Il Gergo delle noci (Preview)

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“Collana Fantasy” LaPiccolaVolante (10)

Daniela Alvisi Il Gergo delle noci Proprietà Letteraria Riservata I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, di riproduzione o adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. Versione Elettronica © 2016 Associazione Culturale LaPiccolaVolante “Collana Fantasy” www.lapiccolavolante.net ISBN 9788897785217 Illustrazione di copertina di AkiMao (Marta Longhini) grafica di copertina e mappa di Emiliano Billai progetto grafico di Michela Meloni Revisione testo di Michela Meloni


Daniela Alvisi

Il Gergo delle noci


“Con

il tempo nessuno fece

piu‘ distinzione fra le tre terre di un tempo; si inizio‘ a parlare di un’unica e anonima entita‘:

La Grande Contea.”




“Un gatto sa aspettare”



1 Corri, pensa, sputa

Ci vuole una certa destrezza per aprire una noce senza distruggerne il guscio. Ci riesco quasi sempre con una sola mossa; la giusta misura di garbo e decisione divide il fragile globo in due metà perfette, che posso intagliare e poi ricongiungere con un po’ di resina, così da riunirne i destini. Per una strana burla del fato sono cresciuto tanto incapace di disegnare, quanto abile nell’intagliare minuscole figure su piccole e ruvide manciate di materia. I miei fugaci momenti di gioia sono scolpiti in queste noci, una per ogni sfida vinta. L’ultima è ancora intera e batte sorda contro le altre. Batte il tempo della corsa. …E allora corri Gergo! Corri e pensa. Non smettere di pensare! Più è minuzioso il ricordo e più a lungo resterai vivo. Un altro ricordo, solo un altro ancora. Corri, pensa, sputa! «Nargul, amico mio. Corri ancora al mio fianco.» «Come sempre Gergo. Corri come se non ci fosse domani; arrendersi non è concesso. Non ancora.»


«Arrendersi… almeno il dolore mi annebbia i sensi mentre pronuncio questa parola. Dolore, paura, morte…. li sento addentarmi avidi il cranio e i visceri, litigarsi ogni goccia di linfa vitale. Li senti anche tu, Nargul?» «Li sento Gergo, nella mia carne come nella tua, ma il gioco non è ancora finito. Corri, dunque. Pensa ancora. Sputa la saliva mista al sangue. Corri, pensa, sputa!» «Il sangue ora sa di buono, Nargul… sarà questo il mio ultimo ricordo?» «No, Gergo! Sputalo! E corri! Corri! Pensa! Sputa! Il tuo passo sa dove andare. Seguilo e ti condurrà là, dove tutto deve finire: allora saprai di essere arrivato.» «Non vedo nulla, Nargul… dove sei? Parlami ancora, non ti sento più. Di chi sono questi passi? Di chi sono queste ombre… che tu sia dannato, Nargul! Dove mi hai portato? Mi hai venduto a loro… Non mi avranno, oh no, che non mi avranno, non finché avrò la forza di correre» Le mie gambe… non cedete ora, no non traditemi anche voi, no!!! «E tu pensa, Gergo, non smettere di pensare, non cadere!» …Cado «Non chiudere gli occhi!» …Si chiudono, sono a terra… «Pensa!» … Sì, un pensiero ancora, il suo dolce sospiro… Corri, pensa, sputa! Corri, pensa, sputa. Corri, pensa…


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«Gergo.» «…Ooh, la mia testa… cos’è…?» «Gergo!» «…Chi mi chiam…aah?!» «Gergo!!» «Chi… chi siete? Come sapete il mio nome? Aaah…» «Fermo, Gergo. Le tue ferite sono profonde, non devi agitarti o la medicazione non terrà.» «Quale medicazione? Ouch!... Questa, immagino. Non mi avete detto chi siete. Chi vi ha detto il mio nome?» «Calma, ragazzo mio… avremo tempo per le conversazioni. Ora pensiamo a rimetterti in piedi.» «Non lo credo possibile. Forse non avete visto bene le mie ferite… o forse sì. Mi avete chiamato per nome. Non è un buon segno.» «Non ti sbagli. Conosco bene quel tipo di ferite e so chi ti dà la caccia. Fai bene a guardarti le spalle, ma non certo da me. » «Perché dovrei credervi? Potete provare di non essere al loro servizio?» «No di certo, ragazzo. E non mi interessa minimamente farlo. Per quello che mi riguarda, sei libero di andartene quando vuoi. Chi ti ha ridotto in quel modo non vede l’ora di portare a temine il lavoro; vattene ora e gli farai un favore.» «Non mi piacete. Ma non ho scelta, temo.» «Faccio lo stesso effetto anche alle donne, forse dovrei curare di più il mio aspetto.» «Molto divertente, ma non mi convincete. Sapete


troppo di me e il motivo non mi è ancora chiaro. Saprete anche che non temo il dolore e, quanto alla morte, la considero poco più che un’avversaria di gioco.» «Brutto affare, Gergo. Ti sei scelto un’avversaria che gioca sporco. Anche il più abile dei giocatori, prima o poi è destinato a perdere. Siamo forse a questo punto, Gergo?» «Le mie confidenze si fermano qua, finché non avrò capito chi siete e perché vi siete preso il disturbo di soccorrermi. Suppongo che vi aspettiate gratitudine. » «Oh, certo. L’aspetto quasi quanto un fulmine che si abbatta sul mio didietro! E ora, siccome non posso nutrirmi della tua gratitudine, me ne andrò per un po’ in cerca di cibo ed erbe officinali. Artibeus e Burmilla, i miei famigli, faranno buona guardia; fatteli amici e sarai al sicuro. Sempre che tu decida di restare, si intende.» «Cosa?! E mi lasciate qua, con quei pendagli da forca là fuori sulle mie tracce?» «Sei libero di andartene e trovare rifugio altrove. Il mio vecchio cuore reggerà al colpo. Addio, Gergo.» Fantastico… come pensa che possa andarmene? Non posso muovere un muscolo senza che i miei visceri brucino come tizzoni d’inferno e il mio volto è sfigurato da quelle lame diaboliche. L’ideale per passare inosservato… Ma di cosa dovrei preoccuparmi, in fondo? Ho trovato rifugio in questa grotta pulciosa, dove chiunque può entrare e finire il lavoro iniziato da quei maledetti… ma per fortuna ci sono i famigli a fare buona guardia! Secondo quel vecchio pazzo questo


dovrebbe tranquillizzarmi, certo! «Beh? Che diavolo avete da guardarmi, bestiacce? Sembro una bistecca masticata, è vero, ma non sono cibo per voi. Quello è andato a cercarlo il vostro padrone strambo. Aspettate il vecchio e giratemi al largo… Ehi, ehi! Fermo, tu! Stammi lontano, tieni giù quelle zampe, ho detto via… Ehi! Ridammi quella noce! Ridammela, gattaccio!» «È una femmina. » «Chi ha parlato?» «Io, amico. Burmilla è una gatta e non mi sembri sulla buona strada per fartela amica. Qua, bella! Molla la noce, il nostro amico sembra tenerci molto. Fico questo disegno, l’hai fatto tu? » «Dammela subito, è mia. E smettila di chiamarmi amico, io non ti conosco.» «Mi chiamo Milo, ora mi conosci! Alceus mi aveva detto che eri un tipo difficile, ma mi piacciono le sfide. Ecco la tua noce. È una specie di stella quella disegnata sopra?» «È un caltrop. Non è roba da mocciosi e neppure questo posto lo è. Vattene e lasciami solo.» «Ne hai tante. È curioso che Burmilla abbia scelto proprio quella. Ha un significato particolare?» «Non sono affari tuoi. Ora vuoi andartene e lasciarmi in pace? Sono ferito, non vedi? Non voglio crepare prendendoti a calci, ma lo farò se non sparisci subito!» «Calma ti amico, farò come vuoi. Me ne vado prima che mia sorella venga a cercarmi. Tratta bene quei due; Alceus va fuori di testa quando qualcuno è scortese con i suoi famigli. Ciao ciao!» Così è questo il nome del vecchio strampalato.


Chissà se tornerà mai. Nargul… dove sei?


2 Un gatto sa aspettare

Il dolore torna a battere. Il tratto acuto, brevissimo e lancinante. E poi la pausa interminabile, nell’attesa del dolore successivo. Tornerà senza annunciarsi, in un ritornello crudelmente irregolare. Batte un tempo sbagliato, Nargul, e tu non ci sei. Non cercarmi ora; morirei maledicendoti. Le ferite sono infette. Bruciano. Dio, quanto bruciano. Le bende cedono, impregnate degli umori della morte, tinte dei suoi colori tetri. Si faccia avanti, dunque, neanche oggi la temo. Che venga e si porti via ciò che avanza di Gergo. Resti putrescenti, non avrà più di questo. Di nuovo lui. Non si è ancora stancato di svolazzarmi intorno. «Cosa vuoi da me, lurido ratto volante? Carne fresca dove affondare i denti? Qua non ne troverai. Vattene!» Come provocato da quelle ultime parole, Artibeus si lanciò in picchiata cercando lo sguardo di Gergo, sofferente e sprezzante al tempo stesso. I suoi occhi piccoli e penetranti erano puntati verso


un ragazzo sfinito, dilaniato, ma ancora ostinatamente fiero, teso ad affrontare un’ultima sfida, una di quelle che era solito giocarsi senza troppe strategie. Quelle le serbava per altre occasioni: limiti che andavano ben oltre l’attacco di uno stupido pipistrello. Quello era un gioco da ragazzi. Sì, una volta, forse, quando il ragazzo esisteva ancora. L’ultima prova che aveva affrontato lo aveva trasformato in un uomo e le regole del gioco erano cambiate per sempre. «Fatteli amici», aveva detto Alceus. Un consiglio o una minaccia? Che cosa sarebbe successo altrimenti? Non c’era tempo di pensare. Artibeus era su di lui, pronto ad attaccare. Quei minuscoli denti aguzzi erano ormai tutto ciò che Gergo riusciva a vedere. Li sentì affondare lentamente nella carne martoriata. In un ultimo fremito, Gergo si liberò delle bende putride cercando i segni del morso. Se qualcuno - o qualcosa - stava per avere la meglio su di lui, lo avrebbe guardato da vicino. Trovò i due fori, profondi e perfettamente rotondi. Non appena li toccò, una strana e densa materia iniziò a sgorgare a fiotti. Non ne capiva la natura, ma non poteva evitare di sentirne l’odore disgustoso, né di avvertirne la lenta fuoriuscita. Per Gergo, provato ma ancora caparbiamente vigile, non poteva trattarsi che del gran finale. Non era trionfale come se l’era immaginato, ma di sicuro non era banale. Gli sembrava perfino grot-


tesco, come gran parte della sua vita scanzonata. Ricordava quella leggerezza con una struggente nostalgia, ma ancora una volta l’uomo scacciò il ragazzo di un tempo e si sforzò di restare a testa alta in attesa dell’ultima, inevitabile sferzata, quella che se lo sarebbe portato via. Dove? Non l’avrebbe deciso lui, ma questa volta era disposto ad accettarlo di buon grado. Con sua grande sorpresa, la sferzata non arrivò. La materia continuava a sgorgare ma, invece di portarsi via l’essenza vitale di Gergo, sembrava succhiare fuori il marciume che fermentava nelle sue ferite, a sorsi agri, uno alla volta. Un’inattesa sensazione di sollievo si faceva largo attraverso quell’ostinata resistenza, che non aveva più ragione di essere. La morsa si allentava. «Abbassa la guardia, Gergo, è tempo di pace. Non si sa quanto durerà. Riposa dunque.» «Va bene Nargul, lo farò. Pace sia, se pace deve essere.» -

-

Un gatto sa aspettare. Se ha deciso che una cosa è sua, quella cosa diventa sua, semplicemente. Niente trattative, né lotte, oh no, il gatto se ne tiene a distanza, perché sa che è solo questione di tempo; ciò che è suo troverà prima o poi la strada per raggiungerlo e il tempo, per un gatto, non è un problema. Un gatto sa aspettare. Non si poteva dire lo stesso per Gergo, impaziente


per natura, mai pago per scelta e ora immobilizzato, suo malgrado. Anche il sonno appariva ai suoi occhi come un nemico da battere, uno dei pochi capaci di vincere, a parte Nargul, naturalmente: Nargul vinceva sempre. Tra i due era quello saggio, quello che diceva sempre ciò che era giusto o, forse, quello che sapeva rendere giusto ciò che diceva. Il sonno della pace era giunto insieme alle sue ultime parole e avrebbe tolto a Gergo qualcosa in più dei soliti cattivi pensieri; se il morso di Artibeus si era portato via i torbidi umori delle ferite, ora il sonno voleva prendersi il resto, cercava le lesioni più profonde e più sporche, fatte di volti, ricordi, minacce, tradimenti. La veglia avrebbe costretto Gergo ad affrontarle una a una, come era solito fare. Neppure una ferita mortale lo avrebbe convinto a desistere, e quelle che aveva subito durante l’ultimo scontro ci erano andate davvero vicine. Quell’ultima battaglia non l’aveva mai veramente cercata, ma non per questo si era tirato indietro. La fuga, quella restava ancora un mistero da sciogliere; un gesto troppo vile, non era da lui. Eppure gli aveva salvato la vita. Ne era valsa la pena? Non sapeva neppure questo, ma ci avrebbe pensato da sveglio. In quel sonno irreale al timone non c’era lui. Un altro decideva la rotta e impartiva gli ordini. «Scacciali Gergo, rifuggi i tuoi nemici. Qua non ti avranno e tu non avrai loro; ci sarà un tempo e un luogo per affrontarli e allora non avranno scampo. Scacciali ora! Ora, ho detto!» Quell’ordine perentorio giunse forte e chiaro, tanto che un calcio violento partì dalla gamba intorpidita


del Gergo dormiente e colpì le pietre attorno. Non sentì dolore, ma quella scossa sciolse i lacci della sua bisaccia. Dovevano essere già allentati, perché Gergo li stringeva sempre con attenzione prima di legare saldamente la bisaccia alla gamba. L’aveva sempre portata con sé, anche nell’ultimo passaggio, quando quel legame si era fatto doloroso e lacerante. Il suono delle noci al suo interno scandiva il ritmo della marcia, la paura di perderle era un monito a camminare e a correre, al bisogno. Finché andava le avrebbe sentite battere, finché battevano gli avrebbero ricordato che aveva ancora gambe per correre, orecchie per sentirle battere e coscienza per interpretare quel suono: non fermarti, Gergo! Corri! “Corri, urla e sputa!”, questo sembravano dirgli le noci a ogni passo, in quella notte maledetta, quando quel pensiero era l’unica cosa capace di tenerlo in vita. Ora, quel rumore rassicurante si allontanava da Gergo, perdendo vigore a poco a poco, come un vecchio amico che se ne va senza avvisare. A una ad una, le noci rotolarono fuori dalla bisaccia, raggiungendo gli angoli più nascosti della grotta. Una si spinse più lontano di tutte; nel silenzio notturno il suo rintocco solitario fu l’ultimo a riecheggiare contro le pareti di roccia nuda. Fu un masso ad arrestare la sua corsa; copriva un’apertura, forse un ingresso secondario, lasciando trapelare il chiarore lunare da una piccola fessura. La sottile lama di luce incrociò il percorso della noce e il caltrop brillò nel buio; il suo riflesso accese altre due luci, gialle e vivide.


Un attimo dopo, di nuovo il buio totale. Era solo questione di tempo. E un gatto sa aspettare.


3 Ancora vivo

Malconcio. Per niente sano. Ma vivo. Ancora vivo. Per quanto ancora? «Quanto basta, Gergo.» «Amico mio, sei tornato!» «Felice di esserti amico, ragazzo. Come ti senti?» «Alceus?! Da quanto sei qui?» «Molto bene, sono stato sollevato dall’onere delle presentazioni. Milo deve averti fatto visita, dico bene?» «Ci siamo incontrati. Uno strano ragazzino, non mi aspettavo di trovarne qua.» «La vita passa lenta nel bosco, così ogni tanto viene a trovarmi e ci facciamo una partita a scacchi. Oppure chiacchieriamo, sai fra strambi ci si intende.» «Ha parlato di una sorella. Che ne è stato dei suoi genitori?» «Milo non ne parla volentieri. Se farete amicizia, deciderà lui cosa dirti. E io terrò a freno la mia linguaccia pettegola.» «Non ho amici e di sicuro non me ne farò ora. Non


mi interessa del moccioso. Voglio solo andarmene da qua.» «Beh, l’uscita è facile da trovare: è bella grande, proprio lì davanti a te.» «Ne ho abbastanza del tuo sarcasmo, vecchio. Sai che non posso alzarmi, ma stai sicuro che toglierò il disturbo non appena ci riuscirò!» «Ascoltami Gergo, sei libero di continuare a giocare il tuo ruolo. Lo sappiamo che sei un duro, non concedi punti agli avversari, non ci sono dubbi, davvero. Ma qua, purtroppo, non interessa a nessuno. Pensi forse che voglia sfidarti a duello? O tenderti una trappola e darti in pasto ai miei famigli? Mi dispiace, qua ci dedichiamo a passatempi più leziosi. Gradisci una tisana al rosmarino?». «Ti ci puoi strozzare con la tua tisana. Non mi fido di te. Sapevi il mio nome e anche chi mi dà la caccia. Un po’ troppe cose per un incontro casuale, non trovi?» «Se è solo questo che ti ha insospettito devo deluderti. Anche un imbecille – e non sto dicendo che io lo sia – saprebbe chi sei. La tua faccia è un po’ maciullata, ma assomiglia ancora un bel po’ a quella del giovanotto ritratto qua. I Grai hanno riempito la città di questi manifesti. A giudicare dalla taglia che hanno piazzato sulla tua testa, devi averla fatta grossa!» «Che ne sai dei Grai?» «Quello che basta per tenermene alla larga. Non ti sei chiesto perché vivo in una grotta sperduta nel bosco più inospitale di Hyalma? Ah già… perché sono un vecchio strambo. Non hai neppure tutti i torti.»


La semplicità del vecchio era disarmante, questo doveva riconoscerlo. Senza smettere di mescolare i suoi intrugli di erbe, Alceus aveva smontato buona parte dei suoi castelli cospiratori, mostrando peraltro una smaccata indifferenza per i suoi affari. Eppure qualcosa continuava a tenerlo sulle spine. Il pensiero di cosa l’avesse portato lì e di cosa nascondesse quel bizzarro personaggio non riusciva ad abbandonare la sua mente, soprattutto ora che il dolore era lenito. Il morso di Artibeus continuava ad agire e, silenzioso, rilasciava il suo benefico effetto, un soffio curativo e purificatore. E ancora i pensieri si affollavano, come se avessero atteso in fila fino a quel momento e la porta della sua mente si fosse improvvisamente aperta. Era forse finito da una specie di stregone? Qualcosa ancora gli sfuggiva. Cosa? Era lì che doveva arrivare, diceva Nargul, e le sue gambe sembravano sapere bene dove condurlo. Ma perché? Nargul avrebbe avuto senz’altro una spiegazione, ma ancora una volta aveva pensato bene di andarsene. Come sempre. «Ahi!! Maledizione! Oh povero me.» Un lamento riecheggiò dal fondo della grotta e Gergo, d’istinto, balzò in piedi e corse verso quella voce. Giunto in fondo trovò il vecchio Alceus riverso a terra e dolorante; realizzò sbalordito di essere in piedi, sulle sue gambe, incredibilmente solide e forti, malgrado il lungo periodo di fermo. Il successivo lamento del vecchio lo rubò subito ai suoi pensieri; senza indugio lo aiutò a girarsi su un fianco, riscoprendosi improvvisamente la forza nelle braccia.


Non riuscì a trattenere una risata tra i denti mentre il vegliardo imprecava, massaggiandosi il fondoschiena. «Ora non sei più in vena di battute, vero?», gli scappò detto. Quell’insolito scambio di ruoli fra soccorritore e soccorso non cambiava di certo le carte in tavola, ma le rimescolava un po’. Se da un canto gli impedimenti che imprigionavano Gergo in quel luogo si erano appena dissolti, qualcosa ancora lo tratteneva dall’andarsene. «Hai dato una bella culata, vecchio. Come hai fatto? Ti sei fumato qualcuna delle tue erbe officinali?» «Devi trovarlo molto divertente, vero? Ancora non mi sono rimbambito del tutto. Sono scivolato su qualcosa. Qualcosa che non era al suo posto. Conosco questa grotta palmo a palmo e - che mi venga un colpo!- questa non doveva trovarsi sul mio cammino!» Quando Alceus, a fatica, estrasse quell’oggetto da sotto il suo sedere, la ritrovata euforia di Gergo si spense all’improvviso. Si guardò la gamba: la bisaccia non c’era. Come aveva fatto a non accorgersene? Voltandosi la vide a terra, accanto al pagliericcio che lo aveva ospitato fino a pochi minuti prima. Vuota. «Quella è mia. Ridammela!» «Per carità! Prendila e tienila lontano da me, e anche tutte le altre, prima che ci lasci una gamba. Vedi di tenere a posto le tue cose.» «E tu tieni a bada le tue bestiacce. So chi mi ha fatto questo scherzetto.»


«Ah, sei tu che hai ricevuto lo scherzetto? Dillo al livido blu che si sta stampando qua, dove non batte il sole, diavolo di un Gergo!» «Non ti allargare vecchio. Puoi scommetterci il tuo culo raggrinzito che me le riprenderò tutte, fino all’ultima e, se ne mancherà qualcuna, la tua gatta farà una brutta fine. Sei avvisato.» «Ti avevo suggerito di farteli amici. Non mi hai ascoltato, ma ormai poco importa. Vedo che i miei famigli hanno già fatto la loro scelta e, quando scelgono, difficilmente tornano sui loro passi. Se non sbaglio, però, devi qualcosa a quelle bestiacce, come le chiami tu, non credi?» Gergo doveva ammetterlo; se ora era in piedi e si dimenava da un capo all’altro della grotta alla ricerca delle sue preziose noci, lo doveva al pipistrello. Un insolito speziale, ma che indubbiamente sapeva il fatto suo. Ciò non toglieva che alla conta delle noci ritrovate ne mancasse una. Di certo non se ne sarebbe andato prima di averla recuperata. La mano tesa di Alceus lo distolse dal suo tormento. Senza pensarci, Gergo la prese e aiutò il vecchio a rialzarsi. Zoppicando con lui, lo condusse accanto al fuoco. Quando infine si guardarono in faccia, tutto ciò che riuscì a dire fu: «C’è qualcosa di commestibile in questo buco puzzolente?»


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