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Errare è umano ma sciare è diabolico
Le piste sull’Ekar erano divise in tre parti come la Gallia di Giulio Cesare. La “Baby” era per i piccoli che imparavano subito a non accettare caramelle da alberi sconosciuti. Nella “direttissima” si raggiungevano velocità che neanche al ciclotrone di Ginevra. Tutto il santo giorno su e giù senza un minimo di tutela sindacale
Errare è umano, sciare è diabolico. Ringrazierò sempre i miei genitori di avermi insegnato lo sci durante la prima adolescenza, avendo così modo di abbandonarlo in modo definitivo non appena girato l’angolo della maturità. E già, perché sciare è sempre stato per me una sofferenza mascherata da divertimento, un sacrificio spacciato per festa e senza dubbio il passaggio traumatico dall’innocente e spontaneo mondo suicidario dell’infanzia su slitta e su bob a quello, altrettanto suicidario, ma più triste e disciplinato dello sci.
Teatro di questa tragica formazione furono gli impianti di risalita dell’Ekar, sull’altopiano di Asiago. Come la Gallia di Giulio Cesare era divisa in partes tres, altrettanto lo erano le piste di Gallio: c’era la “Baby” per i più piccoli che imparavano subito a non accettare caramelle da alberi sconosciuti, la “Direttissima” dove si raggiungevano velocità che neppure al ciclotrone di Ginevra e la più rilassante pista “Primavera”, che scendeva per una lunga e dolce spalla del monte, la preferita da poeti, pensionati e malati di nervi.
La giornata sciistica iniziava al mattino presto e andava avanti fino al tramonto, con una breve pausa per ingollare un panino: tutto il santo giorno su e giù, su e giù senza un minimo di tutela sindacale e mai nessuno schiavo che osasse ribellarsi e fuggire via dalle piste, scendendo verso la pianura, la libertà, fuori dalla Valsugana, verso il mare!
Alla partenza degli ski-lift l’aria era pesante come alla barriera di Milano, ma i fumi del gasolio nella purezza alpina potevano dare una sconcertante euforia come il napalm al colonnello-surfista di Apocalypse now. Io odiavo le belle giornate, quando si poteva sciare in bermuda e a petto nudo e invece si doveva morire dal caldo dentro delle tute da cui non traspiravano neanche le bestemmie. Inoltre con il bel tempo si vedeva tutto il lentissimo percorso che si doveva fare dalla base alla cima dell’impianto e questo, dal quarto giro in poi diventava una tortura tibetana. Al contrario la giornata umida e nebbiosa trasformava ogni risalita in una nuova avventura verso l’ignoto, un procedere lento e faticoso come una ritirata sul Don. Presto il rumore del diesel veniva inghiottito dalla massa lattiginosa di nebbia e di neve e faceva compagnia soltanto il lieve fruscìo degli sci, intervallato dal metallico tintinnare delle ruote dei tralicci.
E mentre le dita dei piedi lentamente congelavano dentro le bare di ghiaccio degli scarponi
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Carta, Web, Audio, App. Dentro al territorio nel cuore della gente! e quelle delle mani venivano rianimate bocca a bocca, si saliva passando accanto impotenti ai poveretti appena deragliati dai piattelli e sprofondati in metri di neve che gridavano aiuto, poi a quelli di caduta meno recente il cui lamento diveniva sempre più debole e poi ancora ai cippi e le pietre tombali con i nomi e le foto degli sciatori periti nell’esercizio del dovere.
23 Edizioni Locali. Oltre 500.000 famiglie raggiunte.
Ma in pochi secondi la nebbia inghiottiva tutto e si andava avanti sospinti dalla cieca e furiosa forza del diesel, che da valle tutto trainava verso il proprio ineluttabile destino. La selezione naturale continuava poi anche all’arrivo, dove grandi cartelli ordinanti di liberare il gancio e andare a sinistra venivano interpretati al contrario da un venti per cento di utenti che mollavano il gancio e andavano a destra, scomparendo dentro un gabbiotto dove erano triturati in modo terrificante ma per fortuna rapido. A questo punto non restava che scendere: di solito noi ragazzi ci si buttava giù per la Direttissima come kamikaze alla battaglia delle Midway, senza casco, senza airbag salvaschiena, e senza speranza, con l’unica garanzia di essere imbullonati a sci pesanti come tubi Innocenti, grazie allo speciale attacco a morso di cavallo con molettone anteriore. Un sistema durato poco visto l’enorme numero di dita amputate registrato, ma comunque tale da assicurare lo sci allo scarpone in modo efficace.