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“COLLANA FANTASY” LAPICCOLAVOLANTE
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Proprietà Letteraria Riservata I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, di riproduzione o adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. © 2011 Associazione Culturale LaPiccolaVolante “Collana Fantasy” www.lapiccolavolante.net Copertina di Emiliano Billai
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EMILIANO BILLAI
PANE VOLUME I
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Un Maleficio “Vaaaaatteneeeeeee!” Perché è ancora qui? Se tutto è figlio della mia follia, perché è ancora qui? Io sono il padre snaturato di questo mondo. Io l’artefice di queste mura colorate. Io. Io sono il dio di questo mondo, devo poter decidere della sua rovina, del suo sgretolamento. Non lo voglio più, e che siano le sole pietre spente, il mio mondo, non questi colori, non queste genti. Non esistete. Questo mondo è il mio rifugio, il mio nascondiglio. Io non ci voglio più vivere dentro. Via tutto. “No, tu non vuoi”. Io lo voglio. “No, tu non vuoi”. Io lo voglio! Voglio il mondo di tutti, fatto di semplici traguardi mediocri dalla forma di belle macchine, belle scarpe, una bella casa; voglio quello che si tocca anche quando si è svegli. “Quel mondo fa schifo. No, tu non vuoi”. Non va via, non scolora. È forte o io lo sono troppo poco. Io son piccolo, da troppo tempo a questa parte ho gettato le armi. Ne approfitta. Ma è mia. Creazione, invenzione, follia. Lucida follia cercata e plasmata, mia volontà, non è altro che mia volontà, e ora decido che deve svanire e scoprire il mondo dove camminano tutti. “Vaaaaatteneeeeeee!” Non voglio più ridere di giochi inventati, voglio la luce grigia che accontenta tutti. Voglio un pessimo datore di lavoro, voglio dimenticarmi. Dimenticarmi, perché son fatto male, troppo male per questi viottoli, e ora tutto deve svanire, tutto sarà di nuovo pietre spente. “No, tu non vuoi”. Io lo voglio. “No, tu non vuoi”. Io lo voglio! Perché ridono, denigrano, ignorano e lasciano spegnere. Per un libro in mano, per un gioco, 8
una storia, per un saluto a un cane, per una carezza ad un albero. Ridono, denigrano, lasciano spegnere. Salvami da quest’illusione e vattene, scaraventami di nuovo nel mondo vero, dove tu non esisti, ti prego. “No, tu non vuoi. Perché non esisto?”. Non sei vera, niente è vero, sei una storia, un racconto, sei carta e inchiostro, talora colori e matite, puoi profumare di china, puoi cambiare aspetto, puoi volare, sparire, incantarmi, eccitarmi e innamorarmi, ma io non ti ho mai toccata, non ti ho mai potuta toccare. Non sei vera. “Ho un aspetto, ho linee nette, un bel profilo. Ho un sorriso, hai sentito la mia voce mille e mille volte. Non puoi concepire ciò che non esiste, la tua scusa è un controsenso. No, tu non vuoi”. “Vaaaaatteneeeeeee!”. Non esisti, la gente mi guarda, quella vera, reale, mi scruta, e ora ride, ora scuote il capo. Non ti voglio più! Vattene, lasciami al mio mondo, lasciami ad un lavoro normale, lasciami ai miei debiti, alla mia piccolezza, lasciami dove la gente possa stimarmi per un lavoro vero. Lasciami te ne prego, non ce la faccio più. “No, tu non vuoi”. Io lo voglio! Lasciami, è questo che voglio, vattene. Non puoi stare più con me, non ti voglio; io non ti posso toccare, tu non sei vera. La gente, quelle persone che fuori decidono il mio posto tra loro, non sopportano che ti tocchi, non è così che vanno le cose. Io non ti voglio più, io non ti posso toccare. “È questo, allora”. Sì, è questo, mi vergogno. Mi vergogno, mi sento solo; fuori, di te, della mia storia non vuol sentir parlare nessuno. E allora perché devo tenerti, viverti una volta sola ancora? Non ti vogliono, Bella Storia Mia, sei bella, sei perfetta, sei il colore mio preferito, sei la canzone 9
mia preferita, sei le labbra più belle del mondo, sei l’eroe più forte del mondo, sei piccola, sei fragile e indistruttibile, ma, storia mia, se ti porto ancora con me, là fuori sarò solo, nella considerazione d’un pazzo. Te ne prego, lasciami al mio mondo io voglio quello che hanno tutti gli altri, ma non piangere ti prego. “Anche tu piangi. E se piango è perché son felice. Dici di non volermi più, non vuoi più la tua storia, ma scrivi ancora una storia, per dirmi di andarmene.” Allora son caduto su di un mondo che non mi appartiene e non troverò mai il mio punto di equilibrio. Io voglio il mio punto di equilibrio su di una pietra spenta come tutti, tu mi ci allontani. E allora se questo è il mio desiderio tu, Storia Mia, perché non mi lasci? Vattene e lasciami il mio angolino di pietre spente, fredde. Io lo voglio. “No, tu non lo vuoi”. Io lo voglio. “No che non lo vuoi. Tu non fai scelte. Nessuno fa le scelte. Sceglierai di star male. Tu non sei il mio Dio. Tu sei la mia storia.” No, io sono il tuo scrittore. Io ti ho dato le linee, io ti ho dato la voce, io ho scelto per te la forza, il coraggio, i draghi e i cavalieri. IO, io e io! TU sei la mia storia! TU. Io tocco le pietre che montano il mondo, ma non tocco te. E sempre io non trovo un posto per noi tra i sassi freddi, te ne devi andare, devi lasciarmi. “No, tu non lo vuoi”. Io lo voglio! Vattene e lasciami, ho da scolpire il mio nuovo seggio. Vattene il mondo non vive di storie, non posso vivere di storie, le storie portano ai sogni i piccini, le storie portano le maschere ai piccini, tu, Storia Mia, mi tieni sveglio la notte, impacchetti il disagio per le vie piatte del resto del vero fuori dalla porta. Tu non sei più il mio rifugio, sei il mio maleficio e io mi sto uccidendo, Storia Mia. Liberami. “No, tu non lo vuoi, 10
tu hai la paura e la scrivi. Fai bene. Ma sei la mia storia. Io non andrò via o non avrò più il mio mondo”. Io non sono la tua storia... Io non sono la tua storia... io non sono la tua storia... io...se tu andrai via... “Di te che vivi me, la tua storia, che rimarrà? Morirai. Porterai in giro una carcassa spenta tra pietre spente. Non saprai di avere il tuo posto, allora, non saprai mai di averlo cercato. Morirai. Rimani con me, questo è il tuo mondo, io la tua storia, tu la mia. Abbiamo bisogno di viverci, gustarci, maledirci. Questo maleficio è casa tua, piccolo scribaiolo, fuggire non ti porterà nuova vita, la porterà ad un’altra carcassa spenta fuori da quella porta.” E se volessi morire? Io voglio morire, io voglio dimenticare. Non so più tenermi intero, né qui né fuori, è un maleficio che mi uccide piano. Non puoi odiarmi così tanto, bella Mia Storia, dammi il sollievo che ti chiedo. Donami ti prego l’incapacità di dar voce a ciò che non potrò mai toccare. Non ti posso toccare, lasciami, io non voglio impazzire. Piango non vedi? Spegnimi e scatafasciami fuori da quella porta, dove tutto si può tenere in mano, dove puoi sentire tutto tra le mani. Piango non lo vedi? Finisce il gioco e scompari, ogni volta, torno pesante, ricado su mattonelle fredde, dentro una stanza zitta, d’avanti un fuoco spento e non ci son più le nuvole, non volo più, torna la paura dentro una stanza con mattonelle fredde e zitte e piango ogni volta. Non so più farlo senza dolore, Storia mia, vattene lontano o uccidimi adesso. Fai di me il tuo inchiostro e toglimi da qui allora, ma ora, ma subito. Sarò la tua storia, ma lontano da qui, perché qui io piango troppo per regalarti un’avventura ancora. Trascinami dentro 11
l’ultimo maleficio, sarà il Racconto più bello mai scritto, ma ora, fallo subito, uccidimi adesso. Perché sto troppo male. “Lo posso fare. Saprò essere il tuo migliore maleficio, il tuo viaggio spaventoso, le tue più belle labbra, la rondine più veloce, saprò farti correre sopra le cime dei pini, saprò farti morire valoroso quanto mai un eroe di nessuna storia scritta sia morto, sarai la storia delle storie. Questo lo posso fare, questo è quello che faccio per te da una vita intera. Sono la tua storia, il tuo racconto, portarti dentro di me è il maleficio che preparavo per te. Si, questo è quello che vuoi.” Questo è quello che voglio? “Questo è quello che vuoi. Questo è il maleficio che sei.” Dove mi porterai? “Tu sei lo scrittore, tu scegli la porta io la aprirò per te”. Voglio ancora le nuvole fredde sopra le mie montagne. Voglio il profumo della pelle dei miei amici. Voglio le mani di mio padre. Voglio ancora l’odore di cuoio e sudore. Volare sui cisti. Questo. Apri quella porta, e portami sotto gli alberi che tutti temono, sotto le felci enormi. Lì lasciami, poni fine al maleficio e uccidimi. “Tu sorridi. Amo quando piangi così. Ti porterò e saprai che solo qui troverai sempre quello che ti tiene in vita.” Sei tu, Bella la mia storia? “Sono io, il tuo racconto. Vuoi essere una rondine?”. Voglio essere una rondine. “Vieni, affacciati oltre la porta. Ti piace? È un bel cielo, ha le nuvole giuste, ha la brezza migliore e un sole caldo. Oltre la porta c’è il giorno perfetto per volare. Salta e dimmi, se puoi volare tanto meravigliosamente, dimmi, perché desideri un cielo che non può avvolgerti come questo.” Perché comincio a sentirmi solo. Nessuno mi seguirà fino a te, Bella Storia Mia, qui son solo. “Eppure tieni per mano una creatura stupenda, non la vedi? È bella 12
e vive di te.” Sei tu, Bella Storia Mia, hai le labbra più belle del mondo. Scriverò di un tuo bacio poi portami a morire, non farmi tornare al silenzio di pietre spente. “Allora baciami, ti porterò dovunque scriverai.” Scriverò le cime rotonde della mia terra, solcate da gole antiche, pericolose, come graffi neri sui fianchi del mio mondo più bello. Scriverò del profumo del suo humus, bella Storia Mia, e nera e morbida e umida ora mi sporchi le mani e spingi la mia corsa sopra cisti infiniti, in picchiata per crinali dalla prospettiva terrificante. Ma qui, ora, rendimi le ali. “Sei la poiana”. È nel volo lento che ti senti Dio, piano planare su un oceano di piccoli colori in toni di grigio, verde e calda terra. Qui scriverò del mio grido, lo sentiranno tutti da quassù, lì giù, sapranno che un piccolo Dio forte li guarda e non li teme, così più vicino al sole. Poi giù. Scriverò la mia picchiata, veloce dentro le chiome, più giù dentro le vene della foresta, più giù veloce sulla terra nera e morbida, sei un bel cane, bella Mia Storia, che mi corre forte e fiero di fianco, sei il coraggio e la costanza. Per te vale la pena correre ancora, per la tua pelliccia morbida e bagnata dalla rugiada. Non portarmi più a casa, lasciami qui, dove solo vale la pena di piangere. “Scrivi ancora, tu scrivi ancora”. Qui perdo e ritrovo, per piangere e ridere. Ma se mi porti a casa, tutto questo lo odierò ancora. “Credi davvero?”. Hai di nuovo le labbra più belle, Mia Storia. “Scriverai un bacio ancora?”. No, di luci deboli, odore di cuoio e di paura. Sarai le voci che non potrò più ascoltare, la pelle che non potrò più bagnare di lacrime. Sarai chi merita il mio pensiero una volta ancora, sarai chi merita di più di ciò che ha avuto. Bella e letale, avrai 13
occhi profondi per molte lacrime. Danza, Storia Mia. “Danzerò con te, poi riprenderemo a viaggiare. Come ti ho promesso”. Per valli dimenticate, fatti buia e fresca. Sei il fruscio costante di passi selvatici, di zampette felpate. Qui le felci sono giganti, tutto sembra essersi fermato dimentico dell’evoluzione, giganti magici dai frutti rossi mi aspettano e sanno perché son qui. “Vieni a morire?” Sei contorta come i mille anni di questo Tasso, sai perché son qui e porgimi il tuo frutto ora, bella Mia Storia. “Come ti promisi. Siediti sulle mie radici e scrivimi. Scrivi di quest’albero che ti porge morte in un piccolo frutto rosso.” Grazie. Sei la storia più bella che potessi desiderare.
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Attenzione lettore: Pane è scritto con un punto di vista mobile (multiselettivo).
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PANE 1.0 Ha un non so che di incantevole, il modo subdolo in cui ti strega. Mi piace farmi imbrogliare, fargli allungare i miei tempi, far finta che non abbia un posto dove tornare, nessuno a cui rendere conto, non essere una preoccupazione per nessuno, e nessuno un tormento per me. Faccio decidere a lui e continuo a suonare, perché, son sicuro, è lui a voler farsi suonare. L’erba è ancora fresca, nonostante il sole cominci a farsi prepotente. Starei seduto giorni interi a regalare fiato al flauto, ma da qui vedo tutto il mio villaggio, anche il tetto di casa. “Svegliati vecchia, torniamo!” Mi fa sempre ridere la maniera che ha di rispondere mentre si scuote le orecchie, ormai sono anni che glielo vedo fare ma credo che non mi ci abituerò mai! In piedi, a guardare da quassù sembra così difficile, pericolosa per un occhio profano, ma è solo una strana prospettiva che imbroglia lo sguardo. “Hey Cacciatore quante volte ci siamo volati sopra, ormai?” “Wof!” “Vecchia rimbambita! Senti, non sarà il caso di smetterla con questa storia? Voglio dire, sei vecchia…” “Grrrrrrrr” “Non vorrei che…” “GrrrrrrWof..!” “Vabbé, Come vuoi! Ti aspetto giù lumacona!” È commovente, per partire aspetta sempre che io tocchi terra dopo il primo balzo. Sfiorare queste 16
creste insieme mi fa sorridere come poche cose al mondo. Sfiorarle un poco, pochissimo, lasciarmi scivolare appena sopra i cisti mi dà un senso e dà un senso pure a lei, io la vedo, la osservo sorridere mentre mi taglia la strada, veloce come mai riuscirò a essere. Sorrido mentre la guardo da sopra la macchia, per tanto tempo quanto lei mai riuscirà a librarcisi. Mi guarda sorridere. No... Ora no. Sorride di solito, ma ora quelli sono solo denti, guarda dietro, non c’è nulla, non vedo niente, pini, lecci, ma al pino, al leccio di solito va un sorriso. Non vedo nulla e atterro tardi, atterro male e rotolo! Fa male cadere da soli due metri se non hai il tempo di sistemarti! E mi ha fatto male anche stavolta. Un rigoletto di sangue colora, sottile, la guancia sinistra. Cacciatore è un’infermiera dai modi un po’ irruenti ma ha il cuore di una madre preoccupata, o forse le piace particolarmente il sapore delle mie ferite. È un vero amore quando ancheggia frenetica. “Ahahah… Piantala, non è niente! Beh, almeno stavolta sono arrivato primo!” “Rrrrwof rrrrwwoff!!” Ci piace vivere qui, è un semplice villaggio, ma a noi piace l’ odore del suo acciottolato quando piove, la maniera in cui le sue buie stradine ti regalano tutto il tempo di pensare, è educato e discreto. Sì, ci piace. Poi ha le sue montagne; ancora non so dove portino né cosa ci nascondano, ma da là non andranno via e prima o poi si arrenderanno! Gli odori del pranzo proveniente dalle porte aperte delle piccole case ci ricorda che stiamo entrambi morendo di fame. Cacciatore li sente col naso per aria e mi guarda. Corriamo un altro po’ che arriviamo prima! A che 17
potrebbe essere utile, la parola, a una creatura di cotanta espressione? E a me, se mi basta sorriderle? “Buongiorno.” “Oh ciao, Huy.” La gente qui ti guarda male, o meglio, curiosa, solo le prime volte che passi, poi diventi né più né meno che le robinie che ombreggiano questi viali. Pochi si affezionano, per la maggiore fanno un grosso sforzo per non mostrarsi diffidenti, e quasi nessuno ci ha offerto una ciotola d’acqua per un po’ di compagnia! Ma anche noi amiamo stare per i fatti nostri e stiamo bene qui. Ho veramente fame! Me ne rendo conto bussando alla porta… Non lo so perché busso sempre, è casa mia. Non so da quanto, ma è casa mia di sicuro. Bleda mi chiama figliolo. Non sono suo figlio, ma lui è la figura che più posso avvicinare ad un padre. Sinceramente un padre non l’ho mai avuto, ma credo sia tale e quale il fabbro Bleda. “Chi hanno trovato prima, Cacciatore, me o te?” “Prego? Cosa desidera?” Quando Nue fa così la odio! Rido ma la odio! Non trova, a ragione, un motivo per il quale continui a bussare invece che aprire la porta da solo. La diverte assai la cosa, quel sopracciglio tirato all’insù e l’espressione da governante schizzinosa è il suo modo di prendermi in giro. La odio veramente quando me lo fa pesare, ma ha la solita ciocca fuggita alla coda di cavallo e quella mezza fessurina di espressione fraintendibile. “Uffa Nue… Lo sai!” “Sono sola in casa, se può ripassare quando torna mio padre sarebbe meglio!” “…Sola?…Mmm!” 18
Cacciatore assiste a questa farsa ogni volta con l’espressione curiosa sulla testa obliqua, ma in realtà conosce benissimo la mia chimica, e i miei odori li ha ben chiari in testa! Questo è il suo modo di prendermi in giro. Lo schiaffo l’ho sempre beccato quando il mio dito sfiora il primo laccetto del suo corpetto, e anche stavolta me lo ha suggerito un ringhio fedele e divertito. “Entra cretino!” “Cosa si mangia?” “Zuppa, ti va bene?” “Posso lamentarmi?” “No, fannullone!!” “Bleda?” “Starà per rientrare, non so. Sta lavorando molto ultimamente, gli affari vanno bene, avrebbe bisogno di una mano...” “…Mmmcrunch...Sono contento! Mmmm!” “Avrebbe bisogno di una mano!” “Mmmmi staimmm rimmmproverandommm?” “Sì! E piantala di mangiarti le carote! Non ti costerebbe nulla avvicinarti ogni tanto in officina, anche solo per fargli compagnia: gli piace vederti.” “Giuro, domani gli batto qualche ferro!” “Vorrò vedere. E lascia stare le carote!” Non si innervosisce mai con nessuno. Farmi rimproverare l’ho sempre ritenuto vanto di profonda confidenza. E Cacciatore scodinzola quando lo fa. Mi rincuora, anche perché voglio sperare non sia così cinica. “Che c’è?” Io sto arrossendo, lo so! “Niente, perché?” 19
“Mi guardavi.” “…Mmmma chèmm…!” “Che hai fatto in faccia?” “?!” “Sopra l’occhio?” “Ah, nulla, sono caduto!” “Vai a darti una sciacquata, sei pieno di terra… Animale!” Un bel bagno caldo! Cacciatore non sale mai le scale, se non per venire a dormire ai piedi del mio letto. Vedermi lavare sembra le procuri imbarazzo, e sinceramente questa radicata convinzione crea disagio anche a me; son contento rimanga a scroccare da mangiare da Nue ora.
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