Distretto, vetro e progetto di Laura Pison Silvia Orsetta Rocchetto
UniversitĂ Iuav di Venezia Corso di Laurea Magistrale in Disegno Industriale del Prodotto Tesi di Laurea Magistrale di Laura Pison e Silvia Orsetta Rocchetto
Relatore Alberto Bassi
Correlatori Massimo Barbierato Fiorella Bulegato Michele Zannoni
Testi, fotografie, grafica e impaginazione Laura Pison e Silvia Orsetta Rocchetto
Stampato il 13/03/2013
Questo volume è stato stampato in carattere ITC Slimbach Std Titillium Text 22L con i programmi Adobe Mastersuite CS5 su Macintosh
Distretto, vetro e progetto di Laura Pison Silvia Orsetta Rocchetto
indice
0. Introduzione
9
1.
Distretti italiani
11
1.1.
Distretti produttivi: il caso italiano
13
1.1.1. La struttura produttiva italiana nel dopoguerra | 1.1.2. Caratteristiche
dei distretti | 1.1.3. Tipologie distrettuali | 1.1.4. Progetto e distretto: il caso
della Brianza
1.2.
I distretti produttivi contemporanei
trasformazioni del “sistema� design | 1.2.3. L’evoluzione delle politiche per i
distretti produttivi | 1.2.4. Le forme distrettuali attuali
2.
Il distretto del vetro artistico di Murano
55
2.1.
Il distretto di Murano
57
2.1.1. Murano è un distretto | 2.1.2 Breve storia del progetto del vetro
2.2.
Il processo del vetro di Murano
2.2.1 Le aziende e il progetto oggi | 2.2.2. Composizione del vetro e le materie
prime | 2.2.3. La fornace: attrezzatture e fasi di lavorazione | 2.2.4.
Organizzazione del lavoro | 2.2.5. Distribuzione e comunicazione
2.3.
I numeri di Murano
2.3.3. Dati demografici | 2.3.4. Dati relativi al turismo | 2.3.5. Dati relativi
alla logistica
33
1.2.1. Cambiamenti dello scenario economico e produttivo | 1.2.2. Le
2.3.1. Dati relativi alla produzione | 2.3.2 Dati relativi alla distribuzione |
85
3.
Aziende e design oggi. Segnali di vita del distretto
3.1. Salviati
3.1.1.Azienda Salviati | 3.1.2. Introduzione storica | 3.1.3. Strategia
dell’azienda | 3.1.4. Rapporto con il progetto | 3.1.5. Intervista con Dario
Stellon, Project Manager della azienda Salviati
3.2. Barovier&Toso
107 119
129
3.2.1. Azienda Barovier&Toso | 3.2.2. Introduzione storica | 3.2.3. Strategia
dell’azienda | 3.2.4. Rapporto con il progetto | 3.2.5. Intervista con Massimo
Bovi, Corporate Communication Manager della Barovier&Toso
3.3.
Marina e Susanna Sent
3.3.1. Azienda Marina e Susanna Sent | 3.3.2. Introduzione storica | 3.3.3.
Strategia dell’azienda | 3.3.4. Rapporto con il progetto | 3.3.5. Intervista con
Susanna Sent, Amministratore di Marina e Susanna Sent S.r.l.
4.
Le istituzioni del distretto
149
4.1.
Le istituzioni di Murano
151
4.1.1. Il museo del vetro di Murano, origini e storia | 4.1.2. Il progetto del
Museo del Vetro oggi | 4.1.3. Musei e archivi delle imprese | 4.1.4. Fondazione
Cini, un grande archivio
4.2.
Ricerca e formazione
4.2.1. La formazione del vetrai: la scuola del vetro Abate Zanetti | 4.2.2.
La formazione dei progettisti. Una situazione storica. IVL e il Corso per
disegnatori industriali | 4.2.3. La Stazione Sperimentale
4.3.
La promozione del vetro
4.3.1. La promozione culturale | 4.3.2. Tutela e promozione commerciale
5.
Un nuovo scenario per Murano
185
5.1.
Il design incontra il distretto
187
5.1.1. Le caratteristiche che determinano un distretto funzionante | 5.1.2.
Considerazioni a proposito del distretto di Murano | 5.1.3. Ipotesi per un
nuovo distretto del vetro di Murano
Bibliografia
139
167
175
203
Sitografia
213
215
Fonte delle immagini
Introduzione
0
Gli obiettivi di questa tesi sono quelli di analizzare le criticità del distretto produttivo del vetro artistico di Murano, comprenderne i punti deboli ed infine dimostrare come la cultura del progetto può intervenire per valorizzare e rivitalizzare una produzione artigianale come quella secolare del vetro. Ciò deve avvenire mediante la riattivazione del dialogo, oggi pressoché inesistente, tra il pensiero progettuale e il saper fare artigianale. Sulla base degli studi condotti a proposito delle teorie distrettuali contemporanee si può affermare che l’isola di Murano possiede gli elementi necessari per funzionare come distretto produttivo. Il grande numero di piccole aziende, la manodopera qualificata, le dimensioni ridotte del territorio e la sua posizione favorevole rispetto all’isola di Venezia, la presenza di università di progetto e ricerca Iuav e della scuola del vetro Abate Zanetti, il museo e la stazione sperimentale sono tutte condizioni positive che consentirebbero il buon funzionamento della struttura distrettuale. Nella storia del vetro di Murano si incontrano diversi momenti positivi che dimostrano un effettivo funzionamento del sistema, quando imprenditori, progettisti e artigiani collaborano nella realizzazione di progetti sperimentali e le istituzioni, allo stesso tempo, sono in grado di valorizzare la cultura del progetto presente nelle produzioni del tempo. Ciò che è mancato e che manca tutt’oggi è il “mettere a sistema” gli elementi sopra elencati al fine di recuperare l’identità del comprato e valorizzare il progetto del vetro, superando la condizione attuale di totale chiusura e isolamento. Questa non può certo essere una strada ancora percorribile piuttosto è necessario mettere in comunicazione le diverse realtà produttive attraverso il progetto. L’ipotesi progettuale per la riattivazione del sistema produttivo del vetro di Murano prevede la ricollocazione, in base alle loro competenze, delle diverse aziende presenti nel territorio in unico luogo condiviso che gestisce sia il settore produttivo, sia quello comunicativo-distributivo. Si tratta di un luogo fisico che permette l’interazione tra tutti gli attori che sono coinvolti nella sperimentazione, progettazione, produzione, vendita e comunicazione del vetro. Per fare questo è stato necessario approfondire le teorie economiche relative ai distretti italiani e identificare la tipologia distrettuale a cui Murano appartiene. In seguito si è indagata la storia del progetto del vetro individuando i periodi storici in cui il contributo dei progettisti ha determinato il successo di alcune esperienze imprenditoriali. Per sviluppare la prima fase di analisi ci si è serviti di testi economici e volumi che trattano la storia del vetro di Murano. Per quanto riguarda la fase progettuale sono state fondamentali le testimonianze orali degli imprenditori e delle istituzioni del vetro che hanno confermato la necessità di trovare un nuova direzione comune per la rivalutazione del comparto.
9
1
Distretti italiani
«Il distretto è un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali». Giacomo Becattini
11
1.1 Distretti produttivi: il caso italiano
1.1.1. La struttura produttiva italiana nel dopoguerra Il miracolo industriale italiano interessa gli anni tra il cinquanta e i primi anni settanta del Novecento, periodo in cui le grandi imprese del triangolo Milano-Torino-Genova producono innovazioni di grande portata, nonostante sul territorio italiano il loro numero sia decisamente limitato1. La crescita di queste grandi imprese, come Fiat, Pirelli o Olivetti ad esempio, in termini di dimensioni, di capacità produttive e conoscenze tecnologiche, è resa possibile da una serie di condizioni che si verificano nel dopoguerra con il processo di ricostruzione al quale contribuiscono le risorse finanziarie ottenute grazie agli aiuti del piano Marshall2. Esse consentono alle imprese di attuare un percorso di sperimentazione, provocando un aumento di interesse per i prodotti italiani da parte della domanda estera e l’espansione del consumo interno in seguito alla crescita del reddito pro capite. Oltre ai fattori economici se ne ritrovano altri, altrettanto importanti, come la scoperta di nuovi materiali, l’utilizzo di nuove fonti energetiche, la costruzione di infrastrutture e la messa in atto di processi produttivi inediti ai quali viene applicato su scala globale il modello fordista, per la realizzazione di prodotti destinati al consumo delle masse3. Uno degli aspetti indagati in misura minore dagli economisti rispetto ai tradizionali fattori economici che contribuiscono al successo della realtà produttive italiane di quegli anni è certamente l’apporto dato dal design. All’interno della grande impresa italiana vi è una particolare attenzione per la ricerca e il disegno industriale che diventa il motore di una vera e propria innovazione. Attenzione confermata dal premio Nobel assegnato a Giulio Natta nel 1963 per l’invenzione del polimero polipropilene isotattico4 commercializzato dall’azienda Montecatini
1. Fulvio Coltorti, Le trasformazioni delle imprese italiane, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006, pp. 5-16. 2. A proposito del Piano Marshall cfr. a titolo orientativo, i volumi Elena Aga Rossi (a cura di), Il piano Marshall e l'Europa, Ed. Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1983; Gianfranco Bianchi, Piano Marshall, politica atlantica, europeismo, Servizio Librario dell'Opera universitaria, Università Cattolica, Milano 1979; Mauro Campus, L'Italia, gli Stati Uniti e il piano Marshall, 1947-1951, Editori Laterza, Roma 2008. 3. Fulvio Coltorti, Le trasformazioni delle imprese italiane, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006, pp. 5-16. 4. Il polipropilene isotattico è un polimero caratterizzato da un elevato carico di rottura, una bassa densità, una buona resistenza alle alte temperature e alle abrasioni. Per approfondimenti sul materiale plastico consultare il manuale di Del Curto Barbara, Materiali per il design. Introduzione ai materiali e alle loro proprietà, CEA, Milano 2008.
13
Distretti italiani 14
e utilizzato dai designer italiani per la progettazione di prodotti che interpretano il loro tempo. Maurizio Vitta nel libro Il progetto della bellezza scrive dell’Italia del dopoguerra: “[…] si dimostrò ansiosa di affermare il suo diritto al benessere, e fuse in un’eterogenea visione il rinnovamento politico e sociale con quello economico e culturale”5. Nel periodo postbellico infatti la struttura delle famiglie italiane subisce una metamorfosi che porta alla nascita di nuovi bisogni. A interpretare e testimoniare periodicamente tale cambiamento è la Triennale di Milano che nel 1947 “diede al concetto di ricostruzione un preciso significato ideologico: essa volle essere non un bilancio del gusto, ma un catalogo di oggetti utili, un inventario di principi chiari, di programmi onesti”6. Si conferma dunque in questo periodo una vera e propria evoluzione dei processi produttivi: il progetto non può solo intervenire a prodotto finito, in qualità di abbellimento, ma deve essere integrato nell’intero sistema. Cruciale nel successo delle aziende italiane è il contributo del design “deciso a portare nelle cose le ragioni della logica costruttiva e utilitaristica e vanificare ogni possibile compromesso con la vecchia nozione di ornamento”7. Sono dunque questi gli anni di fervore della grande industria italiana che, attraverso la produzione di oggetti funzionali e sofisticati, garantisce la centralità del design nel processo produttivo, mettendone in risalto le grandi potenzialità. Sono questi gli anni di Olivetti e Pirelli, due imprese che si dimostrano perfettamente in grado di interpretare i nuovi materiali attraverso una cultura progettuale e industriale avanzatissima. Olivetti si proietta su un orizzonte di elevata modernità grazie alla raffinatezza dei suoi prodotti caratterizzati da un corpo tecnico e da una forma progettata che si uniscono ad una forte progettazione della comunicazione pubblicitaria. Lo sviluppo del design in Italia trova nelle grandi imprese un potente alleato, come nel caso della Pirelli, che si serve del progetto per “[…] realizzarsi in differenti espressioni creative, dal product all’exhibition, fino al visual design, dalla comunicazione editoriale fino al sostegno della ricerca artistica e culturale”8. Il connubio tra l’investimento sulla ricerca tecnica e l’approccio progettuale moderno consolida il rapporto tra il designer e l’impresa e dà vita ad una produzione caratterizzata dalla relazione tra forma e tecnica. Si assiste all’evoluzione e all’integrazione di una figura cruciale all’interno dei processi produttivi italiani a partire dagli anni cinquanta nelle grandi e, negli anni settanta nelle piccole e medie imprese. L’economista Fulvio Coltorti individua negli inizi del decennio settanta la crisi del sistema basato sulla grande industria: le motivazioni, secondo lo studioso, sono da ricercarsi in una serie di errate azioni politiche rispetto ad un contesto industriale che doveva confrontarsi
5. Maurizio Vitta, Il progetto della bellezza, Einaudi, Milano 2001, cit., p. 228. 6. Ibidem, cit., p. 228. 7. Ibidem, cit., p. 250. 8. Alberto Bassi, Il caso Pirelli: un flessibile contributo al design italiano, in “Casabella”, 671, ottobre 1999, cit., pp. 20-24.
con un mercato internazionale in espansione nel momento dei primi grandi rincari dell’energia nel biennio 1973-1974 e 1979-19809. La quota di reddito generata dalle grandi imprese inizia a calare vertiginosamente; a riguardo scrivono fonti autorevoli come Giacomo Becattini e Fulvio Coltorti che ne rilevano la decrescita del valore aggiunto: dal 45% del 1971 al 41% del 1981 e in seguito al declino delle grandi imprese si verifica una riduzione degli occupati pari a oltre il 40% tra il 1980 e il 200010. Secondo Coltorti, analogamente ad altri economisti, la formazione di agglomerazioni territoriali di piccole e medie imprese, i distretti industriali, è dovuta all’incepparsi del sistema produttivo italiano legato alla grande impresa. L’Italia produttiva che non appartiene al triangolo Milano-Torino-Genova si identifica dunque con un altro modello produttivo basato sulle filiere flessibili di imprese piccole e specializzate nella produzione di beni tradizionali legati ai quattro settori Arredo-casa, Abbigliamento-moda, Alimentare e Automazionemeccanica. Benché diversi studiosi collochino la nascita dei distretti industriali nel periodo successivo ai cedimenti della grande impresa, come precisa l’economista Maurizio Mistri11, il fenomeno delle aggregazioni territoriali delle piccole e medie imprese è attivo già da diverso tempo (nei casi con una forte connotazione artigianale addirittura da qualche secolo, come il distretto del vetro artistico di Murano). Il mancato riconoscimento di questa forma produttiva è dovuta ad una forte propensione del mondo politico tra gli anni cinquanta e settanta a ricondurre lo sviluppo economico alla crescita delle grandi imprese concentrate all’interno di quelli che vengono chiamati poli di sviluppo. Il Nord-est e il Centro Italia trovano nella tradizione produttiva legata al territorio la via per uscire dal sottosviluppo e i distretti industriali si espandono fino a raggiungere nel 1996 una quota di valore aggiunto che equivale a quella delle grandi imprese con la differenza che il sistema di piccole e medie imprese occupa un maggior numero di lavoratori, assicura un flusso più costante di esportazione rispetto alle grandi imprese e, in alcuni casi, si va a sostituire a queste ultime12. La produzione che caratterizza l’Italia degli anni settanta si differenzia dal resto delle produzioni mondiali grazie al rapporto che le imprese instaurano con i progettisti che apportano un elemento strategico distintivo non soltanto ad ogni singola azienda ma all’intero sistema dei distretti produttivi. A tal proposito è interessante riportare la distinzione che fa Tomàs
9. Fulvio Coltorti, Le trasformazioni delle imprese italiane, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006, pp. 5-16. 10. Giacomo Becattini e Fulvio Coltorti, Aree di grande impresa ed aree distrettuali nello sviluppo post-bellico dell’Italia, un’esplorazione preliminare, in “Rivista italiana degli economisti”, supplemento n.1, aprile 2004. 11. Maurizio Mistri, Il distretto industriale marshalliano tra cognizione e istituzioni, Carocci, Roma 2006. 12. Fulvio Coltorti, Le trasformazioni delle imprese italiane, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006, pp. 5-16.
15
Distretti italiani
Maldonado nel 1985 a proposito delle tre fasi dell’evoluzione della figura del progettista-designer. “Durante la prima fase il disegnatore era costruttore, inventore, progettista. […] Nella seconda fase il disegnatore era artista […]. Nel terzo periodo, il disegnatore sarà coordinatore”13. Nell’Italia moderna si assiste dunque al passaggio da un modello produttivo che prevede l’esistenza di un’unica figura di ideatore e realizzatore ad un altro modello caratterizzato dalla presenza di un nuovo approccio al progetto, basato sul rapporto con la figura duttile del designer quale consulente di azienda, che caratterizza i casi migliori di quel periodo. Il rapporto dialettico in cui si confrontano saperi differenti trova la sua sintesi nella produzione dell’oggetto.
1.1.2. Caratteristiche dei distretti
16
Il primo economista a teorizzare il modello distrettuale è Alfred Marshall (1842-1924). Avvia i suoi studi riferendosi ad una realtà esistente, quella di Lancashire e Sheffield che nel 191914 rappresenta come il migliore esempio di organizzazione concentrata sia stata raggiunta attraverso processi di aggregazione di tipo spontaneo. Marshall riconosce all’interno delle realtà distrettuali la presenza di un fattore determinante: quello della condivisione della conoscenza. Infatti secondo l’economista, il coordinamento che avviene tra i soggetti che operano su un territorio specifico si basa sul rapporto che esiste tra le modalità organizzative del distretto ma, in primo luogo, sulle conoscenze condivise tra gli agenti stessi15. La conoscenza collettiva all’interno di un distretto si forma attraverso la condivisione di competenze individuali, e soprattutto parcellizzate e specializzate, che si verifica nel momento in cui i portatori delle conoscenze sono messi in contatto. “L’interazione tra gli agenti che operano nel distretto industriale rende possibile uno spontaneo e automatico coordinamento delle azioni degli agenti stessi che appaiono in grado di fondere organicamente in modo automatico i diversi rami specializzati di industria”16. Il saper fare dei lavoratori, presenti all’interno delle diverse aree produttive, è dunque il veicolo delle conoscenze che determinano il successo dei distretti produttivi. Le reti, delle relazioni produttive e delle relazioni sociali e culturali, si condizionano a vicenda, per questo motivo le
13 . Tomàs Maldonado, Disegno e le nuove prospettive industriali, testo di una conferenza tenuta nella Expo ’58 di Bruxelles, cit. Maurizio Vitta, Il progetto della bellezza, Einaudi, Milano 2001, cit., p. 254. 14. A proposito dei distretti di Lancashire e Sheffield studiati da Marshall si veda il volume Maurizio Mistri, Il distretto industriale marshalliano tra cognizione e istituzioni, Carocci, Roma 2006 par. 1.2. 15. Maurizio Mistri, Il distretto industriale marshalliano tra cognizione e istituzioni, Carocci, Roma 2006. 16. Ibidem, cit., par. 1.2.
caratteristiche culturali di un luogo tendono ad influenzare lo sviluppo del distretto stesso. All’interno di un’area territoriale ristretta ogni realtà produttiva è stimolata dalle altre presenti sullo stesso territorio e interessate nell’impegno di condurre nuovi esperimenti ed iniziative. Secondo l’interpretazione marshalliana, l’area produttiva deve avere due prerogative che assicurano una forma organizzativa di tipo distrettuale che dimostri vantaggi competitivi rispetto ad altre: la divisione del lavoro e la condivisione dei modelli culturali e concettuali legati a tale luogo e che hanno formato i modelli mentali e d’azione delle persone che lo vivono e che vi costruiscono un determinato tipo di conoscenza. È Giacomo Becattini, economista contemporaneo che ha dedicato gran parte della sua carriera allo studio delle agglomerazioni di piccole e medie imprese sul territorio italiano, a riscoprire il fenomeno distrettuale introdotto da Marshall ed associarlo negli anni settanta alle forme emergenti di auto-organizzazione produttiva. L’approccio di Becattini allo studio dei distretti produttivi è multidisciplinare in quanto ricorre, per spiegare il fenomeno alla sociologia, alla geografia, all’antropologia e alle scienze cognitive. Attraverso di esse elabora una delle definizioni più volte citata dagli economisti che hanno approfondito la tematica dei distretti: “[il distretto è] un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali”17. La formazione di un distretto, secondo Becattini, avviene attraverso la stipula di un patto tacito che diventa esplicito nel momento in cui lo stesso distretto si auto-riconosce. Perché un distretto si formi non è sufficiente promuovere l’imprenditorialità locale o indirizzare tutte le produzioni locali verso una medesima filiera, occorre piuttosto uniformare la cultura di chi vive il luogo all’interno del quale il distretto si forma, in modo da creare delle aree di interesse e vantaggi comuni. La formazione di un distretto è graduale, esso opera a stretto contatto con le istituzioni locali e si avvale di una struttura di approvvigionamento di semilavorati e di macchine necessarie per la propria produzione. Inoltre la formazione di un distretto accentua la necessità da parte delle imprese di costituire istituzioni locali “formali” come le associazioni artigiane, scuole tecniche, centri tecnologici ed istituzioni “informali” come le regole tacite e condivise atte a disciplinare le relazioni tra le imprese stesse18. I processi elementari identificati da Becattini che danno luogo a un distretto sono: “[…] la suddivisione progressiva, mirata e auto contenuta di certi processi produttivi; la formazione e la riproduzione nel tempo di nessi dinamici fra complessi di abilità produttive specializzate e nuclei di bisogni, delineatisi nello spazio,
17. Giacomo Becattini, Dal distretto industriale allo sviluppo locale: svolgimento e difesa di un’idea, Bollati Boringheri, Torino 2000, cit. p.23. 18. Ibidem.
17
Distretti italiani 18
che generano del consumo; le sedimentazioni istituzionali, formali e informali, materiali e immateriali, di prassi sociali che rispettano, simultaneamente, le condizioni della competitività; l’integazione dinamica fra sapere produttivo pratico (contestuale), molto spesso tacito, e sapere produttivo tecnico-scientifico (codificato) nel processo produttivo”19. Si può dunque affermare sulla base delle teorie sopra enunciate, che quando le conoscenze produttive sono incorporate nel capitale umano locale e la prossimità territoriale e culturale rende possibili i sistemi di piccole e medie imprese, allora si formano i distretti industriali. Come argomenta Mistri, altro economista italiano contemporaneo che segue il filone classico degli studi distrettuali appoggiandosi alle teorie di Becattini, il sistema distrettuale è un insieme di realtà produttive legate tra loro da specifiche relazioni che ne determinano la struttura e che si consolida attraverso specifici valori connessi all’ambiente esterno20. Il distretto dunque, si configura secondo Mistri, come “un’entità a cui corrispondono molteplici realtà locali che condividono una certa forma di sviluppo produttivo, [e che consente di] considerare il distretto industriale marshalliano come una formatipo di organizzazione produttiva capace di stilizzare una particolare realtà di rapporti economici e sociali”21. Inizialmente le teorie distrettuali sopra citate individuano altri parametri che costituiscono la base della forma organizzativa dei distretti: > la dimensione ridotta delle imprese; > una numerosità sufficientemente elevata di imprese; > la natura collaborativa delle relazioni tra le imprese. Le imprese di un distretto sono dunque molto piccole e operano in uno specifico settore, o meglio in un sottosettore. Lo svantaggio di tali organizzazioni è la difficoltà di essere competitive nel mercato globale e sebbene possiedano una conoscenza sufficientemente approfondita del mercato locale e nazionale, risultano inadeguate ai mercati esteri22. Sempre Mistri identifica tre fasi fondamentali della vita di un distretto. Nella prima fase si registra la presenza di diverse realtà produttive operanti in settori merceologici differenti. Nella seconda si percepisce una forte domanda estera che orienta la produzione in un determinato settore, in questo modo alcune imprese cambiano la loro produzione in modo da avvicinarsi al settore merceologico richiesto e altre nuove imprese nascono favorite dalla presenza di un capitale umano che possiede già il know how necessario. L'ultima fase, caratterizzata dall'aumento della domanda, vede un incremento della produzione che avviene non attraverso l'espansione della dimensione aziendale,
19. Giacomo Becattini, Dal distretto industriale allo sviluppo locale: svolgimento e difesa di un’idea, Bollati Boringheri, Torino 2000, cit., pp. 83-84. 20. Maurizio Mistri, Il distretto industriale marshalliano tra cognizione e istituzioni, Carocci, Roma 2006. 21. Ibidem, cit., par. 1.3. 22. Ibidem.
piuttosto grazie alla crescita del numero di aziende sul territorio. La letteratura economica, dunque, si avvale della teoria evoluzionista relativa alla formazione dei distretti in quanto all’interno di queste aree di produzione avviene una continua selezione del sistema, dei valori e delle conoscenze che lo mantengono radicato nella storia e nelle tradizioni. È dunque necessario che l’evoluzione di un distretto avvenga in sintonia con l’evoluzione culturale accompagnata da uno sviluppo delle istituzioni locali. La forza del distretto è la flessibilità delle imprese che ai diversi cambiamenti è in grado di reagire attraverso appropriate scelte come la diversificazione del prodotto, la ricerca di nuovi mercati, lo spostamento di alcune fasi del processo produttivo nei luoghi dove il costo della manodopera è vantaggioso, la ricerca di nuove aree di approvvigionamento di materie prime23. Un importante contributo per capire la genesi e l’evoluzione dei distretti viene altresì dalle teorie della nuova geografia economica sviluppate dall’economista Paul Krugman nel 1990, che fornisce un’ulteriore chiave di lettura dei fenomeni di sviluppo del distretto industriale24. Alcuni luoghi rispetto ad altri, possiedono dei vantaggi oggettivi chiamati first nature che possono essere individuati nelle risorse naturali, nel clima, nella posizione geografica. Questi fattori costituiscono un favorevole punto di partenza per il successo economico delle stesse aree. La seconda condizione favorevole allo sviluppo dei distretti viene chiamata second nature, attraverso di essa una regione attrae nuove imprese perché già ne ospita molte, trovandosi così in una condizione di vantaggio (la Silicon Valley, ad esempio a San Francisco). Di conseguenza, se in un certo luogo e in un certo momento i costi fissi non sono troppo onerosi e per un qualche motivo aumenta la domanda, e quindi la produzione, le imprese sono invogliate a trasferire il loro capitale, investendo forza lavoro e denaro in quella realtà favorevole. La nuova geografia economica afferma che, con elevata probabilità, si creano in queste nuove realtà produttive un centro e una periferia grazie ai vantaggi naturali ereditati (first nature) che evolvono naturalmente in vantaggi di concentrazione (second nature), rendendo più semplice lo sviluppo delle aree già centrali grazie ad un principio di path dependency25. Per quanto riguarda il cambiamento dei distretti nel tempo gli economisti internazionali teorizzano un vero e proprio processo evoluzionista che ha portato le forme tradizionali di autoagglomerazione a maturare una serie di peculiarità trasformandole in distretti. In base alla loro genesi si possono individuare due tipologie: i distretti path dependent e i distretti con padre fondatore (fig. 1). Secondo le teorie elaborate da Lecoq (1993) i distretti path dependent si sono costituiti nell'antichità e hanno mantenuto le conoscenze
23. Annunziata De Felice, Social Capabilities e sistemi produttivi locali, Consiglio Nazionale per le Ricerche. 24. Paul Krugman, First nature, second nature and metropolitan location, in “Journal of Regional Science”, 33, issue 2, 1993. 25. Ibidem.
19
Distretti italiani
tacite attraverso un sistema di comunicazione basato sul trasferimento generazionale26. In questi casi, che si possono ricondurre alle formazioni distrettuali italiane più antiche come ad esempio quella della sedia del manzanese (1500) o del vetro artistico di Murano (1200), la conoscenza tecnologica che garantisce la continuazione di una tradizione produttiva è tacita, non codificata. A differenza dei distretti path dependent, quelli che si sono sviluppati a seguito della Rivoluzione industriale nei primi decenni del Novecento, se non addirittura alla fine dell’Ottocento, ritrovano le loro radici in un padre fondatore, ovvero un imprenditore lungimirante che ha costruito un'azienda destinata alla produzione di una merce specifica e attorno alla quale sono nate altre aziende determinando così la nascita di un distretto moderno (per esempio la prima occhialeria a carattere artigianale aperta da Angelo Frescura e Giovanni Lozza in Cadore)27.
1.1.3. Tipologie distrettuali
20
Si individua in seguito una serie di forme distrettuali (fig.2). I distretti a carattere artigianale sono caratterizzati dalla presenza in un’estensione territoriale di una moltitudine di micro imprese artigiane di dimensioni omogenee che mantengono all’interno della realtà distrettuale un comportamento fortemente individualistico. All’interno di queste realtà produttive non vi sono imprese in grado di assumere una posizione dominante, di leader. Si tratta di una forma intermedia di distretto industriale, un’area di agglomerazione che conta al suo interno un piccolo numero di giovani imprese caratterizzate da una scarsa divisione del lavoro, servizi commerciali localizzati e scarsi interventi da parte delle istituzioni locali28. Un esempio di questo tipo di distretto è quello del comparto del vetro artistico dell’isola di Murano. I distretti concorrenziali sono caratterizzati da tante piccole imprese specializzate in forte competizione tra loro, alcune delle quali raggiungono la media dimensione. All’interno di questa struttura le informazioni strategiche non vengono condivise dalle aziende ma si rilevano una serie di meccanismi fiduciari per la coesione del distretto. Nessuna delle piccole e medie imprese facenti parte della realtà produttiva concorrenziale ha il ruolo di impresa guida29. Un esempio è il distretto della sedia di Manzano.
26. Fernando G. Alberti, I distretti industriali, caratteristiche e struttura, erdc – entrepreneurship & regional development center, 2007. 27. Fernando G. Alberti, I distretti industriali, caratteristiche e struttura, erdc – entrepreneurship & regional development center, 2007. 28. Annunziata De Felice, Social Capabilities e sistemi produttivi locali, Consiglio Nazionale per le Ricerche. 29. Fernando G. Alberti, I distretti industriali, caratteristiche e struttura, erdc – entrepreneurship & regional development center, 2007.
I distretti oligarchici sono caratterizzati dall’aumento della diffusione di piccole e medie imprese, alcune delle quali raggiungono la posizione di impresa leader grazie alla ricerca e allo sviluppo di competenze tecniche e commerciali. Becattini definisce tali agglomerazioni distretti concentrati, o evoluzionisti caratterizzati da due tipi di imprese che interagiscono tra loro: imprese relativamente grandi, definite leader, che hanno sviluppato una buona conoscenza sia del mercato interno che del mercato esterno, e piccole imprese specializzate in una parte della filiera produttiva. Si sviluppa una vera e propria interdipendenza tra queste due tipi di imprese che permette alle più specializzate di integrarsi con quelle leader e diventare fondamentali per la sopravvivenza di queste ultime30. In letteratura, questo fenomeno distrettuale si identifica con il distretto delle ceramiche di Sassuolo. I distretti postindustriali31 si formano a cavallo tra il 1980 e il 1990 e sono fondati sull’uso intenso di tecnologia, forti legami con le università e gli organismi di ricerca. Si nota nei distretti postindustriali la totale assenza di forme di artigianato preesistente o tradizioni locali legate all’industria. Un esempio è il distretto plurisettoriale di Ancona. I distretti globalizzati32 sono quelli che recentemente hanno attuato un processo di delocalizzazione della produzione che può verificarsi all’esterno del distretto o addirittura all’estero in aree dove il costo della manodopera è inferiore. La delocalizzazione avviene in varie forme: attraverso la riconversione di impianti già esistenti all’estero, oppure trasferendo all’estero parte della manodopera e tecnologia italiana. La delocalizzazione in molti casi mina la struttura dei distretti, soprattutto quando priva il territorio distrettuale delle sue competenze. Un esempio è quello del distretto della scarpa di Montebelluna. Più recente rispetto alle forme distrettuali sopra citate è il tipo science based33 composto da piccole imprese che coesistono con quelle di grandi dimensioni con l’obiettivo di rafforzare la ricerca, tramite il coinvolgimento sistematico di partner industriali per progetti di ricerca misti pubblico/privati ad esempio nel campo bio-medicale. Il primo caso di distretto science based italiano è il Distretto per la biomedicina molecolare del Friuli Venezia Giulia. Altro tipo di distretto, teorizzato in tempi recenti ad esempio da Pierluigi Sacco, è il distretto culturale. “Il distretto culturale è un sistema, territorialmente delimitato, di relazioni che integra il processo di valorizzazione delle dotazioni culturali, sia materiali che immateriali, con le infrastrutture e con gli altri settori produttivi che a quel processo sono connesse. La realizzazione di un distretto culturale ha l'obiettivo, da un lato, di rendere più efficiente ed efficace il processo di produzione di 'cultura' e, dall'altro, di ottimizzare, a scala
30. Giacomo Becattini, Dal distretto industriale allo sviluppo locale: svolgimento e difesa di un’idea, Bollati Boringheri, Torino 2000. 31. Fernando G. Alberti, I distretti industriali, caratteristiche e struttura, erdc – entrepreneurship & regional development center, 2007, p. 36. 32. Ibidem. 33. Annunziata De Felice, Social Capabilities e sistemi produttivi locali, Consiglio Nazionale per le Ricerche.
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1. distretti path dependent e con padre fondatore
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distretto artigianale
distretto oligarchico
distretto concorrenziale
distretto post-industriale
distretto globalizzato
2. tipologie distrettuali attuali
Distretti italiani
locale, i suoi impatti economici e sociali"34. Il distretto culturale più che essere orientato alle aree tradizionali dell'artigianato artistico evoluto industrialmente, si fonda sulle nuove aree produttive, caratterizzate da un alto valore aggiunto di capitale umano che caratterizzano le economie post industriali; si tratta quindi dei settori del design, dell'innovazione tecnologica, della creazione di nuovi prodotti. Un esempio di distretto culturale è l'Innovetion Valley35, progetto di pianificazione strategica del Nord-Est che mette in rete imprese ed istituzioni pubbliche e private con l’obiettivo di agire con il tema dell'innovazione e della creatività sul sistema imprenditoriale, con un particolare riferimento ai giovani. Gli obiettivi di questa struttura sono quelli di costituire una corporate image condivisa sul territorio che consenta di pianificare e attivare progetti sperimentali che permettano al contesto locale una forte competitività nei contesti globalizzati.
1.1.4. Progetto e distretto: il caso della Brianza
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Nelle letterature economiche, che per lungo tempo si sono occupate dell’analisi della composizione e dell’evoluzione delle diverse forme distrettuali italiane, il vantaggio dei distretti rispetto ad altre realtà produttive presenti sul territorio è stato diverse volte ricondotto soprattutto a fattori di tipo economico e sociale quali il basso costo della manodopera, il know how su base territoriale, il reperimento delle materie prime, le istituzioni; in poche occasioni gli economisti italiani riconducono il successo di queste realtà produttive alla relazione che esse hanno avuto con il progetto36. Se la letteratura del progetto tratta in diverse occasioni il rapporto che i designer hanno saputo mantenere con le realtà produttive locali, quella economica accenna raramente al fattore cultura del progetto. Essa si limita bensì a porre in stretta relazione la nascita del Made in Italy37 e la richiesta da parte dei paesi europei e in seguito extraeuropei dei prodotti italiani di ottima fattura con, appunto, il successo della produzione flessibile e parcellizzata caratteristica dei distretti. In questa occasione è necessario approfondire almeno uno dei casi eccezionali di rapporto tra distretto e design: il caso distrettuale che storicamente ha saputo dar vita ad un rapporto riconoscibile tra la cultura dell'impresa e la cultura del progetto è certamente quello della
34. Pierluigi Sacco, Guido Ferilli, Il distretto culturale evoluto nell’economia post industriale, in “Working Papers”, Dipartimento delle Arti e del Disegno Industriale, Università Iuav di Venezia, luglio 2006, cit., p. 10. 35. Per approfondimenti sul progetto Innovetion Valley consultare il sito web www.innovetionvalley.com. 36. Per approfondimenti consultare Marco Bettiol, Stefano Micelli (a cura di), Design e creatività nel Made in Italy, proposte per i distretti industriali, Mondadori, Milano 2005. 37. Per approfondimenti sulla questione Made in Italy cfr. articolo di Massimo D’Alessandro, Design italiano: questione di identità, in “DIID Made in Italy”, 10/11, 2004.
Brianza38. Interessante a tal proposito è la riflessione che fa Alberto Bassi secondo il quale "La relazione fra cultura del progetto e delle imprese in Brianza ha rivestito storicamente e continua a giocare ancora oggi, un ruolo centrale per la crescita, l'affermazione e lo sviluppo del disegno industriale e delle aziende del nostro paese"39. Questo stretto rapporto è permesso dalla dimensione ridotta delle aziende presenti nel comparto e dalla loro flessibilità che determina a sua volta la possibilità da parte dei designer di sperimentare avvalendosi di strumenti fondamentali come la manodopera competente in grado di lavorare al fianco del progettista sulla totalità delle parti di un processo produttvo. Appare necessario peraltro sottolineare quanto sia fondamentale la presenza di imprenditori orientati verso una produzione di manufatti di alto livello, anche culturale. Nell’ottocento la città di Milano si avvia verso la completa modernità e inizia a considerare il territorio che la circonda come “riserva di saper fare artigianali e produttivi per il mercato urbano”40. La Brianza è l’area produttiva con epicentro a Monza in cui la specializzazione della manodopera locale nella lavorazione del legno ha prodotto una vasta area di competenze che sarà poi identificato come il distretto industriale del mobile. Agli inizi del Novecento la produzione di mobili in legno occupa all’incirca 9700 addetti e i tre quarti della produzione sono destinati ai grandi magazzini milanesi. Le produzioni brianzole si dividono in Ammobigliamento completo di qualità comune, localizzato tra Bovisio, Cesano Maderno, Mariano Comense, Varedo; Seggiolame di media qualità, tra Camnago, Lentate, Cambiate; Seggiolame in stile a Meda, Barlassina, Seveso, Lazzate e S. Pietro; Mobili di quadratura in grande volume tra Lissone, Seregno, Giussano. La Produzione generica era realizzata invece tra Palazzolo e Cantù41. Il successo di quello che più tardi sarà definito distretto industriale della Brianza muove da una serie di conoscenze legate alla tradizione artigianale della produzione del mobile è dovuto, secondo la letteratura, agli artigiani che “sanno guardare con intelligenza all’innovazione produttiva, alla trasformazione del mercato, all’evoluzione dei gusti, dei comportamenti e delle aspettative di una delle società più dinamiche d’Europa”42. Il distretto trova in Milano le relazioni economiche e produttive e nelle iniziative della sua Triennale la comunicazione di una cultura del disegno industriale allora in fase di costruzione. Nello specifico, il settore dell’arredo è destinato ad essere trainante fino a configurare
38. AA.VV., Design e impresa in Brianza. Fondamenti e prospettive, Atti del Convegno, Lissone 4 maggio 2004. 39. Alberto Bassi, Introduzione, in AA.VV. Design e impresa in Brianza. Fondamenti e prospettive, Atti del Convegno, Lissone 4 maggio 2004, cit., p. 5. 40. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004, cit., p. 13. 41. Ibidem, cit., p.15. 42. Ibidem, cit., p.15.
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uno fra i più significativi distretti produttivi. È necessario premettere che già dagli anni trenta e quaranta sono presenti una serie di fattori che hanno reso possibile la formazione del distretto brianzolo: un gran numero di piccole e medie botteghe distribuite su un vasto territorio (la Brianza si estende per ben 879,8 km2) con una solida tradizione artigianale relativa alla lavorazione del legno e alla produzione di imbottiti. Il contatto che questa realtà instaura con la cultura del progetto sviluppata intorno a Milano, apre le imprese del territorio a nuove visioni che le allontanano dalla classica produzione in stile presente fino a quel momento e che vedono l’ingresso nella realtà produttiva di un design che dialoga attentamente con la produttività tradizionale, attraverso interventi ideativi senza andare ad incidere sui processi nella produzione di artefatti in piccoli numeri. Una svolta per il mercato dell’arredo in legno giunge nel dopoguerra: la ricostruzione postbellica, economica, politica e sociale prima, edile poi, manifesta la forte necessità di nuovi arredi per la popolazione. Il progetto degli arredi italiani, sostenuto dalla RIMA (Riunione Italiana per le Mostre di Arredamento), “tiene conto della situazione postbellica di contrazione, fino alla precarietà, degli spazi abitativi, dall’altra esplora nuove tipologie funzionali e modalità esecutive giocate sui moduli di base ripetitivi, ispirati ai concetti dell’unificazione edilizia”43. I piccoli artigiani della Brianza sostengono tale progetto che si rivela però troppo importante sotto un punto di vista dei grandi numeri per poter essere sostenuto dalla sola produzione del distretto. Gli anni cinquanta sono il periodo centrale dell’affermazione del design in Italia e Milano è certamente il centro dal quale si diffonde il dibattito culturale attraverso le istituzioni, le riviste, le esposizioni quali la Triennale di Milano, la presenza di designer e industrie. In quegli anni si assiste dunque ad una vera e propria trasformazione che lo storico del design Vanni Pasca ritrova in una serie di caratteri comuni di diverse imprese presenti sul territorio brianzolo: gli imprenditori del distretto comprendono la necessità degli italiani di aderire alla modernità e di dimostrarlo attraverso il mobile moderno che, prodotto a macchina, in serie, aprirà il mercato; gli imprenditori altresì comprendono la necessità di affidare la produzione al designer che possiede il know how necessario per disegnare prodotti rispondenti ai canoni della modernità; la stessa attività di comunicazione realizzata attraverso le Triennali e le riviste testimonia la grande attività presente nel distretto lombardo. Negli anni cinquanta si assiste alla trasformazione di alcune delle molte imprese storiche nel distretto che mirano ad instaurare un solido rapporto con i progettisti del tempo, con l’obiettivo di costruire una propria identità che risponda al linguaggio del progetto moderno. Come documenta Bassi, un altro approccio all’instaurazione di un legame con la cultura del progetto, rispetto a quello che prevedeva
43. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004, cit., p.49.
la presenza di designer e architetti all’interno delle strutture di progettazione e produzione è quello rappresentato fra i primi, dall’architetto Osvaldo Borsani che ricopre il ruolo del designerimprenditore all’interno di Tecno, atelier mobiliero di famiglia, caratterizzato da un forte linguaggio meccanico e indirizzato verso la standardizzazione della produzione44. Il clima di sperimentazione che caratterizza le imprese che operano nella regione e la presenza nel comparto di grandi imprese come la Pirelli con i suoi stabilimenti nelle zone di Monza e Seregno, stimola le aziende brianzole ad innovare la produzione del mobile e non solo. Sono proprio queste ultime a costituire una rete di relazioni in grado di dare origine al modello economico distrettuale di cui si è trattato ampiamente finora. L’architetto e designer Giuseppe Furlanis descrive il comparto brianzolo come “una sorta di territorio-fabbrica dove un prodotto è realizzato per fasi, passando da un laboratorio all’altro, attraversando così competenze e tecnologie diverse. In tal modo si spiega come mai alcune importanti aziende del mobile siano riuscite a coniugare non solo la produzione in serie con quella su misura, ma anche l’innovazione tecnologica con la tradizione artigianale”45. Il successo delle produzioni brianzole è dunque da ricercarsi nella flessibilità organizzativa e produttiva di un modello che coniuga la produzione industriale con le necessità della realtà artigianale che genera continui processi di innovazione nell’arredo caratterizzato da linguaggi formali in continua evoluzione. Non meno importante l’interazione tra progettista e azienda che da vita ad uno scambio di competenze e ad un particolare rapporto tra progettisti e tecnici di fabbrica che, come scrive Vanni Pasca, “[sono] spesso portatori di una cultura tecnica moderna che non ha perso i contatti con una tradizione di artigianato sofisticato, tipica dei laboratori di falegnameria o di carpenteria metallica propri dell’anteguerra”46. Le imprese del distretto brianzolo fanno del disegno industriale il fattore centrale e determinante del modo di operare che Bassi identifica nell’aumento di risorse e centri studio in grado di dialogare con le nuove necessità e nel mutamento della figura dell’imprenditore in progettista che “agisce attivamente per stimolare un’azione rivolta all’innovazione del prodotto, processo e sistema”47. Appare chiaro da quanto emerge nella letteratura che il 1954 è per il territorio lombardo un anno di fondamentale importanza per le trasformazioni in corso: in quell’anno Achille e Piergiacomo
44. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004. 45. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004, cit., p.54, tratto da Giuseppe Furlanis (1998, pp.37-38). 46. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004, cit., p.55., tratto da Vanni Pasca (2001, p. 105). 47. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004, cit., p.55.
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Castiglioni allestiscono la mostra sull’industrial design alla Triennale di Milano. Nel giugno dello stesso anno esce il primo numero della rivista “Stile Industria” che contribuisce in maniera determinante, insieme all’editoria di settore come “Domus”, “Casabella”, e alle riviste aziendali quali “Pirelli” e “Qualità” di Kartell, allo sviluppo del design nelle produzioni di matrice italiana sotto la regia dei progettisti industriali. L’istituzione poi, da parte de La Rinascente, il grande magazzino milanese, di un premio denominato “Compasso d’oro” dedicato ai migliori prodotti dell’offerta italiana e la fondazione dell’ADI, Associazione per il Disegno Industriale forniscono un’ulteriore conferma di una “strutturazione culturale e istituzionale del design italiano”48. Particolarmente interessanti le attività espositive che sono allestite negli anni cinquanta tra Cantù e Mariano Comense49 e l’istituzione di un luogo di formazione che esaudisce la necessità di formare figure professionali (perito artistico-industriale) in grado di sintetizzare il lavoro del designer e quello del realizzatore nella produzione degli artefatti. Da non dimenticare ovviamente la presenza sul territorio dell’ISIA di Monza che, fino al 1943 si occupa della formazione nel settore delle arti applicate e dell’artigianato. Con gli anni sessanta le attività di comunicazione realizzate sul territorio brianzolo entrano in crisi, le cause principali sono da ricercarsi nel cambiamento della struttura industriale e commerciale delle imprese e nella nascita di nuove realtà espositive, su tutte il Salone del Mobile di Milano. Appare chiaro infatti come le Triennali non siano più occasione di proposta merceologica ma grandi dibattiti sulle questioni del progetto. Come afferma Alberto Bassi questo cambiamento è collegato alla nascita, appunto del Salone milanese, nato nel 1961, prepotentemente affermatosi nella seconda metà degli anni sessanta50 e destinato ad essere un vero e proprio palcoscenico per le aziende del design italiano, nella fattispecie quelle del distretto del mobile della Brianza. Le trasformazioni che avvengono in questo decennio riguardano anche le stesse imprese che vivono il passaggio da una struttura totalmente artigianale o di artigianato meccanizzato ad una industriale51. Ad incentivare tale passaggio è certamente il cambiamento tecnologicoproduttivo legato alla scoperta dei nuovi materiali. Le imprese del distretto del mobile, scrive Bassi, “si trovavano nell’opportunità di
48. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004, cit., p.57. 49. “In particolare furono significative – e differentemente indirizzate a partire dalla scelta di denominazione e alle specificità produttive delle rispettive aree – la Selettiva di Cantù, iniziata nel 1955, e la Biennale dello Standard di Mariano Comense, a partire dal 1958”, Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004, p. 57. 50. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004. 51. Le imprese in questione sono, ad esempio, Zanotta, C&B (poi B&B), Interflex, Flexform, Sormani, Flou, Tisettanta, Unifor.
3. La fase di tornitura, laboratorio Fratelli Levaggi
4. Laboratorio Fratelli Levaggi, azienda brianzola.
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operare una sistematizzazione dell’organizzazione industriale, una decisa svolta tecnologica che impone alle aziende logiche meno casuali e dettate da strategie di crescita”52. Ma i sessanta sono anche gli anni delle trasformazioni culturali e sociali che innescano un dibattito sulla cultura del progetto che si muove in Italia in due diverse direzioni: quella nata dall’impiego di nuovi materiali come il poliuretano e le plastiche e le tecnologie come lo stampaggio (testimone della necessità percepita dal consumatore di dichiarare la propria assoluta indipendenza stilistica) e quella decisa a dialogare con processi produttivi tecnologici e strutture imprenditoriali sempre più industrializzate. A fronte di questa analisi storica si può affermare che le aziende del distretto della Brianza, con la loro flessibilità intellettuale, produttiva e organizzativa, sono nella storia un interlocutore adeguato della spinta al cambiamento: gli oggetti che derivano dalle produzioni lombarde sono infatti “tecnologicamente avanzati e commercialmente fortunati sia nel pezzo tradizionale sia mostrando i risultati di un approccio critico verso le logiche della cultura industriale”53. Nel 2009 le aziende che fanno parte del distretto del mobile della Brianza, secondo i monitoraggi dall’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, sono 2.370 con una diminuzione in percentuale del 41,80 rispetto al 2007. Il numero di imprese fino a 49 addetti, invece, è di 3.750 con una diminuzione del 6,53%. Il numero di addetti è di 27.084 e il fatturato relativo alle esportazioni è di 1.331 milioni di euro (con una diminuzione in percentuale del 22,57)54. Il fattore di debolezza dell’area distrettuale brianzola contemporanea riguarda prevalentemente il carattere delle imprese, prevalentemente artigianali, che producono mobili in stile. L’Osservatorio sostiene che “[…] nonostante le elevate competenze e la qualità intrinseca di molti prodotti, la dimensione ridotta della maggior parte delle imprese, la minore proiezione sui mercati internazionali ed il cambiamento di gusti sul mercato interno hanno portato, e sempre più porteranno in futuro, a spazi di crescita particolarmente ridotti per questo tipo di produttori”55. Lo scenario appare più favorevole per quanto riguarda i produttori di arredi contemporanei, sia imprese leader del distretto che aziende di dimensioni minori. Le imprese del comparto operano per lo più nella fascia medio alta del mercato e puntano sulla differenziazione qualitativa della produzione. Come documenta il sito dell’Osservatorio “[…] il principale asset competitivo del distretto sta nell’attività di progettazione e design, che dà contenuto estetico e tecnico ai prodotti”56. Mediamente la dimensione delle imprese è molto ridotta
52. Alberto Bassi, Raimonda Riccini, Cecilia Colombo (a cura di), Design in Triennale 1947-68. Percorsi fra Milano e Brianza, Silvana Editoriale, Milano 2004, cit., p.61. 53. AA.VV., Design e impresa in Brianza. Fondamenti e prospettive, Atti del Convegno, Lissone 4 maggio 2004, cit., p. 13. 54. Antonio Ricciardi, Coordinatore Osservatorio Nazionale Distretti Italiani, II Rapporto, Amministrazione & Finanza, marzo 2011. 55. Ibidem, cit. pp.1-2. 56 cit., http://www.osservatoriodistretti.org/node/240/distretto-del-mobile-della-brianza
e la loro produzione è artigianale, ma allo stesso tempo il sistema complessivo è fortemente polarizzato e stimolato dalla presenza delle grandi imprese. Nel distretto dunque si ritrova un clima di innovazione e cultura progettuale che consente alle imprese di raggiungere livelli qualitativi ottimali.
1.2 I distretti produttivi contemporanei
1.2.1. Cambiamenti dello scenario economico e produttivo
Per comprendere le caratteristiche dei distretti produttivi italiani contemporanei è necessario approfondire i cambiamenti che sono avvenuti all’interno del complesso scenario socioeconomico. Dal 1990 infatti l’industria italiana ha dovuto gestire un radicale mutamento dovuto ad una profonda trasformazione del quadro competitivo internazionale. Come argomenta nel 2011 l’economista Stefano Micelli nel volume Futuro Artigiano, la globalizzazione del mercato e l’adozione di una moneta unica da parte dei paesi europei impone nuovi criteri di mercato che obbligano le aziende ad essere tecnologicamente più competitive e ad avere strategie di marketing più mirate. Il modello di sviluppo italiano degli anni cinquanta basato sulla grande impresa e sulla fitta rete di distretti viene messo alla prova dalla globalizzazione e dalla crescita dei paesi emergenti la cui manodopera ha un costo più basso (Cina, India, Turchia ecc.). In un contesto di apertura dei mercati finanziari ai player internazionali nei primi anni novanta, la debolezza del modello grande impresa è dovuta, come scrive Coltorti nel 2005, alla “sostanziale rinunzia a basare la forza competitiva sul progresso tecnico-scientifico”1. In Italia rimangono infatti soltanto due centri di ricerca legati alla grande impresa, quello di Fiat e quello di Finmeccanica. Nonostante i segnali positivi dati da alcune imprese come Fiat e Olivetti-Omnitel che introducono grandi innovazioni come il motore turbodiesel (1987) e la telefonia mobile (1988), i potenziali vantaggi si perdono a causa di incaute cessioni a colossi esteri2. Dell’innovazione italiana se ne perdono le tracce3. Anche il modello distrettuale, affacciandosi sul mercato globale, subisce attacchi da parte di competitor che imitano le merci prodotte dai comparti e addirittura il modello organizzativo adottato dai distretti per la produzione dei prodotti. Grazie però ai fattori che in passato hanno determinato il vantaggio delle realtà produttive distrettuali, scrive Claudio Dematté nel 2002, “si è costituito un
1. Fulvio Coltorti, Le trasformazioni delle imprese italiane, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006, cit., p.20. 2. Ibidem, cit., p.20. 3. Scrive a proposito del declino industriale Luciano Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, Einaudi, Torino 2003.
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sistema capace di produrre varietà, dotato di flessibilità e di continua capacità di innovazione, in grado di offrire l’ambiente adatto in cui attirare i progettisti più creativi e mantenere i costi e quindi i prezzi sotto controllo”4.
Le nicchie di mercato
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Nel periodo di grande successo delle produzioni distrettuali i prodotti sono posizionati all’interno di una fascia intermedia, propriamente tra le due fasce che oggi sono riconosciute come la fascia di nicchia del prodotto customizzato e la fascia del basso prezzo low price5. Ad oggi se il low price consente anche alle fasce di reddito più basse di acquistare beni nel mercato globalizzato e i prodotti customizzati si posizionano in una fascia di mercato di nicchia che consente solamente ad una certa porzione di società di acquistarli, si assiste alla scomparsa della cosiddetta fascia intermedia. Nella letteratura economica contemporanea emerge che la via che i distretti produttivi devono intraprendere per poter rispondere agli attacchi dei competitori extraeuropei è quella dell’innalzamento della qualità dei prodotti e il posizionamento del prodotto e del brand aziendale nel mercato di nicchia. Con il mercato mondiale si allarga il bacino della domanda di “prodotti differenziati che per essere fabbricati richiedono competenze non tangibili e non facili da riprodurre, come la finezza estetica o qualitativa dovuta a una rara perizia”6. La grande difficoltà nel caso delle produzioni distrettuali è quella di far fronte alla concorrenza dei nuovi produttori: non essendo possibile per le imprese distrettuali combattere i paesi emergenti sul fronte del costo della manodopera, esse abbandonano o trapiantano all’estero quella parte della produzione qualitativamente più bassa, concentrandosi su quella più elevata, “sul segmento differenziato del mercato e su quei settori del processo produttivo che creano la differenziazione”7. Come argomenta sempre Dematté, la necessità della struttura produttiva distrettuale contemporanea è quella di elaborare strategie di nicchia per riuscire a ricavare dal mercato globalizzato la differenziazione che porta alle imprese un valore aggiunto. Qui entra in gioco una nuova conformazione industriale, quella della media impresa, struttura in grado di interfacciarsi con i nuovi mercati e garantire la distribuzione su scala globale di prodotti locali legati alla produttività distrettuale. Le medie imprese delegano alle piccole gran parte del processo
4. Claudio Dematté, I segreti del sistema italiano dell’offerta. L’innovazione nelle aziende piccole e medie dei settori produttivi per la casa, in Giampiero Bosoni (a cura di), La cultura dell’abitare. Il design in Italia 1945-2001, Skira, Milano 2002, cit., p.72. 5. Per approfondimenti sul termine low price cfr. Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, Electa, Milano 2007. 6. Claudio Dematté, I segreti del sistema italiano dell’offerta. L’innovazione nelle aziende piccole e medie dei settori produttivi per la casa, in Giampiero Bosoni (a cura di), La cultura dell’abitare. Il design in Italia 1945-2001, Skira, Milano 2002, cit., p.72. 7. Ibidem, cit., p.72.
produttivo riservando a se stesse le parti del processo che richiedono dimensioni maggiori. Michael J. Priore e Charles F. Sabel nel 1984 teorizzano la presenza sul territorio italiano di un modello postmoderno particolarmente adatto alle industrie in cui la creatività e la perizia artigianale sono fattori chiave del successo, da integrare attraverso organizzazioni flessibili del lavoro tipiche dei distretti produttivi8.
Le medie imprese Negli ultimi anni, come sottolinea l’economista Giorgio Bigatti nel 2004, emerge uno strato ancora esile ma vitale e robusto di realtà imprenditoriali di dimensioni medio-grandi con un fatturato compreso tra i 13 e i 260 milioni di euro annui e fortemente internazionalizzate9. La letteratura economica affida proprio a queste strutture imprenditoriali in grado di interfacciarsi con i mercati internazionali la possibilità di crescita per l’economia italiana. In una ricerca del 2004, Fabrizio Onida porta alla luce il fenomeno del piccolo che cresce e che per essere competitivo punta su fattori quali tecnologia, qualità, design, razionalizzazione di costi con outsourcing di componenti – mantenendo però il pieno controllo del processo-, grande attenzione al marketing e al posizionamento del brand sul mercato10. Secondo il rapporto redatto da Mediobanca e Unioncamere nel 2003 la media impresa costituisce la nervatura essenziale della produttività del nord-Italia, nella fattispecie del nord-ovest. La media impresa dunque insiste sui territori di Milano e Lombardia, i protagonisti della precedente fase di sviluppo basata sulla grande impresa. Il paesaggio industriale del Novecento caratterizzato da un nucleo di grandi imprese e da uno di masse di attività minori lascia affiorare una nuova struttura economica e produttiva caratterizzata dalla centralità della media impresa. Ci si trova dunque di fronte ad una trasformazione radicale di una struttura industriale già consolidata. Coltorti mette in luce la vivacità di questo nuovo modello, “una fascia intermedia di aziende storicamente ritenute poco significative nell’industria italiana, a lungo polarizzate tra il grande e il piccolo: a controllo rigorosamente familiare, specializzate nell’industria leggera, solide, finanziariamente grazie all’uso di poco capitale che frutta rendimenti paragonabili a quelli delle multinazionali con le quali spesso competono con successo nei mercati di tutto il mondo”11. Il successo di queste aziende è dato dal tentativo di creare e mantenere una nicchia di mercato nella quale le stesse siano dominanti a livello
8. Claudio Dematté, I segreti del sistema italiano dell’offerta. L’innovazione nelle aziende piccole e medie dei settori produttivi per la casa, in Giampiero Bosoni (a cura di), La cultura dell’abitare. Il design in Italia 1945-2001, Skira, Milano 2002. 9. Giorgio Bigatti, Da falegnami a imprenditori, in AA.VV. Design e impresa in Brianza. Fondamenti e prospettive, atti del convegno, Lissone 2004. 10. Fulvio Coltorti, Le trasformazioni delle imprese italiane, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006, p.20. 11. Ibidem, cit., p.20.
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mondiale. Coltorti ribadisce che queste medie imprese costituiscono la base di un “capitalismo onesto, democratico e contendibile sotto l’unico aspetto che possa garantire il progresso sociale e cioè la competizione sul mercato dei prodotti”12. Si può quindi affermare che la media impresa può costituire la chiave di volta di uno scenario economico e produttivo complesso come quello attuale. Essa è cresciuta ed è riuscita ad avere uno scarto manageriale sulle piccole imprese non abbastanza strutturate per fronteggiare i mercati esterni. La media impresa fa comunque parte del sistema distrettuale e si muove e cresce restando legata ad esso e al contesto territoriale mantenendo alto il valore della localizzazione della realtà produttiva e apportando al contesto stesso una maggiore visibilità e disponibilità di servizi nel campo della formazione e della finanza. Tra i diversi esempi che si possono fare, quella della Valcucine, azienda localizzata nel pordenonese, è particolarmente significativa. Si tratta di un’azienda che conta 130 dipendenti interni e di più di un centinaio esterni. Valcucine è un produttore di mobili e promotore di innovazione; è titolare di oltre trenta brevetti ed esporta in paesi di tutto il mondo. Nel 2004 pubblica su La Repubblica un articolo che suscita un forte dibattito sulla centralità del tema della bellezza quale obiettivo globale da perseguire attraverso una serie di comportamenti di impresa quali la responsabilità sociale, la formazione e le amministrazioni locali.
Investire nella ricerca Secondo l’opinione di fonti autorevoli l’economia italiana assiste al regresso dei grandi gruppi e vive allo stesso tempo la necessità di una grande ristrutturazione delle aree distrettuali tradizionali e non. Il cruccio più grande che impedisce all’Italia di oggi di avere una produzione competitiva è certamente la forte disattenzione verso la ricerca. Nel 2004, scrive Coltorti, diversi segnali positivi arrivano dalle grandi aziende italiane e dalle imprese manifatturiere che aumentano l’esportazione e il fatturato (rispettivamente +8,4% e +16%), i profitti toccano il massimo storico ma la quota reinvestita nella ricerca non è adeguata. Ma la continua creazione di nuove aziende e realtà produttive è sintomo di riposizionamento attraverso la creazione di nuove filiere e nuove relazioni tra imprese che mantengono il know how radicato nel luogo ma assumono una dimensione sovralocale, vitale per le medie imprese. I mercati all’interno dei quali è impegnata l’industria italiana possono essere affrontati soltanto attraverso un modello aziendale che ricostruisca i processi produttivi in un’ottica contemporanea di conoscenza, territorio e marketing. L’economista
12. Fulvio Coltorti, Le trasformazioni delle imprese italiane, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006, cit., p.22.
ripropone le parole di Adriano Olivetti del 1960 che in questo contesto ritornano attuali: “il segreto del nostro futuro è fondato sul dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernità dei macchinari e dei metodi, ma soprattutto sulla partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dell’azienda”13.
1.2.2. Le trasformazioni del “sistema” del design Nuovi consumi La globalizzazione dei mercati ha prodotto un cambiamento nella percezione di chi acquista il prodotto. Le riflessioni condotte da Fulvio Carmagnola a proposito degli oggetti contemporanei sostengono la tesi secondo la quale il loro valore derivi dalla “valutazione della potenza dei segni e dei simboli veicolati da icone mediali e da artefatti fisici […] è un’estetica corrispondente all’economia impura o funzionale del simbolico, che non riconosce più la sua base nella coppia classica valore d’uso/valore di scambio”14. I pesanti fenomeni di estetizzazione delle merci e la preponderanza del brand sulle stesse può portare secondo l’autore alla creazione di nuove “occasioni conoscitive”15 aprendo la strada a nuove ricerche sul valore o il significato del visibile e, nella stessa misura, “cadere nel vicolo cieco dell’effimero”16. Rielaborando le parole di Giovanni Klaus Koenig del 1991 la civiltà dei consumi che prevede una continua rielaborazione del gusto accelera il consumo estetico ed eviscera il pezzo unico della sua estetica tradizionale legata alla produzione che il consumatore non è più in grado di percepire come valore perenne17. Come spiegato nel capitolo precedente, la globalizzazione dei mercati porta le aziende italiane a compiere delle scelte decisive che nella maggior parte dei casi determinano la delocalizzazione dei processi o di parti di essi con la rinuncia dell’accrescimento di un patrimonio collettivo attraverso la ricerca e l’innovazione e il tendenziale posizionamento dei prodotti nella fascia di mercato del low price18. La dimensione economico-produttiva è il problema centrale sul quale le imprese italiane concentrano la propria attenzione, mentre il profilo del consumatore stesso percepisce l’offerta del mercato attraverso
13. Adriano Olivetti, Discorso ai lavoratori di Pozzuoli, in “Città dell’uomo”, Edizioni di Comunità, Milano 1960, cit., p. 163. 14. Fulvio Carmagnola, Della mente e dei sensi, in Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, Electa, Milano 2007, cit.,p.56. 15. Ibidem, cit., p.56. 16. Ibidem, cit., p.56. 17. Giovanni Klaus Koenig, Il disegno è un pipistrello mezzo topo mezzo uccello, La casa Usher, Firenze 1991, cit., p. 34 contenuto anche in Verso un’estetica dell’intercambiabile. L’invecchiamento dell’architettura moderna e altre dodici note, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967, cit., pp. 115-128. 18. Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, Electa, Milano 2007, cit., p. 60.
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“percorsi non sempre immediatamente riconducibili a logiche di razionale intellegibilità”19. “Una scelta dell’impresa legata quindi generalmente alla rincorsa del low price, che ha ottenuto come risultati, fra gli altri, la rinuncia alle competenze e al saper fare presenti sul territorio e un inevitabile affanno del settore progettuale. Questa fase dell’industrializzazione ha infatti determinato lo spostamento delle produzioni e, in parte, delle progettazioni”20. Nel design contemporaneo si aprono in base alla destinazione di mercato due approcci alla progettazione dei prodotti: il design elitario, che molto spesso viene associato in maniera piuttosto semplicistica al mercato del lusso e che punta alla progettazione di prodotti su misura; la seconda direzione è in vece quella che è stata presa dalle realtà industriali dei grandi numeri (grande dimensione economica, molti addetti, forte attenzione alla distribuzione e alla comunicazione) che lavorano su scala internazionale mantenendo il controllo sui prezzi e sulla qualità in diversi paesi del mondo. La sempre maggiore complessità dei processi e dei contesti di produzione ha condotto alla parcellizzazione della progettazione degli stessi. Il prodotto oggi non ha più un solo creatore ma diversi, ognuno con specifiche competenze, che determinano la paternità collettiva dello stesso. Cambia l’approccio alla progettazione all’interno delle aziende, ma cambia anche il rapporto tra il designer e l’impresa stessa: la necessità delle imprese di rendersi visibili sul mercato globale determina una serie di scelte legate all’importanza della componente comunicativa di spettacolarizzazione del brand che pongono la cultura del progetto su un piano di relativa importanza. Appare chiaro agli occhi del consumatore quanto questa sia una necessità dichiarata non soltanto dalle imprese ma altrettanto dai designer che ritengono fondamentale essere presenti nell’immaginario comune e recitare il ruolo di protagonisti del proprio tempo.
La distribuzione Il tema della distribuzione, e conseguentemente della commercializzazione, del prodotto finale è oggigiorno, un argomento di grandissima importanza, soprattutto nel mondo del design, la comunicazione degli artefatti, sta diventando ogni giorno di più, il fattore determinante. Se fino a ieri, la semplice denominazione di oggetto di design era sufficiente per riuscire, in qualche modo, ad attrarre l’attenzione del consumatore e un oggetto, acquistava automaticamente quei valori semantici capaci di esaltare i valori formali funzionali propri del prodotto. Il termine design svolgeva, da solo, un ruolo importante, perché per l’utente era sinonimo di qualità, raffinatezza, semplicità, e
19. Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, Electa, Milano 2007, cit., p. 60. 20. Antonio Citterio, Industrial Design (XXI Secolo), in http://www.treccani.it/ enciclopedia/industrial-design_(XXI-Secolo)/, cit.
fino non molto tempo fa, anche funzionalità21. Oggi il termine di design, come era inteso una volta, pare aver perso la sua centralità ai fini di collocare e proporre un oggetto sul mercato, per esempio non è sempre così importante che abbia una sua chiara funzionalità, sono molto più utili, ai fini commerciali, la comunicazione e il complessivo processo di marketing attraverso i quali si riesce a costruire attorno al prodotto quell’aura di esclusività e a volte, nei peggiori dei casi, di eccentricità che lo rende unico e riconoscibile e pertanto desiderabile. Un ruolo determinante è anche rappresentato dal brand22. La semiotica prende in considerazione ogni oggetto di uso comune, e in particolare ogni oggetto di consumo, come testo progettato, in questo modo il prodotto diventa un importante veicolo espressivo, rappresentando tutte le qualità e i valori desiderabili dal suo utente tipo, il quale inevitabilmente ne rimarrà affascinato. È per questo che il prodotto è diventato un importante medium, il quale attraverso un proprio linguaggio, si interfaccia e comunica con i modelli mentali dell’utente stesso23. In relazione con quanto appena detto, si ricordano le teorie del linguista Ferdinand de Saussure, (1857-1913) che all’inizio del secolo scorso, è stato il primo a porre la problematica del segno linguistico24, prodotto dall’unione di significato e significante. Il segno linguistico non più inteso come una singola parola, ma Saussure, lo identifica con un testo, un insieme di vocaboli che rappresentano il senso. I segni, le parole, le immagini attraverso la pratica della progettazione hanno modo di trasformarsi in un oggetto, un discorso, o un film, in questo modo ogni singolo elemento, unito ad altri determina il senso. Ferdinand de Saussure, intende il significato come il concetto, e il significante come immagine acustica25. “In questo senso, il significante, in rapporto al significato, è considerato il piano esterno del linguaggio: è dotato di qualità sensibili che lo rendono manifesto ai nostri sensi. Il significante, infatti, è la dimensione percepibile del segno grazie al quale possiamo leggerlo o vederlo o udirlo o anche toccarlo”26. A questo punto è inevitabile porre l’attenzione non più sull’oggetto in quanto tale, ma su come questo oggetto rappresenta i propri significanti, tramutati in valori, scaturendo nell’acquirente un particolare interesse. I prodotti presenti nel mercato raffigurano due tipi di valori: il valore d’uso, costituito dalla vera e propria funzionalità
21. Ampelio Bucci, Nuovi scenari della distribuzione, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006. 22. Per ulteriori informazioni sul tema vedi: Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, oggetti comuni e progetto incognito, Electa, Milano 2007; consultare la voce dell’enciclopedia Treccani, Industrial design (XXI Secolo), scritta da Antonio Citterio. 23. Patrizia Magli, Semiotica, teoria, metodo e analisi, Elementi Marsilio, Venezia 2004. 24. Per ulteriori approfondimenti vedi: Umberto Eco, Il segno, Isedi (seconda ed. Mondadori), Milano 1973; Umberto Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Enaudi, Torino 1984. 25. Patrizia Magli, Semiotica, teoria, metodo e analisi, Elementi Marsilio, Venezia 2004. 26. Ibidem, cit., p. 17.
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dell'oggetto, e il valore base, che come già detto, rappresenta delle esigenze, dei desideri fondamentali che permettono all’acquirente di essere più felice e soddisfatto. Queste premesse sono fondamentali per introdurre gli oggetti di consumo, e tutti gli elementi che caratterizzano la quotidianità degli individui, costituita da bisogni e desideri. I prodotti, il marchio e la pubblicità, delineano il preciso posizionamento nel mercato dell’azienda, rappresentando la propria mission27. La cosiddetta missione o scopo aziendale serve anche per identificare il proprio utente tipo, e di conseguenza la produzione inevitabilmente moltiplicherà le offerte di prodotti simili, cercando di incontrare più gusti possibili. A fronte di questi ragionamenti decisamente legati alla comunicazione di un determinato prodotto, si passa a riflettere sulla tematica della distribuzione, e a questo punto è necessario soffermare l’attenzione su un luogo che caratterizza la visione globale dell’azienda: il negozio. Il negozio non deve essere un semplice punto vendita, ma si deve trasformare nell’impresa, perché il negozio, è effettivamente l’unico luogo che mette in comunicazione il cliente con il prodotto. Il negozio è l’interfaccia, e come tale, deve riuscire, attraverso a delle attente analisi semiotiche, di mercato ed estetiche a colpire quei consumatori, che già potrebbero essere i più interessati per quella fascia di prodotti28. Il cliente generalmente si reca in un negozio per comprare qualcosa che pensa di aver bisogno o di desiderare, oppure in molti casi, agli acquirenti sono incuriositi dalle novità, dalle recenti tendenze, quindi si trovano soddisfatti anche solo vedendo le nuove produzioni. È compito dell’azienda prevedere i possibili desideri del cliente, soprattutto nel momento che l’offerta è notevolmente moltiplicata in tutti i settori produttivi; scoprire e interpretare le sfere del desiderio di un possibile consumatore è sicuramente d’aiuto per l’azienda. In certi casi sembrerebbe che le singole realtà produttrici ragionino per parti distinte, in quanto progettano individualmente la sezione rivolta al design, alla distribuzione, le reazioni dei consumatori e così via, invece dovrebbe essere un progetto unico, volto alla identificazione di un immagine unitaria e ben definita. “[…] noi stessi nella veste di consumatori valutiamo un prodotto e un acquisto conglobando tutti gli aspetti: razionale, emotivo ed estetico, e assieme giudichiamo, in un mercato farcito di opzioni di prodotto simili, anche la simpatia o l’antipatia di chi vende e la capacità di capire i nostri problemi e desideri”29.
27. La mission di un’organizzazione o impresa è la sua dichiarazione di intenti, il suo scopo ultimo, la giustificazione stessa della sua esistenza, e al tempo stesso ciò che la contraddistingue da tutte le altre. 28. Ampelio Bucci, Nuovi scenari della distribuzione, in Alberto Bassi (a cura di), ADI Index 2006, Editrice Compositori, Bologna 2006. 29. Ibidem.
Il rapporto tra designer, imprese e prodotti È evidente il mutamento del rapporto tra il designer e l’imprenditore, fattore che ha determinato il successo dei distretti produttivi degli anni settanta. Le straordinarie collaborazioni tra le due figure centrali dello sviluppo dell’economia italiana ha portato nel passato ad “un dialogo articolato, stabile nel tempo e nello spazio, in grado di affrontare compiutamente la complessità sistemica su cui si basa l’esistenza stessa degli artefatti: progettazione, produzione, comunicazione, distribuzione, consumo e post-consumo”30. Seguendo questa precisa direzione l’impresa matura il suo saper fare, costruisce il suo ufficio tecnico e nei casi più eccellenti consente di creare qualità e cultura del progetto. Nell’accezione contemporanea del rapporto di collaborazione tra imprenditore e designer, Bassi afferma che la tendenza è quella di affidare ad un unico designer (nella maggior parte dei casi si tratta di un product designer) diversi ambiti portando il processo nella sua complessità ad un “oggettivo impoverimento”31. Un esempio a questo proposito è Antonio Citterio (B&B). Ci sono invece casi importanti come direzione, in cui l’imprenditore lungimirante è stato in grado di costruire un vero e proprio percorso temporale nel quale i designer si susseguono e, nonostante la varietà dei linguaggi dei vari progettisti, la produzione riesce a mantenere un’omogeneità tale da fornire all’azienda un’immagine solida e riconoscibile nel tempo. Il design vive un momento transitorio e “di frequente segnato da scarsa qualità e innovazione”32, determinati anche dalla necessità dichiarata da parte dei progettisti di rendere nota la paternità degli oggetti: l’uso eccessivo della firma che spesso nasconde la mancanza di un contenuto significativo e genera un meccanismo obbligando il mercato ad una differenziazione estrema dei prodotti. In passato il cambiamento avveniva lentamente e l’evoluzione dei prodotti dipendeva da un lento progredire e portava sia a successivi stadi di sviluppo dei prodotti, sia al concepimento di nuove proposte. Youngme Moon sostiene che l’ipermaturità delle categorie del mercato globale e l’iperattività competitiva delle aziende diano luogo a delle espansioni delle categorie merceologiche che non sembrano portare alcun cambiamento significativo al sistema degli oggetti contemporanei33. All’interno di questa dinamica, si può localizzare la “pratica dilagante del design unicamente asservito alle logiche del mercato oppure banalmente sacrificato all’altare del lusso visto come obbligata soluzione di qualunque problema di concorrenza”34, pratica che non ha un futuro: è necessario che il design dia un forte contributo alle questioni globali che riguardano le imprese e la cultura attraverso un
30. Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, Electa, Milano 2007, cit., p. 62. 31. Ibidem, cit., p. 63. 32. Ibidem, cit., p. 68. 33. Youngme Moon, Differente. Il conformismo regna ma l’eccezione domina, Etas, Milano 2010, p. 63. 34. Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, Electa, Milano 2007, cit., p. 65.
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atteggiamento di forte responsabilità sociale e ritornare ad essere un valido strumento per la valorizzazione dei prodotti seriali. Jasper Morrison scrive su Domus “il mondo del design vive una situazione di deriva dalla normalità, ha dimenticato le proprie radici e il principio originario in base al quale ai designer spetta prendersi cura dell’ambiente creato dall’uomo”35. D’altra parte, dalla fine del secolo scorso si verifica l’acquisizione e il trasferimento delle modalità che riguardano la fase progettuale, produttiva e distributiva dal mondo del fashion ad una parte della cultura del progetto del progetto del prodotto. In questo modo il mercato del design è soggetto a un vero e proprio timing, analogo alle stagioni scandite dall’uscita dei campionari delle grandi firme che provoca l’omogeneizzazione degli artefatti e la loro inevitabile breve durata. Queste dinamiche determinano dunque la nascita di “un nuovo tipo di designer, connotato da un segno riconoscibile mediaticamente, e l’imposizione del marchio dell’azienda e della sua cultura- fino alla proposta di un vero e proprio life style costruito con i suoi prodotticome progetto di design, dissimulando così l’apporto del progettista e facendo diventare il brand la garanzia di qualità”36. Tale contesto obbliga a ridefinire il ruolo dell’industrial designer che, secondo Citterio, deve tornare ad essere una presenza costante all’interno dell’impresa e avere una visione globale del processo di produzione dei prodotti e dedicarsi ad una progettazione continua operando su prodotto e mercato una continua messa a punto, in gergo fine tuning, mediante la quale il prodotto si sintonizza con le necessità dettate dalla produzione e quelle del mercato. “I designer devono essere dotati oggi di una sensibilità più che di mercato (come viene talvolta un po’ semplicisticamente intesa) attenta agli aspetti culturali e sociologici, in grado di leggere le esigenze contemporanee, elaborando un corretto equilibrio fra design, industria e pubblico”37. Interessante citare la voce di Antonio Citterio Industrial Design (XXI secolo) pubblicata sull’enciclopedia Treccani, per il quale la centralità del design nell’agire d’impresa, nell’attenzione del consumatore contemporaneo e soprattutto nell’attenzione dei media provoca una condizione di ipercomunicazione che riesce a incidere sul mercato. Oltre ad una valorizzazione e ad una maggiore riconoscibilità da parte del consumatore del prodotto di design, si verifica infatti un’ambiguità che determina la classificazione di prodotti di forte ed immediato impatto visivo ideale “per le copertine delle riviste di settore”38 come oggetti di design, a scapito di una interpretazione articolata che deve riguardare il “carattere di approccio globale, funzionale alla
35. Jasper Morrison, Naoto Fukasawa, Naoto + Jasper = Super Normal, in “Domus”, 894, luglio 2006, cit., p. 32. 36. Antonio Citterio, Industrial Design (XXI Secolo), in http://www.treccani.it/ enciclopedia/industrial-design_(XXI-Secolo)/, cit. 37. Ibidem, cit. 38. Ibidem, cit.
realizzazione di prodotti, sistemi e servizi”39 caratteristico della cultura del progetto. In seguito a questa nuova visibilità, il designer e le imprese ricoprono un ruolo fondamentale nella definizione del sistema contemporaneo delle merci. Citterio cita Renzo Zorzi il quale sostiene che gli artefatti appaiono come prodotti della “necessità, e si vorrebbe dire dal destino di una interazione dell’intelligenza e progettualità industriale, cioè dell’industria in quanto tale, con il generale pensiero dell’epoca, in particolare con le idee, le sperimentazioni, le ricerche, il linguaggio che in campo scientifico e artistico, letterario e ideologico, tecnico e speculativo, la cultura più avanzata elabora ed esprime nel suo incessante bisogno di spingere più avanti le frontiere dell’umano, della conoscenza, razionale e intuitiva, delle capacità immaginative, della vocazione plasmatrice della specie uomo”40. Il successo del disegno industriale del nostro paese, scrive Citterio, getta le sue radici su un territorio fertile con grandi numeri di piccole imprese e imprenditori lungimiranti e si sviluppa attraverso le modalità già trattate sopra che - sempre per Zorzi - permette all’industria italiana di “uscire da quella prima, più restrittiva definizione di metodo della produzione industriale, insistere di più sui valori di progettazione, di studio dei materiali e delle loro specifiche tecnologie, di significato formale (e di immagine) dell’oggetto, di sua rispondenza all’uso, di adattabilità all’ambiente, del carico di intenzioni, di cultura, di cui il progettista le carica, o le libera, piuttosto che sul preminente valore di serie”41. Il mutamento radicale del contesto in cui i prodotti vengono posizionati ha avuto un forte impatto sulle tecnologie, sulla produzione, sull’immissione di tali prodotti sul mercato e sulla percezione degli stessi da parte del consumatore. Il processo produttivo di un prodotto diviene un sistema complesso che richiede l’intervento di diverse competenze e lo spostamento di parti della filiera in altre aree produttive con costi minori. Il furniture design italiano deve impegnarsi ad acquisire una logica industriale e puntare sulla ricerca e formazione, realizzare prodotti innovativi ed adeguare le politiche commerciali e distributive al mercato contemporaneo; non per ultimo deve essere riconsiderato il rapporto qualità prezzo, fattore centrale per il consumatore consapevole. La ricerca e la formazione sono le uniche armi che l’Europa possiede per affrontare i competitor mondiali che sfruttano il basso costo della manodopera42.
39. Antonio Citterio, Industrial Design (XXI Secolo), in http://www.treccani.it/ enciclopedia/industrial-design_(XXI-Secolo)/, cit. 40. Ibidem, cit. 41. Renzo Zorzi, Un’industria per il design, in Antonio Citterio, Industrial Design (XXI Secolo), http://www.treccani.it/enciclopedia/industrial-design_(XXI-Secolo)/, cit. 42. Antonio Citterio, Industrial Design (XXI Secolo), http://www.treccani.it/ enciclopedia/industrial-design_(XXI-Secolo)/
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1.2.3. L’evoluzione delle politiche per i distretti produttivi Il dibattito politico che si sviluppa in Italia alla fine degli anni ottanta porta al varo della legge n. 317 del 5 ottobre 1991 Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese che propone per la prima volta alle realtà produttive distrettuali un riconoscimento a livello normativo attraverso una politica di sostegno alle piccole e medie imprese. La legge promuove lo sviluppo, l’innovazione e la competitività delle piccole e medie imprese e, nella fattispecie, la diffusione delle nuove tecnologie, la creazione di società consortili costituite da imprese industriali, artigiane, commerciali e di servizi; la diffusione di strutture e strumenti finanziari per l’innovazione e lo sviluppo delle imprese e definisce le caratteristiche che una piccola impresa industriale deve avere per essere definita tale: non più di 200 dipendenti e 20 miliardi di lire di capitale investito. La legge punta dunque al sostegno della piccola impresa, favorisce l’innovazione tecnologica, promuove l’importantissima questione dell’associazionismo tra le imprese e studia una serie di strumenti per aiutarele in condizioni di crisi. Come scrive Andrea Colli, la legge 317 oltre ad incentivare l’innovazione tecnologica dei comparti italiani promuove “la dimensione territoriale e distrettuale, assumendola anzi come criterio nella concessione degli incentivi e delle facilitazioni”43. Una seconda fase delle politiche per i distretti sembra nascere in seguito alla scarsa efficacia dimostrata dalle applicazioni regionali dei criteri della legge sopra indicata. Si sviluppa un dibattito intorno ad una nuova idea di distretto produttivo, non più legata al riconoscimento di un’area specializzata e localizzata, ma che cerca di incentivare l’associazione di imprese per lo sviluppo di progetti innovativi. Uno dei primi tentativi sul territorio nazionale avviene in Lombardia che costruisce una rete di aziende specializzate su filiere innovative che non sarebbe possibile riconoscere con l’impiego dei parametri istituiti dalla legge precedente: così nascono i metadistretti. Nel 2003 viene approvata la legge regionale n. 8 il cui compito è quello di promuovere la capacità istituzionale delle economie locali nell’individuazione di strategie collettive. Questa legge porta al raggiungimento di obiettivi significativi quali la promozione dal basso di nuove coalizioni imprenditoriali e nuovi progetti di sviluppo industriale. Gli economisti Corò e Micelli sottolineano la presenza di una terza fase della politica per i distretti intenzionata a semplificare i rapporti delle imprese distrettuali con l’amministrazione pubblica, individuare il distretto come piattaforma giuridica per la creazione di nuovi strumenti finanziari, rafforzare il legame fra il sistema della ricerca e le imprese. Appare chiaro come il fermento che ha portato a queste tre iniziative importanti per l’economia del Paese confermi il distretto produttivo una funzione importante per il rafforzamento della competitività italiana sul mercato globale. “Il distretto, in altri termini,
43. Andrea Colli, I volti di Proteo, Bollati Boringheri, Torino 2002, cit., p.73.
si conferma non solo come un concetto fertile per l’analisi economica ma anche come uno strumento utile per la politica industriale, in particolare per le politiche per l’innovazione, per la competitività”44. A confermare ciò è l’istituzione della banca dati ufficiale nel 2009 dell’ Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani. Gli obiettivi di questa organizzazione sono: monitorare e aggiornare periodicamente i dati relativi ai distretti italiani, aggregare le principali istituzioni che si occupano di distretti produttivi al fine di fornire dati sulla realtà distrettuale, studiare i fenomeni che caratterizzano l’evoluzione e la trasformazione dei distretti, suggerire le politiche volte a sostenere le imprese degli stessi.
Le trasformazioni in atto Il Secondo Rapporto dell’Osservatorio del 2006, individua 101 distretti presenti sul territorio la maggior parte dei quali localizzati nel Nord Italia e non registra sensibili variazioni per quanto riguarda i settori di specializzazione: il settore dell’Abbigliamento-moda rappresenta il 37,6% del mercato; l’Arredo-casa il 21,8%; il settore dell’Automazionemeccanica il 25,7% e l’Alimentare rappresenta l’11,8%. Secondo i dati elaborati da Unioncamere, le imprese facenti parte delle realtà distrettuali italiane sono nel 2009 all’incirca 285 mila e occupano 1,5 milioni di addetti. La dimensione delle imprese è, come già precisato, prevalentemente piccola: il 98,3% non supera i 49 addetti e l’85,5% non impiega più di 9 addetti. I dati registrano l’aumento di imprese di media dimensione45, fattore che ha concesso alle stesse la possibilità di avere una maggiore strutturazione per quanto riguarda la loro forma giuridica46. Se il 2009 rappresenta uno degli anni peggiori nella storia dei distretti produttivi, il 2010 indica sotto il profilo quantitativo riguardante gli ordini, il fatturato e l’export, dei segnali di ripresa. Per la prima volta dopo anni, infatti, i distretti produttivi italiani mostrano tassi di crescita superiori a quelli di aree non distrettuali. La ripresa dunque vede protagoniste imprese in grado di riposizionarsi sul mercato e di accrescere il fatturato, ma non di creare nuova occupazione. La recessione spinge le imprese a razionalizzare i costi, ciò produce effetti negativi sui nuovi investimenti produttivi e di ampliamento della base occupazionale. I dati evidenziano la capacità di tenuta del modello industriale e la sempre maggiore proiezione delle imprese facenti parte dei distretti sul mercato estero. L’attuale crisi finanziaria,
44. Giancarlo Corò, Stefano Micelli, I nuovi distretti produttivi: innovazione, internazionalizzazione e competitività dei territori, Marsilio, Venezia 2006, cit., p. 99. 45. Le medie imprese occupano meno di 250 dipendenti. Il loro fatturato deve essere inferiore a 40 milioni di euro o il loro bilancio annuo inferiore a 27 milioni di euro. Per approfondimenti consultare il sito web Sintesi della legislazione dell’Unione Europea http://europa.eu/legislation_summaries/other/n26001_it.htm 46. Antonio Ricciardi, L’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani: i fenomeni più rilevanti emersi dal II Rapporto, Amministrazione e Finanza, marzo 2006.
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arredo casa abbigliamento-accessori moda automazione meccanica agro-alimentare altro
5. Mappa dei distretti italiani fonte: Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani
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rivela l’Osservatorio, ha colpito le aziende italiane a partire da quelle distrettuali il 60% delle quali ha cambiato strategia innovando, internazionalizzandosi o rafforzando i propri marchi. Sempre secondo l’Osservatorio le aziende più piccole e meno efficienti ricoprono un ruolo sempre più marginale all’interno del distretto, mentre le imprese leader tornano ad assumere nel distretto una funzione propulsiva verso il rinnovamento globale: un piccolo numero di imprese con la tendenza sempre più accentuata a distaccarsi dal contesto locale per ricercare al di fuori del distretto una serie di competenze strategiche rappresentano per il tessuto produttivo una forza trainante che attiva innovazioni pur mantenendo il know how all’interno del distretto. L’esempio eccellente di tale fenomeno, riportato all’interno del Rapporto del 2006, riguarda il caso Marazzi, azienda leader attiva all’interno del distretto della ceramica di Sassuolo: essa, in risposta alla crisi, ha investito in nuovi impianti tecnologici che apportano delle modifiche significative al processo produttivo dell’intero distretto. Si tratta di “imprese tanto evolute strategicamente che in alcuni casi hanno sostenuto gli anelli deboli della filiera (deboli soprattutto per criticità finanziarie) al fine di garantire nel medio-lungo periodo la flessibilità produttiva e la conservazione nel territorio della qualità della produzione”47. Per quanto riguarda l’anno 2011-2012, la quota di aziende distrettuali che segnala un aumento del fatturato nel 2011 è aumentata rispetto al 2010, passando dal 34% al 39,9% quota superiore a quella delle aziende manifatturiere non distrettuali (37,2%). Tuttavia vi è una crescita altrettanto sensibile della quota di aziende che registrano un’importante ridimensionamento del loro volume d’affari. I dati dell’export sono positivi e si registrano ormai da più di due anni con regimi sostenuti. nei primi nove mesi del 2011, scrive Antonio Ricciardi, si rileva un aumento dell’11,3% rispetto allo stesso periodo del 2010. Il dato peggiore riguarda certamente l’occupazione, tuttavia il quadro del 2011 rileva segnali positivi rispetto all’anno precedente: il 25% delle aziende dichiara di aver ridotto l’organico (rispetto al 28% del 2010) e il 19% dichiara di aver aumentato l’occupazione (nel 2010 soltanto il 12%). I settori dell’automazione-meccanica-gomma e plastica (+16,4%), quello dell’abbigliamento-moda (+12%) quello dell’Hi-tech (+6,6%) e quello dell’alimentare (+5,9%) continuano a rappresentare il traino delle esportazioni italiane. A livello geografico invece, come documenta Ricciardi, sono i 38 distretti del Nord Est a registrare la crescita maggiore. Nel secondo trimestre del 2011 è cresciuta la propensione a esportare nei nuovi mercati ad alto potenziale, dove i distretti hanno aumentato le esportazioni del 13,6%. Oltre alla Cina, dove i distretti toccano cifre da recor come i 606 milioni di euro esportati, si conferma il mercato Russo (+20,6%) e inizia ad acquisire
47. Antonio Ricciardi, Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani: i fenomeni più rilevanti emersi dal II Rapporto, Amministrazione e Finanza, marzo 2006, cit.
un ruolo maggiore anche il Brasile. Il settore che esporta maggiormente in questo paese è quello della meccanica che raggiungono nel 2011 la quota di 173 milioni di euro. Crescono insieme a questi paesi le potenzialità di Romania, Polonia, Arabia Saudita, Algeria48.
Le reti distrettuali Altro fattore fondamentale per la sopravvivenza di un distretto produttivo è la rete. Essa rappresenta ancora un valore in grado di contribuire al miglioramento della competitività delle aziende che mantengono saldi i legami funzionali all’interno dei distretti stessi. Il sistema delle reti distrettuali si evolve di pari passo con la complessità dei processi che generano prodotti, per questo motivo la rete non si identifica più solamente con i legami tra produttori e fornitori di materie prime, ma anche con altre forme di collaborazioni quali, per fare un esempio, i legami con i centri di ricerca e le università, con i consorzi per l’esportazione e per l’internazionalizzazione e per l’acquisto comunitario delle materie prime. Tali reti, secondo la letteratura economica presa in analisi, sono costituite da schemi per lo più provvisori, dunque in continua evoluzione che dimostrano il livello di tenuta del sistema distrettuale49. I distretti presentano in questo momento della storia economica la forte necessità di un’apertura di tali reti verso l’esterno per uscire dagli stretti confini del localismo. Come già espresso da altre fonti riportate in questo paragrafo, la dimensione media delle imprese distrettuali tende ad aumentare mentre diminuisce progressivamente la specializzazione produttiva e le imprese tendono a diversificare sempre maggiormente l’offerta cercando di limitare la delocalizzazione e potenziare le reti locali di fornitura, più affidabili di quelle estere. Il successo delle medie imprese è dovuto dunque, oltre alla qualità e alla differenziazione dei prodotti, all’affermazione del marchio e al riposizionamento sul mercato attraverso i nuovi canali distributivi.
1.2.4
Le forme distrettuali attuali
Per studiare l’origine del rapporto fra i distretti e il design bisogna “ragionare sulla rilevanza decisiva del collegamento fra cultura del progetto e sviluppo del sistema produttivo italiano, nella forma storica del distretto o nelle sue evoluzioni contemporanee. Il ruolo dei progettisti come elemento generatore/vitalizzante nello sviluppo delle imprese è stato solo in parte indagato dalla storiografia
48. Antonio Ricciardi, Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, Terzo Rapporto, Amministrazione e Finanza, marzo 2012. 49. Antonio Ricciardi, Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani: i fenomeni più rilevanti emersi dal II Rapporto, Amministrazione e Finanza, marzo 2006.
49
piramidale
omogenea
piramidale
eterogenea
orizzontale
omogenea
orizzontale
eterogenea
radicata
di mercato
radicata
di trasformazione
6. Classificazione dei distretti italiani contemporanei
estesa
di mercato
estesa
di trasformazione
economica e scarsamente valorizzato da quella del design. In chiave storica e critica, dal punto di vista del rapporto fra progetto e impresa si conosce abbastanza poco – e questo è anche alla base di alcune difficoltà passate e attuali dei distretti, più in generale delle PMI –, ma tale necessità di conoscenza è fondamentale nella condizione presente che necessita nuovi strumenti teorici e operativi per agire in un contesto radicalmente mutato. Le dinamiche economiche interne ai distretti sono cambiate. Parliamo naturalmente di quelle realtà che hanno provato a mettere a punto strategie e strumenti per affrontare le nuove condizioni; per chi in questi decenni non ha saputo o voluto vedere i cambiamenti globali e complessivi in atto le strade sono divenute assai difficili. Ad esempio, sembra evidente il passaggio da un modello di distretto omogeneo ad uno eterogeneo. Se storicamente, in massima sintesi, le imprese operavano in un unico ambito settoriale, ora emerge una necessità di organizzazione trasversale, con produzioni fra loro complementari per chiudere il cerchio del sistema realizzativo. In genere un’impresa diventa leader e riorganizza un sistema terziarizzato. Un altro modello emergente è quello del distretto a leadership dove un’impresa più grande riunisce attorno a sé aziende minori del territorio, senza rinunciare nel caso a delocalizzazioni. Ancora tutto da praticare e studiare, ma ricco di potenzialità in relazione ai rilevanti cambiamenti economico e culturali, è il modello cooperativo, di aziende fra loro consorziate temporaneamente o meno, per la gestione di una commessa o di un progetto di ricerca. Temi di fondo restano almeno un paio: la definizione identitaria (territorio, distretto, impresa); il rapporto locale-globale. Nel contesto dell’agire contemporaneo dell’impresa e delle istituzioni, il design – inteso come processo, approccio globale, prassi di team work – è funzione vitale e strategica.”50. Risulta importante elaborare alcune definizioni, necessarie a collocare all’interno di una mappa di posizionamento i distretti produttivi italiani presi in esame51. Per quanto riguarda la produzione interna al distretto si possono definire i distretti omogenei e quelli eterogenei: All’interno di un distretto omogeneo vengono prodotti artefatti della stessa tipologia o tipologie differenti attraverso processi produttivi simili. Mentre in un distretto eterogeneo i materiali, le tipologie di prodotti e i processi produttivi sono differenti per tutte le aziende. L’organizzazione della produzione all’interno dei distretti può essere piramidale o orizzontale. Nell’organizzazione piramidale un’impresa prende la posizione di leader e concentra la produzione delle più piccole, in quella orizzontale
50. Alberto Bassi, Design per (proto, post, neo, meta, super) Distretti, pagina web Distretti & Design www.distrettidesign.it, cit. 51. Tali definizioni sono state elaborate durante il Corso di Critica e Storia del design contemporaneo, a.a. 2011/2012 con il docente Alberto Bassi.
51
Distretti italiani 52
tutte le imprese facenti parte del distretto hanno pari rilevanza e collaborano senza creare gerarchie stabili. Le aziende presenti nel distretto possono avere rapporti con imprese esterne ad esso e configurarsi come aziende estese, oppure essere radicate nel contesto distrettuale e creare i propri rapporti all’interno di esso. L’impresa, infine, può avere una produzione di mercato, attuando processi che generano prodotti finiti pronti per essere distribuiti sul mercato, oppure produrre semilavorati utilizzati e processati da altre imprese distrettuali e non. Esistono dunque nel panorama dei distretti italiani imprese di tipo: > radicata di mercato; > radicata di trasformazione; > estesa di mercato; > estesa di trasformazione. L’ultimo Monitor dei Distretti elaborato dal Servizio Studi di Impresa di Intesa San Paolo mappava nel giugno del 2012, 143 distretti impegnati nella produzione all’interno dei quattro settori che gli economisti definiscono “Classici del Made in Italy”. Venti sono i poli tecnologici sviluppatisi nei settori della farmaceutica, Ict, aeronautica, biomedicale e 13 mila sono le imprese distrettuali alle quali se ne devono aggiungere 36 mila specializzate nelle produzioni rilevanti per i distretti52. A vent’anni dal primo reportage sui distretti produttivi italiani effettuato dagli inviati de “Il Sole 24 Ore”, il quotidiano ripropone un’attenta analisi delle stesse 64 realtà distrettuali prese in considerazione nel 1992. L’obiettivo del viaggio degli inviati a partire dall’agosto del 2012 è quello di comprendere se vi sia la possibilità da parte dei distretti contemporanei di garantire la flessibilità interna e assorbire gli shock esterni che si verificano nel mercato globale. Il capitale umano continua ad essere la base di questi sistemi, per questo motivo è fondamentale che si sviluppino istituti tecnici legati alle vocazioni di ogni singolo territorio e la specializzazione delle università. Ogni filiera produttiva, infatti, porta con se un’eccellenza non trasferibile: il primo compito di un distretto, dunque, è quello di creare e mantenere il know how necessario. Un altro fattore cruciale secondo l’inchiesta del quotidiano è la capacità da parte delle piccole e medie imprese di acquisire nuovi brevetti e di tipo internazionale che le porta ad una maggiore visibilità e capacità di interfacciarsi con il mercato globale53. La valutazione dei distretti da parte dell’inchiesta del Sole 24 ore si basa su una serie di criteri identificabili in: - alleanze strategiche, ovvero la capacità delle piccole e medie imprese di costruire vere e proprie alleanze realizzando quello che è il sistema alla base dei distretti, cooperazione-competizione;
52. Giuseppe Chiellino, L’irruzione dell’hi-tech determina le differenze, in “Il Sole 24 ore”, 7 Agosto 2012, cit. 53. Alberto Orioli, La vera politica industriale viene solo dalla conoscenza, in “Il Sole 24 ore”, 7 Agosto 2012, cit.
- anti-concorrenza sleale: contrastare il mancato rispetto della proprietà intellettuale da parte di competitore che ricorrono a pratiche di dumping; > le scelte delle imprese private e delle politiche locali devono essere integrate; > sviluppo di procedure commerciali unitarie da parte del comparto attraverso nuove politiche di brand locale e di settore; > capacità delle aziende di fare rete; > costo del lavoro; > dimensione d’impresa e capacità delle micro imprese di inserirsi all’interno di un mercato di nicchia; > livello di innovazione: rapporto tra la cultura del prodotto (elemento che ha dato vita ai distretti produttivi) e innovazioni di processo; > internazionalizzazione: soddisfare la domanda interna di prodotti producendo attraverso pratiche di outsourcing; > capacità di trasformare il mercato italiano in un mercato interessante; > capacità di formare il capitale umano sviluppando le competenze immateriali; > produttività: i distretti devono trovare il loro spazio di azione tra i gigantismi industriali e i nuovi assetti tecnologici54.
53
54. Giuseppe Chiellino, L’irruzione dell’hi-tech determina le differenze, in “Il Sole 24 ore”, 7 Agosto 2012, cit.
Il distretto del vetro artistico di Murano
2
Non ho mai fatto un vetro con le mie mani, non ho mai soffiato dentro la lunga canna per fare un vetro. [...] non conosco proprio nulla di questi rischi, di questi piaceri, e certamente non saprò mai niente di queste sapienze segrete: non mi resta altro che stare a guardare coloro che la possiedono. Ettore Sottsass
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2.1 Il distretto di Murano
2.1.1. Murano è un distretto Rispetto alle teorie economiche che definiscono la struttura produttiva distrettuale è possibile affermare che le aziende che appartengono alla filiera del vetro insediate nell’isola di Murano costituiscono il distretto dove si progetta, si produce e si vende vetro artistico. Si tratta di un distretto path dependent1 in quanto la nascita delle prime vetrerie risale a più di mille anni fa, contemporanea alla nascita della città di Venezia, quando gli abitanti di Aquileia furono costretti a fuggire dalle incursioni dei barbari e costretti a cercare rifugio nelle isole quasi disabitate della laguna. Il documento comprovante un’attività vetraria a Venezia è decisamente posteriore. Si tratta di una dichiarazione di tal Domenico fiolarius, cioè vetrario, che porta la data dell’anno 982 ed è depositata presso l’Archivio di Stato di Venezia2. Dunque si può affermare che l’arte vetraria sia sempre stata presente nel territorio lagunare ma, nel 1291, la produzione del vetro da Venezia viene spostata a Murano grazie al decreto del Maggior Consiglio che stabilisce che le fornaci per il lavoro della materia prima devono avere sede solamente a Murano, determinando così una maggiore concentrazione della produzione. I motivi di questo provvedimento sono essenzialmente tre. Il primo e forse, il più importante, riguarda la segretezza dei processi di produzione. Il segreto della fabbricazione del vetro attraverso una rigida sorveglianza e specifiche leggi protezionistiche era più facilmente attuabile in un’isola di piccole dimensioni, dove le aziende produttrici erano più concentrate e isolate dal contesto urbano. Il secondo motivo è legato alla relativa pericolosità della lavorazione del vetro che prevede l’utilizzo di altiforni a ciclo continuo. Per evitare che il pericolo di incendi potesse coinvolgere la città di Venezia, si è preferito confinare la produzione vetraria in un isola periferica ma allo stesso tempo abbastanza vicina alla città. Il terzo motivo è legato alla salubrità dell’aria di Venezia. Le esalazioni dei gas prodotti durante la lavorazione del vetro si disperdevano con più facilità in un’isola come Murano che, come tutte le località dell’estuario è prevalentemente dominata dai venti da sud est e da nord est3. Da secoli, dunque, a Murano si è costituita una struttura produttiva che ha determinato la
1. Vedi par. 1.1.2. 2. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993, p. 8. 3. Per approfondimenti cfr. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993; Gianfranco Toso, Il vetro di Murano, Arsenale Editrice, Venezia 2000.
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7. Il distretto del vetro artistico di Murano
formazione del distretto industriale per elezione storico culturale prima ancora che giuridica. Murano può essere definita distretto radicato4, in quanto la maggior parte delle imprese instaura rapporti all’interno del territorio distrettuale. Inoltre solamente le imprese presenti sul territorio insulare possono essere riconosciute come produttrici di artefatti Made in Murano. La produzione distrettuale può essere definita di mercato5 in quanto le aziende producono manufatti finiti e diretti alla vendita, ad esclusione delle poche imprese che producono semilavorati destinati ad un’ulteriore processo di lavorazione6. In linea generale, i prodotti muranesi, seppur molto diversi fra loro, per qualità, funzione e forma, hanno prevalentemente una connotazione seriale anche se realizzati in maniera artigianale. La lavorazione del vetro artistico richiede, come intuibile, un’elevata dose di manualità e poco sviluppo tecnologico: le macchine necessarie al processo produttivo sono solo, e ancora, i forni fusori e quelli per la ricottura del prodotto finito che non sono dissimili da quelli antichi. I processi automatizzati sono assai limitati e comunque non incidono su una produzione che è prevalente realizzata dall’intervento dell’uomo. Il distretto è dunque eterogeneo7 in quanto le produzioni delle diverse imprese differiscono tra loro e spaziano dalla realizzazione di piccoli oggetti, a sofisticati prodotti d’arredo e apparecchi da illuminazione. La dimensione delle aziende varia dalle micro-imprese, alle grandi imprese che sono presenti anche sui mercati internazionali ma che non si costituiscono come imprese in grado di esercitare un reale fenomeno di traino nei confronti delle prime che rimangono limitate al mercato locale. Si tratta dunque di un’impostazione distrettuale orizzontale8 che non prevede alcun rapporto tra le diverse imprese con la conseguenza che da almeno vent’anni si assiste ad uno stallo del mercato e della produzione del vetro artistico dell’isola. Appare inoltre evidente la necessità di prendere in considerazione anche le aziende che hanno spostato la produzione sulla terraferma per motivi logistici e contenimento dei costi, una su tutte l’azienda Foscarini che vanta un rapporto di collaborazione con designers esterni all’ufficio tecnico, italiani e internazionali9. Questo particolare settore produttivo ha degli specifici connotati tecnico-culturali che sono nati e si sono sviluppati nell’isola di Murano ma che evidentemente si sono irradiati al di fuori di essa, nella vicina terraferma, favorendo l’insediamento di altre aziende simili.
4. Vedi par. 1.2.4 5. Vedi par. 1.2.4 6. L’azienda Effetre attiva a Murano è la più importante nel settore dei semilavorati. È l’unica che produce canne millefiori per terzi. (minimo 5 kg). Inoltre è specializzata in graniglie, cioè vetro macinato in diverse granulometrie, bacchette colorate, usate per le lavorazioni a lume, filigrane di diversi colori, usate per i soffiati, piatti e sculture. 7. Vedi par. 1.2.4 8. Vedi par. 1.2.4 9. Vedi par. 2.2.1
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Il distretto del vetro artistico di Murano 60
I provvedimenti normativi e legislativi per il distretto Negli anni novanta si è verificata una forte contrazione degli investimenti nel comparto produttivo muranese: in quel momento si è ritenuto che la costituzione di un distretto fosse indispensabile per lo sviluppo di questo e che occorresse ripensare ad un diverso modo di organizzare la struttura produttiva aprendola a contributi multidisciplinari in grado di creare sinergie verso operatori esterni e favorire l’apporto di quelle risorse che l’imprenditoria muranese non era in grado di garantire da sola. Nel 2003 le imprese vetrarie di Murano, le Associazioni di Categoria degli imprenditori, industriali e artigianali, gli Enti Pubblici e i maggiori Enti privati direttamente interessati allo sviluppo della realtà muranese, hanno ritenuto di aderire congiuntamente al rinnovo del Patto per lo Sviluppo ai sensi della legge regionale 4 aprile 2003 n. 8 e successive modificazioni. Gli obiettivi del Patto erano connessi alla realizzazione di progetti in diversi ambiti quali quello ambientale che prevedeva il risanamento delle aree produttive e la riduzione delle emissioni inquinanti. Nell’ambito tecnologico venivano promosse attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, oltre alla diffusione di nuove tecnologie attraverso l’allestimento temporaneo di esposizioni dimostrative. L’ambito amministrativo prevedeva l’istituzione di banche dati e osservatori in grado di monitorare le attività produttive dell’isola. Il patto prevedeva inoltre la presenza di servizi informatici e telematici destinati a fornire informazioni di mercato alle imprese, stimolando l’interesse verso altre realtà industriali e presenti all’interno della stessa filiera produttiva al fine di una maggior collaborazione. Ovviamente moltissima attenzione è stata data alla riorganizzazione logistica dei comparti, nella fattispecie al caso muranese. Nel 1994 la Regione del Veneto introduce il Marchio del Vetro Artistico® di Murano10 che ha determinato la protezione e la tutela della produzione interna all’isola disciplinandone puntualmente le caratteristiche. Proprio attraverso la costituzione di questo marchio la Regione del Veneto riconosce l’importanza del distretto produttivo del vetro in anteprima sulla già citata Legge del 2003 e la necessità di tutelare la principale attività economica dell’isola. L’obiettivo dell’istituzione di questo marchio era quello di proteggere l’immagine di Murano dall’imperversare di prodotti realizzati altrove ma venduti come prodotti dell’isola. Questa situazione negativa ledeva ulteriormente le aziende e i livelli occupazionali già in contrazione e influiva sugli acquisti dei consumatori non in grado di percepire un’immagine unitaria della produzione del luogo. La gestione del marchio è affidata al Consorzio Promovetro11 che nel tempo ha raccolto
10. Il consorzio Promovetro insieme a Confartigianato Venezia ed Unindustria Venezia hanno istituito un marchio del vetro originale di Murano. Il marchio è disegnato dall’artista Lazzarini e istituto con legge della Regione Veneto n.70 del 23 dicembre 1994. La gestione e la promozione sono affidate al Consorzio Promovetro. 11. Il Consorzio Promovetro di Murano nasce nel 1985, con il patrocinio di Confartigianato Venezia, da un’iniziativa di un gruppo di imprese artigiane impegnate
diverse adesioni da parte delle aziende presenti sul territorio che necessitano di una maggiore visibilità e tutela all’interno del mercato contemporaneo. L’area produttiva dal 2009 non risponde più ai parametri necessari per poter rientrare nei piani di sviluppo regionali in qualità di distretto produttivo, in quanto mancano i requisiti in merito al numero minimo degli addetti, al numero delle aziende e dell’ammontare del fatturato complessivo12. Nonostante ciò, Murano continua a configurarsi come distretto produttivo monoculturale in grado di assorbire il 55% delle attività dell’isola dalla produzione alla vendita e da non sottovalutare è anche il suo ruolo trainante per il settore turistico13. Inoltre, gioca un ruolo fondamentale la presenza sul territorio di diverse istituzioni potenzialmente in grado di costruire una cultura del vetro e della sua produzione nell’ultimo millennio di storia14.
2.1.2. Breve storia del progetto del vetro Nel corso della millenaria storia del vetro di Murano non è mai apparso, fino al ventesimo secolo, il ruolo del progettista. La realizzazione degli oggetti è sempre stata affidata ad un’unica figura: il mastro vetraio. Egli incarna il duplice ruolo di progettista e di esecutore dell’oggetto. L’oggetto finale era il risultato conseguente di una serie di ragionamenti strettamente collegati ad una antica e profonda conoscenza della tecniche e dei processi di produzione del vetro. Il prodotto finito era il frutto delle decisioni stilistiche e delle abilità tecniche del maestro e lo sviluppo di questa arte è proceduto nel tempo lentamente in modo empirico, secondo successive precisazioni e affinamenti sia tecnologici che tecnici. Se tradizionalmente si indica nel Brunelleschi il primo architetto della storia, nell’accezione moderna, nella produzione degli oggetti d’uso il concetto di designer si manifesta solo con la rivoluzione industriale, ma anche così gli ambiti dei progettisti e quelli degli artigiani hanno spesso parlato linguaggi differenti e di conseguenza la progettazione,
nella produzione di vetro artistico di Murano. Nel corso degli anni è divenuta un’importante realtà consortile, tanto da annoverare tra i suoi soci le due principali associazioni di categoria del settore vetro, Confartigianato Venezia e Unindustria Venezia. Rappresenta attualmente una sessantina di aziende tra aziende artigiane e industrie muranesi e veneziane. 12. Queste informazioni sono state ottenute durante un colloquio con Mattia Mian, segretario del Consorzio Promovetro. Non vi sono documenti che testimoniano l’esclusione di Murano dal sistema dei distretti italiani, nonostante il comparto del vetro figuri tutt’oggi all’interno del sito web http://www.osservatoriodistretti.org e in diverse altre pubblicazioni. 13. Giuseppina di Monte (a cura di), Anch’io Progetto Murano, quarto Tavolo tematico: occupazione e produzione, in doc. COSES 1228.1, Progetto Murano, Scenario Socioeconomico, su richiesta di Comune di Venezia – Direzione Piano Strategico. 14. Questo è dimostrato dall’articolo de “Il Sole 24 Ore” dedicato al distretto del vetro di Murano, considerato tale insieme ad altre 65 realtà produttive.
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Il distretto del vetro artistico di Murano
intesa come processo in cui si confrontano dialetticamente competenze e culture diverse, ha trovato delle resistenze a diventare caratteristica specifica del processo della produzione. Se prima l’arte, il progetto e l’artigianato, non avevano specifici confini e competenze, dall’ottocento e soprattutto dall’inizio del novecento, emerge una nuova consapevolezza che fonde gli aspetti estetici e formali con le tecniche produttive tradizionali. La storia del progetto del vetro di Murano nel primo novecento è indicativa di questo passaggio: gli ambiti, apparentemente distanti e distinti tra loro, imparano a comunicare e a convivere in modo naturale, conseguentemente si passa da oggetti artigianali, che sono il frutto di una cultura e competenza collettiva tramandata da padre in figlio, ad artefatti che sono l’espressione di singole personalità estetiche.15 La rinascita dell’arte vetraria muranese è riconducibile al moderno dialogo tra progetto e produzione tradizionale, che vede le sue origini con la nascita di una nuova vetreria: Vetri Soffiati Muranesi Cappellin Venini & C. L’azienda fondata nel 1921, grazie ad un interessante, ma allo stesso tempo, singolare incontro tra due figure provenienti da ambiti molto lontani: Paolo Venini, (1895-1959), avvocato milanese, e Giacomo Cappellin (1887-1968), antiquario veneziano.
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Il periodo fra le due guerre mondiali “Venini, oltre ad aver realizzato, con la sua alacre capacità organizzativa (non per niente era milanese) e la estensione delle vendite e delle rappresentanze (altro merito fattivo), la produzione che ha ispirato ai suoi maestri vetrai – sostenuto da un gusto moderno finissimo, che non si è mai stancato né piegato a ritorni stilistici – che ha esteso a tutti i settori moderni delle arti vetrarie muranesi […], ha suscitato attorno a sé, per l’attrazione che esercitava il suo spirito, e la affettuosità e la signorilità e umanità della sua amicizia, la collaborazione di artisti e architetti”16. La produzione della fornace è fin da subito, rivolta ai gusti della committenza più raffinata, la quale aveva sensibilità estetiche molto diverse rispetto i normali prodotti caratterizzati da una decorazione ridondante. Il pittore Vittorio Zecchin (1878-1947) viene scelto da Cappellin e da Venini come direttore artistico dell’azienda nel 1921, perché, nel decennio precedente, si era mostrato un audace sperimentatore all’interno del settore vetrario, ma non solo, era anche un artista di matrice fortemente klimtiana che contribuì al rinnovamento dell’arte italiana.
15. Per ulteriori approfondimenti sul tema: AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001; Marco Romanelli, Aperto Vetro, Architetti e designer a confronto con il vetro quotidiano, Electa, Milano 2000; Alberto Bassi, La luce italiana, design delle lampade 1945-2000, Electa, Milano 2003; Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993. 16. Gio Ponti, Venini, in “Domus”, 361, dicembre, 1959, cit., p. 33.
8. Vittorio Zecchin per Venini, vaso Veronese, 1921
Il distretto del vetro artistico di Murano 64
Il muranese Zecchin disegna una collezione nella quale si fondono armonicamente equilibri antichi e moderne audacie che ha un impatto indiscutibile nel mondo dell’arte vetraria muranese. Egli progetta i suoi vetri prendendo ispirazione dalle tele rinascimentali, riducendo di molto l’apparato decorativo, come ad esempio, il vaso denominato Veronese, ispirato da un suppellettile presente nella tela dell’Annunciazione di Paolo Veronese “Fu considerato una pietra miliare del modernismo, altre che un’evocazione poetica della storia. Questa forma, tanto amata, venne successivamente utilizzata come logo del marchio della ditta Venini”17. La consacrazione di questo nuovo stile moderno è sicuramente favorita da importanti appuntamenti annuali, mostre e fiere, sia in Italia che all’estero, le quali diventano degli ottimi palcoscenici espositivi stimolando di anno in anno la ricerca tecnica ed estetica dell’arte vetraria. Dal 1895, anno della sua fondazione, la Biennale di Venezia diventa un interessante luogo confronto per le aziende muranesi, fino al 1972, quando per l’ultima volta viene lasciato spazio all’Ente delle arti decorative18. La maggior parte dei progetti esposti negli anni venti sono il frutto di assidue sperimentazioni e ricerche tecniche ed estetiche, per questo sono presentati oggetti molto complicati e costosi, difficilmente commercializzabili. Nonostante ciò, queste occasioni sono di straordinaria importanza per le vetrerie muranesi che hanno modo di confrontarsi con altre realtà produttive analoghe in un clima di sana concorrenza. Altrettanto importanti sono gli incontri della Biennale delle arti decorative di Monza dal 1923 al 1930 che diventano presto un punto di riferimento per le arti decorative del tempo19. Alla Triennale di Monza del 1923 e alla Biennale del 1924 espongono le aziende più note di Murano, tra cui Cappellin Venini & C. che non perde occasione per mostrare gli sviluppi tecnici e stilistici della sua produzione, la quale influenzerà complessivamente il mondo del vetro muranese. L’azienda presenta una linea di vetri soffiati dalle forme particolarmente eleganti e dai sottilissimi spessori, enfatizzati dall’uso di colori tenui o addirittura trasparenti. Tra i pezzi più noti esposti a Monza, è da ricordare la profonda coppa ad ampie anse, di Vittorio Zecchin, il vaso Libellula. All’azienda Cappellin Venini & C. lavorano i migliori maestri vetrai
17. David Revere McFadden, Il binomio arte e design nell’artigianato: una recensione sul vetro di Murano, in AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001, cit., p.12. 18. Marina Barovier, Rosa Barovier Mentasti, Attilia Dorigato (a cura di), Il vetro di Murano alle Biennali 1895-1975, Leonardo Arte, Milano 1995. 19. Per ulteriori approfondimenti: Rosa Barovier Mentasti, Vetri veneziani del ‘900, la collezione della Cassa di Risparmio di Venezia Biennali 1930-1970, Marsilio, Venezia 1994; Marina Barovier, Rosa Barovier Mentasti, Attilia Dorigato (a cura di), Il vetro di Murano alle Biennali 1895-1975, Leonardo Arte, Milano 1995.
che l’isola può offrire, come Diego Barovier, Raffael Ferro, Nino Pavanello oltre al grande Giovanni Seguso, detto anche Nane Patare, a cui viene affidata la direzione tecnica della produzione. È interessante sottolineare che in questa azienda si sente l’esigenza di affiancare al direttore artistico nella figura di Zecchin, anche un direttore tecnico, che sovraintende tutti i processi della produzione20. La storica azienda Barovier & Toso, fondata nel 1878 da Benvenuto (1855-1929) e Giuseppe (1852-1942) Barovier, espone a Monza vetri molto elaborati, alcuni decorati con smalti e ori, altri invece, da inserti di ferro progettati dallo stesso titolare Ercole Barovier (1889-1974). In questi oggetti si possono intravedere motivi legati all’Art Nouveau, ma anche rievocazioni neorinascimentali e ricordi déco, secondo un gusto meno innovativo rispetto, per esempio alla produzione dell’azienda Venini. È doveroso ricordare la serie di vasi a murrine e i Floreali a murrine21, nati nel primo dopoguerra riadoperando una antica tecnica caduta in disuso. Sicuramente questi pezzi rientrano nelle opere di maggior pregio di quegli anni nonostante l’azienda fosse ancora molto lontana dal concetto di design moderno “ erano piuttosto artigiani di impostazione Art Nouveau, creatori che elaboravano personalmente oggetti di raffinata esecuzione”22. Nel mutato contesto culturale del dopoguerra, caratterizzato da manufatti in cui veniva esaltata la semplice e leggera natura del materiale vetro, l’azienda Barovier & Toso, che continuava a mantenere uno stile classicheggiante, progressivamente viene a perdere quel ruolo di azienda leader nel contesto di Murano, che aveva conservato ininterrottamente fino alla fine dell’Ottocento. L’azienda SAIAR Ferro Toso, fondata nel 1895, durante le esposizioni di Parigi e Monza del 1925, presenta vetri soffiati e incisi da Franz Pelzel (1900-1974) su disegno del grafico torinese Guido Balsamo Stella, (1882-1941) che aveva chiamato nel suo studio a Firenze, il giovane incisore boemo che diventa presto il suo più assiduo collaboratore. Franz Pelzel interpretava il pensiero del grafico, disegnando seducenti ed eleganti figure inizialmente sui vetri toscani e, dal 1927 in poi, anno in cui trasferiscono lo studio alla Giudecca, anche sui vetri muranesi. Il successo di questi vetri, confermato nelle esposizioni di Parigi e Monza del 1925, nasce dall’incontro di tre culture vetrarie: boema, muranese e svedese. Quest’ultima grazie all’influenza di Anna Akerdhal (18791957) moglie di Guido Balsamo Stella, che collabora assiduamente alla progettazione dei vetri decorati.
20. Per un approfondimento cfr. Franco Deboni, I vetri Venini, Allemandi e C., Torino 1989; Franco Deboni, Murano ‘900 - Vetri e Vetrai, Bocca Editrice, Milano 1996. 21. La tecnica della murrina è una delle lavorazioni più antiche, i primi esempi, infatti risalgono all’epoca romana. Già nel XVI secolo troviamo pezzi così realizzati. Caduta in disuso, la tecnica venne ripresa alla metà dell’Ottocento e raggiunse il suo apice nel nostro secolo, specialmente ad opera degli Artisti Barovier e della Venini & C. Con questa tecnica sono realizzati tutti i vasi prodotti dagli artisti Barovier, Fratelli Toso, e dalla Venini & C. negli anni ’40 e ’50. 22. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993, cit., p. 79.
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Le incisioni di Franz Pelzel rappresentano scene della mitologia, dove si possono osservare corpi nudi di divinità danzanti, riproducono anche ambientazioni settecentesche con donne impegnate in attività sportive e non solo. Era capace di incidere anche immagini di vita moderna, sempre con un sapore decisamente déco, ma allo stesso tempo, di una raffinatezza contemporanea23. Gio Ponti, dopo la morte di Balsamo Stella, nel 1941, scrive un articolo commemorativo: “ha molto contribuito, come artista e come maestro, alla rinascita dell’arte decorativa italiana. È a lui che massimamente si deve la ripresa da noi del vetro inciso con spirito moderno e tecnica aggiornata”24. Alla grande Esposizione delle arti decorative di Parigi del 1925, Exposition des arts decoratifs et industriels, la vetreria Cappellin Venini & C. espone una selezione dei suoi oggetti più rappresentativi, anche nel campo dell’illuminazione, ottenendo un notevole successo. Alcuni dei pezzi disegnati da Vittorio Zecchin vincono il Grand Prix e vengono recensiti positivamente nelle più qualificate riviste internazionali. Appena dopo l’esposizione di Parigi, a seguito di contrasti fra i due proprietari l’azienda si scioglie e Giacomo Cappellin fonde la fornace Maestri Vetrai Muranesi Cappellin & C. mantenendo Vittorio Zecchin come direttore artistico e altri eccellenti maestri, tra i quali Giovanni Seguso. Paolo Venini mantiene la vetreria di Murano e i negozi di via Montenapoleone a Milano, e avvia una nuova società chiamata Venini & C. Murano assumendo come direttore artistico l’ingegnere Francesco Zecchin (1894-1986), e lo scultore muranese Napoleone Martinuzzi (1892-1977), il quale al tempo ricopriva la carica di direttore del Museo del Vetro. La crisi economica del 1929 coinvolge anche le aziende muranesi e molte falliscono. Per cercare di contrastare questa situazione si aumentano gli sforzi per pubblicizzare l’attività vetraria: la Biennale di Venezia del 1930 da largo spazio al mondo del vetro e, insieme alla Triennale delle Arti Decorative di Monza, offre un ampio panorama sulla produzione dell’isola.25 Lo scultore Martinuzzi inizia a reintrodurre le tecniche della tradizione, come i rilievi ottenuti a stampo aperto e mezza stampatura. L’azienda Venini presenta alle Biennali di Venezia del 1928 e del 1930 e alla Triennale di Milano del 1930 imponenti vasi di vetro pulegoso26,
23. Per approfondimenti cfr. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993; Franco Deboni, Murano ‘900 - Vetri e Vetrai, Bocca editrice, Milano1996; Astone Gasparetto, Il Vetro di Murano dalle origini ad oggi, Venezia 1962; S. Tagliapietra, La Magnifica Comunità di Murano, 1900-1925, Verona 1980. 24. Gio Ponti, Giuido Balsamo Stella, in “Domus”, 249, settembre 1941, cit. 25. Per ulteriori approfondimenti: Rosa Barovier Mentasti, Vetri veneziani del ‘900, la collezione della Cassa di Risparmio di Venezia Biennali 1930-1970, Marsilio, Venezia 1994; Marina Barovier, Rosa Barovier Mentasti, Attilia Dorigato (a cura di), Il vetro di Murano alle Biennali 1895-1975, Leonardo Arte, Milano 1995. 26. “[…] Ideatore di questa tecnica fu lo scultore Napoleone Martinuzzi.[…] La leggenda muranese è prodiga di storie fantasiose ad usi e consumo di turisti sprovveduti, anche per quello che concerne il vetro “pulegoso”, si racconta che venivano usate sostanze
9. Carlo Scarpa con il maestro vetrario Arturo Biasutto detto "Boboli", Murano, 1943
10. Carlo Scarpa per Venini, Incamiciati cinesi, 1940
caratterizzato dall’inclusione di innumerevoli bolle d’aria che rendono la materia spugnosa e opaca. I vetri sono contraddistinti da forme arcaiche e la colorazione varia nei toni del verde scuro. Oltre ai vasi, Venini propone, altri pezzi in vetro pulegoso dalle forme molto più scultoree: composizioni di piante grasse, divertenti cactus, animali, centri tavola con conchiglie e colonnine tortili. Alle stesse esposizioni di Milano e Monza partecipa anche l’azienda Maestri Vetrai Muranesi Cappellin & C., con il nuovo direttore artistico: il giovane Carlo Scarpa (1906-1978). Anche Scarpa riprende alcune antiche tecniche muranesi cadute in disuso, e propone dei vetri chiamati lattimi27. Sono vasi, per lo più di piccole dimensioni, dall’aspetto elegantissimo, di colore bianco opaco, nelle sembianze simili alla porcellana. “Molte furono tuttavia le forme, che Carlo Scarpa prese in prestito dal mondo della ceramica per la realizzazione dei suoi vetri”28. Doveroso ricordare altri oggetti disegnati dell’architetto che riscuotono grande successo, nominati geometrici, caratterizzati da forme semplici e lineari, ispirati dalle produzioni della Wiener Werkstätte. Sono chiamati anche incamiciati perché la tecnica della produzione prevede di sovrapporre ad una sottile base di vetro lattimo uno strato trasparente colorato, o uno strato di pasta vitrea, in alcuni casi, questi venivano impreziositi con applicazioni di foglia d’oro o d’argento. Queste esperienze verranno riprese successivamente a partire dal 1932 al 1947 quando Carlo Scarpa diventerà il direttore artistico della vetreria Venini29, dopo il fallimento nel gennaio della M.V.M. Cappellin, nel 193230. Queste opere di Scarpa suscitano molto scalpore nel mondo del vetro artistico e sono l’occasione di interessanti dibattiti; la questione dei vetri opachi genera qualche dissenso tra parte di alcuni critici i quali, in un certo senso difendendo la tradizione muranese, sostengono che l’oggetto in vetro, per essere considerato tale, deve rispettare la
più disparate per ottenere questo risultato. In realtà al fuso omogeneo e affinato (quindi privo di bolle e impurità), vengono aggiunti e vigorosamente mescolati dei sali (in genere carbonato o bicarbonato di sodio) che per effetto del calore si decompongono, liberando dei gas (anidride carbonica) dispersi sotto forma di bolle di diverso diametro.[…]”. Vedi Franco Deboni, Murano ‘900 - Vetri e Vetrai, Bocca Editrice, Milano 1996, p. 367. 27. “Vetro bianco incandescente in cui l’opacità è data dalla presenza di microcristalli dispersi nella matrice che si separano durante il raffreddamento del vetro fuso. I microcristalli non assorbono la radiazione luminosa incidente, ma la riflettono, determinando sia l’opacità che la colorazione bianca. Tecnica caduta in disuso agli inizi del Novecento trova la sua rinascita alla fine degli anni venti, […] Carlo Scarpa è stato il primo a riprendere questa tecnica, senza aggiunta di colori[…]”. Vedi Franco Deboni, Murano ‘900 - Vetri e Vetrai, Bocca editrice, Milano 1996, p. 357. 28. Marino Barovier, Carlo Scarpa, I vetri di un architetto, Skira Editore, Milano 1999, cit., p. 35. 29 Per una completa disamina del lavoro di Carlo Scarpa nella Venini dal 1932 al 1947 vedi: Marino Barovier, Carlo Scarpa, Venini 1932-1947, catalogo della mostra, Skira, Milano 2012; Marino Barovier, Carlo Scarpa, I vetri di un architetto, Skira Editore, Milano 1999. 30. Marino Barovier, Carlo Scarpa, I vetri di un architetto, Skira Editore, Milano 1999; Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993; AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001.
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leggerezza e la trasparenza del materiale stesso, “Oggi non ci si può sentire di incoraggiare le imitazioni che col vetro si possono fare […] di altre materie. […] Sono tuttavia da guardare con interesse i diversi aspetti che oggi si tenta di conferire al vetro fino a quando, del vetro non si snaturino i caratteri essenziali, fino a quando, cioè, il vetro pur cercando nuovi effetti, rimane a vista, inconfondibilmente vetro”31. Altri critici invece, sono affascinati dalle sperimentazioni materiche che danno forma al rinnovamento della produzione pur nel rispetto della tradizione, “La M.V.M. di Cappellin & C. […] rivela intenti suoi propri, forse ancora più raffinati, ma più tradizionalmente affini alla nostra arte vetraria”32. Queste discussioni appassionate sulla liceità della produzione di oggetti in vetro opaco si possono ritenere assolutamente proficue sia dal punto di vista della ricerca tecnica, che in questo modo veniva stimolata per sperimentare nuovi accostamenti materici e cromatici, ma anche per quanto riguarda il fervore del dibattito culturale che si sviluppa attorno a questi temi33. Nel 1931 viene organizzata dal Consiglio Provinciale dell’Economia di Venezia una mostra internazionale con sede ad Amsterdam dove sono esposti vetri, ceramiche e merletti. Questa esposizione è seguita da un evento di fondamentale importanza: l’inaugurazione nel 1932 del padiglione Venezia per le arti decorative alla Biennale. Il 1934 è un anno decisamente favorevole infatti, alla Biennale, si possono notare i risultati delle nuove sperimentazioni sulla materia vitrea da parte della vetreria Artistica Barovier, della AVEM, della SAIAR Ferro e Toso, Succ. Andrea Rioda e della Salviati, rimangono degli esempi virtuosi i pezzi progettati da Carlo Scarpa per Venini & C., diventato in quello stesso anno, il direttore artistico dell’azienda. Alla Biennale del 1936 si annunciano le caratteristiche stilistiche che si svilupperanno negli anni successivi. Il vetro è lavorato a caldo in forme morbide, plastiche e a volte asimmetriche prediligendo la sovrapposizione di strati di vetro di colore diverso. Si afferma decisamente la plasticità massiccia, quella che viene anche definita lavorazione a massello34. Con questo stile sono introdotte e affinate a Murano quelle tecniche che costituiscono il presupposto essenziale anche per la produzione moderna e che fanno emergere alcune figure di eccezionale rilievo, designer e maestri-artisti capaci di riconquistare l’unità creativa ed esecutiva dagli antichi vetrai. Questi anni vedono inoltre grandi novità nel settore dell’illuminazione:
31. Carlo Alberto Felice, Arti decorative 1930, Cheschina, Milano 1930, p.80; A proposito si veda anche per ulteriori delucidazioni: Carlo Alberto Felice, I vetri della Triennale di Monza, in “Dedalo”, fasc. V., 1930, cit. 32. Ugo Nebbia, I veneti alle “arti decorative” di Monza, in “Le Tre Venezie”, giugno 1930, cit., pp. 13-14. 33. AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001. 34. Lavorazione a massello: vetro pieno, non soffiato, lavorato a caldo. Questa lavorazione compare per la prima volta a Murano alla fine del 1920, per opera di Flavio Poli che, presso la fornace I.V.A.M. di Libero Vitali, disegna le prime figure in vetro massiccio.
le vetrerie Venini e Seguso Vetri d’Arte sono all’avanguardia nel settore, producendo lampadari e fonti di luce a tutta parete o a soffitto. In questo settore è importante ricordare il contributo dell’architetto Carlo Scarpa sempre per Venini attraverso delle ricerche tecniche al fine si aumentare l’efficienza luminosa degli apparecchi sfruttando al contempo, le caratteristiche del vetro muranese. Carlo Scarpa progetta elementi modulari in vetro smerigliato, quasi standardizzati, applicati a un telaio metallico. La vetreria Venini, in quegli anni ottiene diversi incarichi, spesso pubblici, per la realizzazione fonti luminose, commissioni fortunate che gli hanno permesso di affrontare il periodo di crisi con più facilità. Si ricordano i progetti per la stazione ferroviaria di Siena, per il palazzo delle Poste di Pola inaugurati nel 1935, come la sala delle conferenze nel palazzo delle poste a Palermo nello stesso anno.35 Sicuramente gli anni venti hanno gettato le basi progettuali per il risveglio dell’industria artistica del vetro di Murano. La costituzione della vetreria di Paolo Venini e Giacomo Cappellin ha generato un interessante sviluppo non solo per un successo personale ma anche nei confronti di tutto il comparto. Si potrebbe quasi definire, a posteriori, che la Venini in quegli anni, si fece promotrice di una nuova cultura del progetto e, per certi versi, riuscì a ricoprire (probabilmente senza volerlo) il ruolo di azienda leader, invogliando altre realtà produttrici a cimentarsi in nuove sperimentazioni tecniche e formali. Altrettanto interessante ricordare come in questi stessi anni cominciano i primi dialoghi tra progettisti e maestri vetrai, figure che nella storia dell’arte vetraria di Murano, fino a quel momento, sono sempre rimaste nella penombra, salvo poi emergere proponendo personalità di assoluta eccezionalità.
Il secondo dopoguerra La seconda guerra mondiale riduce ma non interrompe l’attività delle vetrerie, che spesso convertono la produzione a oggetti d’uso comune, come la Società Conterie, le Cristallerie e la stessa Venini, che fabbricano i bulbi delle lampadine. Il dopoguerra e tutti gli anni cinquanta rappresentano un altro periodo particolarmente significativo della storia del progetto del vetro di Murano. Gli oggetti nati in questa fase creativa descrivono un momento di grande espressività formale, grazie al contributo di figure importanti nel campo della progettazione. La produzione di quel periodo è caratterizzata dal recupero della tecnica del vetro soffiato di spessore sottile e delle tecniche più
35. Per una completa disamina del lavoro degli apparati luminosi di Carlo Scarpa nella Venini dal 1932 al 1947 vedi: Marino Barovier, Carlo Scarpa, Venini 1932-1947, catalogo della mostra, Skira, Milano 2012 pp. 45-63.
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antiche, quali la filigrana36, l’incalmo37 e la murrina, che erano state trascurate, se non dimenticate. La produzione di quegli anni, caratterizzata da vetri policromi si inserisce nel mondo del design del tempo contraddistinto dalla riscoperta del colore che si manifesta nelle tappezzerie, nei mobili e negli oggetti di arredamento, grazie all’uso, oltre che dei materiali tradizionali, anche di quelli del tutto nuovi come la plastica38. Durante le Biennali di tutto il decennio degli anni cinquanta, si trovano vetri dal variegato tessuto policromo ottenuti con particolari canne zanfiriche39 progettati dall’artista Dino Martens (1894-1970) direttore artistico dell’azienda Aureliano Toso, ma non solo, la SALIR presenta il piatto Piscis, ovale irregolare con un pesce primitivo inciso a rotina40 di Serena dal Maschio (1920-1974), e il vaso a collo asimmetrico graffito Astrazione su sinfonie disegnato da Riccardo Licata (1929)41. Nell’immediato dopoguerra appare un nuovo progettista, il pittore Vinicio Vianello (1923-1999), il quale progetta ed espone sia alle Biennali del 1950, ma anche alla Triennale del ’51, i vasi asimmetrici. Sono oggetti scultorei, pezzi unici realizzati dal maestro Alfredo Barbini (1912-2006), e un paio d’anni più tardi espone gli oggetti Spaziali e reazioni nucleari, per la vetreria Alberto Toso, grazie al contributo del maestro Ferdinando “Fei” Toso (1909-1976) 42.
72 36. La filigrana è una tecnica molto complessa che prevede l'uso di semilavorati: le canne a filigrana, bacchette vitree trasparenti con nucleo in vetro lattimo o in vetro colorato. 37. “La tecnica dell’incalmo consiste nel congiungere a caldo lungo il bordo due semisfere soffiate dello stesso diametro ma di diverso colore, che vengono successivamente modellate nella forma desiderata. L’operazione se ripetuta più volte può dar vita a oggetti a più fasce colorate come per esempio la famosa serie progettata da Tapio Wirkkala per l’azienda Venini nel 1966.” AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001), cit., p. 300. 38. Per ulteriori approfondimenti sul tema: Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990; Arsenale Editrice, Venezia 1993; Gianfranco Toso, il vetro di Murano, Arsenale Editrice, Venezia 2000; AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001. 39. “Canna Zanfirica: è una canna di vetro eseguita dallo stesso procedimento delle murrine. Viene preparato un mazzo di varia colorazione con un disegno prestabilito, lo si riscalda fino alla fusione; quindi si attaccano due canne metalliche alle estremità del fuso e due maestri provvedono a tirarlo, imprimendogli un movimento rotatorio. La fluidità della materia è tale che può ritorcersi a piacere, assumendo all’interno la caratteristica forma spiraliforme. Questo manufatto già conosciuto nel XVI secolo con il nome di vetro “a retortoli” prende l’attuale di “zanfirico” da quell’Antonio Sanquirico, mercante veneziano dell’Ottocento, che ripropose questa lavorazione […]”. Vedi Franco Deboni, Murano ‘900 - Vetri e Vetrai, Bocca editrice, Milano 1996. 40. Incisione a rotina su vetro deriva dalla incisione su pietra dura. Si esegue con una rotella verticale di rame, che varia in spessore e dimensioni, saldata ad un tornio, un tempo azionato da una pedaliera oggi da un motorino elettrico. L'incisione può essere eseguita in profondità (intaglio) con incisioni sovrapposte che creano un effetto ottico di bassorilievo o a rilievo su vetri di grosso spessore. La lucidatura viene realizzata generalmente con una rotina di sughero. 41. Rosa Barovier Mentasti, Vetri veneziani del ‘900, la collezione della Cassa di Risparmio di Venezia Biennali 1930-1970, Marsilio, Venezia 1994; Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993; Gianfranco Toso, Il vetro di Murano, Arsenale Editrice, Venezia 2000. 42. Per ulteriori approfondimenti riguardanti la Storia di Vinicio Vianello: Alberto Bassi, Paola Marini, Alba Di Lieto (a cura di), Vinicio Vianello: Il design del vetro, Marsilio, Venezia 2007; Alberto Bassi, La luce italiana, design delle lampade 1945-2000, Electa, Milano 2003; Le lampade in serie di Vinicio Vianello, in “Domus” 362, gennaio 1960;
“L’intento di questi vasi è dare l’istantanea di una forma crescente nello spazio, in una materia cosi sottile che preannunci lo scoppio, in una dimensione gigantesca ed improvvisa. Per questo essi si dicono spaziali, ma tuttavia rappresentano le forme spaziali più per allusione, anzi per allegoria, che non in modo diretto”43. L’azienda Venini inizia nel 1947 a collaborare con Fulvio Bianconi (1916-1996) designer di punta della vetreria per un decennio, autore di figure stilizzate e di vasi modellati in tessuti policromi di straordinaria modernità. In questi anni si assiste ad un reciproco scambio tra il design scandinavo e l’arte vetraria muranese. I designers finlandesi si ispirano agli oggetti policromi di Paolo Venini dopo aver ospitato la sua esposizione presso Artek ad Helsinki nel 1951 e contemporaneamente lo stesso Venini si ispira alle forme semplici e geometriche nordiche e, nel 1958, progetta insieme a Franco Albini (1905-1977) e Massimo Vignelli (1931), una serie di lampade monocrome in vetro opalino costituite da elementi componibili chiamate Svedesi, ma il progetto più riuscito e famoso, è sicuramente il lampadario a Poliedri soffiati a stampo, progettato dal medesimo Paolo Venini con Massimo Vignelli e Ignazio Gardella (1905-1999) per l’expo di Bruxelles nel 1958. In seguito l’azienda collabora con Marco Zanuso (1916-2001) e Vico Magistretti (1920-2006) per la progettazione di lampadari composti da moduli componibili. La vetreria in quegli anni assume una forma simile a quella di un laboratorio di sperimentazione di arte vetraria, dove sono chiamati artisti e designer, tra i quali, vanno ricordati: Gio Ponti (1891-1979), Tyra Lundgren(1897-1979), Riccardo Licata (1929), Kenneth Scott, Oscar Stonorov (1905-1970), Tobia Scarpa (1935), Lyn Tissot, Eugéne Berman (1899-1972), non meno importante è il costante contributo progettuale dello stesso Paolo Venini44. La qualità che caratterizza la produzione muranese di quegli anni è testimoniata dai vari riconoscimenti ottenuti. Il Compasso d’Oro45 nel 1954, anno della nascita dell’istituzione, è assegnato a Flavio Poli (1900-1984) progettista per la Seguso Vetri D’arte. Flavio Poli durante gli anni cinquanta disegna una serie di vetri sommersi, dalle forme semplici, caratterizzati da colori freddi, a volte ravvivati da un sottile contrasto di colore. I pezzi sono rifiniti a rotina al fine di ottenere un altro tipo di contrasto nella struttura, la base risulta molto spessa e gli orli talmente sottili, da sembrare taglienti.
Vinicio Vianello, Murano. Reazione nucleare, in “Dumus”, 282 maggio 1953. 43. Vinicio Vianello, Murano. Reazione nucleare, in “Domus”, 282, maggio 1953, cit. 44. Franco Deboni, I vetri Venini, Allemandi e C., Torino 1989; Franco Deboni, Murano ‘900 - Vetri e Vetrai, Bocca Editrice, Milano 1996; Venini Diaz de Santilliana, Venini. catalogo ragionato 1921-1986, Skira editore, Milano 2002. 45. Istituito nel 1954, il Premio Compasso d’Oro ADI è il più antico ma soprattutto il più autorevole premio mondiale di design. Nato da un’idea di Gio Ponti fu per anni organizzato dai grandi magazzini La Rinascente, allo scopo di mettere in evidenza il valore e la qualità dei prodotti del design italiano allora ai suoi albori. Successivamente esso fu donato all’ADI che dal 1964 ne cura l’organizzazione, vigilando sulla sua imparzialità e sulla sua integrità. Vedi sito web: http://www.adi-design.org//compassod-oro.html
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Nel 1955 il premio Compasso d’Oro è assegnato alla azienda Nason Moretti con il progetto disegnato da Umberto Nason. Si tratta di una serie di ciotole e bicchieri incamiciati bicolori caratterizzati da linee molto semplici, quasi in anticipo con i tempi, infatti le stesse forme si ritroveranno con maggior frequenza intorno agli anni settanta. Non meno importante, il Compasso d’Oro assegnato a Vinicio Vianello nel 1957, con un prototipo della serie variante, opera del maestro Aldo “Polo” Bon, per la vetreria Galliano Ferro46. Un’ulteriore conferma della ricerca di linee semplici ed eleganti è sottolineata dal riconoscimento del Compasso d’Oro del 1962, conferito al progettista della Salviati, Sergio Asti (1926) per i vasi della serie Marco47. Durante gli stessi anni si sviluppa a Murano la produzione di vetri cosiddetti, “staccati”48, ovvero singoli pezzi, il più delle volte modulari, che venduti a diverse ditte italiane sono utilizzati per la realizzazione di apparecchi luminosi di loro produzione. Dopo la morte di Paolo Venini nel 1959, assume la direzione amministrativa e artistica dell’azienda il genero Ludovico Diaz de Santillana (1931-1989) che incrementa la produzione delle grandi strutture luminose, sempre collaborando con progettisti internazionali come Thomas Stearns (1936-2006), Massimo Vignelli, Tobia Scarpa e soprattutto Toni Zuccheri (1936) con bestiari e vasi di forma vagamente naturalistica, e Tapio Wirkkala (1915-1985) che reinterpretò le tecniche della filigrana e dell’incalmo alla luce della purezza nordica. Alla fine degli anni cinquanta sono molto ricercarti i vetri mat di ispirazione nordica. Gli oggetti erano opacizzati con l’acido fluoridrico e alcune aziende, come la Carlo Moretti nata nel 1958 e Fratelli Ferro Opalini iniziano con questo tipo di prodotti la loro attività. La ricchezza policroma, che caratterizza la produzione vetraria degli anni cinquanta, viene gradualmente sostituita da una più sobria monocromia e dal vetro trasparente degli anni sessanta, che meglio esaudisce le richieste del design del tempo, che ricerca forme sempre più semplici ed essenziali, dove il progetto deve essere bello perché funzionale49. Le aziende più qualificate propongono oggetti monocromi e policromi insoliti dove, è la forma dell’oggetto ad essere determinante in omaggio al funzionalismo di quegli anni. Nel corso dei decenni la produzione dell’oggettistica a Murano passa
46. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993. 47. Per maggiori informazioni riguardanti l’azienda Salviati: Giovanni Sarpellon (a cura di), Salviati. Il suo vetro e i suoi uomini, 1859-1987, Stamperia di Venezia, Venezia 1989; Attilia Dorigato, Puccio Migliaccio, Vetri artistici. Antonio Salviati 1878-1877. Museo del vetro di Murano, Marsilio, Venezia 2010; Aldo Bova, Attilia Dorigato, Vetri artistici, Antonio Salviati 1866-1878. Museo del vetri di Murano, Marsilio, Venezia 2008; Aldo Bova, Puccio Migliaccio, Vetri artistici, Antonio Salviti e la compagnia Venezia. Museo del vetro di Murano, Marsilio, Venezia 2011. 48. Gianfranco Toso, Il vetro di Murano, Arsenale Editrice, Venezia 2000, cit., p. 174. 49. AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001.
11. Tapio Wirkkala per Venini, Bottiglie Bolle, 1968
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da una condizione prettamente artistica in cui ogni manufatto è un oggetto unico, frutto della collaborazione paritetica tra designer e mastro vetraio, ad una produzione di tipo più seriale, dove il ruolo del progettista viene ad assumere più rilevanza e il maestro vetrario è spesso il mero esecutore delle opere ideate, attenuando così, sia l’estro decorativo che l’impronta artigianale che fino ad allora avevano caratterizzato la produzione dell’isola. Infatti Astone Gasparetto, a Palazzo della Guardia a Verona, nel 1969 durante l’inaugurazione della mostra Vetri di Murano 18601960 presenta la migliore produzione vetraia europea e in qualche modo denuncia la morte dell’artigiano-creatore affermando: “La crisi dell’artigianato vetraio è la stessa crisi di tutti gli artigiani del mondo, svuotati dalla loro creatività […] meri, anche se non di rado eccellenti esecutori di disegni altrui. Il designer è diventato il padrone del campo”50. Accanto alle tecniche tradizionali si afferma la colatura su stampi, che implica una parziale rinuncia all’alta manualità da parte dei maestri. Gli anni settanta-ottanta A partire dagli anni settanta l’attività industriale-artigianale delle vetrerie inizia a declinare. Nel 1972 la soppressione dell’appuntamento con la Biennale d’arte che prosegue fin dagli inizi della manifestazione, deprime ulteriormente la ricerca formale e tecnica del prodotto. Quello degli anni settanta è il periodo di chiusura di un’epoca di grandi sperimentazioni sulla materia vitrea, avvenute in seguito a prestigiose collaborazioni di artisti e progettisti favorite dagli illuminati imprenditori dell’epoca. A cavallo tra gli anni settanta e ottanta, a Venezia come a Murano, cambia fortemente l’assetto societario delle aziende, si nota una progressiva riduzione delle attività vetrarie a favore del turismo, che si appresta a diventare il settore economico principale. In quel periodo però alcuni artisti scelgono il vetro come materia delle loro opere. Da ricordare che a Murano nel 1953 nasce un movimento che può avere delle analogie con la nuova generazione di artisti. Lo studio La Fucina degli Angeli51, fondata da Egidio Costantini (19122007). È un importante luogo di incontro e discussione tra numerosi artisti di fama internazionale e il mondo vetrario muranese. Questo laboratorio ha partecipato a numerose esposizioni in tutto il mondo, come Parigi, Basilea, New York.
50. Astone Gasparetto (a cura di), Vetri di Murano 1869-1960, catalogo della mostra, Ed. Comune di Verona Palazzo della Gran Guardia, Verona 1960, cit., p. 60. 51. “Nasce come cooperativa di artisti nel 1950, ad opera di Egidio Costantini, Fioravante Seibezzi, Armando Tonello, Gino Krayer, Mario Carraro, Aldo Bergamini, e altri con l’intento di avere una sede permanente. L’apporto tecnico viene dato inizialmente dal maestro Aldo Bon detto “Polo”. La prima mostra si tiene a Murano, il 18 aprile 1953, e vengono presentate le opere di Guidi, Calder, Moore, Le Corbusier, Kokoschka. Con la mediazione di Egidio Costantini, sono innumerevoli gli artisti che si avvicinano al vetro, ne ricordiamo alcuni: Andersen, Arp, Bodmer, Braque, Cagli, Calder, Chagall, Dall’Acqua, Dova, Ernst, Fontana, Guidi, Guttuso, Hundertwasser, Kokoschka, Le Corbusier, Lèger, Le Witt, Licata, Minguzzi, Novati, Picasso, Ponti, Tobey. […] Le opere vengono realizzate con l’ausilio delle maggiori vetrerie, per mano dei migliori maestri. […]”. Gianfranco Toso, Il vetro di Murano, Arsenale Editrice, Venezia 2000, cit., p. 183.
Un simile movimento artistico si forma in America negli anni sessanta (convenzionalmente viene indicata la data del 1962). È lo Studio Glass52, il quale non ha una particolare relazione con gli artisti veneziani, se non la comune partecipazione a importanti esposizioni internazionali. L’unico personaggio della scena muranese che ha relazioni con Studio Glass è il maestro Lino Tagliapietra (1934), il quale durante gli anni Sessanta è particolarmente attivo nella scuola internazionale del vetro53. Dal 1977 la scuola avvia dei corsi per gli artisti italiani e stranieri, in modo tale da metterli in contatto con il lavoro dell’arte del vetro di Murano, ed è proprio durante queste occasioni che il maestro Tagliapietra ha modo di conoscere Andries Dirk Copier (1901-1991), designer olandese. L’intesa tra il maestro e il progettista è talmente intensa da avere esisti positivi nella formazione artistica di Tagliapietra, in particolare per lo studio formale e per l’esaltazione dei tratti grafici della filigrana, ma anche gli consente di elaborare una propria ricerca compositiva. Ed è proprio grazie a questa nuova forza stilistica che inizia a frequentare l’America ed a insegnare nella scuola Pilchuck Glass School di Seattle, successivamente nella Haystack Mountain School of Craft (negli Stati Uniti) e a collaborare con Dale Chihuly (1941) e Dan Daley (1915-1978), artisti appartenenti al movimento dello Studio Glass54. Tra i due movimenti certamente c’è lo stesso atteggiamento nei confronti dei principi della contestazione, propria di quell’epoca, che ispirano delle proposte dai caratteri sovversivi che trovavano un pubblico attento e ricettivo. Le differenze principali sono essenzialmente legate alla diversa attenzione che gli artisti americani hanno nei confronti della tecnica di realizzazione dei manufatti; se gli artisti muranesi, hanno a cuore l’alta qualità dell’esecuzione del
52. Studio Glass: convenzionalmente inizia nel 1962, per merito di un ceramista Harvey Littleton e del chimico Dominick Labino, che si possono definire i precursori del movimento. La forza del movimento è costituita da assidue sperimentazioni, e dalla possibilità di organizzare dei workshop presso il Museo d’Arte di Toledo. È proprio durante queste manifestazioni che i professori hanno iniziato a sperimentare grazie all’utilizzo di un piccolo forno fusore, la creazione di opere d’arte in vetro soffiato. Harvey Littleton influenzò il movimento attraverso le sue stesse opere d’arte ma anche grazie al suo insegnamento. Non a caso fu maestro di importanti artisti contemporanei, tra cui si ricorda: Marvin Lipofsky, Sam Herman (Gran Bretagna), Fritz Dreisbach e Dale Chihuly. Nel 1964 Tom McGlauchlin avvia uno dei primi corsi di vetro presso l’università di Lowa, Marvin Lipofsly fonda un università a Berkeley in California, e nel 1964 Robert C. Fritz avvia un programma vetrario all’università di San Jose in California. 53. “Nel 1977, in collaborazione con il Centro internazionale della grafica di Venezia, è stata avviata a Murano la scuola internazionale del vetro, il cui scopo era quello di far conoscere il mondo muranese ad artisti italiani e stranieri. Il corso si ripete nel 1978 e nel 1981 e dal 1986 e stato istituito il premio Murano per il miglior progetto. I risultati più interessanti sono le opere del tedesco Horst Sobotta e del maestro Walter Furlan, di Luigi Spacal con la collaborazione del maestro Francesco Ongaro della Venini e Lino Tagliapietra della Effetre International”. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 18901990, Arsenale Editrice, Venezia 1993, cit., p. 174. 54. Per ulteriori approfondimenti su Lino Tagliapietra vedi: Rosa Barovier Mentasti, Lino Tagliapietra, Da Murano allo Studio Glass, Opere 1954-2011, catalogo della mostra, Marsilio, Venezia 2011; Thomas S. Buechner, Lino Tagliapietra, A Venetian Glass Maestro, Links for Publishing Ltd, 1998; Susanne K. Frantz, A Lino Tagliapietra in Retrospect: Modern Renaissance in Italian Glass, Ed. University of Washington Press, 2008.
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12. Pablo Picasso con Egidio Costantini, Fucina degli Angeli, Murano
prodotto artistico, che è specifica del mondo artigianale veneziano, gli americani che non possiedono una tradizione cosi forte, accentuano la sperimentazione formale e cromatica. Luciano Vistosi (1931) pur non essendo un maestro vetrario, è una figura di rilievo nel mondo della ricerca artistica italiana. Nelle sue sculture in vetro modellato, sia a caldo che a freddo, riesce a introdurre una dimensione dinamica all’interno della massa vetrosa, sono “[…] blocchi massicci di cristallo, percorsi interamente da cunicoli molati, mossi da effetti ottici, grazie all’orientamento delle pareti esterne […]”55, ad esempio posso essere opere come i Mondi sommersi. Un altro personaggio abbastanza conosciuto, nonostante la sua personalità solitaria, è Giampaolo Martinuzzi che dagli anni settanta si fa conoscere nei circuiti delle gallerie e dei musei all’estero e in Italia. Espone alle Biennali di Venezia nel 1970 e 1972 con delle opere d’arte in vetro a lastra o soffiato, incise a punta di diamante che raffigurano figure nude e contorte, graffiando sguardi impauriti e allucinati che rispecchiano la sua tormentata visione della condizione umana. Sempre in quegli anni, la tecnica della lavorazione a lume56, conosce un autentico exploit; si ricorda Gianni Toso (1943), che ancora gode di grande successo a New York per le sua figurine di notevole sapore satirico, Lucio Bubacco (1957), tuttora attivo a Murano e famoso per elaborate e fantasiose scenografie e anche Vittorio Costantini (1944) che continua a realizzare precisissimi animali a lume57. Per far fronte ai problemi economico-produttivi che l’industria muranese continua ad avere, nel 1975 gli industriali di Venezia fondano il Consorzio Venezia a cui aderiscono una cinquantina di aziende, al fine di rilanciare Murano sul mercato internazionale. Negli anni a seguire si nota qualche tentativo volto alla promozione commerciale delle aziende stesse, iniziano così, le partecipazioni alle più importanti fiere annuali e contemporaneamente, vengono promosse numerose manifestazioni di iniziativa comunale, come la serie di mostre tenute a Palazzo Ducale. Si apre la sequenza nel 1977 con l’esposizione sul vetro del Novecento, si continua nel 1978 e nel 1979, rispettivamente dedicati all’ottocento e al settecento, concludendo in fine, nel 1982, con la storica mostra intitolata “Mille anni di arte del vetro a Venezia”58. Una parte della produzione vetraria muranese, cercando di far fronte alle indubbie difficoltà di quegli anni, si rivolge alla rilettura della storia più recente in particolare degli anni cinquanta, gli anni del
55. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993, cit., p. 160. 56. “Lavorazione a lume: lavorazione a cui viene sottoposta la canna vitrea piena modellandola e riscaldandola alla fiamma di un beccuccio alimentato a gas al fine di ottenere figurine, piccole oggetti e perle decorate”. Franco Deboni, Murano ‘900 - Vetri e Vetrai, Bocca editrice, Milano 1996, cit. 57. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993; Gianfranco Toso, Il vetro di Murano, Arsenale Editrice, Venezia 2000. 58. Per ulteriori informazioni vedi catalogo della mostra tenuta a palazzo Ducale dal 24 luglio al 24 ottobre del 1982: Rosa Barovier Mentasti, Mille anni di arte del vetro a Venezia, catalogo della mostra, Albrizzi, Venezia 1982.
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13. Ettore Sottssas per Vistosi, Diodata, 1974
maggior successo, sia industriale che economico. Le vetrerie orientano la loro produzione principalmente verso “il discutibile fenomeno di riedizioni dei modelli da collezione”59, rivalorizzando tecniche e stili dell’epoca. Questo periodo economicamente difficile segna il destino di importanti realtà produttive del comparto, come l’azienda Venini-de Santilliana prima, nel 1985, e la Salviati più tardi, nel 1987, che vengono acquistate dal gruppo Ferruzzi e date in gestione alla direzione di Andrea Boscaro. L’amministratore delegato, nel caso della Venini, desidera valorizzare la storica tradizione vetraria reintegrando la produzione con riedizioni del passato di Fulvio Bianconi (19151986), mentre per quanto riguarda la Salviati, decide di potenziare l’azienda attraverso la produzione di grandi apparati da illuminazione e rafforzando il settore dell’oggettistica. Durante questa fase, i pezzi più interessanti da un punto di vista formale, in linea con i movimenti radicali, sono la serie numerata dei soffiati progettati da Heinz Oestergaard (1916-2003) considerato uno dei massimi designer e stilisti del dopoguerra. Questa linea di oggetti è molto simile, dal punto di vista compositivo, agli oggetti che la vetreria Toso Vetri d’Arte, fondata nel 1980, realizza per il gruppo Memphis. I vetri progettati da Ettore Sottsass e da Marco Zanini, sono lo sviluppo in chiave aggiornata, e anche un po’ provocatoria, della serie disegnata dallo stesso Sottsass per Vistosi nel 1977. Gli oggetti sono composizioni di figure geometriche, molto colorate delineate da profili e anse serpentiformi, composti da basi e gambi sproporzionati e talvolta arricchiti da pendagli di vetro colorato. “Questa idea di disegnare vetri fatti con pezzi messi assieme in un modo on nell’altro, pezzi di vetri di colori, di spessore, di opacità, di trasparenze, di dimensioni diverse, di forme di origine diversa mi hanno regalato una grande libertà nel disegno; mi ha offerto infiniti piaceri, piaceri sensoriali, reali. […] Mi ha permesso di raccontare storie di avventure sensoriali; ho anche potuto mescolare colori creando combinazioni non previste; ho potuto produrre nuovi e inaspettati stati ‘elettrici’ accostando il vetro al legno, al marmo, al ferro.”60. Quando la realizzazione di un’opera nasce da più competenze, le discussioni che intercorrono tra il maestro vetraio e il progettista riguardo le tecniche e le modalità di lavorazione più idonee per la realizzazione di quel dato progetto, fanno parte sicuramente di un momento magico e dialettico di confronto tra saperi diversi, dove le conoscenze e le competenze dei due attori si completano a vicenda, dando vita così a prodotti di assoluta qualità artistica e manifatturiera. In questo modo figure professionali provenienti da mondi apparentemente diversi e lontani, trovano un punto d’incontro nella
59. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993, cit., p. 176. 60. AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001), cit., p. 27.
realizzazione del pezzo. Le competenze delle maestranze tecniche come quelle del designer sono aspetti importantissimi del progetto ma da soli non sufficienti, è solo quando questi aspetti, queste diverse culture si incontrano, si confrontano e, infine, si fondono insieme che si da luogo a prodotti di raffinata cultura e alta qualità tecnica61. A tale riguardo è significativa la testimonianza del design Ettore Sottsass in merito alla sua esperienza con i maestri vetrai in particolare con Gigi Toso, dell’azienda Vistosi. “Quando si disegnano vetri e poi si spera anche di farli, o si spera che qualcuno li faccia, i momenti più emozionanti sono tre. Il primo momento è quando si crede di avere avuto un’idea e quando si crede - o ci si illude – che l’idea sia davvero un’idea. […] Il secondo momento emozionante è quando si intuisce che il disegno del vetro sta per diventare qualcosa di reale, tangibile, davvero un vetro. Si sa che diventerà un vetro, ma non si capisce bene: si vede un fantasma di quello che sarà il vetro, ma non ci capisce bene. […] La seconda emozione si intreccia con il momento in cui entro in quegli enormi stanzoni con l’aria bianca, tiepida e silenziosa […] Il quei grandi stanzoni, piccoli gruppi di uomini silenziosi si muovono intorno al vetro che si forma, lucido, senza colore e, come nel battello di un rito magico, vanno e vengono, schiacciano il vetro, poi lo tirano, lo gonfiano, lo tagliano, portano e tagliano pezzetti di vetro, tirano fili, attaccano altri pezzetti, attorcigliano tubetti, portano legni, gettano acqua, compiono un enorme quantità di gesti sicuri, di gesti miracolosi, tenendo sempre a mezz’aria il vetro che si sta piano piano formando…[…] Il passaggio dal disegno al vetro che è soltanto vetro è sempre un passaggio miracoloso. Sembra così miracoloso che non so bene dove c’entro io, dato che non sono uno che fa miracoli: allora penso agli uomini con le scarpe da tennis, a quei gruppetti di uomini silenziosi che possiedono la sapienza, che conoscono le regole, i confini, le tensioni segrete, le durezze e i tempi, le temperature e i pesi, conoscono tutto quello che si deve conoscere per guardare un disegno e trasformarlo in un vetro”62.
61. A proposito di questo tema vedi: Marino Barovier, Carlo Scarpa, Venini 1932-1947, catalogo della mostra, Skira, Milano 2012; AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001; Marco Romanelli, Aperto Vetro, Architetti e designer a confronto con il vetro quotidiano, Electa, Milano 2000; Alberto Bassi, La luce italiana, design delle lampade 1945-2000, Electa, Milano 2003. 62. AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001, cit., p. 27.
2.2 Il processo del vetro di Murano
2.2.1. Le aziende e il progetto oggi
Le aziende leader L’organizzazione della produzione vetraria muranese non ha subito forti mutamenti nel corso della sua storia, se non per lo spostamento, in terraferma, di alcune realtà produttive, per lo più legate al settore dell’illuminotecnica, che hanno deciso di dare alla loro produzione un più deciso carattere industriale. Per quanto riguarda l’approccio al progetto le aziende che sono rimaste attive a Murano hanno intrapreso strade diverse adottando strategie differenti atte a definire un proprio posizionamento nei mercati nazionali e internazionali. Accanto alle aziende storiche, ci sono imprese che hanno individuato una loro collocazione di nicchia, altre realtà che producono semilavorati utilizzati poi nella lavorazione da aziende più grandi ed infine ci sono piccole fabbriche legate maggiormente ad un commercio locale, soprattutto a Murano e a Venezia. Le aziende principali sono tutte quelle imprese che hanno costruito nel corso della storia della lavorazione vetraria una propria identità riconoscibile anche al di fuori del panorama muranese. È difficile e probabilmente inesatto definirle aziende leader, perché con questo termine normalmente si indentificano quelle ditte più grandi e strutturate facenti parte di un distretto produttivo, che hanno la capacità di esercitare un reale traino nei confronti di aziende di dimensioni più ridotte, in modo da consentire loro uno sviluppo tecnologico e una maggiore capacità di entrare in modo competitivo anche nei mercati esteri1. Queste aziende storiche, già ampiamente citate nei capitoli precedenti, attraverso il contributo di figure e personalità notevoli, nel corso degli anni, hanno consolidato la loro immagine grazie alla cultura del progetto che è indubbiamente l’aspetto preponderante di questa politica. La progettazione e la sperimentazione tecnica sono gli elementi sostanziali attorno ai quali si sono costruite queste realtà,
1. Per ulteriori approfondimenti vedi: Antonio Ricciardi, L’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani: i fenomeni più rilevanti emersi dal II Rapporto, Amministrazione e Finanza, marzo 2006; Giancarlo Corò, Stefano Micelli, I nuovi distretti produttivi: innovazione, internazionalizzazione e competitività dei territori, Marsilio, Venezia 2006; Annunziata De Felice, Social Capabilities e sistemi produttivi locali, Consiglio Nazionale per le Ricerche, pdf p. 61; articolo di Alberto Bassi in distrettidesign: http://www. distrettidesign.it/
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che hanno permesso loro di collocarsi ad un livello superiore rispetto alle altre aziende, differenziandosi e avendo un relativo successo commerciale.2 Le manifatture muranesi che appartengono a questa categoria non sono molte, ma ognuna di esse è identificabile attraverso proprie caratteristiche. La più nota a livello mondiale è probabilmente la Venini, ma non da meno, dal punto di vista della riconoscibilità internazionale sono la Carlo Moretti, la Nason Moretti, la Salviati, la Barovier & Toso, le quali sviluppano le proprie linee di prodotti attraverso un programmato e accurato iter aziendale. Questo processo inizia con l’attenta analisi di mercato, prosegue con l’ideazione del prodotto avvalendosi dell’opera creativa di architetti e designer, presenti sia nell’ufficio tecnico e talvolta anche esterni ad esso e infine si passa alla fornace per la realizzazione dei prototipi e degli studi di fattibilità dei prodotti. In questa fase si assiste al confronto tra progettisti e maestri vetrai, che discutono le modalità di lavoro più adatte per la realizzazione dell’oggetto ideato. Prima di mettere in produzione un manufatto vengono fatte delle valutazioni sui costi e sui tempi di realizzazione, e se l’esecuzione del pezzo si rivela molto complessa e di conseguenza troppo costosa, rispetto al target commerciale dell’azienda, il progetto viene abbandonato, oppure viene realizzato in tiratura limitata o addirittura come pezzo unico3. La situazione attuale della lavorazione del vetro a Murano non è paragonabile alla condizione di sperimentazione sia artistica che tecnica che si è respirata nei periodo a cavallo degli anni cinquanta. Sono cambiati i rapporti tra imprenditori, progettisti e, non meno importanti, maestri vetrai, malgrado molte aziende continuino a ritenere che l’apporto dei designer all’interno del processo produttivo sia indispensabile per una produzione di oggetti di alto livello. È difficile fare dei paragoni con il passato quando il contributo del designer progettista-direttore artistico era constante nel tempo e si protraeva per molti anni, un esempio su tutti la quindicinale collaborazione di Carlo Scarpa con l’azienda Venini. Oggi un gran numero di aziende si avvale di sporadiche collaborazioni con designer anche rinomati per aumentare la visibilità dell’azienda avvalendosi di quelli che alcuni critici definiscono “designer mordi e fuggi”4. Venini nel passato ha collaborato con i più importanti progettisti dell’epoca, come Carlo Scarpa, Gio Ponti, Tapio Wirkkala e molti altri, oggi, allo stesso modo, l’azienda continua a relazionarsi
2. Per ulteriori approfondimenti sulla storia di aziende storiche vedi: Marino Barovier, Carlo Scarpa, Venini 1932-1947, catalogo della mostra, Skira, Milano 2012; Marino Barovier, Carlo Scarpa, I vetri di un architetto, Skira editore, Milano 1999; AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001; Alberto Bassi, La luce italiana, design delle lampade 1945-2000, Electa, Milano 2003. 3. AA.VV., Murano vetri della collezione Olnick Spanu, catalogo della mostra, Olivares, Milano 2001; Informazioni confermate durante l’intervista il giorno 16 giugno 2012 a Dario Stellon, product manager, dell’azienda Salviati. 4. Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, Electa, Milano 2007, cit., p. 62.
con i designer contemporanei, tra i quali Karim Rashid (1960) o più recentemente Fabio Novembre (1966) che ha curato la progettazione della collezione del 2012 dell’azienda, disegnando i vasi Happy pills, che ricordano nei colori e nella tecnica di esecuzione la serie delle bottiglie Bolle, disegnate nel 1968 da Wirkkala. Come dimostra questo esempio, l’utilizzo della figura del designer contemporaneo in alcuni casi, va nella direzione di proporre un nome di richiamo per la promozione dell’intera manifattura, allo stesso modo del ruolo che hanno le archistar nel mondo dell’architettura contemporanea che servono per pubblicizzare gli investimenti in campo edilizio di finanziarie e fondi di investimento. Ciò nonostante gran parte degli oggetti venduti dall’azienda Venini, continuano ad essere ancora i pezzi storici, quelli più famosi, quegli oggetti che in qualche modo hanno tracciato la storia del vetro muranese, gli stessi prodotti che riescono, ancora oggi, ad essere attuali malgrado siano trascorsi sessant’anni dalla loro realizzazione. Tra questi oggetti si ricordano, tra gli altri, il Fazzoletto disegnato da Fulvio Bianconi nel 1949, i sempre classici Opalini opachi e gli Anni Trenta disegnati da Paolo Venini, le Murrine opache di Carlo Scarpa nel 1949 e i vasi Bolle di Tapio Wirkkala, e sono, come si è visto, ancora fonte di ispirazione per la produzione contemporanea. All’interno di questa categoria si trovano anche quelle fabbriche che hanno indirizzato la loro produzione verso il settore degli apparati da illuminazione. L’azienda Barovier & Toso, attiva a Murano addirittura sin dal 14505, produce lampadari esclusivamente di alta gamma, ed è l’unica che posiziona i propri prodotti sul mercato del lusso. Proprio per questo motivo, come dichiara Massimo Bovi6, la Barovier e Toso non ha competitori sul territorio muranese.7 Se si allarga la prospettiva e si guarda oltre i confini dell’isola, si riscontra la presenza di altre imprese che operano nello stesso settore: l’azienda De Majo (1947), che ha lavorato con successo nel campo della decorazione e dei vetri artistici negli anni ottanta quando Lucio de Majo, inizia a collaborare con il designer giapponese Yoichi Ohira (1946); la Foscarini8 (1981), un’altra realtà molto conosciuta nel settore dell’illuminazione che avvia la prima collezione nel 1983 grazie al contributo di due designer, Carlo Urbinati e Alessandro Vecchiato, i quali diventeranno, dopo pochi anni, nel 1988, i proprietari dell’azienda. Entrambe le aziende nascono con sede e produzione a Murano e realizzano prodotti artistici e artigianali, successivamente spostano la loro produzione in terraferma per migliorare l’aspetto logistico e
5. Barovier&Toso, Il segno della storia, www.barovier.com 6. Massimo Bovi, corporate communication manager dell’azienda Barovier&Toso. 7. Colloquio con Massimo Bovi, corporate communication manager dell’azienda Barovier&Toso, in data 18 luglio 2012. 8. Per ulteriori informazioni sull’azienda Foscarini vedi: Alberto Bassi, ’83 ’03 Foscarini, Vent’anni di design della luce, pubblicato da Foscarini Srl, Marcon 2003, e il caso studio nel sito web: http://www.distrettidesign.it/?p=378
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14. Calle dei vetrai, Murano
realizzare prodotti di tipo più seriale nel campo dell’illuminazione. Inizialmente la Foscarini non abbandona completamente il vetro soffiato, ma orienta la produzione su oggetti seriali, concentrandosi maggiormente sulla ricerca progettuale e formale. La sua peculiarità è quella di essere un’azienda senza fabbrica, la Foscarini non ha mai avuto uno stabilimento o una fornace per la propria produzione, essa si appoggia, di progetto in progetto, a piccoli laboratori locali oppure alle grandi industrie del Veneto. Questa scelta gestionale le permette di essere molto libera dal punto di vista della progettazione e della sperimentazione, e dunque di rinnovarsi di continuo. Le aziende sopra menzionate hanno dovuto fare i conti con la recente crisi, che ha coinvolto l’intero pianeta, e per mantenere la produzione o quanto meno contenere le perdite hanno dovuto orientarsi verso i mercati esteri rappresentati dalle economie emergenti: il 90% circa9 del loro fatturato proviene infatti dal commercio con i paesi come Russia, Emirati Arabi, India, Cina e più recentemente Brasile, e Messico. Se si visitano i loro siti web l’elenco degli showroom nei paesi stranieri è ogni giorno più esteso. Le sorelle Marina e Susanna Sent si sono ricavate all’interno del comparto una posizione di nicchia reinventando le tradizionali conterie e producendo veri e propri gioielli di vetro in virtù di un oculato quanto intelligente modo di rapportarsi con il settore della moda con cui dall’inizio collaborano. A sottolineare questo loro target è la strategia mediante la quale hanno fatto conoscere i loro prodotti: accanto ai punti vendita di proprietà a Venezia, sono presenti in molti shop dei principali musei d’arte moderna e contemporanea del mondo, un esempio su tutti nel MOMA di New York.
Il vetro d’artista A differenza delle imprese sopra citate, impegnate nella produzione seriale, la Berengostudio fondata da Adriano Berengo negli anni ottanta, si offre agli artisti provenienti da tutto il mondo come laboratorio in cui realizzare le loro opere sperimentando le tecnologie della fornace e collaborando con i maestri vetrai. Per certi versi è la riedizione aggiornata dello studio la Fucina degli Angeli di Egidio Costantini degli anni Cinquanta. Un’interessante iniziativa di Berengo, è quella di organizzare delle manifestazioni d’arte, chiamate Glasstress, in concomitanza con la Biennale d’arte di Venezia. Nel 2011 l’esposizione è stata organizzata presso l’istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, a palazzo Cavalli Franchetti a Venezia. Il progetto è nato dalla collaborazione di Adriano Berengo e Susan Scherman e presentato attraverso il contributo del Mad, il museo di Arte e Design di New York. Successivamente l’esposizione di Venezia, le opere di
9. Colloquio con Massimo Bovi, corporate communication manager dell’azienda Barovier&Toso, in data 18 luglio 2012 e con Dario Stellon, product manager dell'azienda Salviati, in data 18 giugno 2012.
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Glasstress 2011 sono state ospitate da numerosi musei, tra cui il Riga Stock Exchange Museum, in Lettonia. La Berengostudio dispone di 2.300 metri quadrati di esposizione, compresa una vecchia fornace usata come sala espositiva e un ristorante attiguo dove accoglie gli ospiti10. Altre sono le realtà indirizzate nel settore del vetro d’arte, come per esempio la Ars Murano, fondata nel 1982, specializzata in sculture di vetro massello, anche con contributi importanti come quelli di Robert Willson, Kyohei Fujita e Cèsar. Le loro sculture sono prevalentemente coloratissime, raffigurano spesso di corpi femminili stilizzati, oppure acquari e vari animali marini. All’interno della cosiddetta categoria di vetri d’artista si trovano anche le aziende dei noti maestri vetrai come la Alfredo Barbini, la Pino Signoretto e la Dino Rosin. Alfredo Barbini è uno dei più importanti maestri vetrai del novecento, in particolar modo conosciuto per aver lavorato con Napoleone Martinuzzi. La sua produzione è costituita soprattutto da sculture che raffigurano animali, sempre in pose molto vivaci. Un altro tra i più noti maestri dell’isola è Pino Signoretto, il quale ha avuto modo di collaborare con importanti artisti come Emilio Vedova, Salvador Dalì, Riccardo Licata o Arnaldo Pomodoro. La sua azienda produce grandi sculture in vetro, è capace di realizzare pagliacci a misura naturale e animali di tutti i tipi. Infine il maestro Dino Rosin, produce delle importanti sculture in vetro calcedonio11, che hanno delle particolari sfumature azzurre, rosa e gialle.
Le micro-imprese Nel panorama muranese è presente un’ulteriore categoria alla quale appartengono quelle piccole realtà aziendali, quasi tutte a conduzione familiare, che nonostante esprimano una propria fisionomia produttiva non hanno la struttura necessaria per rendersi riconoscibili sul mercato. Molte di queste nascono negli anni ottanta sull’onda del boom economico e del progressivo aumento del flusso turistico in laguna. Queste ditte a differenza delle maggiori, generalmente non hanno una propria immagine, un proprio marchio, non hanno un ufficio tecnico strutturato e, nella maggior parte dei casi, la loro struttura non permette la consulenza di importanti designer. La loro produzione si rifà, imitandoli, a volte apportando delle piccole modifiche rispetto agli originali, ai più famosi oggetti realizzati negli anni significativi della
10. Adriano Berengo, Susan Sherman (a cura di), Glassstress 2011, Grafiche Veneziane, Venezia 2011. 11. Il calcedonio è un vetro con striature policrome, traslucide e opaco chiamato così perché imita il calcedonio naturale. Si ottiene mescolando il fuso, con tempi precisi, ossidi di rame, ferro, cobalto, stagno, argento metallico che colorano la pasta e la rendono rilucente per la formazione di microcristlalli.
produzione muranese di qualità. L’esecuzione è spesso di buon livello e rispetta le tecniche originali. Ci sono aziende che hanno indirizzato la loro produzione nel settore dell’illuminazione classica, come per esempio la Galliano Ferro fondata nel 1955, specializzata nella produzione di lampadari dal Settecento veneziano, al liberty, a manufatti più moderni. Produce lampadari d’epoca anche l’azienda Idea Murano, dove i quattro soci realizzano, assemblano, restaurano, e vendono lampadari e appliques ottocenteschi, sia di nuova manifattura che dell’epoca, caraterizzati con i fiori, foglie e pendenti di tutti i tipi. Un'altra azienda che si occupa della lavorazione di lampadari in stile Settecento è la Mazzucato Murano, fondata nel 1993; osservando il sito pare che l’azienda indirizzi la vendita dei suoi prodotti principalmente all’estero12. Altre realtà invece sono specializzate in oggettistica antica, tra queste l’azienda Antichi Angeli la quale produce principalmente vasi di tipo romano oppure in stile liberty. Vi è poi la piccola azienda a conduzione familiare di Pacifico D’este che realizza calici di varia foggia in stile barocco oppure coppe ottocentesche. Sono presenti anche aziende che prendono ispirazione dai pezzi classici della storia muranese, una di queste è l’azienda Nuova Biemmeci che, tra le altre riproduzioni, annovera il noto vaso Libellula di Vittorio Zecchin dei primi del Novecento. Un’altra azienda che si occupa prevalentemente di riproporre pezzi classici è quella che fa capo al maestro Giuliano Ballarin, specializzato nella produzione di figurine goldoniane settecentesche o delle statuette dei mori. Gran parte di questi oggetti, sono venduti direttamente nei negozi delle stesse fornaci, ma più spesso nelle vetrine collettive gestite da intermediari che si occupano solo della loro commercializzazione. Infine ci sono altre aziende, con profili molto diversi che si limitano a utilizzare la denominazione Vetro Artistico di Murano per realizzare una produzione per lo più orientata verso un’oggettistica decorativa, previlegiando l’aspetto commerciale della produzione più che la sperimentazione tecnica e artistica dell’opera. Molti di questi laboratori utilizzano la tecnica a lume che, dagli anni settanta, continua ad avere grande successo, soprattutto commerciale. È sicuramente meno costoso avviare una bottega per la produzione di vetro a lume rispetto a una fornace, infatti i costi relativi per gli impianti fissi e dell’energia per il loro funzionamento, oltre a quello del capitale umano, necessari per una fornace sono nettamente superiori agli investimenti necessari per un’attività a lume, dove è sufficiente un piccolo ambiente, attrezzato con un banco da lavoro munito di un cannello13 a miscela a gas/ossigeno. Quasi sempre l’esercente coincide, quasi sempre, con
12. Per ulteriori informazioni sulle aziende presenti a Murano vedere Michela Scibilia, Nicolò Scibilia, Guida completa dell’isola di Murano, Vianello Libri, Venezia 2007, p. 86. 13. Il cannello è lo strumento necessario per la lavorazione a lume, costituito da due tubi di gomma che collegano il corpo centrale dello strumento, rispettivamente alla bombola di ossigeno e quella di gas. Il cannello ha la funzione di miscelare il gas e l’ossigeno, con la possibilità di regolare la fiamma attraverso delle piccole manopole.
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l’artigiano che realizza i prodotti. L’attività di questi operatori è indirizzata verso la produzione di piccoli oggetti raffiguranti animali, tappi per bottiglie, fermacarte ma anche verso il settore della bigiotteria, e nei migliori dei casi, fino vere e proprie scenografie, grazie all’influenza degli artisti degli anni passati come Giampaolo Martinuzzi, Gianni Toso ed altri, già citati in precedenza. In questa breve ricognizione sull’articolato mondo del vetro artistico muranese è necessario accennare ad uno dei problemi che grava e che riguarda il difficile ricambio della figura centrale per la produzione che è il maestro vetraio. I motivi di questa crisi di vocazioni sono più di uno. Incide il fatto che questa è una attività molto faticosa che si svolge in condizioni disagevoli, tutto il giorno davanti ai forni in ambienti poco confortevoli e molto caldi. Un altro motivo può essere ricondotto al lungo apprendistato necessario per imparare quest’attività. Diventare maestro vetraio è sempre stato un percorso molto lungo e difficile, però una volta ottenuto questo riconoscimento, i mastri godevano di uno status rilevante nel mondo del lavoro e un adeguato compenso economico. È difficile trovare oggi un giovane disposto a sacrificarsi e passare la propria vita per apprendere un mestiere così complesso14. Le dinamiche dello scenario produttivo muranese sono indubbiamente molto cambiate nel corso degli anni, dal punto di vista economico e sociale. C’è da dire però, che le aziende più riconosciute sono quasi tutte aziende storiche; come certamente sono sempre esistite le aziende più piccole e meno organizzate sia dal punto di vista aziendale che progettuale, le quali riservavano la propria produzione ad un pubblico più semplice e forse, meno esperto.
2.2.2. Composizione del vetro e le materie prime La produzione vetraria muranese è caratterizzata, come già affermato in precedenza, dalla sua localizzazione su un’isola di dimensioni particolarmente ridotte. Ciò implica la movimentazione di materie prime, semilavorati e prodotti finiti da e verso l’isola di Murano. La filiera15 in questione può essere definita semplice in quanto il prodotto subisce un numero ridotto di passaggi prima di poter arrivare ad essere un prodotto finito. La provenienza delle materie prime è extraterritoriale ed esse vengono immagazzinate a Mestre in zona San Giuliano e il Canal Salso è la via d’acqua attraverso la quale sono trasferite a Murano. La fornitura e il trasporto sono assicurati
14. Andrea Tosi, La memoria del vetro. Murano e l’arte vetraria nelle storie dei suoi maestri, Marsilio, Venezia 2006, p. 92-100. 15. Con il termine filiera si identifica l’insieme articolato di attività che determinano l’esistenza sul mercato di un prodotto industriale. Essa comprende le tecnologie, le risorse e le organizzazioni che concorrono alla creazione, trasformazioni, distribuzione, commercializzazione e fornitura di tali prodotti.
solamente da due aziende e le materie prime giungono nella prossimità di ogni singola fornace16. La materia prima indispensabile utilizzata per la realizzazione del vetro è la sabbia, la silice, chiamata anche vetrificante. L’utilizzo della sola silice necessiterebbe di forni con altissime temperature, circa 1800° C. e per evitare che questo accada, si aggiungono, alla composizione, altre sostanze chiamate fondenti che consentono di mantenere la fusione del materiale a relativamente basse temperature (1400° C.), corrispondenti ai gradi di calore usati normalmente nella lavorazione muranese. Il tipico fondente è l’ossido di sodio che permette al liquido vitreo di solidificarsi lentamente consentendo una lavorazione migliore e più a lungo tempo. Se la quantità di sodio è eccessiva, il vetro tende a opacizzarsi in superfice per azione dell’umidità atmosferica, di conseguenza, per limitare quest’attitudine si aggiunge alla composizione, il calcare o il carbonato di calcio. Quest’ultimo oltre a servire per abbassare la temperatura, è chiamato stabilizzante in quanto consente al materiale di mantenere le sua caratteristiche di trasparenza nel tempo. Alla composizione vitrea si aggiungono altre materie prime, quali il nitrato e l’arsenico che hanno azione affinante, cioè facilitano la fuoriuscita delle bolle dal composto rendendolo più omogenea. Tutte queste materie prime aggiunte assieme, in diverse ma precise quantità, compongono il vetro trasparente incolore chiamato cristallo muranese17. Se alle materie prime appena citate si aggiungono piccole quantità di ossidi metallici, i quali fungono da sostanze coloranti oppure opacizzanti, si ottengono i vetri colorati o i vetri opalini. Per creare il colore verde e blu si aggiunge il rame, per il celeste e il turchese, il cobalto, invece per ottenere il colore giallo si unisce alla miscela il ferro e l’antimonio in fine, per conseguire l’ametista e la porpora si aggiunge il magnese. La purezza delle materie prime garantisce l’alta qualità del vetro soffiato muranese noto per la sua trasparenza e omogeneità18.
16. Pierpaolo Favaretto (a cura di), doc. COSES 210, Comune di Venezia, progetto di prefattibilità di una piattaforma logistica in Sacca San Mattia (isola di Murano), Aprile 1999, pp. 8-10. 17. “Il figlio di Iacopo Barovier, Angelo, si è staccato dal padre per aprire la propria vetreria e menziona per la prima volta colui che diverrà il vetrai più famoso di Murano: la più antica testimonianza della sua invenzione di un vetro terso, incolore e senza impurità che chiamerà cristallo per analogia con la purezza della pietra omonima, ci è tramandata da un documento del 24 maggio 1453”. Gianfranco Toso, Il vetro di Murano, Arsenale editore, Verona 2000, cit. 18. Per approfondimenti: Astone Gasparetto (a cura di), Vetri di Murano 1869-1960, Ed. Comune di Verona Palazzo della Gran Guardia, Verona 1960; A.A.V.V., Murano il vetro e la sue gente, Consorzio Vetri Murano, Venezia 1998; Andrea Tosi, La memoria del vetro. Murano e l’arte vetraria nelle storie dei suoi maestri, Marsilio, Venezia 2006; AA.VV, Le età del vetro: storia e tecnica del vetro dal mondo antico ad oggi, Ed. Skira, Brescia 2003; Attilia Dorigato, L’arte del vetro a Murano, Ed. Arsenale, Venezia 2002.
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2.2.3 La fornace: attrezzature e fasi di lavorazione Le migliorie tecnologiche nel corso del tempo, sono state essenziali al fine di ottimizzare i rendimenti dei forni. Dal punto di vista dei costi energetici sono stati introdotti dei recuperatori di calore19 che permettono di ridurre i consumi in modo considerevole. È da considerare che mensilmente tenere accessi i forni presenti in fornace costa più o meno, in relazione alla grandezza e al numero dei crogioli, 30.000 euro20. Sono migliorate le modalità di fusione da quando, nel secondo dopoguerra, è stato introdotto il metano come combustibile che ha permesso ai forni di raggiungere temperature superiori ai 1400°C. Il forno muranese più comune, è ancora oggi usato da chi mantiene una produzione molto attiva, la fornace, forno capiente che riesce a tenere fino a 2 quintali di vetro al giorno. Le fornaci sono costituite da più crogioli, solitamente ne è presente uno più ampio degli altri, che è il principale dedicato al vetro trasparente, e uno o due più piccoli riservati ai vetri colorati. Davanti ad ogni crogiolo, o bocca è presente una lastra di pietra refrattaria che serve come piano d’appoggio ma soprattutto è necessaria per mantenere a una certa distanza l’addetto alla fusione, chiamato conzàor, dal fuoco. Inoltre il conzàor è ulteriormente protetto da due griglie di ferro costituite da materiale refrattario, detta parafuoco, sistemata all’altezza del busto dell’addetto e formata da un unico sporgente all’estremità, necessario per l’appoggio della canna, elemento obbligatorio per la sicurezza dell’addetto21. Per far fonte alla crisi, che in questo periodo sta mettendo in difficoltà la produzione vetraria, le aziende cercano di ridurre il più possibile i costi energetici della fornace. I tecnici del vetro, in questo modo, organizzano la produzione in base ai colori, utilizzando così un crogiolo colorato alla volta. In questo modo può accadere che per un’intera settimana la fornace realizzi tutti gli oggetti di colore rosso, la settimana successiva si passa alla lavorazione di un altro colore, e via via in questo modo, è possibile non tenere accessi contemporaneamente tutti i crogioli, e di conseguenza si risparmia sui costi dell’energia22.
19. Il recuperatore di calore permette di effettuare il giusto ricambio d'aria mediante l'espulsione dell'aria viziata e l'immissione dell'aria esterna ad opera dei ventilatori. Lo scambiatore di calore permette di recuperare energia dall'aria viziata prima che questa venga espulsa. Il risultato è una grande economia di esercizio che permette notevoli risparmi. 20. Colloquio con Alberto Striulli, maestro vetraio e imprenditore dell’azienda Striulli, in data 26 giugno 2012. 21. Per ulteriori approfondimenti: Astone Gasparetto (a cura di), Vetri di Murano 18691960, Ed. Comune di Verona Palazzo della Gran Guardia, Verona 1960; A.A.V.V., Murano il vetro e la sue gente, Consorzio Vetri Murano, Venezia 1998; Andrea Tosi (a cura di), La memoria del vetro. Murano e l’arte vetraria nelle storie dei suoi maestri, Marsilio, Venezia 2006; AA.VV., Le età del vetro: storia e tecnica del vetro dal mondo antico ad oggi, Ed. Skira, Brescia 2003; Attilia Dorigato, L’arte del vetro a Murano, Ed. Arsenale, Venezia 2002. 22. Colloquio con Alberto Striulli, maestro e imprenditore dell’azienda Striulli, e con
15-16. Fornace per il vetro 16. Fornace muranese
17. Inserimento canna nel Utensili per ladella lavorazione delcrogiolo vetro
La miscela delle materie prime (la silice, l’ossido di sodio e il carbonato di calcio) viene caricata, attraverso delle bocche presenti sulle pareti del forno munite di piccole porte che vengono rigorosamente tenute chiuse durante la fusione. La miscela viene quindi, lasciata riposare per 4-5 ore, generalmente di sera, in un crogiolo con temperatura di 1250°-1300° C. circa. Durante la notte viene aumenta la temperatura fino a 1400°C, questo permette alle bolle di fuoriuscire dal liquido vitreo fuso e al contempo di omogenizzare il composto. Verso le prime ore della mattina il vetro è pronto e la temperatura vene abbassata a 1100-1000°C. in questo modo, arriva alla viscosità necessaria per la lavorazione che inizierà alla mattina. Il composto vitreo, viene quindi lavorato durate tutto il giorno e il ciclo appena descritto rincomincia e prosegue autonomamente dall’ora della chiusura delle fornaci e continua durante tutta la notte23. Il primo passaggio della lavorazione consiste di inserire nel crogiolo colmo di pasta vitrea incandescente (scesa a temperatura di circa 800°C) la canna da soffio24, la quale viene immersa nel composto liquido e si impregna di un ammasso di materia informe, chiamato bolo25. In seguito si fa roteare la canna da soffio o il pontello26 su una lastra di ferro detto bronzin (un tempo era di marmo o bronzo, da cui il nome bronzin) al fine di dare compattezza e omogeneità alla massa vitrea, l’operazione viene chiamata marmorizar. In seguito si soffia leggermente il bolo ancora massiccio e di forma indefinita, chiamato, anche mòmolo, quindi, lo si fa roteare nuovamente sul bronzin, passaggio necessario per mantenere l’asse di simmetria del pezzo. La lavorazione del vetro è un’attività organizzata attraverso una successione di passaggi il più delle volte ripetitivi che permettono alla massa vitrea di essere sempre duttile e quindi lavorabile ma allo stesso tempo di rimanere perfettamente simmetrica durante tutto il periodo del processo. La lavorazione dei pezzi viene quindi organizza in tempi alternati: vi sono intervalli in cui il maestro plasma il pezzo attraverso degli utensili quali le forbici, le pinze e molti altri, e altre fasi, in cui la
Fabio Onesto, maestro e imprenditore dell’azienda Oball, in data 26 giugno 2012. 23. Per approfoAstone Gasparetto (a cura di), Vetri di Murano 1869-1960, Ed. Comune di Verona Palazzo della Gran Guardia, Verona 1960; A.A.V.V., Murano il vetro e la sue gente, Consorzio Vetri Murano, Venezia 1998; Andrea Tosi (a cura di), La memoria del vetro. Murano e l’arte vetraria nelle storie dei suoi maestri, Marsilio, Venezia 2006; AA.VV., Le età del vetro: storia e tecnica del vetro dal mondo antico ad oggi, Ed. Skira, Brescia 2003; Attilia Dorigato, L’arte del vetro a Murano, Ed. Arsenale, Venezia 2002. 24. “Canna da soffio: tubo di ferro forato al centro di forma leggermente conica verso una delle estremità, lungo da 1,35 metri a 1,75 metri con un diametro che misura da 1 centimetro a 4,25 cm, usato per la soffiatura e formatura del vetro a mano e a stampo”. Attilia Dorigato, L’arte del vetro a Murano, Ed. Arsenale, Venezia 2002, cit., p. 387. 25. “Bolo: (chiamato anche pea) nucleo vitreo prelevato dal crogiolo, attaccato alla canna o al pontello e avente la forma di una pera, dal quale, dopo le opportune soffiature e lavorazioni, si trasformerà nel manufatto desiderato. Il termine viene utilizzato anche per indicare la massa di vetri parzialmente lavorata”. Attilia Dorigato, L’arte del vetro a Murano, Ed. Arsenale, Venezia 2002, cit., p. 387. 26. “Pontello: asta di ferro pieno sottile che può raggiungere 1,60 metri, adoperata per sostenere il semilavorato, quando occorre lavorare la massa vitrea inizialmente attaccata alla canna da soffio”. Attilia Dorigato, L’arte del vetro a Murano, Ed. Arsenale, Venezia 2002, cit., p. 387.
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massa viene riposta nel crogiolo al fine di riscaldarsi e riammorbidirsi ma anche, nel caso vi fosse la necessità, di aggiungere ad essa altro materiale27. L’ammasso di pasta vitrea, posta all’estremità della canna da soffio, viene modellata schiacciandola, allungandola, piegandola, strozzandola, pizzicandola, segnandola in mille modi diversi, in relazione alla morfologia dell’oggetto da realizzare, grazie all’ausilio semplici attrezzi. Gli utensili per la lavorazione del vetro “risalgono a un’antica tradizione di saper fare e produrre”28, sono oggetti nati nel passato per adempiere a delle precise necessita tecniche e nella maggior parte delle volte sono rimasti invariati nel tempo. La borsèlla è il più classico e fondamentale strumento di lavoro, è una specie di pinza elastica a forma di molla che serve per modellare la pasta vitrea. Esistono vari tipi di borsèlle, ed ognuna di queste viene utilizzata per delle specifiche lavorazioni. “Borselle da siègar (segare, strozzare), da pissegàr (pizzicare), a gelosia (terminate con palette piccole con segni incrociati in metallo), da scuelòto (a forma di cucchiaio), a corpo (a forma di tegola), a gàtolo (con incavo trasversale), a spin de pesse (a forma di spina di pesce) e borsèlle lissie (piatte larghe e senza modellaura)”29. Una volta che la massa vitrea incandescente ha preso la forma desiderata, il pezzo viene “ricotto” in particolari forni, detti forni a tempra (arrivano ad abbassare la temperatura fino a 450° C.), dove si stabilizza gradualmente ad una temperatura più bassa e uniforme, questo passaggio serve per rimuovere le tensioni termiche interne al pezzo, dovute alla lavorazione precedente. Il primo controllo di qualità avviene in seguito all'estrazione dei prodotti dal forno di tempra. Se il controllo ha esito positivo, il prodotto passa al reparto di moleria30 dove vengono effettuate le finiture necessarie. In seguito, nel caso di prodotti particolarmente elaborati (es. lampadari), le componenti in vetro vengono montate su strutture di materiale diverso e il montaggio avviene all'interno delle aziende stesse che si occupano anche dell'imballaggio utilizzando i materiali tradizionali per il packaging dei prodotti vitrei, forniti dalle aziende della terraferma.
27. Per approfondimenti: Astone Gasparetto (a cura di), Vetri di Murano 1869-1960, Ed. Comune di Verona Palazzo della Gran Guardia, Verona 1960; A.A.V.V., Murano il vetro e la sue gente, Consorzio Vetri Murano, Venezia 1998; Andrea Tosi (a cura di), La memoria del vetro. Murano e l’arte vetraria nelle storie dei suoi maestri, Marsilio, Venezia 2006; AA.VV., Le età del vetro: storia e tecnica del vetro dal mondo antico ad oggi, Ed. Skira, Brescia 2003; Attilia Dorigato, L’arte del vetro a Murano, Ed. Arsenale, Venezia 2002. 28. Alberto Bassi, Design anonimo in Italia, Oggetti comini e progetto incognito, Electa, Milano 2007, cit., p.72. 29. Nel sito web dell’azienda Barovier&Toso è presente un glossario, vedi: http://www. barovier.com/it/azienda/vocabolario/, cit. 30. All’interno del reparto di moleria avviene la molatura. Questa operazione viene effettuata mediante l’uso di una squadratrice con disco diamantato e raffreddato ad acqua che leviga la materia finché questa non raggiunge la linearità desiderata.
soffiatura
18. Taiante tondo e taiante dritto
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2.2.4. Organizzazione del lavoro In fornace l’organizzazione del lavoro è costituita da due aspetti direzionali. La gestione tecnica che coinvolge le maestranze, dalla miscelazione delle materie prime alla realizzazione dei prodotti, e la gestione amministrativa che si occupa di controllare i pezzi prodotti attraverso attività relative all’imballaggio allo stoccaggio e alla conseguente direzione delle vendite. Il luogo del lavoro all’interno della fornace si chiama piazza, con questo termine oltre che indicare lo spazio fisico in cui avviene il lavoro si identificano anche le maestranze, tutti gli utensili e le attrezzature necessarie. Tutte le operazioni sono dirette dal maestro, ed è l’unico che ha una propria postazione. Si chiama scagnèr un largo scanno composto da lunghi bracci piatti sui quali fa ruotare la canna da soffio o il pontello al fine di conservare la simmetria del ammasso vitreo, come già detto, operazione fondamentale, che deve essere sempre eseguita prima, durante e dopo il soffiaggio. Il resto del personale è composto da un addetto alle impostazioni del lavoro che si chiama serviente diretto assistente del maestro, colui che compie le mansioni di elevato contenuto tecnico e artistico, e talvolta è in grado di sostituire il maestro. Gerarchicamente, dopo il maestro e il serviente, il terzo membro della piazza si chiama serventin, in fine, l’ultima figura è il garzone o garzonetto che è il più giovane apprendista al quale vengono affidate le mansioni più semplici e umili31.
2.2.5. Distribuzione e comunicazione Il commercio a Murano, storicamente e soprattutto in epoca moderna e contemporanea è molto sviluppato, ed è molto simile a quello che si attua nella città storica. Prima di identificare i differenti canali distributivi del settore è giusto premettere che le aziende usano diverse modalità, che sono riconducibili, la maggior parte delle volte, alla grandezza e alla struttura organizzativa delle stesse.
Le aziende leader Le imprese che sono riuscite a costruire nella storia del vetro a Murano una propria e riconoscibile immagine aziendale, direttamente collegata agli stessi prodotti commercializzati, sono le stesse già citate nei testi
31. Per approfondimenti: Astone Gasparetto (a cura di), Vetri di Murano 1869-1960, Ed. Comune di Verona Palazzo della Gran Guardia, Verona 1960; A.A.V.V., Murano il vetro e la sue gente, Consorzio Vetri Murano, Venezia 1998; Andrea Tosi (a cura di), La memoria del vetro. Murano e l’arte vetraria nelle storie dei suoi maestri, Marsilio, Venezia 2006; AA.VV., Le età del vetro: storia e tecnica del vetro dal mondo antico ad oggi, Ed. Skira, Brescia 2003; Attilia Dorigato, L’arte del vetro a Murano, Ed. Arsenale, Venezia 2002.
precedenti. Queste aziende (tra le quali si ricordano le più note, la Venini, la Carlo Moretti, la Barovier & Toso, Marina e Susanna Sent, la Nason e Moretti) hanno dei propri canali distributivi. Non hanno bisogno di appoggiarsi a terzi, perché conservano e custodiscono gelosamente la loro clientela ben consolidata nel corso degli anni e riescono a gestire i loro profitti attraverso dei propri punti vendita oppure attraverso degli agenti commerciali localizzati in diverse parti del mondo32. L’infelice esperienza del famoso incendio che, nel 1970, ha totalmente distrutto la fabbrica Venini è stata l’occasione sia di ricostruire l’azienda stessa ma anche di dedicarne una parte, lo spazio che si affaccia sulla fondamenta dei Vetrai, allo show room. Il progetto riservato all’area degli uffici è stato disegnato dallo studio Foscari, e nello specifico dall’architetto Barbara Foscari, diretta assistente di Carlo Scarpa. È proprio per questo motivo che la concezione spaziale ha dei riferimenti fortemente scarpiani, che si possono notare nel disegno semplice di una scala di cemento, elegante ma sobria, raffinata da dettagli di ferro molto curati33. Nello stesso anno venne anche aperto un negozio Venini a Venezia, in Piazza dei Leoncini, in prossimità della centralissima Piazza San Marco. I prodotti dell’azienda Venini attualmente sono venduti in innumerevoli punti vendita specializzati in giro per il mondo, posizionati nella maggior parte dei paesi; dal Messico, all’Egitto, in America come in Cina e molto altri. L’azienda Marina e Susanna Sent, inaugurano nel 2012 il nuovo showroom a Murano, adiacente alla fabbrica. Lo spazio è situato in fondamenta Serenella, appena prima del ponte, ci si ritrova in uno spazio davvero raffinato. Il primo luogo che si incontra, varcando le soglie del cancello, è una grande area all’aperto, con una piscina bassa che riflette nell’acqua il colore bianco che circonda lo spazio. Lo stile e il gusto del luogo sono chiaramente in relazione agli stessi gioielli progettati, in questo modo è possibile percepire una visione unitaria dell’azienda nella sua totalità. Da parte della clientela questa impressione di unicità è sicuramente positiva, perché così facendo è possibile confermare in ogni situazione Sent, sia nei negozi, nei gioielli ma anche nelle stesse progettiste un’immagine armonica e ordinata, in grado di dare sicurezza all’acquirente. Nonostante il linguaggio sia molto diverso, anche l’azienda Barovier & Toso cura dettagliatamente la comunicazione e la distribuzione aziendale. Anche in questo caso la fornace è situata nell’area posteriore lasciando lo spazio espositivo e gli uffici del personale, nella zona più visibile, che altro non è che la trafficata fondamenta dei Vetrai. L’aspetto interessante di questa realtà è che il cliente ha la possibilità di visitare il museo privato dell’azienda, situato
32. Colloquio con Massimo Bovi, corporate communication manager dell’azienda Barovier & Toso, il giorno 6 luglio 2012. 33. Informazione ottenuta durante una telefonata allo showroom Venini, Murano, fondamenta dei Vetrai, il giorno 8 settembre 2012.
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all’ultimo piano dell’edificio, nell’ampio open space, dove sono esposti la collezione storica dell’impresa. Le teche sono in legno e sono caratterizzate da un disegno semplice, il gusto che pervade lo spazio è di impostazione classica, come di conseguenza gli oggetti esposti. In ogni situazione sopradescritta si trovano delle connessioni tra le produzioni, e gli ambienti di esposizione, perché come già detto, è fondamentale dare al cliente un messaggio ben preciso dell’azienda. Normalmente queste aziende hanno un sito internet molto ben organizzato, dove si possono trovare tutte le informazioni che un cliente può avere bisogno e molto spesso è possibile anche scaricare il catalogo dei prodotti.
Le micro-imprese
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Per quanto riguarda invece, le piccole e le micro imprese34, le quali non si possono permette un proprio punto vendita si affidano ai grandi rivenditori dell’isola, oppure spesso vendono i prodotti ai negozi veneziani. Le sale di esposizione sono degli enormi spazi con una vastissima scelta di prodotti. Si sono costruiti nel tempo, degli accordi speciali con le agenzie di viaggio o portieri d’albergo che fanno sì che i turisti vengano indirizzati proprio in quei punti vendita. L’organizzazione dei prodotti all’interno di questo tipo di negozio è poco curata, i pezzi sono sistemati senza un vero proprio ordine nello spazio, e in molti casi, alzando lo sguardo al soffitto ci si ritrova sotto ad una cascata di lampadari tradizionali in vetro, dalle forme e dai colori più svariati. La sensazione prevalente non è certo quella di trovarsi in un luogo minimale, elegante o raffinato, per quanto i pezzi esposti sono sicurante nella maggior parte dei casi, oggetti di qualità; nonostante questo è inevitabile percepire il gusto kitsch, che per certi versi, è facile ritrovare anche in altre situazioni, a Murano. Dario Stellon, project manager dell’azienda Salviati, durante un’intervista racconta, il suo disappunto nei confronti di luoghi analoghi, descrivendoli come gabbie per turisti: “Il turista viene scaraventato all'interno di una struttura di vendita macchinosa e costosissima che sono le sale di vendita, dove tutto è calcolato al millimetro. Il cliente finale, alla fine di questa esperienza, non avrà capito nulla di Murano e acquisterà un pezzo al costo triplo rispetto al suo valore reale e, nel momento in cui si accorgerà di essere stato ingannato, farà una cattiva pubblicità dell'isola. In questo modo, ogni giorno, portiamo qui una persona, non le abbiamo spiegato un minimo di cultura per cui lui riesca ad apprezzare ciò che sta acquistando e che, nel 90% dei casi, si porta a casa un oggetto che non è prodotto
34. Raccomandazione della Commissione (96/280/CE) del 3 aprile 1996 relativa alla definizione delle piccole e medie imprese [Gazzetta ufficiale L 107 del 30/04/1996]. Piccole imprese: occupano da 10 a 49 dipendenti. Il loro fatturato deve essere inferiore a 7 milioni di euro o il loro bilancio non superare i 5 milioni di euro. Microimprese: all’interno della categoria delle PMI e sono imprese che occupani meno di 10 dipendenti. Vedi sito web http://europa.eu/legislation_summaries/other/n26001_it.htm
qui a Murano”35. Queste dinamiche, economico-commerciali, sono indubbiamente sempre esistite nella storia della compravendita muranese; la figura dell’intromettitore, dello zelante che invoglia il turista a diventare spettatore delle eventuali dimostrazioni del lavoro in fornace è certamente una dinamica di spettacolarizzazione del mestiere molto scenografica, che invoglia, nella maggior parte dei casi, il visitatore a comprare dei pezzi. Questa situazione, in un certo senso, fa parte dell’affascinante folclore turistico dell’isola di Murano.
E-commerce Negli ultimi anni si sta sviluppando un nuovo canale distributivo che è quello della vendita online dei prodotti. Anche in questo caso sono da suddividere le aziende secondo due modi di lavorare e di vedere il mercato in rete. Le aziende più organizzate, oltre ad avere un sito strutturato, con un’immagine coordinata ben definita, sono provviste di un catalogo scaricabile dove è possibile vedere tutti i prodotti, suddivisi per categorie e il listino prezzi. Tutte le altre microimprese invece, il più delle volte, possiedono un sito web velocemente impostato ma senza la possibilità di vedere a catalogo i loro prodotti. Le ultime realtà spesso vendono su altri portali come E-bay o Amazon e raramente il loro sito è impostato per la parte commerciale. Recentemente, il Consorzio Promovetro attraverso una collaborazione con l’azienda Venicecommerce Srl36 ha istituito un nuovo canale commerciale online attraverso il portale YourMurano37. In questo sito si potranno comprare prodotti solo Made in Murano. A questa iniziativa hanno la possibilità di partecipare tutte le aziende iscritte a Promovetro. È questo un primo tentativo che le imprese vetrarie più piccole senza una rilevante identità riconosciuta e quindi più esposte al fenomeno della contraffazione del prodotto, hanno messo in atto per salvaguardare e recuperare il proprio valore di originalità e riconoscibilità aziendale. “Combattere chi tenta di sminuire il progetto spacciando tarocchi e paccottiglia privi di valore e storia, per il vetro di Murano”38.
35. Colloquio con Dario Stellon, project manager dell’azienda Salviati, Murano, 18 giugno 2012. 36. Venicecommerce Srl sviluppa progetti E-commerce dedicati ai comparti artigianali e produttivi della città di Venezia e del suo territorio. Vedi sito web: http:// venicecommerce.com/ 37. Vedi sito web: http://www.yourmurano.com/en/glassmagazine/author/admin 38. s.n., Tutela del Marchio, Vetro di Murano, adesso si vende on line, in "La Nuova Venezia", 28 giugno 2012, cit.
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2.3 I numeri di Murano
2.3.1. Dati relativi alla produzione Per avere un’idea più completa della realtà produttiva dell’isola di Murano sono state effettuate delle analisi di tipo quantitativo rispetto alle unità locali e agli addetti nel settore del vetro, utilizzando i dati statistici dei censimenti dal 1971 al 2001, ultimo censimento disponibile, implementando questi dati con quelli forniti nel 2010 dal COSES (Consorzio per la ricerca e la formazione di Venezia)1. Dalla lettura e dal confronto dei dati censuari relativi al comparto del vetro degli ultimi quarant’anni emerge uno scenario contraddittorio che apparentemente sembrerebbe indicare uno sviluppo positivo del principale settore produttivo muranese2. I dati dei censimenti 1971, 1981, 1991 e 2001 indicano un aumento costante delle unità locali3, che secondo il codice ATECO4 si occupano della fabbricazione di vetro o di prodotti in vetro. Dalle 151 unità produttive del 1971 si passa alle 246 del 2001 (+62,9%), fino alle 263 sedi d’impresa5 (mono o plurilocalizzate) rilevate dal COSES nel 2010 (+74%). Parallelamente, gli addetti nel settore diminuiscono costantemente, nel trentennio 1971-2001, sempre secondo i dati dei censimenti, si riducono del 45% circa, (1971 - 3142 addetti, 1981 - 1865 addetti, 1991 - 1908 addetti,
1. COSES, Consorzio per la Ricerca e la Formazione. La sua missione storica, fin dalla originaria costituzione come Co.S.E.S., nel 1967, è quella di condurre analisi, studi, progetti, finalizzati all’attività delle amministrazioni pubbliche. 2. Esiste un’effettiva difficoltà per il reperimento dati, in quanto è stato notato che i dati della Camera di Commercio di Venezia, quelli dell’Osservatorio dei distretti e i dati del Consorzio Promovetro, non coincidono con i dati del COSES. Per questo motivo vengono utilizzati per questo studio, soltanto quelli del COSES, perché più attendibili. Per quanto riguarda i numeri, è doveroso precisare che potrebbero non corrispondere totalmente alla realtà in quanto, probabilmente, una quota parte di dati potrebbe sfuggire alle rilevazioni a causa del sommerso, molto presente a Murano come a Venezia. 3. Ai sensi del regolamento CEE 15 marzo 1993, n. 696 e del regolamento CE 25 giugno 1996, n. 2223. L’unità di rilevazione del censimento generale dell’industria e dei servizi è l’unità locale, ossia il luogo fisico in cui le unità giuridico-economiche esercitano una o più attività economiche. 4. La classificazione delle attività economiche ATECO è una tipo di classificazione adottata dell’istituto Nazionale di Statistica italiano (ISTAT) per le rilevazione statistiche di carattere economico, attualmente è in uso la versione ATECO 2007, entrata in vigore dal primo gennaio del 2008. Si tratta di una classificazione alfa-numerica con diversi gradi di dettagli: le lettere indicano il macro-settore di attività economica, mentre i numeri, che vanno da due a sei cifre, rappresentano, con i diversi gradi di dettaglio, le articolazioni e le disaggregazioni dei settori stessi. Le varie attività economiche sono raggruppate, dal generale al particolare, in sezioni, (codifica: una lettera), divisioni (due cifre), gruppi (tre cifre), classi (quattro cifre), categorie (cinque cifre) e sottocategorie (sei cifre). 5. Giuseppina Di Monte (a cura di), doc. COSES 1255.0, Progetto Murano, Imprese del vetro: approfondimenti per il Tavolo Tematico del 17 maggio 2012, p.4.
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Il distretto del vetro artistico di Murano 106
2001 - 1731 addetti) fino ad arrivare, secondo le ricerche eseguite dal COSES, ad 800 dipendenti nel 20106. Questi dati apparentemente così contraddittori possono probabilmente essere spiegati se questo fenomeno lo si colloca all’interno del contesto veneziano generale che vede progressivamente negli ultimi anni l’aumento del numero degli esercizi commerciali che spesso vengono classificati come artigianali, rientrando così nella categoria unità produttive che a differenza delle industrie assorbono un numero molto ridotto di addetti. Dalla lettura di un documento scritto nel maggio del 2012 del COSES, si evince che a Murano il numero complessivo delle aziende (mono o plurilocalizzate) espressamente operanti nella lavorazione del vetro a mano e a soffio (classificate come tali nel codice ATECO alla voce 26.15.2) sono 155 su il totale, sopra citato di 263 ditte. Questo dato corrisponde al 60% circa del peso complessivo di aziende, le quali si occupano di una lavorazione quasi totalmente artigianale. Secondo delle ulteriori analisi, rispetto ai codici di attività secondarie, risulta che 60 aziende delle totali si occupano, oltre che della produzione, anche del commercio dei propri prodotti. Con lo stesso procedimento i ricercatori del COSES hanno classificato tutte le aziende che si occupano di lavorazione del vetro nel comune di Venezia. Nel totale del territorio comunale vi sono un totale di 433 aziende della quali, come già detto 263 attive a Murano, delle 170 presenti in terraferma circa un centinaio hanno un attività che è meno riconducibile alla lavorazione della lavorazione artistica di vetro, mentre il 45% di queste, 76, si occupano della lavorazione a mano e a soffio, prettamente artigianale. Come già accennato la piccola dimensione delle aziende italiane, che è sempre stata un tratto caratteristico della nostra struttura produttiva italiana, si è andata ulteriormente accentuando negli ultimi anni: si tratta molto spesso di unità poco visibili, più agevolmente individuabili per via amministrativa che attraverso la rilevazione sul campo. Di conseguenza un'altra causa del calo occupazionale è la profonda trasformazione della struttura aziendale muranese, infatti nel 1955 le aziende erano per lo più di media - grande dimensione e occupavano 3.270 addetti. Nel 1971 si nota una drastica riduzione delle aziende con oltre cento addetti. La causa di questo potrebbe essere riconducibile a trasferimenti, cessazioni di attività, sdoppiamenti in loco, che corrisponde allo stesso tempo al moltiplicarsi di piccole e piccolissime aziende, al di sotto dei dieci addetti. Possiamo dire che oggi l’isola è caratterizzata per la maggior parte da microimprese, le quali, il più delle volte, sono aziende a conduzione familiare7.
6. Giuseppina Di Monte (a cura di), doc. COSES 1228.1, Progetto Murano, Scenario Socio-economico, su richiesta di Comune di Venezia – Direzione Piano Strategico, Anch’io Progetto Murano, quarto Tavolo tematico: occupazione e produzione, slide 15. 7. Andrea Tosi, La memoria del vetro, Murano e l’arte vetrarie nelle storie dei suoi maestri, Marsilio, Venezia 2006.
15 aziende
250 addetti
azienda artigianale
70
azienda industriale
155 altro
100
108 19 -20. Dati relativi alla produzione
Il distretto del vetro artistico di Murano 108
2.3.2. Dati relativi alla distribuzione La toponomastica Veneziana generalmente identifica l’attività che un tempo veniva svolta in quella calle, fondamenta o campo di Murano. Come si può intuire, la fondamenta dei Vetrai8 è stata una delle zone dove storicamente si sono insediate le prime fornaci. Oggigiorno la fondamenta dei Vetrai è diventata principalmente il luogo dove sono collocati i maggiori esercizi commerciali del distretto, conseguentemente le fornaci si sono spostate nella zona interna rispetto alla fondamenta, in alcuni casi però, continuando a mantenere il proprio punto vendita nel luogo originale di produzione, nonché il più visibile. Le ricerche statistiche del COSES dimostrano come il peso del commercio sia riconducibile numericamente in 218 unità totali, certe di queste sono anche produttrici (i dati del COSES ne identificano 60, come sopra citato) infatti della filiera del vetro, spesso fanno parte, imprese manifatturiere attive nella lavorazione che completano il loro ciclo attraverso dei punti vendita in isola e nei casi delle aziende più prestigiose anche a Venezia, se non addirittura all’estero. Secondo i dati del COSES il 28,5% delle aziende produttrici opera anche nel settore commerciale. Per quando riguarda la commercializzazione vera e propria il centro di ricerca individua a Murano 43 unità di vendita di articoli riconducibili alla produzione vetraria e altri 70 negozi che vendono articoli tipici dell’artigianato locale dove molto probabilmente assieme alle maschera e a bigiotteria varia ci sono anche oggetti in vetro9.
2.3.3. Dati demografici Murano ha una ridottissima superficie, come già detto di 1,17 km quadrati con 4.616 abitanti ed una densità di 3945,3 ab./km2. È la seconda isola più popolosa dopo venezia, e come quest’ultima il numero dei suoi abitanti è fortemente diminuito negli ultimi trent’anni Se si prendono in considerazione i dati censurari, si evince che nel 1981 i muranesi totali erano 7.246, dieci anni più tardi 6.349 e nel 2001, 5.808 persone abitavano nell’isola di Murano. Si può constatare che nel corso degli ultimi trent’anni si può constatare che gli abitanti sono diminuiti di quasi la metà. Anche Venezia allo stesso modo, ha subito un calo demografico progressivo negli ultimi anni. Un contatore posizionato nella
8. “Fondamenta dei Vetrai, localizzata a sud dell’isola collega fondamenta Serenella, oppure la fermata del battello Murano Colonna, costeggiando il rio dei Vetrai, con il palazzo Mula, uno dei più bei palazzi di murano, Oggi sede della Municipalità veneziana”. Michela Scibilia, Nicolò Scibilia, Guida completa dell’isola di Murano, Vianello Libri, Venezia 2007, cit., p. 23. 9. Giuseppina Di Monte (a cura di), doc. COSES 1255.0, Progetto Murano, Imprese del vetro: approfondimenti per il Tavolo Tematico del 17 maggio 2012, pp. 9-10.
20 unitĂ commerciali
20 unitĂ commerciali + aziende produttrici
20 unitĂ commerciali di prodotti in vetro
20 unitĂ commerciali di prodotti tipici oltre al vetro
21. Dati relativi al commercio
250 abitanti
22. Dati demografici
vetrina della farmacia Morelli in campo San Bartolomeo dimostra la progressiva diminuzione degli abitanti residenti nel centro storico; il contatore viene aggiornato ogni settimana secondo i dati dell’ufficio Anagrafe del Comune di Venezia. “Ecco alcuni dati che possono fare chiarezza sulla storia della popolazione di Venezia: nel 1422 c'erano 199.000 abitanti, nel 1509 115.000, nel 1797, anno della fine della Repubblica, 141.000 abitanti circa. Ma venendo allo scorso secolo: nel 1931 c'erano 163.559 abitanti, 145.402 nel 1960, 111.550 nel 1970, 95.222 nel 1980, 78.165 nel 1990, 66.386 nel 2000 e, nel luglio 2012 il contatore segna 58.789 residenti a Venezia”10.
2.3.4. Dati relativi al turismo Per quanto riguarda il settore dell’economia del turismo, sicuramente la capienza e la grande disponibilità di posti letto a Venezia ha da sempre schiacciato l’offerta di ospitalità muranese. Il circuito del turismo a Murano è, senza dubbio, complementare alla destinazione di Venezia, il classico tour infatti, prevede la visita da Murano, Burano e Torcello, possibilmente in giornata. L’attrazione dei visitatori è strettamente collegata alla produzione vetraria e soprattutto alla possibilità di vedere all’opera i maestri vetrai che soffiano il vetro. Ciò nonostante, durante il corso degli ultimi anni è diventato possibile pernottare a Murano: si tratta di un’alternativa più economica e “familiare”11 del soggiornare a Venezia. Sono sorti undici esercizi con una capienza complessiva di 72 posti letto, con una media di 6,5 letti per struttura, sono strutture abbastanza piccole e raccolte e, secondo i dati del COSES12 vi è una media di 2,8 giorni di permanenza del visitatore nell’isola, e un totale annuo di occupazione delle strutture ricettive pari al 66%. Un dato interessante è l’affluenza turistica: per quanto sia difficile poter definire con precisione l’entità del flusso turistico si stima che nel 2010 vi siano state 17.300 presenze giornaliere pari a circa 5 milioni di visitatori all’anno. Un altro dato interessante è relativo al numero di visitatori del Museo del Vetro di Murano, che costituisce un’importante attrazione culturale dell’isola, nel 2010 si sono potuti contare solo 139.411 visitatori13. Da ciò si evince che solo il 2.6% dei turisti che transitano per l’isola di Murano vengono coinvolti nell’esperienza di visitare uno dei musei più importanti del mondo per quanto riguarda la storia della produzione
10. ����������������������������������������������������������������������� Vedi sito web: http://www.venessia.com/anniversariocontatore.htm, cit. ���� 11. ����������������������������������� Michela Scibilia, Nicolò Scibilia, Guida completa dell’isola di Murano, Vianello Libri, Venezia 2007, cit., p. 147. 12. ����������������������������������������������������� Giuseppina Di Monte (a cura di), doc. COSES 1228.1, Progetto Murano, Scenario Socio-economico, su richiesta di Comune di Venezia – Direzione Piano Strategico. Anch’io Progetto Murano, quarto Tavolo tematico: occupazione e produzione, slide 13. 13. ������������������ Ibidem, slide 14.
111
Il distretto del vetro artistico di Murano 112
del vetro artistico. I fenomeni appena descritti riguardanti l’isola di Murano, coinvolgono tutto il territorio lagunare, compreso il centro storico. Uno studio commissionato dal comitato inglese Venice in Peril14, dimostra come più dell’80% dei posti di lavoro nel cento storico siano all’interno del settore turistico. Nel 1988, il futuro sindaco Paolo Costa, oggi presidente dell’Autorità Portuale, aveva effettuato degli studi che analizzavano la capienza giornaliera ritenuta ottimale di visitatori nella città di Venezia, il risultato era 33.000 turisti, tenendo conto che in quella data gli abitanti della città erano 90.000 circa. Da uno studio del COSES nel 2007 si è calcolata un’affluenza annua di circa 21 milioni di turisti con una media giornaliera di 59.000 persone, senza contare i periodi di punta, come per esempio il Carnevale, dove questo numero riesce facilmente a raddoppiare15. In un articolo de “Il Gazzettino” del 201116, l’amministratore delegato di Grandi Stazioni, ha calcolato una media di 82.000 viaggiatori al giorno che attraversano la stazione di Santa Lucia di Venezia, per una totale di 30 milioni l’anno. In questa analisi chiaramente si tiene conto anche dei flussi di lavoratori pendolari che arrivano ogni giorni a Venezia e anche dei veneziani che si spostano quotidianamente per obblighi lavorativi. Secondo le Nazioni Unite, il flusso turistico nel mondo è portato ad aumentare del 60% entro il 2020, e sicuramente diventerà sempre più un problema di maggior consistenza, soprattutto per quei pochi che vivranno ancora a Venezia e nelle isole.
2.3.5. Dati relativi alla logistica Il problema maggiore che caratterizza l’organizzazione della filiera produttiva è la questione logistica che riguarda nel suo complesso il sistema insulare e rende problematico organizzare un sistema di trasporto economico ed al contempo efficace a causa delle inevitabili rotture di carico, da gomma o ferro ad acqua. Questo comporta un aumento dei tempi di trasporto e un aggravio dei costi. Secondo le analisi effettuate dal COSES, la maggior parte delle materia prime hanno prevalentemente provenienza extra lagunare, i fornitori sono localizzati nell’area della gronda lagunare e la maggior parte delle materia prime vengono stoccate a San Giuliano, e successivamente consegnate di fornace in fornace. Ogni anno per soddisfare tutte le necessità produttive dell’interno comparto insulare vengono trasportate 2.333 tonnellate di sabbia, 696 di soda, 254 di carbonato di calcio, 150 di vetrificanti, 138 di silice, 64 di calce, 12 tonnellate di imballaggi e 14
14. ������������������������������������������������������������������������������ Vedi sito web: http://www.ff3300.com/sito/index.php?/project/venice-in-peril/ 15. ������������������ Paolo Lanapoppi, Una città schiacciata dai turisti, in “Italia Nostra”, giugno 2011, pp. 20-21. 16. ������������������� Ibidem, pp. 20-21.
5.000.000 circa
50.000 turisti
139.411
23. Dati relativi all'afflusso di visitatori al museo del vetro di Murano nel 2010
Il distretto del vetro artistico di Murano 114
tra carbonato di potassio e antimonio. I semilavorati come le canne17, le murrine18 e le lastre di vetro19, invece vengono realizzati sull'isola di Murano e la loro movimentazione, dall'azienda produttrice alla fornace che li richiede, viene affidata ai trasportatori del luogo20. Sinteticamente i punti di debolezza individuati da COSES21, relativamente alla logistica del comparto del vetro di Murano sono individuati in: limiti gestionali, alti costi di trasporto per le materie prime ed i prodotti, mancanza di servizi per le imprese e collegamenti carenti con la terraferma, inoltre alti sono i costi energetici. Questo quadro conciso mette in luce parte dei problemi generali che si hanno quando si confinano delle attività produttive in un’isola. Non esistono numeri certi ma le analisi condotte dal centro di ricerca, enunciano che a fronte di queste difficoltà, vi sono delle aziende che hanno deciso di rilocalizzare la produzione o ampliarla in terraferma, soprattutto nell’entroterra provinciale veneziano (Marcon, Mirano. ecc), mantenendo spesso, però i canali distributivi nell’isola. Questo processo di rilocalizzazione comporta uno scenario anomalo per quanto riguarda i prodotti finiti, questo implica infatti un incrocio di merci tra Murano e la terraferma. La cosa bizzarra è che tra le merci provenienti dalla terraferma troviamo sia materie prime, che semilavorati e addirittura prodotti finiti, pronti alla commercializzazione. Sicuramente le aziende meno importanti e conosciute che operano nei modi sopra descritti sono penalizzate dal punto di vista dell’immagine, infatti non sono autorizzate da Promovetro ad utilizzare il marchio del vetro artistico di Murano, perché il loro prodotto non è Made in Murano, ma rimane essenziale che la loro produzione venga commercializzata nell’isola, perché in questo modo, garantisce, in una qualche maniera l’origine del prodotto.
17. ���������������������������������������������������������������������������������� La canna tirata è una canna vitrea forata o massiccia, monocroma o a più strati, circolari, radiali o a stella che, segmentata, viene utilizzata per le lavorazioni a lume o a mosaico. 18. ���������������������������������������������������������������������������������� La murrina si ottiene giustapponendo sezioni di canne vitree policrome a formare un motivo decorativo e saldandole insieme per la loro lunghezza al calore del forno, fino ad ottenere un’unica canna. Questa canna a più strati viene presa per le estremità e successivamente “tirata” per ottenere una canna di sezione minore, che viene in seguito sezionata a freddo per il senso trasversale. Si ottiene così una serie di dischetti policromi: le murrine. 19. ������������������������������������������������������������������������������������� Lastre di vetro sono realizzate con una tecnica industriale che consente di ottenere lastre di vetro stirando la pasta vitrea calda mediante sfere cilindriche. Successivamente i pezzi vengono tagliati ancora caldi e appiattiti in fogli della misura desiderata. 20. �������������������������������������������������� Pierpaolo Favaretto (a cura di), doc. COSES 210, Comune di Venezia, progetto di prefattibilità di una piattaforma logistica in Sacca San Mattia (isola di Murano), Aprile 1999, p. 7. 21. �������������� Ibidem, p. 8.
24. Dati 23. QuantitĂ relativi di materie al trasporto prime di materie trasporta primedalla dalla terraferma a Murano
Aziende e design oggi. Segnali di vita dal distretto
3
ÂŤCredo sia fondamentale aderire a quella filosofia che mette la qualitĂ del vetro in tutte le sue parti, fisica della materia-, del design e dell'innovazione al centro della produzione aziendaleÂť. Dario Stellon, Project Manager dell'azienda Salviati
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25. Ingresso dell'azienda Salviati Fondamenta Radi, Murano
3.1 Salviati
Per un più completo approfondimento della realtà produttiva dell’isola, l’analisi si è focalizzata sulle dinamiche aziendali delle imprese più competitive e riconosciute sul mercato internazionale. Sono state individuate quattro tra le aziende del distretto maggiormente strutturate e identificabili come aziende leader secondo alcuni criteri quali l’organizzazione aziendale, la relazione con la cultura del progetto, l’innovazione e l’identità d’impresa.
3.1.1. Azienda Salviati Salviati è un’azienda che nella sua storia ha saputo mantenere un rapporto continuativo con il progetto, infatti, nello scenario muranese contemporaneo, essa è certamente una delle realtà più interessanti. Accanto alla costante ricerca formale condotta già dalla seconda metà dell’ottocento, Salviati denota un’apertura verso la sperimentazione che ha attirato negli ultimi decenni alcuni tra i progettisti internazionali più interessanti. Si ricordano le collaborazioni con Tom Dixon, Studio Dillon, Thomas Heaterwick, Ross Lovegrove.
3.1.2. Introduzione storica La fornace Salviati nasce nella seconda metà del 1800 per volontà dell’avvocato Antonio Salviati. Egli apre la sua fornace a Venezia, nel sestiere Dorsoduro 731; in essa si trovano uno stabilimento dedicato alla produzione di mosaici ed una più piccola struttura destinata invece alla produzione di vetri tipicamente muranesi. Nel primo periodo Salviati collabora con Lorenzo Radi nella gestione della fornace, mentre la direzione artistica è affidata a Enrico Podio. Con l’abate Zanetti, il noto promotore della rinascita muranese, nonché fondatore della Scuola per il disegno del vetro, condivide l’ambizione di risollevare il comparto della produzione vetraria della laguna. L’azienda è presente alla Prima Esposizione Vetraria a Murano nel 1846, momento in cui l’isola ritorna ad imporsi sulla scena internazionale, con opere di mosaico monumentale ed ornamentale, grazie alle quali ottiene importanti riconoscimenti. Grazie al successo riscontrato nelle esposizioni internazionali, Salviati decide di aprire una fornace per il vetro soffiato. Oltre ai diversi appoggi sul territorio muranese, il capo dell’azienda poteva contare su due personalità
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26. Sergio Asti, Vaso Marco per Salviati, 1962
londinesi: un diplomatico - Sir Austen Henry Layard - e uno storico William Drake. Salviati registra così nella Londra del 1866 la Società Anonima per azioni Salviati &C. per l’industria della fabbricazione e commercio dei mosaici, smalti, calcedonie e vetrerie”. Questa nuova realtà riesce in quegli anni a raccogliere al suo interno i migliori maestri vetrai presenti sulla scena in quel momento. Sempre alla fine dell'ottocento la produzione si divide in due parti: una per la realizzazione di smalti e un’altra per la produzione di vetri soffiati con il contributo dei maestri Antonio Camozzo, Giovanni, Giuseppe, Benvenuto e Benedetto Barovier. Salviati muore nel 1890 e gli succedono i figli che tentano di portare avanti l’attività. Essi costituiscono nel 1890 la società Dott. Antonio Salviati & C. Questa ha una vita breve e viene sciolta poco dopo, nel 1894. Proprio in questi anni emerge nella storia di Salviati, la famiglia Camerino con la quale Giulio Salviati (figlio di Antonio) decide di associarsi per dar vita alla società Salviati &C. Il fratello di Giulio, Silvio Salviati prosegue l’attività del mosaico e associandosi anch’egli con Camerino: in breve tempo Maurizio Camerino si trovava a essere conproprietario di due aziende. Durante la prima guerra mondiale, la Salviati deve sospendere la produzione e Camerino prende in affitto degli spazi di vendita in via Montenapoleone a Milano dove realizza una grande sala di vendita e dà spazio gli uffici dell’azienda. Maurizio Camerino viene ricordato anche per il suo importantissimo contributo che ha dato con la costruzione di una ricca collezione di vetri di Murano dell'ottocento e del primo novecento. La raccolta viene inaugurata il 7 marzo 1922 con una larga eco di stampa e viene tutt’ora considerata la più completa rassegna della produzione muranese di un’epoca fondamentale per il cammino dell’arte vetraria dell’isola. Nel 1927 la Salviati ottiene la licenza per la costruzione di una piccola fornace a Venezia, a Dorsoduro, specializzata nella produzione di vetri soffiati tipici e raffinati. Questa piccola fornace però non è in grado di supportare l’intera produzione di Salviati, per questo e per un decennio, viene affiancata nella produzione della Successori Andrea Rioda, azienda che cessa la sua attività nel 1937, ma che fino ad allora assicura a Salviati la possibilità di produrre i suoi pezzi. Maurizio Camerino muore nel 1931 e la proprietà passa ai figli Mario e Renzo che produrranno una serie di vetri interessanti che verranno esposti in diverse Biennali: ad esempio quelle del 1932 e 1934 dove si vede la partecipazione dell’azienda Salviati in collaborazione con Dino Martens che ne disegnerà i pezzi. Nel 1948 entra a far parte dell’azienda Renzo Tedeschi, figlio di Olga Camerino, laureato in ingegneria, che risolleva la produzione introducendo la lavorazione di apparecchi da illuminazione. Nel ‘50 Salviati ricomincia a partecipare alle Biennali e collabora con gli artisti Mario De Luigi e Luciano Gaspari. Durante gli anni cinquanta le produzioni di Salviati vengono assicurate dalla fornace di Alfredo Barbini, e successivamente dalla ditta Fratelli Toso. Soltanto nel 1958 viene acquisito dell’azienda un capannone di grandi dimensioni sull’isola di Murano e nel 1959 inizia il lavoro con ben otto piazze.
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Aziende e design oggi. Segnali di vita dal distretto 122
La disponibilità di una grande fornace consente finalmente all’azienda di entrare nella competizione internazionale per la fornitura di apparecchi da illuminazione nella quale la Salviati aveva investito moltissimo. In questo periodo l’attività dell’azienda si divide tra la progettazione e la produzione di apparati per l’illuminazione di interni e la realizzazione di oggetti d’arredo dalle caratteristiche molto interessanti. Una sensibile e continua evoluzione stilistica contraddistingue l’azienda che riesce a rimanere in primo piano sulla scena internazionale. La storia di questa evoluzione è scandita dalla partecipazione continuativa alle Biennali di Venezia: dopo quella del ‘58 è presente anche nel ’60 dove espone un servizio da tavola disegnato da Romano Chirivi, Luciano Gaspari e Renzo Camerino. Nello stesso anno l’azienda partecipa al concorso bandito dall’Enapi nell’ambito della XII Triennale di Milano, dove presenta un modello disegnato da Chirivi e uno da Gaspari ai quali viene assegnato il primo premio. La Salviati, come diverse altre aziende dell’epoca, ha investito moltissimo sulla cultura del progetto e, scegliendo sempre di collaborare con designer e artisti di qualità, è riuscita a costruire una sua identità. A conferma della validità di questa politica la Salviati ottiene nel 1962 il premio Compasso d’Oro che l’A.D.I. (Associazione Disegno Industriale) assegna ogni anno ai migliori oggetti di design. L’oggetto premiato è un vaso disegnato da Sergio Asti che verrà successivamente presentato alla Biennale dello stesso anno1. Durante gli anni sessanta e settanta l’azienda vive un periodo di grande vivacità progettuale e produttiva che subisce un rallentamento negli anni ottanta fino ad arrivare ad una serie di cessioni che non le porteranno molta fortuna.
3.1.3. Strategia dell’azienda L’azienda Salviati, viene acquisita agli inizi degli anni novanta dalla Venini, che la cederà pochi anni dopo, nel 1995, al colosso francese Arc International che all’epoca contava al suo interno all’incirca 30.000 addetti. La multinazionale aveva acquistato l’azienda muranese per posizionarla al di sopra degli altri marchi presenti al suo interno, in modo da innalzare la qualità di tutta la produzione. Nel 1997 Arc International cede l’azienda a un gruppo più piccolo: in questo momento entra in gioco Dario Stellon, attuale Project manager dell’azienda. Il modello gestionale dell’azienda è rimasto molto simile a quello del passato, anche se la sua dimensione si è di molto ridotta e soltanto
1. Per approfondimenti a proposito dell'azienda Salviati consultare i volumi: Giovanni Sarpellon (a cura di) Salviati. Il suo vetro e i suoi uomini, 1859-1987, Stamperia di Venezia, Venezia 2007; Aldo Bova, Attilia Dorigato, Puccio Migliaccio (a cura di), Vetri artistici, Antonio Salviati 1866-1878. Museo del Vetro di Murano, Marsilio, Venezia 2008; Aldo Bova, Puccio Migliaccio (a cura di), Vetri artistici. Antonio Salviati e la Compagnia Venezia Murano, Marsilio, Venezia 2011.
dodici addetti lavorano attualmente in Salviati. Dopo la cessione, tutte le fasi del processo aziendale, dalla produzione al deposito, alla spedizione, sono state riportate a Murano e il marchio stesso è tornato ad essere italiano. L’apporto di capitale è stato ridotto in maniera determinante e le difficoltà nell’affrontare le spese quotidiane per il funzionamento delle fornaci sono crescenti. Inoltre, essendo la Salviati un’azienda che si rivolge in larga misura a un mercato internazionale, necessita di un forte supporto di marketing. Questa necessità ha portato a diversi cambiamenti nell’ultimo anno, su tutti la riprogettazione del sito web, fondamentale per la visibilità delle collezioni Salviati all’estero. L’immagine aziendale è forte e particolarmente legata alla sua storia secolare. La progettazione in azienda avviene attraverso una serie di interessanti e fondamentali collaborazioni con designer esterni che normalmente partecipano al progetto deciso dalla direzione aziendale; in seguito, l’idea viene analizzata dal punto di vista della fattibilità dallo studio tecnico interno all’azienda e, in seguito prototipata e prodotta dalle maestranze delle due piazze interne all’azienda Salviati. Il 99% del fatturato della ditta è rivolto all’estero: i clienti principali si trovano, ad oggi Francia, ma soprattutto in Germania e in Inghilterra e il commercio avviene principalmente attraverso i punti vendita non monomarca. Sull’isola di Murano ve n’è solamente uno ma l’azienda è presente in almeno altri sedici paesi. Essa in futuro prevede di investire nella vendita on-line per aumentare la dimensione del suo potenziale mercato. Parallelamente ha intenzione di partecipare in modo continuo alle fiere per pubblicizzare le sue collezioni e soprattutto per definire un suo profilo di azienda artigianale che produce in modo tradizionale ma che ha grande attenzione per l’innovazione e la sperimentazione. Salviati prevede per l’anno 2013 la partecipazione con nuovi prodotti a Maison Object (Parigi) e Londra2.
3.1.4.
Rapporto con il progetto
La mission dell’azienda è di reinterpretare le antiche tecniche muranesi in una veste contemporanea. Negli ultimi anni, la ricerca è diventata fondamentale e l’azienda ha attivato diverse collaborazioni. Citiamo quelle più recenti con Marco Zito, Luca Nichetto e con il gruppo di designers AUT 3 che sta lavorando attorno al progetto Breaking the Mould, che consiste in sperimentazioni sul materiale vitreo e sui processi di lavorazione con l’obiettivo ambizioso di superare i limiti millenari della materia e delle sue forme. “Breaking the Mould
2. Ad oggi l’azienda è in liquidazione, cfr. La vetreria storica Salviati in liquidazione, in “La Nuova Venezia”, Venerdì 19 Ottobre 2012. 3. Il progetto Breaking the Mould è curato dal collettivo AUT (Riccardo Berrone, Federico Bovara, Luca Coppola), insieme ai designers Marco Zito, Chiara Onida, Anna Perugini, al project manager di Salviati Dario Stellon, al chimico dei materiali Tommaso Cavallin e al videomaker Matteo Stocco.
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27. Breaking the Mould, Ex. 2a, 2011
28. Breaking the Mould, Ex. 11a-b, 2011
- scrivono gli AUT - è un progetto analitico e sperimentale sulle tradizionali tecniche di soffiatura del vetro di Murano. Il gruppo di ricerca è formato da sette designer e un esperto in scienze dei materiali; formatosi nell'autunno del 2011, si propone di investigare le possibilità di innovazione all'interno della produzione del vetro soffiato nel rispetto della tradizione muranese. Breaking the Mould è articolato in due principali fasi: la prima di ricerca (che si concentra sul contesto muranese e la sua identità produttiva) che si avvale in un secondo momento di esperimenti empirici su selezionate aree di intervento; la seconda invece si propone di esaminare i risultati ottenuti e condividerli durante selezionati momenti espositivi”4. Il gruppo AUT progetta, insieme al pezzo, il suo processo di produzione che in alcuni casi elude le regole della vetraria muranese suscitando forte interesse negli stessi maestri della piazza di Salviati che seguono costantemente il lavoro dei designer. La poliedricità dei designer in questione, alcuni specializzati in prodotto, altri in grafica e video, consente l’applicazione di diverse conoscenze che restituiscono all’azienda stessa un’immagine piuttosto unitaria dal punto di vista della comunicazione, fondamentale per la visibilità sul mercato globale.
3.1.5.
Intervista con Dario Stellon, project manager dell’azienda
Che rilevanza ha il progetto nella strategia aziendale di Salviati? «Io penso che sia sempre fondamentale fare ricerca e per Murano oggi avere delle nuove idee è indispensabile. Credo anche sia fondamentale aderire a quella filosofia che mette la qualità del vetro in tutte le sue parti, fisica (della materia), del design e dell'innovazione al centro della produzione aziendale. Sicuramente sarebbe fondamentale fare un tipo di vetro responsabile: produrlo a Murano, dimostrare che esso è prodotto a Murano perché mai come oggi, abbiamo bisogno di fare apprezzare al mondo la nostra cultura millenaria, legata alla materia del vetro. Abbiamo bisogno, passatemi il termine, di educare il nostro cliente (altrettanto i nostri venditori) e far sapere loro che stanno acquistando un pezzo della nostra storia. Dovremmo far conoscere l'identità del distretto ai nostri clienti». Quali sono le fasi che determinano la produzione degli oggetti Salviati? «La progettazione è interna, oppure affidata su brief a designers esterni all'azienda. Ovviamente siamo aperti a un'idea estemporanea di collaborazione con i designers. Vi è un momento in cui si decide che cosa manca all'interno della collezione, e che cosa può essere inserito nelle collezioni Salviati future. Viene data molta importanza a ciò che si vende di più, ma comunque l'attenzione non viene mai
4. Vedi sito web: www.breaking-the-mould.com, cit.
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distolta dalla visibilità dell'azienda, per questo motivo ci troviamo molte volte a produrre pezzi che sono dedicati all'immagine dell’ azienda stessa, piuttosto che alla dimostrazione di un know how o della cultura del progetto. Nel processo ideativo c'è un momento di studio della collezione in cui viene affidato un brief ai disegnatori e ai designers che lo interpretano attraverso un progetto che verrà in seguito analizzato da quello che può essere definito l’ufficio tecnico. Dopo la scrematura dei progetti si va alla parte esecutiva, nella sezione prototipaggio, si fa in seguito una selezione dei prototipi e si procede con la produzione». La vostra azienda partecipa alle fiere? «Come input aziendale abbiamo due appuntamenti fondamentali per la vita dell'azienda che sono le fiere semestrali. Quindi ogni sei mesi viene fatta un'importante selezione di prodotti che poi verranno presentati alle fiere. Ogni anno partecipiamo alla fiera Maison Object, e per il prossimo anno abbiamo in programma di partecipare al Salone del Mobile e alla manifestazione inglese Design Junction, un'esposizione londinese molto incentrata sul design. L'appuntamento più importante rimane Maison Object, è proprio li che si definiscono le collezioni dell’anno seguente». Quali sono i vostri canali di vendita? «I nostri canali di vendita sono prevalentemente internazionali. Il nostro fatturato proviene per circa il 99% da vendite all’estero: il bacino di utenza principale è l’Europa e la Germania è il nostro più importante mercato. Tramite i contatti che riusciamo ad ottenere alle fiere, stiamo costruendo una rete (non capillare) con i paesi del middle-east e paesi emergenti. Abbiamo notato che la vendita è molto cambiata in questi anni, quella al dettaglio diventa difficile, gli stessi rivenditori fanno molta fatica ad acquistare la merce. Per questo la Salviati è sempre più interessata alla produzione di prodotti d'arredo. Attraverso questo tipo di manufatti, infatti, riusciamo ad avere il contatto diretto con il nostro cliente e possiamo realizzare le nostre opere in base alle caratteristiche degli spazi; il nostro obiettivo è quello di lavorare su misura attraverso la customizzazione del prodotto». Vendete attraverso internet? «La vendita attraverso internet è un progetto futuro. Si tratta di un’opportunità incredibile ma va ben calibrata». Quanti sono gli addetti in Salviati? «Ad oggi siamo in 12. Questo ci ha dato e ci sta dando la possibilità di superare questo momento di difficoltà. L'azienda sta comunque recuperando i contatti perduti durante il primo periodo di crisi e sta ricominciando a crescere, soprattutto attraverso progetti dedicati all'interior design». Per quanto riguarda il Distretto di Murano: voi, come azienda Salviati, percepite la presenza di un distretto?
«All’interno del distretto non siamo mai stati in grado di collaborare e fare un fronte unitario, almeno sulle problematiche comuni: lo smaltimento dei reflui, la qualità dell’aria che filtriamo. Non siamo mai riusciti a creare un consorzio che ci consentisse di affrontarei costi elevati, conseguenza della localizzazione insulare (trasporti, logistica macchinosa). All’interno di questo distretto dovremmo partire proprio da un punto di vista culturale. Dovremmo realizzare dei progetti in grado di dimostrare che realmente portiamo avanti una cultura millenaria che per noi è un’immensa eredità. È necessario dare una visione limpida della realtà». Se dovessimo immaginare un nuovo modello per questo distretto, sarebbe necessario fare il marketing dell’isola, prima del marketing delle aziende? «Sicuramente si. Murano e tutte le sue aziende devono iniziare ad essere limpide, chiare e oneste. Da li si può partire, da un nuovo consorzio di aziende che autocertifichi che il vetro è stato prodotto in isola e che racconta una storia. Ipotizziamo che ci siano 10 aziende che operano a Murano e producono attraverso un investimento importante nella ricerca, nelle maestranze, il consorzio ha il compito di certificare e comunicare il lavoro di queste dieci realtà produttive. C’è bisogno di un consorzio che sia più attento e sensibile a una produzione etica del nostro prodotto. Potrebbe essere l’inizio di un progetto che coinvolgerebbe con il tempo, tutte le aziende muranesi. Un consorzio che dia una garanzia reale attraverso il controllo effettivo della qualità del prodotto e che non si limiti, come avviene ora, a rassicurare il cliente mediante la fornitura di un bollino di garanzia che non è sufficiente ad assicurare l’autenticità del prodotto made in Murano. È chiaro che se più aziende faranno parte di questo consorzio, più il comparto sarà ascoltato dalle istituzioni: finché non saremo in grado di proporre un piano comune e unitario per incentivare la produttività dell’isola non potremo aspettarci delle risposte concrete da parte dello Stato e degli Enti Locali. Allo stesso tempo dovremmo instaurare un rapporto reale con l’Università Iuav di Venezia, in modo da riuscire, attraverso workshop ed eventi, a fare innovazione attraverso il design, conivolgendo se possibile anche il museo e la stazione sperimentale del vetro. L’isola di Murano nel suo complesso potrebbe avvantaggiarsi dal punto di vista energetico utilizzando l’energia termica prodotta dalle fornaci che sono accese ventiquattro ore al giorno per 11 mesi all’anno. Saremmo in grado di produrre acqua calda per tutta l’isola. Credo che Murano debba muoversi in questo senso. Investire in questo tipo di progetti per comunicare un grande cambiamento dettato da tre fattori fondamentali: la trasparenza del mercato, la produzione etica, lo sfruttamento sostenibile delle risorse energetiche. Anche la questione della condivisione dei forni, se ben progettata, potrebbe essere la via per un nuovo tipo di produzione, più sostenibile e all’insegna della condivisione. In ogni caso, questo è il momento più giusto per realizzare il cambiamento. Io vedo nel mio ambiente le energie e i segnali per lavorare a un nuovo futuro. Il primo passo è quello di realizzare un piano comune dei produttori e venditori dell’isola».
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29. Ingresso dell'azienda Barovier&Toso Fondamenta dei Vetrai, Murano
3.2 Barovier & Toso
3.2.1. Azienda Barovier&Toso L’azienda Barovier&Toso rappresenta forse il caso di imprenditoria più lungimirante tra le realtà produttive presenti attualmente. La scelta dell’azienda di specializzarsi nella produzione di un unico tipo di prodotto, ovvero la rivisitazione del lampadario tradizionale muranese, le ha permesso di raggiungere una posizione di rilievo in questo settore a livello internazionale. La Barovier&Toso sembra essere dunque il portavoce dell’arte vetraria muranese in una realtà di nicchia, all’interno della quale, negli ultimi anni, il fenomeno della customizzazione del prodotto sta assumendo dimensioni rilevanti. L’azienda infatti, oltre ad occuparsi della vendita dei prodotti a catalogo, si avvale dell’ ufficio stile e dell’ ufficio tecnico per realizzare progetti ad hoc per committenti con disponibilità economiche elevate. Il progetto viene realizzato su misura, attraverso una modalità che potremmo definire sartoriale. L’efficacia del rapporto tra azienda e consumatore risiede nella garanzia che il prodotto ha una forte matrice artigianale. È inoltre fondamentale che ogni progetto abbia un carattere di originalità, quasi unicità che lo possa contraddistinguere dagli altri progetti1.
3.2.2. Introduzione storica Angelo Barovier nel 1450 inventa il vetro cristallino, un soffio di cristallo in perfetto accordo con il gusto rinascimentale: trasparentissimo, di una purezza e sottigliezza di gran lunga superiori rispetto ai vetri che fino ad allora erano stati prodotti. Da quel momento la famiglia Barovier lavora ai propri vetri che compaiono nelle tele tele di grandi pittori tra i quali Tiziano, Tintoretto, Giorgione e Caravaggio e proseguono la loro attività ininterrottamente nei secoli successivi. Nel Seicento, mentre il barocco influisce sulle arti maggiori come sulle arti minori, i Barovier proseguono il loro lavoro subendo, come gli altri vetrai, il momento storico sfavorevole. Altri paesi europei come la Boemia si appropriano della scoperta del
1. Colloquio con Massimo Bovi, corporate image communication manager dell’azienda Barovier&Toso, in data 18 luglio 2012.
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vetro cristallino, questo determina una crisi dell’industria del vetro di Murano nel seicento e nei secoli a venire. Nel 1815 Venezia passa sotto il dominio austriaco e i vetrai muranesi, sciolte le antiche Corporazioni, affrontano la concorrenza dei nuovi mercati. Verso la metà dell’ottocento l’antiquario Antonio Sanquirico affida ad alcuni dei maestri muranesi, tra i quali appunto i Barovier, il compito di realizzare riproduzioni di antichi vetri in filigrana di sua proprietà. Questa iniziativa imprenditoriale darà luogo al fenomeno definito secondo rinascimento muranese che animerà l’industria dell’isola nella seconda metà dell’ottocento e le fornaci riprenderanno ad essere produttive. Successivamente i fratelli Barovier lavoreranno per la fornace fondata da Antonio Salviati, personaggio fondamentale della storia del distretto che, insieme alle istituzioni dell’isola aveva portato alla nascita di un nuovo interesse per il vetro. Nel 1878 i Barovier costituiscono la Società Fratelli Barovier che si trasformerà poco dopo in Artisti Barovier e che nella storia è considerata la più importante azienda di Murano. La storia della fornace è scandita dalla continua innovazione sulla materia vitrea che si ritrova nei numerosi brevetti che la stessa ha registrato. È probabilmente il caso più eclatante di imprenditori che sono anche maestri vetrai. Nel 1913 l’azienda partecipa all’Esposizione di Ca’ Pesaro; gli artisti dell’epoca come Vittorio Zecchin e Teodoro Wolf Ferrari instaurano una serie di collaborazioni con la stessa, trovando nella famiglia Barovier una grande intesa di successo. Nel 1919 l’azienda diventa Vetreria Artistica Barovier&C. sas e, nello stesso anno, Ercole Barovier inizia la sua carriera all’interno della fornace. La sua è una ricerca instancabile e di lui si legge in un articolo della rivista Domus del 1929: “Si deve a lui l’introduzione, a Murano del vetro spesso e pesante” 2. L’interesse che si sviluppa intorno agli anni Trenta per il vetro opaco, per il colore e certi effetti dell’oro, spinge Ercole Barovier ad una forte sperimentazione che lo porta ad inventare la colorazione a caldo senza fusione3, uno dei più importanti risultati che si siano mai ottenuti dalla ricerca sugli impasti vitrei moderni4. È nel 1936 che si costituisce l’azienda Barovier&Toso, attraverso la fusione della Barovier e la SAIAR Ferro Toso. Le due aziende uniscono, oltre al capitale, le loro competenze specifiche principalmente nel campo dell’illuminazione e dell’oggettistica. Grazie a questo rinnovamento la nuova impresa riesce a raggiungere una posizione di privilegio e a fare della sua fornitura di apparecchi da illuminazione il suo progetto punto di forza. Durante la seconda guerra mondiale la Barovier&Toso prosegue la sua attività e riuscirà a cogliere tutte le opportunità che si verificheranno
2. Barovier&Toso, Il segno della storia, www.barovier.com, cit. 3. Si ottiene con l'introduzione nella massa vitrea incandescente di sostanze non fusibili o che non hanno il tempo di fondere e di lacerti di vetro di colore discordante da quello di base. 4. Barovier&Toso, Il segno della storia, www.barovier.com
nel dopoguerra quando i mercati mondiali si riprenderanno. Negli anni Sessanta l’azienda, sempre guidata da Ercole Barovier, rinnova il tema del lampadario contemporaneo progettando sempre più numerose installazioni luminose avvalendosi della collaborazione di grandi architetti. Durante gli anni ottanta, l’azienda aumenta la sua presenza in nuovi mercati e per garantire l’autenticità dei suoi prodotti, crea un sistema di marchi di fabbrica che vanno ad aggiungersi ai brevetti industriali registrati nella sua storia. Nel 1995, il direttore d’azienda Angelo Barovier, inizia un’importante opera di valorizzazione della produzione aziendale attraverso la realizzazione di un museo per la conservazione degli esempi più importanti dell’attività della fabbrica a partire dall’ottocento. All’interno di questo piccolo spazio sono raccolti le 250 opere della collezione privata dello stesso Barovier che rappresentano il meglio della produzione realizzata tra il 1880 e il 1970. La maggior parte dei pezzi è stata disegnata da Ercole Barovier che in un suo testo del 1992 la Barovier Mentasti definisce “il più grande imprenditore-artista-designer del vetro muranese di questo secolo”5. All’interno dell’archivio sono conservati anche 22.000 disegni di Ercole Barovier, i vecchi cataloghi fotografici, che sono le testimonianze di un’attività produttiva e creativa che ha interessato tutto il secolo scorso6. Fino a nove anni fa, l'azienda era di proprietà della famiglia Barovier e della famiglia Toso che la gestivano direttamente: Angelo Barovier era il proprietario e il direttore generale. Era una società di tipo familiare ma già organizzata in maniera sufficientemente industriale e in questo senso era abbastanza diversa dalle altre aziende muranesi. La struttura organizzativa era semplice, Angelo Barovier era il direttore generale e i suoi collaboratori erano tutti allo stesso livello e a lui sottoposti. Si trattava dunque di una piramide molto schiacciata. Questo tipo di organizzazione non è cambiata moltissimo da due anni a questa parte malgrado l’azienda abbia un nuovo assetto societario: l’80% è di proprietà del fondo di investimento Private Equity di Milano e la quota rimanente è rimasta nelle mani di Angelo Barovier insieme alla carica di amministratore delegato. In questo modo l'azienda ha mantenuto la sua struttura e soprattutto la sua snellezza7.
3.2.3. Strategia dell’azienda Il tipo di prodotto che tratta ha un target alto che viene associato comunemente all’articolo di lusso8 che per essere definito in questo modo deve avere i seguenti requisiti: una qualità eccellente sia per
5. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993, cit. 6. Barovier&Toso, Il segno della storia, www.barovier.com 7. Colloquio con Massimo Bovi in data 18 luglio 2012 8. Per approfondimenti sulla tematica del lusso cfr. il volume di Erica Corbellini, Stefania Saviolo, L’esperienza del lusso, Etas, Milano 2009.
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quanto riguarda il materiale che per la sua esecuzione; il prezzo elevato che, nella percezione del consumatore, è testimone di esclusività9; le caratteristiche proprie della matrice artigianale e l’aura culturale che da essa deriva10. L’azienda vende principalmente all’estero, per l’80% estero e per il 20% in Italia, e ha costruito una rete di agenti di vendita diffusi nei diversi paesi tra i quali la Russia, e gli Stati Uniti. La Barovier&Toso ha due propri punti vendita a Murano e Milano: si tratta di uno showroom e di un flagship store che hanno lo scopo di comunicare al meglio l’identità del prodotto e del brand aziendale, spazi dunque dedicati più alla comunicazione che all’acquisto. L’azienda è costantemente impegnata in attività di marketing partecipando all’appuntamento biennale di Euroluce e con regolarità al Salone del Mobile di Milano. Proprio in questa manifestazione, ad esempio nel 2012, ha incaricato la designer Paola Navone di realizzare un’installazione artistica all’interno dell’Orto Botanico di Brera. L’intento era di definire la riconoscibilità del brand attraverso un forte stimolo visivo ed emozionale. In questo senso la designer ha immerso nella natura dell’orto botanico, giganteschi nidi in giunco che racchiudevano al loro interno enormi lampadari in Vetro Artistico di Murano e la stessa lampada da tavolo disegnata dalla Navone (Marino) è stata un’altra protagonista dell’installazione nel giardino. Questo tipo di marketing nelle intenzioni dell’azienda sposta l’evento da una semplice occasione di pubblicità ad una manifestazione artistica dove il prodotto entra a far parte a tutti gli effetti di un’operazione culturale e quindi unica.
3.2.4. Rapporto con il progetto All’interno dell’azienda vi sono due tipi di produzioni che hanno altrettanti e diversi modi di progettazione. Il primo riguarda la collezione degli oggetti a catalogo che è affidata a designer esterni che collaborano ormai da diversi anni (per esempio Paola Navone e Franco Raggi). Il secondo è relativo alla realizzazione di ambienti su commesse esterne che avviene attraverso una pratica di totale customizzazione. Quest’ultima viene affidata all’ufficio stile e all’ufficio tecnico, interni all’azienda, che si occupano rispettivamente di progettazione di prodotti su misura e definizione delle componenti tecnologiche legate all’illuminazione.
9. Bernard Dubois, Gilles Laurent, Czellar, Sandor, Consumer rapport to luxury: Analizyng complex and ambivalent attitudes, Working paper 736, HEC School of Management, France 2011. 10. ������������������� Giampaolo Fabris, Il nuovo consumatore verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano 2003.
30. Lampadario Barovier & Toso per Boutique Cartier, Via Montenapoleone, Milano. 31. Lampadario in stile, Barovier & Toso, Murano
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3.2.5. Intervista con Massimo Bovi, Corporate Communication Manager Barovier & Toso Percepite la presenza del distretto di Murano? «Secondo il sig. Barovier il distretto è morto cinquant’anni fa. Era un ambiente completamente diverso. Ora stanno cercando di tenerlo a galla attraverso il supporto di diversi organismi istituzionali. Noi siamo molto scettici e riteniamo che la nostra produzione, come quella di Venini non debba far parte di alcun organo di tutela della produzione muranese. Per noi è sufficiente garantire ai nostri clienti la qualità del vetro attraverso la nostra parola. Noi produciamo il vetro qui a Murano ma potremmo farlo altrettanto bene altrove». Che rilevanza ha il progetto nella strategia aziendale della Barovier&Toso? «Il progetto è lo strumento principale attraverso il quale facciamo strategia di mercato. Quello che vogliamo fare è dare al cliente una consulenza a 359°. Il cliente viene da noi e ci comunica le sue richieste e noi gli facciamo delle proposte. Il cliente può essere un privato oppure uno studio di progettazione che cura il progetto di illuminazione di una struttura o di uno spazio. Queste nostre proposte vanno dal prodotto presente in catalogo, alla soluzione custom, su misura. Progettiamo una soluzione in base alle specifiche che ci vengono fornite dal cliente. Per esempio abbiamo realizzato l'illuminazione per tutti i nuovi punti vendita di Louis Vuitton del mondo e abbiamo elaborato una soluzione ad hoc ed esclusiva per loro». Quali sono le fasi che determinano la produzione degli oggetti Barovier&Toso? «Abbiamo un ufficio stile, costituito solo da architetti, che si occupa dei prodotti di catalogo, affiancato c’è un ufficio tecnico costituito da ingegneri che si occupa di questioni puramente tecniche e i due gruppi lavorano in stretta sinergia. Abbiamo poi una serie di collaborazioni con designer esterni come Franco Raggi e Daniela Puppa. Proprio quest'anno, abbiamo iniziato una importante collaborazione con Marc Sadler, abbiamo lavorato con Matteo Thun e altri diversi importanti designer presenti sulla scena internazionale. I consulenti esterni si occupano della progettazione di prodotti destinati al catalogo». La Vostra azienda partecipa alle fiere? «Partecipiamo a Euroluce, al Salone Satellite di Milano che si tiene una volta ogni due anni in concomitanza al Salone del Mobile. Negli anni in cui non partecipiamo ad Euroluce, però, partecipiamo a degli eventi sempre a Milano nell'ambito del Salone. Si tratta di occasioni organizzate con uno scopo puramente comunicativo: non presentiamo dei prodotti ma facciamo comunicazione. I due eventi che abbiamo organizzato negli ultimi due anni sono stati seguiti da Paola Navone: Blu e Secret Garden. La designer ha inserito i nostri prodotti per l’illuminazione in vere e proprie 'situazioni artistiche'».
Quali sono i vostri canali di vendita? «La distribuzione avviene attraverso agenti di vendita presenti in tutto il mondo ma non abbiamo alcun punto di vendita diretta. La nostra immagine è curata dai due negozi, uno a Milano e uno a Venezia». Sarebbe possibile ricostruire la rete presente a Murano cinquant’anni fa? «Pur nell'ipotesi in cui ci fosse un certo di tipo di rete, esistono tutta una serie di problemi di carattere pratico che sono al momento irrisolvibili. Quando iniziano ad esserci problemi logistici è difficile riuscire a pensare che un distretto delicato come quello del vetro possa continuare a vivere su un'isola e sperare di avere un futuro». Che cosa si potrebbe fare per questo distretto? «Chiuderlo! Per come è strutturato ora non ha futuro. Non ci sono molte realtà produttive nell’isola che abbiano la capacità imprenditoriale tale da realizzare prodotti che abbiano un mercato certo. Il sig. Barovier aveva al tempo un'idea molto interessante che era quella di trasferire le fornaci e lo studio in terraferma e tenere questo posto come una "perla", farlo diventare un polo di attrazione per la tradizione vetraria. La Casa Barovier. Il progetto non è andato in porto per una serie di motivi quali l'impossibilità di trasformare gli stessi spazi aziendali. Pensiamo che sia importantissimo mantenere queste realtà ma è anche vero che riuscire a coniugare il mantenimento della storia e delle realtà industriali con quello che può essere il futuro del distretto poteva essere una buona idea politica che evidentemente non c'è stata». Avete mai pensato di trasferirvi in terraferma? «Si. Noi abbiamo un deposito in terraferma. Sempre riferendoci ai problemi logistici, le spedizioni fatte da qui sono costosissime e per questo motivo abbiamo un trasportatore personale (interno all’azienda?) che svolge il servizio di trasporto da qui al nostro deposito di Marcon con un costo accettabile. Se dovessimo chiamare le aziende tradizionali addette al trasporto delle merci sarebbe un grosso problema che andrebbe certamente a riversarsi sul prezzo del prodotto finale. Un tempo le questioni logistiche erano effettivamente gestite da un insieme di aziende, mentre oggi, a causa dei consistenti problemi economici, ogni fornace organizza i suoi trasporti. L'individualismo peraltro è crescente, la gelosia dei contatti è piuttosto accentuata. Noi non abbiamo grandi concorrenti a Murano per il semplice motivo che abbiamo una produzione particolare e differente da quella delle altre aziende dell’isola, questo ovviamente si aggiunge il nome e la storia della nostra azienda che è la principale garanzia».
In qualità di produttori di Vetro Artistico, accettereste mai di condividere uno spazio con altre realtà produttive?
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32-33. Paola Navone e Zaha Hadid per Barovier & Toso, The Secret Garden, 2012
«In realtà la questione dello spazio comune non è poi così provocatoria. Io so che esiste già qualcosa di simile: c'è già qualcuno che affitta le piazze e, talvolta, anche le maestranze a chi vuole realizzare i propri progetti ma non ha una fornace di proprietà. In verità è più provocatoria l'idea della condivisione poiché in quest'ambito non ha futuro. Non stiamo parlando di opere d'arte, noi realizziamo prodotti e combattiamo tutti i giorni contro chi copia i nostri lavori. È una lotta continua quella contro i falsi perciò condividere una piazza è per noi praticamente impossibile».
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34. Sent Murano 29. Azienda Marina e Susanna Sent, Fondamenta Serenella, Murano
3.3 Marina e Susanna Sent
3.3.1. Azienda Marina e Susanna Sent Possiamo definire l’impresa Marina e Susanna Sent un’azienda leader nel settore del gioiello in vetro, grazie alla sua capacità di presentare i propri prodotti sui mercati esteri attraverso un’attenta individuazione di una precisa nicchia di mercato. Inoltre l’impresa ha sviluppato una serie di innovazioni tecniche che hanno consentito nel tempo la creazione di prodotti inediti e che la pongono in una condizione di primato incontrastato. Essa dichiara di non avere scarsi rapporti con le altre imprese del distretto e di non avere nessun interesse nell’essere un punto di riferimento per le altre realtà produttive del medesimo settore.
3.3.2. Introduzione storica Marina e Susanna Sent appartengono a una famiglia di Murano che da generazioni lavora nel settore del vetro artistico. Le due sorelle hanno creato nuove forme di elementi che stilisticamente rispondono ai canoni dell’estetica contemporanea, ma che per la loro realizzazione comportano l’applicazione di tecniche antiche. I modelli disegnati dalle due sorelle sono presenti negli shop di alcuni dei musei più importanti al mondo come il MOMA di New York. Le due sorelle discendono da parte materna da Umberto Nason che nel 1925 fonda l’azienda Nason & Moretti tutt'ora attiva e che nel 1955 ha vinto il Compasso d’oro con la realizzazione di bicchieri e ciotole di forma troncoconica in vetro bicolore, le cui caratteristiche più innovative riguardano, oltre alla forma, il trattamento del materiale e l’accostamento del colore bianco in contrasto con superfici colorate, dando luogo ad oggetti di grande freschezza ed eleganza1. Guglielmo Sent, nonno paterno, è invece attivo agli inizi del secolo scorso come esperto di decorazione del vetro, tanto da fondare nel 1921 un proprio laboratorio. Per questa azienda Susanna Sent progetta, per la mostra "Il vetro a Tavola", un piatto in vetro nero con bordo rosso molato realizzato attraverso la tecnica della molatura su due strati di vetro di colore diverso. Tra il 1980 e il 1990 circa, le due sorelle frequentano assiduamente l'azienda del padre, concentrandosi sulla
1. Colloquio con Susanna Sent, in data 23 luglio 2012.
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sperimentazione delle seconde lavorazioni del vetro, la vetrofusione e la lavorazione a lume. La loro attenzione è rivolta principalmente all'applicazione di foglia d'oro e smalti colorati e alle tecniche a freddo come molatura e battitura. Marina e Susanna Sent avviano la loro attività a Murano nel 1993 e impostano la produzione principalmente sulla creazione di gioielli in vetro. La loro lavorazione è definita seconda lavorazione del vetro, ovvero quella lavorazione che usa semilavorati prodotti da altre aziende e successivamente li trasforma in oggetti d’uso. L’azienda Sent, infatti, utilizza le canne vitree colorate prodotte da altri laboratori che vengono successivamente lavorate a lume per la realizzazione delle loro perle. Attraverso questa tecnica la canna vitrea colorata viene modellata attorno ad una sottile cannuccia di rame e in seguito la perla viene fatta raffreddare. Un tempo per eliminare la bacchetta di rame venivano usati degli acidi che sprigionavano delle sostanze altamente tossiche, tanto che questo procedimento veniva attuato in laguna lontano dall’isola. Susanna Sent ricorda che da bambina vedeva spesso dei fumi rossi che si elevavano dall’acqua della laguna di fronte a Murano. Per ovviare alla nocività di tale procedura nel 1996 Susanna Sent ha avuto l’intuizione di utilizzare una macchina tipica dell’oreficeria per il decapaggio del rame che è capace di catturare le sostanze tossiche della lavorazione, di raccoglierle in serbatoi a tenuta stagna che successivamente vengono smaltiti da ditte specializzate2. Nel corso degli anni Marina e Susanna Sent sperimentano nuove tecniche per la realizzazione dei gioielli. Un esempio sono le canne a sezione maggiorata e allungata che successivamente, tagliate mediante una lama diamantata, diventano gli elementi che compongono i gioielli della serie Zebù. Inoltre sono state le prime a realizzare perle con vetro completamente trasparente al borosilicato soffiato come quelle che compongono la collana Soap, pezzo unico, definito così dalla critica: “l’impalpabile leggerezza del vetro soffiato a bocca e la sua perfetta trasparenza avvolgono il collo senza nasconderlo e riflettono la luce con un effetto assai suggestivo.” La collana Ariel prodotta in serie fa parte della collezione del soffiato ed è costituita da una sola fila di perle soffiate trattenute da un filo di nylon3. Nel 2004 le Sent presentano a Palazzo Franchetti un corpetto in vetro di nome Debutto realizzato attraverso singoli elementi, lavorati secondo la tecnica a lume e intrecciati con fili d’acciaio, appesi ad una gruccia trasparente come se fosse una cascata di magici riflessi. Nel settembre del 2006 nella sede del palazzo Ca’ Rezzonico viene inaugurata una mostra intitolata Glassdressing, l’esposizione indaga il rapporto che si instaura tra il gioiello in vetro e il corpo umano e le due sorelle ripresentano l'abito Debutto. I loro gioielli sono “Sculture, quasi inesistenti che non si vestono, che non si travestono, ma
2. Colloquio con Susanna Sent, in data 23 luglio 2012. 3. Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890- 1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993, cit., p. 184
simulano il corpo per dare consistenza anche alla trasparenza”4, come scrive Cristina Morozzi nella rivista di design del 2006 “Lux”. L’ultima loro produzione sono sei spille ispirate delle figure femminili delle Virtù situate nel Palazzo Ducale di Venezia, di cui hanno finanziato il restauro.
3.3.3. Strategia dell’azienda L’azienda Marina e Susanna Sent produce gioielli in vetro attraverso l’applicazione di tecniche tradizionali come la soffiatura, la lavorazione a lume, la molatura e il fusing alle quali le titolari, nonché le designer dei loro prodotti, hanno apportato alcune modifiche per poter realizzare oggetti inediti. Le due imprenditrici affermano che la loro forza iniziale è stata quella di non avere nessuna esperienza nel campo del gioiello. Si sono sempre approcciate alla materia con una certa ingenuità e libertà progettuale che ha portato al successo dell'azienda. All’azienda va riconosciuta l’abilità di posizionarsi in un mercato di nicchia, quello della produzione di gioielli in vetro di qualità che lasciano emergere una certa attenzione al progetto. Il processo di innovazione attuato dalle sorelle Sent e l’approccio al progetto nel disegno dei prodotti determinano la differenza tra un oggetto di design riconoscibile da parte di chi lo acquista e un semplice pezzo di bigiotteria in vetro. Differenza testimoniata dall’acquisto da parte del bookshop del MOMA di New York di una serie di oggetti della produzione Sent5. I loro prodotti ad oggi sono venduti nei punti vendita di proprietà a Venezia, in via XXII marzo, in Campo San Vio nei pressi dell’Accademia e nei bookshop dei musei di design, oltre che in molte gallerie d'arte di tutto il mondo, dove preferiscono collocarsi6.
3.3.4. Rapporto con il progetto All’interno della realtà aziendale le sorelle Sent dirigono la produzione, Susanna è nella maggior parte dei casi l’ideatrice dei pezzi, mentre Marina si occupa della parte tecnica. All’interno della struttura lavorano 10 addette7 che impiegate nella produzione di perle, che avviene prevalentemente attraverso la tecnica a lume, e del montaggio dei pezzi. Le sorelle negli utlimi anni hanno instaurato rapporti con maestri vetrai o artigiani muranesi, in quanto –dichiarano- hanno
4. Cristina Morozzi, Trasparenza, travestimento, seduzione, simulazione, in “Lux” house organ, n.5, Foscarini 2006, cit. 5. Colloquio con Susanna Sent, in data 23 luglio 2012. 6. Colloquio con Susanna Sent, in data 23 luglio 2012. 7. Dato pervenuto tramite la Camera di Commercio di Venezia.
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avviato la produzione di oggetti d'uso, affiancandola a quella del gioiello. Per questo motivo si servono delle maestranza e delle attrezzature presenti in isola di cui loro non dispongono. Al contrario, affermano di avere scarsi contatti con gli altri imprenditori del comparto.
3.3.5. Intervista con Susanna Sent, amministratore di Marina e Susanna Sent S.r.l. Che rilevanza ha il progetto nella strategia aziendale di Marina e Susanna Sent? «C’è stata moltissima sperimentazione, fin dall’inizio e c'è tutt'ora. La sperimentazione è il modo migliore per metterci alla prova, anche se oggi questa fase è molto costosa. Ricordo che tempo fa gli artigiani dell'isola erano più disposti a dedicare del tempo alle mie prove e sperimentazioni sul materiale. Cerchiamo comunque sempre di lavorare con materiali nuovi e sempre differenti. Mi sono laureata in architettura, ma sapevo che poi avrei lavorato accanto a mio padre nel suo laboratorio che per me era una specie di calamita. Sapevo che avrei potuto portare dell’innovazione all’interno dell’azienda e così ho fatto: negli anni ottanta ho reinterpretato l’applicazione della foglia d’oro sul vetro, inventato una tecnica di fusing e la molatura su due strati di vetro di colore diverso, tecnica che ho applicato alla collezione di piatti e vasi, principalmente di colore rosso/nero, si chiamava Crotalo. Questa pratica oggi è molto diffusa, ma allora non era stata subito recepita». In che relazione si pone il vostro prodotto rispetto alla tradizione manifatturiera muranese? «Tutto quello che si produceva a Murano nel settore del gioiello ci affascinava soprattutto dal punto di vista della lavorazione. Da qualsiasi tecnica usata potevamo trarre spunto per creare qualcosa di nuovo: dalle murrine al soffiato, dalle conterie all’incamiciato, dal fusing al casting8. All’inizio degli anni novanta abbiamo pensato di proporre le nostre creazioni al pubblico. La nostra attività è iniziata in un piccolo locale, poi pian piano abbiamo cominciato ad organizzare la produzione: dapprima solo il progetto, poi l’assemblaggio degli elementi ed infine, sperimentando un generatore ossidrico (produzione di ossigeno e idrogeno dall’acqua) per la nostra produzione. In questi anni abbiamo cambiato tre sedi e aperto tre punti vendita a Venezia. La principale difficoltà iniziale è stata sicuramente il reperimento di manodopera. Oggi invece vi è molta richiesta di lavoro da parte degli
8. Vetro fuso, chiamato fusing, è una tecnica scoperta negli Usa. Nell’ elaborare il vetro caldo si deve fondere il vetro bianco ed il vetro colorato per poi formarlo secondo piacere. Il casting è una tecnica il cui principio è relativamente semplice: si realizza un’impronta nella sabbia e, successivamente, si riempie di vetro fuso.
35. Dati relativi al trasporto 29-30. di materie Marina prime e Susanna dalla Sent, serie terraferma Zeb첫 a Murano
30. Negozio di Marina e Susanna Sent, 36. Ca, Marina e Susanna Sent, 2012 SanPiatto Vidal, Venezia
37. Showroom Marina e Susanna Sent, Fondamentea Serenella, Murano
artigiani dell'isola. Abbiamo apportato alcune innovazioni tecnologiche ora adottate da numerose aziende muranesi: nel 1996 un macchinario, normalmente usato in oreficeria, per il decapaggio del rame e nel 2007 un impianto di ossigeno9 solitamente utilizzato negli ospedali». Ritiene sia stata importante per la Sua attività la laurea in architettura? «La laurea in architettura ha forgiato la mia personalità e mi ha indirizzata stilisticamente. La sola tradizione familiare non sarebbe stata sufficiente a delineare questo mio percorso». Qual è stato il primo gioiello realizzato? «Nel 1993 avevamo acquistato degli elementi molto classici e tradizionali a Murano, si trattava di perle di cristallo incamiciate d’oro e le avevamo infilate distanziate in un filo di nylon usato per la pesca. Dovevano sembrare sospese. Questa collana ha avuto molto successo, piaceva a tutti perché c’erano innovazione e tradizione insieme. È stata subito acquistata dal bookshop del MOMA di New York. Questo articolo è tutt’ora in produzione». Avete condotto delle analisi di mercato che vi hanno convinto a procedere in questo settore oppure è stata una pura intuizione? «Non abbiamo mai pensato ad un cliente tipo, né abbiamo condotto studi di mercato. L’importante è che l’articolo creato piaccia a noi. Per piacere deve essere qualcosa di inedito, deve essere il risultato di una ricerca precisa. Non deve mai essere banale. Nel nostro campionario ci sono modelli che proponiamo da anni e sono ancora dei best sellers perché tutt’oggi ritenuti innovativi». Qual è il vostro iter progettuale? Come arrivate dall’idea alla realizzazione? Vi avvalete del contributo di designer, artisti, collaboratori esterni oppure l’ideazione dei prodotti è tutta interna alla azienda? Quali sono le vostre fonti di ispirazione? «Qualsiasi cosa ci circonda può essere frutto di ispirazione. Un giorno osservando la vetrina di un droghiere, sono rimasta affascinata dal colore delle spezie. Così in laboratorio abbiamo provato a realizzare quelle tonalità facendo delle sovrapposizioni di canne vitree. Ne è nata la collezione “Le Spezie”. In quel modo abbiamo rivoluzionato il modo di creare il colore nelle perle: una tecnica già usata nell’oggettistica ma non nel gioiello a lume. Durante una delle ultime sperimentazioni per la realizzazione del piatto Ca, per caso, abbiamo scoperto che il manganese presente nelle canne affiora in superficie ad una determinata temperatura durante la fase di ricottura, rilasciando così una pellicola argentea ».
9. Generatore di ossigeno a flusso continuo per laboratori di lavorazione de vetro a lume e delle perle.
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Aziende e design oggi. Segnali di vita dal distretto
Durante la realizzazione di un nuovo prodotto vi confrontate con artigiani o maestri vetrai? «Per quanto riguarda la realizzazione dei gioielli, i prototipi vengono progettati e creati da noi, perchè Marina ha una buona manualità. Invece, per qanto riguarda gli oggetti d'uso ci avvaliamo dei maestri vetrai presenti in isola». Quali sono i vostri principali canali di vendita? «Punti di proprietà, dettaglianti (negozi di design, gallerie d’arte), negozi di moda». La vostra produzione artigianale di gioielli trova un riscontro più positivo in Italia o all’estero? «Attualmente possiamo affermare che i nostri prodotti vengono venduti per il 50% in Italia e il restante 50% all’estero». C’è la possibilità di imporre il copyright su questo tipo di prodotti? Come vi tutelate nei confronti delle possibili imitazioni? «I nostri prodotti vengono da noi fotografati e datati, inoltre per ogni prodotto depositiamo il copyright. Nonostante ciò ci risulta difficile tutelarci totalmente dalle imitazioni. L'unico modo per difendersi realmente è quello di ricorrere alle vie legali, pratica decisamente costosa per un'azienda di tali dimensioni».
146 Pensa che la realtà in cui operate possa essere definita distretto? «Distretto/ristretto»10. All’interno dello spazio espositivo del Museo del Vetro di Murano, nell’ambito della mostra “Vetro murrino, da Altino a Murano”, è presente una vostra opera realizzata con le vostre murrine. Di cosa si tratta? «Siamo state invitate a realizzare un’opera per la mostra. Abbiamo messo in movimento delle murrine per lanciare questo messaggio: Murano, Muoviti!». Ritenete importante la presenza di un polo di diffusione della cultura sull’isola? «Sarebbe interessante la presenza di un polo di diffusione della cultura, ma questo dovrebbe essere gestito dall’esterno, non certo da chi ha interessi personali nell’isola stessa. Molti dei precedenti tentativi, infatti, si sono rivelati dei fallimenti a causa della scarsa apertura mentale e degli interessi in gioco».
10. Alla domanda “ritenete che sia possibile definire distretto la realtà in cui operate?” Susanna Sent risponde provocatoriamente con “Distretto/Ristretto”, paronomasia che probabilmente vuole descrivere la condizione di scarsa apertura delle visioni imprenditoriali che dirigono l’andamento dell’isola. Secondo l’architetto infatti, l’intervento da parte di mani e menti esterne è necessario alla sopravvivenza del comparto. Questa considerazione può essere messa in relazione con la loro opera esposta al Museo del Vetro di Murano e intitolata “Murano Muoviti!” costituita da un pannello elettrico in acciaio con 12 murrine in movimento e 110 statiche.
Avete un archivio aziendale? È possibile visitarlo? «Stiamo archiviando progetti e prodotti, ma per il momento il nostro archivio non è visibile al pubblico». Quali sono secondo Lei le maggiori criticità delle fornaci muranesi in questo momento particolarmente sfavorevole? «Secondo la mia opinione il prodotto seriale muranese non è più competitivo. Questo è il problema principale della produttività dell’isola». Dunque, quale direzione dovrebbe prendere la realtà produttiva di Murano per suscitare un nuovo interesse? «La manodopera muranese dovrebbe mettersi al servizio di artisti provenienti da tutto il mondo. I maestri vetrai hanno grandi capacità nella realizzazione dei manufatti, ma si dovrebbero distinguere il ruolo dell'esecutore da quello dell'ideatore. Se un tempo avevamo moltissimi maestri vetrai aritsti quali Lino Tagliapietra, Alfredo Barbini, Archimede Seguso, oggi il panorama è molto cambiato. Per incentivare l'interessamento degli artisti all'arte vetraria muranese, stiamo pensando di aprire l'Appartamento dell'artista, una residenza riservata agli artisti che vengono a lavorare a Murano».
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Le istituzioni del distretto
«Ritengo che sia fondamentale avere una forte impostazione scientifica che proceda attraverso antico – moderno – contemporaneo. Credo poi fortemente nella formazione, quindi nell’incrementare attività legata alla didattica, all’attività pedagogica e interconnessa con il tessuto sociale.». Gabriella Belli, Direttrice dei Musei Civici Veneziani
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4.1 Le istituzioni di Murano
Musei, archivi e collezioni Una serie di attività e iniziative più o meno consolidate si sono occupate nel tempo della conservazione dei manufatti in vetro. Vi è un’unica istituzione pubblica, il museo del vetro di Murano, altre invece sono legate alle imprese e a collezioni private, come ad esempio la collezione della Fondazione di Venezia e il recente progetto elaborato dalla Fondazione Cini che ha contribuito alla nascita di uno spazio espositivo dedicato ai vetri Venini.
4.1.1. Il museo del vetro di Murano, origini e storia La caduta della Repubblica Serenissima nel 1797 porta delle gravi ripercussioni sull’economia di Venezia, che subisce nella prima metà dell’ottocento una grave crisi sociale ed economica. Alla Serenissima si sostituisce la Repubblica Democratica che avrà una durata di pochi mesi. Ad essa seguono sei anni di dominazione austriaca che si concludono nel 1806 e, nello stesso anno, la città viene annessa al nuovo Regno d’Italia creato da Napoleone che durerà fino al 1814. Se i sintomi di un decadimento si erano percepiti già nel settecento quando la produzione delle fornaci di Murano subiva la dura concorrenza dei cristalli boemi e inglesi, durante il dominio napoleonico le fabbriche non sono più tutelate a causa della soppressione delle Corporazioni di Mestiere. Tutto ciò determina una forte concorrenza che rende difficile la sopravvivenza di molte fornaci1. Dopo il periodo napoleonico riprende il dominio austriaco che durerà circa cinquant’anni fino al 1866 con l’annessione del Veneto all’Italia. Durante questo periodo vengono privilegiate le produzioni vetrarie di altre realtà industriali dell’Impero, localizzate nella Boemia, nella Stiria e nella Carinzia che determinano ancor di più il declino delle vetrerie muranesi. A conferma sono i dati relativi al numero delle
1. Per ulteriori approfondimenti vedi: Aldo Bova, Attilia Dorigato, Puccio Migliaccio (a cura di), Vetri Artistici del primo ‘800. Museo del Vetro di Murano, Marsilio, Venezia 2006; Astone Gasparetto, Il vetro di Murano dalle origini ad oggi, Venezia, Neri Pozza Editore, Venezia 1985; Gianfranco Toso, Il vetro di Murano, Arsenale, Venezia 2000; A.A.V.V., Vincenzo Zanetti e la Murano dell’Ottocento, catalogo della mostra a cura dell’Associazione per lo studio e lo sviluppo della cultura muranese, Murano-Museo Vetrario dicembre 1983-maggio 1984.
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aziende presenti nel 1820: cinque di vetro soffiato, comune e cristallo; quattro di lastre; una di specchi; tre di canne e tre di smalti per un totale di sedici vetrerie, tutte in serie difficoltà a causa del costo elevato delle materie prime. In questo periodo critico emergono alcune delle figure che contribuiranno a rilanciare il settore negli anni a cavallo tra l'ottocento e il novecento2. Per primo Antonio Sanquirico, antiquario veneziano, che attorno al 1830 “Veniva indotto a ciò piuttosto che dall’amore dell’arte, dallo stimolo dell’interesse, dacchè egli mirava a smerciare per antiche le riproduzioni che potessero farsi, essendo, tra gli oggetti molto ricercati”3. L’antiquario quindi, chiede ad alcuni maestri vetrai, di riprodurre alcuni pezzi cinquecenteschi, utilizzando tecniche ormai dimenticate. Dopo innumerevoli tentavi, gli oggetti da loro eseguiti sembrano davvero antichi, e hanno un tale successo che vengono chiamati sanquirici. La realizzazione dei falsi diviene per i maestri un’attività molto redditizia, molto più della produzione dei vetri moderni. Questo attività è molto importante perché attraverso di essa è stato reso possibile il recupero e la riscoperta di tecniche antiche, sia per la realizzazione delle diverse paste vitree che le modalità di esecuzione. Un altro tra i pochi muranesi che tentano di reagire a questo periodo di crisi è Pietro Bigaglia, grande innovatore dal punto di vista della sperimentazione tecnica e formale. A lui si riconosce la ritrovata capacità di produrre l’avventurina e il calcedonio: questa fu considerata dalla stampa e dai visitatori delle esposizioni internazionali come una riscoperta “[…] tra il miracoloso e l’alchemico”4. Grazie a questi personaggi e alle loro sperimentazioni Murano torna a far parlare di sé come principale luogo della produzione vetraria mondiale esponendo i suoi prodotti nelle esposizioni internazionali più importanti. Una forte innovazione si verifica nel campo delle conterie, settore che è caratterizzato dal numero più elevato di addetti e investimenti economici, anche nei periodi di maggiore crisi. Si tratta in questo caso, di innovazioni di processo e non di fabbricazione, che riguardano le fasi della finitura delle perle. E’ proprio in questa realtà che per la prima volta i diversi imprenditori fanno fronte comune alle difficoltà per non distruggersi a vicenda in una gara a ribasso dei prezzi5. Un momento importante nella storia del vetro di Murano si verifica nel 1861, quando due lungimiranti personaggi della scena muranese,
2. Per ulteriori approfondimenti vedi: Rosa Barovier Mentasti, Il vetro veneziano, Electa, Milano 1988; Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993; Aldo Bova, Attilia Dorigato, Puccio Migliaccio (a cura di), Vetri Artistici del primo ‘800. Museo del Vetro di Murano, Marsilio, Venezia 2006. 3. Aldo Bova, Attilia Dorigato, Puccio Migliaccio (a cura di), Vetri Artistici del primo ‘800, Marsilio, Venezia 2006, cit., p. 26. 4. Ibidem, cit., p. 27. 5. Per ulteriori informazioni: Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990, Arsenale Editrice, Venezia 1993; Astone Gasparetto, Il vetro di Murano dalle origini ad oggi, Venezia, Neri Pozza Editore, Venezia 1985; Gianfranco Toso, Il vetro di Murano, Arsenale, Venezia 2000.
38. Museo del Vetro di Murano, Fondamenta Giustinian, Murano
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promuovono l’istituzione di un piccolo archivio storico e di un museo, gettando così le basi per la conservazione della memoria del prodotto. Antonio Colleoni (1810-1885), sindaco di Murano (Murano aveva mantenuto la piena autonomia amministrativa) propone di realizzare un piccolo archivio storico all’abate Vincenzo Zanetti (1824-1883), il quale si fa promotore dell’iniziativa integrando il progetto anche con reperti antichi, quali vetri, oselle, vedute, ritratti, tutto ciò che avrebbe potuto documentare la passata attività muranese. Si attribuisce a Vincenzo Zanetti6 l’idea di affiancare all’archivio storico anche l’istituzione del Museo Civico Vetrario, volto a testimoniare l’arte vetraria nei secoli, ma lo scopo principale è quello di stimolare la rinascita delle attività e delle aziende manifatturiere durante questo periodo di difficoltà. È così, che nel 1861 viene inaugurato il Museo del Vetro di Murano, e l’abate Zanetti, oltre ad essere il fondatore è anche il direttore dell’istituzione, fino alla sua morte. La collezione si forma grazie alla disponibilità del Comune per gli acquisti e alla generosità dei privati, nell’ampia sala del Palazzo Giustinian7 a Murano che viene messa a disposizione per la realizzazione del Museo. All’interno dello spazio espositivo oltre a pezzi autentici sono presenti anche copie di vetri antichi commissionate dallo stesso Zanetti e realizzate principalmente dalla vetreria Fratelli Toso. Un anno dopo la nascita del Museo, nel 1862, lo stesso sindaco Colleoni sempre assieme all’abate aprono anche una scuola domenicale, che successivamente divenne serale di disegno per operatori del vetro. Il museo, la biblioteca annessa, la scuola e la prima esposizione dei prodotti avvenuta a Murano nel 1864, costituiscono gli elementi attorno a cui si va formando una nuova consapevolezza delle aziende vetrarie e di tutti i cittadini di Murano, che tornano ad identificarsi con questa antica lavorazione. Un’altra figura di rilievo nella storia muranese è l’avvocato vicentino Antonio Salviati (1816-1900) che ha contribuito alla rinascita dell’arte vetraria di fine ottocento8. L'azienda è presente alla Prima Esposizione Vetraria a Murano nel 1864 con opere di mosaico monumentale ed ornamentale, grazie alle quali ottiene importanti riconoscimenti. Nel corso del diciannovesimo secolo si costituiscono in Europa istituzioni analoghe, grazie all’apporto dello Stato; si pensi al Victoria and Albert Museum di Londra fondato nel 1852, il Technisches
6. AA.VV., Vincenzo Zanetti e la Murano dell’Ottocento, catalogo della mostra a cura della Associazione per lo studio e lo sviluppo della cultura muranese, dicembre 1983 maggio 1984. 7. Palazzo Giustinian è stato costruito nel XV secolo come palazzo patrizio. Nel XVII è stato ampiamente restaurato da Antonio Gasparri (1656-1723), allievo di Baldassarre Longhena, per conto del vescovo di Torcello Marco Giustiniani e da lì in poi diventerà sede sei suoi successori. L’imponente facciata è in pietra d’Istria bianca ma sul lato intero del palazzo, verso il giardino, si può ancora vedere il precedente fabbricato gotico. La diocesi torcellana venne soppressa e nel 1805 il palazzo diventò del Comune di Murano e successivamente sede del Museo del Vetro. 8. Vedi par. 3.1.
Museum di Vienna, il museo delle Arti Applicate di Berlino (che nasce nel 1867, e cresce attorno ad una serie di acquisti effettuati all’Esposizione Universale di Parigi). Queste istituzioni vedono nel corso del tempo una costante e importante sviluppo delle loro collezioni, il Museo londinese è probabilmente più e meglio conserva le espressioni artistico artigianali di tutto il mondo, mentre il museo di Murano rimane una piccola realtà tutta concentrata sulla produzione del vetro locale9.
4.1.2. Il progetto del Museo del vetro oggi A distanza di centocinquant’anni circa, il Museo del Vetro di Murano fa parte della Fondazione dei Musei Civici Veneziani10. Gli obiettivi della nuova politica museale della Fondazione indicati della direttrice, Gabriella Belli11, già direttrice del Mart di Rovereto che ha sostituito nel 2011 Giandomenico Romanelli12, sono enunciati in un’intervista pubblicata su “Artribune Magazine”: “Bisogna far sì che le istituzioni rispondano a domande concrete legate alla realtà, domande esistenziali come bisogno, valori e opportunità che riguardano aspetti più umanistici e legati all’essere umani. Per fare produzione culturale dobbiamo interrogarci e sviluppare idee forti basate sul valore identitario. Anche intraprendere strade nuove è una necessità, trovare campi inediti su cui operare e lavorare. Mi piace pensare da sempre a storicizzato e contemporaneo insieme per un dialogo circolare e germinante. Ritendo che sia fondamentale avere una
9. Per ulteriori informazioni: Attilia Dorigato, Il Museo vetrario di Murano, Electa, Milano 1986; Mario de Biasi, Vincenzo Zanetti 1824-1993, Ateneo Veneto, Venezia 1984; A.A.V.V., Antonio Colleoni. Farmacista (1810-1885). Primo deputato (1860-1866) e sindaco di Murano (1866-1885), catalogo mostra Documentaria Centro Civico Palazzo da Mula, Comune di Venezia, Venezia 2004; A.A.V.V., Vincenzo Zanetti e la Murano dell’Ottocento, catalogo della mostra a cura dell’Associazione per lo studio e lo sviluppo della cultura muranese, Murano-Museo Vetrario dicembre 1983-maggio 1984. 10. La fondazione è stata istituita con delibera del Consiglio Comunale di Venezia il 3 marzo 2008, ai fine di gestire e valorizzare l’immenso patrimonio culturale e artistico dei Musei Civici di Venezia. Operativa dal 1 settembre 2008, è configurata come una fondazione di partecipazione e ha un unico socio fondatore, il comune di Venezia. Favorisce l’aggregazione di pubblici e privati, che contribuiscono alla vita della fondazione, sostenendone e condividendone le finalità istituzionali. Gli organi della fondazione sono il Consiglio di Amministrazione, il Presidente, il Direttore, il Comitato scientifico e il Comitato di direzione, il Collegio Revisori dei Conti. Vedi sito web: http://www.visitmuve.it/ 11. Gabriella Belli, nata a Trento nel 1952, aveva assunto la direzione del Mart nel 1989, creato ex novo dalla Provincia Autonoma di Trento dalla fusione di due enti museali preesistenti. L’esperienza maturata in quel ruolo da Gabriella Belli si è rivelata fondamentale nella costruzione della nuova sede del Mart di Rovereto, progettata dall’architetto Mario Botta e inaugurata nel dicembre del 2002. Responsabile dell’intero progetto museografico del Mart, Gabriella Belli ha anche curato personalmente oltre sessanta mostre d’arte moderna e contemporanea, d’architettura e di design, ma soprattutto grandi eventi espositivi: l’ultima mostra con il Museo d’Orsay ha portato oltre 200.000 visitatori. 12. Giandomenico Romanelli, nasce a Venezia nel 1945. Si laurea in Lettere all’Università di Padova nel 1969. Dal 1979 al 2011 è stato direttore di musei Civici di Venezia per trent’anni.
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forte impostazione scientifica che proceda attraverso Antico – Moderno – Contemporaneo. Credo poi fortemente nella formazione, quindi nell’incrementare attività legata alla didattica, all’attività pedagogica e interconnessa con il tessuto sociale.”13. Il suo programma prevede innanzitutto un importante restyling del museo Correr, riprendendo il progetto risalente agli anni Sessanta di Carlo Scarpa e solo parzialmente attuato. La direttrice crede che il Museo Correr, che gode di una posizione molto centrale debba diventare “il punto di riferimento per tutti gli altri musei cittadini”14. Nel 2011 in concomitanza dei centocinquant’anni del museo del vetro è stata promossa un’iniziativa dal titolo Schegge di vetro, costituita da quattro esposizioni temporanee che si sono sviluppate durante l’anno. La prima è stata inaugurata in occasione del carnevale del gennaio 2011, presso il museo Correr con il titolo Sogno veneziano. Sono state esposte più di trecento opere provenienti dalla collezione del Museo del Vetro e dalla collezione di Franco Maschietto che presentava una raccolta di figurine di vetro. La seconda iniziativa inaugurata nel febbraio dello stesso anno era volta a ricordare e promuovere i novant’anni di storia dell’azienda Venini. Nel maggio del 2011 è stata aperta al pubblico la terza esposizione: 1861-2011, un’isola, un’arte, un museo, con l’obiettivo di promuovere le opere della produttività muranese, dal maestro vetraio alle stesse aziende, in modo tale da poter celebrare il meglio della produzione vetraria. È interessante ricordare la partecipazione a questa esposizione un progetto curato da Massimo Brignoni, Vetro da usare, che ha acconsentito di fare incontrare competenze e figure diverse impegnate nel progetto del vetro. 18 giovani designer e 8 fornaci hanno collaborato al fine di realizzare oggetti sperimentali in vetro15. L’ultima di queste iniziative ha avuto luogo nel luglio del 2012 dedicata al grande maestro vetrario Egidio Costantini. Un progetto molto importante per la struttura museale è il recupero del complesso delle Conterie che permetterà di ampliare gli spazi espositivi, e consentirà di integrare la collezione con molti altri pezzi, altrettanto importanti, in questo momento conservati in magazzino. Gli stabilimenti industriali delle Conterie, si intravedono percorrendo la calle omonima, situata nel centro di Murano. Il complesso edilizio è stato costruito nel 1898 dalla Società Veneziana Conterie, rimanendo per più di un secolo una delle più importanti realtà produttive dell’isola. Tra il 1940 e il 1970 arriva ad occupare più di 3.000 dipendenti, ma dal 1993, l’azienda viene chiusa e l’area abbondonata
13. Martina Cavallarin, La nuova vita di Gabriella, in “Artribune Magazine”, 5, 1 marzo 2012, cit. 14. Lidia Panzeri, L’esordio di Gabriella Belli a Venezia. Parole chiave: programmazione. Il rilancio del Correr e di Ca’ Pesaro tra i primi impegni della neodirettrice della Fondazione Musei Civici, in “Il giornale dell’arte”, edizione online, 14 dicembre 2011, cit. 15. Massimo Brignoni (a cura di), Vetro da usare, racconti di design sperimentale. 18 designer incontrano 10 maestri, Vianello libri, Venezia 2010.
subendo di anno in anno un progressivo degrado. Il Comune di Venezia acquisisce gli immobili nel 1995 e avvia, con una specifica Variante al PRG, la riqualificazione dell’area siglando un Protocollo d’intesa con la Regione del Veneto e il Ministero dei Lavori Pubblici per l’avvio del programma di Recupero urbano che, approvato nel 1997, prevede la realizzazione all’interno dell’area di: albergo, residenze, spazi produttivi e pubblici, un edificio di interesse collettivo e soprattutto l’espansione del Museo del Vetro16. Dopo quasi vent’anni, nel febbraio del 2012 è dato il via libera al progetto di ampliamento del Museo con un investimento previsto di circa 2 milioni di euro recuperati tra i fondi residui delle Legge speciale e finanziamenti comunitari. La direttrice attuale del museo, Chiara Squarcina, in carica dal 1998, in una recente intervista, concessa in occasione di questa ricerca ha dichiarato: “Il prossimo settembre partiranno di lavori di recupero delle Conterie che in parte verranno utilizzate per le mostre temporanee e in parte le utilizzeremo per dar voce al Novecento, che è quella parte della collezione più richiesta dai visitatori”17.
La collezione La formazione della collezione del Museo Civico Vetrario di Murano inizia nel 1861 grazie all’audace contributo di Vincenzo Zanetti e Antonio Colleoni, nonché attraverso le molte donazioni di aziende private del tempo. Si tratta di una ricca raccolta di vetri di scavo, artistici, d’uso comune e industriali, che si è ampliata nel tempo; la parte della collezione più consistente è costituita da vetri veneziani del Ottocento, recuperati principalmente dall’Abate Zanetti. Nel 1923 Murano viene è annessa al Comune di Venezia e di conseguenza, il suo museo entra a far parte dei Musei Civici Veneziani. In questo periodo sono trasferite a Murano le raccolte del museo Correr, consistenti nei vetri antichi, medioevali e moderni. Nel 1932 la Direzione Generale Antichità e Belle Arti del Ministero dell’Educazione Nazionale dona al deposito del Museo di Murano un complesso di vetri romani, proveniente dalla collezione Loewy e da una tomba di Salizzole (Verona). Nel 1963, a seguito di un accordo del 1961 tra il governo jugoslavo e quello italiano, è stata concessa in deposito dalla Soprintendenza Archeologica la collezione di vetri antichi provenienti dalle raccolte del Museo di San Donato di Zara18. A queste raccolte si sono poi aggiunte, nel corso degli ultimi decenni, alcune donazioni o acquisti, tra cui le collezioni Maurice Marinot
16. Vedi sito web: http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/ IDPagina/50703/GPI/2#GPContent 17. ������������������������������������������������������������������������������������ Colloquio con Chiara Squarcina, direttrice del Museo del Vetro di Murano, Venezia, in data 23 luglio 2012. 18. ������������������������������������������������������������������������������������� Fabbrica medio-orientale, bacino del Mediterraneo orientale, aree romanizzate della Dalmazia e del nord Italia, I-IV sec. d.C. Questi vetri in quanto depositi ministeriali, fanno parte del patrimonio dello Stato.
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(dono 1972), Vito Manca (dono 2004), Bevilacqua La Masa, Gatti Casazza (proveniente dal Museo di Ca’ Rezzonico); vetri della prima metà del XX secolo e produzioni contemporanee tra le quali alcuni vetri della Scuola Internazionale del Vetro (dono 1980) e della prima edizione del Premio Murano (1986) e lavori di maestri, designers e di qualificate vetrerie muranesi. L’ammontare complessivo degli oggetti custoditi nella sede di Palazzo Giustinian corrisponde a circa 8.000 unità. La ricca collezione che ricopre l’intera storia della produzione vetraria, non solo muranese, comprende manufatti che vanno dal I secolo a.C. ai più recenti pezzi novecenteschi e contemporanei. Oltre ai vetri soffiati nelle diverse forme (vasi, bicchieri, e contenitori vari), vi sono anche lampadari (alcuni in buono stato altri frammentari o molto lacunosi), campionari di conterie, smalti e murrine (ogni campionario contiene un notevole numero di pezzi), mosaici di piccole e grandi dimensioni, dipinti su vetro al rovescio e specchi del 1600 e 1700. Inoltre sono conservati in deposito anche oggetti di uso comune, come bottiglie per vini o liquori, bottigliette da farmacia o per uso chimico industriale risalenti al 1800, vetrate legate a piombo, del 1800, di cui due spagnole del 1400 e altaroli lignei con decorazioni in lastrine di specchio e conterie del 180019. Dagli anni Settanta ad il 2011 la struttura espositiva è organizzata secondo una sequenza temporale. Attualmente la disposizione delle opere è stata ripensata per dare spazio alle mostre temporanee, come le iniziative Schegge di vetro, di cui è stato parlato in precedenza. Allo stesso modo gli allestimenti del museo sono, per la maggior parte, materiale riciclato proveniente dalle mostre realizzate in precedenza al Museo Correr, fino al 2011 erano allestimenti progettati dall’architetto Umberto Franzoi. Nella sala dei vetri antichi, vi sono ancora oggi, le strutture sospese progettate nel ’78, dallo stesso Franzoi e da Egle Renata Trincanato in occasione della mostra Ambra Oro del Nord20 tenuta a Palazzo Ducale. Gli unici apparati dispositivi nuovi e progettati appositamente per il Museo del vetro, sono quelli utilizzati per esporre i vetri del Quattrocento. Sono stati disegnati da Daniela Ferretti, specializzata nel campo della progettazione espositiva e, dal 2007, nel comitato di Direzione della Fondazione dei Musei Civici21.
19. ������������������������������������������������������������������������������������������� Tutti i dati relativi alla collezioni permanenti del museo del vetro, sono stati ricevuti via mail da Vladimiro Rusca (ricercatore presso il Museo del Vetro) il 14 agosto 2012. Patrimonio vitreo del Museo del Vetro di Murano rilevato nel 2008. Si tratta di un numero complessivo di massima di opere in vetro: probabilmente è superiore a quanto riportato, in quanto sia negli inventari che nei campionari spesso si fa riferimento ad un solo numero che comprende vari oggetti. 20. ����������������������������������������������������������������� Per ulteriori informazioni vedi catalogo della mostra A.A.V.V., Ambra oro del Nord, catalogo mostra Palazzo Ducale, 30 giugno-1 ottobre 1978, Alfieri, Venezia 1978. 21. ��������������������������������������������������������������������������������������������� Tutti i dati relativi all’allestimento, sono stati ottenuti durante un colloquio telefonico con Vladimiro Rusca (ricercatore presso il Museo del Vetro) in data 5 agosto 2011.
Organizzazione espositiva Il percorso espositivo si sviluppa in due piani, il piano terra e il primo piano, e si è sostanzialmente cambiato dal 2011. Al piano terra si trova l’atrio, il bookshop, gli uffici e la biglietteria oltre che al giardino dove sporadicamente vengono esposte delle opere. L’unica sala espositiva presente a questo livello (1), è usata per le mostre temporanee e attualmente22 è presente quella dedicata a Egidio Costantini della Fucina degli Angeli, della serie "Schegge di vetro". In origine questo spazio era destinato alla collezione dei vetri antichi di epoca Imperiale (I secolo a.C. al IV d.C.). Al primo piano si trova la sala della Volte (2) che attualmente ospita la collezione archeologica; mentre precedentemente era dedicato alle illustrazioni delle lavorazioni del vetro, dalle materie prime fino all’oggetto finito. Il materiale esposto in questa sala è costituito dal nucleo primitivo del museo e comprende una vasta gamma di oggetti, dalle olle cinerarie ai balsamari, dalle ciotole ai piattini, dalle bottiglie alle collane e ai bracciali. Le altre collezioni permanenti sono collocate nelle due sale adiacenti. Nella maggiore (3) ci sono opere rappresentative dell’arte vetraria Settecentesca. Rilevante è il grande trionfo da tavola in forma di giardino all’italiana con fontane, archi, vasi con fiori e aiuole, che è un importante esempio dei celebri centri da tavola chiamati deseri (dal francesce dessert) realizzati dal maestro vetrario Giuseppe Briati (1686-1772) su commissione della Repubblica Serenissima per ornare i banchetti del doge per occasioni speciali, i quali costituivano dei veri e propri apparati scenici. Nella piccola sala accanto (4) si trovano riunite le opere medioevali, rinascimentali, e del seicento. Il pezzo che meglio rappresenta l’attività vetraria della fine del quattrocento è l’importante coppa nuziale detta Barovier. Il manufatto realizzato in purissimo vetro turchese e decorato a smalti policromi e foglia d’oro ha disegnati due ritratti, uno femminile e uno maschile, all’interno di due medaglioni collocati simmetricamente. La critica del novecento hanno erroneamente attribuito ad Angelo Barovier l’opera e allo stesso modo hanno pensato, sbagliando, che fosse una coppa nuziale. L’oggetto in questione risale al 1470-1480 e quindi si tratta di uno dei vetri più antichi tra quelli decorati a smalti policromi. Il salone principale (5), anche detto portego, è uno spazio grande e molto luminoso grazie alle numerose finestre che si affacciano sulla fondamenta Giustinian e sul canal Grande. Nella sala sono presenti tre grandi lampadari a soffitto ottocenteschi, quello centrale è stato presentato alla prima Esposizione Vetraria Muranese del 186423. Il lampadario è costituito da sessanta bracci, e da trecentocinquantasei pezzi. Alto quattro metri, il diametro massimo raggiunge quasi sette
22. Per attualmente si intende settembre 2012. 23. Scrivono a proposito Mario de Biasi, Vincenzo Zanetti 1824-1993, Ateneo Veneto, Venezia 1984; Attilia Dorigato, Il Museo vetrario di Murano, Electa, Milano 1986.
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Le istituzioni del distretto 160
metri per un peso complessivo di trecentotrentatre chilogrammi. Questa grande sala e le salette che si articolano due a destra e una a sinistra sono oggi dedicate alle mostre temporanee (6, 7 e 8). In precedenza, nella sala centrale erano conservate le collezioni dell'ottocento e del novecento, mentre nelle salette sulla sinistra erano collocati i vetri del Cinquecento e quelli del Seicento. Nella saletta opposta si trovavano i vetri medioevali e rinascimentali. Le opere dell’ottocento e novecento attualmente non hanno una collocazione precisa, malgrado sia oggetti molto rilevanti dal punto di vista artistico e tecnico. Tra questi manufatti si annoverano le bottiglie in filigrana policroma, di Pietro Bigaglia, la brocchetta di vetro imitante il calcedonio di Lorenzo Radi come la bottiglia a reticello in lattimo turchese, tutti risalenti al 1850 circa. Molti sono gli oggetti che l’abate Vincenzo Zanetti aveva commissionato all’azienda dei Fratelli Toso, che sono tutt’oggi patrimonio del museo, tra questi si ricordano: il grande calice con coperchio a stelo decorato da un elaborato rosone, anche quello ornato da collonnine ritorte oppure il calice reticolato con ochette in vetro opalino, tutti datati 1865 circa. Più tardi, ma oltre modo elegantissimi, sono la coppa con stelo a spirale degli artisti Barovier, e il grande piatto in vetro a murrino blu con motivi floreali di Salviati e Giuseppe Barovier. I manufatti novecenteschi di proprietà della fondazione museale comprendono oggetti di grande pregio tra cui il servizio dei bicchieri esagonali in vetro sottilissimo della VSM Cappellin Venini & C., successivi sono, la boccia in pasta vitrea rossa con foglia d’oro disegnata da Carlo Scarpa, e il vaso a nove bocche in vetro pulegoso di Napoleone Martinuzzi. Tra gli oggetti che risalgono alla seconda metà del novecento, appartenenti al museo, vi sono i vasi Colletti di Ludovico de Santillana, ma altrettanto raffinati sono i vasi Inutili prodotti dalla Salviati e progettati da Romano Chirivi, come il vaso Murrina di Toni Zuccheri e di Yoichi Ohira il vaso Polvere con Murrine24. La maggior parte degli oggetti che allestivano il salone centrale e le tre salette adiacenti, sono momentaneamente conservati nei magazzini dell’ultimo piano, in attesa del progetto di riorganizzazione e ampliamento del museo nel vicino complesso delle ex Conterie. Al secondo piano del palazzo sono presenti una piccola biblioteca e un archivio storico, consultabili per appuntamento25.
24. Per ulteriori approfondimenti riguardanti il percorso museale, nonostante non vi siano testi aggiornati, vedi: Attilia Dorigato, Museo del vetro, Musei Civici Veneziani, Marsilio, Venezia 2006; Michela Scibilia e Nicolo Scibilia, Guida completa all’isola di Murano, Vianello Libri, Venezia 2007; Giudo Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, guida storico-artistica, edizioni Lint, Trieste 1974. 25. Per ulteriori approfondimenti riguardanti il percorso museale, nonostante non vi siano testi aggiornati, vedi: Attilia Dorigato, Museo del vetro, Musei Civici Veneziani, Marsilio, Venezia 2006; Michela Scibilia e Nicolo Scibilia, Guida completa all’isola di Murano, Vianello Libri, Venezia 2007; Giudo Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, guida storico-artistica, edizioni Lint, Trieste 1974.
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piano terra
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primo piano 39. Spazi espositivi del Museo del Vetro di Murano
37. Organizzazione espositiva dello spazio museale 40. Collezione archeologica, Museo del Vetro di Murano
Le istituzioni del distretto
4.1.3. Musei e archivi delle imprese Il patrimonio storico culturale del distretto del vetro è indubbiamente vasto. Alcune delle aziende che ne fanno parte hanno saputo, nel corso degli anni, conservare e documentare il proprio lavoro in strutture interne alle aziende che si possono definire musei d’impresa. Certi sono accessibili al pubblico, come quello di Archimede Seguso e Barovier & Toso, altri invece non sono visitabili e svolgono puramente una funzione di archivio privato. Un esempio è l’archivio Marina e Susanna Sent. Molte altre aziende decidono di conservare i propri materiali in spazi espositivi come gli showroom. Si porta all’attenzione un tentativo esemplare come quello delle aziende Venini e Carlo Moretti, Murano Collezioni. Lo spazio viene aperto nel 1999 e per la prima volta nella storia, due delle aziende più conosciute e di maggior successo espongono le loro produzioni in un unico showroom. L’esperienza si conclude una decina di anni dopo a causa degli alti costi di mantenimento della struttura26.
4.1.4. Fondazione Cini, un grande archivio 162
Nell’agosto del 2012 viene inaugurato un nuovo spazio espositivo nell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia dedicato a diverse attività inerenti al progetto Le stanze del vetro. La prima mostra ha come titolo Carlo Scarpa. Venini 1932 – 1947. Attraverso più di trecento opere, il curatore Marino Barovier ricostruisce quello che è stato il percorso di Carlo Scarpa in qualità di art director all’interno della storica azienda Venini. Il percorso espositivo è caratterizzato dalla presenza, oltre che di pezzi appartenenti a diverse collezioni private e musei di tutto il mondo, di disegni e bozzetti originali, fotografie storiche e documenti di un archivio che sembrava essere stato perso durante un incendio nella fornace Venini. Tale archivio, per la sua completezza, ha reso comprensibile il complesso e ineffabile rapporto che si è instaurato tra il progettista e i maestri vetrai con cui ha collaborato e che è stato la condizione necessaria per la realizzazione di così tanti capolavori. A questa mostra ne seguiranno altre e si tratta di un importante progetto culturale pluriennale avviato dalla Fondazione Giorgio Cini in collaborazione con Rosi e David Landau27 per lo studio e la valorizzazione dell’arte
26. Colloquio con Giovanni Moretti in data 20 dicembre 2012. 27. David Landau e Rosi Landau sono appassionati collezionisti di vetri di Murano del novecento, la loro collezione oggi annovera quasi 1.400 pezzi, dai grandi capolavori agli oggetti più semplici per l’uso quotidiano. David Landau, nel 2010, per soli tre mesi, è stato presidente della Fondazione dei Musei Civici di Venezia e si era molto interessato al rilancio del museo del vetro di Murano al quale era intenzionato a donare la sua vastissima collezione di vetri del novecento. Cfr. David Landau, Non si può cambiare
41-42. Spazio espositivo "Le stanze del vetro" presso la Fondazione Cini, Isola di San Giorgio, Venezia.
Le istituzioni del distretto
vetraria veneziana del novecento28 che ospiterà negli anni una serie di mostre monografiche e collettive dedicate ad artisti internazionali contemporanei e non, che hanno utilizzato il vetro come materia da progettare. Tale progetto, ha un comitato scientifico composto da personalità esperte nel campo dell’arte vetraria muranese come Giuseppe Pavanello, direttore dell’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Cini e da Rosa Barovier Mentasti, Marino Barovier, Laura De Santillana e Nico Stringa.29 La Fondazione Giorgio Cini, all’interno del proprio Istituto di storia dell’arte, ha costituito un Centro Studi per: la costruzione di un archivio generale del vetro veneziano; una biblioteca specializzata; l’organizzazione di convegni, seminari e laboratori; l’istituzione di borse di studio. Lo spazio espositivo ha consentito il recupero di una parte dell’ex convitto dell’isola di San Giorgio Maggiore ed è stato progettato dallo studio Annabelle Selldorf specializzato nella progettazione di spazi e ambienti museali30.
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senza esporsi…, in “Venice International Foundation”, Speciale Lido. Isola d’oro Programma Unesco Comitati Privati Internazionali per la Salvaguardia di Venezia, giugno 2010, 23, p.1. Il progetto curato da David Landau non si è potuto attuare a causa delle sue premature dimissioni da presidente dei Musei Civici. 28. s.n., Le stanze del Vetro, Comunicato stampa, Fondazione Giorgio Cini, Venezia 24/05/2012. 29. Marino Barovier, Carlo Scarpa Venini 1932-1947, catalogo della mostra, Skira, Milano 2012. 30. Comunicato stampa, Le stanze del Vetro, Fondazione Giorgio Cini, Venezia 24/05/2012.
4.2 Ricerca e formazione
4.2.1. La formazione dei vetrai: la scuola del vetro Abate Zanetti Un anno dopo la nascita del Museo, nel 1862, l’abate Vincenzo Zanetti e il sindaco Colleoni fondano una scuola di disegno applicata all’arte vetraria e, come per il Museo del Vetro, anche questo progetto è approvato dalla Deputazione comunale. Lo scopo principale di questa iniziativa era quello della formazione professionale delle maestranze e la sperimentazione tecnico-artistica della lavorazione del vetro. L’abate persuade i giovani muranesi impegnati nel lavoro in fornace a frequentare la scuola, sostenendo che era necessario studiare e saper disegnare non tanto per iniziare ma per migliorare l’arte vetraria muranese. Al fine di non interferire nelle attività di ogni singola azienda i corsi erano organizzati nel fine settimana, e le materie che venivano insegnate erano: disegno geometrico, architettura, ornato e plastica. Il successo di cui la scuola ha goduto fino alla fine dell’ottocento viene confermato dal numero di iscritti che ogni anno frequentano i corsi, ma soprattutto dalla notorietà che alcuni di loro hanno raggiunto in seguito, come per esempio i celebri Vittorio Zecchin e Napoleone Martinuzzi, Giuseppe Barovier, Angelo Fuga, Francesco Toso Borella. Il programma della scuola comprendeva anche delle esposizioni tenute nella sede del Museo del Vetro, volte alla promozione del progetto del vetro. Nella prima esposizione del 1864 viene mostrato, il grande lampadario che tutt’ora pende dal soffitto della sala centrale del Museo1. Quest’ultimo, la biblioteca annessa, la scuola, le esposizioni e la nascita della rivista La Voce di Murano nel 1867, sono opere promosse dall’abate Vincenzo Zanetti, e costituiscono i capisaldi di una nuova consapevolezza della centralità di Murano all’interno del mondo della lavorazione del vetro2.
1. Mario De Biasi, Vincenzo Zanetti, 1824-1883, Ed. Ateneo Veneto, Venezia 1984. 2. Per ulteriori informazioni sulle attività dell’Abate Zanetti nel 1862, vedi: Aldo Bova, Attilia Dorigato, Puccio Migliaccio (a cura di), Vetri Artistici del primo ‘800. Museo del Vetro di Murano, Marsilio, Venezia 2006; Mario de Biasi, Vincenzo Zanetti 1824-1993, Ateneo Veneto, Venezia 1984; A.A.V.V., Antonio Colleoni. Farmacista (1810-1885). Primo deputato (1860-1866) e sindaco di Murano (1866-1885), catalogo mostra Documentaria Centro Civico Palazzo da Mula, Comune di Venezia, Venezia 2004; A.A.V.V., Vincenzo Zanetti e la Murano dell’Ottocento, catalogo della mostra a cura dell’Associazione per lo studio e lo sviluppo della cultura muranese, Murano-Museo Vetrario dicembre 1983-maggio 1984; Abate Vincenzo Zanetti, Guida di Murano e delle celebri sue fornaci, Venezia stabilimento tipografico, M DCCC LXVI; Astone Gasparetto, Il vetro di Murano dalle origini ad oggi, Neri Pozza Editore, Venezia 1985.
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Le istituzioni del distretto 168
A distanza di centocinquant’anni la scuola Abate Zanetti rimane l’unica realtà formativa del distretto. L’Amministrazione Comunale nel 2000, non è più in grado di sostenere i costi della struttura e quindi l’ha ceduta a Guido Ferro3, che detiene l’85% della quota. La S.r.l. privata è partecipata al 5% dalla Camera di Commercio, la stessa quota dalla Provincia del Veneto e dal Comune di Venezia. I corsi offerti dall’istituto si suddividono in fornace4, vetrofusione5, lavorazione a lume6, vetrate artistiche7 e classi private per una o più persone. Queste esperienze formative possono essere svolte da singoli privati maggiorenni, nella maggior parte dei casi si tratta di studenti stranieri, ma, la scuola organizza anche dei corsi settimanali per classi delle scuole elementari o delle medie inferiori. La struttura della Scuola Abate Zanetti comprende più attività abbastanza diversificate tra loro. Da una parte, viene fatta attività formativa attraverso corsi privati e dall’altra, quando non viene svolta nessuna attività didattica la scuola cambia volto e diventa fornace, quindi luogo di produzione. Non trattandosi di una realtà produttiva vera e propria, bensì di una scuola, la fornace non ha dei tempi industriali e la quantità dei pezzi prodotti è modesta. L’attività della fornace è condotta dagli stessi maestri interni alla scuola, come per esempio Giancarlo Signoretto e Roberto Finotto, ma all’occorrenza è anche supporto per progetti di designer esterni, spesso anche stranieri, che realizzano opere personali. La distribuzione dei pezzi prodotti avviene attraverso diverse modalità, quella più consueta è la vendita attraverso le sale di vendita di Murano e gli esercizi commerciali veneziani. La scuola però non cura la comunicazione attraverso un’immagine coordinata propria perché sostiene che l’obiettivo fondamentale della struttura sia quello della formazione. Ed è appunto per questo motivo che l’istituto ha iniziato il processo di accreditamento per diventare una scuola media superiore e quindi trasformarsi in un istituto tecnico professionale. La direttrice Martina Semenzato afferma: “È un percorso molto lungo e complicato che stiamo facendo con l’ufficio regionale scolastico”8. L’obiettivo è quello di realizzare un scuola professionale non indirizzato solamente alla lavorazione del vetro ma anche alla sua
3. Guido Ferro nasce nel 1942 a Murano. Inizia la sua attività nell’azienda di famiglia nel 1957, sotto la guida del padre. Oggi dirige l’azienda Ferromurano S.r.l. con Diego Ferro. 4. Fornace: Lo scopo è quello di acquisire familiarità con le tecniche basilari della lavorazione a caldo del vetro. Vedi sito web: http://www.abatezanetti.it/ 5. Vetrofusione: il corso per principianti introduce le tecniche fondamentali della vetrofusione piana. Il taglio, l’assemblaggio e la cottura di semplici oggetti piani, permetteranno agli studenti di conoscere le possibilità e i limiti di questa tecnica. Vedi sito web: http://www.abatezanetti.it/ 6. Lavorazione a lume: consiste nell'acquisire la tecnica per la realizzazione di perle o di piccoli oggetti in vetro. 7. Vetrate artistiche: il corso permette di progettare e realizzare vetrate artistiche legate a piombo o con lamina di rame (tecnica alla “Tiffany”). Vedi sito web: http://www. abatezanetti.it/ 8. Colloquio con Martina Semenzato, Direttrice della Scuola Abate Zanetti, in data 23 luglio 2012.
43. Scuola Abate Zanetti
Le istituzioni del distretto
progettazione, per recuperare la tradizione storica di questa istituto. Il rapporto di collaborazione che lega l’istituto all’istituzione museale di Murano consente ai visitatori dell’isola di acquistare un biglietto cumulativo per visitare entrambe le strutture e avere modo di osservare i maestri della scuola all’opera. Il rapporto tra la scuola Abate Zanetti e gli altri istituti scolastici presenti sull’isola promuove una serie di iniziative che riguardano la didattica, come è avvenuto nel 2012, con la costituzione Premio Murano Junior9 dove i maestri vetrai hanno realizzato i progetti selezionati dei bambini delle scuole elementari e medie dell’isola.
4.2.2. La formazione dei progettisti. Una situazione storica. IVL e il Corso per disegnatori industriali
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Nell’ambito delle istituzioni volte alla formazione di personale tecnico e professionale è molto importante Ricordare l’attività promossa dall’Istituto Veneto per il Lavoro che nel 1956 promuove l’istituzione del Corso sperimentale di progettazione per disegnatori industriali e artigianali. All’inizio degli anni cinquanta in ambito nazionale si sente la mancanza di figure professionali rivolte al progetto del prodotto, come sottolinea il manifesto per il disegno industriale pubblicato su “Domus” nel 1952 che accentua l’inesistenza ufficiale della professione di disegnatore industriale. Negli anni a seguire, ad esempio nell’ambito della Triennale di Milano del 1959 viene organizzato il I Congresso internazionale dell’industrial design e nonostante Milano fosse, dagli anni ‘30 in poi, un luogo dove si concentravano attività culturali di grande importanza e si formavano i maggiori progettisti, la città non è stata in grado di istituire in quegli anni una scuola espressamente dedicata alla formazione del designer10. Dalla lettura del manifesto istitutivo del corso sperimentale si intuiscono chiari riferimenti al movimento del Bauhaus. Il principale obiettivo della scuola era quello di mettere in comunicazione il mondo del progetto con quello del saper fare. Il noto storico dell’arte, Giulio Carlo Argan dirigeva la scuola, e Franco Albini, Carlo Scarpa e Vinicio Vianello costituivano un corpo docente di altissimo livello. I professori appena citati, insegnavano rispettivamente ai corsi di legno, di metallo e quello del vetro. La sezione curata da Vinicio Vianello (1923-1999), trattava lo studio di differenti metodi di lavorazione: a stiramento o tiraggio, pressatura e stampo. All’interno del corso si approfondivano anche le questioni tecnologiche relative alle materie prime dell’industria vetraria,
9. Vedi sito web: http://www.abatezanetti.it/premio_murano/ 10. ��������������� Anty Pansera, Storia del disegno industriale, Laterza, Roma 1993.
le proprietà del vetro e le diverse finiture, il calcolo delle miscele attraverso anche delle prove in laboratorio. L’intento era di formare, in Italia, grazie ad una preparazione scolastica specifica delle nuove figure professionali, capaci di progettare oggetti d’uso per una produzione industriale d’alto livello, ma anche di realizzare prodotti attraverso le tradizionali tecniche dell’artigianato. Questi tecnici, in un certo senso, anticipano un legame, tipicamente italiano, tra uomini del saper fare e quelli del pensiero, espressione della migliore imprenditoria industriale11. Questa esperienza didattica dura solo un anno, nel giugno del 1957, il presidente dell’Istituto Veneto per il Lavoro, Giuseppe Dell’Oro scrive una lettera a Giuseppe Samonà, allora direttore dell’Università di Architettura di Venezia, che lo avvisa che l’attività dell’istituto si conclude con gli esami di luglio. Nella stessa lettera si legge anche il desiderio da parte di Giuseppe Dell’Oro di istituire un corso stabile per l’insegnamento del disegno industriale. Sarà infatti inaugurato nel 1960 il CSDI, Corso Superiore di Disegno Industriale noto per le collaborazioni fra IVL, ADI, IUAV, istituzioni ed enti locali e imprese come Venini. Il corso rimane attivo fino al 197212.
4.2.3. La Stazione Sperimentale Dal 1956 è localizzato nell’isola l’unico ente In Italia, che si occupa istituzionalmente dei problemi tecnico-scientifici dell’industria del vetro: tipo di lavorazione (cavo, piano, fibre, tecnico, a mano), materie prime, materiali refrattari e tipi forni. Le ricerche sono sviluppate autonomamente e in collaborazione con centri di ricerca e università italiane e estere. La Stazione Sperimentale del vetro porta avanti un’attività di sperimentazione attraverso l’applicazione pratica dei risultati delle ricerche sui prodotti industriali. L’istituto è organizzato in diversi laboratori che si occupano degli aspetti chimici, ambientali e fisici e che sono localizzati in parte a Murano negli stabili messi a disposizione del Comune e, dal 2000, altri laboratori sono situati presso il Vega, Parco Scientifico e Tecnologico di Venezia a Marghera. All’interno delle strutture è presente una biblioteca specializzata aperta
11. ��������������������������������������������������������� Alberto Bassi, Paola Marini, Alba Di Lieto (a cura di), Vinicio Vianello: Il design del vetro, Marsilio, Venezia 2007 12.��������������������������������������������������������������������������� Per ulteriori approfondimenti consultare: Vincenzo Rizzo, Giorgio Taolin, Murano: strutture e prospettive dell'industria vetraria, Tesi di laurea, Università Iuav di Venezia, Corso di laurea in urbanistica, a.a. 1979/1980, relatori Fabio Arcangeli, Domenico Patassini; Monica Pastore, Il Corso Superiore di Disegno Industriale di Venezia 19601972: la comunicazione visiva nell'offerta didattica e il suo ruolo nella formazione di nuove figure professionali, Tesi di laurea, Università Iuav di Venezia, Facoltà di design e arti, clasVEM, Corso di laurea specialistica in comunicazioni visive e multimediali, a.a. 2006/2007, relatore Fiorella Bulegato, correlatore Carlo Vinti, correlatore esterno Sandro Galante.
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Le istituzioni del distretto 172
agli studiosi della materia. Inoltre l’ente pubblica dal 1971 la Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro che contiene tutti i lavori a carattere scientifico o tecnologico svolti nell’ambito delle ricerca. L'attività del centro è articolata su due direttrici principali: l’assistenza tecnica alle industrie che ne fanno richiesta; la ricerca sperimentale e la promozione industriale. “La Stazione Sperimentale del Vetro, assieme ad altri sette istituti di altrettanti diversi settori merceologici, opera sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico. Essa è finanziata in parte dal contributo che le aziende italiane sono obbligate per legge a versare in proporzione alla rispettiva capacità produttiva e al valore delle merci importate; e in parte da autofinanziamenti per prestazioni di servizi e da contributi vari”13. Le aziende del territorio si confrontano con la Stazione Sperimentale solamente in caso di necessità, usufruendo delle competenze tecnicoscientifiche per effettuare una serie di prove sul materiale. Se la Stazione Sperimentale del Vetro per la sua unicità a livello nazionale, per il suo stretto rapporto di collaborazione con le aziende che operano nel settore (non solo quelle di Murano), per l’eccellenza della sue ricerche sembra poter contare in un futuro di ulteriore sviluppo e in una precisa collocazione nel panorama scientifico14 non solo locale, le altre due Istituzioni, il museo del Vetro e la scuola Abate Zanetti, appaiono ancora alla ricerca di un proprio ruolo, che consenta loro di svilupparsi e soprattutto di emanciparsi dalla loro condizione localistica, verso una più adeguata visibilità e presenza internazionale.
13. ��������������������������������������� Vedi sito web: http://www.spevetro.it/ 14. ���������������������������������������������������������������������������������� Si ricorda la presenza sul territorio veneziano del Corso di laurea in Chimica e tecnologie sostenibili articolata in tre indirizzi chimica, chimica industriale e scienze dei materiali, presso l’Università Ca’ Foscari.
4.3 La promozione del vetro
4.3.1. La promozione culturale La promozione del vetro attraverso le Biennali La Biennale di Venezia accoglie dal 1895, anno della sua fondazione, al 1972, i prodotti realizzati dall’artigianato artistico di Murano. L’evento veneziano costituisce per settant’anni un punto di riferimento e occasione di comunicazione della produzione vetraria dell’isola. Nelle prime edizioni della manifestazione gli oggetti di vetro sono soprattutto elementi d’arredo delle sale espositive, agli industriali della vetraria infatti viene chiesto di prestare opere che avrebbero in ogni caso goduto dell’attenzione dei normali artefatti selezionati e presenti nell’esposizione. Vetri soffiati di forme classiche e lampadari disegnati dall’artista Raffaele Mainella e realizzati dalla Compagnia di Venezia e Murano arredano la sala stampa e il fumoir della Biennale e, più tardi nel 1926, sarà Venini a riempire gli spazi espositivi con lampadari di vetro e una fontana, specchi, lampade e vasi1. Come scrive Attilia Dorigato “[…] la presenza del vetro in queste occasioni, non deve essere comunque intesa come partecipazione del mondo muranese all’allora limitatissimo spazio riservato alle arti decorative; essa va piuttosto collegata alla notorietà degli artisti che, dopo esperienze in ambiti diversi, erano approdati, infine, a quello del vetro”2. La condizione dell’arte vetraria all’interno delle Biennali non sembra mutare almeno fino agli anni ‘20, fatta eccezione per la presenza di alcuni vetri che destano un grande interesse: quelli eseguiti dai F.lli Toso e disegnati da Hans Stoltenberg Lerche alla Biennale del 1912 e la composizione a murrine realizzata dagli Artisti Barovier e ideata da Vittorio Zecchin e Teodoro Wolf Ferrari. Questi ultimi consolidano il loro rapporto con i maestri e la stessa arte vetraria anche attraverso le esposizioni allestite negli spazi di Ca’ Pesaro, sede destinata a tutti quegli artisti ai quali non era consentito dalla cultura ufficiale, accedere alle esposizioni a carattere internazionale. Fino al periodo postbellico Murano procede nell’elaborazione stilistica con lo sguardo sempre rivolto al passato, non riuscendo a distaccarsi completamente dall’arte ottocentesca nella concezione degli artefatti vitrei. Il vero e proprio avvio al rinnovamento avviene nel 1922 quando Vittorio Zecchin, già allora direttore artistico della Cappellin
1. Attilia Dorigato, Rosa Barovier Mentasti, Marina Barovier, Il vetro di Murano alle Biennali 1895-1975, Leonardo Arte, Milano 1995. 2. Ibidem, cit., p. 14.
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Venini, presenta i vetri soffiati caratterizzati da un’ “[…] essenziale purezza nella linea, liberata ormai da ogni ridondante decorazione, e di eccezionale vitalità nella materia, che sembrava cancellare ogni effetto di tridimensionalità”3. Nel 1928 l’impressione che si ha consultando il catalogo della XVI Biennale sembra che ancora il vetro abbia una posizione importante all’interno dello spazio dedicato alle Arti Decorative, i pezzi, infatti, svolgono ancora una funzione di allestimento ornando la cosiddetta Rotonda4 disegnata di Gio Ponti nel 1928, l’attuale sala del padiglione Centrale (ex padiglione Italia) ai Giardini della Biennale5. Nonostante ciò, la critica del tempo, una su tutte “Domus” allora diretta dallo stesso Ponti, dedica una grande attenzione al clima di rinnovamento che coinvolge l’arte decorativa sottolineando soprattutto i cambiamenti evidenti che interessano l’arte vetraria di quegli anni. La Biennale del 1930 dimostra la grande attività delle fornaci muranesi con nuove materie vitree quali il vetro pulegoso, zanfirico o a bolle che stupiscono la critica e i visitatori. Nel 1932, su progetto dell’architetto Brenno Del Giudice, il padiglione delle Arti Decorative ospita una vasta serie di artefatti che rappresentano la produzione dell’intera Europa, ma soprattutto di Murano. Nel 1942 si svolge l’ultima Biennale prima della Seconda Guerra Mondiale. Si ricomincerà a parlare d’arte soltanto nel 1948 con la ripresa della manifestazione. Gli anni cinquanta rappresentano il periodo di massimo splendore del vetro artistico e la forte necessità di sperimentazione che porta le fucine dell’isola ad una frenetica attività produttiva. I corrosi di Flavio Poli, i cromatismi decisi di Fulvio Bianconi, le sperimentazioni con i materiali metallici di Giulio Radi, i patchwork di Dino Martens, le decorazioni di Zecchin, le sculture vitree di Martinuzzi, le geometrie eleganti dell’architetto Scarpa6.
3. Attilia Dorigato, Rosa Barovier Mentasti, Marina Barovier, Il vetro di Murano alle Biennali 1895-1975, Leonardo Arte, Milano 1995, cit., p. 15. 4. “È del 1894 la realizzazione, su commissione della municipalità veneziana, del primo Palazzo delle Esposizioni ai Giardini, destinato a ospitare l'anno successivo la prima Biennale. L’edificio - allora chiamato “Pro Arte” - viene edificato su progetto di Enrico Trevisanato e facciata liberty disegnata da Marius De Maria e Bartolomeo Bezzi. Fino al 1905 la Biennale è tutta concentrata in questo Palazzo, dove gli artisti di ogni Paese espongono assieme, senza alcuna divisione. Sulla scia del successo ottenuto nelle prime edizioni, la Biennale incoraggia i Paesi esteri a costruire un proprio Padiglione ai Giardini per esporvi i propri artisti (il primo è il Belgio nel 1907). Nel corso dei decenni il Palazzo centrale subisce numerose addizioni e trasformazioni, ospitando interventi, tra gli altri, di Ernesto Basile (ingresso 1905), Galileo Chini (decorazioni 1907-1909), Guido Cirilli (facciata 1914), Gio Ponti (Rotonda 1928), diventando nel 1932 Padiglione Italia, con il disegno della facciata (ancora attuale) di Duilio Torres. A partire dal 1948 (e fino al 1972) inizia la diretta collaborazione di Carlo Scarpa con la Biennale, che ha generato negli anni una lunga serie di notevoli progetti e realizzazioni. Nel 1968 Carlo Scarpa soppalca il salone centrale del Padiglione, raddoppiando la superficie espositiva. Di Scarpa è anche il Giardino delle Sculture realizzato nel 1952. Del 1977 è l’Auditorium di Valeriano Pastor, destinato alla Municipalità, ora trasformato in Biblioteca.” Informazioni tratte dal sito web della Biennale di Venezia. Vedi http://www.labiennale.org/it/architettura/ luoghi/padiglione_centrale.html?back=true 5. Attilia Dorigato, Rosa Barovier Mentasti, Marina Barovier, Il vetro di Murano alle Biennali 1895-1975, Leonardo Arte, Milano 1995. 6. Per approfondimenti consultare: Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990; Arsenale Editrice, Venezia 1993; Rosa Barovier Mentasti, Vetri veneziani del ‘900, la
Nel 1952 viene allestita una mostra storica del vetro muranese che decreta l’importanza del momento che l’arte vetraria sta vivendo a Murano. L’esposizione era divisa in due sezioni e comprendeva una retrospettiva di prodotti in vetro risalenti al quindicesimo e diciannovesimo secolo e una seconda parte una serie di vetri moderni che offrivano una panoramica completa dell’evoluzione stilistica del vetro nei cinque secoli di produzione vetraria. L’edizione del 1954 rappresenta il culmine dell’arte vetraria muranese grazie al suo rapporto con il disegno industriale e la conseguente realizzazione di modelli vitrei che possono essere definiti seriali. Nel 1957 in occasione dell’esposizione dedicata alle produzioni popolari italiane, Murano era rappresentata da Barovier&Toso, Venini, Seguso Vetri d’Arte, imprese alle quali erano dedicate delle mostre all’interno dello stesso padiglione. In occasione di questo evento il premio Compasso D’Oro viene conferito a Vinicio Vianello7 e alla serie di vasi Variante. Si affievolisce già dagli anni sessanta l’impeto creativo che caratterizzava le fornaci dell’isola e le stesse arti decorative vengono escluse dalla Biennale di Venezia. Il vetro di Murano scompare dalla manifestazione a partire dal 1972.
L’Istituto Veneto per il Lavoro e la promozione del vetro Nell’opera di promozione della produzione vetraria l’IVL, Istituto Veneto per il Lavoro, ha contribuito in maniera determinante, rivolgendo fin dalla sua nascita nel 1919 particolare attenzione ai vetri di Murano. Gli obiettivi che l’ente si prefiggeva erano quelli di scegliere il prodotto, valorizzarlo e promuoverlo attraverso una buona comunicazione e l’esposizione nei maggiori eventi europei. Dagli anni cinquanta, momento in cui la produzione vetraria vive un periodo di eccezionale creatività, l’IVL si occupa dell’organizzazione delle esposizioni all’interno del padiglione Venezia alle Biennali. Con la Biennale del 1950 si riattiva la partecipazione dell’arte vetraria caratterizzata da un orientamento moderno che mira al recupero delle tecniche tradizionali attraverso una nuova chiave di lettura. Testimoni sono le parole di Astone Gasparetto su “Domus” del 1950: “Volendo esprimere in voti il giudizio sulle varie produzioni, considerate per categoria, daremmo un dieci con lode ai vetri soffiati o lavorati a mano (superbi veramente, sia quelli in cui prevalgono intenti coloristici, cioè trattandosi di vetro, di valorizzazione della materia, sia
collezione della Cassa di Risparmio di Venezia Biennali 1930-1970, Marsilio, Venezia 1994; Rosa Barovier Mentasti, Vetro veneziano 1890-1990; Arsenale Editrice, Venezia 1993. 7. Per ulteriori approfondimenti riguardanti Vinicio Vianello: Alberto Bassi, Paola Marini, Alba Di Lieto (a cura di), Vinicio Vianello: Il design del vetro, Marsilio, Venezia 2007; Alberto Bassi, La luce italiana, design delle lampade 1945-2000, Electa, Milano 2003, pp. 66-69; Le lampade di serie di Vinicio Vianello, in “Domus”, 362, gennaio 1960; Vinicio Vianello, Murano, reazione nucleare, in “Domus”, 282, maggio 1953.
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quelli in cui si è studiata particolarmente la forma)”8. In quegli anni La Biennale riesce a risollevare l’interesse nei confronti dell’artigianato artistico e del suo tentativo di rinnovarsi. Parallelamente, le stesse arti decorative iniziavano a confrontarsi, pur mantenendo le distanze dalla produzione seriale, con il rinnovamento della forma e della tecnica introdotto dal disegno industriale. Mentre il confronto interno alla Biennale si sviluppa su scala locale e i prodotti esposti al padiglione Venezia (aperto nel 1923) provengono dalle aziende muranesi, le Triennali di Milano diventano il luogo di un dibattito nazionale e internazionale. Anche in questo caso un ente, l’Enapi, Ente nazionale artigianato e piccole industrie, si occupava dall’organizzazione dell’allestimento dell’evento stesso, coinvolgendo designer e artigiani di prestigio9. A proposito del confronto internazionale è necessario ricordare l’azione dell’Istituto Veneto per il Lavoro che avvia nel 1953 alcune esposizioni itineranti in Europa, il cui primo obiettivo è quello della promozione di un’identità italiana della produzione vetraria. Nel maggio del 1953 si apre a Oslo l’esposizione Venetiansk Kunsthåndverk, i cui vetri sono selezionati da una commissione composta dal direttore dell’IVL, da Carlo Scarpa, Vinicio Vianello, Amelia Morassutti e Carlo Zorza. Due mesi dopo viene inaugurata dagli stessi autori l’edizione veneziana intitolata V Mostra dell’Artigianato Artistico Veneto a Palazzo Vendramin, sede del Casinò. Nel 1954 il Musée de l’Athenée di Ginevra ospita Les Artisans Vénetiens, rassegna che prevede diverse collaborazioni con progettisti illustri. In questa occasione la commissione giudicatrice è diretta da Guido Perocco, insieme a Carlo Scarpa e Vinicio Vianello. Nello stesso anno, a Zurigo presso il Kunstgewerbemuseum, si inaugura “una impeccabile mostra d’arte applicata italiana all’estero”10 organizzata dalla Confederazione Nazionale Artigianato piccola media industria di Firenze. La mostra si intitolava Nuove forme in Italia e Gio Ponti scrive su Domus “presentandola nel discorso inaugurale dissi che queste forme non dovevano essere considerate come una novità derivata da una frattura con le forme precedenti, ma come il frutto della continuità dello spirito creativo italiano nel clima di gusto della civiltà d’oggi”11. Nel 1956 viene organizzata al Louvre di Parigi la mostra Les Nouveaux Verres de Murano. Il titolo di questa mostra rimanda chiaramente al carattere dell’esposizione stessa che aveva l’obiettivo di creare una rassegna dedicata totalmente ai vetri contemporanei. Questa rassegna si conclude con la manifestazione itinerante Ausstellung der dekorativen Kunst in Venetien, che interesserà diverse città come Kassel, Colonia, Düsseldorf. Una grande occasione si presenta nel 1956, quando l’IVL organizza la mostra Modernt Murano Glas al
8. Astone Gasparetto, Arte decorativa alla XXV Biennale, in “Domus”, 251, ottobre 1950, cit. 9. Giulio Carlo Argan, Arte e produzione alla X Triennale, in "Casabella", 203, novembre-dicembre 1954, cit., pp. 39-42. 10. Gio Ponti, Forme italiane a Zurigo, in "Domus", 298, settembre 1954, cit., pp. 49-54. 11. Ibidem, cit., pp. 49-54.
Röhsska Museet di Göteborg. Giuseppe Dell’Oro, allora presidente dell’Istituto Veneto per il Lavoro, sostiene attraverso questa esposizione la necessità dei produttori muranesi di riprendere con un più vario linguaggio il dialogo delle forme e delle tecniche con la Svezia paese che con l’Italia è caratterizzato da una forte cultura della produzione vetraria12. L’obiettivo principale dell’esposizione è quello di dimostrare le possibilità tecniche del vetro muranese sfidate dalla creatività dei progettisti, e le abilità dei maestri che lo lavorano. L’allestimento, progettato da Vinicio Vianello e definito opera preziosa e intelligente, esalta il vetro ponendolo in diretto contatto con la fonte luminosa. Il buon esito raggiunto dall’esposizione da parte di critica e pubblicità viene ribadito dalla disponibilità di un grande magazzino svedese di ospitare la mostra dopo Goteborg, proposta che i membri dell’IVL sono costretti a rifiutare a causa di problemi organizzativi.
Aperto Vetro, testimone del rapporto tra vetro e design Se negli anni cinquanta le risorse economiche permettevano agli enti pubblici, quali appunto l’IVL e l’Enapi, di essere promotori e testimoni di una cultura legata alla produzione italiana, oggi ci si trova di fronte a una situazione di stasi che non permette alle aziende di riemergere ed essere parte di un movimento culturale collettivo in grado di promuovere la produzione in Italia e all’estero. Aperto Vetro rappresenta un esempio di progetto contemporaneo volto ad incentivare la promozione della realtà produttiva attraverso la collaborazione tra quest’ultima e quella progettuale di vario genere. La prima edizione di Aperto Vetro del 1996 ha l’obiettivo di fornire un’ampia visione di quello che gli artisti del vetro stanno producendo in quel periodo in tutto il mondo, sia nell’ambito del vetro soffiato che quello della vetrofusione. La presenza di artisti americani, australiani, giapponesi, a fianco ovviamente di quelli europei, restituisce una panoramica dei materiali e delle tecniche che vengono utilizzati nella produzione di vetro artistico che non ha nulla a che vedere con l’artigianato nel senso stretto del termine. L’edizione del 1998 invece, è interamente dedicata al soffiaggio del vetro e alla lavorazione a freddo, tipiche della tradizione muranese. Quest’ultima fornisce una prova evidente della vasta circolazione delle tecniche dell’isola e della capacità dei maestri di aggiornarsi attraverso continue collaborazioni creative. Aperto Vetro 2000, mostra allestita all’interno degli spazi espositivi del Museo Correr (Venezia) e attiva a cavallo tra il 2000 e il 2001, è l’esperimento più riuscito, in tempi recenti nell’ambito veneziano, di interpretare la materia vetro come occasione di discussione sul progetto. Centrali all’indagine costruita intorno al vetro sono le due
12. Maunela Rigon, L’istituito Veneto per il lavoro e la cultura del progetto a Venezia negli anni cinquanta, Tesi di Laurea Magistrale in design del prodotto, relatore Alberto Bassi, Università Iuav di Venezia, Facoltà di Design e Arti, a.a. 2004/2005.
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generazioni di progettisti che si sono occupati della materia e che appartengono a due fondamentali periodi storici riconducibili agli anni successivi all’ultima guerra mondiale, momenti in cui venivano messi in discussione i canoni estetici del passato per giungere a quelli della contemporaneità; il periodo della costruzione, che ha permesso attraverso il forte sviluppo delle tecnologie l’evoluzione della progettualità; il declino del post-moderno ha permesso un vero e proprio ricambio di progettisti sulla scena internazionale. Questa mostra comprende 108 di queste figure di progettisti ed esalta la vitalità e l’originalità della produzione seriale di oggetti della seconda metà del secolo scorso13. “È la storia del design del vetro, ovvero del vetro progettato. Essa, da un lato, si allontana dall’anonimo, in quanto muove da un presupposto di riconoscibilità, riconoscibilità che pure viene talvolta intellettualmente negata dal progettista stesso. Dall’altro lato si allontana dalla conduzione diretta del processo, propria all’artigiano e a volte all’artista, proprio perché postula un progettista (vale a dire un progetto e cioè un’elaborazione precedente la realizzazione) e un esecutore” 14. Attraverso questa esposizione si è tentato di restituire la complessità del lavoro dei progettisti che sono venuti a contatto con il vetro e che sono stati in grado di applicare il progetto alla materia per introdurla nella realtà della produzione seriale. L’obiettivo era certamente quello di individuare personaggi attivi nella modernità nella progettazione del vetro ed esibire i migliori risultati appartenenti alle discipline del design e dell’architettura.
Vetro da Usare, testimone della sperimentazione e del dialogo con le strutture della formazione Altro tipo di esperienza è quella curata da Massimo Brignoni e nel 2011 con il progetto Vetro da Usare che testimonia la sperimentazione e il dialogo con le strutture della formazione. L’obiettivo dell’iniziativa era quello di riattivare “[…] il percorso vitale che mette in relazione il progetto - che è stato molto trascurato a Murano negli scorsi decenni con la perizia artigianale - che in parte è andata perduto”15. Ai 18 designer approdati sull’isola sono state affidate una decina di strutture (fornaci) all’interno delle quali hanno potuto apprendere le nozioni che hanno permesso loro di disegnare e, successivamente realizzare i propri progetti. Massimo Brignoni sostiene che le tecniche artigianali abbiano perso la loro caratterizzazione e forza comunicativa a causa del continuo perpetuarsi degli stessi gesti di produzione non
13. Marco Romanelli, Aperto vetro, Architetti e designer a confronto con il vetro quotidiano, Electa, Milano 2000. 14. Ibidem, cit., p. 11. 15. Massimo Brignoni (a cura di), Vetro da usare. Racconti di design sperimentale. 18 designer incontrano 10 maestri vetrai, Vianello Libri, Venezia 2010, cit.
permettendo la necessaria evoluzione dell’arte applicata attraverso la sperimentazione. L’obiettivo della manifestazione quello di riunire e coinvolgere più designer (il loro bagaglio culturale) e più maestri (le loro capacità tecniche) in un unico progetto con lo scopo di “allargare le prospettive e stimolare i pensieri”. È stata dunque questa un’esperienza pilota per una serie di attività analoghe che, attraverso la collaborazione con le realtà produttive muranesi, potrebbe essere replicata per dar vita ad uno scenario vitale di progettazione e produzione evoluta. “Certo resta da capire come questa, e analoghe operazioni, possano vivere nel mondo reale, sul mercato dell’economia. E allora servirebbero, fra l’altro, buona comunicazione, negozi d’immagine contemporanea, una strategia distributiva e così via”16. Si tratta in ogni caso di un inizio positivo che è espressione di una volontà, quella di comprendere prima e superare poi le esperienze attuali delle fornaci e le competenze dei maestri vetrai.
4.3.2. Tutela e promozione commerciale Promovetro e il suo marchio Promovetro è il Consorzio muranese, nato nel 1985 e patrocinato dalla Confartigianato di Venezia, impegnato a valorizzare l’immagine del vetro artistico dell’isola con l’obiettivo di “conservare, custodire, difendere l’arte millenaria del vetro di Murano, ed al contempo promuovere, valorizzare e curare una corretta commercializzazione nel mondo di questo importante patrimonio culturale”17. È un consorzio di aziende nato per apportare una serie di vantaggi indispensabili soprattutto alle piccole realtà produttive dell’isola. Tali agevolazioni consistono: dal punto di vista commerciale in una maggiore visibilità per le imprese stesse sul mercato nazionale e internazionale attraverso la partecipazione dell’intero gruppo agli eventi fieristici, quali l’importante evento parigino Maison Object (2012), il World Expo di Shanghai (2010) e il MACEF di Milano (20082011); dal punto di vista dei costi, nella possibilità di consorziarsi per l’acquisto delle materie prime e per l’organizzazione dei trasporti. Del consorzio, ad oggi, fanno parte 39 aziende e le associazioni di categoria Confartigianato e Confindustria. Il gruppo di imprese è eterogeneo sia per quanto riguarda la dimensione, sia per il tipo di produzione: dalla realizzazione di semilavorati alla produzione di oggetti in vetro e di apparecchi da illuminazione. Per far parte di tale associazione e beneficiare dei servizi forniti, le imprese versano una quota annuale e si impegnano ad applicare sulla superficie visibile
16. Massimo Brignoni (a cura di), Vetro da usare. Racconti di design sperimentale. 18 designer incontrano 10 maestri vetrai, Vianello Libri, Venezia 2010, cit., pag.9. 17. Sito web Promovetro http://www.promovetro.com, cit.
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dei loro prodotti, un bollino anti contraffazione dotato di un numero identificativo che dovrebbe consentire a chi acquista il prodotto, di conoscerne la provenienza. Proprio per questo motivo è necessario che la sede produttiva delle imprese sia localizzata sul territorio muranese, sono infatti escluse da questa realtà tutte le imprese che sono nate o si sono spostate in terraferma e che nonostante ciò producono vetro artistico. Il marchio, disegnato dall’artista Lazzarini e istituto con legge della Regione Veneto n.70 del 23 dicembre 1994, è gestito interamente da Promovetro e assegnato alle imprese facenti parte del consorzio18. Sembra dunque che gli obiettivi del consorzio siano quelli di promuovere le attività legate alla produzione vetraria e tutelare i prodotti immessi sul mercato certificandone la provenienza. Una delle funzioni di questo consorzio dovrebbe essere anche di monitorare costantemente l’andamento delle attività legate alla produzione vetraria dell’isola in quanto Promovetro risulta essere l’ente, seppur privato, di riferimento19 del portale Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani.
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18. Colloquio con Mattia Mian, segretario del Consorzio Promovetro, presso la sede di Promovetro, in data 06 marzo 2012. 19. Relativamente al reperimento dei dati riguardanti il numero di aziende ubicate sul territorio muranese, il Consorzio non è stato in grado di fornire una serie di dati necessari alla ricerca. Pertanto ci si interroga sull’attendibilità dei dati che figurano sul sito web dell’Osservatorio Nazionale dei Distretti Italiani, dissimili a quelli forniti da COSES e da CC.AA. Venezia.
44. Olga Barmine, EX#02, in collaborazione con Oball per Vetro da usare, 2010
45. Massimo Barbierato, in collaborazione con Striulli per Vetro da Usare, 2010
Un nuovo scenario per Murano
ÂŤTutta l'isola potrebbe diventare un grande centro cultural-commerciale dedicato al vetro di qualitĂ e ospitare avvenimenti culturali importantiÂť. Giovanni Moretti, amministratore dell'azienda Carlo Moretti
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5.1 Il design incontra il distretto
5.1.1. Le caratteristiche che determinano un distretto funzionante Fare rete Uno dei fattori determinanti per la dinamicità di un distretto produttivo, come detto in precedenza è la capacità di costruire una rete1. "Fare rete" significa mettere in relazione diverse realtà produttive presenti sul territorio, ma non solo, determina allo stesso tempo rapporti di collaborazione con le istituzioni come scuole, centri di ricerca e poli universitari, oltre che con enti per la promozione e altri, più strettamente legati all’organizzazione delle forniture e dei canali distributivi. In questo modo le aziende appartenenti al distretto possono godere di vantaggi economici e organizzativi. Questo comportamento determina una maggiore competizione tra le aziende del distretto e un inevitabile aumento della produttività delle stesse, portando tutto il comparto ad essere più competitivo nel mercato globale. Ma d’altro conto, l’eccessiva coesione tra le aziende dello stesso distretto produttivo potrebbe essere un ostacolo all’innovazione, specie quando il localismo diventa una barriera culturale per l’integrazione nel tessuto produttivo di nuovi soggetti, di nuovi saperi e di nuove idee2.
Innovazione tecnologica Il distretto produttivo è dotato di una dinamica concorrenziale che si anima dal proprio interno favorendo la diffusione di ricerca e di innovazione. Quest’ultima, per esempio, può riguardare il processo di produzione e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’innovazione tecnologica si identifica nella presenza di strutture di Ricerca e Sviluppo all’interno delle imprese, il possesso di brevetti e la presenza di eventuali collaborazioni con strutture di ricerca. L’innovazione di processo comprende invece tutte le attività che sono volte al miglioramento delle fasi produttive di un’azienda, secondo diversi aspetti: quello tecnologico, quello della suddivisione del lavoro
1. Vedi par. 1.2.3 2 . Gianfranco Corò, Stefano Micelli (a cura di), I nuovi distretti produttivi: innovazione, internazionalizzazione e competitività dei territori, Marsilio, Venezia 2006.
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e quello dell’impatto ambientale3. L’innovazione tecnologica si verifica quando si implementano le conoscenze produttive attraverso il rapporto con le strutture della ricerca. Proprio per questo le realtà territoriali più vive tendono a diventare luoghi dove la concentrazione di servizi e di intelligenza terziaria si crea e si vende, accumulando e diffondendo conoscenze produttive specializzate. L’innovazione di processo, invece, prevede la frammentazione tecnica del ciclo produttivo che consente la suddivisione del lavoro in fasi specifiche, ognuna delle quali può essere svolta da singole aziende. In questo modo si garantisce la sopravvivenza di tutte le realtà produttive che fanno parte di tale ciclo. Per quanto riguarda l’impatto ambientale, le imprese dovrebbero investire in tecnologie volte ad ottimizzare l’uso di energie e risorse e, inoltre, minimizzare la produzione di rifiuti. In questo modo le imprese maturano un certo livello di responsabilità sociale all’interno del ciclo produttivo. I benefici del rendere verde la filiera sono i seguenti: > Un miglioramento dell’immagine pubblica, un vantaggio competitivo attraverso l’innovazione; > L’aumento dell’efficienza nelle fasi di realizzazione dei prodotti; > Un miglioramento della qualità dei prodotti stessi > Una riduzione del rischio e obiettivi ambientali aziendali coerenti4. In ultima, ma non meno importante, è l’adozione da parte delle imprese delle ITC (Information and Communications Technology). Le ITC sono un insieme di strumenti che favoriscono l’integrazione tra soggetti tramite le tecnologie di rete. La rete internet infatti, si è affermata come canale di comunicazione principale permettendo: > La diffusione di dati su reti di comunicazione estese; > Di utilizzare sistemi di ricerca all’interno di archivi elettronici; > Di comunicare con numerosi soggetti attraverso sistemi di messaggistica di varia natura e complessità5; > L’adozione di nuove forme di marketing, pubblicità e promozione.
Il progetto Il rapporto tra imprenditore e progettista ha determinato il successo dell’apparato produttivo italiano6. Ancor più di ieri, la figura del designer è in grado, oggi, di affrontare il sistema dei prodotti dalla loro progettazione alla dismissione e l’investimento nel progetto da parte delle aziende diviene fondamentale. Oggi i designer più avveduti possiedono un bagaglio
3. Maurizio Mistri, Il distretto industriale marshalliano tra cognizione e istituzioni, Carocci, Roma 2006. 4. Ilda Mannino, Ten Center – Viu, rapporto L’economia della sostenibilità, presentato in una lezione del corso di Analisi competitiva internazionale e gestione delle reti di Stefano Micelli, Univesità di Ca’Foscari di Venezia, nel 2010. 5 . Ibidem. 6. Vedi par. 1.2.2
culturale complessivo che gli permette di dialogare con le imprese: si occupano di progettazione, tecnologia, comunicazione ed economia. Sono dei grandi connettori di mondi e uomini di sintesi capaci di fornire un contributo globale alle imprese.
Le istituzioni Come già enunciato (paragrafo 1.1.2) il distretto necessita della presenza di istituzioni locali formali e informali fondamentali7 per la formazione di un “retroterra socioculturale”8 che serve all’imprese per confrontarsi con il mercato esterno. D’altra parte svolgono un ruolo importante anche quelle istituzioni come musei e archivi d’impresa che si occupano della conservazione e della valorizzazione della memoria e della promozione della produzione contemporanea.
5.1.2. Considerazioni a proposito del distretto Murano Alla luce delle considerazioni fatte, Murano non risponde alle caratteristiche ideali per il buon funzionamento di un distretto produttivo. Murano dopo aver operato per secoli in una sorta di monopolio culturale e produttivo, oggi vive un disagio strutturale molto pesante strettamente legato alla dimensione insulare, agli inevitabili costi di trasporto via acqua, all’arretratezza degli impianti che non consentono ai produttori di adattarsi in maniera ottimale alle regolamentazioni ambientali sempre più restrittive. Murano è tutt’ora ancorata ad una conformazione fortemente artigianale, che determina nelle imprese un atteggiamento particolarmente individualistico e non permette alle stesse di formare delle reti. Trattandosi di un distretto artigianale, dove nella maggior parte dei casi ogni azienda produce la materia prima, il vetro, per la realizzazione dei propri manufatti, è molto difficile che avvenga la suddivisione delle fasi di lavorazione. Per questo, a differenza di un distretto industriale dove la realizzazione delle componenti di un prodotto complesso viene affidata a più terzisti, nel caso muranese ciò si verifica soltanto quando le imprese eseguono i loro prodotti partendo da semilavorati, quali canne, murrine, graniglia e cotisso. Lo sviluppo tecnologico del comparto del vetro ha interessato principalmente i forni. A partire dal dopoguerra la fusione della materia prima avviene mediante la combustione a gas metano che permette il raggiungimento di più alte temperature, e più recentemente,
7. Vedi par. 1.1.2 8. Giacomo Beccatini, Dal distretto industriale allo sviluppo locale. Svolgimento e difesa di un’idea, Bollati Boringheri, Torino 2000.
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sono stati introdotti dei recuperatori di calore che riducono i costi energetici. Da un punto di vista prettamente produttivo degli oggetti, nel corso dei secoli, non sono avvenute innovazioni significative.
Considerazioni sulla logistica “Sia l’approvvigionamento di materie prime che la distribuzione dei prodotti finiti, hanno continuato a realizzarsi a livello individuale, senza che si sia manifestato un reale sforzo per creare delle infrastrutture anche minimali di trasporto e di stoccaggio, tanto più necessarie quanto più i costi sono maggiori per un’isola”9. L'affermazione mette in luce uno dei problemi più evidenti del comparto: il trasporto delle merci avviene da sempre in maniera individuale, il che sta a significare che ogni azienda si auto organizza con i propri fornitori. Verrebbe spontaneo chiedersi perché un gruppo di più di un centinaio di realtà produttive concentrate nello stesso territorio, e aventi bisogno dello stesso (o quasi) tipo di materiale, non abbiano e un’organizzazione comune e razionale dei trasporti. COSES ha studiato un progetto (progetto di pre-fattibilità di una piattaforma logistica in Sacca San Mattia)10 che prevede la costruzione di una piattaforma logistica intermodale con delle aree di stoccaggio a monte del sistema localizzate a San Giuliano o a Tessera in terraferma e il terminal di Murano a Sacca San Mattia. Diversamente dai tradizionali nodi di traffico, all’interno di questa piattaforma logistica, “la merce viene trattata, manipolata, trasformata e instradata mediante complesse tecniche di material handling”11: la merce subisce dei veri e propri trattamenti quali il finissaggio, il montaggio di componenti, e i controlli di qualità. Si tratta dunque di operazioni di quasi manufacturing, affiancate dall’appoggio fornito dalle tecnologie di automazione e soprattutto di rete attraverso i sistemi di tracking e tracing che consentono la tracciabilità del prodotto in tutte le fasi della filiera. Nei distretti industriali, dunque, è necessario effettuare un forte investimento in cultura logistica, spostando l’attenzione dalle infrastrutture di trasporto alla costruzione delle interfacce logistiche all’interno delle imprese del comparto, che saranno in grado di dialogare con un macro sistema attraverso la rete.
9. Andrea Tosi (a cura di), La memoria del vetro. Murano e l’arte vetraria nelle storie dei suoi maestri, Marsilio, Venezia 2006, p. 20. 10. Pierpaolo Favaretto (a cura di), doc. COSES, Doc. 210 - Comune di Venezia, progetto di prefattibilità di una piattaforma logistica in Sacca San Mattia (isola di Murano), aprile 1999 p.13. 11. Pierpaolo Favaretto (a cura di), doc. COSES, Doc. 210 - Comune di Venezia, progetto di prefattibilità di una piattaforma logistica in Sacca San Mattia (isola di Murano), aprile 1999 p.41.
Considerazioni sulla produzione Sono stati analizzati i dati relativi al numero di unità locali produttive e addetti impiegati nella produzione del vetro12. Si riscontra, negli ultimi trent’anni, un aumento progressivo del numero di aziende (62%) e parallelamente una drastica diminuzione del numero di operai (45%). Posto che la produzione non è automatizzata e che il numero di lavoratori è diminuito sensibilmente nel corso degli anni, il dato relativo all’aumento progressivo delle unità locali è facilmente riconducibile alla presenza di esercizi commerciali che si dedicano alla produzione di piccoli oggetti in vetro probabilmente realizzati attraverso la tecnica a lume, ma non solo, in rapporto all’aumento dei flussi turistici, si deduce che, con ogni probabilità, non tutto il vetro che viene venduto a Murano e a Venezia viene realizzato in ambito lagunare.
Considerazioni sulle istituzioni Quando si tenta di fare un’analisi di un distretto complesso come quello del Vetro Artistico di Murano è importante approfondire quale sia stato il ruolo delle istituzioni che si sono formate storicamente al suo interno. Parliamo dunque di istituzioni scientifiche e culturali che hanno permesso al distretto di svilupparsi e di proiettarsi verso l’esterno, attraverso la promozione e la tutela della sua produzione13. Nel momento in cui queste istituzioni hanno sostenuto il distretto attraverso una linea d’azione unitaria si sono registrate delle risposte positive da parte di tutto il comparto. I momenti storici favorevoli hanno alimentato la possibilità di sperimentare e di collaborare con figure professionali fino a quel momento estranee alla fornace, permettendo al progetto di intervenire e determinare quello che è stato il futuro del vetro: l’approccio di tipo industriale viene applicato alla produzione artigianale per la realizzazione in serie di oggetti d’uso. Avviene, dunque, una mediazione da parte del progetto, tra il pensare industriale e il fare artigianale. Le strutture storiche, i capisaldi della conoscenza che si sono costituiti a Murano a cavallo tra ottocento e novecento sono ancora attive sul territorio. Non sono però riuscite a mantenere la loro valenza, a fungere da primo collante per quella che dovrebbe essere la rete in grado di far funzionare il sistema distrettuale, ma soprattutto di mantenere al centro del loro punto di vista la valorizzazione di una progettualità unica al mondo: quella che lega la materia vetro alla disciplina del disegno industriale. La scarsa visibilità del museo del vetro14 e complessivamente gli aspetti
12 Vedi par. 2.3.1 13. Vedi par. 4.1.1 e 4.3.1 14 . Vedi par. 2.3.4
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Un nuovo scenario per Murano
culturali connessi a questa antica arte produttiva sono sicuramente temi decisivi su cui riflettere e agire per un rilancio del distretto produttivo. “È dunque nelle capacità di generare reddito attraverso i siti culturali che a Venezia, come nel resto d’Italia, si riscontrano i più ampi margini di crescita. Il problema non sta tanto nel rapporto tra visitatori complessivi della città e i fruitori culturali, quanto nella relazione che il mondo culturale riesce ad instaurare al suo interno tra fruizione e produzione (laddove le stesse siano separate) in tutte le sue forme, compreso l’artigianato artistico originale e di qualità, nonché delle connessioni che le stesse istituzioni instaurano tra loro e con il resto del tessuto socioeconomico cittadino”15. Non vanno dimenticati inoltre gli archivi delle aziende, sia storiche che attive. Un ingente patrimonio – che potrebbe utilmente essere posto a servizio del distretto – pressoché dimenticato se non per qualche recentissimo progetto come quello iniziato dalla Fondazione Giorgio Cini16. Nel territorio lagunare sono presenti delle strutture dedicate alla formazione, come l’Università Iuav di Venezia con i Corsi di laurea in Design che si occupa della formazione dei progettisti e la Scuola Abate Zanetti che invece, in qualche modo, tenta di formare le nuove maestranze della lavorazione del vetro. Nonostante entrambe le strutture siano attive sul territorio, esse non riescono a stabilire punti di contatto, fatta eccezione per qualche sporadico progetto, con la realtà produttiva muranese.
192 Considerazioni sui dati del turismo Tutte le attività, a Venezia come a Murano, sono volte al turismo e agiscono su scala sovra locale, rispondendo alle massicce domande attraverso offerte che spesso sono di bassa qualità. I luoghi turistici più importanti di Venezia sono costipati da bancarelle di souvenir, ristorantini, bar e caffetterie che spesso offrono cibi precotti, esercizi commerciali che vendono maschere e vetri spesso di qualità modesta. L’offerta è sempre in grado di creare la propria domanda: ogni venditore è anche compratore. La legge degli sbocchi di Jean Baptiste Say17 (1767 - 1832) enuncia come l’offerta crei la propria domanda, ed è proprio questo il punto saliente. Lo scenario della Venezia museo è purtroppo dovuto a delle politiche sbagliate e alla bassa
15 . Santoro Giovanni, Venezia e l’opportunità di musei e siti culturali, in Turismo e reddito, La Nuova Venezia, 9 marzo 2012. 16 . Vedi par. 4.1.4 17 . "Jean-Baptiste Say, economista (Lione 1767 - Parigi 1832), È comunemente noto come divulgatore delle teorie di A. Smith, ma in realtà ha dato anche contributi personali alla scienza economica, soprattutto analizzando le funzioni dell’imprenditore, vedendo nella produzione una creazione di utilità, formulando una positiva teoria delle crisi e arrivando alla configurazione di un equilibrio economico regolato dai meccanismi di mercato. Opere principali: Traité d’économie politique (2 voll., 1803) e Cours complet d’économie politique pratique (6 voll., 1828-29). Importanti anche le lettere in Oeuvres (Collection Guillaumin, 1840-48)", Enciclopedia Treccani on line http://www.treccani.it/enciclopedia/jean-baptiste-say/, cit.
qualità dell’offerta e, automaticamente ne consegue che la domanda è inevitabilmente di mediocre qualità. In conclusione si può affermare che l’attività turistica in ambito lagunare è la struttura portante dell’economica di questo territorio, alla quale non si può rinunciare. Gli obbiettivi che si dovrebbero perseguire sono essenzialmente due: il primo riguarda il tentativo di diversificare, per quanto possibile, le attività economiche presenti a Venezia e nelle isole, puntando soprattutto sui settori della ricerca e della cultura; in secondo luogo, nello specifico, per quanto riguarda il distretto produttivo del vetro, è necessario che venga fatta una più importante attività di costruzione di una domanda qualificata, attraverso le strutture educative esistenti, che hanno il primo caposaldo nel museo, in modo tale da formare dei turisti consapevoli e informati capaci di apprezzare e riconoscere prodotti di qualità. Il turismo di massa e i conseguenti prodotti di basso livello, che con ogni probabilità sono inevitabili, devono poter coesistere con un turismo di qualità capace di innescare un rapporto virtuoso con le attività artigianali e industriali di alto profilo, non costituendo un ostacolo allo sviluppo di tale realtà
5.1.3. Ipotesi per un nuovo distretto del vetro Si è cercato di riconfigurare l’organizzazione distrettuale e per far questo si sono prefigurati una serie di obiettivi: > favorire l’interazione fra le diverse realtà produttive; > attuare un dialogo continuativo con la cultura del progetto; > assicurare la qualità e l’unicità del prodotto artigianale; > abbassare i costi di produzione e di smaltimento dei rifiuti; > attuare politiche ambientali per il recupero energetico; > costruire un’identità complessa e ben strutturata del distretto; > generare un dialogo tra le istituzioni (conservazione e formazione) e la parte produttiva del distretto. Per avvicinarsi agli obiettivi appena elencati si è giunti all’ipotesi di localizzare l’apparato gestionale e produttivo del nuovo distretto in un’area prestabilita, Sacca Serenella, isola situata a ovest di Murano, terra di recente imbonimento che nasce nel periodo tra le due guerre come discarica. Ad avvalorare questa tesi è innanzitutto il progetto del Comune di Venezia, avviato all’inizio degli anni novanta, che prevedeva una serie di opere di infrastrutturazione dell’area di Sacca Serenella18. Il recupero dell’isola doveva avvenire attraverso una serie di azioni quali l’insediamento delle attività produttive tradizionali. Il progetto comprendeva anche la realizzazione di una piattaforma attrezzata per lo stoccaggio provvisorio e il primo trattamento dei rifiuti speciali,
18. Bruno Cassetti, Luigi Zeno, Matteo Negro, Infrastrutturazione di Sacca Serenella, in “Insula Quaderni”, 19, Venezia giugno 2004, pp. 37-40
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46. Si evidenzia l'area di Sacca Serenella e si segnala la localizzazione attuale delle aziende
opere a servizio del distretto produttivo del vetro artistico.19 Negli stessi anni Giovanni Moretti, insieme ad altre due grandi aziende muranesi come Venini e Barovier&Toso, ipotizzava lo spostamento della produzione in terraferma20 in modo da ridurre gli ingenti costi di fusione della materia prima - mediante l’utilizzo di un forno industriale -, dell’approvvigionamento delle materie prime e dei trasporti. Contrariamente a quanto sostiene Moretti, si ritiene che questo progetto debba nascere e svilupparsi nel contesto muranese, in quanto è più semplice mantenere il controllo di un comparto produttivo situato in un’area delimitata e di piccole dimensioni. Inoltre appare necessario salvaguardare un patrimonio storico culturale presente da secoli a Murano. In sintesi, riprendendo le parole di Dario Stellon, Project Manager dell'azienda Salviati, è necessario che il territorio riprenda vita attraverso una produzione più etica e una forte comunicazione della stessa. Il distretto dovrebbe ripartire dal punto di vista culturale, realizzando dei progetti in grado di dimostrare che Murano riesce non soltanto a conservare, ma altrettanto a far evolvere la sua cultura millenaria: un’immensa eredità. È necessario procedere ad un’educazione al prodotto in vetro, sia di chi lo produce che di chi lo vende. Nel momento in cui verrà a crearsi un consorzio etico e autocertificato, il cliente potrà acquistare con garanzia di qualità una vera e propria esperienza, non un semplice prodotto. Il pezzo trasmetterà la storia attuale della realtà produttiva di Murano21.
La configurazione del nuovo distretto Il distretto contiene all’interno della stessa grande struttura due settori: il primo è legato alla produzione e al suo interno vi sono diversi spazi dedicati alla progettazione e lavorazione del vetro, alla realizzazione degli stampi e degli utensili. Il secondo settore, legato alla comunicazione dell’identità distrettuale, conta al suo interno diversi servizi quali la tracciabilità, la promozione e la distribuzione dei prodotti in vetro realizzati nel distretto. Esso si occupa di mettere in contatto le competenze, quali imprenditori, progettisti e artigiani, tutti attori fondamentali per la produzione di manufatti in vetro. Per la costruzione di questo meccanismo sono state selezionate le aziende che hanno investito costantemente nel rapporto con il progetto e che proprio grazie a questa direzione vengono definite22 aziende leader. Nel nuovo distretto esse entrano in contatto con i progettisti
19. Vedi sito web http://www.insula.it/index.php/interventi/interventi-edilizia/ murano/478-infrastrutturazione-di-sacca-serenella 20. Bruno Cassetti, Luigi Zeno, Matteo Negro, Infrastrutturazione di Sacca Serenella, in “Insula Quaderni”, 19, Venezia giugno 2004, pp. 37-40. 21. Colloqui con Dario Stellon, Project Manager dell'azienda Salviati in data 18 luglio 2012. 22 . Vedi par. 2.1.1
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Un nuovo scenario per Murano
e si servono delle aziende minori23 per la realizzazione dei manufatti progettati. In questo modo il designer può sfruttare le diverse competenze e specializzazioni sedimentate nelle realtà produttive minori, aumentando sensibilmente il suo raggio di azione progettuale. Ora, a differenza del passato, può entrare in contatto con tutte le maestranze presenti sul territorio e non soltanto con i maestri vetrai dell’azienda per la quale progetta. Le aziende minori costituiscono in questo modo un vero e proprio bacino di capacità artigianali al quale si può attingere. Così facendo si attua il processo di divisione del lavoro in cui le aziende minori non sono altro che i terzisti per i progetti sviluppati dalle aziende leader con il contributo del designer. Il nuovo distretto progetta, produce, tutela, comunica, promuove e vende oggetti in vetro.
L'area produttiva del distretto del vetro
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Cuore centrale della produzione è il forno fusore, forno industriale per la fusione del vetro che consente di produrre la materia prima, che successivamente verrà distribuita in diverse fornaci e lavorata dalle maestranze24. Le parole di Giovanni Moretti dimostrano come l’adozione di questo forno industriale sia indispensabile per ridurre i costi di produzione della materia prima e aumentarne la qualità. Il distretto, in questo modo, offre un servizio di fornitura continua, in loco, a tutte le aziende presenti sul territorio. “Trovo assurdo pensare che, ad esempio, tre vetrerie quali Venini, Barovier & Toso, Carlo Moretti (che si trovano locate nel rio dei vetrai, a poca distanza una dall’altra), abbiano dei maestri fonditori che ogni sera fanno lo stesso lavoro ma separatamente. Si potrebbe ottenere invece un notevole risparmio in termini di costi e di qualità adottando un diverso sistema di produzione: anziché rifornirsi di materie prime per fare la fusione in proprio, ogni vetreria potrebbe acquistare il veto già fuso, proveniente da un unico forno industriale gestito da una società esterna. Dopodiché, il vetro fuso potrebbe essere pensato, in modo da attribuire a ciascuna azienda i relativi addebiti di costo”25. All’interno dello spazio dedicato alla produzione sono presenti un certo numero di fornaci che verranno sfruttate in primo luogo per la produzione dei progetti del distretto. Mentre, per quanto riguarda progetti esterni ad esso, le stesse fornaci vengono affittate ad utenti esterni (aziende o privati). In questo modo si garantisce la produttività dei forni che verranno impegnati giorno e notte, consentendo a chi
23 . Vedi par. 2.1.1 24. Giovanni Moretti, discorso tratto dalla conferenza tenuta alla Camera di Commercio di Venezia, I due volti del vetro, tra memoria e innovazione, in Settimana della cultura d’impresa. La cultura del cambiamento, Venezia, 20 novembre 2012. 25. Giovanni Moretti, discorso tratto dalla conferenza tenuta alla Camera di Commercio di Venezia, I due volti del vetro, tra memoria e innovazione, in Settimana della cultura d’impresa. La cultura del cambiamento, Venezia, 20 novembre 2012.
non ha a disposizione una struttura produttiva di realizzare piccole produzioni. Infatti, come testimonia Giovanni Moretti, “un ulteriore vantaggio economico verrebbe ottenuto da un’organizzazione continua del lavoro sulle ventiquattro ore. Ciascuna azienda potrebbe occupare a rotazione lo stesso forno, organizzando il proprio turno. Una rivoluzione per il nostro mondo chiuso e geloso ma, a mio parere, un cambiamento inevitabile”26. Dal momento che molte delle aziende minori sceglieranno, per convenienza, di utilizzare gli spazi comuni del distretto per produrre, molte fornaci verranno dismesse e potranno divenire spazi destinati alla cultura o alla promozione del vetro. “Se la proposta di una lavorazione ‘congiunta’ si potesse realizzare si renderebbero disponibili gli spazi oggi dedicati alla produzione, che potrebbero essere trasformati in musei d’impresa per le aziende con la storia più significativa. Ad essi si potrebbero annettere spazi dedicati alla vendita dei prodotti, inserendoli in un progetto comune che promuova il sito Murano”27. All'interno dell'area produttiva è fondamentale che sia presente un luogo di progettazione e realizzazione degli stampi e degli utensili, che nella tradizione muranese sono realizzati principalmente in legno di pero e metallo. È indispensabile che questi due laboratori siano a stretto contatto con le fornaci in modo da consentire un dialogo costante e diretto con il progetto e le fasi di sperimentazione. Inoltre è presente l’ufficio tecnico, il luogo di supporto del designer all’interno del quale confluiscono tutte le competenze tecniche e soprattutto artigianali che provengono dai maestri vetrai, dai falegnami che producono gli stampi e gli utensili, inoltre è il luogo dove i diversi progettisti possono mettere a confronto le proprie esperienze. A seconda del tipo di progetto che il designer propone al produttore, nella struttura del nuovo distretto, egli trova, facilmente reperibili, quelle maestranze tecniche più appropriate per la realizzazione del proprio prodotto28.
26 . Giovanni Moretti, discorso tratto dalla conferenza tenuta alla Camera di Commercio di Venezia, I due volti del vetro, tra memoria e innovazione, in Settimana della cultura d’impresa. La cultura del cambiamento, Venezia, 20 novembre 2012. 27. Giovanni Moretti, discorso tratto dalla conferenza tenuta alla Camera di Commercio di Venezia, I due volti del vetro, tra memoria e innovazione, in Settimana della cultura d’impresa. La cultura del cambiamento, Venezia, 20 novembre 2012. 28 . Vedi manuale per il progetto del vetro
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47. la nuova configurazione del distretto del vetro di Murano
aziende leader
progettisti interni ed esterni al distretto
amministrazione del distretto
ufficio comunicazione ufficio distribuzione
show-room ufficio tracciabilitĂ
ufficio tecnico forno fusore
laboratorio di produzione stampi e utensili unitĂ produttive
aziende minori
Un nuovo scenario per Murano 200
L'area tutela e comunicazione del distretto del vetro È il uogo dove vengono amministrate le attività di monitoraggio della produzione. La tracciabilità dei prodotti interessa tutte le fasi del processo, dalla sperimentazione alla vendita. Essa avviene attraverso una continua, ma non invasiva, raccolta di dati multimediali necessari alla costruzione di una vera e propria identità di ogni singolo pezzo. Mediante le tecnologie della Computer Vision è possibile innanzitutto garantire l’autenticità degli artefatti durante tutto il loro ciclo di vita, ma soprattutto consentire all’utente di accedere ad una serie di informazioni che dimostrano l’unicità del prodotto, dandogli un valore aggiunto. I prodotti generati dal distretto vengono esposti all'interno di uno spazio dedicato alla commercializzazione. I manufatti sono resi riconoscibili grazie ad un’immagine coordinata di forte impatto, progettata dall’ufficio comunicazione che si occupa anche di promuovere le attività svolte all’interno della struttura. Inoltre cura la sezione editoriale riguardante le pubblicazioni sul vetro. All'interno della sezione comunicazione e promozione è presente uno spazio che si occupa dell’imballaggio e della spedizione dei prodotti nei diversi punti vendita e gestisce la sezione di e-commerce del distretto. La struttura distrettuale necessita di un organo di controllo, l'ufficio amministrativo del distretto, il quale monitora le attività presenti nella struttura e organizza i turni di occupazione delle fornaci, gli eventi e la partecipazione alle fiere. In questo nuovo contesto produttivo le istituzioni presenti nel territorio sono coinvolte nei confronti di tutte le attività distrettuali, diventando così enti promotori del meccanismo. Il museo del vetro diventerà il luogo di esposizione della produzione contemporanea del distretto, insieme al patrimonio storico conservato. In questo modo la produzione contemporanea sarà apprezzata non solo dai collezionisti ma anche dal grande pubblico. Oltre all’istituzione museale pubblica verranno valorizzati tutti quegli archivi aziendali presenti nell’isola e che fanno parte di un grandissimo patrimonio culturale ora poco visibile. “In sintesi tutta l’isola verrebbe trasformata in un grande centro cultural-commerciale dedicato al vetro di qualità dove potrebbero essere ospitati eventi culturali importanti. […] Dobbiamo promuovere eventi di grande valore culturale facendo rinascere ‘Venezia Aperto Vetro’ – mi riferisco alle edizioni del 1996 e del 1998 – ed impegnarci nella valorizzazione del nostro patrimonio rimettendo in competizione aziende ed artisti come ai tempi della partecipazione di Murano alle Biennali d’arte, sperando che così si possa dare un futuro a questa realtà straordinaria e irripetibile al mondo”29.
29 . Giovanni Moretti, discorso tratto dalla conferenza tenuta alla Camera di Commercio di Venezia, I due volti del vetro, tra memoria e innovazione, in Settimana della cultura d’impresa. La cultura del cambiamento, Venezia, 20 novembre 2012.
La scuola Abate Zanetti si dedica alla formazione delle future maestranze, insegnando le tecniche e garantendo la presenza delle competenze manuali, che si stanno perdendo. La Stazione Sperimentale del vetro deve fornire la base scientifica che consente al progettista nuove strade sperimentali. Infine, l’università Iuav di Venezia, che forma la nuova generazione di progettisti deve instaurare un continuo dialogo con il distretto, attraverso corsi accademici, workshop e tirocini formativi presso la struttura. In questo modo si gettano le basi per delle piÚ durature collaborazioni tra aziende e progetto.
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fonte delle immagini
215
Immagine di copertina di Matteo Stocco e Matteo Primiterra
1-2.
Grafiche di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
3-4.
Immagini tratte dal sito web http://www.levaggisedie.it/
5.
Grafica di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
6.
Grafica di Daniele Savasta
7.
Grafica di Laura Pison, Orsetta Rocchetto e Daniele Savasta
8. Immagine tratta dal sito web http://www.ntq-data.com/it/i- 90-anni-di-venini-in-mostra.html 9. Scansione dell'immagine dal catalogo della mostra Venini 1932-1947. 10. Scansione dell'immagine dal catalogo della mostra Venini 1932-1947. 11. Immagine tratta dal sito web http://fuorisalone.it/2011/ presses/detail/127 12. Immagine tratta dal sito web http://www.ilridotto.info/it/ content/il-centenario-di-egidio-costantini
13.
14.
Immagine tratta dal sito web http://www.mbam.qc.ca/ collections/art-decoratifs-design/-/art/details/MIMSY_ID_54891 Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
15-18. Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto 19-24. Grafica di Laura Pison e Orsetta Rocchetto 25.
Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
26.
Scansione dell'immagine dal volume Aperto Vetro 2000
27-28. Materiale fornito da Federico Bovara, AUT 29.
Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
30. Immagine tratta dal sito web http://tomatojuice.style .it/2012/10/26/la-luce-e-vita-ipse-dixit-alberto/
216
31. Immagine tratta dal sito web http://www.archiexpo.it/prod/ barovier-toso/lampadari-in-stile-cristallo-67912-482880.html 32-33. Immagine tratta dal sito web http://www.barovier.com 34.
Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
35-37. Materiale fornito da Marina e Susanna Sent 38.
Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
39.
Grafica di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
40.
Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
41-42. Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto 43.
Fotografia di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
44-45. Scansione delle immagini dal volume Vetro da usare 46-47. Grafica di Laura Pison e Orsetta Rocchetto
ringraziamenti
Alberto Bassi, Fiorella Bulegato, Massimo Barbierato, Michele Zannoni Alessio Abdolahian, Fabiano Amadi, Osteria Ai Cacciatori-Murano, Caterina Barbero, Olga Barmine, Diego Basset, Michele Basso, Riccardo Berrone, Angela Bettega, Francesco, Annamaria e Giuseppe Bonifaci, Michela Bortolozzi, Eugenia Bortoluzzi, Alessandra Bosco, Federico Bovara, Massimo Bovi, Massimo Brignoni, Mirco Cadamuro, Fabio Carnio, Luca Casarotto, Ruggero Castagnola, Roberta Cazzola, Rosa Chiesa, Enrico Coniglio, Luca Coppola, Pietro Costa, Irma Da Lio, Gianluigi Dei Tos, Lisa Della Valentina, Alberto De Simone, Ferruccio Dilda, Margherita Donà , Maria Ianiri, Federica la bibliotecaria, Fornace L’Anfora, Fabio Fornasier, Elena Foscolo, Giovanni Gigante, Guido Guerzoni, Antonio Jannoni, Mathilde Jaquet, Corrado Loschi, Serena Luce, Carlo Magnani, Angela Marigo, Giada Marin, Filippo Mastinu, Massimo Mazzanti, Elisa Medici, Matteo Messinese, Simona Merlo, Mattia Mian, Ilaria Montanari, Giovanni Moretti, Norberto Moretti, Eugenia Morpurgo, Gaddo Morpurgo, Giorgio Murer, Luca Murer, Lorenzo Napoli, Fabio Nucatolo, Fabio e Michele Onesto, Resi Pavei, Andrea Pertoldeo, Cinzia Pierobon, Isabella Pierobon, Luca Pilot, Francesco Pison, Andrea Pison, Elena Pison, Riccardo Pison, Matteo Primiterra, Simona Profumo, Ramin Razani, Stefano Rocchetto, Luigi Rocchetto, Achille Rossi, Stefano Rovai, Vladimiro Rusca, Carlotta Sapori, Daniele Savasta, Marisa Scarso, Orsola Segantin, Martina Semenzato, Marina e Susanna Sent, Chiara Squarcina, Dario Stellon, Matteo Stocco, Alberto Striulli, Federico Tedeschi, Matteo Torcinovich, Gabriele Urban, Enrico Zardinoni, Marco Zito.