Distretto, vetro e progetto L’errore progettato. Quando la variazione determina l’unicità di Laura Pison
Distretto, vetro e progetto L’errore progettato. Quando la variazione determina l’unicità di Laura Pison
indice
0. Obiettivi
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1.
La tracciabilità
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2.
Tecnologie al servizio della tracciabilità
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Sistemi di identificazione ottica | Tecnologia RFID | Microtaggants |
Upconverting Nanoparticle Inks | Incisioni nanometriche
3.
Etichette per Murano
Consorzio Venezia Vetro | Consorzio Promovetro | Progetto Novarex |
Sigillo Informatico
4.
La segnatura del vetro
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5.
Nuovi strumenti per un processo che non cambia
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6.
La variabile artigianale
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7.
Acquisire l’errore
85
8.
Restituire l’errore
35
L’incisione | La murrina
105
L’incisione | La murrina nello show-room | La murrina nei device portatili
Biliografia
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Sitografia
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Fonte delle immagini
obiettivi
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La parte generale della tesi analizza il funzionamento e l’organizzazione delle diverse forme dei distretti produttivi italiani. Più approfonditamente è stato indagato il comparto del vetro di Murano con l’obiettivo di definire quelle proposte in grado di costruire uno scenario in cui le capacità produttive dell’isola siano rivitalizzate. Lo scenario delineato prevede la ricollocazione, in base alle loro competenze, delle diverse aziende presenti nel territorio in unico luogo condiviso che gestisce sia il settore produttivo, sia quello comunicativo-distributivo. Rispetto all’ipotesi progettuale avanzata di una nuova struttura distrettuale, questa tesi vuole approfondire la parte relativa alla tracciabilità dei prodotti in vetro realizzati a Murano. Gli obiettivi di cui questo progetto si interessa sono molteplici. In primo luogo è necessario fornire gli strumenti per garantire l’autenticità e l’unicità dei prodotti, valorizzare un processo produttivo unico al mondo e attivo da più di mille anni e comunicare il ritrovato interesse nella progettazione del vetro per attuare una ricostruzione dell’identità distrettuale e delle sue produzioni. Il distretto di Murano, con questa nuova configurazione, avrà una forte necessità di comunicare al pubblico il processo di creazione durante la realizzazione manuale di un vetro, ogni volta differente dal precedente. Valorizzare la presenza di progetto e di forte interazione tra i diversi attori del distretto (imprenditori, designer, maestranze) significa portare la qualità della produzione ad un livello superiore a quello attuale, determinando una maggiore difficoltà di contraffazione. Altrettanto importante è fornire all’utente una garanzia di autenticità e unicità attraverso una documentazione puntuale delle fasi di produzione di ogni singolo prodotto artigianale, soltanto in questo modo si percepisce l’unicità di ciò che ha
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la grafica evidenzia la parte del distretto legata alla tutela e alla commercializzazione dei prodotti del distretto e sviluppata in questo progetto. [0]
Distretto, vetro e progetto
acquistato: un pezzo unico creato da una manifattura d’eccellenza. Si suggerisce infatti un approccio alla questione della tutela dei prodotti muranesi esaltando il carattere principale delle produzioni artigianali in genere: la specificità di ognuno dei singoli prodotti realizzati grazie al know-how della manodopera. L’errore, inteso come imprecisione che scaturisce dalla realizzazione manuale di un oggetto, viene identificato in questo progetto quale elemento garante di unicità, che consente di identificare in maniera univoca un prodotto realizzato dal distretto e raccontarne la progettazione, la sperimentazione e la realizzazione. In questo progetto quindi si cerca di fare una panoramica delle tecniche di tracciatura che oggi vengono utilizzate nel processo produttivo artigianale del vetro di Murano, analizzando i progetti avviati in questi ultimi anni con l’obiettivo di tutelare gli artefatti in vetro e, infine, illustrando il processo del vetro e le fasi in cui il design, con l’aiuto della tecnologia, interviene per renderne attuabile la tracciabilità.
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la tracciabilità
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La rintracciabilità dei prodotti è la capacità di ricostruire la storia e di seguire l’utilizzo di ogni prodotto, singolarmente e materialmente identificabile, attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione mediante identificazioni documentate relativamente ai flussi materiali e agli operatori di filiera1. I termini tracciabilità e rintracciabilità sono spesso utilizzati come sinonimi anche se hanno due significati che identificano due processi opposti: la tracciabilità, tracking [1], è il processo che segue il prodotto dall’inizio alla fine della sua filiera e fa in modo che ad ogni fase vengano rilasciate delle informazioni, necessarie alla ricostruzione della storia del prodotto finale; la rintracciabilità, tracing [2], invece, è il processo inverso che raccoglie le tracce lasciate dal processo di tracking. Nel primo caso è importante individuare le informazioni che devono essere rilasciate durante le fasi di processo, mentre nel secondo si tratta principalmente di evidenziare lo strumento tecnologico più idoneo a rintracciarle2. Tracciabilità e rintracciabilità sono parte del medesimo sistema e strettamente connesse tra di loro. In base al tipo di processo produttivo preso in considerazione si parla di tracciabilità interna e tracciabilità di filiera. La prima si occupa di procedure interne alle singole aziende, specifiche di ciascuna realtà produttiva, che permettono di risalire alla provenienza dei materiali, al loro uti-
1. La norma ISO 8402 ed. 1994 rappresenta le “Tecniche ed attività a carattere operativo messe in atto per soddisfare i requisiti per la qualità”. 2. s.n., Fondamenti dei sistemi di tracciabilità nell’agroalimentare, Indicod, Istituto per le imprese di beni di consumo, Milano gennaio 2003.
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lizzo e alla destinazione dei prodotti finiti. La tracciabilità di filiera è un processo inter-aziendale che risulta dalla combinazione dei processi di tracciabilità interna a ciascun operatore della filiera con il contributo di efficienti flussi di comunicazione tra le imprese della stessa filiera. Tale processo è molto complesso poiché richiede la partecipazione di ogni singolo soggetto che abbia contribuito alla generazione del prodotto in questione. La tracciabilità quindi è uno strumento essenziale per la gestione della qualità, sia perchè permette di seguire il prodotto in tutte le fasi della sua produzione, sia per il controllo dei processi, consentendo di razionalizzarne i flussi, migliorarne la logistica e, di conseguenza, ridurre i costi. Posto che essa si basa sulla rilevazione e registrazione di informazioni che descrivono il processo di formazione e trasformazione del prodotto, gestire tale processo significa scegliere quali informazioni devono essere registrate nel corso dell’intera filiera. Da un punto di vista teorico è necessario raccogliere, attraverso un’azione di registrazione, soltanto quelle informazioni che, all’interno del processo aziendale, consentono di rintracciare i flussi in entrata (le materie prime, i semilavorati ecc..), le trasformazioni (i processi di lavorazione applicati alle materie prime) e i flussi in uscita (le parti di un prodotto o il prodotto finito verso altre aziende o sul mercato). Storia a sè fa il settore alimentare che ha introdotto specifici obblighi informativi tramite etichette dettagliate3. Appare necessario precisare, inoltre, che sono attribuiti alla tracciabilità ruoli che in realtà tale processo riveste solo parzialmente. Ciò che è essenziale ai fini della tracciabilità, infatti, è semplicemente l’identificazione degli attori (le aziende) che hanno partecipato alla filiera attraverso la produzione di diverse unità di un prodotto. Per quanto concerne invece la comunicazione del metodo di produzione, dell’origine geografica, della categoria, o della sua composizione si parla più propriamente di etichettatura. È proprio l’etichetta [3] infatti lo strumento che permette l’accesso alle informazioni da parte dei consumatori. I due termini, tracciabilità ed etichettatura, si sono sovrapposti proprio nel momento in cui la legislazione ha richiesto l’applicazione ai prodotti di etichette che informassero il consumatore a proposito di composizione e provenienza degli stessi. L’azienda inoltre può decidere di integrare queste etichette con informazioni più dettagliate qualificando in maniera più puntuale il prodotto sul mercato. È utile specificare che la scelta di tali informazioni avviene arbitrariamente, principalmente sulla base di un’attenta analisi del comportamento del consumatore: vi è una forte volontà da parte delle aziende di riavvicinare il consumatore, allontanato dalle distanze sempre più accentuate tra produttore e consumatore e lo fa attraverso una comunicazione trasparente di quello che è il processo di produzione del prodotto finale. Il controllo di filiera
3. s.n., Fondamenti dei sistemi di tracciabilità nell’agroalimentare, Indicod, Istituto per le imprese di beni di consumo, Milano gennaio 2003.
in ogni fase della produzione vengono rilasciate delle informazioni. [1]
tracking
la scelta delle tecnologie per la raccolta delle informazioni deve essere ragionata. [2]
tracing
l’etichettatura permette all’utente finale di accedere alle informazioni raccolte. [3]
etichettatura
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ha condotto ad interessanti risvolti legati alla comunicazione dell’identità delle aziende che sempre più spesso sono disposte a raccontare i loro prodotti, evidenziando una forte attenzione al desiderio del consumatore - sempre crescente - di conoscere la provenienza di ciò che acquistano. Simone Bellan, partner del progetto Agripod [4] condotto da Iuav insieme a Coldiretti e a diversi altri enti territoriali pubblici e a privati, afferma che “il consumatore contemporaneo, se da sempre ha dimostrato la propria passività in fase di acquisto, oggi è colui che è in grado di decretare l’andamento di importanti economie di scala: è il consumat(t)ore che seglie e compra non d’impulso, ma in modo informato e cosciente”4. Questa esperienza progettuale ha portato all’incontro tra la disciplina del design e l’ambito della produzione agricola generando nuove connessioni operative nella ricerca senza mettere in discussione il ruolo di nessuno dei due differenti ambiti, piuttosto generando dei punti di intervento da parte del design dei servizi all’interno del processo produttivo ed evidenziando la presenza di un filo diretto tra produttore e consumatore. Agripod infatti è un “servizio in grado di dare una risposta reale alle richieste del consumatore, sempre più attento a ciò che porta sulla tavola e anello fondamentale di una catena agroalimentare che oggigiorno cerca di valorizzare i prodotti locali”5. L’innovazione che questo progetto apporta all’interno della filiera dei prodotti agricoli ha il fine ultimo di comunicare all’utente finale del prodotto una vera e propria identità, quella di chi lo produce, e lo fa attraverso il contributo del mezzo tecnologico. La scelta di applicare le etichette RFID ai prodotti agricoli risponde infatti alla necessità del produttore di instaurare un rapporto di fiducia con il consumatore, rendendolo consapevole.
4. Kristian Kloeckl, Maddalena Mometti, Simone Bellan, Design, packaging & agricultural products, prodotto da Iuav, Venezia 2008. 5.Ibidem.
tag RFID
produzione
raccolta
trasporto
lavorazione
trasporto
GDO
farmer’s market nutrivending
ristorazione
GAS
grossisti
vendita diretta
dati di filiera memorizzati nel tag RFID
Agripod prodotto con tag RFID [4]
Progetto Agripod, 2008
tecnologie al servizio della tracciabilità
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La principale funzione delle etichette che si trovano sui prodotti è quella di identificare e fornire il maggior numero di informazioni – utili al consumatore- nel minor spazio possibile. Le tecniche di etichettatura si sono evolute nella storia grazie all’adozione delle nuove tecnologie che permettono di conferire ad ogni singolo prodotto una sua identità, univoca e riconoscibile. La presenza di diverse tecnologie applicabili in questa fase permette di scegliere di volta in volta lo strumento più adatto a seconda delle informazioni che devono essere più evidenti, delle condizioni di lettura delle stesse e del livello di sicurezza che si richiede in un particolare ambito di applicazione. La possibilità di inserire nelle etichette un numero sempre crescente di informazioni con un’accuratezza sempre maggiore, permette al produttore di istituire un livello di comunicazione decisamente sofisticato con l’utente finale.
Sistemi di identificazione ottica Quella che oggi è ancora conosciuta come la tecnologia più diffusa ed economica per l’etichettatura dei prodotti si basa sui sistemi di identificazione ottica, meglio noti come codici a barre e facilmente identificabili su tutti i beni in commercio1. Adottati nel 1973 con il nome di “UPC” (Universal Product Code), sono stati applicati per la prima volta l’anno seguente negli Stati Uniti su un pacchetto di gomme americane. Affinché tali codici siano leggibili, essi devono soddisfare alcuni requisiti fondamentali: innanzitutto devono risultare perfettamente in vista rispetto al lettore ottico (le tecnologie di identificazione ottica, infatti, falliscono in presenza di oggetti occludenti e nel caso di applicazione
1. Per un approfondimento consultare il sito web http://www-03.ibm.com/ibm/history/ ibm100/us/en/icons/upc/
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su superfici non planari) inoltre, la superficie sulla quale essi sono applicati non deve essere alterata o sporca e il prodotto non deve transitare davanti al lettore troppo velocemente2. La tecnologia di lettura più diffusa e affidabile impiega uno o più raggi laser, spesso abbinati ad un sistema di specchi che facilita la lettura dei codici al primo tentativo. Adottando la tecnologia descritta non è possibile acquisire simultaneamente più codici, per questo motivo il processo di acquisizione dei dati risulta oneroso in termini di tempo e di impiego di personale. I codici a barre monodimensionali (barcode) [5] sono caratterizzati da un insieme di elementi grafici a contrasto elevato, disposti in modo da essere letti facilmente da un sensore a scansione e decodificati per restituire le informazioni in esso contenuti3. I codici a barre bidimensionali (QR code, 2-D barcode, data matrix) [6] invece sono stati progettati per consentire una rapida decodifica dei loro contenuti. Il nome di questo tipo di matrice deriva dall’abbreviazione in lingua anglosassone di Quick Response (risposta rapida). I codici bidimensionali sono stati sviluppati dalla compagnia giapponese Denso Wave per con lo scopo di tracciare i pezzi delle automobili all’interno degli stabilimenti del colosso automobilistico Toyota. Nel 1999 la Denso Wave ha rilasciato i QR codes sotto licenza libera favorendone la diffusione in Giappone. A partire dalla seconda metà del 2000 questi codici vengono utilizzati per scopi principlamente pubblicitari per veicolare molto semplicemente indirizzi e URL, immediatamente accessibili attraverso uno scatto fotografico tramite la webcam di uno smartphone. Si tratta di codici a matrice composti da moduli neri disposti all’interno di uno schema di forma quadrata. In un crittogramma sono contenuti 7098 caratteri numerici e 4269 alfanumerici. Le ottiche High Capacity Color Barcode (HCCB)[7] sono simili a codice a barre 2-D. Tale matrice, sviluppata da Microsoft utilizza triangoli di colore per codificare le informazioni al suo interno. Secondo la destinazione d’uso variano la dimensione della griglia (ovvero il numero totale di simboli), la dimensione dei triangoli e il numero di colori usati (due, quattro o otto). La Microsoft sostiene che durante le prove di laboratorio sono stati letti 8 colori HCCB equivalenti a 3.500 caratteri per pollice quadrato4, mediante l’uso di stampanti e scanner comuni. Le ottiche Bokode5 [8] sono codici a barre bidimensionali a matrice (data tag) che contengono migliaia di informazioni in più rispetto ad un
2. Angela Bettega, Innovazione di prodotto e tecnologie rfid. Rfid e somministrazione dei farmaci, Assegno di Ricerca, Università Iuav di Venezia, Venezia 2011. 3. Per un approfondimento consultare il sito web http://www-03.ibm.com/ibm/history/ ibm100/us/en/icons/upc/ 4. International licence Microsoft Organization’s New Multicolor, tecnologia del codice a barre di identificazione delle opere audiovisive, 2007-04-16, http://digital50.com/news/ items/PR/2007/04/16/SFM039/international-organization-licenses-microsofts-newmulticolor-bar-code-technology-fo.html . 2007/04/16. http://digital50.com/news/items/ PR/2007/04/16/SFM039/international-organization-licenses-microsofts-new-multicolorbar-code-technology-fo.html 5. Jonathan Fildes, Barcode replacement shown off, BBC News, 27 luglio 2009.
design del barcode applicato al packaging dell’e-reader Kindle di Amazon. [5]
Barcode
la compagnia Starbucks Coffee ha attivato il pagamento dei suoi caffè via QR code. [6]
QR code
[7]
HCCB
[8]
Bokode
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normale barcode. Questa tecnologia di identificazione automatica, sviluppata dal MIT Media Lab di Boston, e presentata nel 2009, è costituita da un led ricoperto da una maschera costituita da un pattern datamatrix e da un obiettivo. Di forma circolare e di diametro ridottissimo (appena 3mm), il Bokode è leggibile da una camera reflex o da smartphone fino a una distanza di 4 metri. Attualmente il costo di questi dispositivi si aggira attorno ai 5 dollari, ma è stato sviluppato un prototipo che sfrutta la luce riflessa e che riduce il costo a 5 centesimi di dollaro rendondolo adatto alla produzione industriale6. Come i normali codici a barre, i fiducial marker7 sono composti da elementi in forte contrasto tra loro, generalmente bianchi e neri, il cui riconoscimento ottico consente di visualizzare sulle superfici, quelle dei tavoli interattivi, una serie di contenuti ad essi associati. Normalmente i fiducial marker vengono impiegati nell’utilizzo del tavolo interattivo ReacTable [9], parte del progetto ReacTIVision. Questo progetto è stato concepito per essere la compontente principale per reacTable8, uno strumento musicale tangibile elettro-acustico il cui funzionamento dipende principalmente dai fiducial marker [10] disegnati appositamente e attaccati alla base di oggetti fisici che entrano in contatto con la superficie del tavolo interattivo. I marker sono tracciati grazie ad un algoritmo ottimizzato per il loro riconoscimento che permette una buona velocità e sicurezza nel processo di riconoscimento. Ogni fiducial marker corrisponde ad un numero e ha una vera e propria identità, permettendo di riconoscere centinaia di oggetti e di calcolarne l’esatta posizione e angolo di rotazione su un piano bidimensionale. I grafici che rappresentano il fiducial possono essere interpretati come alberi (trees) che rappresentano la gerarchia di contenimento degli elementi presenti nel marker stesso, ovvero quali regioni bianche sono contenute in quali regioni nere e vice versa. I centri di un albero sono l’informazione più accurata che si possa ottenere, per questo motivo l’orientamento e la posizione dei marker dipende dalla combinazione delle bounding boxes dei diversi nodi dell’albero. Il vettore che parte dalla media di tutti i centri calcolati verso un punto dato dalla media di tutte le regioni nere è utilizzato per calcolare l’orientamento del fiducial. Nella fase di generazione di un marker a partire da un grafico ad albero (tree), i nodi vengono posti ad angolazioni differenti rispetto ad un punto centrale fisso e vengono spostati finché non confinano con i nodi vicini. La generazione dei fiducial markers avviene mediante il software Fid. Gen, creato per disegnare e gestire marker personalizzati che vengono utilizzati successivamente in progetti che impiegano la tecnologia reacTIVision. Con il software Fid.Gen è possibile cambiare numerosi parametri per lavorare sulla dimensione e complessità dei marker. La criticità di questi marker è certamente la dimensione, infatti, più i fiducial sono
6. Vito D’Eri, Bokode sfida i codici a barre, in “La Repubblica”, 14 agosto 2009. 7. Per approfondimenti sul funzionamento del sistema ReacTIVision consultare http:// reactivision.sourceforge.net 8 . Il progetto ReacTIVision è stato sviluppato da Martin Kaltenbrunner, co-fondatore di Reactable Systems e uno degli inventori del Reactable.
[9]
ReacTable
[10]
fiducial markers
[11]
fiducial markers + ReacTable
piccoli, più alte sono le probabilità di incontrare falsi positivi. Ne consegue che il sistema ReacTIVision è adatto principalmente allo sviluppo di superfici interattive come i tavoli ReacTable o prodotti similari, atti all’intrattenimento o alla comunicazione di informazioni [11].
Tecnologia RFID
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Rispetto ai normali sistemi di lettura ottica di codici mono e bidimensionali, la tecnologia RFID è meno sensibile ai danneggiamenti superficiali dei prodotti sui quali viene applicato e richiede un minore intervento da parte dell’uomo in quanto può essere integrata all’interno del prodotto stesso (o della sua confezione). Gli RFID, inoltre, non risentono della line of sight, la linea di lettura necessaria all’identificazione dei codici a matrice da parte dei dispositivi ottici. L’RFID fa parte delle tecnologie di Automatic Id Data Capture (AIDC), tecnologie di raccolta automatica di dati e permette di velocizzare la lettura e la raccolta delle informazioni con un minimo intervento da parte dell’addetto, riducendone le possibilità di errore. La radio-identificazione consente di riconoscere una pluralità di oggetti contemporaneamente, non richiede la visibilità ottica delle etichette ed è meno sensibile alla velocità di transito del tag rispetto al lettore. L’identificazione del prodotto al quale è applicato un RFID avviene mediante l’impiego di un’antenna necessaria alla lettura di un chip digitale (tag o transponder) che contiene un certo numero di informazioni, quali il codice, la data e il luogo di produzione, il produttore, che possono essere statiche, oppure cambiare nel tempo. Attraverso il fenomeno dell’induzione magnetica (em wave capture), il tag, illuminato dal campo magnetico dell’antenna, è in grado di accumulare l’energia necessaria per la trasmissione dei dati, tipicamente compresa tra i 10nwatt e 1mwatt9. Ciò si verifica nel caso di un tag passivo [12-14], mentre se si è adottato un tag RFID attivo, quest’ultimo deve essere alimentato da una sorgente di energia come ad esempio una batteria. Un esempio di RFID attivo può essere il telepass per il pedaggio autostradale. Le tecnologie AIDC hanno principalmente tre vantaggi: > velocizzare la lettura e la raccolta delle informazioni > ridurre gli errori di raccolta > introdurre dispositivi di sicurezza nella trasmissione e protezione dei dati. Il tag è composto da due elementi fondamentali, l’antenna e il chip mantenuti insieme da un supporto fisico le cui caratteristiche dipendono principalmente dall’ambito di applicazione e di uso. Il chip è la componente elettronica contenente la parte logica e la me-
9. Angela Bettega, Innovazione di prodotto e tecnologie rfid. Rfid e somministrazione dei farmaci, Assegno di Ricerca, Università Iuav di Venezia, Venezia 2011.
funzionamento di un tag RFID passivo [12]
RFID passivo
esempio di tag RFID passivo utilizzato da Nike e Apple per la produzione di un device per gli sportivi. [13]
Nike + Apple iPod
esempio di tag RFID passivo utilizzato per mettere in comunicazione i capi d’abbigliamento con la lavatrice, in grado di capire quale può essere il programma di lavaggio più adatto. [14]
clothTAG
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moria del tag ed ha il compito di gestire gli scambi di informazioni fra tag e reader. L’antenna invece è l’apparato che raccoglie e trasmette i segnali radio da e verso i reader. Deve essere progettata e realizzata in funzione di distanza di lettura del tag e delle dimensioni dell’antenna del trasponder. Nel caso di tag passivi, privi di una fonte di alimentazione, l’antenna del tag riceve il segnale emesso dall’antenna del reader e grazie ad esso è in grado di alimentare il chip che riconosce il segnale e risponde codificando le informazioni mediante la modulazione del segnale ricevuto. A seconda della banda di funzionamento del tag l’antenna sarà ad induzione elettrica o magnetica, (bassa frequenza, banda LF), ad accoppiamento magnetico (alta frequenza, banda hf) o ad accoppiamento elettromagnetico (altissima frequenza, banda UHF)10. Nei tag attivi l’antenna si limita a ricevere il segnale dal reader e modulare la portante di trasmissione, perchè il trasponder ricava l’energia di alimentazione direttamente dalle batterie. L’inlay invece, è la struttura che collega e protegge il chip e l’antenna. La scelta del tipo di supporto è di fondamentale importanza in relazione alle applicazioni cui il tag è destinato, in quanto ne determina la resistenza agli urti, agli agenti chimici, all’umidità e allo sporco. Può essere realizzato il film polimerico che permette di ottenere etichette autoadesive resistenti anche alle alte temperature, in carta. In genere è lo stesso ambito di applicazione a determinare il materiale dell’inlay e le dimensioni finali del supporto. I chip di un tag sono realizzati usando le tecnologie più moderne con l’obiettivo ottenere una geometria del circuito abbastanza ridotta. Affinchè la lettura del tag avvenga in maniera corretta è necessario che tag e antenna siano sintonizzati sulla medesima frequenza. È sufficiente, infatti, che il tag venga apposto su di una superficie metallica per determinarne la sua illeggibilità. I tag che utilizzano il campo generato dal reader come sorgente di energia per autoalimentarsi e trasmettere, ricavano dal segnale del reader una bassa potenza che decresce in maniera esponenziale con la distanza. Le distanze operative sono dunque molto basse, al massimo qualche metro e determinano alcune criticità nell’applicazione dei suddetti tag. Rfid semipassivi Utilizzano, come i passivi, il campo generato dal reader come sorgente di energia per trasmettere i dati, ma non per alimentare i propri circuiti. In questi tag viene inclusa una batteria che viene però utilizzata soltanto per alimentare il chip, non per comunicare con il reader. Questa tecnologia consente al chip di avere funzioni più complesse e di operare anche quando il tag non riceve energia dal reader.
Rfid attivi Muniti di un proprio sistema di alimentazione elettrica, hanno una me-
10. Davide Rocchesso, Il Sistema RFID, http://www.iuav.it/Ateneo1/docenti/design-e-a/ docenti-st/Davide-Roc/--material/Tecnologie/03-4-5-10-/agripodRFID.pdf
moria di bordo generalmente più ampia di quella dei passivi e su di essa possono essere eseguite operazioni di lettura e di scrittura. Un altro vantaggio fondamentale di questi tag è la distanza: gli RFID attivi sono operativi fino ad una distanza di qualche chilometro. In alcuni casi possono incorporare sensori di vario genere, ad esempio di temperatura, di pressione, di movimento, ecc. I dispositivi RFID si suddividono in due categorie principale: near-field e far-field.
NFC - near-field communication I tag di tipo near-field usano il principio di Faraday dell’induzione magnetica: una bobina presente all’interno di un campo magnetico induce una differenza di potenziale alternata che opportunamente raddrizzata con un ponte di diodi e una capacità può alimentare il chip del tag. I dati presenti all’interno del tag vengono inviati attraverso modulazioni di corrente nel tag che generano piccole fluttuazioni di campo magnetico che producono a loro volta fluttuazioni di corrente nel reader, processo definito load modulation. Questa tecnologia, che consente la comunicazione di prossimità, ovvero una connessione wireless a corto raggio tra due device fino ad un massimo di 10 cm, viene sviluppata congiuntamente da Sony, Philips e Nokia che stabiliscono nel 2004 la Near Field Communication (NFC) Forum, associazione di aziende che ha come obiettivi la standardizzazione e l’implementazione della stessa. Partner dell’associazione, oltre alle aziende già citate, sono anche MasterCard e Visa che dal 2012 consentono ai device mobili di effettuare pagamenti attraverso la tecnologia descritta11. Far-field communication I reader far-field emettono onde elettromagnetiche attraverso un’antenna dipolare che produce una differenza di potenziale alternata, raddrizzata per alimentare il chip. In questo caso si utilizza un processo back scattering per la trasmissione delle informazioni: l’impedenza vista dall’antenna cambia dinamicamente e questo provoca una riflessione variabile delle onde incidenti. “Questa modulazione di impedenza viene effettuata attraverso un transistor, usato come switch, collegato in parallelo all’antenna dipolare del tag. […] Le frequenze di funzionamento per questi dispositivi sono superiori a 100 mhz e si trovano tipicamente nella regione degli UHF (Ultra High Frequency, es. 2.5 Ghz). Un campo di funzionamento di 3-6 metri è quello misurato per questi tag”12. I lettori Il reader (lettore) svolge il ruolo di connettore tra il mondo fisico e quello degli applicativi per la gestione dei dati. Presenta, dunque, due interfacce: quella di ingresso (verso le antenne) e quella di uscita (verso un elaboratore di dati).
11. Davide Rocchesso, Il Sistema RFID, http://www.iuav.it/Ateneo1/docenti/design-e-a/ docenti-st/Davide-Roc/--material/Tecnologie/03-4-5-10-/agripodRFID.pdf 12. Ibidem.
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Il lettore può essere un dispositivo di sola lettura, oppure di lettura e scrittura. Al suo interno esso contiene un modulo a radio frequenza che svolge la funzione di trasmettitore/ricevitore, una unità di controllo e un elemento di accoppiamento, l’antenna, che gli permette di dialogare con i tag. Molti lettori sono dotati di un’interfaccia addizionale che consente di inviare dati ricevuti al sistema di elaborazione dei dati. Le antenne Le antenne dei lettori devono illuminare con il loro segnale una regione di spazio sufficientemente ampia da inglobare le dimensioni dell’unità logistica da tracciare. In genere il fascio di radiazione di queste antenne è schematizzabile come un cono ampio di 70° sia in verticale che in orizzontale. La memoria dei tag RFID Il designer che progetta il servizio deve scegliere dove verranno collocate le informazioni: se i reader sono collegati in rete, è possibile tenere all’interno del tag un’unica informazione, ovvero un numero identificativo che lo tracci in maniera univoca; in molti casi invece, si mantiene la maggior parte della informazioni rilevanti all’interno del tag in modo da rendere accessibili i dati anche ai dispositivi non collegati perennemente alla rete. 26
IoT - Internet of Things In telecomunicazioni Internet delle cose, o più propriamente Internet degli oggetti o IoT, acronimo dell’inglese Internet of Things, è un neologismo riferito all’estensibilità di internet al mondo degli oggetti fisici e dei luoghi concreti [15]. “Ho una Internet di Cose con un motore di ricerca. Quindi al mattino non vado più angosciato a caccia delle scarpe che non trovo più. Mi limito a chiedere dove sono al mio google. Finché le macchine possono masticare la complessità, le loro interfacce rendono il mio rapporto con gli oggetti molto più semplice e immediato”13. Gli oggetti creano un sistema pervasivo ed interconnesso avvalendosi di diverse tecnologie di comunicazione a corto raggio: un esempio su tutti e, appunto, quello dei tag RFID che hanno rappresentato una delle prime applicazioni in tale ambito. L’utilizzo delle tecnologie di telecomunicazione per lo sviluppo di ambienti fisici interconnessi ha luogo per la prima volta nel 1999 presso l’Auto ID-Center, un consorzio di ricerca presso il MIT di Boston. Celebre nell’ambito dell’interaction design l’interpretazione dell’Internet of Things di Mauro Calvone nel cortometraggio “The age of fire”, dove gli oggetti, tutti puntualmente interconnessi, sembrano avere il controllo sulla vita dell’uomo [16].
13. Bruce Sterling, La forma del futuro, Apogeo, Milano 2006, cit., p. 103.
salute
everyday things
persone e animali
smart cities
consumo energetico
automazione
[15]
alcuni dei campi di applicazione dell’internet delle cose. Internet of Things
Mauro Calvone, The age of fire, 2004 cortometraggio sull’IoT Internet of Things. [16]
The age of fire
Rfid - privacy La comunicazione che opera attraverso la riflessione di segnali radio solleva l’importante questione della privacy. È noto infatti come questa tecnologia sia in grado di insinuarsi impercettibilmente nelle relazioni tra persone. Quella del customer tracking, ad esempio, è una pratica che consente ad una azienda, di conoscere la destinazione dei prodotti che commercializza e raccogliere dati riguardanti i consumatori, particolarmente utili alla progettazione delle tecniche di marketing contemporanee. Per ovviare a questa problematica, verso la quale l’opinione comune è particolarmente sensibile, la società RSA ha generato un blocker tag, ovvero un tag che risponde come se tutti gli altri tag fossero presenti in quel luogo in quel momento. In questo modo si azzerano le possibilità di rintracciare un tag specifico in maniera univoca14. È sufficiente anche ricoprirlo con un foglio di alluminio per far si che non sia rilevabile. A causa del costo ancora elevato dei tag RFID si continueranno a preferire le tecnologie di identificazione ottica, anche se l’implementazione degli RFID negli ultimi anni fa presagire un aumento della loro diffusione anche nella produzione di oggetti a basso costo.
Microtaggants
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I tagganti sono materiali microscopici o nanometrici che forniscono al prodotto al quale sono applicati un’identità inequivocabile ed univoca [17/1-2]. Sono impossibili da riprodurre, proprio come un’impronta digitale. Possono essere incorporati nella matrice di composizione dei materiali, per esempio nei polimeri che poi vengono utilizzati per la produzione di oggetti di uso comune, oppure applicati sulla superficie di una grande varietà di materiali e prodotti. Per ottenere un livello più alto di sicurezza nella fase di tracing dei prodotti, possono essere utilizzate contemporaneamente diverse tecnologie di tagging15. I microtagganti, invisibili, possono fare la differenza nella protezione di un brand, nell’autenticazione dei materiali e nella prevenzione della contraffazione dei prodotti. I tagganti, in origine sviluppati dall’azienda 3M, sono composti da particelle di dimensione microscopica –tra i 20 micron e i 1200 micron- ognuna delle quali viene codificata singolarmente. In questo modo il prodotto generato è caratterizzato da particelle tutte diverse tra loro ed è inequivocabilmente unico e assegnato ad un singolo uso. I Microtaggants possono essere letti in diversi modi, economicamente e con lettori portatili. Inoltre: >sono disponibili codici unici per ogni diversa applicazione (migliaia di diverse soluzioni dello stesso prodotto)
14 . Angela Bettega, Innovazione di prodotto e tecnologie rfid. Rfid e somministrazione dei farmaci, Assegno di Ricerca, Università Iuav di Venezia, Venezia 2011. 15. http://microtracesolutions.com/
> possono essere utilizzati sia in materiali solidi che liquidi > è possibile conoscere la percentuale della diluizione del taggante nel prodotto > può essere effettuata un’identificazione delle quantità delle diverse componenti tagganti > le componenti dei tagganti sono stabili in condizioni di temperatura fino a 1.000°C > i lettori sono economici > il rilevamento avviene ad alta velocità > può essere effettuata l’autenticazione e identificazione dei prodotti >attraverso l’applicazione dei microtagganti si possono conoscere tempo e luogo di produzione come garanzia del prodotto in caso di responsabilità da accertare > si possono identificare i produttori autorizzati.
Upconverting Nanoparticle inks I Fosfori up-converting e anti-stokes sono polveri ceramiche microscopiche in grado di convertire le lunghezze d’onda invisibili all’occhio umano della luce a infrarossi in luce visibile o in diverse lunghezze d’onda dello spettro infrarosso. Alcuni fosfori up-converting possono emettere colori visibili come il rosso, l’arancio, il verde e il blu. In un articolo pubblicato sulla rivista “Nanoscience” nel settembre 2012, viene presentato un progetto sviluppato dalla South Dakota University, Department of Materials Engineering and Science Program, che propone la stampa di un QR code attraverso la deposizione superficiale di inchiostri composti di nanoparticelle e polimetilmetacrilato aggiunti ad una soluzione 90:10 toluene: methyl benzoate. Questa formulazione ottimale dell’inchiostro è stata elaborata in base alle principali criticità di un inchiostro nanometrico che deve essere spruzzato sulla superficie: viscosità e tensione superficiale16. L’inchiostro upconverting è composto da nanoparticelle e acido oleico come agente cappante. La parte solvente del composto è principalmente a base di toluene e methyl benzoate aggiunto al polimetilmetacrilato, che svolge la funzione di agente legante una volta che il solvente è evaporato nella face successiva alla stampa. L’inchiostro così composto converte l’infrarosso al verde (540 nanometri) e al rosso (660 nanometri) se illuminato con luce a infrarosso. Il colore percepito dall’occhio umano sarà il verde17. Una volta creata la soluzione, questa viene utilizzata come un normale inchiostro per la stampa e viene depositata sulla superficie attraverso una stampante jet aerosol con un ugello della dimensione di 250 nanometri [17/3]. Una volta stampato, il QR code è leggibile previa illuminazione con laser a infrarossi. Il risultato di questo esperimento è un
16. AA.VV. Security printing of covert quick response codes using upconverting nanoparticle inks, in “Nanotechnology”, 23, 2012. 17. Ibidem
29
QR code con caratteristiche di sicurezza generate mediante l’impiego di inchiostri upconverting. Il datamatrix è dunque invisibile all’occhio umano in condizioni di illuminazione naturale e visibile se illuminato con un laser a infrarossi (980 nanometri di lunghezza d’onda)18. Questo inchiostro particolare, secondo i ricercatori dell’Università del South Dakota, potrà essere impiegato in maniera economica ed efficiente, nell’ambito del security printing. Gli inchiostri sono prodotti da materiali poco costosi e facilmente reperibili ed è sufficiente una minima quantità di inchiostro per rendere il QR code leggibile.
Incisioni nanometriche
30
Altrettanto interessanti sono le tecnologie di micromachining e microdrilling [17/4], incisioni laser micrometriche applicabili su qualsiasi tipo di superficie. Questa tecnologia viene utilizzata ad oggi in farmaceutica e permette di marcare ogni singolo prodotto (per esempio le compresse) per ridurre la possibilità di contraffazione, e in ottica, attraverso l’incisione di codici microscopici su lenti e montature. Con lo stesso scopo le microincisioni vengono effettuate anche su diamanti e pietre senza il rischio di fratture o scheggiature. Un’altra via sviluppata al VEGA, VEnice GAteway for Science and Technology presso il centro studi per le nanotecnologie, è l’adozione di un Focused Ion Beam19, una fresa ionica che colpisce la struttura molecolare della superficie del prodotto da trattare [17/5]. Tale trattamento è invisibile anche ai microscopi tradizionali, infatti l’incisione può essere rilevata soltanto con l’aiuto di un microscopio elettronico in grado di leggere incisioni di qualche nanometro. In questo capitolo si sono analizzate le tecnologie che generalmente vengono impiegate nell’identificazione dei prodotti e ne sono state introdotte altre, non altrettanto note, come i microtagganti e le microincisioni. Queste ultime sono di grande interesse e potrebbero essere prese in considerazione per possibili scenari futuri di applicazione sui prodotti realizzati dal distretto di Murano. Allo stesso modo anche la stampa di QR code invisibili sviluppata dall’Università del South Dakota, può diventare un’ipotesi di tracciatura per Murano se verrà confermata stabile alla fine del suo normale periodo di sperimentazione.
18. AA.VV. Security printing of covert quick response codes using upconverting nanoparticle inks, in “Nanotechnology”, 23, 2012. 19. Diego Basset, Materiali e soluzioni innovative per il settore del lusso, Vicenzaoro Spring edition, Vicenza 21 maggio 2012.
taggante
[17/1]
[17/2]
taggante
[17/3]
upconverting nanoparticle inks
[17/4]
microdrilling
tale
imen
sper
[17/5]
focused ion beam
BARCODE
QR CODE
richiesta
richiesta
una alla volta
una alla volta
pochi centimetri
pochi centimetri
impossibile
impossibile
identifica il tipo di oggetto
identifica il tipo di oggetto
molto difficile
molto difficile
non deformabile
non deformabile
bassa
bassa
dimensioni
> 20mm
> 8mm
inserimento di dati pubblici/privati
pubblici
pubblici
costo
pubblici
pubblici
costo della stampa
costo della stampa
linea di lettura
letture contemporanee
distanza di lettura
aggiornamento dinamico
tipo di identificazione
leggibilitĂ se sporco
leggibilitĂ se deformato
capacitĂ di lettura su superfici curve
segnalazione di eventi
[18]
INVISIBLE QR CODE
FIDUCIAL MARKER
RFID TAG
richiesta
richiesta
non richiesta
una alla volta
>1
>1
pochi centimetri
l’oggetto deve poggiare sulla superficie
>10 cm
impossibile
impossibile
possibile
identifica il tipo di oggetto
identifica un oggetto in maniera univoca
identifica un oggetto in maniera univoca
difficile
difficile
alta
non deformabile
indeformabile
alta
bassa
bassa
alta
> 8mm
40 - 60mm
> 10mm
pubblici
pubblici
pubblici e privati
pubblici
pubblici
pubblici e privati
costo della stampa
costo della stampa
0,10 euro confronto fra le tecnologie di identificazione presenti sul mercato. tecnologie
Etichette per Murano
3
Negli ultimi decenni si sono susseguite una serie di azioni mirate alla creazione di un marchio di origine e garanzia che fosse in grado di tutelare le produzioni muranesi da quelle dei competitor. Più recentemente si rilevano progetti pilota sviluppati con l’intento di fornire al consumatore una garanzia di autenticità della produzione e, allo stesso tempo, di comunicare un’immagine unitaria del comparto del vetro artistico mediante l’uso di alcune delle tecnologie elencate nel cap.1. Alcuni di questi tentativi si sono rivelati fallimentari e non all’altezza degli obiettivi prefissati, altri li soddisfano solo in parte attraverso un’applicazione tecnologica che non valorizza il processo produttivo del vetro, tesi in oggetto.
Consorzio Venezia Vetro Nel 1975 nasce, per volontà delle grandi imprese del vetro quali Carlo Moretti, Venini, Barovier & Toso, il Consorzio Venezia Vetro con lo scopo di rilanciare la produzione muranese in Italia e nel Mondo. I fondatori del consorzio intuiscono l’importanza di restituire al mondo un’immagine unitaria attraverso un marchio collettivo di garanzia e origine, Vetri Murano, disegnato da Ludovico Diaz De Santillana nel 19811. Fin dal 1987 il consorzio si è dedicato a restituire la visibilità che i vetri dell’isola
1. Giovanni Moretti, Carlo Zennaro, Murano e la sua gente, Consorzio Vetri Murano, Venezia 1998.
35
meritavano. Numerose le iniziative quali le esposizioni nelle principali capitali europee, un importantissimo Centro di Documentazione du sl vetro, fino alla creazione di un sito web di riferimento per la storia del vetro muranese e per le aziende associate al marchio2. L’esperienza del Consorzio Venezia vetro si chiude alla fine degli anni novanta, lasciando spazio ad altri tentativi, meno fortunati, di dar vita ad un’immagine collettiva del distretto produttivo del vetro.
Consorzio Promovetro
36
Nel 1994 la Regione del Veneto ha introdotto il Marchio del Vetro Artistico® di Murano che ha determinato disciplina e tutela della produzione all’interno dell’isola. Proprio attraverso la costituzione di questo marchio la Regione del Veneto ha riconosciuto l’importanza del distretto produttivo del vetro anticipando la Legge Regionale del 2003 e la necessità di tutelare la principale attività economica dell’isola. L’obiettivo di questo marchio era quello di proteggere l’immagine di Murano dall’imperversare di prodotti realizzati altrove ma venduti come prodotti dell’isola. Questa situazione negativa ledeva ulteriormente le aziende e i livelli occupazionali già in contrazione e influiva sugli acquisti dei consumatori non in grado di percepire un’immagine unitaria della produttività del luogo. Dal 2002 il vetro di Murano entra a far parte di quella categoria di prodotti che possono avere un marchio di origine. Vetro artistico Murano è un marchio di garanzia di provenienza e origine per i consumatori e una tutela per i prodotti muranesi, istituito ufficialmente dalla Regione Veneto e registrato presso l’Ufficio Europeo per l’Armonizzazione di Alicante3. La gestione del marchio è affidata al consorzio Promovetro che ne controlla l’uso da parte delle circa 50 aziende aderenti. I prodotti tutelabili devono essere realizzati esclusivamente sull’isola con criteri che rispettino la tradizione produttiva locale. Le tipologie di prodotti sulle quali può essere apposto il marchio sono, dunque, vetri di prima lavorazione, articoli per illuminazione, vetri incisi, decorati e molati, murrine, specchi, conterie, vetri a lume e perle. Ogni azienda associata al marchio corrisponde ad un numero, riportato sulle etichette che rappresentano il consorzio con l’obiettivo di identificare il produttore, in fase di vendita. L’etichetta, gestita dal consorzio Promovetro, è stata progettata per essere irremovibile, infatti la rottura di una delle quattro incisioni sulla stessa evidenzierebbero un tentativo di rimozione. Si tratta di un dispositivo evidentemente insufficiente nel garantire in maniera univoca la provenienza, ma soprattutto inadatto alla valorizzazione di un processo produttivo. Il consorzio, infatti, ha l’onere di tutelare un numero esiguo
2. Giovanni Moretti, Carlo Zennaro, Murano e la sua gente, Consorzio Vetri Murano, Venezia 1998. 3. s.n., Vetro di Murano. Il cuore di Venezia, Consorzio Promovetro Murano, Murano 2010.
[19]
logo consorzio Vetri Murano
[20]
logo Consorzio Promovetro
[21]
Sigillo Informatico
di imprese artigiane e non permette di costruire un’immagine unitaria dell’intero comparto.
Progetto Novarex
38
Per ovviare a questa vacatio legis, nel 2011 l’azienda muranese Linea Murano Art ha commissionato a Novarex, azienda produttrice di etichette e coordinatrice di RFID-SOLUZIONI, lo studio e la realizzazione di un sistema RFID in grado di proteggere dalla contraffazione i propri prodotti4. Obiettivo del progetto è, da un lato garantire, grazie all’inserimento nel prodotto di un dispositivo RFID, l’originalità del prodotto e la sua tracciabilità, dall’altro fornire all’acquirente finale una serie di informazioni complementari, un certificato di origine e, nel caso di vendita, il relativo attestato della nuova proprietà. Questo processo di etichettatura tenta di fornire una risposta concerta per la lotta alla contraffazione orientandosi verso la tutela del consumatore finale. Il progetto prevede la presenza di un consorzio come ente garante della produzione del comparto, nonché unico organo in grado di attivare le etichette a tecnologia RFID che vengono in seguito applicate ai prodotti. Le etichette scelte per il progetto pilotato dall’azienda Novarex sono dei tag RFID, 260 caratteri, 2048 bit di memoria user, 64 bit di user ID (ovvero il codice fiscale del prodotto) che rispondono alla certificazione ISO 156935. Le informazioni fornite raccolte all’interno dell’etichetta RFID: > Luogo di produzione > Data di produzione > Immagine del prodotto > Punto vendita all’interno del quale il prodotto è disponibile Nel caso in cui un prodotto venga venduto si provvederà alla successiva scrittura del tag con un’implementazione dei dati in esso contenuti: > Articolo venduto > Nome dell’acquirente > Codice Fiscale/ Partita Iva dell’acquirente > Luogo di destinazione del prodotto A questo punto l’utente del prodotto acquistato può generare autonomamente un certificato di originalità del prodotto.
4. Per un approfondimento visitare il sito web http://www.novarex-etichette.com 5. http://www.novarex-etichette.com
Sigillo Informatico Sigillo Informatico è un progetto di tracciabilità dei prodotti realizzato nel 2011 con l’obiettivo di certificarne l’origine in maniera univoca e garantita6. Si tratta di un’etichetta antitampering, impossibile da rimuovere, che permette all’acquirente di accedere ad una serie di informazioni relative al luogo di produzione, al produttore, e al territorio di origine, raccolte all’interno di un unico portale al quale è possibile accedere grazie all’etichetta stessa. Tale sigillo, come riporta il sito web ad esso dedicato, integra analisi chimico-fisiche e soluzioni informatiche-tecnologiche che determinano una caratterizzazione del prodotto assolutamente inequivocabili per soggetto privato e produttore. Tali caratteristiche sono depositate presso un soggetto pubblico terzo, il CNR, Centro Nazionale delle Ricerche, che svolge il ruolo di Repository Istituzionale e referente degli organi preposti ai controlli di qualità e origine dei prodotti7. Altri scopi di questo progetto, non secondari sono: > fidelizzare il cliente attraverso promozioni e inziative pubblicitarie mirate > accedere a canali di e-commerce esclusivi del made in italy certificato > arricchire il prodotto di informazioni multimediali sul produttore e il territorio di produzione > integrare i dati racchiusi dal sigillo con le nascenti piattaforme turistiche multimediali > supportare i processi logistici delle filiere dei prodotti attraverso l’inclusione di tag RFID all’interno dello stesso sigillo. Per accedere alle informazioni l’utente può inserire manualmente attraverso la piattaforma web di raccolta dei dati i due codici numerici che trova sull’etichetta, oppure può procedere con la lettura del QR code presente sull’etichetta mediante smartphone o webcam8.
6. http://www.sigilloinfo.it 7. Ibidem. 8. Ibidem.
39
la segnatura del vetro di Murano
4
“Nei primi anni ‘70 accedere a riviste specializzate sulla casa e sull’architettura era riservato a poche e già note marche: abbiamo con coraggio proposto in quelle sedi i nostri bicchieri e oggetti. Abbiamo avuto anche la coscienza che i nostri prodotti potevano essere caratterizzati da una firma. Ogni oggetto, da allora è stato segnato a punta diamantata con il nome Carlo Moretti”1. Con queste parole Giovanni Moretti sottolinea l’importanza della segnatura dei prodotti in vetro da parte delle aziende produttrici muranesi, che in questo modo determinano la paternità dei manufatti e la loro riconoscibilità sul mercato. Nella storia muranese, la prima azienda a segnare i prodotti, a partire dal tardo 1800 attraverso la tecnica della smaltatura, è Salviati. Non esiste una precisa metodologia per quanto riguarda l’apposizione di firme sugli oggetti realizzati dai maestri vetrai. Si assiste infatti, nella storia delle diverse imprese del vetro, all’adozione arbitraria di diverse tecniche di segnatura dei pezzi: dall’acidatura alla smaltatura, dall’incisione alla recente sabbiatura. Comune a tutte le aziende nella storia della produzione dell’isola è l’apposizione di etichette realizzate in diversi materiali quali carta, plastica e metallo. Anche queste ultime sono soggette a diversi cambiamenti nei decenni, probabilmente dovuti alla ridefinizione dell’immagine delle imprese operanti nel settore che fanno il loro ingresso nel mercato globale. Le tecniche di segnatura, rappresentate nelle pagine seguenti, sono veri
1. Paola Gilardi (a cura di), Conversazione con Giovanni e Carlo Moretti, in Carlo Moretti. Cristalli di Murano 1958-1997, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano 1997, cit., p. 18.
41
e propri metodi di tracciabilità che hanno tentato nel tempo di garantire l’autenticità e la riconoscibilità dei prodotti artigianali. Tecniche simili sono adottate con lo stesso obiettivo in altri processi di produzione artigianali, quali quello della ceramica. Oltre alla firma sul vetro e all’etichetta, i prodotti vengono generalmente accompagnati da garanzie cartacee e, nel caso di edizioni limitate, viene rilasciato al cliente un certificato di autenticità firmato dall’amministratore dell’azienda2. Le aziende più strutturate forniscono brochure contenenti riferimenti al progetto, ai designer coinvolti e alla storia dell’azienda. Nonostante la forte necessità di tutelare la produzione dell’intero comparto, non è mai stata affrontata la questione della segnatura dei prodotti sotto un profilo comune. I produttori dell’isola, infatti, riportano alucni dati sui propri vetri in maniera alquanto disomogenea e arbitraria. Nelle pagine seguenti si riportano le diverse tecniche di segnatura riscontrate nei prodotti muranesi [22] e si fa un’analisi storica delle diverse tecniche adottate da quattro delle aziende muranesi maggiormente strutturate: Venini, Salviati, Barovier & Toso e Carlo Moretti3.
42
2. Informazioni ottenute grazie al colloquio con i rivenditori presenti nello showroom Venini in data 10/12/2012. 3. Le informazioni reltaive alle quattro aziende prese in analisi sono state ottenute in parte attraverso colloqui con i rappresentanti delle aziende e in parte grazie alla consultazione del sito web http://www.great-glass.co.uk/glass%20notes/markt-z.htm che riporta l’evoluzione delle tecniche di segnatura delle maggiori aziende muranesi.
sperimentata nel XVII secolo ma applicata con continuità a partire dall’inizio del XIX secolo. La tecnica si basa sull’uso dell’acido fluoridrico, l’unico acido che scioglie il vetro a freddo, in una larga varietà di miscele in grado di aggredire il vetro in misura più o meno drastica. [22/1]
acidatura pigmenti ceramici colorati depositati a caldo sulla lastra di vetro realizzano vetri smaltati coprenti e satinati. Il processo di tempera associato alla smaltatura, permette allo smalto di vetrificare rendendolo resistente a graffi ed abrasioni.
[22/2]
smaltatura
effettuata manualmente mediante l’uso di uno strumento di precisione ad aria compressa, che per la sua delicatezza può essere usato come un bisturi. [22/3]
vibro-engraving
nel lavoro tradizionale viene eseguita una sottile e lieve incisione con una penna caratterizzata da una punta di diamante industriale. Le incisioni sono lineari con talvolta la resa di chiaroscuro. [22/4]
punta diamantata
> il prodotto è accompagnato da un libretto esplicativo o da una garanzia > sul prodotto è presente un’etichetta [22/5]
accessori
Venini Murano
1921-1925 etichetta cartacea
1935-1943 VENINI MURANO acido fluoridrico
1930-1943 VENINI MURANO MADE IN ITALY acido fluoridrico
1946-1965 VENINI MURANO ITALIA acido fluoridrico
1950-1960 VENINI MURANO ITALY acido fluoridrico
1921
1935
1965-1970 VENINI ITALIA vibro engranving
1968 VENINI ITALIA TW (Tapio Wirkkala) vibro engranving
1993 VENINI 93 Fulvio Bianconi incisione con punta di diamante
1994 VENINI 94 incisione con punta di diamante
VENINI MURANO MADE IN ITALY etichetta in plastica nero su bianco
1965
1968
OGGI
Salviati Murano
1950-1960 etichetta metallica
1950-1960 SALVIATI & C Made in Italy etichetta, nero su lilla
1950-1960 Made In Italy SALVIATI & C Murano etichetta, nero su bianco
1950-1960 Made In Italy SALVIATI & C Murano etichetta metallica, nero su oro
1859
1890
Tardo 1800 Salviati 179 smaltatura
Tardo 1800 Salviati 285/60 smaltatura
1950-1960 Salviati incisione con punta di diamante
1950-1960
Luciano Gaspari - Salviati incisione con punta di diamante
1950
1960
OGGI
Barovier & Toso Murano
1935-36 Ercole Barovier incisione con punta di diamante
1975 Barovier & Toso - Murano vibro engraving
1970-80 Barovier & Toso - Murano Venezia etichetta metallica - nero su bianco
1970-80 Barovier & Toso etichetta in carta - rosso su bianco numero di serie
1878
1935
1975
OGGI
Carlo Moretti Murano
1960 Moretti Carlo - Murano - Italia etichetta metallica
1960 MC - Moretti Carlo
1950
1960
OGGI
nuovi strumenti per un processo che non cambia
5
Durante la progettazione di un nuovo metodo di tracciabilità applicabile all’ambito della produzione vetraria muranese è emersa la necessità di analizzare puntualmente il processo di produzione del vetro in tutte le sue fasi: comprenderne a fondo la struttura con l’obiettivo di riconoscere le informazioni da raccogliere e le tecnologie adatte a questo proposito. Inizialmente è stato necessario organizzare la produzione muranese all’interno di un abaco che rappresenta tutte le tipologie di oggetti realizzati in isola con le relative tecnologie di tracciatura applicabili. Compiendo questo tipo di operazione si sono compresi i limiti e le criticità del progetto: era fondamentale individuare un processo di tracciabilità che fosse applicabile alla maggior parte dei prodotti nonostante l’ampia variazione dimensionale e composizione formale degli stessi. Posto che l’obiettivo del progetto è quello di assicurare l’identità e la riconoscibilità univoca di ogni singolo prodotto generato dal distretto del vetro, ci si interroga sull’importanza della creazione di un vero e proprio archivio storico che consenta la registrazione della storia di ogni manufatto prodotto. Attraverso l’applicazione di sottili layer immateriali lungo tutto il processo è possibile attivare un tracking completo di ogni momento relativo alla creazione di un prodotto, dalla progettazione e sperimentazione alla vendita. Questi layer sono stati progettati per essere invisibili all’interno del processo del vetro: non ne alterano le fasi e non intervengono sul materiale, svolgono semplicemente una funzione di raccolta delle informazioni necessarie per la realizzazione di una documentazione progettata, un archivio in continua evoluzione che permette di conoscere la storia di ogni prodotto e di seguirlo, nel tempo, lungo il suo ciclo di vita. L’introduzione di questi layer avviene in maniera graduale e richiede un contributo minimo da parte di chi è impegnato nella produzione del vetro che ha
51
sperimentazione
segnatura
durante la fase di sperimentazione il maestro vetraio perfeziona la tecnica di realizzazione del pezzo in base alle caratteristiche del prodotto finale.
la fase successiva alla realizzazione del pezzo è quella delle lavorazioni a freddo. Una di queste è la segnatura, ovvero l’incisione del nome dell’azienda sulla base d’appoggio del prodotto.
produzione una volta realizzato il prototipo del pezzo, il maestro vetraio può avviare la produzione della serie con l’aiuto dei suoi collaboratori: i servienti.
[1/5] [23]
vendita
uso
i prodotti realizzati sono venduti nei punti vendita autorizzati, oppure, in molti casi, nelle sale di vendita dell’isola di Murano.
il pezzo acquistato dispone, nei casi migliori, di un’etichetta comprovante l’origine e di un certificato di garanzia rilasciato dall’azienda che lo ha realizzato.
accessori del processo del vetro touchpoints
il compito di effettuare alcune semplici azioni che determinano l’efficienza di tale sistema. Questi elementi si incontrano in letteratura sotto il nome di Spimes, introdotti per la prima volta da Bruce Sterling ne “La forma del futuro”, sono “oggetti industriali il cui supporto informativo è talmente ampio e ricco da renderli materializzazioni di un sistema immateriale”1. I layer introdotti nel processo del vetro, sono veri e propri Spimes in grado di rendere i processi materiali evidenti e archiviabili e di instaurare rapporti tra gli oggetti e gli uomini. Questi ultimi vivono una società sincronica che genera in continuazione miliardi di traiettorie tracciabili: microstorie che raccontano, appunto, relazioni tra uomini e oggetti. “Queste microstorie informazionali scrive Sterling - sono soggette a sviluppi praticamente senza fine. Riuscire a sfruttare questo potenziale è una opportunità fondamentale e una sfida per il design di domani”2. Questo progetto, nel tentativo di fornire una risposta alla problematica reale della contraffazione dei prodotti in vetro, racconta l’intero processo, dotandolo di strumenti in grado di fornire un’identità certa ai singoli esemplari che diventano rappresentanti del processo stesso e si raccontano. Questi layer immateriali sono applicabili soltanto in presenza di progetto, elemento fondamentale grazie al quale nasce e si sviluppa la struttura distrettuale e che determina il valore delle sue produzioni rispetto ad altre. Nella fase di progettazione degli Spimes si sono individuati i touchpoint [23], ovvero i materiali grezzi - esistenti - con i quali si deve lavorare per ottenere gli obiettivi prefissati. In seguito è stata generata una vera e propria mappa di processo [24] che mostra una vista dell’intera esperienza e di dove il design si colloca all’interno dell’esperienza globale. La mappa rappresenta tutti gli elementi del processo -anche quelli che non verranno toccati dal lavoro di design. In seguito si sono costruiti i momenti isolati che saranno oggetto del design. Il processo del vetro si sviluppa nei sette momenti enunciati in seguito.
1. Bruce Sterling, La forma del futuro, Apogeo, Milano 2007, cit., p.8. 2. Ibidem.
53
54
La prima fase del processo del vetro è proprio quella di progettazione e sperimentazione, dove il progetto innesca un dialogo tra il designer e il maestro vetraio che lo realizzerà. Rispetto alla condizione contemporanea si verifica una distinzione tra il pensiero progettuale proprio del designer e il saper fare acquisito dal maestro vetraio in decenni di esperienza che determina il valore di una produzione artigianale. Dopo aver perfezionato il progetto con l’aiuto dello studio tecnico, il designer si confronta con il maestro che procede con la prototipazione del pezzo. I materiali cartacei, quali progetti e appunti del designer, vengono raccolti e conservati all’interno dell’archivio distrettuale. Alcuni operatori sono incaricati di raccogliere materiali audiovisivi che verranno utilizzati dal distretto per documentare la sperimentazione. Ultimata la prototipazione, l’oggetto in vetro progettato dal designer entra in produzione. Durante questa seconda fase vengono raccolti una serie di dati fondamentali per l’organizzazione distrettuale: > numero di addetti impiegati > periodo di produzione > numero di prodotti realizzati giornalmente > materiali > tecniche e finiture. Sempre in questa fase viene documentata la produzione di ogni singolo pezzo. A permettere la costruzione di questo grande archivio digitale è l’applicazione di alcuni sottili layer tecnologici che garantiscono l’acquisizione e l’archiviazione delle informazioni: > un fiducial marker3 metallico costituisce in fase di produzione la carta d’identità del singolo pezzo. Questo viene letto da una semplice webcam posta all’interno dell’area di lavoro. Da quel momento tutta la documentazione relativa alla produzione di quel pezzo sarà contenuta all’interno di quel singolo fiducial marker. > alcune videocamere con funzione push button4 disposte all’interno dell’area di lavoro riprendono la produzione e consentono di documentare la realizzazione di ogni singolo prodotto. > un pulsante in prossimità dello scagno permette al maestro vetraio di fissare nella memoria delle telecamere la parte della lavorazione che ritiene più significativa. > il materiale audiovisivo viene automaticamente associato alla carta di identità del pezzo, il fiducial marker in metallo. Una volta terminato, il pezzo viene inserito nel forno a tempra accompagnato dal marker. Al momento dell’estrazione del prodotto dal forno a tempra il marker viene sostituito da un’etichetta cartacea. A questo punto il pezzo è pronto per passare nell’area delle lavorazioni a freddo, la terza fase del processo. In questa fase il molatore segna il pezzo manualmente, con l’ausilio di una punta diamantata. I caratteri incisi sulla superficie del vetro devono rappresentare secondo il protocollo distrettuale:
3. Vedi cap. 2, pp. 18-20 4. Le telecamere con funzione push button sono sempre attive ma fissano il materiale acquisito in memoria soltanto nel momento in cui l’utente da un preciso input alla macchina
> il nome dell’azienda > il numero del progetto sviluppato all’interno del distretto > il numero di serie del pezzo Eseguita questa semplice azione, il prodotto viene fotografato con un rigido protocollo di scatto al fine di documentare in maniera analitica e dimensionale l’unicità dell’oggetto, ponendo particolare attenzione proprio al punto in cui il prodotto è stato inciso. Gli scatti effettuati vengono inviati al database del distretto e vengono associati al pattern del fiducial marker che rappresenta il prodotto. In questo modo tutti gli elementi relativi ad esso sono rintracciabili all’interno dell’archivio distrettuale. Durante lo sviluppo di un progetto di tracciabilità nell’ambito di una produzione artigianale non è possibile tralasciare l’elemento comunicativo, ovvero il metodo attraverso il quale l’utente finale può avere accesso ad alcuni dei materiali registrati durante la sperimentazione sulla materia e la realizzazione di ogni singolo prodotto. Per questo motivo si è deciso di dotare il prodotto di una vera e propria etichetta progettata per restituire i contenuti all’utente. Essendo, ad oggi, le tecnologie di identificazione basate su principi ottici quelle più utilizzate, si è pensato di trasferire tale processo sul pattern delle murrine, realizzando così una vera e propria etichetta vitrea. La murrina è un elemento a sezione variabile ottenuto dal taglio trasversale di una canna, semilavorato della tradizione muranese. Il disegno riprodotto sulla sezione della canna può essere dunque riconosciuto come pattern e identificato dalle tecnologie della Computer Vision come oggetto unico e univocamente associabile ad una precisa identità. Inoltre, essendo la murrina un prodotto noto e facilmente riconoscibile dall’utente, si può asserire che un’etichetta di questo tipo possa suggerire la provenienza del manufatto già ad un primo sguardo. L’etichetta murrina viene sfruttata sia durante l’esposizione dei prodotti (la quarta fase del processo) all’interno degli showroom di proprietà del distretto, che nella fase post-vendita: si avrà la possibilità di visualizzare le informazioni relative al suo prodotto in qualsiasi momento, fotografando l’etichetta con una semplice webcam (di Personal Computer o smartphone) attivata da un’APP per device mobile o dal sito web del distretto del vetro di Murano. Durante la fase di vendita l’acquirente ha la possibilità di rilasciare i propri dati personali, quali nome, cognome, indirizzo, e-mail, che da quel momento vengono inseriti nel database distrettuale e utilizzati da quest’ultimo nel rispetto della privacy5, per raccontare nuovi progetti o annunciare l’uscita di nuovi prodotti ai quali l’utente stesso potrebbe essere interessato. Una volta che i dati vengono inseriti nel database del distretto, la murrina diventa una sorta di certificato di proprietà in quanto racchiude non solo le informazioni relative al prodotto acquistato, ma anche i dati personali di chi ha acquistato,
5. Il distretto del vetro di Murano raccoglie i dati degli utenti nel rispetto della privacy sviluppando una Privacy Policy che descrive il modo in cui raccoglie, utilizzia, divulga, trasferisce e memorizza i dati.
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garantendo un livello di sicurezza ancora maggiore. In questo modo il distretto può mettersi in contatto con l’utente in qualsiasi momento e richiedere il prestito del prodotto acquistato per l’allestimento di esposizioni nei musei del vetro di tutto il mondo. Trattandosi di un oggetto di dimensioni ridotte, imballato e venduto insieme al prodotto in vetro, la murrina può essere facilmente smarrita dall’utente. Se ciò si verfica è sufficiente richiedere al distretto del vetro la generazione di una nuova murrina che viene riassociata al prodotto e spedita all’utente in possesso del prodotto, la cui identità è nota al distretto. Nel caso in cui l’utente non fosse certo di aver acquistato un pezzo originale, progettato e prodotto presso il distretto del vetro di Murano, può richiedere una verifica di autenticità. È sufficiente fotografare il prodotto seguendo alcune semplici istruzioni e inviare le immagini al distretto che si occupa di effettuare il matching tra le immagini d’archivio e quelle scattate dall’utente. Se il matching è positivo, l’autenticità viene riscontrata e l’acquirente riceverà una garanzia di autenticità sottoscritta dal distretto. La struttura produttiva muranese viene dotata di diversi Spimes rappresentati di seguito, che consentono un’applicazione ottimale di questo progetto di tracciabilità alla sua stessa produzione. Nelle pagine seguenti sono rappresentate graficamente tutte le fasi in sequenza, dalla progettazione e sperimentazione del prodotto alla produzione e vendita dei prodotti, con la visualizzazione da parte dell’utente delle informazioni raccolte con l’ausilio degli Spimes [25]. 56
nuovi strumenti per un processo che non cambia
p. 58
dati raccolti e restituiti grazie agli Spimes
p. 58
sperimentazione
p. 60
segnatura
p. 66 produzione
p. 62
esposizione
vendita
p. 70
p. 72
uso
autenticazione
p. 74
p. 76
sperimentazione maestro vetraio designer altre competenze disegni documentazione audiovisiva
produzione maestro vetraio servienti numero di pezzi giornalieri quantitĂ di materiale utilizzato documentazione audiovisiva
segnatura molatore numero di pezzi giornalieri seconde lavorazioni effettuate segnatura del numero di serie
[24]
esposizione maestro vetraio designer altre competenze servienti documentazione audiovisiva progetti
vendita dati personali dell’acquirente
6 uso maestro vetraio designer altre competenze servienti dati personali dell’acquirente documentazione audiovisiva progetti
7 autenticazione segnatura del numero di serie
nuovi strumenti per un processo che non cambia
spimes utilizzati
informazioni raccolte
fasi del processo
maestro vetraio designer altre competenze documentazione progettazione documentazione audiovisiva
maestro vetraio servienti n. pezzi giornalieri prodotti quantitĂ di materiale utilizzato documentazione audiovisiva
molatore
3
lavorazioni a freddo realizzate sul pezzo numero di serie inciso sul pezzo immagini dell’incisione sul pezzo
distretto del vetro di Murano utente dati personali dell’utente -
-
7
immagini dell’incisione sul pezzo -
artefatti per la visualizzazione
informazioni restituite
fasi del processo
maestro vetraio designer molatore servienti
6
altre competenze dati personali dell’utente documentazione progettazione documentazione audiovisiva
alcuni dati raccolti dal distretto del vetro di Murano non sono accessibili da parte dell’utente finale.
[25]
dati raccolti attraverso gli spimes e dati restituiti all’utente
1 SPERIMENTAZIONE durante lafase di sperimentazione avviene la produzione di un prototipo sulla base di un progetto realizzato dal designer. durante questa fase possono intervenire altre competenze.
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la documentazione relativa al progetto viene consegnata al distretto che ne organizza la produzione. tutti i materiali cartacei generati dal designer verranno conservati nell’archivio del distretto. [1/1]
archivio
durante la fase di sperimentazione sarranno raccolti materiali audiovisivi che verranno utilizzati dal distretto per documentare la progettazione dei prodotti in vendita. [1/2]
riprese
2 PRODUZIONE inizia la fase di produzione organizzata dal distretto che, in base al numero di pezzi da realizzare e al tempo a disposizione, impiega un certo numero di maestranze.
64
un fiducial marker in metallo costituisce in fase di lavorazione, la carta di identità del pezzo che verrà realizzato. Il fiducial marker viene letto attraverso una semplice webcam posta nell’area di lavoro. [2/1]
fiducial markers
videocamera con funzione push button. La videocamera acquisisce i dati ma li registra solamente attraverso un preciso comando da parte dell’utente. Un pulsante a terra permette di registrare i dati acquisiti dalla telecamera. [2/2]
videocamera
una stampante di etichette con camera integrata permette di leggere il fiducial marker e di generare etichette. [2/3]
etichettatura
1 una serie di telecamere con funzione push button, posizionate in punti strategici all’interno della fornace, registrano audio e video durante la realizzazione di ogni singolo pezzo.
2 un fiducial marker verniciato su una piastrina di ferro viene assegnata ad ogni pezzo in fase di lavorazione. Prima di inziare la lavorazione, l’addetto attiva il riconoscimento del marker attraverso una webcam. Da quel momento tutta la documentazione audio - video viene associata al fiducial marker e, di conseguenza, al pezzo.
3 la registrazione della produzione del pezzo viene salvata nel database tramite la funzione push button, premendo un pulsante presente nell’area di lavoro.
4 il prodotto viene realizzato dal maestro vetraio con l’aiuto dei suoi collaboratori, i servienti.
5 una volta terminato, il pezzo viene posto nel forno a tempra, dove rimarrĂ per alcune ore. Insieme al pezzo viene inserita anche la piastrina metallica che contiene al suo interno i dati relativi al quel singolo prodotto.
6 all’uscita dal forno a tempra, il fiducial marker viene letto da un device mobile e viene generata un’etichetta equivalente che verrà posta sul pezzo, pronto per passare nella zona della fornace dedicata alle lavorazioni a freddo.
3 SEGNATURA in questa fase avviene l’incisione di un ID unico con punta di diamante su ogni pezzo realizzato. ogni singolo prodotto viene fotografato in altissima definizione. Il distretto dispone di un archivio dei prodotti in grado di verificare l’autenticità dei prodotti realizzati attraverso il matching fotografico .
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incisione a punta di diamante sulla base del pezzo LOGO DEL DISTRETTO NOME AZIENDA N. PROGETTO N. PRODOTTO [3/1]
incisione con punta diamantata
fotografia ad alta risoluzione dell’incisione e del pezzo in ambiente controllato [3/2]
fotografia della firma
la murrina del distretto è la carta di identità del pezzo. viene assegnata ai prodotti in maniera univoca. [3/3]
murrina
1 il pezzo viene segnato manualmente dall’addetto incisore con una punta diamantata. L’incisione reca il nome dell’azienda, il numero del progetto e il numero di serie del pezzo. Deve essere realizzata sulla base del prodotto in modo da garantire una buona acquisizione fotografica degli elementi incisi.
2 il prodotto segnato viene fotografato in ambiente controllato. Le immagini vengono conservate nel database del distretto e utilizzate per la documentazione (pubblicazioni o pubblicità) del progetto realizzato. Nel caso di una verifica di autenticità del pezzo le immagini vengono utilizzate da un tecnico addetto per un matching fotografico.
3 al pezzo viene assegnata una murrina che da quel momento contiene tutti i dati e i contenuti relativi ad esso.
4 la murrina viene assegnata al prodotto che è pronto per essere imballato e distribuito.
4 ESPOSIZIONE i prodotti vengono esposti all’interno dello showroom del distretto. Attraverso l’installazione di alcuni tavoli interattivi nello spazio di vendita, l’utente può accedere alle documentazioni (disegni, materiali audiovisivi) relativi alla fase di sperimentazione.
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la murrina consente l’accesso ai durante l’esposizione negli showroom del distretto visualizzazione dei contenuti nello showroom
[4]
1 lo spazio espositivo prevede una serie di tavoli interattivi dedicati alla visualizzazione dei contenuti associati alle singole murrine. I tavoli interattivi riconoscono il pattern della murrina e consentono il finger tracking che permette all’utente di interagire con la superficie interattiva.
2 una videocamera posizionata sopra alla superficie interattiva è in grado di riconoscere il pattern della murrina e di riprodurre tutta la documentazione relativa alla stessa.
5 VENDITA il prodotto viene venduto all’acquirente che può scegliere di fonire i propri dati al distretto del vetro di Murano.
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1 durante la vendita viene richiesta l’identità dell’utente -nel pieno rispetto della privacy-. Se l’utente accetta, i suoi dati verranno utilizzati dal distretto per comunicare eventi, progetti, workshop ed esposizioni. Inoltre, nel caso in cui l’utente abbia acquistato un pezzo di una serie limitata, il distretto si riserva il diritto di utilizzare tale prodotto per fini culturali (es. esposizioni).
2 se l’utente concede il prestito al distretto, quest’ultimo si incaricherà delle spedizioni e di fornire una garanzia di originalità del pezzo, una volta che questo viene reso al cliente.
6 USO una volta acquistato il prodotto, l’utente può scoprire le funzionalità della murrina che viene data in dotazione.
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la murrina del distretto consente l’accesso ai contenuti anche dopo l’acquisto. visualizzazione dei contenuti nella fase post-vendita
[6]
1 i materiali resi disponibili dal distretto sono accessibili all’utente finale che, dotato di un computer può accedere al sito del distretto e porre la murrina in prossimità della webcam. In questo modo verrà visualizzata la carta di identità del prodotto che riporta tutti i dati raccolti nelle fasi di sperimentazione e produzione.
7 AUTENTICAZIONE l’utente può verificare l’autenticità del pezzo durante tutto il suo ciclo di vita, in maniera molto semplice e diretta, confrontando il prodotto con la documentazione presente all’interno del database (archivio multimediale) distrettuale.
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Incisione a punta di diamante sul lato del pezzo NOME AZIENDA N. PROGETTO - N. PRODOTTO etichettatura
[7]
1 se l’utente non è certo di aver acquistato un pezzo originale progettato e prodotto dal distretto del vetro di Murano, può richiedere una verifica di autenticità. È sufficiente che l’utente fotografi con un semplice smartphone il prodotto, secondo un protocollo fornito dal distretto. Le immagini vengono inviate al distretto che si occupa di effettuare un matching fotografico e di attestare l’autenticità del pezzo.
2 il riconoscimento del pezzo avviene attraverso un’analisi degli scatti fotografici, una vera e propria perizia calligrafica mediante un processo utilizzato in fotogrammetria: l’individuazione e il matching dei punti di interesse all’interno di diverse immagini statiche.
la variabile artigianale
6
L’attenta analisi delle tecniche di segnatura adottate nella storia del distretto del vetro ha portato ad un’importante considerazione: la presenza di imperfezioni sul prodotto artigianale consente di stabilire l’autenticità dello stesso. Ogni vetro, infatti, è caratterizzato da imperfezioni uniche e l’incisione realizzata con la punta diamantata è l’elemento ricorrente nelle produzioni muranesi che può garantirne l’autenticità e che sulla base del mio percorso di analisi progettuale è stata identificata come elemento fondamentale che permette il riconoscimento univoco del prodotto. La decisione -presa con fermezza- di non adottare soluzioni ormai già ampiamente esplorate come l’etichettatura, si riflette nella semplice intuizione della possibilità di utilizzare le imprecisioni date dalla lavorazione artigianale e dalle infinite variabili del materiale stesso come prova inconfutabile di autenticità1. Si può dunque affermare che l’errore -inteso come variazione imprevedibile e incontrollabile da parte della mano dell’artigiano- sia il fondamento di un processo di tracciabilità che permette di riscontrare in maniera univoca la provenienza di un manufatto, determinandone il valore. In altre parole l’errore identifica il valore. A tale proposito appare necessario un riferimento al lavoro dell’artista spazialista e designer Vinicio Vianello nella progettazione della serie dei Vasi Variante. Franco Deboni in Murano ‘900, scrive: “Le forme dei vasi di Vianello, cui viene attribuito il Premio Compasso d’Oro, sono esempi di soluzione
1. AA.VV., Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi al design, Franco Angeli, Milano 2011.
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di un problema prima metodologico che estetico: questo nasce da quello per le caratteristiche intrinseche del materiale e della lavorazione. La concezione della variabilità delle forme in fase di lavorazione sulla base di un disegno del progettista è un intelligente tentativo di condizionare e garantire l’esteticità del prodotto costituito da un materiale come il vetro le cui caratteristiche fisiche non si prestano -salvo scadimento di alcune qualità di esso- ad una ripetizione rigorosa”2. La progettazione di questi pezzi lascia aperte le diverse vie realizzative concesse dalla flessibilità del materiale vitreo e dalla lavorazione manuale al quale esso viene sottoposto e viene definita da Alberto Bassi come “primo tentativo di sintesi ‘variabile’ fra i mondi della produzione artigianale e la progettazione industriale”3. Questa sintesi variabile, dunque, avvalora la tesi finora sostenuta relativa all’importanza di evidenziare l’elemento variante che permette -all’occhio umano quanto a quello tecnologico- di riconoscere l’unicità delle produzioni artigianali. In questo progetto si individua l’elemento variabile, o errore, in due momenti del processo: quando l’oggetto viene segnato con una punta diamantata e quando al prodotto viene assegnata la sua carta di identità, la murrina.
82
1. Franco Deboni, Murano 900. Vetri e Vetrai, Bocca Editrice, Milano 1996, cit., p.77. 3. Alberto Bassi, Paola Marini, Alba di Lieto (a cura di), Vinicio Vianello: il design del vetro, Marsilio, Venezia 2007.
[26]
Vinicio Vianello Compasso D’Oro, 1957
[27]
Variante, Vinicio Vianello Compasso D’Oro, 1957
acquisire l’errore
7
La fase di acquisizione dell’errore che si verifica in una produzione artigianale è determinante per il riconoscimento del prodotto nella fase successiva alla realizzazione e alla vendita. Durante il processo del vetro vi sono in particolare due momenti in cui avviene l’acquisizione dell’errore. Il primo riguarda la segnatura del prodotto a punta diamantata, mentre il secondo avviene quando il pattern della murrina viene riconosciuto e associato al prodotto finito.
L’incisione Una volta terminata la segnatura del pezzo con la dicitura (es. Salviati 123 763) [nome dell’azienda, numero del progetto sviluppato nel distretto, numero di serie del prodotto], questo viene fotografato in un ambiente controllato che prevede l’allestimento di un set di posa per still life illuminato sui lati da due fari fotografici a luce fissa. Secondo il protocollo devono essere effettuati tre scatti (altissima qualità formato RAW) da tre angolazioni differenti che permettono di visualizzare per intero l’incisione e parte della texture, nonché il colore del prodotto. Inoltre è previsto un quarto scatto che rappresenta il vetro intero nella sua forma complessiva. I tre scatti sono necessari per la verifica della firma autografa realizzata dal molatore, una vera e propria perizia calligrafica effettuata mediante l’ausilio di un occhio artificiale in grado di riconoscere la morfologia dell’incisione e la sua posizione sul prodotto rispetto alla texture e alle imperfezioni che caratterizzano il materiale (quali bollicine o striature lasciate sulla base del
85
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pezzo durante il distaccamento del pontello in fase di produzione). L’addetto allo scatto delle immagini non deve essere un fotografo professionista, ma un semplice addetto specializzato in questa attività, al quale verrà fornita l’attrezzatura necessaria per l’ottenimento di risultati ottimali. Le prove effettuate in ambiente controllato1 hanno condotto ai risultati sperati. La fotografia ad alta risoluzione del particolare dell’incisione su vetro, in relazione alla sua posizione sul prodotto rende possibile ed efficace il riconoscimento del singolo pezzo. Per questa prova di laboratorio sono stati scelti due prodotti piuttosto critici a causa delle loro particolari caratteristiche morfologiche quali la superficie irregolare nel primo caso e la trasparenza del cristallo nel secondo. Entrambi gli oggetti sono stati fotografati in un set per still life costituito da una soft box bianca, due fari a luce fissa posti lateralmente. Per far fede al protocollo di scatto è stata utilizzata una slitta fotografica in grado di assicurare la coerenza della posizione di scatto in modo che non ci fossero differenze tra il primo prodotto e il secondo. L’unico elemento variabile durante lo scatto è il fondale: nel caso di oggetti colorati e opachi viene utilizzato un fondale bianco, mentre, per gli oggetti in cristallo un fondale nero, come avviene solitamente nella realizzazione di still life di prodotti con un alto livello di trasparenza e riflessione. Sono stati realizzati una serie di quattro scatti per ogni prodotto con una macchina Canon EOS 5D Mark II con obiettivo di lunghezza focale 100 mm, apertura di diaframma f/22 e tempo di esposizione 1/200. Si è cercato di fotografare il particolare dell’incisione mantenendo il fuoco sempre sullo stesso elemento grafico (in questo caso una lettera) tentando di includere nella ripresa quanti più elementi possibili della texture del prodotto, in modo da garantire un punto di controllo sicuro e costante nei diversci scatti. La prima immagine del protocollo è una still life che rappresenta l’oggetto intero, questa può essere effettuata da diverse angolazioni poichè verrà utilizzata dal distretto con fini culturali e pubblicitari (es. esposizioni e cataloghi). Le tre immagini seguenti invece devono rispondere al rigido protocollo di scatto che viene studiato dal distretto per le differenti tipologie di prodotti e che dipende generalmente dalle dimensioni degli stessi e dalla loro complessità formale. La taratura di un set fotografico consente di ottenere una serie di dati metricamente riscontrabili relativi all’incisione [28].
1. Le prove in ambiente controllato sono state effettuate presso il Laboratorio Fotografico dell’Università Iuav di Venezia presso i Magazzini Ligabue in data 11/02/2013.
database
4 scatti: > oggetto intero > incisione frontale > incisione destra > incisione sinistra [28]
acquisizione delle immagini relative all’incisione
Canon EOS 5D Mark II lunghezza focale 100 apertura diaframma f/22 tempo di posa 1/200 sec [29]
1-3 design S.O.R. Fabiano Amadi Murano Scatto 1
Canon EOS 5D Mark II lunghezza focale 100 apertura diaframma f/22 tempo di posa 1/200 sec [30]
1-3 design S.O.R. Fabiano Amadi Murano Scatto 2
Canon EOS 5D Mark II lunghezza focale 100 apertura diaframma f/22 tempo di posa 1/200 sec [31]
1-3 design S.O.R. Fabiano Amadi Murano Scatto 3
Canon EOS 5D Mark II lunghezza focale 100 apertura diaframma f/22 tempo di posa 1/200 sec [32]
1-3 design S.O.R. Fabiano Amadi Murano Scatto 4
Canon EOS 5D Mark II lunghezza focale 100 apertura diaframma f/22 tempo di posa 1/200 sec
[32-36]
1-5 design S.O.R. Fabiano Amadi Murano Scatto 1-4
La murrina
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La murrina è l’oggetto seriale fornito dal distretto con l’intento di comunicare l’identità distrettuale e di valorizzare l’unicità del manufatto al quale essa è associata. Si parla di oggetto seriale in quanto le canne dalle quali sono derivate le murrine sono semilavorati realizzati manualmente da diversi addetti. Le murrine si ottengono giustapponendo sezioni di canne vitree policrome a formare un motivo decorativo e saldandole insieme per la loro lunghezza, fino ad ottenere un’ unica canna. Questa canna a più strati viene presa per le estremità e successivamente tirata per ottenere una canna di sezione minore, che viene poi sezionata a freddo in senso trasversale, ottenendo una serie di dischetti policromi chiamate murrine. Generalmente gli artigiani puntano ad ottenere un disegno costante nella sezione della stessa canna ma, trattandosi di un procedimento interamente manuale, è possibile indurre degli errori durante lo stiraggio applicando una leggera torsione alla lunghezza del semilavorato. In questo modo, una volta sezionata la canna, è possibile ottenere un disegno in sezione sempre diverso, garantendo l’unicità di ogni singola murrina [36]. L’acquisizione del pattern che caratterizza ogni singola murrina, unico e associabile in maniera univoca ad un prodotto del distretto, avviene nell’ambito della Computer Vision mendiante l’uso di SURF, un algoritmo che estrae dall’immagine alcuni keyponts2 (punti di interesse) e Descriptors3 e li riutilizza in un secondo momento nella fase di riconoscimento della stessa all’interno di un database di immagini. SURF, acronimo di Speeded Up Robust Features4 utilizza un’immagine intermedia, chiamata Integral Image, computata dall’algoritmo sulla base dell’immagine originale e utilizzata per velocizzare il calcolo in tutte le aree rettangolari dell’immagine. La Integral Image viene generata dalla somma dei valori dei pixel sulle coordinate x,y dal punto di origine alla fine dell’immagine. Questo elemento rende la computazione più rapida ma, soprattutto, la rende non variabile al cambio di scala dell’immagine originale [37]. Il SURF Detector si basa sulla matrice di Hessian5 relativa all’individuazione dei punti di interesse tipicamente usata in Computer Vision come pre-processo all’utilizzo degli algoritmi basati appunto sul riscontro dei punti di interesse. I SURF Descriptors descrivono in che modo le intensità dei pixel sono distribuite all’interno di un’area in prossimità dei punti
2. Michael Calonder, Robust, High-Speed Interest Point Matching for Real Time Application, Ph. D. Thesis, école Polytechnique Fédérale de Lausanne, October 2010. 3. Fabio Remondino, Detectors and Descriptors for Photogrammetric Applications, Instituite of Geodesy and Photogrammetry, ETH Zurich, Switzerland. 4. Per approfondimenti a proposito di SURF consultare il sito web http://achuwilson. wordpress.com/2011/08/05/object-detection-using-surf-in-opencv-part-1/ 5. Cordelia Schmid, Roger Mohr, Christian Bauckhage, Comparing and Evaluating Interest Points, 6th International Conference on Computer Vision, 1996.
[37]
murrina
P-SURF
database
riconoscimento del pattern e archiviazione nel database distrettuale. [38]
acquisizione del pattern della murrina
[39]
il prodotto viene venduto accompagnato dalla murrina
di interesse determinati dall’algoritmo Fast Hessian6. Il riconoscimento delle immagini e degli oggetti tridimensionali mediante l’uso di SURF è scale e rotation invariant, ovvero avviene anche nel caso in cui l’immagine o l’oggetto vengano ruotati o sottoposti ad una variazione dimensionale [38]. Vi sono diversi progetti atti alla sperimentazione di sistemi di riconoscimento delle immagini. Uno su tutti è quello condotto da Google Labs, Goggle7 [39], applicazione che consente di ottenere informazioni relative a luoghi fisici, prodotti, testi scritti. È sufficiente scattare un’immagine attraverso un device mobile e l’applicazione effettua un matching con le immagini presenti all’interno del suo database. Se avviene un riscontro positivo, l’applicazione fornisce informazioni all’utente. Tale processo consente di stabilire precise corrispondenze tra due o più dataset acquisiti (immagini relative ai pattern delle murrine), in momenti diversi, da più punti di vista differenti e, addirittura da diversi sensori o piattaforme di acquisizione dell’immagine. Attraverso questo strumento è possibile attivare il processo di matching dei pattern delle murrine presenti all’interno del database del distretto. Una volta acquisita l’immagine del pattern della murrina attraverso una webcam, l’algoritmo8 identifica i punti di interesse dell’immagine e i descriptors. A questo punto il pattern viene registrato e associato ad un prodotto, affiancandolo durante tutto il suo ciclo di vita. 102
6. Cordelia Schmid, Roger Mohr, Christian Bauckhage, Comparing and Evaluating Interest Points, 6th International Conference on Computer Vision, 1996. 7. http://www.google.com/mobile/goggles/#text 8. Per approfondimenti a proposito di SURF consultare il sito web http://docs.opencv. org/modules/nonfree/doc/feature_detection.html
[40]
P-SUFR Interest Points
[41]
Google Goggles iPhone Application
restituire l’errore
8
Gli errori acquisiti durante la realizzazione del manufatto servono da una parte a riconoscerlo come autentico, dall’altra a raccontarne la storia. L’archivio che va formandosi nel tempo grazie alla continua raccolta di documentazione - progetti, testimonianze audiovisive e scritte - costituisce di fatto il database grazie al quale il distretto può certificare l’autenticità dei propri progetti e prodotti e ricostruire, attraverso la comunicazione e l’istruzione, la cultura del vetro muranese. Nello specifico, l’immagine dell’incisione sul vetro viene conservata all’interno del database e non viene mai divulgata, in quanto costituisce l’unico documento comprovante l’unicità e l’autenticità del vetro. La murrina, invece, consente al distretto di entrare in contatto con l’utente finale che grazie ad essa accede ai contenuti relativi al prodotto acquistato. Le informazioni visualizzate dall’utente sono specificate nella tabella delle informazioni raccolte e restituite grazie agli Spimes [25].
L’incisione All’utente che desidera effettuare un’autenticazione del pezzo viene richiesto di fotografare il prodotto con un determinato protocollo di scatto e di inviare le immagini al distretto che provvede al riconoscimento della firma incisa. A quel punto il distretto effettua una procedura basata sul principio della triangolazione dei punti che permette di ricavare la distanza incognita tra diversi punti grazie alle proprietà geometriche dei triangoli [40-41]. L’addetto ha il compito di individuare manualmente alcuni punti di interesse sulle immagini dell’incisione conservate nel database del distretto e di
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ricavarne la distanza impiegando il metodo della triangolazione di punti. La stessa procedura viene applicata alle immagini delle incisioni inviate dall’utente che desidera conoscere l’identità del proprio prodotto. Se l’autenticità del prodotto viene verificata dal matching fotografico tra le tre immagini scattate dal distretto e quelle scattate invece dall’utente finale - che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo -, quest’ultimo riceve una garanzia che ne comprova il valore. Il distretto può garantire l’autenticità delle sue produzioni a partire dal primo progetto da esso sviluppato. In ogni caso è possibile effettuare un’autenticazione retroattiva in quanto tutti i prodotti generati dal distretto vengono catalogati con perizia e le immagini che ne provano l’unicità sono conservate all’interno dell’archivio multimediale del distretto. Per questo motivo se un acquirente acquista un pezzo in vetro di Murano da un rivenditore non autorizzato e sprovvisto di garanzia, è possibile effettuare una sorta di riautenticazione basata sulla documentazione presente in archivio. Non è impensabile che un domani non si possa raggiungere un livello di contraffazione dell’incisione superficiale grazie ad una scansione laser computerizzata e una incisione laser della stessa su prodotti di provenienza extra-lagunare. Ma anche in questo caso l’incisione, una volta verificata, apparirà differente in quanto l’irregolarità delle incisioni realizzate dalla mano umana sulla superficie vitrea è difficilmente imitabile.
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La murrina nello show-room La rappresentazione dei contenuti audiovisivi racchiusi nella murrina avviene in due momenti: il primo, durante l’esposizione dei prodotti all’interno dello showroom del distretto del vetro. Il secondo momento riguarda invece la fase post-vendita in cui l’utente può accedere ai contenuti audiovisivi. Durante la fase di esposizione, vengono impiegate una serie di superfici interattive sulle quali vengono proiettati video, immagini, disegni e grafiche relative alle fasi di produzione dei prodotti. Una delle tecnologie indagate per la rappresentazione dei contenuti multimediali nella fase di esposizione all’interno degli showroom del distretto è la RDI1, Rear Diffused Illumination [42]. Nella retroilluminazione diffusa, la luce a infrarossi proviene dalla parte inferiore del tavolo, sotto la superficie multitouch. Un diffusore viene posto sopra o sotto la superficie interattiva e nel momento in cui il dito dell’utente tocca la superficie, la luce a infrarosso colpisce l’oggetto e viene riflessa verso il basso e vista dalla camera posta sotto la superficie. In base al diffusore impiegato, il metodo RDI può riconoscere, oltre al tocco, anche oggetti e tag presenti sulla superficie. Le informazioni associate al tag - la murrina - vengono in questo caso visualizzate utilizzando un proiettore connesso ad un computer e puntato nella direzione del materiale di proiezione, ovvero il piano di visualizzazione multitouch.
1. Christian Müller Tomfelde, Tabletops - Horizontal interactive Displays, Springer Verlag London Limited, Londra 2010.
[42]
immagine conservata all’interno del database del distretto
[43]
immagine scattata dall’utente attraverso la webcam di uno smartphone
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I layer di cui è composto un tavolo interattivo basato sul sistema RDI sono: > una superficie di interazione in acrilico o vetro. Deve trattarsi di una superficie resistente in grado di percepire la pressione attraverso la quale l’utente interagisce. > diffusore/layer di proiezione: il diffusore ferma l’immagine prodotta dal proiettore. >La sorgente di luce ad infrarossi per un setup Rear Diffused Illumination proviene da LED a infrarosso posti sotto la superficie di interazione. > La telecamera è posizionata sul lato opposto rispetto alla superficie touch in modo che essa possa percepire i blob generati dall’interazione di mani o oggetti con la superficie. Questo tipo di superficie multitouch non richiede una cornice di LED, consente di utilizzare diversi materiali per la realizzazione della superficie di contatto, ha un setup molto semplice e può trackare oggetti, dita, fiducials. Gli svantaggi di una superficie RDI sono identificati, oltre alla difficoltà di avere una forte illuminazione, nello scarso contrasto dei blob generati dall’interazione con la superficie e di conseguenza riconosciuti con alcune difficoltà dal software impiegato. Inoltre è necessario che il setup sia racchiuso da una scocca piuttosto ingombrante. Proprio per questo motivo si è scelto valutare un’altra possibile direzione progettuale: una LCD based interactive surface. Ad oggi è disponibile una vasta documentazione a proposito delle superfici interattive in quanto è stata dedicata un’ampia ricerca agli Horizontal Tabletop Systems, device orizzontali per la visualizzazione delle immagini2. Una delle maggiori problematiche riscontrate nelle superfici interattive basate su sistemi di proiezione - Projector Based Tabletops - è che le immagini proiettate sono molto spesso scure e difficilmente visualizzabili in ambienti illuminati. Un altro problema relativo a questo metodo di visualizzazione delle informazioni è la sua messa in opera: nel caso di un tavolo interattivo con Front-Projection System il proiettore deve essere montato su superfici ad una certa altezza rispetto al tavolo. Nel caso, invece, di un Rear Projection System, l’hardware ottico deve essere posizionato sotto la superficie orizzontale e il tavolo interattivo si trasforma in una grossa scatola senza spazio al di sotto3. Una soluzione a queste problematiche potrebbe essere, come accennato, l’uso di uno schermo LCD multitouch. In particolare la tecnologia sviluppata dall’azienda MULTITACTION [43], la User Hybrid Tracking, fornisce una tecnologia ottica multitouch immune all’illuminazione ambientale4. Queste superfici supportano illimitati punti di contatto in modo da garantire ottimi risultati negli spazi pubblici dove diversi utenti possono entrare in contatto con la superficie con l’uso di entrambe le mani [44]. Dato lo spessore ridotto rispetto agli altri sistemi di visualizzazione su su-
2. Grit Schuster, Master in Interaction Design, Institut für Industrial Design, Multitouch Input, Hochschule Magdeburg-Stendal, 10 settembre 2008. 3. Christian Müller Tomfelde, Tabletops - Horizontal interactive Displays, Springer Verlag London Limited, Londra 2010. 4. Per maggiori informazioni visitare il sito web http://www.multitaction.com/ technologies/
Diffuser Acrylic Surface
projector
IR camera
IR lightning
[44]
RDI Rear Diffused Illumination
Fingertips Markers
LCD panel Backlight Electronics Cooling backplate [45]
MultiTaction Layers
Reflections
[46]
Shadows
Combined MultiTaction Hybrid Tracking
Combined MultiTaction Hybrid Tracking
110
perfici orizzontali, gli schermi LCD interattivi possono essere integrati nella progettazione di ambienti interni pubblici o privati. Il tracking ottico che funziona perpendicolarmente al piano LCD consente di sviluppare metodi di interazione avanzati quali: > object tracking: gli oggetti possono essere taggati con marker bidimensionali ed essere ruotati o spostati sulla superficie. > pen tracking: penne attive ad infrarossi vengono riconosciute dalla computer vision come elementi separati da dita o oggetti. Questo permette l’uso simultaneo di penne e tocco nella stessa user interface. > blob tracking: forme semplici come cerchi, quadrati o triangoli possono essere riconosciute e trackate separatamente consentendo il riconoscimento simultaneo di diversi elementi. Le parti che compongono una MultiTaction technology platform sono: > un pannello LCD CVTS - Computer Vision Through Screen - che si basa sulla quantità di informazioni visualizzate attraverso il pannello LCD ad un angolo perpendicolare, maggiore rispetto alle soluzioni tradizionali basate sui frame di LED a infrarossi. Ciò ha reso possibile il riconoscimento di altri elementi oltre al tocco. >un frame di alluminio >moduli Integrated Backlight Emitter Camera che includono LED bianchi utilizzati nella retroilluminazione standard, LED a infrarossi per l’emissione di luce IR attraverso il pannello per il riconoscimento e il tracking degli oggetti posti sulla superficie interattiva. La luce IR viene riflessa dove le telecamere a infrarossi catturano le immagini alla velocità di 200 frame al secondo. >il Multi Tracking System, che combina logiche software e hardware combinando tutte le camere presenti nei moduli IBEC processando le loro immagini in tempo reale in un’unica immagine coprendo tutta la dimensione del display. Il sistema MTS prevede dalle quattro alle cento camere, numero che dipende ovviamente dalla dimensione del display. > EHTE – Extensible Hybrid Tracking Engine. Estensibilità significa che il sistema di tracking può essere utilizzato per riconoscere tutto ciò che viene messo sullo schermo e visibile con luce IR. EHTE può trackare e passare le informazioni all’applicazione con: Finger points, mani, dita, forme, marker ottici e prossimità, ovvero la presenza di utenti nelle vicinanze del display. Multitaction permette di utilizzare gli standard prevalenti per il tracking degli oggetti quali TUIO PROTOCOL, Windows 7 Native Touch5. Grazie all’applicazione di questa specifica tecnologia è possibile installare all’interno degli spazi espositivi del distretto una serie di superfici interattive che permettono la visualizzazione di informazioni relative ai diversi prodotti esposti e che consentono a diversi utenti di interagire con esse contemporaneamente.
5. http://www.multitaction.com/technologies/
[47]
restituizione delle informazioni attraverso le superfici interattive presenti negli showroom del distretto
La murrina nei device portatili La murrina del distretto segue il prodotto durante il suo ciclo di vita. Infatti sarà possibile raggiungere i contenuti in qualsiasi momento accedendo al sito web del distretto e attivando la webcam di un Personal Computer o si uno smartphone che, grazie all’algoritmo6 (SURF) riconosce il pattern di quella murrina e permette di visualizzare tutta la documentazione associata ad essa e, di conseguenza, al prodotto [45-46]. Il riconoscimento del pattern richiama immagini, video e informazioni che vengono restituite sui device mediante un’interfaccia grafica progettata che permette all’utente di conoscere a fondo il suo prodotto nelle sue caratteristiche e il progetto in tutte le sue fasi, dalla sperimentazione allo sviluppo. Come già accennato in precedenza, la murrina svolge anche la funzione di certificato di proprietà in quanto, durante l’atto di vendita, i dati forniti dall’acquirente del prodotto vengono inseriti nella murrina proprio nello stesso modo in cui vengono trattate le informazioni relative al prodotto. L’utente infatti è in grado di visualizzare i propri dati associati al pezzo acquistato fino ad un’eventuale vendita. Nel caso in cui si desidera vendere il prodotto, è possibile richiedere al distretto di sostituire i dati precedenti con quelli del nuovo acquirente e aggiornare la proprietà dell’oggetto. 112
6. http://opencv.willowgarage.com/documentation/cpp/feature_detection.html
[48]
restituizione delle informazioni attraverso una APP per smartphone
[49]
restituizione delle informazioni attraverso il sito web del distretto del vetro di Murano
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fonte delle immagini 0.
Grafica di Laura Pison e Silvia Orsetta Rocchetto
1-4.
Grafica di Laura Pison
5. Immagini tratte dai siti web http://it.wikipedia.org/wiki/Codice_a_barre http://mobile-barcode.tmcnet.com/topics/mobile-barcode- accelerators/articles/191717-mobile-marketing-with-sms- amazons-kindle-barcode.htm 6. Immagini tratte dai siti web http://it.wikipedia.org/wiki/Codice_QR http://txtin.com/news/how-retailers-like-starbucks-are-using- qr-codes-and-mobile-coupons/ 7. Immagine tratta dal sito web http://en.wikipedia.org/wiki/High_Capacity_Color_Barcode 8. Immagine tratta dal sito web http://web.media.mit.edu/~ankit/bokode/ 9-11. Immagini tratte dal sito web http://reactivision.sourceforge.net/ 12.
Grafica di Laura Pison
13. Immagine tratta dal sito web http://www.apple.com/it/ipod/ 14.
Immagine tratta dal sito web http://weblogs.java.net/blog/lucastorri/archive/2008/01/ rfid_tags_to_te.html
15.
Grafica di Laura Pison
16.
Immagine tratta dal sito web http://www.maurocalvone.com/
17-18. Grafica di Laura Pison 19. Scansione dell’immagine dal volume Murano, il vetro, la sua gente 20. Immagine tratta dal sito web http://www.promovetro.com/
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21. Immagine tratta dal sito web http://www.sigilloinfo.it/ 22.
Grafica di Laura Pison
Grafiche pp. 42-47 di Laura Pison, immagini tratte dal sito web http://www.great-glass.co.uk/glass%20notes/markt-z.htm
23-25. Grafica di Laura Pison
Illustrazioni e grafica pp. 62-79 di Laura Pison
26-27. Immagini tratte dal sito web http://www.archimagazine.com/dvianello.htm 28.
Grafica di Laura Pison
29-36. Fotografia di Laura Pison 37-38. Grafica di Laura Pison 39. 122
Fotografia di Laura Pison
40. Immagine tratta dal sito web http://processingsurf.altervista.org/ 41. Immagine tratta dal sito web https://play.google.com/store/apps/details?id=com.google. android.apps.unveil&hl=it 42-43. Fotografie di Laura Pison 44-46. Grafiche di Laura Pison 47-49. Grafiche di Laura Pison