Riviera nº 46 del 11/11/2018

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IN BREVE Ogni anno che passa il mondo si accorge della Calabria, e quasi timidamente cerca un approccio per nulla scontato: bisogna avere una visione del mondo un po' particolare per amare questo posto. Bisogna saper vedere, e non guardare!

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vetrina

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L’EDITORIALE DEL DIRETTORE

Se i carabinieri ti fanno paura Attività di routine. Due carabinieri si sono presentati nella libreria del centro commerciale "Le Gru" di Siderno dov'era in programma la proiezione del film "Sulla mia pelle", incentrato sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, e hanno chiesto la lista dei partecipanti. Ma la richiesta non dovrebbe scandalizzarci. Si tratterebbe di normale amministrazione. Quel "normale" dovrebbe tranquillizzarci. Peccato ci stiano obbligando a un normale troppo elastico, in cui dentro ci sta tutto, anche uno zerbino con scritto sopra "Dignità". A cosa sarebbe servita quella lista? Che nome pensavano di trovarci? Non lo sapremo mai. La lista non esisteva; perchè d'altronde ci si sarebbe dovuti premurare di fare un elenco dei partecipanti alla visione di un film? All'interno di una libreria poi... Una richiesta che fa tremare per la sua assurdità. Ma tanto la nostra gente all'assurdo ci è abituata da tempo. E, infatti, neppure ha fatto caso alla presenza dei due uomini che hanno piantonato la sala fino alla conclusione del dibattito che ha fatto seguito alla proiezione. Non riesco a farmi un'idea neppure pallida di cosa sia diventata la nostra gente, un'umanità che in assenza di possibilità è stata ridotta a immagini come quella di un grido nero, di un kibbutz che resta desiderio. Un'umanità svilita dal sospetto. Un'umanità in liquidazione, in una terra in cui si gioca a inventarsi il crimine e di fronte a quello reale ci si volta dall'altra parte. Inventarsi il crimine è un incredibile sollazzo, solo che quel balbettio di stupide fandonie esige di incarnarsi, è qualcosa come una rabbia insaziabile. Ci inchioda artisticamente, con un buon calcolo delle distanze. Renderci fragili e vulnerabili darà forse qualche perversa soddisfazione. A me provoca terrore, terrore per quel che potrebbe diventare un giorno, anzi non c'è da aspettare nessun giorno perché quel giorno è già oggi. Ma non è solo terrore, è anche collera cieca, quella collera che ti assale quando finisci con una scarpa appena comprata nell'acqua e per di più ti bagni pure la calza e così il piede impastoiato vi si agita dentro, come quelle povere concubine che i sultani facevano gettare nelle acque del Bosforo, chiuse, vive, in un sacco cucito, con dentro dei pesi. Ci stanno chiudendo uno dopo l'altro in un sacco e forse un giorno ci ritroveranno, come successo con le concubine, ritti sul fondo del mare, oscillanti avanti e indietro in balia della corrente, morti. Alla richiesta della lista da parte dei carabinieri si sarebbe dovuto rispondere con una semplice domanda, quella che i bambini si pongono quando vengono sorpresi da un fatto insolito: "Perchè?". Chiedere sarebbe stato il miglior metodo di difesa anche se significava invadere una zona che sempre più si avverte come pericolo e in cui non uno ma tutti si aspettano di essere attaccati per cause inesistenti. "A noi non interessava alcun elenco, soprattutto in una manifestazione che non aveva alcun rischio di ordine pubblico - ha dichiarato al quotidiano La Stampa il comandante del Gruppo Carabinieri di Locri, il colonnello Gabriele De Pascalis. - Noi siamo sempre tra la gente". Tra la gente, giusto. Ma sarebbe ancora più giusto se foste anche con e per la gente. E se ci si fanno mille problemi a porsi una domanda che farebbero anche i bambini, evidentemente quel "con" e quel "per" non c'è o, almeno, non si avverte. Continuiamo a proteggerci dietro una barricata per non esporci troppo non si sa bene a cosa, senza badare alle ragioni. Abbiamo rinunciato a studiare preventivamente la possibilità di difenderci perché siamo ben consapevoli che ci siano attacchi concepiti anche in previsione di una precisa difesa. Una diligenza che sta diventando negligenza verso noi stessi, verso i nostri figli. Il guaio è che non riusciamo a immaginare una vita che sia con noi onesta dopo tutte queste disonestà scrupolosamente consumate. Disonestà avvertite come contrazioni allo stomaco, respirazione profonda e affannosa, sudore delle mani, lacerazione delle viscere, urla silenziose che scoppiano nella gola. Una disperazione non figlia del nostro tempo perchè nata prima, ma che il nostro tempo sta acutizzando. Nell'epoca dei decreti sicurezza che considerano il potenziamento della militarizzazione l'unica risposta al caos generale, che non hanno compreso che le armi chiamano armi, si è distolta l'attenzione da una difesa che sia pacifica. E anche per questo c'è una sola domanda che purtroppo dondola sul precipizio avvertendo il pericolo: "Perchè?".

Elogio alla regione dello stupore Per vivere qui serve fantasia, amore, incanto: bisogna sapersi ancora stupire davanti alla bellezza della natura quando, in primavera, selvaggiamente, ricopre ogni centimetro di terra di fiori di ogni tipo. Bisogna riuscire a provare una sorta di riverenza quando i venti di tramontana sbraitano in inverno e riempiono i cieli di arcobaleni.

La Calabria è una regione anomala, per certi versi "surreale", che vanta numerosi primati, tra cui molte unicità. È la regione con il più alto tasso di disoccupazione, ma al tempo stesso ha l'aria più pulita e la biodiversità più alta in Europa. Non c'è una folle corsa al turismo, ma possiede più di 800 chilometri di costa dalle quali si ergono alte vette di montagna... da cui si può persino sciare contemplando il paesaggio. Ci sono pochissime industrie, pochi abitanti, ma una natura che regna sovrana e incontrastata... Ci sono Canyon e cascate, città millenarie e megaliti. Per non parlare del cibo: quest'anno il New York Times l'ha addirittura eletta la regione in cui si mangia meglio in Italia: non tanto per le ricette (che in realtà sono abbastanza povere) quanto per la qualità delle materie prime. Ogni anno che passa il mondo si accorge di questa regione dimenticata, e quasi timidamente cerca un approccio per nulla scontato: bisogna avere una visione del mondo un po' particolare per amare questo posto. Bisogna saper vedere, e non guardare! Bisogna cercare tra le piccole strade dei borghi antichi, arroccati sulle colline che si affacciano sui due mari, senza paura di trovarsi proiettati in un mondo antico, ancora protetto, talvolta ingenuo, ma con tanta voglia di curiosare nel futuro. Quando ho lasciato Milano per trasferirmi qui, ho incontrato sempre il disappunto della maggior parte dei miei conoscenti, che vedevano in questo mio trasloco, una specie di fuga, di ritiro "spirituale" per scappare da un luogo frenetico e assatanato come la mia città. In realtà, non ho nulla contro Milano: ci sono nata e cresciuta, ho incontrato le persone che ancora fanno parte della mia sfera affettiva, ed è da qui che partono le mie origini. Ma la vita è breve, e il pianeta è troppo grande per circoscrivere l'esistenza ad una piccola parte di mondo. Volevo crescere i miei figli in un luogo "incantato" ma che non fosse necessariamente disconnesso dalla realtà. E volevo soprattutto rimanere in Italia... perché, nonostante tutto, adoro questo paese! Non è stato facile ricominciare tutto da zero: inventarsi un lavoro, cercare una casa in cui crescere due bambini, entrare nella psicologia del luogo, farsi accettare dagli abitanti e al tempo stesso accettare tanti aspetti culturali che sono distanti anni luce dai miei e dalla mia visione esistenziale. Eppure, a distanza di quasi 7 anni, eccomi qui a scrivere un capitolo della mia vita che vuole elogiare, e ringraziare, questo luogo meraviglioso. C'è una frase molto bella che ho sempre cercato di fare mia: "concentrati sulle cose belle che hai, piuttosto che dedicare i tuoi pensieri a quello che non hai". Infatti, nonostante mille difficoltà, più guardo quello che succede nel mondo, e più sono felice di vivere in questa terra. E non sono sola: sempre più persone decidono di staccarsi dal sistema dominante e optano per una scelta alternativa, fatta più di momenti e meno di cose. Chi ha fatto questa scelta come me, lo sa bene. Nel mio solo paese, in cui siamo poco più di 200, abitano personaggi che provengono dalle parti più disparate, e sembrano tutti usciti da qualche romanzo. Del resto, per vivere qui serve fantasia, amore, incanto:

bisogna sapersi ancora stupire davanti alla bellezza della natura quando, in primavera, selvaggiamente, ricopre ogni centimetro di terra di fiori di ogni tipo. Bisogna riuscire a provare una sorta di riverenza quando i venti di tramontana sbraitano in inverno e riempiono i cieli di arcobaleni. Bisogna ancora riuscire ad emozionarsi quando le coppie di delfini solcano i mari e le tartarughe raggiungono l'acqua dopo che si schiudono le uova. E poi c'è il cielo... un cielo che chiunque sia passato da queste parti non può dimenticare. Tutte le declinazioni del blu si manifestano dall'alba al tramonto: persino le nuvole sembrano quelle dei cartoni animati. A volte soffici e spumose, a volte intagliate dai venti. E poi c'è il mare... onnipresente, persino dalle vette più alte dei monti. In fondo, la Calabria è una grande montagna che si tuffa in acqua: è verde, verdissima, sempre in fiore. È ricca di sorgenti, di fiumi e fiumare che scendono a valle a dividere i confini di ogni paesino. Il borgo in cui vivo io, è forse uno dei più vicini al mare: dall'alto di una collina, incastonata tra due fiumi che, dalle montagne, danno origine ad una vallata, ho preso la mia casa. Una classica abitazione locale, costruita con pietre di fiume, con i muri spessi quasi un metro, circondata da alberi, querce secolari, e tanto, tanto verde. All'orizzonte il mar Ionio, alle spalle le montagne, e intorno il paesino e il fiume. Ovunque si perda lo sguardo, è sempre un bel vedere. Neanche due chilometri, ed ecco la spiaggia, che per almeno sei mesi è il mio rifugio, la mia palestra, la mia meditazione, il mio referente quando si tratta di prendere decisioni importanti... il mio divertimento. Un mare speciale, pulito, popolato da pesci, cristallino, profondo... molto profondo! Un mare che conoscono ancora in pochi... e forse per questo è ancora così affascinante! Per anni mi hanno chiesto: ma come fai a stare in un posto in cui non c'è niente? Niente? Questo "niente" è tutto! È tutto quello per cui valga la pena essere su questo pianeta. No, non sono calabrese... nessuno dei miei parenti è calabrese, e non ho sposato neanche un calabrese. Semplicemente, questo posto mi ha rapito con la sua bellezza, con la sua ostinazione, con il suo essere tanto cruda e al tempo stesso intrisa di magia. Io l'ho scelta, l'ho affrontata, l'ho persino sfidata quando mi ha messo al bivio delle scelte che capitano solo rare volte nella vita... e sono ancora qui, felice di aver scelto quella più difficile ma più emozionante. Per questo non finirò mai di ringraziare questa terra, questo angolo di mondo ancora vero, palpitante, in cui si può ancora sognare e credere ai piccoli miracoli quotidiani. Grazie a questo mare pieno di vita, al verde dominante, alla gente del mio piccolo paesino e di quelli vicini; grazie al fiume che mi fa addormentare ogni notte e grazie a quel pezzo di terra fertile in cui coltivo i migliori ortaggi del mondo... Grazie ai profumi inebrianti della primavera, che credevo fossero un'esclusiva di qualche isola esotica, e grazie a tutta questa natura che se ne frega dell'uomo e delle sue regole e si appropria di tutto ciò che vuole." Ginevra dell'Orso


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Cesare Placanica, Giovanni Calabrese e Vincenzo Comi

SIDERNO

Buche e rifiuti dimostrano il preoccupante stato di abbandono della città Lo stato delle strade, in particolare modo secondarie, della città di Siderno, desta molta preoccupazione nei cittadini, soprattutto in seguito alle ultime piogge che hanno provocato un po’ ovunque l’allargamento delle buche già presenti nel manto stradale. Tale preoccupazione sembra ulteriormente avvalorata dagli incidenti che, nell’ultima settimana, hanno coinvolto non solo le autovetture che queste strade attraversano, ma anche i pedoni che vi passeggiano. È di questi giorni, infatti, la notizia che una di queste irregolarità dell’asfalto avrebbe provocato un grave lutto a una famiglia sidernese, mentre martedì mattina, in via Lenza, la brutta caduta di una signora, ha comportato l’intervento dei soccorsi e un trasporto d’urgenza presso l’ospedale di Locri, dove la donna è rimasta a lungo in osservazione per accertamenti. Se a queste due notizie si aggiunge, inoltre, la denuncia di un cittadino relativa alla condizione d’emergenza in cui versano il Torrente Arena e Garino, presso i quali le abbondanti piogge degli ultimi giorni hanno peggiorato il già critico accumulo di detriti, rifiuti e rami che impediscono il normale scorrimento delle acque piovane, si ha l’immagine di una città in totale stato di abbandono, in cui evitabilissime tragedie potrebbero essere davvero dietro l’angolo.

LOCRI

Due Locresi confermati al vertice della Camera Penale di Roma Le professionalità della Locride si confermano molto apprezzate presso le istituzioni nazionali. L’ultimo importante riconoscimento è quello concesso ai locresi Cesare Placanica e Vincenzo Comi, confermati al vertice della Camera Penale di Roma. Facciamo nostro l’augurio espresso giovedì mattina dal sindaco di Locri, Giovanni

Calabrese, sulla sua pagina Facebook ai due professionisti: “A Cesare Placanica, confermato presidente e a Vincenzo Comi, il più votato nel direttivo, le sincere e affettuose congratulazioni dell'Amministrazione comunale della Città di Locri per il rinnovato prestigioso incarico.”

Rosario Rocca: “Minniti, lascia stare i sindaci della Locride!”

Il Presidente del Comitato dei sindaci della Locride risponde all’ex Ministro dell’Interno, che nei giorni scorsi ha scaricato sui primi cittadini del nostro comprensorio la responsabilità di aver avviato l’inchiesta Riace.

Curioso che Minniti affermi che siano stati i sindaci a sollecitargli l’ispezione a Riace. Aspettiamo che ci dica quali sindaci lo abbiano fatto e in quale occasione. No, perché da queste parti - nella Locride, per intenderci – il fatto suona parecchio strano. Anche perché quando i sindaci (quelli della Locride!) l'hanno cercato, lui non c'è mai stato. Ripeto, mai. Ricordo a me stesso che ci provai personalmente per chiedergli un intervento risolutivo a sbloccare il travagliato Progetto Locride. Si trattava della realizzazione di decine di strutture aggregative e sportive nei nostri comuni, già finanziate ma tragicamente giacenti (da 8 anni!) nelle pastoie burocratiche del “suo” Ministero. Dopo diversi ed estenuanti tentativi, un suo collaboratore mi disse che il Ministro non avrebbe potuto riceverci neanche a Roma. E, visti i risultati – zero opere realizzate – abbiamo concluso che il Ministro era impegnato in altro. Altrove. L’avevo anche cercato qualche tempo prima che 35 sindaci partissero dalla Locride con le loro fasce tricolori per manifestare dinanzi a Palazzo Chigi per la salvaguardia del diritto alla salute dei loro cittadini. Ma niente. «E che c’entra Minniti con la Sanità?».

Questa fu la risposta che freddamente mi fu data. Del resto, non era il suo ministero quello competente, e non era neppure da pretendere che il superministro riscoprisse un minimo di orgoglio calabrese. Non scherziamo! Avrà saggiamente valutato che era meglio non immischiarsi in faccende che riguardassero la Locride e, soprattutto, i sindaci della Locride. Come si dice in politica: per opportunità. Per opportunità – anche da parte di Minniti – siamo stati abbandonati a marcire nel limbo dei criminali ipotetici, sotto la scure della legge fascista sugli scioglimenti dei consigli comunali. Caro Minniti, dov'eri quando raccoglievamo inermi la disperazione della nostra gente? Dove eri quando cercavamo di rappresentare, nei nostri comuni, uno Stato sordo e assenteista? Quando venivamo delegittimati e criminalizzati? Candidati pure al Congresso del PD, anzi ti auguro lealmente di essere eletto segretario. Ma lascia stare i sindaci, hai contribuito – anche tu e ampiamente - ad offenderli. Rosario Rocca Sindaco di Benestare e Presidente del Comitato dei Comuni della Locride

Continua il lavoro di informazione del GAL “Terre Locridee” IL 13 E IL 17 NOVEMBRE SARANNO PRESENTATI I NUOVI BANDI A RIACE ED A BIANCO Continua il lavoro di informazione che il GAL “Terre Locridee” sta svolgendo sul territorio in vista della prossima pubblicazione dei bandi già presentati alla Regione Calabria. Il prossimo appuntamento in calendario è fissato per martedì 13 novembre, alle ore 17, presso l’Hotel Federica di Riace Marina. Questa terza serie di incontri di partecipazione organizzati dal GAL sono iniziati il 18 ottobre, a Locri, dove si è svolto il primo incontro operativo nel quale si è parlato di: “Presentazione bandi sulle micro filiere dei prodotti tipici del territorio. Iniziative nell’ambito del Piano di Azione Locale”. Seguendo la filosofia di questi incontri, sono stati prospettati ai commercialisti di tutta l’area le opportunità previste nel Piano di Azione Locale finanziato dalla Regione Calabria e sono stati presentati i bandi inviati alla Regione Calabria per l’approvazione. Prosegue il percorso intrapreso dal GAL “Terre Locridee” nei mesi scorsi per l’animazione territoriale in merito ai progetti da attivare nell’ambito del PAL “Gelsomini” approvato dalla Regione Calabria, in coerenza con quanto contenuto nel Piano di Sviluppo Rurale della Calabria 2014-2020. Nei prossimi incontri si parlerà delle modalità e delle procedure per la realizzazione dei progetti di micro filiera, finalizzati a favorire il recupero delle “produzioni locali di tradizione” attraverso la riscoperta e la valorizzazione della qualità e della varietà dei prodotti agroalimentari tipici, che nella Locride possiede

molti e importanti elementi “emergenti”, anche caratterizzanti il paesaggio storico del territorio. L’intervento previsto riguarda appunto la creazione e il potenziamento di “microfiliere e reti di impresa dei prodotti tipici del territorio”, puntando a realizzare un sistema di promozione integrata delle risorse e dare impulso concreto alla commercializzazione. Specifica attenzione è dedicata al sostegno all’allevamento di animali legati alla tradizione dei luoghi, sempre nella logica di microfiliera. Il sostegno è soprattutto per la creazione di impianti di trasformazione dei prodotti, in linea con le lavorazioni tipiche locali e sostenendo l’innovazione di processo. Di tutto questo e molto altro si parlerà negli incontri operativi che si svolgeranno martedì 13 novembre, alle ore 17, presso l’Hotel Federica di Riace Marina dove i lavori, saranno coordinati dal presidente del GAL “Terre Locridee” Francesco Macrì, seguiranno i saluti del vice sindaco di Riace Giuseppe Gervasi e del presidente della Jonica Holidays Maurizio Baggetta, oltre al contributo informativo del responsabile del Pal Gelsomini Guido Mignolli. Il terzo appuntamento di questa serie si svolgerà sabato 17 novembre, alle ore 10:30, presso la Sala Consiglio Comunale di Bianco. Entrambi gli incontri saranno incentrati su “Presentazione bandi su Micro Filiere dei prodotti tipici del territorio. Iniziative nell’ambito del PAL”.



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Due inaspettate occ “

Durante un convegno a Napoli, il presidente della SVIMEZ Adirano Giannola ha affermato che l’energia geotermica costituirebbe un’eccezionale opportunità di crescita per l’economia meridionale. Ma che cos’è la geotermia e perché Giannola è così certo che questa risorsa potrebbe permetterci di riuscire laddove altre hanno invece fallito?

L’energia geotermica è una forma di energia che deriva dal calore presente negli strati più profondi della crosta terrestre. È alimentata dal movimento tettonico e dall’attività vulcanica.

GEOTERMIA: LA RISORSA PULITA CHE SPOSTEREBBE AL SUD IL TRIANGOLO INDUSTRIALE Per capire che cosa Giannola intendesse dire nel proprio intervento è bene spiegare che l’energia geotermica è una forma di energia che deriva dal calore presente negli strati più profondi della crosta terrestre. Infatti, penetrando in profondità nella superficie terrestre, la temperatura diventa gradualmente più elevata, aumentando mediamente di circa 30°C per km. I giacimenti di questa energia sono però dispersi e a profondità così elevate da impedirne lo sfruttamento. Per estrarre e usare il calore imprigionato nella Terra, è dunque necessario individuare le zone con anomalia termica positiva, dove il calore terrestre è concentrato. Lo sfruttamento di queste zone, definite serbatoi o giacimenti geotermici, è ciò che rende possibile il riscaldamento di case o serre o persino l’ottenimento di energia elettrica a seconda che si sfruttino i serbatoi ad alte o basse temperature. L’uso di questa energia comporta vantaggi come l’inesauribilità a tempi brevi e il minor inquinamento dell'ambiente circostante, dato che l’unico pericolo in tal senso è costituito dalla possibile immis-

sione nell’aria di elementi tossici come zolfo, mercurio e arsenico sprigionati dall’emersione dei fluidi geotermali. Tale evenienza comporta la sottoposizione delle sedi geotermali a verifica ambientale annuale e, forse, è alla base dello scarsissimo sfruttamento di tale risorsa energetica. L'energia geotermica, infatti, costituisce oggi meno dell'1% della produzione mondiale di energia. Uno studio condotto dal Massachusetts Institute of Technology, tuttavia, afferma che la potenziale energia geotermica contenuta sul nostro pianeta si aggira attorno ai 12.600.000 zettajoule e, considerato che il consumo mondiale di energia ammonta a un totale di 0,5 ZJ all'anno, con il solo geotermico, secondo il MIT, si potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico planetario con energia pulita per i prossimi

4.000 anni, rendendo di fatto obsoleta qualsiasi altra fonte non rinnovabile di energia. La geotermia, anzi, è una delle prime forme di energia sfruttate dall’uomo. Sappiamo infatti per certo che sorgenti termali riscaldate con questo principio sono state utilizzate per la balneazione almeno fin dal Paleolitico, ma è solo all’inizio dello scorso secolo che l’energia geotermica è stata finalmente utilizzata per la produzione di energia elettrica. Questo genere di impiego, anzi, si deve proprio a un italiano, il principe Piero Ginori Conti che, con una sperimentazione condotta il 4 luglio 1904, avrebbe prodotto il primo generatore geotermico funzionante a Larderello, in Toscana, garantendo la successiva diffusione delle moderne centrali geotermiche. A partire da quel momento, nel nostro Paese, lo sfruttamento dell’energia geotermica per la produzione di elettricità si è fortemente concentrata in Toscana (Pisa, Siena e Grosseto in particolare), dove i giacimenti naturali di vapore vengono sfruttati da più di 30 centrali geotermiche in grado di produrre ogni anno più di 14,4 pètajoule di elettricità. Fatta questo lunga premessa, si può allora comprendere dove il presidente della SVIMEZ intendesse andare a parare. Se una regione non particolarmente sismica e con pochissimi vulcani attivi come la Toscana è in grado di produrre una quantità impressionante di energia grazie allo sfruttamento del geotermico, il meridione, una zona del nostro Paese attraversata da un numero elevatissimo di faglie tettoniche (vedi cartina a destra) e sulla quale si contano almeno tre grandi vulcani (Etna, Stromboli e Vesuvio), potrebbe risultare la zona migliore in cui sviluppare questa tecnologia, dando al sud Italia la migliore occasione di sviluppo che abbia mai avuto dai tempi dell’Unità. Non deve stupire, allora, che nella sede di Napoli, Giannola abbia affermato che «abbiamo le stesse potenzialità dell’Islanda», l’isola, famosa guarda caso per il suoi geyser, che, oggi più di ogni altra zona del mondo sfrutta l’energia geotermica assicurandosi di fatto l’autosostentamento energetico ed economico. «Il nostro cruccio - ha tuttavia fatto notare Giannola - è non capire come mai da 20 anni a questa parte nel Sud non si sia riusciti a realizzare un solo impianto geotermico e che ogni volta che si tenta di farlo si trovano ostacoli». Ostacoli che, ovviamente, si riscontrano anzitutto nei costi iniziali di attivazione delle centrali, nella mancanza di una strategia nazionale dedicata all’argomento e, in definitiva, anche nell’assenza di politici locali lungimiranti che conoscano l’argomento e lo propongano con serietà a chi di dovere, riuscendo a dare così una scossa all’immobilismo socio-economico che affligge il sud Italia in generale e la nostra Regione in particolare. Una dialettica seria con Giannola e una proposta di sviluppo sulla geotermia, a nostro modesto parere, dovrebbero essere alla base dell’agenda di governo della Regione Calabria o, perché no, uno dei punti saldi della prossima campagna elettorale per le regionali 2019. A buon intenditor…


Il meridione motore trainante di un Paese in agonia? Potrebbe non essere una prospettiva utopica, se solo si adottassero alcuni piccoli accorgimenti. Nelle ultime due settimane, infatti, sono state lanciate dal presidente della Svimez Adriano Giannola e dal Segretario della CISL Luigi Sbarra due interessantissime idee che potrebbero dare impulso all’economia del meridione e, in particolare, a quella della Calabria. Nel primo caso bisogna credere e scommettere sulla geotermia, una fonte di energia pulita e rinnovabile di cui la nostra regione potrebbe divenire la principale usufruttuaria; nel secondo si potrebbe trasformare il dramma del maltempo in un’occasione di sviluppo. La variabile che potrebbe rendere concrete queste due prospettive? La politica, naturalmente, meglio se regionale, e che, come raccomanda Capitan Riviera, dovrebbe imparare ad ascoltare questi assist soprattutto in un periodo di scadenze come questo…

casioni di sviluppo

DI JACOPO GIUCA

IL MERIDIONE? UNA PRIORITÀ DIMENTICATA Il segretario della CISL Luigi Sbarra, parlando dell’emergenza maltempo, ha invocato un piano nazionale di messa in sicurezza idrogeologica che si trasformi per il sud in un’occasione di riscatto economico. Il governo, tuttavia, pare aver completamente dimenticato l’esistenza di una questione meridionale, lasciando intendere con il proprio silenzio che il sogno di un Paese davvero unito sia ancora di là da venire.

«Serve un piano nazionale di messa in sicurezza idrogeologica che coinvolga tutto il territorio italiano, da Sud a Nord». Lo ha dichiarato il segretario generale aggiunto della CISL Luigi Sbarra a margine del consiglio generale dell’Unione Sindacale Territoriale di Cosenza svoltosi lunedì, che ha eletto Giuseppe Lavia nuovo segretario generale della struttura. «Rendere onore alle vittime innocenti di questi giorni - ha affermato Sbarra, - vuol dire fare in modo che tali tragedie non si ripetano più. Lo stanziamento per la ricostruzione annunciato dal governo è un passo necessario e urgente, ma purtroppo non sufficiente. Ricostruire su fondamenta fragili non mette le comunità al sicuro: bisogna andare oltre la logica dell’emergenza, riattivare fondi e strutture di missione che qualifichino una strategia nazionale per la difesa del suolo e il buon governo dei bacini idrici». Secondo il segretario generale, ciò significa riammodernare e ricostruire tante infrastrutture, ma anche puntare su una prevenzione concreta e praticata attraverso la valorizzazione e la messa a sistema dei comparti forestali e ambientali. «Una battaglia su cui la CISL si impegna da anni - ha continuato Sbarra, che non si è risparmiato critiche sulla condotta del governo giallo-verde. «Oggi - ha infatti continuato - abbiamo una manovra che latita clamorosamente su questi temi: l’Esecutivo ci ascolti e ponga subito rimedio, apportando i necessari emendamenti in Legge di Bilancio. È imperativo, infatti, che l’intero Paese adotti una nuova grammatica di sviluppo partecipata e coesiva, priorità che impone soprattutto il riscatto delle aree sociali e geografiche più deboli, a partire dal Mezzogiorno». Mezzogiorno che, al netto della fiducia che ha concesso al nuovo esecutivo, sembra essere stato completamente cancellato dall’agenda di governo come, a nostro parere, dimostra anche solo il comportamento del Ministro dell’Interno Matteo Salvini in occasione dell’emergenza maltempo registrata nei giorni scorsi. Il sorriso rassicurante con il quale Salvini si è presentato in Veneto, infatti, ha stonato non poco con il fatto che non abbia speso neanche una parola sulle vittime della Sicilia o sulle difficoltà vissute dalla Sardegna, dalla Campania e dalla

nostra stessa regione. Una strategica “dimenticanza” che, andando a braccetto con il rifiuto di riconoscere lo stato di emergenza richiesto dal Presidente Mario Oliverio e l’assordante silenzio in merito di Luigi Di Maio, che da quando è stato eletto si comporta come se fosse nato in Svizzera, ci lascia capire che soldi per la ricostruzione qui, non ne arriveranno mai. Verissimo, la tenacia e la forza d’animo dei veneti è antitetica rispetto all’indole lamentosa meridionale e al un desiderio di assistenzialismo che probabilmente ci rende così odiosi per il produttivo Ministro dell’Interno leghista, ma non è possibile cancellare con un colpo di spugna (o con la promessa di nuovi poliziotti) i morti e i danni che si sono registrati nel nostro territorio, né tanto meno è sufficiente a giustificare che il Paese continui a camminare a due velocità. «Senza una svolta in Manovra - ha continuato in proposito Sbarra, - il Sud è destinato a perdere 4,5 miliardi in investimenti e recuperarli darebbe luogo a una crescita aggiuntiva vicina all’1%», una crescita che renderebbe la necessità della ricostruzione una virtù in grado di far crescere il comparto economico meridionale, e Sbarra ha dimostrato di sapere già dove sarebbe necessario concentrare le risorse. «Bisogna impegnarsi soprattutto su progetti infrastrutturali che colleghino il meridione al resto del Paese e all’Europa - ha concluso Sbarra. - E poi servono leve di fiscalità di sviluppo che rafforzino le nuove assunzioni e gli investimenti delle Piccole e Medie Imprese. Investire sul protagonismo del Sud, infatti, vuol dire investire sulle sue mille vocazioni, sulle eccellenze nelle comunità, sui suoi lavoratori e pensionati, sui tanti giovani e le tante donne che non si rassegnano a fare le valigie e partire: un capitale sociale straordinario, che se guadagnato allo sviluppo, al lavoro produttivo, a strumenti di vera attivazione e inclusione sociale si trasformerebbe in un motore trainante per l’intero Paese». Una prospettiva (utopistica?) che ci permetterebbe una volta di non perseverare nella richiesta di assistenzialismo, facendoci recuperare fiducia nella politica e in noi stessi. Un ragionamento, tuttavia, che l’esecutivo non sembra in grado di compiere…

LA POLITICA È PIÙ FRAGILE DEL TERRITORIO Le alluvioni di questi giorni hanno fatto molte vittime, confermato la fragilità dei territori e denunciato il fatto che non si mettono soldi per il settore. Mentre per il reddito di cittadinanza, una scommessa di improbabile riuscita, le risorse in Finanziaria vengono previste. La cosa logica che viene da dire è quella di affrontare la prima questione e di mollare la seconda. Perché non appaia come una posizione “scolastica” (ma la tragicità dei fatti non autorizza per nulla a pensarlo) è necessario strutturare la proposta. Lo ha fatto con grande incisività il segretario generale aggiunto della CISL Luigi Sbarra, calabrese di Pazzano, parlando a Cosenza: “Adottiamo un piano nazionale contro il dissesto, a partire dal Mezzogiorno”. Il maltempo ha aggredito con violenza dal Veneto alla Sicilia, questo è un Paese che arriva a difendersi sempre in ritardo, ma il sud ha meno resistenza, s’aggrava di più. Il Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, visitando i luoghi alluvionati a Lamezia, ha lanciato un allarme (che sta “camminando” molto): “Basta parlare di emergenza maltempo, siamo in uno stato di pericolo costante”. Aveva dichiarato negli stessi giorni: “Bisogna istituire una Commissione parlamentare bicamerale d'inchiesta sul dissesto idrogeologico, per accertare dove siano finiti i flussi di finanziamento stanziati negli anni, per accertare le responsabilità della dissennata pianificazione del territorio e per verificare la validità della normativa del settore”. Ma questo, non per tenere la testa girata all'indietro e con gli occhi rossi per avvertire e punire (anche questo) ma per aggiornare la tipologia degli interventi, per evitare altre criticità, per avere un'altra idea di sviluppo del territorio. Sbarra ha ragionato e “urlato”, eppure il Sindacato non è in salute come un tempo, perlomeno si siede di meno al tavolo con il governo (che può essere vantaggio, e essere sinonimo di un sindacato più di lotta). La politica fatta alle nostre latitudini, invece, non sembra recare un presente e originare un futuro. Le decisioni “forti” che i sindaci ogni tanto minacciano fanno pensare a quei falli definiti nel calcio di “frustrazione”. La rabbia verso una partita che non si aggiusta mai, il diversivo per non accusare i vertici dei propri partiti. Non accade da anni che le questioni del degrado dei nostri territori divengano centrali per le forze nazionali, che gli eletti di qui facciano squadra e chiedano risultati realistici e concreti. Anzi, si rischia di andare in “direzione ostinata e contraria”: premono le scadenze elettorali, vince l'autopromozione e devi dimostrare che non sei solo un nome o un prestanome o che sbagliano con quel soprannome. Sappiamo bene che tanti non hanno fatto gavetta come Luigi Sbarra nel Sindacato, ma che hanno vinto per via di una suggestione, di determinanti sponsor, di un amico importante a Roma… Pierpaolo Zavettieri ha battezzato così su Facebook un'iniziativa politica: “Molti relatori sono relativamente giovani, ma le storie importanti contano adesso più di prima”. Vero! Federico Lago


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Del sindaco di Reggio Calabria si vedono molti selfie, col suo sorriso plastico degno del Ken più vanitoso, e dirette facebook, ma niente di concreto.

La falsa partenza della Città Metropolitana

Giuseppe Falcomatà come Santippo figlio di Pericle sta già facendo rimpiangere il padre. Mi è capitato spesso negli ultimi giorni di sentire in varie occasioni, al consiglio comunale di Locri, al Sanità Day, a Roccella, dai ragazzi del Liceo Scientifico di Locri, la frase “la Città Metropolitana è assente”. Mi ha colpito sentirla perché la sua assenza ormai è diventata talmente cronica da essere divenuta scontata. La sua assenza anche sui mezzi di informazione è diventata quasi una realtà virtuale, sembra quasi che non sia mai esistita. Quattro anni fa, dopo l’uscita della legge nº 56 del 7 aprile 2014 che dava disposizioni sulle Città Metropolitane, sembrava di vivere un sogno, per molti cittadini dello Stretto di Messina, il miraggio di una città moderna ed efficiente. Dopo 2 anni trascorsi tra convegni e tavole rotonde nell’agosto del 2016 finalmente si svolsero le elezioni di 2º livello, cioè solo tra i consiglieri comunali della vecchia provincia, per eleggere i 14 consiglieri. Risultarono eletti, oltre Falcomatà nominato per diritto come sindaco della Città di Reggio Calabria, molti consiglieri della stessa Città, perché purtroppo la legge che regolamentava le elezioni ha dato un peso eccessivo al voto dei pochi consiglieri delle città più popolate, per cui il voto di un consigliere comunale di Reggio Calabria valeva quanto il voto di 50 consiglieri dei piccoli centri. In questa elezioni la parte del leone è stata svolta proprio dal capoluogo che ha eletto 7 consiglieri, purtroppo i piccoli centri e le aree della nuova città metropolitana sono arrivati poco organizzati alle elezioni. Inoltre ha molto influito l’organizzazione del PD, che è riuscito a prendere 9 consiglieri, cioè la maggioranza assoluta. Detto questo, faccio un passo indietro: qualche anno prima, al comune di Siderno, c’è stato un incontro per parlare della Città Metropolitana. In quella sede ho sentito il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, che era appena tornato se non sbaglio da Bruxelles, dove aveva partecipato ad un seminario in cui avevano spiegato e documentato l’esperienza della prima Città Metropolitana d’Europa, Londra. Il progetto era “Londra 2050” e, avevano spiegato, per come riferito dal primo cittadino di Reggio Calabria, che lì si era pensato a come fare per costruire una città che guardasse al futuro in modo lungimirante, ma evidentemente lui non ha capito. Infatti sono qui a scrivere quest’articolo non per attaccare una persona, non ne avrei motivo, ma perché sono incazzatissimo, per l’ulteriore occasione sprecata da questa terra, perché chi è chiamato a questo compito impegnativo non ha dichiarato subito la sua incapacità, che pagheranno i nostri figli. Potrei sbagliarmi, lo spero, ma voglio analizzare i punti che mi portano a questa ultima riflessione, per cui potrei paragonare Giuseppe Falcomatà, figlio di Italo, a Santippo, figlio di Pericle, vissuto nel V secolo a.C., che riuscì a porre fine all’imperialismo Ateniese. L’accusa più grande e quella che più mi preoccupa riguarda il Piano Strategico della Città Metropolitana di Reggio Calabria, questo grande assente. La base della costruzione della Città Metropolitana, l’essenza stessa della legge che dichiara al primo punto cura dello sviluppo strategico del territorio

metropolitano. Inseriamo qualche data per completezza di informazione, il 29 dicembre 2016 viene approvato lo statuto dalla conferenza metropolitana. Il 20 marzo del 2017 il sindaco presenta le linee programmatiche. Il 6 giugno del 2017, con la delibera nº 21, approvano le linee di indirizzo per la formazione del Piano Strategico Metropolitano, un piccolo studio di 32 pagine che delinea le azioni da realizzare per arrivare appunto al Piano. Questo studio contiene anche un cronoprogramma che indica in 26 mesi la fine dei lavori. Ebbene sono passati 17 mesi e ancora non è stato fatto quasi niente. Per dare ancora qualche dato nei primi mesi andava permessa la partecipazione dei cittadini, fondamentale nei piani strategici. Ebbene c’è stato solo un incontro il 2 maggio 2018, quando il delegato Fabio Scionti ha incontrato i sindaci dell’area grecanica. L’aspetto grave di questa mancata attività è che senza Piano Strategico non si possono chiedere maggiori finanziamenti. Qui potrei anche terminare il mio articolo, sperando di non aver trovato i documenti giusti, anche se vige una legge sulla trasparenza che obbliga alla pubblicazione di questi atti, ma girando e cercando informazioni ho trovato altre gravi inadempienze. Secondo punto, le deleghe: la Città Metropolitana ha ricevuto le deleghe dalla Regione Calabria, ma non ha attivato i meccanismi di gestione diretta per cui non ha senso averle perché tutti gli atti devono ritornare per l’approvazione alla stessa Regione. Le uniche aree di intervento della Citta metropolitana sono quelle che aveva già la provincia di Reggio Calabria, cioè viabilità e scuole. Terzo punto, argomento aperto da Salvatore Fuda in un consiglio metropolitano a Locri, la questione ZES di Gioia Tauro, argomento fondamentale per lo sviluppo economico della stessa area, ma anche per tutta la provincia di cui non si parla più. Quarto punto: le strade di Reggio Calabria sono state riparate con i soldi della Città Metropolitana, mentre in quelle della provincia non c’è stato ne è previsto nessun intervento. Quinto punto: la festa della Madonna a Reggio Calabria è stata finanziata per quasi 500 mila euro sempre dalla stessa Città Metropolitana, non si capisce perché per tutte le feste della provincia invece niente. Infine potremmo anche parlare dei finanziamenti dati ai paesi della provincia dove ci sono interrogazioni che chiedono di capire il metodo di selezione dei vincitori. Potrei continuare per molto perché del sindaco di Reggio Calabria si vedono molti selfie, col suo sorriso plastico degno del Ken più vanitoso, e dirette facebook, ma niente di concreto, si è anche preso qualche merito che non aveva, tipo la diga del Menta, che è stata finanziata e realizzata prima dalla ex Cassa del Mezzogiorno e completata dalla Regione Calabria, con il sostegno di interesse del Parco d’Aspromonte. Dopo aver scritto tanto, alla fine mi rendo conto che dovrò rimpiangere Peppe Raffa. Rosario Vladimir Condarcuri



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L’omicidio stradale

Riviera del 21/10/2018, pag. 19, “L’Avvocato sidernese Giuseppe Gallo fa valere le ragioni di una vittima della strada”, incidente avvenuto a Genova nel 2016. Congratulazioni sincere per l’avvocato sidernese perché in Italia serve grande capacità professionale anche quando i reati sono scontati, come “l’omicidio stradale”. In Francia sono state adottate efficaci misure preventive per diminuire il più possibile il numero di omicidi stradali: è previsto il sequestro del veicolo e immediato ritiro della patente di guida per coloro che non rispettano i limiti massimi di velocità. Per gli omicidi stradali che avvengono in Calabria invece il commento è sempre lo stesso: “La famigerata 106, strada della morte, continua a mietere vittime”. Secondo l’Istat e la Polizia stradale, tenute a stabilire le tipologie e le ragioni per le quali avvengono gli incidenti, gli omicidi stradali che si verificano nella 106 sono causati per la maggior parte da automobilisti che guidano ad una velocità superiore rispetto ai limiti consentiti. Nessuna strada può garantire la piena sicurezza se non viene percorsa rispettando le indicazioni dalla segnaletica stradale. Nel tratto Reggio Calabria – Melito della 106, i sinistri stradali sono diminuiti non per la costruzione delle rotatorie, ma grazie alla corretta istallazione dei rilevatori elettronici di velocità che sanzionano i veicoli che superano i 90 km/h. Continuare a sostenere l’inadeguatezza stradale come causa degli incidenti sulla “famigerata 106” è come credere che “non è colpa di chi guida scorretto; l’unico colpevole è lo Stato che non concede i finanziamenti per la “messa in sicurezza”. Sicuramente la necessità primaria è quella guidare in sicurezza rispettando a pieno la segnaletica stradale Sant’Agata del Bianco, Antonio Signato

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Sala Comunale di Marina di Gioiosa

Il mistero dei segnaposto scomparsi o Stato è invisibile, deve essere personificato per potere acquistare visibilità, simbolizzato per poter essere amato, immaginato prima di poter essere concepito”. Con questa bella espressione Michael Walzer descrive l’importanza dei simboli e delle forme in Democrazia. Le parole del filosofo statunitense mi sono tornate alla mente alcuni giorni fa, quando, dopo diversi mesi che non vi facevo ingresso, ho rivisto, con piacere ed emozione, la bella e luminosa sala del Consiglio Comunale di Marina di Gioiosa Ionica. Quella stessa aula che l’Amministrazione da me guidata aveva intitolato alla “Costituzione” e inaugurato il 2 giugno 2017, con una affascinante lezione di Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale. Lo stupore e la suggestione, però, in un attimo si sono trasformati in amarezza e in un pizzico di rassegnazione. E infatti, guardando i banchi che dovrebbero ospitare il Sindaco, il Presidente del Consiglio Comunale e il Vicesindaco, mi sono imbattuto in un’amara sorpresa. Chi oggi ha la provvisoria gestione del Comune che cosa ha pensato bene di fare? Ha rimosso i segnaposto che indicavano gli spazi destinati alle prime tre cariche istituzionali cittadine, lasciando, esclusivamente, quella del segretario comunale. Si cancella finanche il simbolo visibile della democrazia elettiva e si lascia l’impronta dominante della burocrazia. Confesso che sono rimasto per più di un attimo interdetto, incredulo e negativamente impressionato di fronte al deprimente spettacolo che avevo sotto gli occhi. Con tutte le criticità e le priorità che quotidianamente si dovrebbero e potrebbero affrontare a Marina di Gioiosa Ionica, cosa hanno pensato bene di fare: eliminare, in un gesto di disparata damnatio memoriae, addirittura anche il riferimento visivo alle istituzioni rappresentative. Da quel giorno si sono raccolte nella mia

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mente e nel mio cuore numerosi interrogativi: forse si immagina che a Marina di Gioiosa Ionica non ci potrà o non ci sarà più un Sindaco, un Presidente del Consiglio Comunale e un Vicesindaco? Forse si pensa che avendo ospitato noi, espressione del popolo sovrano, quei cartellini potessero essere contaminati? Ho rivisto, davanti agli occhi, le immagini di quei regimi totalitari che appena occupato il potere, come primo sensazionale gesto, rimuovono, molto spesso con lo stile della devastazione, tutti i simboli del sistema che li aveva preceduti. Pare che si voglia annichilire la politica, rendendola docile a una certa idea burocratica della democrazia, che si nutre e prospera in un

formalismo legalitario, che nulla ha a che fare, però, con concetti quali quelli di giustizia, di equità sociale e, cosa più importante, di rispetto della volontà popolare, che se pur manifestato in contesti difficili, come quello in cui viviamo, non è necessariamente condizionato, compromesso, colluso. Tornano attuali, allora, le parole del faraone del colossal "I dieci comandamenti", nella scena della condanna nei confronti di Mosè, “che il nome di Mosè sia cancellato da ogni libro e da ogni tavola, sia cancellato da ogni colonna e da ogni obelisco, cancellato da tutti i monumenti dell’Egitto. Che il nome di Mosè non sia più pronunciato e scompaia dalla memoria di ognuno per sempre”. Domenico Vestito


Muore dopo una caduta, il figlio denuncia Il 13 ottobre scorso la madre di un cittadino sidernese, Giuseppe Barbuto, è morta a causa di una brutta caduta, avvenuta 10 giorni prima, causata da una buca in una strada centrale della cittadina. La vicenda è riassunta in una nota legale pervenutaci dal legale del sign Barbuto, avv. Renato Scopelliti, che ha esposto denuncia al comune sidernese. " La mattina del 13.10.2018, alle ore 9.00 circa, dice la nota - la Sig.ra Immacolata Baggetta percorreva, a piedi sul marciapiede, la centrale Via Sabotino, nel territorio del Comune di Siderno, quando a causa di una buca sul marciapiede (foto allegata), non visibile e non segnalata, cadeva malamente al suolo, battendo il braccio destro e la testa, procurandosi diverse lesioni tra le quali la frattura dell'omero e un evidente ematoma alla testa in regione frontale. Immediatamente soccorsa da alcuni passanti che, pronta-

mente, chiamavano il 118, veniva trasportata presso l'ospedale di Locri dove rimaneva ricoverata fino a quando, due o tre giorni dopo, a causa di una complicanza a livello cranico veniva trasportata presso i Riuniti di Reggio Calabria nel reparto di neurochirurgia. Purtroppo, in data 23.10.2018, nonostante le cure ricevute, la Sig.ra Baggetta Immacolata decedeva. Il figlio, Barbuto Giuseppe, - aggiunge la nota - si recava presso la Stazione Carabinieri di Siderno e sporgeva formale denuncia-querela per il reato di omicidio colposo. Prontamente il Comandante Zeccardo notiziava la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria che, per mezzo del PM dott. Marco Lojodice, provvedeva al sequestro della salma disponendone l'autopsia che veniva prontamente espletata in data 26.10.2018 dal medico-legale nominato dalla Procura. Inoltre, i Carabinieri, il

giorno stesso della denuncia-querela, effettuavano i rilievi del caso sul luogo del sinistro che proprio nel punto dove è presente la buca veniva segnalata con l'apposizione di una barriera in plastica di colore rosso." Si vuole inoltre precisare che la ultra ottantenne Immacolata Baggetta godeva di ottime condizioni di salute, tanto da permetterle di essere autonoma nella totalità delle attività quotidiane. Quindi "è inaccettabile che una persona perda la vita a causa di una caduta dovuta ad una buca presente su di un marciapiede posto in una Via, non in periferia, ma adiacente al centralissimo Corso Garibaldi". Invitiamo i cittadini a una profonda riflessione poiché la vicenda della cattiva manutenzione delle strade del Comune sidernese non finisce qui: pochi giorni fa un’altra signora è caduta a causa di una buca presente in via Lenza.

Siderno: L’anno che verrà sarà senza veleni? Il richiamo a una canzone di Lucio Dalla vorrebbe essere di augurio per l’inizio di una nuova stagione per quanto riguarda l’ambiente a Siderno. Sono passati due anni da quando, ai primi di settembre 2016, siamo riusciti ad avere i documenti “dimenticati”, quasi un colpo di fortuna, riguardanti la ex-BP. Non ci eravamo ancora resi conti dei rischi che correvano i cittadini residenti nella zona, quando all’improvviso ci è stato comunicato dal Sindaco Fuda, nel febbraio 2017, che analisi effettuate dalla azienda Sika, nel novembre 2016, come previsto dall’AIA, certificavano che, nei sette piezometri posizionati tutt’intorno allo stabilimento, risultavano valori di sostanze cancerogene centinaia di volte maggiori di quelli a norma consentiti. I tempi burocratici non permettono mai di affrontare le questioni in tempi brevi, ma passo dopo passo, assemblea su assemblea e la manifestazione dell’8 luglio 2017, riunioni alla Regione, a cui insieme al Comune eravamo presenti noi delle associazioni ambientaliste, qualcosa si è mosso. Quello che doveva essere più difficile da gestire, la ex-BP, dopo lo sblocco da parte della Magistratura, che ha riconsegnato la fabbrica al curatore fallimentare, ha iniziato a muoversi nel sentiero giusto, anche se è stato opportuno tallonare la Regione, affinché venisse destinato un fondo per poter iniziare un primo intervento su bidoni e cisterne presenti. Il piano di bonifica previsto ha avuto due momenti, in una prima fase, gennaio 2018, erano stati chiesti 1 milione 570 mila € per una bonifica completa. La Regione ha invitato il Comune a preparare un piano più ridotto, in modo da eliminare i rischi associati alla presenza del materiale nocivo e il costo è stato quantificato in 495 mila €. Da una verifica fatta anche da noi e dal Comune e corroborata da altre informazioni, risulta che una parte del materiale è “evaporato”, scomparso, confrontato con i documenti ufficiali del Commissario

all’emergenza ambientale del 2005. Alla fine il conteggio risultante è quantificabile in 270 fusti, di cui una parte corrosi o bruciati con presenza di materiale fortemente a rischio, cancerogeno, esplosivo, tossico, irritante e come dicevo in parte evaporato in aria. Ci sono poi una quindicina di cisterne, la maggior parte sottoterra. Complessivamente questo materiale è stimabile in circa 300 tonnellate. Inoltre c’è il forno inceneritore che svetta nell’area a ricordo della scempio di questa attività e una decina di reattori all’interno dello stabilimento, da quantificare in termini di peso. A questo da aggiungere la copertura dello stabilimento di produzione di circa 900 mq, da verificare la sua composizione, che sembra amianto. Altro amianto potrebbe trovarsi nella tettoia sotto la quale si trovano i 270 fusti corrosi molto pericolosi. Altro materiale di poco conto si trova negli uffici. Ad agosto l’Assessore all’Ambiente ha destinato 300 mila €. I Commissari Governativi, dopo la visita e il controllo del sito, effettuata a settembre, in base ai risultati di questa ulteriore verifica, con una delibera a ottobre, hanno richiesto ulteriori 195 mila € per poter smaltire con la massima urgenza tutti i fusti con sostanze nocive. Dalla visita effettuata a settembre, come riporta la delibera, ci sono due dati: la prima che sono presenti sostanze pericolose, la seconda che non ci sono dispersioni di materiale nel terreno e questa è una buona notizia, ma non viene menzionato il fatto che i veleni evaporano nell’aria, come noi abbiamo potuto percepire con l’olfatto in questi anni e sono fastidiosissimi oltre che tossici. In questi giorni l’ufficio competente del Comune sta predisponendo il bando da inviare alla SUAP per indire la gara di appalto. _______________________________________

Più difficile la situazione nell’area intorno alla Sika. Già a luglio 2017 la Regione, spaventata dalle tre analisi effettuate sia dalla Sika che da Arpacal, che certificavano elevati valori delle sostanze cancerogene (trielina, tetracloroetilene, cloroformio), aveva stanziato la cifra di 174 mila € per trovare la sorgente inquinante, ma subito sono iniziati i problemi. Gli uffici regionali dell’Assessorato all’Ambiente avevano inviato al Comune, che doveva gestire i lavori, un documento di massima per preparare il bando per tale pratica, ma il geologo che doveva essere il Direttore dei Lavori, dopo una visita nella zona, accompagnato da alcuni di noi, non si è fatto più trovare, nemmeno al telefono, forse spaventato dai problemi da affrontare. Passata l’estate, alcuni di noi hanno ripreso il progetto e hanno preparato il piano di caratterizzazione della zona, modificando in parte l’area da controllare, restringendo la superficie, posizionando buona parte dei piezometri nei punti con più alta concentrazione di sostanze cancerogene. Su questo vi sono stati contrasti con gli uffici regionali, poi chiariti in un incontro avvenuto nel mese di marzo 2018. Il bando è stato assegnato a una ditta della provincia di Lecce che non aveva macchinari adatti al lavoro da svolgere, che prevede perforazioni a secco. Ad aprile 2018 l’azienda vincitrice del bando inizia a fare delle prove di perforazione del terreno e per la difficoltà incontrata usa anche liquidi chimici. Un intervento immediato mio e del geologo che seguivamo i lavori come “consulenti” del Comune, ha subito bloccato, a fine aprile, la prosecuzione dei lavori, con la richiesta alla ditta di fornirsi di macchinari adatti all’impegno che si era assunto. Per vari motivi i lavori sono ripresi a fine agosto e qui sono sorti problemi tra noi del Comitato e Arpacal su come effettuare le perforazioni e in conseguenza noi di fatto siamo stati “esautorati”, in

quanto non avevamo nessun incarico ufficiale. Sappiamo che i 24 piezometri sono stati posizionati su un’area più vasta di quella che noi avevamo previsto, allargando la zona sino a Vennerello, sul torrente Lordo. Abbiamo verificato che l’azienda ha effettuato i lavori utilizzando acqua per scavare e quindi i campioni di terreno presi da Arpacal non sono a secco. Questo comporta che i campioni nel terreno di eventuali veleni vengano diluiti, anche se per quanto riguarda la presenza di sostanze cancerogene all’interno dei piezometri intorno alla SIKA non possono esserci dubbi, i valori continuano, ancora adesso, ad essere centinaia di volte maggiori del valore previsto dalle norme. In questi giorni, in un incontro con la Commissione prefettizia ci è stato riferito che Arpacal ha preso tutti i campioni, sia del terreno, che del liquido presente nei piezometri predisposti e dovrebbe inviare presto i risultati, impegnandosi a informarci. Il problema SIKA quindi è ancora da affrontare, in quanto dopo queste analisi, occorre capire, una volta che sarà individuata l’origine dell’inquinamento, quale sarà la strada migliore per eliminare i veleni nei terreni, al momento è tutto in sospeso in attesa dei dati dell’Arpacal. Una piccola riflessione, senza voler spaventare nessuno: ma è possibile che in tutti questi anni non sia stato fatto uno screening dei residenti della zona? In un paese normale, con ospedali funzionanti, con medici di famiglia disposti, tutto questo sarebbe avvenuto. Forse alla fine qualcuno potrebbe fare una tesi di laurea dal titolo “Siderno e le fabbriche chimiche: storia, lotte, inquinamento del territorio e salute dei cittadini”. “L'anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va”. Francesco Martino




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CALABRESE PER CASO

Serrare le file? Devo riconoscere che molto spesso ti capita di leggere argomenti che non ti aspetti e, soprattutto, capita così di leggere considerazioni che vorrebbero andare controcorrente, ma poi scopri che alla fine si modellano anch’esse su un pensiero unico che si vorrebbe combattere. Ed è quello che mi è successo leggendo un singolare commento, ancorché assolutamente autorevole, su ilfoglio.it del 9 novembre. Mi spiego. Vi sono coloro che ritengono che emigrare, andare via, fuggire se si vuole sia una sorta di nemesi indotta da un sistema che non crea opportunità e che non vuole cambiare ritenendo, in questo modo, che lasciare i propri affetti, i propri luoghi sia alla fine il prezzo da pagare per riuscire a raggiungere obiettivi di vita decorosa, magari anche una vita di successo personale, se non di semplice e quotidiana sicurezza nell’aver conquistato un posto di lavoro. Vi è poi chi ritiene, invece, che andare via sia un modo di arrendersi, un mezzo per abbandonare non si comprende quale lotta e contro chi soprattutto, o forse lo si sa, che invece dovrebbe essere combattuta sul posto, giorno per giorno. Orbene, credo, in buona franchezza, che alla fine in entrambe le circostanze non ci si allontana dalla realtà e che, soprattutto, le due interpretazioni forniscono e finiscono sulla stessa verità di fondo: i calabresi, i giovani e non solo vanno via. E non è vero che non combattono. Forse lo fanno ancora di più doven-

dosi adeguare a modelli e stili di vita, e a richieste di merito, certamente di non poco conto. A chi chiede di serrare le fila per combattere e sostenere un cambiamento in Calabria si dovrebbe ricordare che spesso sono proprio le famiglie con più possibilità economiche che, pur potendo accedere a ciò che rimane dei servizi in regione, preferiscono guardare altrove iniziando, guarda caso, sin dalle università. Ora, se di resistenza si tratta, probabilmente anche chi chiede di serrare le fila avrebbe potuto liberamente scegliere di frequentare o far frequentare università calabresi e magari, in questo modo, favorire la crescita di eccellenze in loco ponendole al servizio di una terra che non riesce a riscattarsi dal suo lento e farraginoso quotidiano. Credo, sempre in verità, e per minima esperienza a più latitudini, che censurare chi lascia la Calabria da parte di chi vi intende, perché può, restare e chiede di opporre un fronte alla burocrazia imperante o alle mafie quanto sottolineare il ridondante lamento di chi ritorna pago del successo ottenuto altrove sia alla fine uno specchio che offre più prospettive. Peraltro molto personalistiche considerando che, pur vivendo in Calabria non mi sembra manchino, in ogni aspetto di eccellenza proposto, riferimenti e referenze verso altre proposte che certamente non sono calabresi. Si può essere, in altre parole, economicamente romani o milanesi senza per questo dover lasciare le proprie residenze e sappiamo quanto e in che termi-

ni amiamo avere punti di contatto in città e regioni dal riconosciuto peso politico ed economico. Insomma, se serrare le file può significare credere che abbandonare la Calabria sia come cedere terreno al burocratese o al dominio dell’illecito, probabilmente bisognerebbe serrarle così bene facendo si che chi vi ritorni con idee e con volontà di fare non sia visto come competitor proprio da coloro i quali o ne piangono la dipartita o ne condannano la resa o tanto per affermare il principio della superiorità di chi si sente milanese o romano d’adozione e ritorna solo per avere uno specchio migliore nel quale vedere la sua aura. La verità, molto triste, è che la Calabria è nemica di se stessa. Lo è forse quando fugge, lo forse quando torna e si assume lo sprezzo di lamentarsi che nulla sia cambiato, ma lo è anche quando essa non fa nulla per cambiare e come un cavallo di ritorno, alla fine rimette in moto quel movimento circolare rappresentato da susseguirsi di fuga-ritorno-rassegnazione e così via. Perché, in fondo, lagne e piagnistei a parte, per chi vi ritorna con voglia di fare - e non con il desiderio di ostentare un successo che poi diventa vanto per chi ne ricerca l’utilità possibile - nessun brocardo latino sarebbe più in voga in Calabria del solito, inflazionato e anche noioso in verità nemo propheta in Patria sua est! Giuseppe Romeo

L’OPINIONE

Benchè in contrasto con la nostra linea editoriale, pubblichiamo l’opinione di Teresa Cricelli che riporta anche un episodio di cronaca avvenuto nella Locride.

I semi della discordia: Identità perdute

Povera Patria, poveri patrioti, ora lo sappiamo, hanno combattuto, hanno donato la propria vita in nome di qualcosa che ora non c’è più, o addirittura non c’è stata mai: quell’unità, quel senso di appartenenza, quel dovere nei confronti dei propri cittadini per migliorare le condizioni socio-economiche e culturali del proprio paese, tutelando la propria identità. Identità perdute nell’oceano della migrazione. Parlare oggi di immigrazione e integrazione risulta essere un argomento alquanto delicato che abbraccia non soltanto l’ambito parlamentare, ma anche quello sociale, morale, economico, e filosofico. I popoli, i governi, tutti ne parlano, tutti la invocano in nome del progresso civile, perché ciò fa tendenza, ma non tutti la amano alla stessa maniera. E noi ammettiamo la penosa realtà: essi rappresentano i semi della discordia. Numerose riviste e giornali vengono pubblicati per sostenere la campagna umanitaria. Si dovrebbero conoscere prima e divulgare poi le vere dinamiche che stanno dietro un apparato così enorme dal nome “Accoglienza umanitaria”. Bisognerebbe leggere qualche testo di F. William Engdahl, giornalista e scrittore, specialista in questioni energetiche e geopolitiche. Ma non è questa la sede opportuna per riflessioni di questa portata, anche se qualche cosa va detta. L’integrazione è un processo complesso e graduale che comprende diverse realtà ma tra loro collegate, quale: economica, legale, sociale e culturale del luogo in oggetto. Essa, inoltre, richiede notevole impegno sia all’individuo sia alla società che li accoglie. Non possiamo non ricordare che i migranti provengono da luoghi ed esperienze diversi, e loro stessi sono diversi tra loro. Quindi, chi sono gli organi preposti al riscontro che questa integrazione avvenga nel pieno rispetto sociale, legale, economica e culturale nei confronti della comunità ospitante, e non soltanto verso gli immigrati? Engdahl in “Gli atti segreti delle ONG” sottolinea che il favoreggiamento dell’immigrazione illegale è un reato, qualunque siano i motivi. La flotta di imbarcazioni per trasportare illegalmente i rifugiati o altri migranti dall’Africa settentrionale nell’UE suggeriscono almeno che fossero più che carità. Suggeriscono che le ONG siano almeno

coinvolte indirettamente in progetti che stanno distruggendo la stabilità sociale dell’UE e in particolare quella italiana. Nel suo rapporto di valutazione del rischio del 2017, Frontex, l’Agenzia ufficiale europea per la sorveglianza dei confini e delle coste, ha dichiarato che il Mare Mediterraneo centrale è diventato per i migranti africani la rotta principale d’ingresso nella UE. Secondo ogni previsione, nel prossimo futuro non cambierà nulla. Va notato che l’89% dei migranti viene attraverso la Libia. E circa l’80% dei migranti nordafricani che arriva in Italia non ha diritto di asilo. Dovremmo tutti pensare come il primo ministro ungherese Viktor Orban. L’Italia non ha certo bisogno dei migranti per far girare l’economia, o la popolazione a sostenere se stessa, o il paese ad avere un futuro. Al contrario, l’immigrazione non è una soluzione umanitaria per risollevare altri popoli, ma essa stessa è un problema. Non ne abbiamo bisogno e non la dovremmo subire. Inoltre il diritto di decidere sulla questione dei rifugiati dovrebbe essere riservato esclusivamente ai governi nazionali interessati. L’immigrazione di massa non può essere vantaggiosa né per i migranti che, come vittime predestinate, vengono distribuiti su territorio dovendo costantemente misurarsi con nuovi mondi, un diverso modo di vivere, diverse usanze e cultura, sradicati dalla loro terra, senza diritti, senza fissa dimora e sempre pronti a nuovi trasferimenti. Ma non giova altresì al popolo ospitante, non giova a noi che giorno dopo giorno vediamo sgretolarsi tutti i nostri punti di riferimento, avvertiamo la perdita dei nostri diritti, duramente conquistati, in nome dell’altruismo, del sentimento umanitario. Non si tratta di un discorso razziale, non è corretto umanamente, né moralmente inveire contro chi ha fame, ha sete, chi ha la speranza per una vita migliore. Ma dietro la migrazione imposta degli esseri umani vi è una globalizzazione di pensiero, di coscienze e di Mercato. Non dobbiamo considerare gli immigrati come nemici, ma i nemici sono coloro che permettono tutto questo, chi getta nella disperazione i popoli e non chi è disperato, non chi fugge, ma chi costringe gli esseri umani a fuggire e morire prima di approdare alla terra promessa. Non si può certo pretendere, né tanto meno illudersi che sia possibile una piena integrazione di un

numero così alto di migrati. L’inserimento, controllato e controllabile, dei richiedenti asilo in una nuova società è un processo molto lento che non deve alterare l’equilibrio di una nazione. L’Italia, così come l’UE, non possiede strumenti sufficienti a integrare economicamente e socialmente fiumi di persone provenienti da altri paesi, soprattutto nell’attuale condizione di profonda crisi economica sociale e politica. Masse così elevate diventano incontrollabili, disposti a tutto pur di sopravvivere. Nella situazione di miseria, disperazione e senza coscienza di classe sono costretti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro, abbassando il costo della forza lavoro, arrivando a delinquere quando necessario. Vanno ad alterare, se non a distruggere, l’ordine sociale della comunità, destabilizzando i governi e le identità locali. Lo Stato è andato in crisi. Si diluiscono i confini, le credenze, i costumi, le coscienze, perfino la legge morale è cambiata: ciò che prima era deprecabile ora è lecito. Ora il cittadino è un cittadino che non ha la certezza di essere tutelato, perde, così, ogni punto di riferimento. Arriveremo tutti allo smarrimento della propria identità. L’Io individuale è minacciato e con l’immigrazione prende sempre più piede l’individualismo. Non c’è più la parola “noi”, ma “io”. Un “io” in crisi poiché non ha più un centro a cui affidarsi. La migrazione crea la deindividualizzazione e, quindi, la fine del sociale: entra in crisi la società, lo Stato di benessere e tutto ciò che difende e protegge l’individuo. Le nuove dinamiche sociali creano il caos e quindi la perdita della consapevolezza di sé. L’immigrazione deve essere combattuta e non favorita. Invece viene snaturato e sfruttato il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati dalla sua iniziale formazione. Come pensare che esso possa essere la condizione risolutiva per il benessere del proprio paese. Come pensare esclusivamente al proprio orticello, ora e subito, e dimenticarsi il futuro dei propri figli e dei figli dei figli?. Questo orticello finirà di fruttificare al più presto. Lo abbiamo constatato con il progetto Sprar del “modello Riace”, che nei primi giorni di ottobre si vede arrivare la delibera di chiusura del progetto. La chiusura del progetto ha a che fare con diverse cri-

ticità e irregolarità riscontrate negli anni. Si tratta di una vicenda iniziata due anni fa, come spiega Daniela Di Capua, direttrice del Sistema centrale Sprar del ministero dell’Interno. Il Gip ha ritenuto che il sistema d’accoglienza fosse gestito con “malcostume” e “superficialità”. E cosa ci possiamo aspettare dall’amministrazione locale e dai responsabili delle comunità di accoglienza quando si verificano episodi di aggressione fisica e verbale nei confronti di un bambino di soli 7 anni che terrorizzato corre a casa e per diversi giorni rifiuta di giocare in piazzetta per paura di essere ancora una volta accerchiato e minacciato da ragazzi immigrati dall’ altezza di 2 metri circa per aver compiuto uno scherzo spegnendo le luci dell’unico campetto sportivo esistente in un piccolo centro in provincia di Reggio Calabria? Chi sono gli educatori che dovrebbero fare da mediatori affinché possano essere evitati eccessi di forza contro la comunità autoctona? Non è sufficiente una stretta di mano, come qualcuno suggerisce. Un aspetto questo da non trascurare, seppure nella accoglienza adeguata, per evitare una sopraffazione degli ospiti nei confronti dei locali, che in questo caso si tratta di minori. Come, un episodio così grave, può passare quasi inosservato dalla opinione pubblica e veicolato come un qualcosa di poco conto, se non addirittura ben taciuto? Ancora più grave è constatare che nessuna personalità pubblica, pur essendo a conoscenza dell’episodio, sia intervenuta per verificare i fatti accaduti e quindi lo stato del minore, che probabilmente non avrà in futuro un atteggiamento libero e ben propenso nei confronti di quelle persone, e non ultimo abbia dimostrato solidarietà ai genitori che soli, giorno dopo giorno, hanno dato sostegno e incoraggiato il bambino ad uscire di casa. Mentre con estrema comodità sono stati espressi pregiudizi nei confronti dei cittadini e non nei confronti dei migranti in questione. A questo punto ci poniamo una domanda: cosa o quali interessi si nascondono dietro questa indifferenza totale di fronte a un episodio così eclatante? In un’azione etica, io faccio valere non me stesso, ma ciò che faccio. Affermava Hegel. Teresa Cricelli


GIUDIZIARIA

“Arrivava l’indicazione dai servizi e si facevano scomparire le navi dei veleni”

CONVERSANDO

Novello stappato, 20mila bottiglie prodotte nell'Enotria

Tra la fine di ottobre e i primi di novembre tutta l'Italia gli rende omaggio. Una parte di consumatori lo aspetta per abbinarlo in particolare ai prodotti autunnali quali castagne e funghi. Ebbene puntuale è arrivato sulle tavole il vino novello Made in Italy con le circa 20mila bottiglie prodotte in Calabria nel 2018. Lo rende noto la Coldiretti nel sottolineare che quest’anno il “deblocage” è stato anticipato, secondo quanto disposto dal decreto del ministero delle Politiche agricole, di oltre due settimane rispetto al concorrente Beaujolais nouveau francese che si potrà invece assaggiare solo a partire dal 15 novembre prossimo. La qualità si prevede buona e la produzione risulta stabile rispetto all’anno scorso e assai distante dai numeri che si ottenevano solo un decennio addietro quando le cantine calabresi mettevano in commercio oltre 100 mila bottiglie. Il vino da bere giovane ha un po’ perso dunque lo smalto del passato perché legato troppo anche alla stagionalità e conservabilità. «Di certo all’origine del fenomeno - sempre secondo la Coldiretti - c'è una serie di fattori, a partire da un consumo troppo corto, che deve avvenire nell’arco dei prossimi 6 mesi e poi la tecnica di produzione, la macerazione carbonica, che è più costosa rispetto a quelle tradizionali. E poi c'è da aggiungere che gli stessi vitigni che, negli anni passati rappresentavano la base del novello, vengono oggi spesso utilizzati per produrre vini ugualmente giovani, ideali per gli aperitivi, ma che non presentano problemi di durata». Colore intenso, di facile beva, scarsamente tannico e poco impegnativo e con bassa gradazione (in genere si attesta sugli 11 gradi) , il novello made in Italy basato su uve Dop e Igp deve le sue caratteristiche al metodo di vinificazione utilizzato. La fermentazione carbonica di grappoli integri di uve che vengono poi spremute a distanza di una decina di giorni danno origine a un vino delicato dal sapore fresco e piacevole e con il caratteristico gusto amabile e fruttato. Anche se non sono pochi quelli che ne auspicano la fine, i consumatori, dal Pollino allo Stretto, da Nord a Sud Italia, attendono sempre questo momento che caratterizza l’autunno per bere insieme in allegria e spensieratezza augurandosi di non farlo diventare un lontano ricordo. Sonia Cogliandro

FRUTTI DIMENTICATI

Pero Malùni PIRUS COMMUNIS L. FAMIGLIA ROSACEE

Nella Locride in genere e in quella meridionale in particolare, esiste una vastissima varietà di peri, che contribuivano nel passato non lontano a caratterizzare dei territori. Il motivo per cui c’era una vasta diffusione di peri, derivava dall’abbondanza di portainnesti costituiti dai perastri, che nascevano e crescevano facilmente, specie nelle aree argillose che si differenziano in due varietà: il pirus piraster e il pirus amigdaliformis. Il primo è molto adatto al territorio della Locride meridionale, dove le capre e le pecore, lasciate libere nei campi altrui sono alla ricerca costantemente di fronde di piante e di arbusti di cui cibarsi, ma esse non pensano minimamente di avvicinarsi ai perastri dalle spine lunghe e molto acuminate, che se ti pungono ti provocano un dolore acuto mescolato a un forte prurito. Nella loro diffusione raggiungono quote di rilievo, per cui li possiamo trovare talvolta oltre i mille metri di altezza. Allora esse puntano, semmai ne trovano, al pirus amigdaliformis, il perastro dalle foglie simili a quelle dei mandorli, con spine appena accennate e quindi poco temute. Erano, inoltre, ritenuti molto utili dai pastori, ancora rispettosi della natura, in quanto i loro frutti, nonostante siano sempre acerbi e astringenti potevano contribuire a far sopravvivere le capre e le pecore, a pascolo brado, quando ancora alla fine di settembre e ai primi di ottobre, tardavano ad arrivare le piogge autunnali. I piccoli frutti della pianta, inoltre, erano ritenuti insuperabili per poter ricavare da essi una grappa di qualità dopo che venivano messi a macero per una decina di giorni. Prima della seconda guerra mondiale i contadini, i carbonai, i pastori, rispettosi della natura, qualora fossero stati morsi da una vipera, velocemente isolavano con delle sottili ritorte (tortagni), nel caso non avessero avuto a portata di mano pezzi di cordicelle, la parte dove era stato inoculato il veleno e poi “focavano” ossia adagiavano prima sulla ferita una lama rovente di coltello e poi una corteccia non spessa di perastro, facendola aderire con la parte interna, tenera e umida; tale procedura rappresentava l’unica possibilità di salvarsi da morte certa. Quando bisognava innestare i perastri, i contadini facevano un’attenta analisi delle varietà più convenienti per l’economia di sussistenza della famiglia e velocemente valutavano ciò. Prima di tutto bisognava pensare al maiale e talvolta a più di uno, qualora la famiglia fosse stata numerosa, ricordando il detto poco romantico

I BRIGANTI

Sola me ne vò per la città...

“cu si marita è cuntentu nu jornu, cu mmazza u porcu è cuntentu n’annu”. Infatti, del maiale si utilizzava tutto, tranne i peli, ed esso accompagnava, con i prodotti da esso ricavati, il percorso annuale di una famiglia contadina: salsicce, soppressate, “ frittole”, ciccioli, costole affumicate, lardo, pancette, sugna, capicolli. Persino dopo essere stato utilizzato il lardo, la cotica che rimaneva durissima come il cuoio, veniva messo in ammollo e dopo qualche giorno veniva ricavato un saporitissimo piatto, a cui si aggiungevano le patate, chiamato nelle aree più interne dell’Aspromonte “scorcella”. Pertanto bisognava innestare i tipi più produttivi con doppia valenza, utili per il nutrimento diretto del maiale e per ricavare le pere secche (cottìa, cortea, ecc), che potevano essere utilizzate anche per le mucche al tempo dello “sporo” ( greco speiro, seminare ), ossia al tempo della semina e anche per gli uomini, assieme ai fichi secchi. Le varietà migliori erano costituite dal pero Muntagnisi o Campanella, dal pero Gentile, dal pero Gentile di S.Agata, dal pero gentile di S.Anna ecc. Tra la fine di luglio e i primi di agosto, quando maturavano, le pere di tali varietà venivano spaccate a metà e poste ad asciugare al sole rovente. Per i contadini le pere di qualità erano meno importanti in quanto erano considerate “prodotti voluttuari” e venivano consumate per il gusto di mangiarle, tanto più che la loro pezzatura non era notevole in genere e la produzione era più scarsa. Facevano eccezione, nel loro giudizio, le pere “Maluni” o “Conte” denominate con tale nome dall’area di Staiti, dove dominano incontrastate, fino a Ferruzzano, mentre a partire da Samo fino a Casignana vengono chiamate Conte. Finalmente i contadini erano propensi a innestare i perastri con tale varietà, in quanto essi sono insuperabili nel gusto, soave e che sa davvero di melone; poi, secondo il loro punto di vista erano convenienti perché erano di pezzatura media e potevano essere utilizzati per ricavare dai suoi frutti pere secche. I frutti rimangono quasi immuni dall’attacco della mosca della frutta che dagli inizi del 900 si è diffusa ovunque nel mondo, provenendo dall’Africa settentrionale. La forma della pera è elegante e a maturazione si presenta di un bel giallo intenso, talvolta soffuso leggermente di rosato; la polpa non è liquescente, ma leggermente granulosa. Orlando Sculli

... una città che poi è un paesello, ma è lontano. Il mio paesello è lontano. Questo invece è diverso, e sta in altri luoghi senza mare vicino. In compenso c’è il fiume. Ce lo faremo bastare. I bimbi si adattano presto, anche i grandi lo devono fare. Alla fine non si è mai troppo grandi, o troppo cresciuti. Tante riflessioni vengono a galla, un po’ malinconiche, un po’ speranzose. Se fossimo alberi avremmo radici, non potremmo spostarci, potremmo solo stare fermi e subire ciò che avviene. E gli alberi ne passano tante. Anche gli uomini subiscono molto, ma non sono alberi. Le radici sono virtuali, c’è chi le ha e chi no. Io le mie le ho dovute sradicare con forza, altrimenti sarei stata risucchiata in un buco nero. Lo intravedevo da lontano e si avvicinava in fretta. E chi lo sa cosa c’è dentro i buchi neri, nemmeno gli scienziati lo sanno, checché ne parlino o tirino a indovinare, non lo sapranno

«In tutti i processi in cui ho testimoniato, da Reggio Calabria, a Milano, a Torino, a Bologna, a Palmi, sono stato giudicato in sentenza attendibile al 100 per cento, in quanto le mie parole sono state riscontrate nella sua interezza, tanto che, pochi mesi or sono, sono stato chiamato a deporre nell’aula bunker di Milano come memoria storica della ’ndrangheta, nonché come enciclopedia vivente. Ho avuto anche tre condanne per calunnia nei confronti di tre magistrati, ma sapevo che, chiamando in causa una corporazione, questa mi avrebbe sbranato, e lo ha fatto legalmente. Non avevo nessun interesse a dire cose non veritiere sulle cosiddette “navi dei veleni”». È quanto racconta un collaboratore di giustizia nel novembre del 2009 davanti alla “Commissione sul ciclo rifiuti”, presidente Gaetano Pecorella, in missione a Bologna. «Nella conferenza stampa convocata presso la Direzione nazionale antimafia per dichiarare soltanto la non attendibilità del sottoscritto, a mio modesto parere, ma suffragato dai fatti che si sono succeduti nei giorni a seguire fino a oggi, si è voluta tacciare la mia persona di totale inattendibilità, soltanto per creare un punto fermo su altre cose che avrei potuto dire sulla vicenda delle navi a perdere. Certo che se è il Procuratore nazionale a dichiarare la non attendibilità di un dichiarante, allora non ci possono essere dubbi. Ho un peso sulla coscienza per il male che ho fatto, trafficando in droga e rifiuti pericolosi, che soltanto Gesù Cristo può comprendere: non c’è giorno che non maledico il mio passato, per aver buttato in malo modo una vita che non avevo il diritto di maltrattare, in quanto dono di Dio. Vengo chiamato “pentito” in modo dispregiativo, ma se l’essere umano facesse un esame di coscienza, ognuno avrebbe di che pentirsi». «Sono stato sentito nel 2006 sulla questione delle navi… ». Quali sono i fatti oggetto del racconto? Riguardavano, in particolare, le “navi dei veleni”, il traffico con la “Somalia e con l’Etiopia”. «Un capo ’ndrangheta di Melito di Porto Salvo con interessi in Brianza, nella zona di Cantù, Seveso, Desio… è stato uno dei primi – se non addirittura il primo – a entrare nel traffico dei rifiuti. In un’occasione mi disse che aveva mandato rifiuti in Somalia». Altro soggetto «…a Mogadiscio, mi informò che arrivavano tutti i mesi navi di rifiuti». Ha parlato di dieci trasporti in Somalia sostenendo che furono mandate dieci navi. Per la questione relativa alle navi affondate: «le notizie che ho avuto sono di circa una ventina di navi. Una famiglia di Limbadi… ha partecipato al traffico di smaltimento dei rifiuti e anche all’affondamento di navi… hanno partecipato anche altre famiglie». Come funzionava? «Funzionava in questo modo: arrivava l’indicazione dalla politica, o più che altro dai servizi. Si sapeva che c’erano da far scomparire alcune navi, che si trovavano in un dato posto; ci chiedevano di sbrigarcela noi con l’equipaggio, facendolo andar via, in cambio di un compenso». In conclusione, sul punto: «Rivelando il nome della nave si rischiava – come ho rischiato io – di affermare che… fosse stata smantellata in India. Io però so che i documenti della demolizione…, come di altre navi, non ci sono. Ho affondato io stesso una nave. Ne ho affondate almeno due o tre. Erano discorsi che si facevano o quando ci scambiavamo favori, oppure in incontri in cui ci si vantava di aver eseguito il tale lavoro o aver incassato la tale somma. I nomi delle navi, però, si menzionavano raramente».

mai. Nessuno è obbligato a subire una situazione che non porta a nulla di fatto, a nessuna crescita, a nessun miglioramento. E lì sono rimasti pochi alberi e molte catene al cuore. Ho deciso di dare retta alla speranza, giacché mi è passato davanti un treno speciale, che era in ritardo di molti anni, e io, come si faceva anni fa, mi ci sono aggrappata in corsa e mi lascio trasportare. Ma non sto volando, ho i piedi ancora per terra. Cerco un posto che mi consenta di alzare lo sguardo e immaginare cose bellissime da realizzare. Dicono che non sono i luoghi a fare le persone, e forse hanno ragione. Ma forse posso pensare che la libertà sia anche questo: il potere di scegliere come muoversi. Muoversi mentalmente, e poi fisicamente. Ma muoversi. Che a stare fermi troppo tempo si rischia di addormentarsi. Brigantessa Serena Iannopollo


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intervista www.larivieraonline.com

«Quando sono stato eletto la prima volta, mio padre, orgoglioso di vedere eletto sindaco un figlio in una comunità non sua, ha esclamato: “Adesso Signore mi puoi chiamare”».

Nicola Fragomeni, il sidernese da 6 anni sindaco in Veneto

“Ogni estate ritorno a “far benzina” a Siderno. Una carica che mi dura tutto l’anno. Qui trovo la pace, il mare, gli amici e l’amore della famiglia”.

Un sidernese è diventato il punto di riferimento per gli abitanti di Santa Maria di Sala, paese della città metropolitana di Venezia di 17.680 abitanti, essendone sindaco dal 2012. In questi anni ha dimostrato di essere uno dei pochi che ha messo da parte le parole per concentrarsi solo sui fatti. Nato nel 1961 a Siderno, ma emigrato con tutta la sua famiglia in Veneto nel 1968, passo dopo passo ha costruito la sua strada fino a diventare un uomo molto apprezzato e stimato. Che ricordi ha dei suoi anni trascorsi a Siderno? Fino all’età di sette anni sono stato a Siderno. Ricordo ancora il professore Ricupero che ci insegnava con amore, i miei compagni di classe a cui sono tutt’oggi legato. Quale motivo ha spinto la sua famiglia a emigrare? Eravamo una famiglia di sei persone e la macelleria di papà non riusciva a mantenere tutti, così mio padre insieme a suo fratello Domenico sono venuti in Veneto a lavorare con l’intercessione di Don Giuseppe, allora parroco di Siderno Superiore. Prima di intraprendere la carriera politica lavorava nell’impresa di famiglia? In quale ruolo? Prima della politica, ho lavorato per 25 anni nell’azienda di famiglia, indirizzata nel ramo tessile, con il ruolo di amministratore. Poi nel maggio del 2012 è stato eletto sindaco nelle liste del centro-destra. Che emozione ha provato quel giorno? Il giorno dell’elezione a sindaco ero incredulo ed emozionato. Mi ricordo che tutti mi abbracciavano e si congratulavano. A un certo punto, dopo un’ora dall’avvenuta elezione, ho deciso di lasciare tutti in piazza per fare un break di un quarto d’ora. Lo scopo era quello di ritornare a casa per abbracciare mia madre e soprattutto mio padre di 94 anni che non stava bene. Papà in quell’occasione, tanto era l’orgoglio di aver visto eletto Sindaco un figlio in una comunità non sua, che si espresse con queste parole: “Adesso Signore mi puoi chiamare.” Queste parole rimarranno scolpite nella mia mente per sempre. In seguito, ho ricevuto telefonate da tutti i miei parenti e amici da Siderno: Franco, Edoardo, Salvatore e tanti altri che ritrovo ogni estate. Com’è nata la passione per la politica? La passione per la politica è scattata nel 1994. Berlusconi quando scese in campo mi folgorò. Ho cominciato a pensare seriamente che avrei potuto dare il mio contributo per migliorare il mio paese. Ho amato da subito la materia e mi sono presentato nel 1995 come consigliere comunale. Sono stato eletto e mi hanno assegnato l’assessorato alle attività produttive e la carica di Vice Sindaco. Non è il tipo che rinnega le sue origini. Saprebbe dirmi i punti di forza del nostro Paese e dove si dovrebbe intervenire per migliorarlo? Ogni estate ritorno a “far benzina” a Siderno. Una carica che mi dura tutto l’anno. Qui trovo la pace, il mare, gli amici e l’amore della famiglia che è il senso del nostro stare insieme. Quando arrivo a Siderno scopro sempre delle migliorie. Quello che ho più apprezzato è stata la raccolta differenziata porta a porta. C’è molta strada ancora da fare, ma bisogna riconoscere all’amministrazione passata la grande volontà di voler invertire la marcia per ciò che riguardava l’area dei rifiuti buttati dappertutto. È stato un bel biglietto da visita. Uno dei punti nevralgici in cui bisogna intervenire sono proprio le immondizie lasciate per settimane intere sulla nostra bella spiaggia. I turisti se ne accorgono immediatamente. Occorre migliorare, il lungomare va sistemato e penso sia solo un problema burocratico e di tempo. Ma andrà a posto meglio di prima. Di questo ne sono sicuro! Cosa vorrebbe dire a Pietro Fuda in seguito al commissariamento del Comune e cosa pensa del suo operato in questi 3 anni da

Sindaco di Siderno? Ho avuto modo di conoscere l’onorevole Pietro Fuda e penso sia molto competente e si relaziona molto bene con gli enti Sovracomunali. Gli vorrei ribadire i miei complimenti e la raccomandazione di non mollare. Deve riuscire a formare nuovi giovani onesti e trasparenti come lui che possano e sappiano prendere in mano le redini di questo bellissimo Comune. Nel 2017 è stato rieletto sindaco. Quali obiettivi si è prefissato per questo secondo mandato? Mentre nel 2012 ho vinto per una manciata di voti sul Sindaco uscente (31); nel 2017 ho avuto un distacco di oltre 4000 voti ( il 40%) rispetto alla lista antagonista. Mi sono preso l’impegno di effettuare un’opera all’anno in ogni frazione, che sono in tutto cinque. Quali sono i progetti realizzati in questi anni da Sindaco di cui va particolarmente fiero? In questi anni ho effettuato la messa in sicurezza nei centri di due frazioni molto popolate (abbiamo rifatto e rivisitato l’urbanistica, l’arredo urbano e la viabilità); ampliato le scuole medie con ulteriori 10 grandi aule tecnologicamente all’avanguardia; costruito una nuova scuola materna pubblica; recuperato una parte della nostra villa Farsetti, fiore all’occhiello di Santa Maria di Sala; ridotto il debito pubblico da come l’ho trovato (da 9.200.000 a 5.800.000). In questo mandato devo abbatterlo ulteriormente portandolo sotto i due milioni. Con questo trend lasceremo alle nuove generazioni che crescono un Comune virtuoso e solido che non pagherà interessi passivi togliendo risorse alla parte corrente del bilancio pubblico (che ha tanto bisogno) e che servono soprattutto ad aiutare la gente e le persone in difficoltà. Quest’anno ha ottenuto che il Gran Giro d’Italia passasse da Santa Maria di Sala. Quali vantaggi ci saranno per la sua città? Il Giro d’Italia arriverà dalla montagna di Valdaora (Dobbiaco) a Santa Maria di Sala. È un evento storico che ci vedrà impegnati tantissimo, creando molte aspettative ed entusiasmo. Ci saranno novecento testate internazionali accreditate, 198 paesi collegati attraverso 18 network televisivi, più di 800 milioni di telespettatori. Col Giro, Santa Maria di Sala, sarà protagonista di uno degli spot più efficaci che un territorio possa avere dal punto di vista sportivo, commerciale e turistico. Esiste oggi un politico capace di fare il bene dell’Italia? Per ciò che riguarda il futuro politico in Italia non ho molte persone che mi piacciono. Ma prego Iddio affinché possa illuminare le menti e i cuori dei nostri attuali governanti, in questo contesto storico che stenta a decollare come dovrebbe e meriterebbe. Perché i suoi compaesani l’ammirano tanto? Credo che i miei compaesani mi vogliano bene perché io ne voglio a loro. Non è retorica, lo hanno capito sul serio. Quando vado in giro per le frazioni ci sono tante persone che mi abbracciano e a volte non so chi siano… ma loro hanno compreso che, in caso di bisogno, io mi faccio in quattro per aiutarli. Quali sono i suoi punti di forza? I miei punti di forza sono le mie radici, la mia famiglia, l’amore e l’amicizia sincera che ho coltivato in questi anni con questi ragazzi e ragazze straordinari che sono la mia squadra di Governo che hanno condiviso con me il sogno di cambiare il nostro Comune. Ecco un altro calabrese che è stato capace di farsi apprezzare fuori dal nostro territorio. Ecco un altro calabrese che ama e rispetta la sua terra. E forse, se iniziassimo tutti a parlare della Calabria in questi termini, renderemmo questo lembo di terra il più bello di tutti. Rosalba Topini



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cultura www.larivieraonline.com

La lezione indelebile di Totò Delfino Lo scorso 5 novembre, nell’Auditorium parrocchiale della chiesa madre di Platì, l’Associazione Culturale “Santa Pulinara” della stessa cittadina ha assegnato il premio giornalisticoletterario Antonio Delfino al nostro direttore editoriale Ilario Ammendolia

A zafrata, opera in argilla fiorentina con cui il Maestro Domenico Carteri di Ferruzzano ha contribuito alla riuscita della prima edizione del Premio Giornalistico Letterario “Antonio Delfino” organizzato dall’Associazione Santa Pulinara di Platì e consegnata al giornalista Ilario Ammendolia il 5 novembre 2018, nell’ex Cinema Loreto di Platì. MOTIVAZIONI La scelta del Professor Ilario Ammendolia tra una rosa ristretta di candidati, quale vincitore del primo Premio Antonio Delfino, non è stata influenzata dalle sue pubblicazioni o dallo stile letterario dello stesso. Abbiamo scelto di premiarlo, perché nei suoi scritti, nei suoi articoli pungenti e senza filtri Ilario Ammendolia ricorda molto da vicino il temperamento e la passione che animava Totò Delfino. Siamo andati a rileggere diversi articoli pubblicati nelle varie testate giornalistiche, comprese quelle on-line, dove la sua libertà di pensiero e di penna ci ha favorevolmente convinti della integrità morale e del grande senso di appartenenza alla nostra Terra di Calabria. Ci ha colpito uno dei più recenti pubblicato su Riviera, in cui il professore scriveva: “La legalità è un valore, solo se illuminata dalla Costituzione, intesa come Patto Sociale vincolante per tutti, altrimenti diventa una camicia di forza da fare indossare ai più deboli per renderli inoffensivi e servi”. Ammendolia con garbo giornalistico, solleva il lenzuolo per mostrarci che il Re è nudo, e lo fa per denunciare le vittime di Giustizia, battendosi per una Calabria secondo Costituzione, ergendosi a difensore dei deboli come ha fatto il compianto Totò Delfino. Totò non è morto, non si muore mai completamente. Qualsiasi riconoscimento fa piacere e tuttavia la consegna del premio “Totò Delfino” uomo, scrittore e giornalista graffiante e dissacrante rappresenta, ai miei occhi, qualcosa di particolarmente gratificante. Innanzitutto perché ricorda Totò, una persona che ho conosciuto in anni lontani quando fummo eletti entrambi consiglieri provinciali su opposti schieramenti da cui i relativi incontri e scontri in consiglio. Di Lui ricordo in particolare la voce sofferente, commossa e sincera la sera in

cui mi telefonò per farmi gli auguri in occasione della mia elezione a sindaco nel 2007 sussurrandomi una frase che è rimasta scolpita nella mia memoria. Lo ringrazio , ancora una volta, ora per allora. Poi perché mi è stato consegnato a Platì uno dei paesi che mi è particolarmente caro perché porta con se l’odore, il dolore, il sapore, le voci, le speranze, le piaghe, la cultura dell’Aspromonte. E non mi è assolutamente indifferente il fatto che gli organizzatori del premio siano persone belle, libere e disinteressate come i giovani di Platì, riuniti nell’associazione “Santa Pulinara” e che hanno dimostrato quanto intelligenza e creatività giace sotto la coltre della diffamazione generalizzata. Mi è sembrato di cogliere queste idee nella sala e nelle relazioni di Mimmo Gangemi, Paride Leporace, di Mario Nirta e degli altri presenti e intervenuti. Infine quello conferitomi non è un premio alla mia persona (non ce ne sarebbe ragione alcuna) ma a una battaglia garantista, meridionalista e libertaria che stiamo combattendo. Una battaglia minoritaria, difficile, rischiosa ma indispensabile e che non si vince se non recuperando il nostro pensiero autentico e ribelle sepolto dai massi del conformismo, del vuoto legalitarismo e della “antimafia” come alibi. Dal secondo dopoguerra, mai come oggi la libertà è a rischio e non per i patetici militanti di “Casa Pound”. Semmai il subdolo strumento repressivo sarà la “rete” del “Grande Fratello” per come profetizzato da George Orwell nel suo “1984”. Noi calabresi abbiamo un pensiero robusto alle spalle vergato da migliaia di mani di grandi intellettuali, di miseri poeti, di sconosciuti cantastorie. Un “Tesoro” costituito dalle gemme della Libertà, dell’oro della Fierezza, del gioiello della Dignità. Un patrimonio immenso ancora sepolto nelle viscere della Calabria. Non lasciamolo marcire! Scaviamo anche con le mani, e nonostante i rischi, riportiamolo alla luce. Ne abbiamo bisogno noi, ne ha bisogno la Calabria, l’Italia e l’Umanità. Considero questo premio un incoraggiamento per quanti questa difficilissima battaglia vogliono combattere e vincere. Ilario Ammendolia


Domenico Carteri, maestro raffinatissimo Lo scorso 5 novembre, nell’Auditorium parrocchiale della chiesa madre di Platì, l’Associazione Culturale Santa Pulinara della stessa cittadina ha assegnato il premio giornalistico-letterario Antonio Delfino a Ilario Ammendolia, consistente quest’anno in una creazione ceramica che rappresentava una lucertola con due code, che nel territorio della Locride sin dall’antichità era considerata un eccezionale portafortuna. Coloro che avessero avuto l’opportunità di avvistarne una, avrebbero dovuto fare di tutto per catturarla, poi infilarla in un cannolo di canna, che dopo essere stato tappato con argilla, veniva messo in un forno e lasciato dentro fino a quando non si fosse essiccato. L’astuccio di canna, contenente la lucertola a due code essiccata, sarebbe stato in grado di arrecare al possessore che l’aveva catturata, salute, benessere e una vita serena per tutta la sua esistenza. Il creatore dell’oggetto artistico che ha rappresentato il premio è stato l’artista di nascita e cultura napoletana, ma di genitori calabresi (mamma di Ferruzzano, padre di Brancaleone) è Domenico Carteri. Invitato alla serata, dove ha ascoltato le declamazioni degli estimatori del defunto Antonio Delfino, ha potuto constatare che il suo nome non era stato indicato nella Locandina di presentazione dell’evento, che non era di quelli a cui egli è abituato, ma nonostante ciò non ha stigmatizzato tale comportamento tipico dei nostri territori. A questo punto è doveroso da parte mia evidenziare la personalità e lo spessore artistico di Domenico Carteri. Diplomato all’Accademia delle Belle Arti di Napoli (il diploma all’Accademia corrisponde a una laurea), ha operato come scultore presso la fonderia “Chiurazzi” di Napoli, una delle più antiche d’Italia, e ha contribuito a costruire i calchi per le copie dei bronzi della villa dei papiri di Ercolano, coperta dalla lava nel 79 d.C. dopo l’e-

ruzione del Vesuvio, che si trovano al J. Paul Getty Museum di Malibù in California. Realizzò il “Il monumento ai caduti” della II guerra mondiale per il comune di Marano in Campania, lavorò per la Sovrintendenza Archeologica del Lazio, mentre per la Sovrintendenza Archeologica della Campania realizzò “I calchi di Pompei” per conto dell’ambasciata della Corea del Sud ed esposti a Seul. Maestro raffinatissimo di presepi napoletani, per più di un decennio operò a San Gregorio Armeno a Napoli, dove collaborò con altri maestri e vendette centinaia di pezzi che gli erano stati commissionati. Un suo personale presepe, costituito da centinaia di pezzi, usa esporlo in luoghi magici, tra cui il museo della Magna Grecia di Reggio Calabria (Natale 2016), mentre nel Natale del 2017 è

stato esposto nella cattedrale di Gerace e quest’ anno sarà in mostra in una sala del Vescovado ancora a Gerace. Maestro di mosaici, nella sua casa museo di Ferruzzano Marina, ha abbellito le pareti di cemento con queste decorazioni multicolori, ispirate alle pitture parietali e ai mosaici di Pompei. Attualmente, aderendo all’ispirazione dell’arte arcaica cicladica, sta costruendo in vetro resina i “Protogonoi” che ricalcano nello stesso tempo, la cultura greca dell’area aspromontana. Per esaltare i nostri progenitori ellenici progetterà delle mostre itineranti, dove accanto ai “Protogonoi”, saranno esposti tanti “pezzi” stupendi, frutto della sua genialità artistica. Il maestro Carteri attualmente insegna disegno e Anatomia artistica all’Accademia delle Belle Arti “Fidia“ di Vibo Valentia. Orlando Sculli

La Locride si prepara a celebrare la Giornata Mondiale del Diabete

Il 14 novembre 2018 si celebrerà la Giornata Mondiale del Diabete, evento che si rinnova dal 1991 su iniziativa dell’International Diabetes Federation (IDF) allo scopo di sensibilizzare e informare l’opinione pubblica e promosso da tutte le Società scientifiche internazionali legate alla patologia. Il tema della Giornata mondiale per il 2018 è “Famiglia e Diabete”. I messaggi chiave della campagna mirano ad aumentare la consapevolezza dell’impatto che il diabete ha sulla famiglia e a promuovere il ruolo della famiglia nella gestione, cura, prevenzione delle complicanze acute e croniche ed educazione del diabete. La peculiarità del diabete mellito tipo 1, la forma di diabete di gran lunga più frequente in età pediatrica che si cura solo con l'insulina, e la necessità di garantire l’accesso allo studio in condizioni di sicurezza per il bambino/ragazzo/giovane con diabete, impongono anche la necessità di una azione coordinata e perfettamente in armonia tra " Scuola e Famiglia ". La condivisione di una comune conoscenza delle problematiche inerenti la condizione diabetica in età pediatrica e l’individuazione di compiti ed obiettivi dei vari attori coinvolti, sono indispensabili per garantire le migliori condizioni per una accoglienza scolastica più vicino possibile alla “normalità” e una permanenza in ambito scolastico in condizioni di sicurezza.

In Italia sono più di 20.000 i bambini ed i ragazzi, nella fascia di età da 014 anni, affetti da questa patologia. Anche quest'anno la SIEDP - la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia pediatrica - sostiene la Giornata Mondiale del Diabete con una importante campagna di comunicazione ed informazione. In Calabria il diabete mellito tipo 1 ha un tasso di incidenza tra i più elevati, con circa 40-50 bambini che ogni anno si ammalano di questa malattia e, attualmente, sono più di 800 i bambini in cura presso i centri di diabetologia della "Rete diabetologica pediatrica calabrese". Nella Locride numerose sono le iniziative in fase di organizzazione che vedranno in queste due settimane il coinvolgimento di Comuni, Scuole e Associazioni di volontariato per sensibilizzare e informare l'opinione pubblica. Tra gli appuntamenti già programmati dalla Associazione Giovani con Diabete della Locride, organizzati in collaborazione con le Amministrazioni Comunali e le Istituzioni scolastiche, vi saranno manifestazioni in Piazza, con attività di informazione e sensibilizzazione, screening gratuiti per la valutazione del rischio diabete, incontri nelle scuole riservati agli studenti ed agli insegnanti, eventi ludico-sportivi, illuminazione simbolica di colore blu di alcuni degli edifici e dei monumenti più belli del territorio.

Toto Delfino, la penna dell’Aspromonte Una mattina sono in redazione, suonano alla porta, apro e vedo un signore che mi guarda sorridendo e mi chiede “il Corriere della Sera?”. Io rimango sorpreso e non riesco a reagire, lui immediatamente mi dice: “Ero venuto a cercare un posto per le pulizie”. In questo modo ho conosciuto Toto Delfino, un degno scrittore e persona che mi ha voluto bene. Certo, sono fortunato, questo me lo ripeto per non dimenticarlo; ho avuto molte persone che hanno migliorato la mia formazione e crescita professionale. Toto Delfino è stata una di queste persone. Ricordo le prime volte che veniva a trovarci era sempre sorridente e strafottente. Sapeva che al nostro giornale piaceva pubblicare gli articoli scritti bene, e lui sapeva scrivere bene. Ci faceva soffrire, perché veniva durante la settimana, parlavamo di quello che si preparava per l’uscita della domenica, ci riempiva di dubbi e poi ci faceva attendere fino a tarda sera il suo pezzo. All’epoca mandavamo in stampa il sabato pomeriggio e chiudevamo le pagine il venerdì notte, verso le undici. A mezzanotte sentivamo squillare il fax, era l’articolo di Totò. Tremila battute quasi precise che riempivano le nostre menti di contenuti e sicurezza di avere migliorato il giornale anche quella settimana. Ricordo l’emozione nel leggere il pezzo di Totò che poi

andava riscritto, alcune volte si faceva a gare per leggerlo per prima. Ricordo questi episodi come tra i più esaltanti dell’avventura della Riviera. Lui era un tipo che parlava al telefono con Vittorio Feltri, aveva scritto la storia della nostra regione per giornali che erano giornali, negli anni d’oro del “Tempo” guidato da Gianni Letta lui era il corrispondente di punta, come per l’Europeo e il Giornale, aveva avuto direttori come Montanelli, è stato testimone di fatti storici del nostro territorio. Ricordo ancora quando ci fece vedere i servizi e e le foto del ritrovamento dei Bronzi di Riace, oppure il suo archivio unico sulla stagione dei sequestri di persona. Per noi era uno da ascoltare e riascoltare senza fine. Molto ci ha dato e molto ci ha insegnato. Sicuramente tra i tanti “grandi” che hanno scritto su questo giornale, Totò e stato tra i più grandi. Forse il numero uno sulla scrittura di tremila battute. Ricordo, infine, che abbiamo pubblicato una sua rubrica che era stata pubblicata dieci anni prima sul "Tempo” che raccontava in breve i fatti di Calabria, rubrica che dopo dieci anni manteneva uno stile attualissimo. Per molti Delfino è stato un grande scrittore, fotografo e giornalista, per me è stato sicuramente un maestro di vita e di giornalismo. Rosario Vladimir Condarcuri

ROCCELLA

Conclusa con successo la seconda edizione del "Palazzo del Gusto" Si è tenuta al Castello Carafa di Roccella Ionica la seconda edizione del “Palazzo del Gusto”, l’evento organizzato dall’Associazione “Pro Loco Roccella e Sviluppo” in collaborazione con Confindustria, Confagricoltura, Biosferia, GAL “Terre Locridee” e Fondazione Italiana Sommelier. Le aziende che hanno preso parte all’evento hanno consentito agli ospiti di degustare le eccellenze culinarie calabresi, in un’ottica di coinvolgimento allo sviluppo e alla crescita del settore agroalimentare. "Un grazie particolare - scrive l'associazione va ad ognuno dei ragazzi della Pro Loco che con dedizione, spirito di iniziativa, voglia di fare, e anche sacrificio hanno contribuito nella realizzazione e nella riuscita della manifestazione. Grazie ragazzi, perché ognuno di voi ha contribuito nella splendida riuscita. Grazie

ragazzi, perché ognuno di voi è la spalla destra dell’altro. Grazie ragazzi, perché insieme a voi ogni problema diventa una sfida che riusciamo sempre a superare. Grazie ragazzi, perché ci mettete il vostro cuore per far crescere il nostro paese. Grazie ragazzi, perché Roccella siamo anche noi! Ci rivediamo tutti, e anche più numerosi il prossimo anno!"



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Arte&co

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Mastro Michele: un uomo che ha saputo trasformare il suo mestiere in arte. L’artigiano di Roccella racconta la sua vita tra bottega e famiglia. Quando “fare le scarpe a qualcuno” significava davvero qualcosa.

“IL MEDICO DELLE SCARPE SONO IO!

IO SO COME DEVONO CAMMINARE LE SCARPE” Ho conosciuto Mastro Michele nei racconti di mio nonno, anche lui un vecchio mastro barbiere, che mi parlava di come si viveva dopo la guerra nel nostro paese, quando tutti i ragazzini andavano ad imparare un mestiere che per tanti di loro sarebbe diventato lavoro. Nei racconti emergeva un quadro sociale integro, fatto di rispetto e stima reciproca, nonché collaborazione e condivisione dei problemi di tutti i giorni. Come ha iniziato a fare il calzolaio? E chi n’daju u cuntu! Una volta i genitori si preoccupavano dei figli fin da piccoli perché non tutti potevano andare a scuola e quindi tanti bambini cominciavano ad imparare un mestiere già dalla piu tenera età. A mia sorella piaceva studiare ed è diventata professoressa, mio fratello lavorava, poi c’ero io. A scuola non andavo bene, studiavo poco ed ero bravo solo in matematica. Per questo motivo, mio padre, preoccupato per me, chiese a Mastru Tommaso Romano se potevo diventare suo discepolo. Così all’età di nove anni preparai u bancareju che ancora conservo, e iniziai a lavorare nella sua bottega insieme ad altri bambini: la mattina studiavo e il pomeriggio imparavo il mestiere. Quando finii la scuola dedicai tutto il mio tempo al lavoro. Noi ragazzi facevamo anche le consegne ai clienti con la speranza di recuperare qualche lira da mettere nel caruseju che rompevamo a Natale o a Pasqua per dividerci i soldi raccolti. Una volta ottenuta la fiducia del Mastru, diventai u capu mastru di fijjoli, gestivo tutto io, sia i discipuli che le faccende del negozio. Restai con lui per 18 anni, fino a quando non ero pronto per aprire un’attività tutta mia. Nel 1958, all’età di 25 anni, mi sistemai nel magazzino di mio padre e iniziai a lavorare con i miei discepoli. Comprai le forme per ogni tipo di piede, per bambini, per uomo e per donna con tacco alto e con tacco basso. C’era tanto lavoro durante il giorno, tanto che le tomaie che i discepoli non riuscivano a completare, dovevo portarle a casa per finirle di sera. In estate non lavoravo molto, ma quando arrivava il freddo e le prime piogge, i clienti portavano le scarpe da riparare in vista della brutta stagione. Per chi erano le scarpe che faceva? Facevo scarpe per ogni tipo di piede, per chi aveva calli, dita storte o cipolle, il piede più grosso o più corto. Prendevo le misure con il centimetro e modellavo le scarpe per come era necessario, a volte anche tagliandole in punta per fare uscire qualche dito fuori. Mi dedicavo alle scarpette per i bambini piccoli, facendole alte alla caviglia per aiutarli a camminare bene e a non prendere storte. Oggi invece in molti hanno problemi ai piedi perché usano scarpe belle, ma non comode. Utilizzavo principalmente camoscio o pelle per fare mocassini o scarpe allacciate per tutti i giorni, o per la campagna con gli attacci. Insomma scarpe di tutti i tipi, che costavano intorno alle 70/80 lire, meravigliando per prezzi così bassi chi veniva da fuori. Ricordo di aver fatto dei mocassini con un taglio particolare per un medico di Monasterace e le scarpe per la cerimonia del passaggio di grado del Prete Cappelleri di Roccella. Il materiale che utilizzavo per le scarpe me lo portavano da Messina o da Catania. Quando scuoiavano un bue, dividevano u coriu in due parti, con quella di sopra che era più sottile facevano la pelle, con quella di sotto, più rigida, facevano il cuoio. La pelle era fornita a rotoli e si pagava a

Dall’alto, Mastro Michele da giovane nella sua bottega; con i suoi discepoli; dopo una battuta di pesca; Mastru Tommaso Romano.

peso. Si ricorda qualche richiesta particolare? Mo ti cuntu nu fattu curiusu: Una volta mi capitò di dover rialzare una scarpa di 4 centimetri per un signore che aveva l’altra gamba ingessata. Quando il lavoro era pronto e avevo accuratamente preparato il tacco con le tavolette di sughero, livellandole in modo da favorire la camminata, il cliente venne a ritirare la scarpa, con l’intenzione di farla vedere al medico per un parere. Dopo qualche giorno ritornò, sostenendo che il medico non approvava il lavoro fatto. Io risposi “u medicu di scarpi sugnu eu, eu sacciu comu n’dannu u caminanu i scarpi”. Non tornau! Cosa avrebbe fatto se non fosse diventato calzolaio? Non so cosa sarei diventato. Ho fatto il calzolaio sin da bambino e ho sempre amato e svolto con passione il mio lavoro, non pensando a un’alternativa. Il mio mestiere mi è sempre piaciuto e mi sono sempre sentito gratificato nell’accontentare al meglio le richieste dei clienti. Quali altri interessi conserva? Ho imparato a suonare il clarinetto perché il Comune portava a Roccella i maestri di musica che ci insegnavano prima il solfeggio e poi le armonie. Quando siamo diventati bravi, abbiamo iniziato a suonare nella banda del paese; eravamo tutti ragazzi che lavoravamo, insomma una banda di artigiani. Ma la mia più grande passione è la pesca. Quando ero ragazzo andavamo a pescare quasi tutti i giorni, scavavamo per cercare i vermi e, quando ne avevamo abbastanza, andavamo a gaioleji. Mi ricordo che una volta prendemmo una cernia di oltre 50 kg cu consu, e festeggiammo pe na settimana. Per un paio di anni pescavo dalla via Marina perché il mare aveva portato via la spiaggia e le onde battevano sul muro del lungomare. Sistemavo le canne da pesca e mi mettevo a lavorare in un piccolo laboratorio dall’altra parte della strada. Quando vedevo

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le canne che si muovevano, lasciavo il lavoro e correvo a tirare i pesci. Tutt’ora quando è una bella giornata esco in barca, ma no cu friddu ca sinnò cadu malatu, e poi chi fazzu a casa? È valsa la pena fare tutti questi sacrifici? Lavoravo dalle 7 di mattina fino alle 9:30-10 di sera; quando c’era luce lavoravamo fuori, e nei primi tempi, prima che arrivasse l’energia elettrica, quando era buio usavamo le candele. Ho fatto tanti sacrifici, ma sono soddisfatto della mia vita. Sono riuscito a portare avanti la famiglia, permettendo ai miei figli di laurearsi e ho condotto sempre una vita dignitosa. Questa è la mia più grande soddisfazione. Che prospettive ha questo lavoro nella nostra epoca? Una volta a Roccella eravamo 50/60 artigiani e ognuno di noi aveva un magazzino con 5 o 6 giovani discepoli, perché insegnare ai bambini è molto più semplice, apprendono in fretta. Tutti i ragazzini dovevano trovare un mestiere da imparare: chi andava dal barbiere, chi dal falegname, chi dal mastru custureri e chi dal forgiaro, tutti facevano qualcosa. Anche io avevo tanti discepoli alcuni dei quali, nonostante fossero diventati bravi, oggi fanno tutt’altro, perché questo mestiere non basta pe campari. Oggi non ci sono più i scarpari di una volta e chi fa ancora questo antico mestiere, si limita a piccole riparazioni, tacchi, qualche bottone o cerniera. Inoltre il mercato è cambiato, le scarpe sono scadenti e costano poco, per cui i clienti preferiscono comprarne un paio nuovo piuttosto che pagare una riparazione. Il piccolo artigianato purtroppo è finito, specialmente nelle realtà locali. Io ho vissuto sulla mia pelle, negli ultimi 25-30 anni, questo grande cambiamento che è figlio di un progresso che non ha sempre migliorato le nostre condizioni di vita e che ha costretto tanti giovani a cercare lavoro altrove, impoverendo questa nostra terra. Giorgia Coluccio

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O P O C S L’ORO Un pranzo in famiglia Mimmo Cavallaro, con Claudia Andreatti di Rai 2, fa le prove per la trasmissione “Mezzogiorno in Famiglia” che, dopo ieri mattina, anche oggi sarà in diretta dalla nostra bellissima Caulonia trasmettendo sulla Tv nazionale un’immagine migliore della Locride.

Senza lasciar passare le calorie Massimo Taibi (ex portiere del Milan e della Reggina), posa assieme a Vittorio Micelotta e a Salvatore Agostino dopo aver provato con la massima soddisfazione la cucina offerta da un noto locale di Roccella Jonica!

Ariete Beneficerete degli influssi positivi del trigono di Giove, soprattutto se siete nati nella prima decade del vostro segno. Vi aspetta comunque una settimana positiva: anche se in amore dovrete tribolare, infatti, vedrete netti miglioramenti sul lavoro.

Toro Vivrete finalmente giornate migliori rispetto a quelle del recente passato. Recuperata finalmente una generale armonia, cercate di ritagliarvi del tempo da dedicare a voi stessi e date finalmente le attenzioni che meritano alla famiglia e al partner. Gemelli Settimana senza grossi scossoni, in cui riuscirete a prendervi il tempo necessario a risolvere ogni piccolo imprevisto. Molto bene l’amore, soprattutto se manterrete la lucidità necessaria a non provocare il partner: potreste restare vittima di gelosia.

Lettore attento Pierpaolo Bombardieri della direzione generale della UIL ci ha rivelato di seguirci sempre, anche se dalla sua distante dimora romana, posa assieme all’ex consigliere di Marina di Gioiosa Raffaele Gennaro, dopo essersi ritrovati nella Locride.

Rassegnati Domenico Vestito e Francesco Macrì, entrambi ex sindaci di Marina di Gioiosa Ionica, assumono posa plastica dinanzi al nostro fotografo mentre ascoltano con orecchio distratto la presentazione del libro di Tommaso Labate della scorsa settimana nel nostro comprensorio.

Vergine Sarà una settimana di grosse difficoltà sul lavoro. Sarete meno concentrati e vi stresserete facilmente. Alcune cose proprio non vi saranno chiare e non riuscirete a mandare giù l’atteggiamento che terranno alcuni colleghi non solo nei vostri confronti.

Arbitri di spessore Anselmo Scaramuzzino e Francesco Carbone, posano ai lati del fischietto di serie A Maurizio Mariano, venuto nella Locride per partecipare a un incontro di formazione con i fischietti del nostro comprensorio.

Il caffè della pace Dopo aver discusso animatamente durante il Consiglio Comunale di Locri, il consigliere di minoranza Vincenzo Carabetta si avvicina al vicesindaco Raffaele Sainato per orffrirgli un caffè della pace.

Cancro Vivrete un’insoddisfazione della quale nemmeno voi sarete del tutto in grado di individuare la causa. Se non siete contenti del vostro rapporto d’amore parlatene al partner, ma la cotta per una persona conosciuta da poco potrebbe mescolare le carte. Leone Farete sentire forte e chiaro il vostro “ruggito”. La vostra caparbietà vi permetterà infatti di ottenere i riconoscimenti a lungo desiderati sul lavoro e vi permetterà di concludere finalmente un ottimo affare che vi farà guadagnare abbastanza bene.

Bilancia Vivrete una settimana particolarmente serena, durante la quale sarete molto corteggiati e riceverete una bella dichiarazione d’amore da una persona che non vi è del tutto indifferente. Non siate timidi: potrebbe essere l’inizio di una relazione importante.

Dialogo amicale Il presidente del GAL “Terre Locridee” Francesco Macrì, il sindaco di Roccella Jonica Giuseppe Certomà, il presidente della Pro Loco di Roccella Pietro Riitano e il presidente di Confindustria Giuseppe Nucera si intrattengono al termine di un incontro al castello.

Scorpione I nati della terza decade saranno più coinvolti dalla quadratura di Marte che li renderà agitati, nervosi e vendicativi. Per gli altri ci sarà un miglioramento generale e un aumento di fascino che permetterà loro di essere al centro dell’attenzione. Sagittario Sarà una settimana produttiva. Riuscirete infatti a intrecciare fortunati contatti con l’estero che vi potrebbero permettere di intrecciare emozionanti storie sentimentali, ma anche interessantissime collaborazioni lavorative. Non perdete l’occasione! Capricorno Preparatevi ad affrontare una settimana molto turbolenta, soprattutto sul fronte dei rapporti d’amore. Vi scontrerete infatti quasi su ogni cosa per questione di gusti e abitudini diverse, ma vorrete restare legati per la forte attrazione fisica.

Nozze veramente d’oro A Carmela Ferraro e Domenico Panaia, una mamma e un papà che festeggiano un anniversario davvero d’oro, ringraziandoli di averci insegnato in 50 anni di matrimonio cosa significa volersi bene. Le tue figlie

Piccoli grandi uomini A Platì abbiamo incontrato due cittadini dei paesi confinanti e, allo stesso tempo, due immensi scrittori: il grande ma basso Mario Nirta da San Luca e Mimmo Gangemi, da Santa Cristina d’Aspromonte.

Acquario Urano in sestile potrebbe portarvi occasioni lavorative o sentimentali interessanti quanto improvvise e la vostra vita potrebbe davvero cambiare in meglio. Siate pronti a cogliere l’attimo. Anche la presenza di Giove vi sarà di grandissimo supporto. Pesci State vivendo un periodo sottotono. Giove è negativo e avrete meno possibilità di realizzare i vostri progetti. Perciò non perdetevi d’animo e rimboccatevi le maniche, perché ci sarà da faticare molto e impegnarsi di più per raggiungere ogni obiettivo.




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