“COLLANA FANTASY” LAPICCOLAVOLANTE (9)
Alen Grana La Foglia Nera I Signori delle Balene - volume 2 Proprietà Letteraria Riservata I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, di riproduzione o adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. Versione Elettronica © 2015 Associazione Culturale LaPiccolaVolante “Collana Fantasy” www.lapiccolavolante.net Illustrazione di copertina e mappa di Emiliano Billai Progetto grafico di Michela Meloni Revisione testo di Michela Meloni; Cristiana Melis; Erika Bernardi
Alen Grana
La Foglia Nera
I Signori delle Balene volume 2
un’avventura
Nota dell’Autore Ogni storia dev’essere accompagnata da una colonna sonora. Questa è la mia, ancora una volta... Un piccolo suggerimento per immergervi più profondamente nelle acque dell’avventura.
Temperance - Temperance Alestorm - Sunset on the Golden Age Ancient Bards - A New Dawn Ending Elvenking - The Pagan Manifesto Blind Guardian - Nightfall in Middle Earth Sonata Arctica - Pariah’s Child Running Wild - Best of Adrian Kamelot - Epica
parte 1 Cenere
1.
Non tutti muoiono. Ci sono persone per cui la morte è solo apparente. Ci sono altri che hanno imparato ad aggirarla e lei, la morte, li odia. Che verrebbe quasi da parteggiare per quella Signora, povera Morte, costretta ad approfittare della guerra e delle risse per raccoglierne i frutti. Morte odia queste genti, questi popoli. Dimenticherebbe il mondo intero, se solo trovasse la maniera per dare il ben servito a tutti; fino all’ultima canaglia di queste strane genti. Lascerebbe persino vivere tutti gli altri, per averli. Demoni. Vivono a ridosso delle montagne. Gli uomini di mare evitano di avere troppo a che fare con quelle montagne e le sue genti. Li chiamano demoni: i demoni di legno e di sangue. Le storie raccontano ciò che accadde tempo addietro, troppo per dirle vere o leggende. Raccontano che, come lupi affamati, arrivarono dall’altra parte del mondo, si sparsero ovunque ci fosse terra e foresta e salita. E che calavano, la notte, lungo i pendii verso il mare e non capre, non galline, non cani, neanche conigli predavano. Solo uomini. Unghie come gli orsi, denti come i cani, mascelle forti come squali, orecchie lunghe come le linci, per sentire meglio, nari fini perché nessuno potesse nascondersi. Tutto questo fu. Per molti anni, secoli forse.
Ma, per fortuna, quel tempo non esiste più. Un popolo che sa vivere a lungo e giocare con la morte non ha bisogno di progredire. Ecco perché ha trovato, ormai, la propria fine: gli incontrastati predatori hanno imparato presto che il tempo scorre e i ruoli cambiano. Gli uomini in basso, quelli dal profumo di sale, hanno acquisito una magia più forte di denti e artigli e ora, finalmente, sono più forti dei demoni. Ma la foresta guarda sulle spalle della montagna. E continuerà a farlo ancora. Ancora. La bambina sedeva sulle radici di un albero immenso, dalle forme tonde e piacevoli di una donna. «Se le parlo, lei...» «Lei ti sente, certo, è viva.» «Viva?» «Lo è da cinquecento anni e non morirà presto!» L’uomo in piedi, alto e robusto, guardò la bambina con un mezzo sorriso. Era il Re del suo Popolo, ma di fronte a quegli occhietti curiosi era solo un padre affettuoso. Il suo nome: Garse. La bambina gli sorrise e, carezzandone la corteccia, cominciò a raccontare storie e desideri a quell’enorme Tasso, che il suo popolo chiamava Baliìa. PanBaliìa degli Arse. Fu Regina ancora prima di Garse; fu un demone potente e spietato. Nessun Re e nessuna Regina avevano mai superato la sua grandezza, eppure già a quel tempo gli uomini di sale possedevano cani di ferro, piccoli e grandi, che sputavano fuoco. Succedeva sempre così: più gli uomini mori-
vano presto, più in fretta si sarebbero evoluti. «È vero che lei cacciava gli uomini e noi, un tempo, ci nutrivamo delle loro carni, Padre?» Il sorriso ebbe un tremito di passaggio. «Oh, se è vero!» fece lui. «Gli uomini avevano iniziato a sottomettere il fuoco e la sua forza. A quel tempo, lui e l’uomo di sale erano semplici compagni di viaggio. Ora l’uomo di sale ordina e fuoco, schiavo remissivo, ubbidisce!» Come hanno ingannato la morte? Donandosi a una madre di legno che la morte non può toccare. A una madre che sa rinnovarsi da sola, senza rinunciare a se stessa. Foresta. Difficilmente la morte li coglie alla sprovvista, perché non muoiono mai lontani dalla loro madre, com’ultimo respiro violano la terra e stringono una radice e Foresta li accoglie tra i suoi tanti alberi e concede loro riposo finché vorranno, finché non sapranno svegliarsi. Nessuno ancora, in tanti secoli, ha scoperto come sottrarsi al sonno di legno e tornare in vita come se mai fossero trascorsi, scivolati, passati i secoli e intorno a PanBaliìa degli Arse si accumula un esercito di legno che morte non ha fatto in tempo a rubare. «Si sveglieranno mai, Padre?» «Un giorno. Quando la madre delle madri ci riconoscerà il merito di averla protetta e difesa, di aver ucciso e vissuto per lei.» Parole strane per una bambina così piccola. Parole che avrebbe compreso solo da grande. Il Re continuò a parlare, alzando una mano per guar-
dare la luce passarci attraverso. «Allora cresci, figlia mia, vivi e uccidi per Foresta sotto le sue grandi mani. Un giorno accoglierà anche te nel sonno, un giorno ti ridarà vita per uccidere ancora e vivere ancora e poi sarà di nuovo sonno di legno e così via per sempre. Noi siamo il Popolo che ha vinto la morte e sotto queste fronde, sopra questa terra nutriente, la vincerà per sempre.» Giunse la Regina Leggendaria da lontano, dove non arrivava l’odor di sale. Perché non le bastava più quello che aveva. Cercava nuovi sapori, nuove prede e li trovò sulla punta delle dita bagnate alla fine del mondo, li vide: uomini dal sapore di sale. Oggi questa terra profumata di menta ed elicriso è la sua terra e i nuovi Re vivono e uccidono perchè al suo risveglio e a quello dei Panhuy, i figli di legno e di sangue imprigionati nel sonno di legno, essi possano trovarla ancora più forte di prima. «Ci sono terre» riprese il Re, «ancora molte, e Baliìa giurò al suo Popolo che l’avrebbe portato alla conquista fin dove ci fosse aria da respirare!» «Voglio andare anche io!» «Andrai, bambina, andrai! Che padre sarei se ti proibissi di cacciare, uccidere e imparare l’arte più bella del mondo?» «E gli uomini di sale? Loro hanno i cani di ferro che sputano fuoco!» Il volto della piccola si fece scuro. «Una vecchia canzone» rispose il Re, «faceva più o meno così: Arriverà un uomo di sale, che gli uomini di sale non vorrano più tra loro. Baliìa si sveglierà e
allora due saranno le cose che esigerà: uccidere e unirsi per ore a un uomo...» La bambina non poteva ancora capire del tutto quelle parole e la domanda le nacque sulle labbra senza che se ne accorgesse. «È così che nascono i Panhuy?» Il padre rise. Forte, come non aveva mai riso. «Questo è quello che dicono le canzoni, bambina mia. Ma un Panhuy è fatto di cuore e legno, non di sangue, bada.» «E io? Potrò diventarlo, io?» «Se soffrirai abbastanza, sì!» «VIENIII???» urlò il bambino all’indirizzo dei due, uscendo dall’ abitazione. «Vai bambina mia» disse il Re. «Vai da tuo fratello.» Ma non fece in tempo a finire la frase che la piccola prese a correre in direzione dell’abitazione, senza più curarsi di tutte le parole dette fino a quel momento. Il Re la seguì con lo sguardo, come un vero padre, quale in realtà non era. Come il padre del popolo dimenticato dalla morte.
2.
Morte. «SIGNOREEEE!» Eppure dev’esserci qualcosa che mi sfugge. Sì, indubbiamente, qualcosa che non riesco a cogliere, nemmeno da qui sopra. «SIGNOREEEE!» Un senso molto più complicato. Sembra quasi una presa in giro. Ogni passo in mezzo a queste pietre è come uno schiaffo alla tradizione. Vedo la morte e calpesto anni di storia. «SIGNOREEEE!» «Ti ho sentito» rispondo a bassa voce ben sapendo che da questa distanza, al buon Teodore, non sarà giunta nemmeno una sillaba. «SIGNOREEEE!» Ora basta. Mi volto spazientito, quasi cado dalla montagnola di detriti su cui sto fermo da un po’, in ammirazione e contemplazione allo stesso tempo. «TI HO SENTITO!» urlo anch’io, ché questa volta la mia voce gli giunga chiara e finisca questa farsa da due soldi su chi debba gridare più forte. Si fosse almeno avvicinato! Ma no, niente, rimane fermo con le mani attorno alla bocca. Prima che riprenda a gridare quel suo “Signore”, neanche si stesse rivolgendo direttamente al suo Dio, lo anticipo. Un piccolo balzo verso il basso e una leggera scivolata di profilo mi permettono di giungere al suo livello, di-
stanza sicuramente percorribile da una conversazione. Basta con le grida. «SIGN…» Ecco. Alzo una mano a fermarlo. «Teodore» e butto indietro il fiato, prendendo a parlare calmo... o almeno tentandoci. «Ho già detto che ti ho sentito…» «Sì, Signore» fa lui sull’attenti, mentre io riduco la distanza tra noi a pochi passi. «Quindi è inutile che continui a gridare così. Mi sono buttato da lì sopra proprio per venire da te.» «Fatto bene, Signore.» Tork, porta pazienza. «Vuoi dirmi cos’avevi da gridare tanto?» «Signore» la sua voce si fa concitata, più scattosa, sintomo che qualcosa lo turba, «il gruppo di Richard ha scoperto qualcosa da quella parte!» Indica col dito una direzione a nord-est, poi continua. «Dicono di aver recuperato alcune persone, sotto il crollo del Palazzo Principale.» «Vivi?» stringo gli occhi sperando in un sì. «No, Signore.» Li allargo e lascio uscire la speranza. «Va bene Teodore. Torna da loro. Io arrivo subito.» «Agli ordini Signore!» È il mio mestiere, lo capisco, ma non posso sempre comprenderlo pienamente. Il mio nome è Torque De Mada, Capitano di Vascello dell’Impero. Il più giovane Capitano dell’Impero, per essere preciso. O almeno, è quello che dicono gli altri. Mi fa sorridere ma accetto l’epiteto. In effetti ce ne sarebbe un altro… ma
nessuno si ricorda mai di lui. Quindi farò finta di dimenticarmene pure io. Sembra che me ne vanti, vero? Beh, sì, effettivamente sono molto fiero di quello che ho ottenuto. Ma è stata dura farmi valere e rispettare da uomini molto più vecchi di me. Per fortuna Richard, il mio vice, è stato dalla mia parte fin dall’inizio. La mattina avrebbe potuto iniziare meglio per me e il mio equipaggio. Non c’è dubbio: siamo marinai allenati a tutte le possibilità. Anche a quelle più strane. Ma si è mai davvero preparati alla visione di un’intera città devastata? No, direi proprio di no. Soprattutto se è considerata da tutti, ma farei meglio a dire era, il posto più sicuro dell’Impero, Capitale a parte. La Giusta Sentenza. Una città blindata, sede dei migliori esecutori di streghe su cui poteva contare il Governo centrale. Rasa al suolo come se non fosse mai esistita. Devo essere matto a portare i miei uomini in un posto del genere. Non che delle inoffensive rovine possano suscitare preoccupazioni, è più che altro il modo in cui lo sono diventate a essere preoccupante. Sono stato mandato qui dall’Impero in veste ufficiale per rendermi conto dell’accaduto e fare rapporto. Eppure lo so. So che tutto questo impegno da parte loro è falso. E non sono il solo a conoscere il reale stato dei fatti. Siamo in molti, in seno all’Impero, a nutrire evidenti dubbi. E a prendere le dovute precauzioni. Una volta non era così, l’Impero era simbolo di giustizia e spe-
ranza per tutti i popoli delle terre emerse, che si battevano per la loro indipendenza. Ora quell’indipendenza puzza di miraggio lontano; raggiunto, superato e via via dimenticato. Sono altri gli interessi dell’Impero, soprattutto da quando le Sei Famiglie hanno iniziato a tirarne le fila e controllare tutto. Lascio andare Teodore. So bene, senza che sia lui a dirmelo, che qui, vivi, siamo solo noi e i pochi abitanti accorsi dai paesi vicini per aiutare. La Guerra lampo si è infranta contro Giusta Sentenza e ha spazzato via tutto. La città che ospitava la sede dei Cacciatori dell’Impero è stata distrutta in una notte. E l’Impero cos’ha fatto? Ha mandato me, troppo tardi per fare realmente qualcosa. Posso solamente fare la conta dei cadaveri, stimare i danni e documentare tutto per riferire. Ma, dietro le quinte, il mio intento è un altro: capire. Sono sempre più convinto che mi abbiano mandato qui per tenermi più lontano possibile dalla verità. Me e tutto il mio gruppo. Chiamarci cospiratori sarebbe ammettere che l’Impero si muova nel giusto. Noi siamo nel giusto. Nemmeno questo ha più importanza. Muoversi tra queste rovine fumanti è faticoso. Polvere e cenere volano nell’aria e rifiutano ancora di depositarsi, dopo giorni dall’evento. E certe zone non accennano a spegnersi dalle fiamme generate dai colpi di cannone. Il porto di Giusta Sentenza è ormai alle mie spalle; muovendomi verso l’entroterra la
situazione non migliora. Devono essere stati molti, i cannoni impegnati in questo massacro. Troppi per un gruppo solitario di pirati. Mi chiedo perché non siano riusciti a difendersi. La cicatrice sulla mia guancia prude tremendamente e lo fa solo in due situazioni: quando cambia il tempo e quando qualcosa non mi torna. Sono dieci giorni che non piove. E il cielo è sgombro da qualsiasi tipo di nuvola. Gli uomini stanno continuando a scavare e frantumare le poche cose rimaste integre ma pericolanti. Ci sarà da ricostruire tutto, qui. Ancora pochi balzi in giro e sono nel pieno dei lavori, al loro fianco, anche se gli uomini stanno faticando enormemente per qualcosa d’inutile. «Richard» chiamo, spostandomi a fatica verso di lui. A differenza mia, Richard è una persona molto pratica. È quello che non ha paura di sporcarsi le mani nello svolgere un lavoro difficile. Io, ammetto, preferisco seguire tutto da una posizione privilegiata e usare questa cosa che mi sta sulle spalle, ben salda al collo. «Occhio alla testa!» mi avvisa lui, segnalandomi un pezzo di muratura a poca distanza. Mi abbasso, anche se so di passarci benissimo. È un riflesso spontaneo. «Teodore mi ha avvisato che anche qui non avete trovato nessuno.» Si alza da terra e scrolla le mani per togliersi la sabbia, poi si pulisce nella camicia bianca, passando oltre la sua giacca adagiata su una montagna di detriti. Le buone maniere, per lui, rimangono là con la giacca. «Dice bene» mi risponde venendomi incontro e ti-
rando su con il naso. «Sono tutti morti, Tork. Giusta Sentenza non esiste più.» Metto una mano sul suo braccio e lo spingo lontano da quel luogo, dove l’aria è un po’ più respirabile. Anche se l’aria non è respirabile da nessuna parte. C’è la morte qui, e noi la stiamo buttando dentro ai polmoni. «I nostri sospetti sono fondati, Richard. Qui c’è qualcosa che non torna. La devastazione è troppo estesa. Su larga scala…» «...e dal porto avrebbero potuto fare molto, ma non così tanto» conclude lui per me. «Esatto!» «Sai come la penso, ne abbiamo parlato mentre venivamo qui.» «Davvero tu pensi siano implicati i Re?» sono perplesso su questo punto. «No, non di tutti. Ne basta uno per conciare così un posto come questo.» E allarga le braccia a sottolineare quello che posso vedere benissimo coi miei occhi. «Lo so. Ma non mi spiego ancora perché un Re abbia fatto questo, mettendosi di petto contro l’Impero.» No, non me lo spiego davvero. Mi gratto svogliatamente la cicatrice e continuo, sfregandomi gli occhi per togliere la polvere. «Il punto non è mettersi contro l’Impero, Tork: è mettersi contro le Sei Famiglie.» Veloce, senza nemmeno rendermene conto, smetto di fare quello che m’impegna e agisco. Lo afferro per il colletto e modulo la voce a un sussurro: «Non parlare di loro… qui» e giro gli occhi a inquadrare tutti i nostri uomini, distanti.
«Smettila» dice Richard ponendo le mani sulle mie e facendomi allentare la presa. Non potrei fargli male, nemmeno volendolo. Perché non riuscirei e, soprattutto, perché non lo vorrei mai. Continua a parlarmi, mentre sul suo volto si allarga un sorriso: «Tork, dei tuoi uomini puoi fidarti. Nessuno di loro è fedele alle Sei Famiglie, lo sai. Rimaniamo nell’Impero per comodità ma siamo tutti con te e con quelli come te, le Ombre.» «Le Ombre non esistono, sono solo…» «… il lato nascosto dell’Impero, lo so. Non fai che ripetermelo.» Sospira. Mi ha sempre considerato un po’ come un fratello minore, o come un figlio, visto che è stato proprio lui ad accogliermi nella sua casa quando ero molto piccolo. «Riporteremo la luce all’Impero, Tork. Dall’ombra alla luce.» Ormai le mie mani sono lontane dalla sua camicia. Si chiudono e si aprono a intervalli regolari, regolando il flusso del sangue. «E, comunque» continua lui, «qui non c’è più niente che possiamo fare. Gli uomini stanno facendo il possibile ma non troveremo niente.» «Nessuna prova su chi sia stato?» «Possiamo seguire quello che ci ha riferito l’Impero, ma non è detto che sia la verità… appunto.» Storco la bocca pensieroso. Non mi era mai capitato di trovarmi in una situazione del genere. Così privo d’informazioni basilari. Eppure noi sappiamo la verità: l’Impero sta cercando di buttarci sabbia negli occhi. Occuparci in qualcosa per tenerci lontano da altro.
«Richard» mi decido a parlare, non vorrei che il mio troppo pensare confondesse anche lui, «di’ a tutti che salpiamo. Non abbiamo niente da scoprire qui e riferirò all’Impero quello che abbiamo visto.» «D’accordo, come vuoi tu Tork… nessun problema.» Alza le spalle approvando. «Ci penseranno loro a occuparsi della ricostruzione. Ci vediamo sulla spiaggia…» concludo. Mi volto e i miei pensieri corrono più veloci dei passi che sto per fare. Ancora. Giusta Sentenza, uno dei punti chiave dell’Impero, viene distrutto dalla notte alla mattina. L’Impero ne viene subito a conoscenza e cosa fa? Niente. Manda noi a controllare, sta in silenzio senza reagire. Se davvero fosse stato uno dei Re a causare tutto questo, sarebbe dovuta scoppiare una Guerra. Una di quelle che non si vedono più dai tempi della Guerra dei Re. Dalla leggenda dei Lupi, Re decaduti, e la Balena. Invece no. C’è aria di tempesta, mi sa che i giorni di siccità stanno finendo. Meglio, avrò un motivo meno preoccupante per grattarmi la cicatrice. È tempo di tornare per mare. Il dondolio della cabina mi porterà sicuramente consiglio, o almeno un po’ di sonno.