«COLLANA FANTASY» LAPICCOLAVOLANTE (11)
Alen Grana Il Canto della Mangrovia I Signori delle Balene - volume 3 Proprietà Letteraria Riservata I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, di riproduzione o adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. Versione Elettronica © 2016 Associazione Culturale LaPiccolaVolante «Collana Fantasy» www.lapiccolavolante.net ISBN 9788897785231 Illustrazione di copertina e mappa di Emiliano Billai Progetto grafico di Michela Meloni Revisione testo di Michela Meloni; Cristiana Melis; Erika Bernardi
Alen Grana
Il Canto della Mangrovia
I Signori delle Balene volume 3
un’avventura
Nota dell’Autore Ogni storia dev’essere accompagnata da una colonna sonora. Questa è la mia, ancora una volta... Un piccolo suggerimento per immergervi più profondamente nelle acque dell’avventura. Temperance – Limitless Eluveitie - Helvetios Ancient Bards - The Alliance Of The Kings Nightwish - Endless Forms Most Beautiful Gloryhammer - Tales From The Kingdom Of Fife Blind Guardian - At The Edge of Time 30 Seconds To Mars - A Beautiful Lie Elvenking - Red Silent Tides
A Erika e Iris
parte 1 Il bene superiore
1. Com’era nata quella sua passione? Non ne aveva idea. Forse era solo una maniera per prendere le distanze dalla morte. Accumulare sapere per sentirsi immortale. Nelle pagine di un libro si può vivere per sempre, o almeno fino a quando viene chiusa la sua copertina. E, anche in quel caso, c’è sempre la possibilità di aprire un nuovo libro e continuare a vivere. La mattina luminosa che entrava dalla finestra a est nascondeva le ombre nella stanza. La sua preferita, quella in cui amava prendere le distanze dal mondo per viaggiare in un altro tutto suo. “Il Saggio”, così era conosciuto dai più, stava fermo davanti a quel vetro come attendesse qualcuno. Gli occhi persi nel blu del cielo, di un colore così acceso che era difficile distinguerlo da quello dell’acqua. Il porto sottostante era sempre stato uno spettacolo, ma al Saggio non importava. Ne aveva quasi timore, sapeva di avere ancora un conto in sospeso con quel mare e che, prima o poi, avrebbe dovuto saldarlo. Prima o poi. Un bussare insistente alla porta interruppe i suoi pensieri. «Avanti.» I piccoli occhiali su un naso troppo grande per non essere notato fecero capolino dalla porta. «La stanno aspettando» e, senza attendere risposta, l’uomo richiuse la porta e i suoi passi scricchiolanti si persero lungo le scale. Il gabbiano là fuori concluse il suo volo posandosi
sull’albero maestro di una nave da guerra Imperiale giunta in porto alle prime luci dell’alba. Gli Imperiali erano là per il Saggio. Erano là per… lei. Ancora una volta dovette mettere all’angolo la sua femminilità e trasformarsi in ciò che loro volevano vedere. Quello di cui avevano bisogno. Era una donna anziana, ormai, ne aveva viste e passate così tante che tutti i suoi libri avrebbero potuto contenere solo una parte della sua storia. Aveva sepolto un figlio e un marito. Ma il suo viaggio non era affatto finito. Terminò di vestirsi e chiuse i bottoni della sua giacca da Ammiraglio. Ormai era per tutti il Saggio E., così la povera Giselle Eveline Dabbott dovette rimanere prigioniera in quella stanza, tra i pezzi della sua collezione. *** Radici. Una parola che poteva nascondere innumerevoli volti e significati. Un legame indissolubile con qualcosa di vivo, di terreno. Nutrimento e speranza di vita. Qualcosa che, agli occhi degli ingenui, poteva sembrare morto, immobile nella propria staticità e inutilità. Eppure, anche per chi non sa, le radici saranno sempre la base di tutto. Un groviglio interminabile di vene, linfa pulsante verso il cuore. Ogni cosa ha radici, fisiche e spirituali. Al loro pensiero, la prima immagine che balza in testa non può
essere che una: alberi. Antichi pilastri della terra che sostengono il cielo. Loro, più di tutti, incarnano la perfetta immagine di morte apparente. Nella loro staticità, nascondono a tutti che brulicano di vita. Ma non fu sempre così, no. Tutto cambiò quando giunsero gli alberi di Morte. Portatori di sangue. E dolore. E tenebre. E… Il mare era così distante che nemmeno ponendo una mano a conchiglia sull’orecchio lo si poteva udire. E quanto gli mancasse il mare lo capì troppo tardi. “Polvere tra le dita e vita nel palmo della mano.” Richard aveva imparato quel messaggio come fosse una filastrocca. Aveva avuto tutto il tempo per farlo, durante il viaggio in cui aveva preso le distanze e dato l’addio al suo Capitano di vascello. Quel Tork che era diventato quasi un fratello minore per lui ma che, fin dall’inizio, sapeva benissimo di dover tradire. “Dove il morto è sepolto nessun aiuto dovrà arrivare.” E lui, quale aiuto ha saputo dare? A chi è stato veramente utile? Se lo chiese in quel momento, mentre strappava il libretto nero rubato a Erad prima e al suo Capitano poi. Era stato utile a una causa più grande, al suo retaggio, alle sue radici. Era quella la risposta che voleva darsi
e che gli permise di calmarsi, rallentando i battiti del cuore. Ma, in fondo, sapeva benissimo di raccontarsi una storia, una giustificazione bella e buona. Alle Sei Famiglie e solo a loro, ecco a chi era stato davvero utile. «Non funziona!» E forse, nemmeno a loro… da quello che stava accadendo. Lo scatto d’ira dell’uomo conosciuto con il nome di Ward lasciò tutti freddi e impassibili. Forse ognuno dei presenti, nel suo piccolo, avrebbe voluto sfogarsi così. Derek, accanto a lui, strinse i pugni piantandosi le unghie nei palmi ma non tradì nessun ulteriore sentimento. Fece solo un movimento, per voltarsi e camminare lontano da lì. Ma non andò da nessuna parte, qualcosa sembrava frenarlo. Apparentemente calmo, si voltò e tornò silente a pochi passi dagli altri. Davanti al gruppetto di persone gettava la propria ombra l’albero più grande della foresta. E, date le dimensioni eccezionali di ogni albero intorno, quello risultava davvero straordinario. Si poteva quasi scorgere una sagoma, nella sua corteccia. Una figura umana appena abbozzata ma che, con maggiore attenzione, si rivelava ancora più inquietante, con contorni grotteschi. “I semi che danno la vita porteranno la morte a chi avrà il desiderio di cercarli.” I Sei avevano smosso letteralmente mari e monti per
mettere le mani sul tesoro riportato da Richard. Non avevano colpe nella devastazione di Giusta Sentenza e Baia delle Sabbie, è vero ma, come nei rami di un albero, tutto proveniva dallo stesso tronco. Loro erano parte di quell’albero. E tutto ciò che partiva dal loro tronco si macchiava di sangue. Di quanta morte si era bagnata quella pergamena leggendaria? E per cosa? Per nulla. «Non può essere» disse Erik facendo un passo in avanti, aiutato dal bastone. «Abbiamo seguito tutto alla lettera. Abbiamo…» «Abbiamo fallito. Le leggende sono false!» Rune scostò col piede un mucchio di terra in rilievo. Il terreno era pieno di buche e piccoli cumuli di terra smossa. Tutti attorno al gigantesco albero. Come se un mostro sotterraneo avesse messo fuori il naso innumerevoli volte, senza farsi mai prendere. Olaf si chinò per guardare in uno di quei buchi. Erano andate così in profondità le mani dei loro schiavi, eppure nessuna delle radici che avevano scoperto aveva sortito qualche risultato. L’albero era ancora lì, immobile come era rimasto fino a quel momento. Vivo, eppur morto. Ward affiancò il compagno e scrutò a sua volta nella buca. Dalla gioia della vittoria i Sei erano passati in poco tempo alla consapevolezza della sconfitta. «False» continuò nel suo monologo Rune, «l’avevo detto io, che non dovevamo badare a quei pezzi di carta, alle dicerie del Saggio, e nemmeno a tutte le
belle parole che ci ha gettato in faccia.» E lo sguardo corse verso Richard, consapevole come loro che quello che avevano fatto fino a quel momento per cambiare le sorti della Storia non aveva risolto nulla. Pian piano tutti gli occhi si girarono verso di lui. Se c’era qualcuno su cui puntare il dito e riversare la colpa, Richard era il perfetto bersaglio. Non si sarebbero mai azzannati l’un l’altro e trovare sulla loro strada un estraneo poteva essere la soluzione più facile e comoda. Derek uscì dai suoi pensieri e dal suo silenzio per rivolgersi all’Imperiale: «Ci dev’essere molto di più, oltre quel semplice pezzo di carta. Qualcosa che abbiamo tralasciato. Ci siamo fidati delle parole del Saggio, unite alle cose che ci hai detto tu.» Oltre allo sguardo, anche i passi di Derek si mossero verso Richard. «E la nostra fiducia si ripaga con cieca obbedienza» continuò Derek indurendo la voce. «Sarà tuo compito verificare e capire cos’è andato storto. Non abbiamo più tempo.» «Come dovrò comportarmi con il Capitano De Mada?» intervenne Richard senza farsi intimidire. «Non dovrai preoccuparti di lui» si intromise Ward, «a lui penseremo noi, in qualche modo. Sappiamo di quell’assurdo gruppo di traditori in seno all’Impero. A suo tempo, tutto sarà sistemato.» Ultimi sguardi a quel fallimento, a quei buchi nel terreno e alla fatica spesa. I Sei tornarono compatti e, senza aggiungere altro alle parole conclusive di Ward, se ne andarono. Il passo sicuro in mezzo a quella fitta foresta li portò
in poco tempo oltre la visuale di Richard. E a quella dell’ospite nascosto tra gli alberi. Non si era fatta vedere e non intendeva mostrarsi, soprattutto fino a quando quell’uomo fosse ancora lì, immerso nei suoi pensieri. Aveva osservato tutta la scena e, in fondo, aveva un po’ gioito del fallimento di suo fratello. Rovi staccò la schiena dal tronco su cui era poggiata e, con un colpo del tacco sull’albero, balzò via da lì con la cura di non farsi vedere. Quando i Sei furono ormai lontani dall’albero e le uniche persone ancora presenti erano schiavi di poco conto, utili solo a recuperare zappe e vanghe servite fino a quel momento, Richard alzò il capo, perdendo i propri occhi tra quei rami intricati. Turbato per quello che era accaduto ma ancora più insicuro per quello che sarebbe successo. Fino a quel momento aveva pensato di sapere tutto. Di essere sicuro e consapevole di quello che stava facendo e di come il suo aiuto alle Sei Famiglie lo avrebbe agevolato nei suoi piani. Considerava il suo retaggio come qualcosa di cui andare fiero e sperava, anzi no, voleva che l’antica Regina delle Leggende tornasse tra loro. In fondo sapeva che le cose sarebbero cambiate. Ma questo, ai Sei, non lo aveva mai detto. Stolti, pensava, se il loro intento era quello di imbrigliare il potere di Baliìa e sfruttarlo a loro vantaggio, mille volte stolti. E proprio quel pensiero gli lasciava un senso d’insicurezza e una scintilla di domanda che pian piano stava rompendo tutte le sue certezze: era davvero giusto risvegliarla?
“PanBaliìa degli Arse, Regina del Dolore, del Sangue e del Legno getterà la sua sventura su coloro che la sveglieranno e riporteranno alla luce le radici del suo albero.”
2.
Visto da qui, l’albero maestro punta direttamente al sole. È pazzesco come fai caso a certi piccoli dettagli in situazioni del genere. Anzi no, non è vero, non è pazzesco. A me capita sempre così. E vorrei puntualizzare bene quel sempre. «Willed Embotte» pronuncia a voce alta Flint, «siete accusato di tradimento ai danni del vostro Capitano Fryg Blue, tentato ammutinamento…» «Peccato che l’abbiano preso a calci nel sedere tutti quelli a cui si sia rivolto!» E un coro di risate interrompe la sentenza letta da Flint, anche nel momento tragico. L’avevo detto io, a me capita sempre così. «Sig. Trikket, non abbiamo bisogno delle sue battute.» Flint tossisce. Si schiarisce la voce. Cerca di riprendere in mano la situazione e io non posso far altro che sospirare. Attendere che anche le ultime parole vengano pronunciate e buttarmi di sotto, a fare una nuotata tra squali e altri divoratori di poveri mozzi. Lui è in piedi sul ponte, a braccia conserte. Statuario e rigido, quei pochi passi che muove verso la scala sembrano quasi innaturali, come se fosse il burattino delle storie per bambini. «Willed Embotte» riprende Flint, «siete accusato, bla bla bla… Insomma lo sanno tutti qui sulla Re Balena: voi siete il peggio del peggio. Non ne fate una
buona e la decisione di guidare una rivoluzione contro il nostro Capitano si è spenta nel giro di poco.» Sento la punta di una spada pungolarmi la schiena. «Muoviti Will!» e sbraitano alle mie spalle in un coro di improperi e insulti che non ho mai udito nemmeno in taverna. Taverna. Eppure… Ancora una spinta verso il vuoto. «Ragazzi» mi volto verso di loro con la carineria delle grandi occasioni, «non deve finire per forza così, sapete?!» La punta della spada è proprio affilata. Se non cado di sotto rimarrò comunque infilzato come uno spiedino. «DAVVERO!» grido, alzando la gamba e facendo controvoglia il primo passo sul ponte di legno. «Possiamo… possiamo. Anzi, perché non mi abbandonate su un’isola deserta, eh?! Mi lasciate là con una botte d’acqua e qualche sacco di cibo e… e…» «FALLA FINITA WILL!» la voce imperiosa non manca al Capitano Fryg. Alle sue parole tutti si sono zittiti ed è rimasta solo la spada puntata alla mia schiena a parlare: mi sta dicendo di continuare la camminata verso la morte. Di prendere il coraggio che non ho mai avuto e mettere un piede davanti all’altro fino ad arrivare in punta. Là, dove con un altro passo spiccherei il volo. «In qualità di Capitano» continua Fryg, «giudico il qui presente Willed Embotte colpevole di tradimento. E di tutte le altre cose che ha fatto… La sua condanna è il fondo del mare. Andrà verso il blu con…» «NO!» No?
Arretro inconsciamente di quello che basta per mantenermi in equilibrio su quell’asse di legno così stretta. La folla di pirati si apre al centro, per far passare una ragazza. Minuta nelle dimensioni ma di grande coraggio, non si ferma nemmeno quando uno di loro si mette a difesa della mia posizione. Le basta una mano per spostare quell’omone sudato e decisamente brutto. La vedo come una salvatrice divina. Ah… potrei quasi innamorarmi di lei. Mar. «Non sei autorizzata a interrompere, figlia mia» Fryg non ha una voce adirata, piuttosto sembra comprensivo. Lei supera il pirata con la spada sguainata e si pone tra la lama e me. «Io non voglio interrompere, padre» dice Mar guardandomi negli occhi e, abbassando la voce in modo che solo io possa udire, continua «Lo sa il Mare!» E le sue mani vanno a spingermi. Non sembra metterci troppa forza ma il risultato è lo stesso. Cado. Cado. Cado sempre più in basso e la mia bocca soffoca il grido che vorrei lanciare a pieni polmoni. Mi sembra di sentirli ridere di me dall’alto della nave. Cado. Ca… Un tonfo e sbatto la testa e la parte destra della faccia sul pavimento.
«Ah… Ahio! Ma…» Questa è la mia stanza. Quello è il mio letto. Questa è la mia bocca indolenzita. Giro lo sguardo rimettendomi a sedere. E queste… queste sono risate. «È stato un peccato sia finita così» dice Tork poggiando la schiena alla porta della stanza. «Te l’avevo detto che parlava nel sonno» risponde Flint. «Sono due notti che lo sento biascicare.» Mi tiro su a fatica, pulendomi con un colpo di mano. «Simpatici, devo dire. Veramente simpatici.» Tork si districa tra le cose sparse nella camera, fino a raggiungere la finestra e aprirla. Luce. Troppa luce per essere ancora notte. Quei due sono qui da quando, sei mesi?! E già sono diventato preda anche dei loro scherni. Dovrei farmi valere, dovrei far vedere chi è Will, dovrei… «In piedi Will!» ordina Flint iniziando a uscire. «Capisco che è il tuo giorno di riposo in taverna ma ti consiglio di sistemarti in fretta. C’è una novità.» «Una novità?» Quello che dice Flint mi sveglia meglio di una secchiata d’acqua. «Una novità, sì» continua Tork raggiungendo l’amico, «Cuore di Sabbia è tornato.» Il retro della Locanda dei Nomi Dimenticati è spazioso. Soprattutto dopo il mio intervento in quell’immenso caos che aveva creato Bord. Ora c’è posto per alcuni tavoli. Usati poco ma utili per avere un minimo d’intimità, separati dalla parte più caotica, dalla locanda vera e propria. Alcuni scaf-
fali, alcuni libri. Beh, sì, quelli sono per me, non penserete mica che siano di Bord. Insomma, mi sono sistemato a dovere. Questa è casa mia, ora. La scala mi porta direttamente nel corridoio di servizio. Apro la porta per ultimo, dopo Flint e Tork; tutti sono già lì che parlottano e attendono chissà cosa… forse me?! Non credo di essere così importante. Tork e Flint rimangono fermi subito dopo la porta, facendomi segno di entrare e proseguire; Fryg, seduto nello scranno migliore che ho potuto sottrarre dalla sala grande della locanda ed eccolo, il vecchio Cuore di Sabbia che per me sempre rimarrà Finn, in piedi, mentre si toglie di dosso gli abiti anonimi usati per non farsi riconoscere nella strada del porto. Sul gigante si allarga un sorriso, non appena mi vede entrare nella stanza. «Will!» allarga le braccia e mi stringe in una morsa d’acciaio. «Sei sempre più magro. Bord ti fa mangiare o ti fa solo lavorare?» «Mangiare? Non ti hanno avvisato che ho smesso, da quando ho iniziato a lavorare qui?!» Le nostre risate si mescolano e, con la coda dell’occhio, vedo che anche il sorriso di Fryg si è allargato. La risata della Montagna è la stessa che ricordavo nei tempi migliori, quando lui era ancora uno dei Quattro Cannoni e io solamente il mozzo della Re Balena. Sei mesi, dicevo. Sono passati ormai sei mesi da quando questo gruppetto ben assortito si è presentato alle porte della locanda con la necessità di un luogo sicuro dove appoggiarsi.
Avevano l’idea di stare qui pochi giorni, il tempo di organizzarsi e partire per un nuovo viaggio, una nuova avventura. Ma poi non è andata come previsto. Ho imparato che non va mai come uno prevede, per quello ho smesso di organizzare quello che sarà e penso molto di più a quello che è. «Notizie?» chiede Fryg senza rivolgersi a qualcuno in particolare. «Sì» risponde prontamente Finn, «i miei contatti hanno lavorato bene e tutti i nostri sospetti hanno avuto conferma. La Mezzaluna di Sangue e Mar… so dove sono: la Capitale.» Era quello che tutti noi speravamo ed era quello per cui la loro permanenza si è prolungata più del dovuto. «Ma…» continua Finn spezzando un po’ le buone speranze, «nessuna notizia precisa mi è giunta riguardo i piani delle Sei Famiglie e quello del tesoro che ci hanno sottratto.» Tork fa il giro del tavolo attorno al quale stiamo. Dito sulla bocca, fare pensieroso. «Tutto questo tempo di calma piatta potrebbe voler dire qualcosa, no?!» dice. «È quello che speriamo» risponde Fryg alzandosi. «Ma dobbiamo accantonare per un attimo i piani. Non possiamo farci nulla, dobbiamo pensare prima alle ragazze. Loro hanno bisogno di noi.» Tutti annuiscono col capo; non aspettavamo altro. Anch’io, che ho seguito la vicenda in questi pochi mesi, sono assolutamente convinto di dover fare qualcosa per Mar e per le mogli di Finn. Questa è la mia casa ora ma… se non avessi questo lavoro da portare avanti, potrei tornare…
Finn interrompe le mie fantasticherie: «Nel mio viaggio ho preso contatti con una persona fidata. Può farci arrivare vicini alla Capitale, scortandoci per non diventare facile bersaglio dell’Impero.» «Non possiamo permetterci di essere riconosciuti arrivando in quei mari» interrompe Flint, «ma non possiamo nemmeno rimanere senza le nostre navi.» «La Re Balena andrà, su questo non discuto!» Tutti si zittiscono per un attimo all’esclamazione di Fryg. Mi sembra ovvio che un padre voglia usare tutte le proprie carte per il recupero della figlia, inoltre una nave come la Re Balena farebbe comodo per arrivare in quei luoghi. Ancora. Sto continuando a ragionare come se dovessi partire con loro per questa avventura. Forse… La porta si apre improvvisamente sotto la spinta di un Bord sudato. Non la migliore delle visioni, ammetto. «Jack, serve aiuto in sala!» «Will!» dico io, ormai Jack non lo usa più nessuno per chiamarmi. «Jack, Will… tu insomma!» borbotta senza pazienza Bord. «Ma io… veramente sarebbe il mio gior…» Sono rosso. Mi sento come se dovessi esplodere da un momento all’altro. «SUBITO!» E la porta si richiude con un tonfo. All’improvviso il calore sulle mie guance evapora. Mi calmo, sospiro e guardo a uno a uno gli altri, spe-
rando di trovare comprensione nei loro sguardi. Questa è la vita di un mozzo diventato taverniere: sfuggire ai pericoli del mare per imbattersi in quelli di una locanda. Mi volto mestamente per abbandonare la riunione. «No» sussurro, «NO, alla malora!» Le parole escono da sole. Non scherzare Will, lo sai bene che non è dietro un bancone la tua vita. «Basta! Sarò dei vostri» pronuncio voltandomi verso gli altri e sentendo addosso tutti i loro occhi, «e vi dirò di più: posso procurarci un buon lasciapassare per la Capitale. Datemi alcuni giorni e avrò tutto il necessario, fidatevi di me!» Sfodero il miglior sorriso possibile mentre esco per fare una chiacchierata con Bord. Bravo Will. Bravo, davvero. Il vecchio Will doveva tornare, prima o poi. Bastava rendersene conto. Ora, il nuovo Will è tornato e, se avesse avuto un buon cappello da Capitano da calare sulla testa, questa sarebbe stata una bellissima uscita a effetto.