Patti di streghe - Anteprima

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COLLANA FANTASY LAPICCOLAVOLANTE 12.

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Patti di Streghe di Sara Cabitta isbn 9788897785231 Proprietà Letteraria Riservata. I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, di riproduzione o adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. Finito di stampare nel mese di dicembre 2016 presso Prontostampa (Fara Gera d’Adda) © 2016 Associazione Culturale LaPiccolaVolante «Collana Fantasy» www.lapiccolavolante.net Illustrazione di copertina: MAO (FanPage Facebook: AkiMao) Grafica di copertina e logo: Emiliano Billai Impaginazione e grafica interna: Michela Meloni

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SARA CABITTA

PATTI DI STREGHE

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“È gelida la notte e oscura? È gelida la notte, ma non oscura. Sottile una nuvola grigia si stende lassù, e vela, ma non nasconde il cielo...” Christabel, S.T. Coleridge

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Sulla soglia del bosco

La notte gelida gli era piombata addosso appena varcata la soglia di casa. Il fischio d’allarme lo aveva fatto alzare da tavola e precipitare fuori nel buio. Gli occhi lacrimavano, il naso colava e il muco bagnava i baffi e le labbra. Scavalcò i cespugli di rosmarino e raggiunse gli altri, alle sue spalle sentiva le grida delle donne. Distingueva parole di rabbia e preghiere mescolate assieme. Le lampade illuminavano i resti del cadavere sotto un albero che cominciava a seccarsi. «Chi è?» domandò ripulendosi la faccia sulla manica del maglione. Lo guardavano, ma nessuno gli diede risposta. «Chi è? Siete muti?» «È tuo figlio, non ti avvicinare. Non lo devi vedere adesso». Ignorò l’avvertimento e si inginocchiò accanto alle membra. «Cani. Dannati cani». Gli occhi di nuovo bagnati, ma non per il gelo. La carne puzzava, frammenti d’osso spuntavano tra i lembi strappati. Il groviglio delle budella era nero ed era scivolato accanto all’addome aperto. «Stanno peggiorando, sono sempre più famelici, Send. Che ci resta da fare?» L’uomo scosse la testa, sollevò una mano e sfregò gli occhi stanchi. «No, non è fame, è potere». Barcollando, si alzò in piedi. Voltò le spalle al cadavere e vomitò sull’erba intrisa di sangue. Un uomo lo sostenne afferrandolo per la cintura. «Vai a casa. Vai da tua figlia. Pensiamo noi a lui». Non disse nulla. Arrancando tra i cespugli si avviò verso le luci del villaggio, sfiancato dalla sofferenza e dall’età. Rag7


giunse lo steccato che delimitava il suo giardino. Le azalee riposavano ripiegate su se stesse, l’alloro ricopriva la recinzione sul lato destro. La porta di casa era aperta, la luce irrompeva illuminando i suoi passi, un cono di cui lui era il vertice, da cui si sentiva risucchiato. Non riusciva a mettere a fuoco la sagoma sulla soglia, gli occhi lo tradivano e accadeva di frequente ormai. Sua figlia gli tese la mano e la voce spaventata arrivò a frantumare il silenzio che gli aveva riempito le orecchie. «Papà? Che cosa è successo?» «Medara, è tuo fratello». La vide abbandonare le braccia lungo i fianchi, le tremavano le labbra e gli occhi cominciarono a versare lacrime. «Nulla può essere fatto ormai» le disse abbassando la testa. «Non ha rispettato il coprifuoco, è andato a caccia e ha incontrato il suo destino contro ogni avvertimento. Ora possiamo solo piangere per la sua fine» «No», lei scuoteva il capo, i capelli le sfioravano il volto. «Dov’è?». Saltò giù dallo scalino e accennò la corsa verso il cancello. «Fermati!», suo padre le strinse il braccio e la strattonò tirandola a sé. La fissava con durezza. «Voglio andare da lui!» «Non è immagine per gli occhi di una ragazzina! Entra in casa.» «Voglio dirgli addio!» singhiozzò. «Smettila! Lo cremeranno questa notte, non c’è altro da fare!» E mentre quelle parole venivano pronunciate videro il fumo emergere tra gli alberi. «Non è giusto papà!» protestò, la voce rotta dal pianto. L’uomo sollevò il braccio, lo schiaffo la raggiunse e il calore si diffuse sulla guancia bagnata di lacrime. «Entra in casa prima che te le dia sul serio. Obbedisci!». E lei obbedì. Chinò la testa e varcò la soglia. Send chiuse la porta e sedette sullo scalino a osservare il fumo. A rimpian8


gere la propria sorte e vulnerabilità. *** Nessuno andava oltre il sentiero che segnava il confine tra il villaggio e il bosco dopo l’ultimo attacco, né la fame e la necessità di cacciare, né il freddo e il bisogno di legna da ardere smuovevano gli uomini dalle loro case. Con le piogge stagionali il terreno si era inzuppato, il fango aveva soffocato il sottobosco e le piante marcivano. Il ghiaietto rovesciato in abbondanza non bastava a rendere comode le vie del paese. «Sembra che il cielo si sia messo d’accordo con i cani. È così?» gridò il vecchio Send, piegato sulle ginocchia, le mani che affondavano nel terreno davanti ai resti della pira funebre che aveva consumato suo figlio. Pianse. Rimase a lungo in ginocchio. In silenzio. In attesa. Ogni giorno, da mesi, ripeteva lo stesso rituale. Ma quel giorno alle proprie spalle sentì dei passi, un cespuglio strappato, un fruscio di vesti. Si voltò. «Sei disposto a farli vincere? Se il capo del villaggio rinuncia a combattere che sarà della sua gente?». L’uomo barcollò nel fango, si mise in piedi per guardare la donna che gli aveva parlato. Una coppia di corvi appollaiata su un ramo richiamò la sua attenzione sbattendo le ali. «Chi sei? Che vuoi da me? Ho ben poco da dare ormai, il mio nome muore, la mia famiglia è quasi estinta e la mia gente ne seguirà la sorte. È il mondo che va in questa direzione e io sono vecchio, non ho potere per oppormi!». Lei avanzò verso di lui, gli stivali sciaguattavano nella melma. Gli tese la mano. «Asciuga il volto e ricorda che sei un uomo». Send gonfiò il petto, le mani tremavano, ma gli occhi erano attenti. «Ma chi sei?» «Un’amica, se mi concederai di esserlo.» 9


«Non ho più amici. Non ho più la possibilità di offrire fiducia.» «Posso darti modo di riconquistarli, ma saprai pagarne l’alto prezzo?». A fatica l’uomo sosteneva quello sguardo fiero. «Non sei di queste parti, signora?». Lei sorrise. Gli occhi luccicavano come ossidiana bagnata. «Sono nata in questi boschi e vivo qui vicino, ma i cani hanno reso questi luoghi inospitali e desidero quanto te riportarli al loro equilibrio.» «Un’impresa che un vecchio e una giovane donna non possono affrontare, in verità.» «Non subito, certo. Ma perché non tentare?» «Sei ardita. Hai il temperamento dei giovani, ma sei altrettanto stolta! I cani hanno la furia del sangue dalla loro e signori potenti!». La vide sollevare il braccio, sfilarlo dalla lunga giacca scura che sfiorava il suolo e tendergli la mano. Le dita affusolate stringevano una fiala di vetro. «Io ho questo farmaco, ma non posso usarlo come dovrei. Per ciò chiedo il tuo aiuto. Vuoi offrirmelo? Se acconsenti ti spiegherò cosa ho in mente». Send aprì bocca, poi serrò le labbra e fece un passo indietro. Un sospiro, un’occhiata sfuggente alle case lontane. Dai comignoli spuntava il fumo, udiva il suono delle accette che tagliavano la legna per alimentare i fuochi. Anche lui presto avrebbe fatto ritorno a casa per svolgere quelle attività e fingere che la sua vita potesse andare avanti come se nulla fosse cambiato. «Che cosa vuoi?». Il tono era indolente. «Hai una figlia. È lei che ci serve, con tua figlia e con questo farmaco possiamo mettere fine alla supremazia dei cani.» «Mia figlia Medara? Sei pazza? Mai, mia figlia ha quattordici anni!». La richiesta della sconosciuta aveva spazzato via il torpore dai suoi pensieri. «E per questo ti concedo un anno di tempo per prepararla» 10


«Ma Medara è tutto ciò che resta della mia famiglia!», la voce suonava stridula. «Ti prometto che non morirà se farai come ti spiego. Ma devi affrontare una scelta, se decidi di salvare solo lei condanni a morte tutti gli altri». Le spalle dell’uomo si afflosciarono, le rughe che componevano la sua faccia si contrassero, accartocciandosi sempre più. «Cosa faccio?» mugugnò, «Quale altro macigno devo caricare sulle mie spalle per tentare di arginare il sangue che imbratta queste case?» La donna afferrò la mano tremante del vecchio e dopo aver deposto la boccetta sul palmo ripiegò le dita, non staccava gli occhi dai suoi. «Le somministrerai questo ogni sera, è incolore e insapore. Non le causerà alcun male, in piccole dosi. Appena una goccia, per un anno da oggi, fino a consumarlo. Dopo di che manderai uno dei tuoi alla villa e chiederai una tregua. Prometterai tua figlia in cambio. Accetteranno.» «Ma perché dovrebbero accontentarsi? Sai bene che la loro fame è insaziabile!» «Accetteranno. Sarà per poco tempo e dopo agiranno come sempre, questo è inevitabile. È quel poco tempo a essere necessario per noi. Se la sorte ci verrà incontro, sarà sufficiente.» Send scuoteva la testa, le occhiaie scure rendevano i suoi occhi immensi. «Medara è troppo giovane». Un sospiro, il pugno chiuso premuto contro la fronte. «Ed è per questo che Ilay la prenderà». Le dita della donna serravano la mano raggrinzita e il vetro premuto contro il palmo era diventato caldo, pesante.

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“La paura è una strega. Siede nell’ombra dei boschi e canta magiche canzoni che, giungendo alle orecchie degli uomini, riempiono loro il cuore di cupi presentimenti.” La saga di Gösta Berling, Selma Lagerlöf

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PARTE PRIMA

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Spianò il foglio sul bancone, le mani giacevano ai lati del viso disegnato e ne sfioravano le guance come carezze appena concesse. «L’hai vista?» chiese fissando gli occhi d’inchiostro. «Te l’ho detto, non ho visto questa donna. Smettila di domandarlo ogni volta che metti piede qui dentro, sono stufo!». L’uomo ansimava dall’altro lato del bancone, l’addome sporgente premuto contro il legno, aggiunse alla frase alcune bestemmie in dialetto e si allontanò di pochi passi dal punto in cui era appoggiato il ritratto. L’uomo che fissava il foglio alzò la testa e gli rivolse la propria attenzione. «Sono trascorsi mesi da quando te l’ho domandato. Pensavo che nel frattempo potesse essere passata per questo paese.» «Non sosto sulla soglia con la smania di vedere la tua donna!» «Non è ciò che intendo». Ritirò il foglio su cui i segni di passate piegature avevano lasciato una trama sottile di rughe. Dopo averlo ripiegato lo infilò dentro la giacca e si voltò avviandosi verso la porta del negozio. «Non tornare di nuovo! Non ho tempo da perdere!» «Tornerò tra qualche mese invece.» «Idiota perditempo!». Agitava il pugno chiuso, mentre strepitava la saliva cadeva a pioggia sul bancone. «Papà, perché gridi tanto?». Una ragazza apparve da dietro la tenda che separava la cucina e il magazzino dalla sala, aveva un pacco tra le braccia. Guardò entrambi gli uomini, si avvicinò al banco e posò la merce. 14


«C’è quell’aviatore con lo scarabocchio!» «Sei tornato per il ritratto, Lotario?» Fermo vicino alla porta lui annuì portando la mano alla tasca. «Voglio solo farvi vedere un’immagine, nulla di più». Il negoziante batté la mano aperta sul piano di legno, sopra le nocche ciuffi di pelo nero intrisi di sudore aderivano alla pelle. «Che altro? Non entra nei negozi per comprare. Non viene qui per fare spese, vuole solo farci perdere tempo!» «Sono certa che per lui è importante. Non è così?». Gli rivolgeva un sorriso, poi gli strizzò l’occhio. «Grazie per la tua comprensione.» «Idiozie!». L’uomo calò ancora il pugno e alcuni barattoli tintinnarono urtandosi. «Dovresti lavorare, lo sappiamo quello che si dice su di te. Scansafatiche! Non vali niente, nessuna donna resterebbe con un balordo come te, quella se ne sarà andata molto lontano per stare alla larga dalla tua faccia da fallito!» Lo sguardo di Lotario si indurì, allungò le braccia oltre il bancone e afferrò l’uomo per il bavero della camicia, stringendo la presa con un impeto improvviso. La pelle del volto era arrossata e l’uomo faticava a respirare. La figlia lo aveva agguantato per le spalle e lo strattonava, cercando di tirarlo indietro. «Ti prego smettila, ha il cuore debole, così lo uccidi!» Lotario taceva e lo guardava negli occhi. Occhi bovini che si dilatavano per l’asfissia, dalle labbra sporgeva la lingua; incastrata tra i denti aveva cominciato a sanguinare. Bava e sangue gli macchiarono la manica. «Fottiti, maiale inutile». Lotario mollò la presa. Il negoziante aveva ricominciato a respirare, si massaggiava il collo. «Bastardo! Ti ammazzo maledetto!» «Calmati papà, ora basta. Lo hai provocato tu!» «Figlio di cagna rognosa! Fila via e non farti vedere o ti 15


spello vivo!». Sulla strada assolata, mentre le parole dell’uomo lo raggiungevano, Lotario scelse la direzione e si avviò. «Poveretto. Quel pezzo di carta è consumato e il volto non si vede quasi più. Se anche fosse da qualche parte, quella donna avrà mutato aspetto col tempo.» «Se torna glielo strappo quel foglio! Questa sarà la mia accoglienza». Afferrò lo straccio umido e prese a frustare la superficie che doveva spolverare. La ragazza raggiunse la porta. «Torno subito.» «Dove vai? Lascialo perdere, dannazione!». Lo ignorò e raggiunse l’aviatore. Gli sfiorò il braccio, esitando per paura della sua reazione, ma lo sguardo dell’uomo era cambiato. Non c’era rabbia. «Che vuoi? Mi dispiace per tuo padre, ho perso la pazienza.» «Lo so, lui esagera». Lotario alzò le spalle. «E allora?» «Non tornare al negozio, per favore, non è sicuro. Lo chiedo per te e per noi. Qui non troverai lei, se non c’è stata fino a oggi le cose non cambieranno. Non ha senso che la cerchi negli stessi posti. Perdi il tuo tempo». La fissava, i pugni chiusi nelle tasche della giacca. «Grazie del consiglio.» «Non so perché ti ossessiona, ma dovresti cercarla altrove, magari in città.» Dopo averglielo suggerito distolse lo sguardo. «In città» ripeté lui tra sé. La ragazza alzò il volto di nuovo, le guance arrossate. «L’estate scorsa è venuto un commerciante di tessuti, ci ha parlato di una donna bellissima da cui acquista le stoffe. Abita a Adriata, è la moglie di un colorista della gilda ma non è una cittadina originaria del posto. Vive lì 16


da qualche tempo e nessuno sa di preciso da dove arriva». Lotario la fissava e quello sguardo la metteva a disagio, voleva sfuggirgli. «Adriata.» sussurrò l’aviatore. «Sì, magari non è lì, ma tanto girando nelle stesse zone non troverai nulla.» «Vai da tuo padre, chiedigli scusa e digli che non mi vedrà più.» «Farò così». Gli sorrideva. *** L’insegna del locale era dipinta con colori accesi, rosso e giallo su sfondo blu, un piatto con del cibo da cui si sollevava una voluta di fumo era intagliato nel legno. Lotario spinse la porta e diede un’occhiata, all’interno si trovavano tre uomini. Scelse una panca vicino alla finestra e si sedette. «Cosa vuoi?». La cameriera che lo aveva raggiunto sorrideva, teneva una mano sul fianco e lo fissava dritto negli occhi. «Qualcosa di forte, quello che preferisci.» «Abbiamo di tutto e per qualunque ora del giorno. O della notte», strizzò l’occhio e si allontanò verso il bancone. Lotario la osservava spostare le bottiglie. Afferrò un bicchiere. Era lenta e con i movimenti languidi, non rendeva facile distogliere lo sguardo. Poi si voltò cogliendolo in fallo e accentuò il sorriso. Poco dopo era di nuovo vicina a lui con un vassoio tra le mani. «Ti serve altro?». Nel passargli il bicchiere colmo di liquore le loro dita si sfiorarono. «Per ora basta così». Bevve un sorso. La cameriera restava lì, il vassoio appoggiato contro il seno. «Non mi mostri il tuo foglio?» 17


Lotario guardò le labbra che avevano pronunciato quelle parole. «Che ne sai?» Lei scrollò le spalle. «So chi sei. Sei un uomo che vaga alla ricerca di una donna.» Lotario sfilò il disegno dalla tasca della giacca e lo aprì spianandolo sul tavolo. «La conosci?» «No, non l’ho mai vista». Lui si lasciò sfuggire un sospiro. La cameriera si abbassò tanto da sfiorargli il collo col suo alito, dalla pelle emanava un profumo gradevole. «Io mi chiamo Tarin e vorrei che accarezzassi me come fai con quel ritratto». Un bacio gli bagnò la guancia. Appena le labbra si staccarono avvertì il freddo che ne prendeva il posto, i peli sulla nuca formicolavano. Troppo tempo per non cedere. Prese altri sorsi dal bicchiere. Brevi. Assaporando il gusto e lasciando che gli occhi vagassero verso il ripiano dove lei metteva in ordine. I loro sguardi si univano spesso. Dalla porta che dava alla dispensa comparve una donna. «Mi dai il cambio?» Tarin le indicò gli uomini da servire. Sfilò tra i tavoli e raggiunse quello di Lotario, allungò la mano e gli strinse il polso. «Ho un po’ di tempo libero e sicuramente ne hai anche tu». L’aviatore guardò il bicchiere vuoto e i fianchi di lei avvolti dalla camicetta. Si alzò e la seguì sfilando tra gli altri clienti, alcuni erano entrati dopo di lui. La stanza della ragazza si trovava sul retro della locanda, vi si accedeva dall’esterno. Un letto, una sedia e una tenda che nascondeva l’accesso al bagno. «Non abito qui, ma durante la settimana lavoro e preferisco non viaggiare. Si corre il rischio di fare brutti incontri, anche se il villaggio in cui sono cresciuta era molto peggio 18


di qualunque luogo io abbia visitato in seguito». Lui annuiva osservandola mentre slacciava e sbottonava qualunque cosa le tenesse addosso gli abiti. «Certo, può essere pericoloso». Era nuda davanti ai suoi occhi che avevano ripreso luce. Tarin si era avvicinata. Aveva allungato il braccio e appoggiato la mano sul davanti dei suoi calzoni. Una leggera pressione che lo fece sussultare. «Cosa ti manca di lei per cercarla tanto?». Lotario chiuse gli occhi mentre la sentiva armeggiare con la chiusura, non prestava troppo ascolto alle parole. Un respiro profondo. I calzoni erano caduti a terra e lei si era inginocchiata. «Se n’è andata» balbettò. «Non era chi credevo che fosse.» Il fiato si era bloccato in gola avvertendo le labbra umide addosso. All’improvviso la fiacchezza che lo imprigionava si disperse, le gambe salde a terra e il sangue che correva in un’unica direzione. «Chi mai lo è?» «Lei ha ingannato tutti, ha usato la propria bellezza e la sua apparente fragilità per sembrare innocente, innocua. Ci ha raggirati». Le parole tremavano. «E ora dove può essere?» chiese ancora Tarin con tono gentile, e dopo non poté più parlare. «Non so nulla ormai». La voce incrinata. L’aviatore osservava i capelli della ragazza ondeggiare, le appoggiò le mani sulle spalle e la tenne stretta. Dormirono insieme qualche ora, sfruttando il piccolo letto. Svegliandosi, Lotario comprese quanto avesse bisogno di quel sonno. Lei si sollevò sul cuscino e lo guardò. «Ho sentito spesso parlare di te, lavoro qui da alcuni mesi, ero curiosa di conoscerti.» «Chi parla di me?» Lei scrollò le spalle. «Le persone. Sanno che in questo periodo ti fai vivo e 19


chiedi di quella ragazza. Dicono che hai perso la ragione, che un tempo eri un pilota e consegnavi merce per acquirenti ricchi e importanti ma che ormai sei un vagabondo». Aveva un tono tranquillo, non lo giudicava e non mostrava di temere la sua reazione a quelle dichiarazioni. «Hanno ragione. Un tempo avevo un lavoro ed ero rispettato.» «Lei è scappata e ti ha piantato?» «Lei è scappata.» «Dovevate sposarvi o roba simile per caso?». L’aviatore riuscì a ridere. «No. Non era la mia compagna, niente del genere. Non avevamo neppure una relazione. Era una puttana. Gentile, furba, raffinata, ma solo una puttana che ha saputo mascherare le sue intenzioni. E quello che mi brucia dentro è non averlo capito. Avrei potuto fare qualcosa.» «In che senso?». Lotario si era alzato, scivolando fuori dalle lenzuola. «Scusa, ma sono dettagli che non mi va di condividere». Si rivestiva. «Va bene. Se avrai voglia di vedermi quando ripasserai da queste parti vieni a trovarmi. Potremo passare del tempo assieme.» «Grazie per l’offerta, ma credo che a questo punto dovrò allontanarmi per cercarla. Forse ha messo tra di noi più distanza di quanta immaginassi. Mi sposterò fino a Adriata e tenterò di scoprire qualcosa là.» «Tra questo territorio e il centro abitato di Adriata c’è tanta strada, non è possibile percorrerla a piedi. Ci sono le campagne, il fiume, per non parlare del bosco, sai quanto è grande? E quanto è pericoloso?» «L’ho sorvolato in passato.» «Si dicono tante cose su quel posto. Ma molti non credono sia tutto vero, io ci sono nata là e ti assicuro che non si tratta di storie». Lotario si trattenne a guardarla. 20


«Che vuoi dirmi? Ho visto abbastanza bizzarrie da credere a tutto o quasi, ormai». Si era seduta, le gambe raccolte contro il petto. «Hai detto che sei stato nella Contea degli Orsi, ho sentito parlare di tutta la gente che è stata uccisa da quelle parti, i contadini e i nobili aggrediti da un orso che si aggirava nella zona.» «Non credo che l’orso di cui si parla fosse responsabile di tutto, ma va bene, continua pure». Sedette sul letto davanti a lei. «Cosa c’entra col tuo villaggio?» «Anche dalle mie parti la gente muore a causa di attacchi da parte di animali selvatici, ma si tratta di cani. Cani feroci che abitano nel bosco, lo infestano e quando qualcuno cerca di attraversarlo non fa ritorno. Per un periodo abbiamo avuto una tregua e i cani hanno limitato gli assalti. Durante il giorno riuscivamo a muoverci senza temere aggressioni, ma all’improvviso la loro furia si è scatenata di nuovo e molti sono morti, tanti hanno abbandonato la zona. La mia famiglia ha fatto lo stesso.» «Un branco di cani selvatici non viene a patti con l’uomo». Lei annuì, i capelli ondeggiavano ai lati del viso. «Il bosco e i terreni circostanti appartengono a una famiglia nobile. In passato gestivano la zona come un feudo, allevavano cani da caccia. I migliori secondo mio padre, ma col tempo il loro comportamento è cambiato, hanno smesso di farsi vedere dagli abitanti delle loro terre, i cani hanno cominciato a sfuggire al loro controllo e a uccidere. Il casato si è quasi estinto, gira voce sia ridotto a due fratelli, Ilay e Gelsa, ma chi li ha conosciuti da bambini non ha più avuto occasione di incontrarli. La loro dimora cade in rovina dentro la foresta.» «Anche se nel tuo racconto ci fosse qualcosa di vero, e non voglio dubitarne, io non ho intenzione di attraversare il bosco. Mi limiterò a passargli accanto e continuare il mio viaggio. Voglio tornare in città. Forse Adriata ha più 21


risposte per le mie domande.» «È una follia per varie ragioni ciò che intendi fare. Come pensi di entrare? Senza un permesso nessuno è ammesso in città». L’aviatore le sfiorò il viso con una carezza. «Adriata è la mia città, ci sono nato, ho frequentato la scuola per piloti. Non ho bisogno di permessi». La ragazza aveva spalancato gli occhi come si trovasse di fronte a una creatura straordinaria. Tratteneva il respiro. Lotario si era alzato e aveva raggiunto la porta. «Grazie della compagnia.» «Ti sono stata utile?» «Più di quel che sembra.» «Se avrai bisogno di me non farti scrupoli». Ammiccò mentre gli sorrideva. Lotario rise, poi lasciò la stanza. Sorgeva il sole, l’aria fresca gli ripuliva i pensieri. Da quando la giovane della drogheria gli aveva messo in testa che la sua ricerca potesse concludersi in città, aveva cominciato a sentirsi meglio e più passavano le ore più quell’ipotesi sembrava accettabile. Reale. Si diresse al cantiere. Doveva organizzarsi. «Non posso volare, non ho carburante e non me ne daranno a credito.» Quella consapevolezza attenuò il suo debole buon umore. *** «Dov’eri? Ti ho cercato al cantiere, quando ti allontani dal deposito lascia un messaggio alla guardia. Sei arrivato da pochi giorni e non hai ancora risolto nulla di quello di cui avevamo parlato. Devi chiarire la situazione.» «Non avevo intenzione di trattenermi tanto a lungo in paese. E ho ben poco da chiarire, non sono qui per lavoro. Questo l’ho già detto, mi servono pezzi di ricambio per il cargo e il pieno di carburante.» 22


Camminavano veloci. Le case alle loro spalle, chiazzate dalle ombre che portava la sera, rimpicciolivano. Costeggiavano i binari della ferrovia in disuso. Cespugli ingialliti avevano preso posto tra le traversine. Latte vuote e pezzi di imballaggio occultavano in parte le banchine. «Questo è impossibile, Lotario.» «Già, lo immaginavo.» «Ma potresti lavorare se volessi. Dicono ci sarà la siccità in alcune aree della regione e i rifornimenti d’acqua saranno necessari, potresti renderti disponibile per un po’ di viaggi.» «Non ho tempo.» «Lotario, sei un brav’uomo, un bravo pilota e ti conosco da molti anni. Ho sempre apprezzato il tuo impegno e il tuo modo di lavorare». Lotario si fermò, voltando la testa il tanto giusto per poter guardare negli occhi colui che aveva accanto a sé. Non sorrideva, il viso era in parte nascosto dalla barba. «Dunque?» «É un sacco di tempo che non carichi merce, non vendi nulla, non fai staffette, non effettui scali commerciali o altro che possa farti guadagnare del denaro. Denaro, capisci? Quello che ti permetterebbe di saldare i debiti. Fin troppo numerosi, ora.» «Aumentano ogni mese». Spalancò le braccia. «Dannazione, non dirlo come se fosse qualcosa a cui non c’è rimedio! Muovi il culo e datti da fare. Butta quel maledetto pezzo di carta e ricomincia a fare quello che sai!» «Non ancora». Sollevò la mano e la premette contro la tasca del giaccone. «Devo risolvere questa faccenda prima di pensare ad altro.» «Qui il tuo cargo non può atterrare se non riprendi il lavoro, se non ti porti dietro un po’ di denaro con cui tenere a bada il proprietario dei magazzini. Lo capisci che sei al limite? Ho sputato sangue per non farlo sequestrare. Quella ferraglia instabile fa gola a tutti quelli che devi ri23


sarcire, se non altro per i pezzi di ricambio». La mano di Lotario lo artigliò prima che l’uomo prendesse fiato, affondate le dita nella falda della giubba strinse il tessuto e la gola del malcapitato. Un verso gli uscì dalle labbra mentre agitava la testa per liberarsi. «Non lo avrete. Il mio cargo viene via con me!». Liberò dalla presa l’uomo rantolante e pallido e dopo avergli girato le spalle si avviò a passi larghi verso la pista. «Aspetta!». Un colpo di tosse seguì la richiesta. «Disgraziato! Devi soldi a tutti, lo sai? Non te ne sei accorto? Li devi per l’affitto del deposito tutte le volte che ti sei fermato qui per mostrare in giro quel disegno. Li devi per il carburante, per gli ingaggi che hai fatto saltare annullando all’ultimo minuto! Aspetta Lotario! Ascolta!» «Risolverò tutto un giorno. Adesso dovete lasciarmi in pace! Fareste meglio a lasciarmi in pace. Tutti.» «Ti requisiranno il cargo, lo sai che andrà a finire così. È troppo tempo che inventi scuse. Hai lasciato andare in malora l’attività!» Lotario avvertiva il calore riempirgli lo stomaco. Doveva allontanarsi e schiarire la mente. Allontanarsi e calmare la collera. «Non seguirmi, penso io al capo.» «Accetta un incarico!». L’uomo si era fermato, aveva il fiatone. «Quando avrò risolto questa situazione.» «Devi buttarti alle spalle questo impiccio! Ascoltami!». Le urla rauche rimasero indietro, oltre il confine che separava il prato incolto dalla pista d’atterraggio. Tra le due zone, una strada di campagna ai cui lati crescevano cespugli di ortica alti e dai fusti grossi. Lotario raggiunse i magazzini di deposito, ignorò gli sguardi degli operai e proseguì verso i capannoni in cui venivano custoditi i cargo. Incluso il suo. «Il capo ti cerca.» «Lo so. Avete tolto il carburante residuo?» L’operaio lo guardò, uno sbuffo d’aria gli uscì dalle narici. 24


«No, non ho avuto tempo.» «Meglio così, devo sbrigare una commissione.» «Con il cargo? Stai tirando la corda Lotario.» «Tornerò presto.» «Il capo ti cerca, non fare finta di nulla o ci passo io.» Lotario era salito a bordo del mezzo e si preparava a partire. «Entro sera sarò di ritorno!» urlò. «Comunque io dovevo riferirti il messaggio e l’ho fatto». L’operaio scrollò le spalle e si allontanò per non essere travolto. «Meglio così». Accennò un sorriso che appariva come una smorfia. Avviò le procedure per il decollo. Bastarono pochi minuti. Era libero. Lasciava dietro sé i magazzini e la pista che sbucava grigia in mezzo alla campagna secca. Le case divennero in fretta macchie monocrome e svanirono alle sue spalle. Virò appena fu certo di non essere in vista. L’area a est del villaggio era ingombra di detriti, ferraglia arrugginita e materiale di scarto lasciato in balia degli elementi naturali e del tempo. Arbusti erano cresciuti liberamente coprendo la maggior parte di quello che era stato abbandonato. Edifici danneggiati da improvvisi crolli si ergevano come torri monche in mezzo al resto. Lotario atterrò nella discarica a cielo aperto. Montagne di rifiuti confondevano la vista. Impiegò tutta la notte a spostare i pezzi che poteva portare con le sue forze, raccolse dentro una carriola il materiale che poteva essergli utile, terra, pietrame, scarti e buttò tutto sopra il cargo che aveva coperto con vecchi teli verdi e marroni. Si arrampicava sopra i cumuli e le rovine e lanciava sul mezzo quello che aveva raccolto. Mattoni, lamiere, cartoni, fogliame. Dopo ore di quel lavoro massacrante, del velivolo non restava traccia. E all’alba nessuno lo avrebbe notato. 25


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