: “Non chiedetemi un trattamento privilegiato, mi mettereste in difficoltà”. Chissa se oggi un pubblico di amministratori accetterebbe questa risposta. Il sindaco in carica al momento della sua morte, Antonio Corazzin, lo ricordò nella commemorazione funebre in piazza dei Signori con un’idea geniale: usò le parole che Mariano aveva pronunciato nel 1962 per celebrare in quella stessa piazza dei Signori la morte di Antonio Dal Sasso. A quei funerali del 1990 presenziarono tutte le massime cariche dello Stato: Andreotti, Spadolini, Cossiga. Proprio il presidente della Repubblica, quando era stato a Vicenza quattro anni prima, aveva reso omaggio a Rumor, al quale era sinceramente affezionato, ricordando che se era in politica lo doveva a lui che era venuto a parlare a Sassari quarant’anni prima per convincere i giovani universitari cattolici a scendere in campo. Il giovane Francesco era stato uno dei convinti.
Cultura
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La mostra. A Padova dal 12 febbraio al 13 marzo una personale del pittore vicentino assai amato da Vittorio Sgarbi
Lacasella cammina sul filo del rasoio Riesce a fondere figurativo e astratto La mostra è un raro caso di esposizione dedicata a un artista vivente. Saranno esposti settantacinqe quadri più una trentina di incisioni e una quindicina di tele ispirate all’artista… dall’ombra della sua bicicletta mentre pedala
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e gli chiedete che tipo di pittore sia, vi risponderà che lui cammina sul filo del rasoio, tra il figurativo e l’astratto. Col che non significa che sia indefinito: semplicemente fonde le due categorie. Sarà possibile scoprirlo nei settanta quadri, nelle trentacinque incisioni e in una quindicina di dipinti ispirati… dall’ombra della sua bicicletta mentre pedale che saranno esposti dal 12 febbraio al 13 marzo al museo degli Eremitani di Padova. È intitolata “Atlante delle nuvole” la personale dedicata al pittore vicentino Silvio Lacasella, 65 anni, in attività da 45. La mostra è curata da Stefano Annibaletto e rappresenta, come sottolinea l’assessore Andrea Colasio, “una delle prime personali che il museo Eremitani dedica ad un artista tuttora in attività, segno di una più approfondita attenzione all’arte contemporanea”. Lacasella s’è dedicato all’incisione fino al 1988, cioè fino ai 32 anni, sulle orme di un grande padovano, Tono Zancanaro, di cui era amico. Da allora la sua ricerca s’è indirizzata alla pittura. Insegna da sedici anni alla Libera accademia Cignaroli di Verona: in questo periodo ha formato circa 250 allievi. È un lavoro che lo interessa molto: “Insegni a vedere le cose – spiega – e ad alzare la barriera critica, dài loro un ventaglio di possibilità tecniche”. La mostra degli Eremitani giunge dopo la personale a palazzo Chiericati a Vicenza di fine 2014,
e dopo un’altra al Lamec nel 2009. Amatissimo, fra gli altri, da Vittorio Sgarbi e da Mario Rigoni Stern, ha collezionato dall’uno e dall’altro lusinghieri apprezzamenti. “Quando parlo del maestro Silvio – scriveva Sgarbi alcuni anni fa – non alludo a Silvio Berlusconi ma a Silvio Lacasella”. E sempre lui ha annotato nel saggio del 1987 in cui ha presentato l’opera omnia delle incisioni di Neri Pozza che c’è un solo erede del grande Neri: l’incisore Silvio Lacasella. Lui spiega così la sua ricerca: “La mia pittura è figurativa, perché parte da una disciplina. Mi serve un alto e un basso, devo sapere che quello sotto è il mare e quello sopra è il cielo. Ma appeno inizio a dipingere me ne dimentico. E allora il quadro diventa astratto. Non c’è un elemento riconoscibile. Cammina sul filo. Del resto, sono suggestionato da una serie di pittori, alcuni figurativi (Ferroni e Guccione) e altri astratti (Afro, Fautrier) anche se le differenze sono sempre sottili. Prendiamo Morandi: le sue non sono bottiglie, ma suoni e cadenze, lui le definisce un ritmo. Ecco, sono attratto dai pittori che segnano un ritmo. Pertanto la mia pittura è fuori schema, ha una traiettoria irregolare, non è collocabile. Gli orizzonti ricordano Guccione, ma non è sempre così. Dei pittori astratti mi interessa molto l’uso della materia, come in Fautrier che mette spessori materici nei dipinti. Facendo un salto, pensiamo
Silvio Lacasella fotografato assieme a Stefano Annibaletto che ha curato la mostra agli Eremitani. Nell’altra foto, un suo quadro intitolato “La montagna ferita”
ai sacchi di Burri, con i quali lui crea la materia che forma le ombre e lo spessore. Così le sue opere diventano più reali della pittura iper realista”. Nel catalogo della mostra, in una
conversazione con il figlio Pietro, Silvio Lacasella spiega così l’ispirazione e la nascita dei suoi quadri: “La complessità di ciò che scegliamo di guardare contiene un’anima. Per alcuni, proustianamente,
quest’anima è fissata in un particolare; per altri, al contrario, è proprio il veloce e concitato sovrapporsi delle immagini a creare un’impronta nel ricordo; per altri ancora l’anima esce dal silenzio che determinati luoghi trasmettono”. “Ci sono pittori che, affascinati dalla natura, hanno bisogno di instaurare con essa un diretto contatto, così da far proprio ciò che stanno guardando. Penso a Courbet che prese studio in una baracca a pochi passi dal mare, così da guardare gli spruzzi delle onde battere sui vetri, per rendere al massimo grado “reale” ciò che andava dipingendo; ma penso anche a Giorgio Morandi che riusciva a dipingere il verde paesaggio di Grezzana solo aprendo le finestre della sua casa negli Appennini o ad altri, come me, che invece trattengono la memoria di ciò che più e più volte hanno guardato, conservando di quelle immagini l’anima, appunto, o, per meglio dire, la possibilità di rendere visivamente ciò che nessuna parola riuscirebbe a tradurre”. Antonio Di Lorenzo
Giovani protagonisti
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Il progetto applaudito da Mattarella. Monica Lanaro, 32 anni, di Piovene Rocchette ha un ruolo di rilievo nel gruppo di lavoro
Vicentina nello staff di Google cultura Spiega il Quirinale e apre le sue porte
Adesso il palazzo del Presidente della Repubblica è presente sulla piattaforma del gigante del web: è stata realizzata una passeggiata virtuale al suo interno, ma anche nella tenuta di Castelporziano. Mille immagini e 100 km. di strade e paesaggi digitalizzati
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’è una vicentina nello staff di Google che ha aperto il Quirinale ai visitatori virtuali. E per questo motivo il Presidente Mattarella ha ricevuto lei e tutto il gruppo per ringraziarli di persona. La vicentina è Monica Lanaro, 32 anni, originaria di Piovene Rocchette ma che vive a Milano. Ha collaborato a questo progetto sulla “Casa degli italiani”, ossia il palazzo del Quirinale, che così ha aperto le sue porte ai naviganti del web. La piattaforma “Google arts and culture” ha caricato, fra l’altro, mille immagini, offrendo non solo una passeggiata virtuale a 360 gradi nei suoi saloni, nei giardini e nella tenuta di Castelporziano, ma anche informazioni sulla vita della prima istituzione della Repubblica, sul suo funzionamento e la sua storia. Tutto questo è stato reso possibile dal lavoro del gruppo di cui fa parte anche la vicentina Monica Lanaro: nel dicembre scorso tutto lo staff è stato ricevuto dal Presidente in occasione della presentazione del progetto. Trentadue anni, una laurea in economia dell’arte a Ca’ Foscari di Venezia, Monica Lanaro si è appassionata all’arte da bambina e, completati gli studi, ha svolto un tirocinio a Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione fondato nel 1994 da Luciano Benetton e Oliviero Toscani. Ha collaborato con l’area design dell’istituzione, con cui ha curato nel 2016 un’installazione alla “Tate Britain” di Londra. Attraverso l’utilizzo di un software di intelligenza artificiale,
Un’immagine di Monica Lanaro quando lavorava per Fabrica di Benetton e una foto di una sala del Quirinale, scattata di recente, con i leader del G 20 a cena
il programma analizzava circa 30 mila opere della collezione individuandone le somiglianze attraverso quattro parametri: riconoscimento di oggetti, volti ed espressioni, composizione, le principali linee, forme e colori e dati contestuali, ovvero tutte le informazioni associate all’immagine: titolo, data, autore. Il suo percorso lavorativo è poi proseguito nel team della piattaforma di Google arts & culture dove ha ricoperto il ruolo di Country coordinator per Italia e Grecia. Ricevuta insieme ai colleghi dal presidente della Repubblica a dicembre, la giovane vicentina ha partecipato alla presentazione del progetto de-
dicato al palazzo del Quirinale, disponibile in lingua italiana ed inglese. Sulla piattaforma ideata dal Google cultural institute, sono state caricate oltre 1000 immagini, scatti di 13 opere d’arte attraverso art camera e più di 100 chilometri di digitalizzazioni Street View nel palazzo e nella tenuta presidenziale di Castelporziano. Senza muoversi da casa si potranno così vedere il salone dei corazzieri e la collezione di carrozze antiche, la macchina sabauda per fare le caramelle e il labirinto di siepi di bosso, lo studio alla vetrata dove si svolgono le consultazioni nelle crisi di governo e la cappella paolina che fu sede di quattro conclavi. Nel corso della presentazione sono intervenuti Giovanni Grasso, consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente, Giorgia Abeltino, Senior director Government affairs and public policy south Eu di Google, e Luisella Mazza, Head of global operations di Google Arts & Culture. La pagina del Quirinale è disponibile sulla piattaforma di Google Arts & Culture e offre l’opportunità di entrare nel palazzo, esplorare le sue sale, approfondire la sua storia nei secoli avvicinando sempre di più i visitatori ai luoghi della Presidenza della Repubblica. Sara Panizzon
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Economia
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Lo scenario del futuro. L’Italia rischia di infilarsi in un tunnel per l’aumento dei costi di materie prime ed energia
Prezzi alle stelle e sviluppo bloccato La “tempesta perfetta” può durare anni S
ull’Italia, secondo molti osservatori economici, incombe uno tsunami di severe proporzioni: una “tempesta perfetta” si potrebbe dire, cioè la combinazione sinergica di due o più elementi negativi che, enfatizzandosi vicendevolmente, impattano sul tessuto economico di un Paese proprio grazie alla funzione di moltiplicatore della combinazione stessa. Che accadrebbe se un basket di materie prime - nello stesso momento - avviasse un proprio ciclo, l’uno indipendente dall’altro, ma contestuale? Sì, un fenomeno detto superciclo, la cui durata andrebbe ben oltre i dodici mesi e i cui effetti negativi perdurerebbero per sette o nove anni dal suo inizio.
Gli economisti chiamano “superciclo” la concentrazione di avvenimenti negativi che sono indipendenti fra loro ma che moltiplicano le difficoltà. Tra errori recenti di gestione e orrori storici, emerge la necessità di cambiare radicalmente impostazione politica Questo è ciò che ci aspetta? Parrebbe di sì, visti i massicci rincari delle materie prime e di gran parte dei prodotti semilavorati provenienti da Est che si coniugano all’aumento contestuale dei prezzi dei carburanti, fatto che spinge ai massimi storici il costo dell’energia. Per l’Italia l’innestarsi di un superciclo sarebbe destruente. Il suo impatto si abbatterebbe su uno Stato grandemente dipendente dall’estero (in campo energetico); indebolito dagli effetti mal governati della pandemia (che ha colpito in modo generalizzato tutto il settore privato, cioè quello che genera entrate per lo Stato, risparmiando solo i dipendenti pubblici, che però dipendono da tali entrate); massicciamente indebitato (l’Italia è la sesta nazione più indebitata al mondo
Nelle foto, Giuseppe de Concini, consulente finanziario e autore di questo articolo e una scena del film “Tempesta perfetta” che rende l’idea del pericolo cui stiamo andando incontro
dopo Giappone, Sudan, Grecia, Eritrea e Suriname). Un “superciclo” dunque provocherebbe per noi la tempesta perfetta. Emergerebbero difficoltà a pagare gli interessi sul nostro debito, scontando abbassamenti del rating, già infimo, che le società internazionali di analisi assegnano dell’Italia e con la conseguente destabilizzazione del sistema bancario che ha, nella propria “pancia”, gran parte del debito pubblico italiano. Sembra un catalogo di orrori conseguente a un catalogo di errori. Quali? Eccone alcuni: 1) l’Italia ha una delle più pesanti imposizioni sui carburanti; 2) ha pedaggi autostradali tra i più cari nel mondo; 3) è ai primi posti in Europa per trasporto merci su gomma; 4) il tentativo di uscire dalla “industria pesante” comporterà rischi di approvvigionamento (e costi in salita) su una materia prima fondamentale, aumentando la dipendenza dall’estero per un comparto, come quello industriale, già adesso privo di protezione e di una seria politica industriale. Ogni prossima scelta di politica economica (svolta green, transizione energetica e digitale incluse) deve combattere questi errori. Infatti per correggere l’attuale deriva è urgente un cambio di prospettiva e un radicale ribaltamento delle priorità nazionali. Altrimenti i costi sociali saranno oltremodo salati e i pericoli relativi alla stabilità dell’intero sistema saranno elevatissimi. Giuseppe de Concini
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Economia
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Il passaggio generazionale. La strada indicata da una ricerca dell’università di Padova coordinata da Paolo Gubitta
Vendere l’azienda ai dipendenti: la scelta per l’imprenditore che non ha successori Lo studio, commissionato da Confartigianato, rivela che le aziende vicentine sono a rischio di continuità, ma hanno le risorse all’interno per superare le difficoltà. I titolari inveccchiano ma i loro dipendenti sono più giovani rispetto alle medie e grandi aziende
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rasformare i dipendenti in imprenditori per salvare le imprese artigiane. Perché quelle vicentine sono a rischio continuità a causa del cambio generazionale che spesso manca. La soluzione è il Wbo, acronimo di Worker BuyOut, ossia il coinvolgimento dei dipendenti nella proprietà e nella direzione dell’azienda. Questa è la strada indicata da una ricerca sulla continuità d’impresa artigiana promossa da Confartigianato di Vicenza e Padova e realizzata dall’università di Padova, con il coordinamento del prof. Paolo Gubitta e alla quale ha collaborato Carlotta Andracco, dell’ufficio studi dell’associazione. La ricerca è stata realizzata con il contributo di Banco Bpm, che è assai attenta a queste dinamiche, come sottolinea Alberto Melotti, responsabile direzione territoriale Nord Est. L’indagine rivela che tra gli imprenditori artigiani vicentini si assiste a un deciso invecchiamento. Negli ultimi dieci anni, infatti, la quota di over 60 è arrivata al 19,4%, con un aumento di 8 punti percentuali, mentre gli imprenditori con meno di 35 anni sono calati di 7 punti. Il divario generazionale preoccupa soprattutto per la salvaguardia di un patrimonio aziendale che rischia di perdersi. Il campione di imprese della ricerca ha coinvolto soprattutto settori come per il manifatturiero (57%), i servizi alle imprese e alle persone (27%), costruzioni e impianti (16%). La ricerca, ha analizzato un campione di 49 aziende vicentine rappresentativo delle circa 8.900 imprese artigiane con dipendenti, delle quali il 53,2% ha un imprenditore con oltre 55 anni e ha stimato che nel prossimo decennio un’impresa familiare veneta su 5 sarà interessata dal passaggio generazionale. In particolare, nel vicentino saranno 3.508, quasi il 40%. Annota Gubitta: “Quasi la totalità del campione indica nella continuità d’impresa uno dei fattori critici nel prossimo quinquennio e si dichiara disponibile ad affrontarla anche in modo inedito. Se da una parte c’è un terzo del campione che ammette di avere figure interne alla famiglia che possono prendere le redini dell’impresa, dall’altra ci sono segnali di cambiamento
Il professor Paolo Gubitta, economista a Padova, è uno studioso del passaggio generazionale
epocale: un terzo dei rispondenti è aperta all’ipotesi di cedere la proprietà dell’impresa a un collaboratore interno, mentre oltre la metà si dichiara disponibile a valutare alleanze con altre imprese o anche la vendita ad altre imprese come percorso per garantire la continuità”. La possibile soluzione di continuità, secondo Gubitta può essere quindi il coinvolgimento dei dipendenti nella proprietà e direzione dell’azienda anche in considerazione di alcuni fattori. “Il primo – spiega – è che tanti occupati nelle micro e piccole imprese spesso sono più giovani rispetto ai colleghi delle medio grandi aziende. Nelle Mpi, infatti, i dipendenti under 30 sono il 19,8% contro il 12,5% nelle medio grandi aziende, mentre la quota di dipendenti con 50 anni e più è pari al 25,2% nelle Mpi e sale al 31,4% nelle medio grandi aziende. Il secondo fattore è che tra i collaboratori si trova un ventaglio di competenze che possono fare la differenza: accanto a quelle pratiche, ci sono quelle acquisite con percorsi formativi a cui si possono affiancare quelle di natura più tecnologica utili all’innovazione di prodotto e processo”. “La trasmissione d’impresa ai collaboratori è una soluzione sulla quale anche le istituzioni, in primis la Regione, può intervenire a livello legislativo sia con strumenti finanziari ad hoc – precisa Nerio Dalla Vecchia – Gli investimenti in tecnologia e sostenibilità sono ambiti su cui Confartigianato, con il Digital Innovation Lab ed il progetto #èimpresasostenibile, sta da tempo ponendo attenzione per affiancare le imprese”. “La realtà artigiana vicentina è ben strutturata, resiliente e guarda avanti. – conclude Francesco Giacomin, segretario generale di Confartigianato – Nel passaggio del testimone, gli imprenditori evidenziano interesse per servizi professionali qualificati e strumenti finanziari adeguati. Ciò significa che va consolidata la sinergia con gli istituti di credito”. Sara Panizzon
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Spettacoli
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Il personaggio. Studente alla terza superiore del “Da Schio”, Massimo Traversa ha scoperto la danza e non si ferma più
Massimo, 16 anni e campione di ballo Grazie a “007” arriva all’oro nazionale Ai campionati di Rimini dove s’è laureato nella disciplina “latin style show” ha scelto una coreografia ispirata a James Bond, con tanto di pistola. E ha convinto i giudici. Adesso lo aspettano i mondiali. Intanto si allena a Treviso
007
c olpisce ancora. Stavolta però niente licenza d’uccidere o nemici pronti a sovvertire l’ordine del mondo. Al loro posto invece passi di danza latino-americana e sei concorrenti per il titolo di campione d’Italia. Comincia così, lo scorso luglio a Rimini, la storia di un giovane vicentino che si è fatto valere conquistando il gradino più alto del podio nel campionato italiano di latin style show. Instancabile sportivo, amante della musica dance, studente al terzo anno di superiori e ballerino provetto che a sedici anni è già campione d’Italia. Il suo nome? Massimo Traversa. Sedici anni e già un oro. Come ci si arriva? “Nel mio caso con otto anni di danza alle spalle e una coreografia a tema James Bond.” Aveva mai gareggiato a livello nazionale? “Anche a livello internazionale per la verità. Nel 2019 sono arrivato secondo alla gara internazionale. Mi ha battuto solo il concorrente che quest’anno è arrivato secondo.” Un vero prodigio della danza, quindi. Ma cos’è il latin style show? “È una danza solista che combina vari generi latino-americani – come samba, rumba e paso doble – e che si basa su una tematica a scelta del performer.” È impegnativo? “Abbastanza, sia a livello atletico che economico. C’è molto allenamento e bisogna trovare sponsor perché le trasferte, le scenografie e i costumi costano cari. Per questo devo ringraziare soprattutto mamma e papà.” Ma cosa c’entra James Bond? “007 c’entra perché è un personaggio singolare, dal carattere ben delineato e con il quale si riesce a costruire una coreografia che funzioni.” Come ha iniziato a ballare? “Prima di ballare, a otto anni, giocavo a calcio. Durante una partita fui spedito a casa dal mister con tanto di insulti per aver recuperato un pallone finito in mezzo al campo nel mezzo di un’azione. Una volta a casa trovai i miei genitori che mi proposero di fare coppia con una ragazzina rimasta senza ballerino nella scuola di danza dove loro si allenavano. Vista la giornataccia al campo non ci ho pensato due volte:
alla sera volevo già le scarpe da ballo.” Quindi anche i suoi genitori ballano? “Si, e sono anche i miei primi tifosi. Loro però sono più tipi da balli da sala.” È autodidatta o è seguito da un allenatore? “Mi alleno a Treviso con Alessandro Toffoletto e Chiara Potenza” Perché a Treviso? “Perché è anche grazie ai miei allenatori se sono dove sono. Non è affatto comodo perché tra andare e tornare ci metto sempre 2 ore. È una cosa pesante che faccio per quattro allenamenti a settimana, ma se la passione ci porta a far questo, ben venga.” Del calcio che immagine le è rimasta dopo la sua esperienza? “Nonostante la mia breve esperienza, adoro il calcio: giocarlo e seguirlo. Quando posso gioco a calcetto con gli amici ma devo stare attento alle gambe se non voglio rovinarmi la carriera.” Ma allora lo sport è un’ossessione “Diciamo di sì, a dirla tutta prima del calcio facevo judo. Ero un mezzo campione anche sul tatami ma il fatto che tutti i miei amici giocassero a pallone mi fece appendere il judogi al chiodo.” Ma oltre allo sport fa anche dell’altro? “Frequento la terza superiore all’istituto Da Schio di Vicenza, indirizzo commerciale.” Perdoni il gossip ma oltre all’oro ha conquistato anche qualche cuore? “Avevo conquistato un cuore, era la mia compagna di ballo. Ora è finita ma visto che siamo in buoni rapporti continuiamo a ballare insieme.” E per il futuro? “Dipende: quest’anno mi aspettano i mondiali di Atene. Ci sarà anche il campione del mondo in carica che ho tra l’altro già battuto al campionato italiano e quindi mi aspetto qualcosa di stupendo e competitivo. Guardando più avanti spero di entrare nel mondo del professionismo.” Ma tempo libero ne ha? “Quel poco che mi rimane lo impiego ascoltando musica e ballando per casa. Non riesco a farne a meno.” Roberto Meneghini
In queste foto, Massimo Traversa in azione durante la gara di Rimini. Da notare la camicia aperta e la pistola, un look da duro fascinoso. Il suo modo di danzare ha convinto i giudici e gli è valso l’oro
Il personaggio
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Il compleanno del professore. Lucidissimo e vivace, il docente è un’autorità di livello internazionale nella sua materia
Broglio a novant’anni scrive ancora saggi sulla vita nella preistoria che ama tanto Per trent’anni ha insegnato all’università. I suoi scavi e le sue scoperte hanno dato notorietà ai Colli Berici ben oltre l’Italia. Lui è laureato in giurisprudenza. Però, se avesse potuto, gli sarebbe piaciuto diventare architetto: “Amo Leon Battista Alberti”
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uando il presidente Gaetano Thiene l’ha presentato due anni fa alla giornata che ogni anno l’Accademia olimpica organizza per celebrare un socio illustre, l’ha definito “un maestro generoso” verso tutti, specie verso gli studenti. E ne ha tratteggiato la personalità di uomo nato ad Asiago, “tutto d’un pezzo”, con tre concetti: “Ha una forte personalità, idee precise ed è coerente”. Qualità che peraltro non ne fanno un ruvido, ma sono avvolte da un tratto signorile, accentuato da quegli occhi chiari, tra l’azzurro e il ceruleo, che sono ancora ben vivaci e curiosi, quant’è lucida la sua mente. A 90 anni da poco compiuti, Alberto Broglio ha appena spedito a una rivista scientifica un saggio per ricordare un collega, Giuliano Cremonesi, e ne ha pronto un altro. Lavori scientifici ne ha prodotti 250 nella sua vita, ma probabilmente è una stima per difetto. La sua autorità varca i confini nazionali. Ma lui, che è stato per trent’anni ordinario di paleontologia umana all’università di Ferrara, che è il padre di scoperte fondamentali sulla vita degli uomini preistorici nelle grotte di tutto il Nord Italia, che ha scavato al Molino Casarotto di Fimon 50 anni fa, nella grotta di San Bernardino sui Berici, a Fumane nel Veronese, ebbene il professore ha una laurea… in giurisprudenza. S’era iscritto poco convinto alla facoltà, tanto per onorare la tradizione di famiglia: suo padre Attilio, infatti, era avvocato come lo è il figlio Giovanni. Ma la sua vera passione erano le ricerche sulla preistoria. Aveva iniziato a lavorare con un mito del settore, il professor Raffaello Battaglia, classe 1896, poi ha conosciuto il suo mentore, il professor Piero Leonardi, assistente a Padova di Giorgio Dal Piaz e in seguito ordinario a Ferrara. Così è diventato assistente “straordinario” di Leonardi: aveva già il destino nella qualifica amministrativa. Per sistemare il curriculum, Broglio s’era poi iscritto anche al corso di laurea in Scienze e aveva dato anche vari esami. Ma non
s’è mai laureato perché nel frattempo è riuscito a vincere la libera docenza, certificazione che un tempo garantiva l’idoneità all’insegnamento universitario. Lui lo racconta come se fosse una cosa normale, ma pensate a Un’immagine di qualche anno fa del professor Alberto Broglio, insigne studioso, e una foto della grotta Chauvet nel sud della Francia, che contiene splendide pitture rupestri
quanto deve avere studiato per conto proprio, passione a parte, un laureato in legge per essere abilitato a insegnare vita, morte e miracoli degli uomini preistorici all’università. Fosse un tuffatore, sarebbe un triplo salto mortale con doppio avvitamento. A 90 anni il professore (che è stato sposato sino al 2003 con Carmen Loriga, paleontologa) è talmente presente a se stesso che non cade neanche nei piccoli tranelli retorici dell’intervista. La chiamano il “re dei Colli Berici”, è contento? Agita il dito a destra e sinistra in segno di vibrante negazione: “È stato Leonardi a iniziare le ricerche di carattere scientifico sui Berici – precisa – chiamato da Alvise da Schio, padre di Giulio. Era una figura straordinaria, uno scienziato con la versatilità tipica dell’Ottocento: insegnava geologia ma aveva molti altri interessi. È lui che ha dato una svolta alle ricerche sui Colli Berici, che fino ad allora erano amatoriali”. C’è qualcosa, lei che è stato anche nel CdA della Fondazione Cariverona, che nella sua vita avrebbe voluto fare e non ha fatto? Gli occhi del professore si illuminano e la battuta è immediata: “L’architetto”. Prego? “Sì, l’architettura mi ha sempre interessato molto. Non mi piace tutta quella contemporanea, infatti il mio architetto preferito è Leon Battista Alberti”. Insomma, da laureato in giurisprudenza è diventato un’autorità della preistoria e, sotto sotto, è anche un appassionato di architettura. Che dire? Semplicemente sorprendente. Come i grandi. (a.d.l.)
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Libri
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L’autore. Il vicentino docente all’università di Trento è l’autore di un curioso libro che racconta fatti poco noti
Natale porta anche regali… di scienza Bucchi narra le scoperte sotto l’albero N
on svela le abitudini degli uomini di scienza a Natale. Piuttosto racconta cinque storie di scienza che, nei pressi del 25 dicembre, hanno consegnato all’umanità altrettanti doni chiamati scoperte. “Natale di scienza”, edito da Interlinea, è frutto della penna di Massimiano Bucchi, vicentino, docente di scienza, tecnologia e società all’università di Trento e apprezzato divulgatore scientifico. Uscito a inizio dicembre per la collana natalizia Nativitas, “Natale di scienza” è già alla terza ristampa e ha generato un’eco che lo ha portato all’attenzione di Radio tre Rai e di Geo. Natale e scienza, in questo libro, condividono storie di scoperte e stupore tra cristalli di neve, raggi misteriosi e rompicapo atomici. I giorni di festa che solitamente richiamano il presepe, sono segnati da intuizioni straordinarie e scoperte rivoluzionarie, da Keplero a Lise Meitner, fino ai regali sotto l’albero di Einstein e al Natale intorno alla Luna che cambiò per sempre la nostra immagine del mondo. La caratteristica davvero sorprendete di questo libro è la capacità di narrare delle storie di cui, generalmente, si insegnano nelle università solo le conseguenze scientifiche. Tutti hanno un’idea più o meno esatta di cosa siano i raggi x, ma perché si chiamano così? Cosa disse la moglie di Wilhelm Conrad Röntgen quando vide che la prima radiografia della storia ritraeva le ossa della sua mano? Come passò il Natale del 1610 Giovanni Keplero? Cosa ci faceva Albert Einstein in Giappone nel 1922? Le risposte a queste domande non si trovano nei manuali di fisica, ma in questo piccolo volume che dimostra quanto sia ricca la scienza di storie più curiose di quelle inventate che vale la pena di raccontare. “Nel corso degli anni avevo raccolto storie legate a scienziati e scienziate a Natale, alle loro scoperte e vite personali – ha spiegato l’autore – Ho pensato che fosse giunto finalmente il momento. All’editore il libro è piaciuto”. Il libro contiene materiali ed episodi finora sconosciuti o poco noti. Ci sono tre Natali di Albert Einstein vissuti in tre posti diversi: Berlino, il Giappone e Princeton, dove trascorse l’ultima parte della sua vita. Proprio la sera della vigilia di Natale il coro del Westminster college, a Princeton, si riunisce davanti a una casa per cantare “Silent night”. Le luci si accendono, esce una persona in sciarpa, cappotto e violino, e si mette ad accompagnare i cantori. Quella persona è Albert Einstein. Legati a questo periodo ci sono anche la scoperta dei raggi x di Wilhelm Röntgen, mentre sempre a Natale Lise Meitner intuisce il meccanismo della fissione nucleare e il grande Johannes Keplero pone le basi per la cristallografia. Infine, è molto natalizia la storia legata all’Apollo 8, la missione spaziale che fu la prima con a bordo degli
Attorno al Natale sono da annoverare nella Storia alcune scoperte decisive. Ecco cinque storie che raccontano la nascita dei raggi x, la scoperta della fissione nucleare, le foto della neve e così via. Protagonisti sono nomi di primo livello, da Keplero e Einstein
Massimiano Bucchi, docente all’università di Trento, e la copertina del libro pubblicato da Interlinea. Il volume racconta cinque storie di scienza ambientate nei giorni di Natale, compresa quella della missione dell’Apollo 8, partito il 21 dicembre 1968 che scattò la celebre foto della Terra vista dalla Luna, unimmagine che ha cambiato il nostro modo di pensare al pianeta
uomini a lasciare l’orbita della Terra, a raggiungere la Luna, e poi tornare. “Lavorando sul tema delle immagini legate a scienza e ambiente che più hanno influenzato il nostro immaginario – ha dichiarato Bucchi al periodico dell’università di Bolzano – un tema che studio da molto tempo, ho raccontato anche la genesi della celebre foto della Terra vista dalla Luna del Natale 1968”. All’autore dà l’occasione per parlare “della fragilità del nostro pianeta, di un destino comune in equilibrio sempre più precario e al tempo stesso prezioso. Come nota Gianmaria Pitton nella recensione del libro, leggendolo “ci si può anche emozionare, come con la storia del fotografo dilettante Winston Bentley che un secolofa scattò cinquemila foto di un oggetto tanto prezioso quantofragile come un cristallo di neve”. Roberto Meneghini
Stili di vita
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I ricordi delle vacanze di un tempo. Cinque figli e due genitori alla prese con il periodo più complicato della vita familiare
Quando 50 anni fa la vita al campeggio era tutta plastica e lavoro. Della mamma Il papà guidava una mega auto che usavano solo le ambulanze. Per farci stare buoni ci aveva detto che nel motore aveva fatto il nido una serpe. A Cavallino due ex pontieri della Wermacht ci aiutarono a sistemare la complicatissima tenda a tubolari
L
e ingenue vacanze familiari di un tempo. Il mio ricordo è dell’estate del 1972, quando l’intera famiglia partì da Vicenza per campeggiare a Cavallino Treporti, poco dopo Jesolo. Detta così, sembra poco: ma aggiungendo il particolare di cinque figli tra i dieci e i due anni, capirete come l’evento in sè tragico possa divenire epico. Tempo prima papà aveva comprato di seconda mano da un conte Marzotto una sterminata Citroen DS ID 21 Break, targata VI 13-2333, come una vettura di Paperopoli: un mercantile su gomma da otto posti, di cui a quel tempo erano possessori solo gli aristocratici e gli Ospedali Civili, che le adibivano ad autoambulanze. Il viaggio fu stranamente privo di strepiti e gesti inconsulti della prole, ipnotizzata per tutto il tempo sulle bocchette dell’aria del cruscotto. Forse perché papà aveva raccontato che giorni prima all’autolavaggio, era sbucata fuori dal cofano una serpe nera di un metro e mezzo e che probabilmente aveva fatto un nido nel motore. Alé. Oltre alla tenda a casetta in tubolare metallico che comprendeva tre camerette, soggiorno, cucina e veranda e che occupava quattro scatoloni pesanti come munizioni di artiglieria, papà aveva dovuto comprare anche un carrello a traino per il resto dell’equipaggiamento: sedie, tavolini, brande, materassini, salvagente, vestiario e masserizie varie. Più che dei vacanzieri, sembrava una migrazione epocale. Arrivati in campeggio, espletate le formalità e trovata la piazzola, verso le due con il sole a picco papà e mamma si misero all’opera per accampare la piccola armata che cominciava già a dare segni di sbandamento. Mio fratello maggiore si era appartato sotto un pioppo con il suo libro, io e il terzo ci scambiavamo fitti lanci di polpette di sabbia inumidita, il quarto aveva già allagato mezza piazzola con un tubo dell’acqua e la sorellina di due anni era dispersa tra le dune. Intanto i lavori di montaggio procedevano, disperatamente ma procedevano. Verso le quattro, quella
che doveva essere una semplice tenda a casetta aveva evidenziato la complessità di un padiglione da esposizione universale che richiedeva capacità ingegneristiche, una decina di manovali e cieca fiducia nella Provvidenza.
Per fortuna i miei hanno sempre abbondato di quest’ultima e al calare delle prime ombre della sera, mentre sempre più realistica si faceva la preoccupazione della mamma di passare la notte con i figlioletti all’interno di un informe scheletro di tubi, ecco presentarsi un paio di omoni di lingua e pancia tedesche, che da ore osservavano con ammirazione la volontà di sopravvivere di un’intera famiglia. In quattro e quattro otto (vier und vier, acht) i due ex-pontieri della Wehrmacht, sistemarono la struttura e fissarono i teli, giusto in tempo per andare in birreria (loro) e preparare la cena (noi). Sistemato l’interno della tenda, dopo una settimana le vacanze potevano finalmente cominciare anche per la mamma. Oddio, vacanze. Dopo il turno della colazione con piatti di plastica, scodelle di plastica e piatti di plastica, spreparava e andava ai lavatoi con la bacinella di plastica. Poi dalle dieci alle dodici spiaggia, gonfiaggio canotto e salvagenti, salvataggio quotidiano di almeno due pargoli su cinque che incappavano nelle famigerate buche d’acqua, asciugatura e cambio costumi, ritorno alla tenda per il pranzo. Quindi di nuovo ai lavatoi con la bacinella di piatti, bicchieri e posate di plastica. Dalle due alle quattro vigeva il coprifuoco totale che nessuno di noi trasgrediva perché la pena era comprensibilmente la morte. Espletato il giretto pomeridiano nel campeggio, veniva l’ora di cena che la mamma preparava e spreparava con occhi ormai di plastica come i piatti, le posate e i bicchieri e la bacinella. Nell’occasione papà l’accompagnava ai lavatoi come una martire al patibolo e alle nove di sera, dopo aver asciugato ben bene il maledetto stovigliame tutto taceva. Le giornate, una eguale all’altra, trascorrevano veloci, scandite verso sera dal passare attraverso i filari dei pioppi di un trattore cisterna che irrorava nuvole di Ddt fulminando all’istante ogni organismo vitale al di sotto della complessità del passero. Ma che bei ricordi, manco una zanzara. Al quarto comandamento dettato a Mosè sul Monte Sinai, “Onora il padre e la madre”, pare ci fosse una postilla che diceva più o meno così: tanto più se ti hanno portato in campeggio da piccolo. Alberto Graziani
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#Regione
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L’analisi. Antonio De Poli, padovano, senatore Udc, è questore anziano
De Poli: “Dalla Legge di Bilancio risposte su pandemia e sostegno alle imprese” “U
na manovra importante, che dà risposte nell’immediato alle problematiche legate alla pandemia, ma che non dimentica anche l’aspetto socio-economico e sociale”. È l’analisi della legge di bilancio fatta da Antonio De Poli, senatore di Carmignano Di Brenta (Padova), questore anziano, in quota Forza Italia-Udc. Senatore, quali le novità e gli interventi inseriti in questa legge di bilancio? “Sicuramente è una manovra importante in primis per quanto riguarda l’aspetto sanitario, con un grande intervento per l’incremento del piano vaccini e un aumento previsto di 50 milioni per il commissario straordinario per il Covid. Il secondo aspetto è quello della ricaduta sul piano socio–economico , con il sostegno alle nostre aziende. Nella manovra trova infatti spazio una serie di interventi soprattutto su un aspetto che preoccupa tutti – sia famiglie sia imprese – cioè quello del caro energia. A questo proposito sono stati stanziati altri 3,8 miliardi per il 2022, in aggiunta
ai 4,7 miliardi del secondo semestre 2021. Per queste ultime il rischio è di aumenti anche del 250% nel settore del vetro, carta, ceramica, cemento, plastica, meccanica pesante, alimentazione, chimica secondo l’ufficio studi della Cga d Mestre. Sempre secondo questi dati, circa 500mila lavoratori potrebbero essere costretti a rimanere temporaneamente a casa”. Reputa sia sufficiente? “Non riusciremo mai a raggiungere l’obiettivo di non avere l’aumento, sia chiaro. Per quello ci vorrebbero ben altre risorse. Pero credo che questo intervento possa dare un respiro importante”. Altri settori vivono un momento difficile, cosa avete previsto? “Purtroppo in questo momento di crisi socio-economica c’è una forte richiesta un po’ in tutti i settori, non ultimo il comparto del turismo, del termale. Penso ad esempio alle Terme euganee. Qui siamo riusciti a mettere un incremento di un fondo di 150 milioni di euro. E se anche in questo caso forse non è abbastanza, dimostra un’attenzione che va ad
aggiungersi agli sgravi Irpef. Sempre a sostegno delle aziende, penso agli interventi per ampliare il Superbonus, che è uno strumento importante per sistemare le abitazioni e far girare l’economia. Questa e il contrasto al caro bollette sono state due battaglie che abbiamo portato avanti con forza e devo dire che abbiamo raggiunto un obiettivo secondo me importante”. Altri aspetti da rilevare? “Un altro ottimo risultato è lo stop Iva per il terzo settore fino al 2024 e credo che questa sia una bella vittoria per tutto quel mondo che soprattutto in questi ultimi due anni, ma non solo, si è dimostrato fondamentale. Aggiungo poi l’inserimento di fondi per la cura dell’autismo, un’altra forte richiesta di tutto il mondo dell’associazionismo e dei famigliari, e per i disturbi alimentari che vengono inseriti nei Livelli essenziali di assistenza. Sono cose che toccano la quotidianità e il cuore di chi ha questi problemi. Poi sottolineo lo poi stop alla tassa sui plateatici e interventi strategici per la scuola”.
Tra pochi giorni si voterà per il Presidente della Repubblica. Potrebbe essere davvero quello di Draghi un nome su cui convergere? “Io credo che oggi al di là della statura della persona, che non si mette in dubbio, il lavoro che sta facendo da premier sia l’aspetto prioritario rispetto ad altre cose”. Giorgia Gay
Designati dal Consiglio Regionale. Zaia, Ciambetti e Possamai “grandi elettori”
“Un onore e una responsabilità rappresentare il Veneto nell’elezione del Presidente della Repubblica” G
randi elettori, tutto come previsto. Il Consiglio regionale del Veneto ha eletto i tre delegati che, come previsto dalla Costituzione, all’articolo 83, parteciperanno dal 24 gennaio all’elezione del Presidente della Repubblica. A rappresentare il Veneto saranno, come da prassi, il presidente della Regione, Luca Zaia e il presidente del Consiglio regionale, Roberto Ciambetti, indicati dalla Maggioranza. L’opposizione invece ha trovato un accordo sul capogruppo dei Democratici Giacomo Possamai. I tre delegati, insieme a quelli designati dagli altri Consigli regionali, integreranno il Parlamento in seduta comune dei suoi membri per l’elezione del 13° Presidente della Repubblica. “E’ un onore quello di rappresentare la
nostra regione”, sono le prime parole di Roberto Ciambetti. “Sento il peso di questa responsabilità
– ha detto Ciambetti - e la mia speranza è quella di votare il candidato che sia all’altezza delle sfide che attendono il nostro
Paese e che, mi auguro sinceramente, nel corso del suo mandato firmerà l’autonomia del Veneto così come previsto dalla Costituzione e chiesto dai Veneti con il referendum consultivo del 22 ottobre 2017”. Giacomo Possamai esprime gratitudine per la fiducia e definisce “una bella responsabilità” l’alto incarico. “Ringrazio tutta la minoranza per la convergenza sul mio nome, è una fiducia che mi onora e una bella responsabilità. Saranno giornate impegnative e lo testimonia la fibrillazione di questi giorni. Non sarà semplice trovare un successore all’altezza di Mattarella, un nome veramente rappresentativo di tutti gli italiani, garante della Costituzione e che sia un punto di riferimento per le sfide che ci attendono”.
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Regione
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L’intervista. Andrea Martella, neo segretario regionale
Nuovo corso del Pd: “Partito protagonista della società veneta” In agenda l’assemblea regionale con tutti i circoli territoriali, la scuola di formazione politica e il coordinamento permanente degli amministratori
“I
l Partito Democratico è una grande comunità di donne e di uomini, ricca di competenze, talenti e sensibilità: il mio compito sarà quello di farlo ripartire rendendolo protagonista della società veneta.” Con queste parole Andrea Martella, già Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’editoria, affronta l’importante sfida alla guida del Partito Democratico Veneto. Su quali fronti concentrerà il suo nuovo impegno? “Abbiamo l’opportunità e il dovere – spiega Martella – di attrezzare il nostro Partito perché sappia interloquire, in profondità, con il Veneto, che sia radicato, capace di affrontare al meglio le fragilità presenti nel nostro territorio e di rappresentare appieno le istanze della componente più dinamica della nostra società. Il lavoro, una nuova idea di sviluppo, la sostenibilità ambientale, la valorizzazione delle nuove generazione e della componente femminile, la salute e il sociale, la scuola e la cultura, la modernizzazione e digitalizzazione del Veneto: questi alcuni degli elementi centrali del nostro impegno che dobbiamo essere in grado di rendere, a pieno titolo, punti chiave dell’agenda del Veneto, oggi e per il futuro”.
Il PD dopo la debacle delle ultime regionali ha certamente bisogno anche di una riorganizzazione se vuole essere un protagonista della vita politica veneta. Da dove ripartire? “Siamo chiamati ad investire in autorevolezza, competenza e merito; dobbiamo essere in grado di affrontare le questioni in profondità, di avanzare proposte che sappiano guardare avanti e lanciare una sfida di concretezza e modernità. Per farlo io ripartirò dai circoli territoriali del Partito che vanno messi al centro della nostra elaborazione politica e del nostro agire quotidiano: li dobbiamo rinforzare, anche dal punto di vista economico e organizzativo, sfruttando appieno le tante competenze che ci sono”. Quali le prime mosse da mettere in campo? “Io sono fermamente convinto che ogni impresa debba partire da una profonda e articolata organizzazione: credo questo sia un concetto che guardi al futuro e non al passato. Proprio per questo una delle prime cose che farò sarà indire la prima assemblea regionale di tutti i circoli del Veneto grazie alla quale avviare appieno il nostro percorso. Accanto a questa immagino due strumenti, a mio giudizio, decisi: una scuola di formazio-
ne politica e il coordinamento permanente degli amministratori attraverso il quale mettere in rete le tante buone pratiche, affrontare insieme i nodi del nostro territorio e produrre politiche d’insieme oggi indispensabili per consentire alla nostra regione di correre. Del resto, senza voler polemizzare, il Presidente Zaia ha preso moltissimi voti, ma con la sua condotta incentrata su immobilismo amministrativo e paternalismo politico, sta facendo perdere molte posizioni al Veneto”. Cosa serve perciò al Veneto in questa particolare fase? “Noi crediamo che alla nostra Regione sia indispensabile un nuovo piano di sviluppo, centrato sulla transizione ecologica e digitale, accompagnando le nostre imprese, il nostro manifatturiero, a cogliere pienamente una ripresa che oggi è presente, ma che va conquistata giorno dopo giorno. Dobbiamo farlo mettendo al centro il lavoro di qualità, stabile, in sicurezza e che non escluda, come troppo spesso succede, donne e giovani. E accanto al lavoro ci deve essere il diritto alla salute”. Sulla sanità regionale che posizione avete? “La pandemia ci ha fatto toccare con mano, in modo drammatico, tutti gli attuali
limiti del nostro sistema: lo sforzo encomiabile dei nostri medici e di tutto il personale sanitario non può essere vanificato dall’assenza di programmazione, dalla mancata integrazione con il sociale, dagli investimenti che tardano, dalla scarsa attenzione all’assistenza domiciliare e dalle assunzioni di nuovo personale che non arrivano. Il nostro obiettivo è quello di metterci in cammino, di riannodare i fili che legano la nostra comunità e di connetterli, appieno, con quelli della società veneta per costruire, anche attraverso percorsi elettorali inediti che vadano oltre i tradizionali schemi, un’alternativa alle politiche populiste delle destre”.
Il provvedimento. Zaia e Lanzarin: “Un passo significativo, tema forte della nostra richiesta di autonomia”
Risparmi di spesa in sanità, via libera al disegno di legge regionale Via libera da Palazzo Ferro Fini al disegno di legge “Risparmi in Sanità” in cui viene stabilito che, anche a fronte dello stress e del dispendio a cui è stato sottoposto il sistema sanitario regionale durante questo periodo di emergenza, per gli interventi a beneficio della salute la regione potrà attingere all’avanzo di amministrazione. “Quello sanitario è uno dei settori di spesa più rilevanti e, non a caso, è uno
dei temi forti della nostra richiesta di autonomia. - afferma il presidente Zaia - La legge regionale approvata in Consiglio regionale stabilisce, una volta per tutte, che, erogati adeguatamente i Lea (i Livelli Essenziali di Assistenza), i risparmi disponibili nel bilancio di esercizio del Veneto possono essere impiegati per ulteriori finalità sanitarie. Questa legge è la conseguenza diretta della nostra vittoria alla corte costituzionale di fronte alla quale
dovemmo resistere contro l’impugnativa del Governo per l’attivazione del corso di laurea in Medicina e Chirurgia a Treviso. Avevamo ragione noi, semplicemente ci hanno fatto perdere due anni”. “Questa legge è un passo molto significativo, - aggiunge l’assessore alla sanità Mauela Lanzarin - perché viene sancito il diritto di ogni cittadino a ottenere quanti più fondi possibili per la sua salute e l’assistenza sociale, e quello della Regione
a utilizzare al meglio le risorse ottenute da una gestione oculata che sappia produrre servizi, ma anche risparmi. Poter utilizzare i risparmi ottenuti dopo aver erogato correttamente i Livelli Essenziali di Assistenza ci consentirà di finanziare nuove partite sul fronte sociosanitario, valutando di volta in volta le necessità sul tappeto. Un’arma in più – conclude Lanzarin – per rispondere alle necessità della gente”.
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La testimonianza. Firmato dal prof. Rodolfo Bettiol e dal giornalista Giovanni Coviello con prefazione di Renzo Mazzaro
Un libro sul processo “Banca Popolare” “Ciò che è accaduto non va dimenticato” “Questo libro nasce per rendere accessibili in modo immediato documenti e materiali che finirebbero nel dimenticatoio con il risultato di permettere ricostruzioni abborracciate o di comodo”
È
uscito il libro di Rodolfo Bettiol e Giovanni Coviello “Banca Popolare di Vicenza. La cronaca del processo” edito dall’Editoriale Elas di Roma. Riportiamo alcuni passaggi della prefazione di Renzo Mazzaro. Il processo di Vicenza è stato il primo ad arrivare a sentenza per un crac bancario nell’Italia degli anni Duemila. Farà giurisprudenza o è solo un sasso nello stagno, destinato ad essere cancellato dalla prescrizione nei gradi successivi? I risparmiatori truffati con l’esercito dei loro avvocati che benefici portano a casa? Le imputazioni contestate dalla pubblica accusa coprono tutte le responsabilità o i pm hanno lasciato indietro qualcosa? Ci si poteva aspettare di me-
glio dal tribunale? La sentenza è equilibrata o era già scritta, come sostiene la difesa dell’ex presidente Gianni Zonin? E il resto del Cda? Se il presidente era il padrone assoluto della banca, come hanno stabilito i giudici, cosa ci stavano a fare i consiglieri? Per che cosa erano pagati? Ricordo che uno di loro, l’avvocato Vittorio Domenichelli, presidente del comitato rischi della banca, con rara onestà intellettuale ha lasciato detto che «se in capo al consiglio di amministrazione era concentrata una serie di funzioni, tale organo se ne deve assumere la relativa responsabilità». È rimasto solo lui a pensarlo? Questo libro nasce per rendere accessibili in modo immediato documenti e materiali che fini-
rebbero nel dimenticatoio con il risultato di permettere ricostruzioni abborracciate o di comodo, di passare sotto silenzio la dinamica di un disastro che affonda le radici in vent’anni di malagestio. Un’operazione civica, la definirei. Prodotta da una singolare joint venture: il burbero, ma benefico nel caso specifico, avvocato Rodolfo Bettiol, già professore
di procedura civile all’università di Padova, e il vulcanico e ridondante pioniere dell’informazione on line di Vicenza Giovanni Coviello. Un’accoppiata nata con le frequentazioni nelle battaglie per costruire un sistema di indennizzo ai soci dei risparmiatori delle banche collassate, cui Bettiol ha tecnicamente contribuito e che Coviello ha raccontato e sostenu-
to. Coviello è stato l’unico a seguire con la telecamera di ViPiù l’intero processo. Ora questo libro celebra il funerale della Popolare di Vicenza, raccogliendo gli atti in 109 video linkabili con QR code. Alcune udienze sono suddivise in più video. Tutti i 116 verbali delle udienze sono trascritti e scaricabili. Le indicazioni su come farlo sono nell’indice.
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Intervista a Giorgia Gay. Direttore responsabile de LaPiazzaweb e LaPiazza24
Intervista a Costantino Da Tos. Consulente per il progetto audio LaPiazza24
“Ecco il notiziario audio che “La straordinaria potenza mancava. Raccontiamo il Veneto dell’audio, un’evoluzione sotto ogni punto di vista” naturale dell’informazione”
Le notizie da tutte le città del Veneto, dal 10 gennaio, sono in streaming nel sito www.lapiazzaweb.it, sui principali siti di informazione veneta e in FM su Radio Pico, Radio Canale Italia, Radio Volami Nel Cuore
“L
a Piazza è entrata a far parte della mia strada professionale nel 2004: da allora sono passati 18 anni e non ha mai smesso di essere un lavoro stimolante. Trovo che il migliore pregio di questa realtà editoriale e di questa squadra sia la capacità di spingersi sempre “un po’ più in là”. E sono stati proprio questa voglia di sperimentare e questa capacità di pensare fuori dagli schemi gli elementi che ci hanno portato a questa nuova sfida editoriale, ovvero il il progetto audio LaPiazza24” Giorgia Gay, direttore de LaPiazzaweb e LaPiazza24, racconta così la novità del 2022. Le notizie da tutte le città del Veneto, dal 10 gennaio, sono in streaming web nel sito www.lapiazzaweb.it, sui principali siti di informazione veneta e in FM sulle radio del
Veneto: Radio Pico (frequenze 90.6), Radio Canale Italia (90.4), Radio Volami Nel Cuore (101.9). Gli appuntamenti con le notizie sono dal lunedì al venerdì alle 8:30, 11:30, 17:30 e 18:30. Il sabato alle 8:30 e alle 11:30. Come vi siete preparati a questa nuova sfida editoriale? “Abbiamo per prima cosa messo in piedi una squadra che fosse in grado di realizzare un prodotto di qualità, sotto ogni punto di vista, in redazione e sul campo. Nel corso degli ultimi due anni, in particolare, la redazione web de La Piazza è cresciuta, con la presenza di collaboratori nelle principali città, che quotidianamente raccolgono notizie, pubblicano approfondimenti, realizzano interviste. Tutti materiali preziosi, a cui abbiamo dato una nuova forma: non solo quella scritta ma, appunto, quella audio. Abbiamo poi coinvolto le nostre principali fonti, informando gli enti con cui dialoghiamo ogni giorno, i protagonisti della politica, i sindaci delle nostre città, le forze dell’ordine. Abbiamo trovato grande disponibilità sotto ogni aspetto e questo ha reso possibile l’avvio dei notiziari che, dal 10 gennaio, raccontano il nostro Veneto”. Un’informazione così mancava nel panorama regionale, giusto? “Sì. E non a caso abbiamo trovato grande attenzione dalle emittenti radiofoniche su cui trasmettiamo. Le radio nel nostro territorio non avevano, fino a oggi, prodotti editoriali professionali, quotidiani, dedicati al Veneto”. Quattro notiziari quotidiani non sono pochi, come li realizzate? “Non sono pochi, è vero. È un flusso di lavoro costante e continuo. Ma le notizie che ogni giorno pubblichiamo nel nostro sito web sono svariate decine, da ogni città - piccola o grande che sia - della nostra regione. La sfida, se vogliamo, è quella di decidere cosa raccontare e come farlo al meglio. Ed è per questo che, dopo una fase di rodaggio, arriveranno presto altre novità, ma per ora non posso svelare nulla”.
“L
a percezione del mondo avviene attraverso i sensi e lo stesso accade anche nel mondo dei media, con cui si raggiungono le persone, gli ascoltatori. Ad esempio, la lettura del giornale coinvolge la vista, il tatto e, un tempo, anche l’olfatto con l’odore di petrolio della carta. Il web è stata la successiva evoluzione de La Piazza, attraverso cui si è aggiunta una nuova esperienza: quella delle immagini e dei movimenti. Un’esperienza che di nuovo coinvolge la vista, ma anche l’esplorazione attraverso la ricerca. Mancava, però un’esperienza legata all’udito, che tra l’altro è uno dei sensi più ancestrali e che ha la straordinaria capacità di ricreare delle immagini: un suono corrisponde a un oggetto che a sua volta viene visualizzato nella nostra mente. Questo ha un’enorme importanza, un grande fascino e valore. L’evoluzione naturale dell’informazione di una testata giornalistica, dunque, non poteva che arricchirsi di un ulteriore linguaggio di comunicazione: l’audio, con il racconto a voce delle notizie”. Costantino Da Tos è il consulente de La Piazza per il progetto audio che è stato lanciato a gennaio, con 4 notiziari quotidiani in onda on line e su Fm. Perché è così importante questa svolta audio? “Pensiamo alla lettura del giornale: mentre sfoglio le pagine e leggo le notizie non ho la possibilità di fare altro. Invece grazie all’audio posso dedicarmi ad altre attività, ad esempio guidare per andare al lavoro e nel frattempo scoprire ciò che succede nel mondo. Ed è l’aggiunta dell’elemento audio che rende l’offerta editoriale della Piazza ancora più speciale: offre tutti gli strumenti per rimanere informato, con immediatezza. L’audio ha in più il fascino della visualizzazione delle immagini tramite il racconto e le voci. Tutto questo rende questo mezzo molto importante: ecco perché dico che per chi fa informazione è un’evoluzione naturale, specie in un periodo in cui l’audio ha assunto un’enorme importanza, grazie alla varietà
di strumenti per poterlo fruire: quelli legati al web e a internet, la tradizionale radio Fm, gli smart speaker”. Come si è arrivati alla definizione dell’offerta con 4 notiziari quotidiani? “È un nuovo impegno per l’editore e quindi è stato scelto di cominciare con questa formula per dare alla struttura tecnica, ai redattori, ai collaboratori e ai giornalisti, la possibilità di rodarsi. Ma pian piano aumenteremo il numero delle edizioni. Intanto, questi quattro notiziari hanno un posizionamento strategico nei palinsesti: durante il drive time la mattina e il ritorno a casa della sera”. Anche da un punto di vista commerciale l’offerta diventa maggiore e più varia. “Certo. Se per l’utente nasce un nuovo modo di rimanere informato, i clienti pubblicitari dal canto loro hanno ora la possibilità di comunicare in modo nuovo con i loro possibili clienti. Ma la cosa più importante è integrare la comunicazione attraverso più strumenti: la carta stampata, il web e tutto il mondo dell’audio, appunto. È questa strategia ideale e vincente per raggiungere in modo più efficiente e nuovo i clienti. Da oggi con un unico soggetto, che è La Piazza, si riescono a utilizzare tutti i media”.
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GENNAIO 2022
on-line:
Salute Covid e contagi
Le misure per fronteggiare l’emergenza
“A
Obbligo vaccinale e green pass rafforzato, le nuove disposizioni
l fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2, si applica ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Ue residenti nel territorio dello Stato, nonché ai cittadini stranieri che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età”. Così recita l’ultimo decreto legge approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri (sei articoli in tutto). Si introduce, all’articolo 1, l’obbligo vaccinale per tutti gli over 50. Esenzione o differimento dell’obbligo solo in casi particolari. Il Dl prevede l’esenzione (o il differimento) dall’obbligo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del ministero della Salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti Sars-CoV-2. Per chi sia immunizzato per aver contratto la malattia, l’obbligo è solo rinviato: secondo il testo “l’avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale, comprovata dalla notifica effettuata dal medico curante – determina il differimento della vaccinazione”. Smart working nel nuovo Decreto legge. Il Consiglio dei Ministri è stato informato dal Ministro per la pubblica amministrazione, Renato Brunetta che è stata adottata d’intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando una circolare rivolta alle pubbliche amministrazioni e alle imprese private per raccomandare il massimo utilizzo, nelle prossime settimane, della flessibilità prevista dagli accordi contrattuali in tema di lavoro agile. Prosegue alla pag. seguente
Salute
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Le indicazioni della Regione Veneto
Le misure per fronteggiare l’emergenza LE TEMPISTICHE Dal 10 gennaio è obbligatorio il green pass rafforzato (con vaccino o guarigione) per il trasporto pubblico (aerei, treni, navi, bus) anche locale; ristoranti e bar anche all’aperto e al banco; spettacoli (concerti, cinema, intrattenimento, musica dal vivo…) anche all’aperto; alberghi e strutture ricettive (anche ristornati e bar all’interno); sagre, fiere e feste conseguenti a cerimonie civili e religiose, centri congressi, mostre e musei; impianti di risalita, piscine, sport di squadra e centri benessere anche all’aperto, oltre a palestre al chiuso e centri termali, salvo attività terapeutica; centri culturali, sociali e ricreativi anche per attività all’aperto; parchi tematici e divertimento, eventi e competizioni sportive , anche all’aperto, sale giuoco, scommesse e casinò per cui era già previsto. Dal 20 gennaio è obbligatorio il green pass base (anche con tampone) per barbieri, parrucchieri e centri estetici. Dal 1 febbraio entreranno in vigore le sanzioni per gli ultracinquantenni non vaccinati e l’obbligo del green pass base per uffici pubblici, servizi postali, bancari e finanziari, attività commerciali (escluse quelle di primaria necessità come alimentari e farmacie). Dal 15 febbraio è previ-
sto l’obbligo del green pass rafforzato nei luoghi di lavoro per chi ha più di 50 anni. Chi non ce l’ha dovrà osservare il divieto di accesso ai luoghi di lavoro (l’inosservanza comporta una sanzione con multe da 600 a 1500 euro), conserva il posto di lavoro ma non lo stipendio; è prevista la possibilità di sostituire il lavoratore sospeso per 10 giorni, sostituzione che potrà essere rinnovata fino al 31 marzo. SCUOLA, NUOVE NORME PER LA QUARANTENA L’articolo 4 del Dl disciplina la gestione dei casi di positività nel sistema educativo, didattico e formativo. In sintesi, questa la casistica in base al tipo di scuola e al numero dei contagi accertati. Asili nido (scuole dell’infanzia) In presenza di un caso di positività nella stessa sezione, si applica alla medesima sezione una sospensione delle relative attività per una durata di dieci giorni. Scuole elementari (primarie) – in presenza di un solo caso di positività nella classe, si applica alla medesima classe la sorveglianza con test antigenico rapido o molecolare (testing di verifica) da svolgersi al momento di presa di conoscenza del caso di positività e da ripetersi dopo cinque giorni.
– In presenza di almeno due casi di positività nella classe, si applica alla medesima classe la Dad per la durata di dieci giorni. Scuole Medie e Superiori (scuole secondarie di I e II grado) – Fino a due casi di positività in classe: autosorveglianza con l’utilizzo di mascherine di tipo Ffp2 e con didattica in presenza. – Con tre casi di positività in classe: per i non vaccinati che o non abbiano completato il ciclo o guariti da almeno 120 giorni: Dad per 10 giorni. Per gli studenti guariti dal Covid o che abbiano completato il ciclo vaccinale: autosorveglianza con l’utilizzo di mascherine di tipo Ffp2 – Con almeno quattro casi di positività in classe: Dad per la durata di dieci giorni. Test anti-Covid gratis agli studenti in auto sorveglianza TRASPORTO SCOLASTICO Per gli scuolabus o altre modalità di trasporto riservate agli studenti, escluso il trasporto pubblico ordinario, è obbligatorio indossare le mascherine di tipo Ffp2 per gli studenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, almeno fino al 10 febbraio, salvo diverse diposizioni. L’articolo 5 del Dl contiene
alcune misure urgenti per il tracciamento dei contagi Covid tra gli studenti. In particolare, il Commissario per l’Emergenza Coronavirus potrà contare su uno stanziamento da 92 milioni e 505mila euro fino al 28 febbraio 2022 per una campagna di test rapidi gratuiti destinata al tracciamento dei contagi Covid tra gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, soggette alla autosorveglianza.
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Film e serie tv visti da vicino
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a cura di Paolo Di Lorenzo
“A casa tutti bene”: “Incastrati”, colpo riuscito al debutto Muccino convince di Ficarra e Picone su Netflix È
la prima volta di Muccino con una serie e gli è riuscita bene, tanto per parafrasare il titolo. “A casa tutti bene - La serie” è una storia italiana raccontata alla maniera statunitense. Lo stile è quello dei “serial” americani, ha poco a che spartire con le fiction generaliste. Il risultato è un ibrido che convince per l’ambizione e per l’abilità di unire il melodramma della nostra tradizione con il ritmo incalzante della televisione a stelle e strisce. È un stato azzardo ben calcolato per Sky studios Italia, braccio produttivo della pay-tv di Comcast che punta ad avere in onda una serie originale italiana ogni mese entro il 2024. Nel nostro Paese si realizzano tante fiction sulle famiglie, eppure raramente ci si avventura nel family drama alla maniera statunitense, genere televisivo che da “Happy Days” alla più recente “Succession” continua a tenere incollati agli schermi milioni di spettatori in tutto il mondo attraversando i decenni. Gabriele Muccino c’è riuscito e il suo segreto è un questa affermazione: “Ho girato questa serie come se fosse un film, lo standard qualitativo è molto alto: la sfida era realizzare una serie dal look internazionale”. Cambia l’ambientazione - da Ischia nel film ci si sposta al Gianicolo nella serie - ma al centro troviamo sempre una famiglia costretta a fare i conti con la propria infelicità. “Mentre giravo il film mi sono reso conto che questi personaggi sono talmente carichi di vita che meritavano di essere approfonditi” afferma Gabriele Muccino, che aggiunge: “Questa serie non è una rivisitazione del film di quattro anni fa, ma un’occasione per esplorare ulteriormente le vite, i percorsi e l’evoluzione dei protagonisti”. La trama. I Ristuccia, proprietari da quarant’anni del ristorante San Pietro sono colpiti da un lutto improvviso. Questo evento drammatico li riporta a vivere a stretto contatto coi Mariani, ramo della famiglia che da loro non è mai stato molto amato. “Per lo spettatore questa serie è un po’ come una terapia famigliare collettiva” racconta Muccino, che spiega: “I personaggi rappresentano gli archetipi umani più ampi e più classici. Chiunque guarderà questa serie potrà ritrovare una persona famigliare, magari saranno loro stessi a riconoscersi nei protagonisti”. Nel cast della serie, oltre ad attori con cui aveva già collaborato in passato come Laura Morante, Francesco Acquaroli, Paola Sotgiu e Francesco Scianna, Gabriele Muccino ha potuto contare sulla partecipazione di alcuni talenti emergenti. “Questa serie corale ha tanti talenti di alto livello, e sono felice di averli messi in una vetrina così importante come questa perché mi auguro che andranno a rinnovare il parco attori del nostro cinema” ha detto il regista. Sky Italia ha già riconfermato la serie per una seconda stagione, un’attestazione di fiducia nei confronti del progetto che conferma quanto A casa tutti bene - La serie costituisca un pilastro nella strategia di produzione originale per la Sky post-Gomorra. “Stiamo già scrivendo le nuove puntate” anticipa il regista, che assicura che molte delle promesse fatte dalla storia nel corso della prima stagione troveranno risoluzione nella successiva.
“I
ncastrati” su Netflix sono Salvo Ficarra e Valentino Picone che hanno ideato, diretto e interpretato la serie comica con questo titolo. Sono al loro primo progetto televisivo. “Incastrati” presenta un racconto che rispetta gli stilemi della commedia degli equivoci, intrecciandosi a un giallo che percorre tutta la serie. Al centro della storia due amici (interpretati da Ficarra e Picone) che rimangono coinvolti, loro malgrado, nella vicenda di un omicidio eccellente. Cercando di scappare dalla scena del crimine, i due si mettono sempre più nei guai, in una sequela di eventi tragicomici che li porterà a dover fare i conti con la criminalità organizzata. Siamo di fronte ad una serie ben congegnata, capace di soddisfare le aspirazioni sempre più generaliste di Netflix. Il colosso dello streaming fondato da Reed Hastings per la sua espansione italiana punta al grande pubblico intercettandolo con produzioni larghe come questa, affidandosi alla una comicità semplice e brillante di Ficarra e Picone. Del resto, lo stesso Leonardo spiegava che “la semplicità è la suprema sofisticazione”. Nel mondo di “Incastrati” la pandemia non è mai accaduta. Questo perché la serie fu concepita prima dell’insorgere dell’emergenza sanitaria globale. “Avevamo appena finito di girare ‘Il primo Natale’ e a quel punto abbiamo voluto cimentarci con qualcosa di nuovo” ricorda Valentino Picone. Lo spunto per una serie giunse da Ilaria Castiglioni, manager delle produzioni originali di Netflix Italia. La sfida era quella di sperimentare un mezzo diverso da quello cinematografico: “Avevamo voglia di misurarci con un genere a metà tra il crime e il giallo, e ci siamo lanciati in quest’avventura” continua Valentino. Se far ridere per sei episodi anziché due ore è già una sfida di per sé, lo è ancor di più debuttare simultaneamente su un palco globale in quasi duecento Paesi. “Con Netflix si ha un impatto immediato” commenta Salvo Ficarra, che continua: “Ci piaceva l’idea di portare la nostra comicità all’estero, che è una cosa sempre difficile da fare”. La trama di “Incastrati”, ambientata in una Sicilia talmente pittoresca da risultare volutamente stucchevole, vede i due protagonisti alle prese con la malavita locale. Non è un caso che nella squadra autoriale di “Incastrati” ci siano anche Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, head writer di Gomorra - La serie. Due che di serie tv sulla mafia s’intendono. Come rispondono i due registi e creatori a chi accusa la serialità italiana di raccontare troppo spesso la mafia per assicurarsi un’esportazione internazionale? “Rispondo che scrivessero loro una serie” ribatte secco Valentino Picone. Sebbene il finale della prima stagione suggerisca un prosieguo, ad oggi Netflix non ha ancora confermato la realizzazione dei nuovi episodi. I due protagonisti e ideatori sembrano possibilisti, senza però sbottonarsi realmente. E se la cavano così: “Può essere che magari prima facciamo la terza, e poi la seconda” ha scherzato Salvo Ficarra.
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Enogastronomia
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Il prodotto titpico. Sulla collina di Creazzo, luogo del cuore, lo producono “I giovani fiolari” che hanno stabilito un record nell’export
Il broccolo fiolaro arriva fino in Giappone Alberto Maccagnan ed Edoardo Longo hanno una produzione di 15-16mila piante sulla collina del paese. La loro azienda rifornisce grandi cuochi: ora arriva nel Sol Levante
È
il prodotto vicentino re dell’inverno e soprattutto di gennaio. È il broccolo fiolaro di Creazzo, che ha segnato la resurrezione degli ortaggi locali. Ha elevate proprietà antitumorali e soprattutto un gusto speciale, più morbido rispetto a quello dei cugini cavoli. Si chiama così perché la parte migliore sono i “fioi”, cioé i germogli all’interno. Quasi dimenticato fino a 18 anni fa, è tornato nelle coltivazioni e sulle tavole grazie a una convinta “rivoluzione culturale”. Merito di un ristoratore intelligente come Severino Trentin, che ne intuì le potenzialità, e di Vladimiro Riva che ne promosse la valorizzazione da parte della Camera di commercio, con un libro a firma di chi scrive. Oggi la produzione vede in prima linea giovani coltivatori come Alberto Maccagnan, 28 anni, ed Edoardo Longo, che animano l’azienda “I giovani fiolari del colle”. Il primo cura la produzione, il secondo la commercializzazione grazie a quattro giovani. La coltivazione interessa poco meno di un ettaro sulla collina di Creazzo, il luogo più tipico e pregiato. Hanno iniziato undici anni fa, con 500 piante. Da cinque-sei anni la produzione è stabile sulle 15-16mila piante. Il loro broccolo ha il marchio “deco” ed è arrivato da Carlo Cracco a Milano, cuoco originario di Creazzo, grazie al papà Bertillo che glielo portava al ristorante di via Victor Hugo. Oltre a fornire molte trattorie, i “giovani fiolari” hanno portato i loro ortaggi ad altri cuochi di alto livello, come i Portinari de “La Peca” di Lonigo, Enrico Crippa al “Piazza Duomo” di Alba, la pizzeria gourmet di Simone Padoan “I tigli” di San Bonifacio, e poi Corrado Fasolato allo “Spinechile
resort” di Schio e Alessandro Dal Degan alla “Tana” di Asiago. Adesso per i produttori s’è aperto un importante capitolo targato Giappone: è in partenza via aerea per il Paese del Sol Levante un carico di un quintale di broccoli, grazie a un’importatrice che vive a Padova e s’è innamorata del prodotto: ha anche portato nella loro azienda alcuni giornalisti giapponesi. I “giovani fiolari” confidano di aver fatto molti sacrifici per valorizzare la loro azienda, nella quale reinvestono i guadagni. “Sopravviviamo, di certo non si diventa ricchi”: sintetizzano così l’avventura imprenditoriale. A Creazzo il broccolo è diventato una bandiera, al punto di animare una sagra a gennaio che ha richiamato anche quindicimila persone, soprattutto da fuori Vicenza. Purtroppo, a causa del covid, la sagra è ferma da due anni: intanto richieste arrivano da Modena, Reggo Emilia, Brescia. Il broccolo può essere gustato lessato oppure finire come minestra, ideale accompagnamento di pesce e crostacei, e in svariate altre preparazioni fin sulla pizza. La grande Tiziana Nogara, scomparsa recentemente, produceva il cotechino al broccolo fiolaro e lo aveva trasformato in un successo della sua macelleria gourmet. A titolo di esempio, va ricordato che Giuseppe Zamboni, cuoco che ha raccolto l’eredità di Severino Trentin alla trattoria di famiglia a Lapio, presenta un interessante sformato di broccolo fiolaro su spicchio di verza, bacon croccante e rapatura di formaggio Asiago mezzano. Antonio Di Lorenzo
Nelle foto Alberto Maccagnan, una rigogliosa pianta di broccolo fiolaro e sopra uno sformato di broccolo con verza, bacon e Asiago di Giuseppe Zamboni
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