Interaction Design Cookbook

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LAURA PISON

te

7 ricet

interaction design

cookbook



Ho consegnato questo documento per l’appello d’esame del 17/02/2012 del corso Teorie dell’interazione, tenuto da Gillian Crampton Smith con Philip Tabor alla Facoltà di Design e Arti, Università Iuav di Venezia. Per tutte le sequenze di parole che ho copiato da altri fonti, ho: a) riprodotte in corsivo, o messo virgolette di citazione al loro inizio e fine, inoltre b) indicato, per ogni sequenza, il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Per tutte le immagini che ho copiato da altri fonti, ho indicato: a) l’autore e/o proprietario, inoltre b) il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Dichiaro che tutte le altre sequenze e immagini di questo documento sono state scritte o create esclusivamente da me. 13/02/2012


1 design, interaction design ambienti intelligenti

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affordance

modelli concettuali

4

5

6

metafore

conoscere l’utente finale

riconoscere una design opportunity

7 design dei servizi


(indice)

0. introduzione 7 1. ambienti intelligenti 9 2. affordance 11 3. modelli concettuali 13 4. metafore 15 5. conoscere l’utente finale

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(l’intervista) 19 6. design dei servizi

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7. prototipi 23 8. conclusioni 25



(introduzione)

0

introduzione Questo booklet è scritto con l’intento di raccogliere pensieri ed esperienze elaborati all’interno del corso di Teorie dell’Interazione tenuto da Gillian Crampton Smith con Philip Tabor. La mia prima esperienza, da product designer, nell’ambito dell’ IxD ha fatto luce su questioni fondamentali nel processo di progettazione. Tali questioni verranno rappresentate in questa raccolta che prende la forma di un libro di cucina. Le sette ricette che si trovano all’interno del volume sono composte di contenuti grafici e testuali e costituiscono le basi fondamentali per un buon approccio alla progettazione. All’inzio di ogni ricetta vengono fornite delle informazioni quali la difficoltà, gli ingredienti e il tempo necessario per la preparazione della ricetta.

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Smart Environments, Ambienti Intelligenti.

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(design, interaction design, ambienti intelligenti)

design, interaction design, ambienti intelligenti

1

difficoltà media immaginazione conoscenza delle tecnologie esistenti conoscenza delle problematiche della vita di tutti i giorni 120 min

Che cos’è il Design? Durante lo studio della disciplina del design si cerca costantemente un risposta esaustiva a questa domanda, che possa essere valida per differenti condizioni. Il design, secondo Charles Eames, è un percorso che permette di organizzare diversi elementi che concernono una particolare situazione, nel modo più adatto e più diretto per raggiungere un particolare obiettivo. Ma, allo stesso tempo, il design è un’abilità intrinseca del designer stesso, di riconoscere il numero maggiore di problematiche che si possono verificare durante la soluzione di un problema. A differenza della maggior parte delle altre discipline, il design è caratterizzato da una modalità di apprendimento che viene definito learning by doing, ovvero imparare facendo. Solitamente infatti, nella fase di apprendimento scolare, viene adottata la struttura accademica basata sulla conscious mind, ovvero sulla compresione data dallo studio prevenitvo della materia in questione. Tacit Knowledge, ovvero la conoscenza tacita: è questa la caratteristica che rende il designer speciale, in grado di sintetizzare facilmente problemi complessi con un alto numero di vincoli e ostacoli. Sempre secondo Eames, l’approccio più produttivo al problema è apparentemente quello non strutturato. Non avere quindi una struttura rigida da seguire in partenza, ma aprirsi ad ogni possibile cambiamento durante il percorso della progettazione, facendo comunque riferimento ad una procedura di base che aiuti il designer a raggiungere l’obiettivo finale: la soluzione del problema1.

Che cos’è l’interaction design? Ogni volta che facciamo una telefonata, inviamo posta elettronica o parliamo attraverso internet con persone all’altro capo del mondo, stiamo facendo uso di prodotti che sono il frutto del progresso ingegneristico, ma compiamo queste azioni con tale facilità grazie al design dell’interazione. Dan Saffer, nel libro Design dell’Interazione, fornisce una definizione esaustiva della disciplina definendola appunto “L’arte di facilitare l’interazione tra gli esseri umani attraverso prodotti e servizi” 2. Si tratta di un’arte puramente contestuale in quanto tratta e risolve i problemi relativi ad un particolare contesto. Inoltre l’interaction design, a differenza di molte altre discipline, tende a non allinearsi ad una serie di tecnologie o di mezzi in particolare, occupandosi soltanto delle tecnologie che si riferiscono al problema da risolvere. La caratteristica peculiare dell’interaction designer è dunque la volontà di trovare migliori modaltà di interazione tra le persone, cercando di rendere sempre meno visibile il mezzo attraverso il quale è resa possibile l’interazione stessa, rendendola più ricca, più profonda, quasi poetica. Durante una delle interessanti lectures tenute da Gillian Crampton Smith al corso di Teorie dell’Interazione è stato proiettato il cortometraggio L’età del fuoco - The age of fire di Mauro Calvone (2010), che sbalza con grande efficacia lo spettatore in un ambiente di un futuro a noi molto prossimo: un ambiente intelligente. La sfida di immaginare un ambiente intelligente è stata per me molto interessante e produttiva, poichè proprio attraverso questa attività ho potuto iniziare a ragionare nei termini del design dell’interazione; creare un ambiente che fosse in grado di rendere le esperienze dell’utente più emozionanti e talvolta significative, cercando comunque di non rendere l’ambiente eccessivamente invasivo nei confronti dell’utente stesso. Nella pagina accanto, una rappresentazione grafica di diversi ambienti intelligenti. 1. Moggridge, Designing Interactions, 2006, 645. 2. Saffer, Design dell’Interazione, 2007, 4.

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3 buone Affordances

3 cattive Affordances

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(Affordance)

2

Affordance semplice

ergonomia modelli mentali attività giornaliere

120 min

Letteralmente autorizzazione; un insieme di azioni permesse dalla morfologia dell’entità con cui ci troviamo coinvolti. Il termine inglese affordance, introdotto nel 1966 dallo psicologo J.J. Gibson, indica una serie di caratteristiche proprie delle entità materiali, in grado di determinarne l’uso corretto da parte dell’utente fornendo forti suggerimenti per il funzionamento delle cose. Ogni situazione che richieda un’interazione da parte dell’utente sfrutta una serie di inviti all’uso, quando questi vengono progettati in maniera corretta , allora sarà sufficiente guardare attentamente per comprenderne il funzionamento. Al contrario, se è necessario aggiungere ad un qualsiasi design, una spiegazione scritta o un avvertimento, in questi casi si può definire il lavoro di progettazione eseguito come cattivo design. E’ chiaro che l’affordance è un aspetto contestuale e culturale della materia, essa dipende strettamente dal luogo in cui ci troviamo e dall’epoca che stiamo vivendo: gli schemi mentali di un uomo asiatico saranno certamente differenti da quelli di un nord americano. Donald A. Norman nel libro La caffettiera del masochista introduce un’interessante teoria a proposito della psicologia della casualità: quando compiamo delle azioni e subito dopo si verifica qualcosa di inaspettato, siamo convinti che sia stata la nostra azione ad aver attivato un meccanismo tale da provocare quella certa reazione. In realtà, come spiega Norman, si tratta di un rapporto di pura e semplice coincidenza. A questo punto, l’utente ignaro, crederà che all’azione compiuta da lui stesso seguirà sempre la stessa reazione dell’oggetto. E’ il cattivo design che da luogo ad una falsa

Nella pagina accanto ho riportato una serie di affordances, buone e cattive. Ricercare le affordances nelle attività giornaliere è stato molto semplice. Molte delle attività che compiamo implicano l’uso di prodotti che non sempre sono progettati correttamente dal punto di vista dell’invito all’uso. Un esempio molto chiaro è stato ricavato dall’uso di una bombola di gas da campeggio: la valvola non indicava chiaramente quale fosse il senso di apertura e chiusura. In un momento di fretta o di distrazione è possibile non chiudere correttamente la valvola per impedire la fuoriuscita di gas, che in ambienti chiusi può essere decisamente pericolosa.

1. Norman, La caffettiera del masochista, 1998, 28.

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Modelli Concettuali

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(modelli concettuali)

3

modelli concettuali difficile

buon modello progettuale design incentrato sull’utente

175 min

Il modello mentale nasce dalla necessità innata degli esseri umani di formare spiegazioni per qualsiasi avvenimento. Ognuno di noi genera un modello mentale per qualsiasi interazione: con macchinari, persone, oggetti. Essi sono necessari all’uomo per comprendere le esperienze e per capire quali sono gli effetti delle azioni che compie. Ognuno di noi sente la necessità di formare delle vere e proprie teorie personali per spiegare i fenomeni (anche quelli meno interessanti) che osserva. Se l’utente dispone di un modello concettuale funzionante, allora il tempo che impiegherà nell’imparare il funzionamento di un dispositivo sarà molto minore rispetto ad un utente che non ne possiede uno. Ovviamente perchè questo accada, è necessario che il modello progettuale (del progettista) abbia creato una immagine del sistema adeguata in grado di rendere visibili i principi di funzionamento, riconoscendo gli elementi e le funzioni essenziali del dipositivo stesso. Allo stesso tempo tutte le azioni devono essere coerenti con il modello concettuale dell’utente di modo che egli possa agire su di esso ed ottenere la risposta desiderata. Donald Norman suggerisce di distinguere i modelli mentali in tre categorie fondamentali, ovvero: > il modello progettuale: il progettista riproduce il proprio modello mentale concettualizzandolo nel dispositivo progettato; > il modello dell’utente, la spiegazione del funzionamento del dispositivo che l’utente ne ricava dall’uso dello stesso; > l’immagine del sistema: l’aspetto fisico del dispositivo, ovvero come esso si presenta all’utente, deve essere coerente con il modello mentale dell’utenza1. Nella pagina accanto sono rappresentati due modelli

concettuali relativi a due differenti tipologie di utenti: un utente normale e un utente designer. Entrambi gli utenti interagiscono con due device, una validatrice tradizionale e una validatrice Imob dell’azienda ACTV di Venezia. Nel caso di un’interazione con la validatrice tradzionale si riscontra un’analogia tra i due modelli concettuali poichè lo stesso modello progettuale risulta essere molto efficace ed immediato: lo scatolare presenta una fessura nella quale va inserito il biglietto. Non vi sono pulsanti e il feedback dell’avvenuta validazione del titolo di viaggio è dato da una stampa evidente sul biglietto cartaceo. Nel caso della validatrice Imob invece, l’utente viene dotato di un biglietto plastificato contenente la tecnologia RFID. Un utente inesperto cerca affannosamente un indizio su come (e dove) infilare il biglietto per validarlo. Il device presenta una serie di problematiche legate al numero di pulsanti e alla velocità con il quale fornisce le informazioni relative alla validazione del biglietto. Un designer, invece ha un chiaro modello concettuale per cui è a conoscenza del fatto che un biglietto con tecnologia RFID integrato deve semplicemente sfiorare il device per essere validato. Per quanto riguarda le altre funzioni che il device offre (a differenza della validatrice tradizionale), il modello progettuale utilizzato dal progettista sembra essere poco interpretabile dall’utente che si deve giostrare tra una serie di pulsanti legati a funzioni che vengono eseguite dalla macchina con una eccessiva velocità.

1. Norman, La caffettiera del masochista, 1998, 241.

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metafora monetaria per un piccolo studio di design

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(metafore nell’interaction design)

metafore nell’ interaction design

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difficoltà media creatività capacità di rappresentare la realtà attraverso la metafora 120 min

Metàfora s. f. [dal lat. metaphòra, propr. «trasferimento»] Processo linguistico espressivo, e figura della retorica tradizionale, basato su una similitudine sottintesa, ossia su un rapporto analogico, per cui un vocabolo o una locuzione sono usati per esprimere un concetto diverso da quello che normalmente esprimono; Generalmente la metafora si basa su un rapporto di somiglianza tra il termine di partenza e il termine utilizzato nella metafora (termine metaforico). Più i termini della metafora sono distanti tra loro all’interno di un campo semantico, più il potere della stessa è evocativo1. Una celebre metafora dell’Interaction design, illustrata da Bill Moggridge, è quella del desktop. Nata negli anni ‘70 negli ambienti di Xerox, dalla mente di Tim Mott e dei suoi collaboratori, voleva rendere gli utenti in grado di manipolare completamente il contenuto dei loro computer. Prenderli e trascinarli, gettarli nel cestino. Si tratta dunque di una vera e propria metafora, nient’altro che la rappresentazione di un ufficio sullo schermo. Il desktop venne progettato per il primo computer dotato di GUI (Graphic User Interface) da Tim Mott e Larry Tesler con l’aiuto di diverse persone e attraverso tecniche di partecipatory design, guided fantasy e user testing. In quel periodo le tradizioni grafiche e tipografiche vennero restituite su uno schermo a risoluzione 72 dpi. Testo nero su sfondo bianco, proprio come la stampa sulla carta. Questo processo fu una vera e propria rivoluzione che venne definita con l’acronimo WYSIWYG - What You See Is What You

Get, ovvero ciò che vedi è ciò che c’è. Alan Key sviluppò più tardi la teoria della sovrapposizione delle finestre, utilizzando la semplice metafora della sovrapposizione di fogli su una scrivania. Il sistema venne realizzato per il computer STAR, che venne definito con il termine macchina futuristica2. Per costruire una metafora è necessario trovare dunque una similitudine, un rapporto analogico. Per questo per rappresentare un sistema economico di un piccolo studio di design, ho dovuto individuare i diversi fattori che lo compongono: tutte le entrate, le uscite e le eventuali variabili che possono far oscillare un sistema. Ho scelto la diga artificiale in seguito ad una visita a uno dei bacini artificiali più vasti d’italia che alimentano la centrale elettrica di Soverzene (BL). È stato sorprendente per me realizzare come il livello dell’acqua potesse scendere e salire così velocemente in base alla richiesta di elettricità e al flusso di acqua proveniente dagli altri bacini (in parte nevosi) e dalle piogge. Rappresentando le entrate sottoforma di agenti atmosferici (piogge e neve) che alimentano il bacino e le uscite sottoforma di richiesta di energia elettrica sono riuscita a restituire graficamente l’idea di un sistema e del suo delicato equilibrio.

1. Enciclopedia Treccani Online. 2. Moggridge, Designing Interactions, 2006, 21.

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Andrea 09/02/1923 Belluno pensionato

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(conoscere l’ utente)

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conoscere l’utente difficoltà media pazienza disponibilità buone capacità di ascolto 180 min

Il design incentrato sull’utente (UCD, User Centered design) si basa sul principio dell’importanza fondamentale della figura dell’utente durante ogni fase della progettazione. L’utente finale è la persona che utilizzerà il prodotto o il servizio una volta messo sul mercato. Per questo motivo è necessario, durante la fase di progettazione, prendere in considerazione una precisa fascia di persone (detta bacino di utenza) che risponde al target al quale il prodotto stesso è destinato. E’ fondamentale dunque, capire quali sono i desideri dell’utente che il designer deve esaudire attraverso i suoi mezzi. L’apporto di dati che l’utente, in quanto tale, è in grado di fornire al designer è molto importante. Proprio per questo motivo la collaborazione dell’utente stesso viene ricercata durante ogni singola fase della progettazione. Come giustamente sottolinea Dan Saffer nel libro Design dell’interazione, il primo approccio alla progettazione attraverso la raccolta di dati forniti dall’utente è stato quello dell’ergonomia nel design industriale. Il livello di ergonomia di un prodotto (come per esempio una seduta), riguarda infatti il rapporto tra l’utente e il mezzo utilizzato. Un buon design deve dunque essere usabile, il suo utilizzo deve essere manifesto o - nel caso in cui l’uso del prodotto richieda la lettura di un manuale - esso deve essere comprensibile. Inoltre deve essere gradevole e il suo uso deve generare una sensazione di comfort nell’utente. Nel migliore dei casi di progettazione UCD il designer coinvolge l’utente in ogni singola fase di

progettazione: l’utente viene consultato nella prima fase di progettazione dove il designer raccoglie dati molto importanti che contribuiscono all’efficiacia della proposta di design che egli stesso fa all’utente, e conduce una ricerca per determinare quali sono gli obiettivi progetto1. Anche durante la fase di costruzione del modello relativo al progetto l’utente viene chiamato a giudicarne l’usabilità secondo criteri personali. I designer possono inoltre sottoporre l’utente a particolari test di usabilità, affiancati da dei professionisti. Il designer stesso è un utente di prodotti e servizi a tutti gli effetti, ma durante la progettazione egli non si può considerare tale. Deve dedicarsi ad una attenta raccolta di dati e concentrarsi sugli obiettivi e i bisogni del bacino di utenza preso in considerazione. Un designer è influenzato dalle sue conoscenze che potrebbero deviare il suo percorso di progettazione, e portare il suo progetto ad un fallimento prematuro. Un approccio UCD libera i designer da questa trappola. Una massima del design è “Tu non sei l’utente”2. Il metodo utilizzato per conoscere l’utente in questo caso è l’intervista. Nelle pagine seguenti è riportata l’intervista fatta ad Andrea, un arzillo novantenne residente nella città di Belluno.

1. Saffer, Design dell’interazione, 2007, 31. 2. Saffer, Design dell’interazione, 2007, 33.

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i risultati dell’intervista

un frigorifero per Nonno Andrea

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(conoscere l’ utente)

(l’intervista) L > Andrea, parlami di te. Raccontami come passi le giornate. A > Sono Andrea, nonno di cinque nipoti. La mia vita negli ultimi tempi può sembrare abbastanza monotona. Lavoro molto in giardino e mi occupo delle galline e delle anatre, come dei cani. Quando è estate mi occupo delle piante e dei fori e taglio l’erba, di inverno mi occupo della legna per il caminetto. Devo dire che trovo sempre qualcosa da fare. E sono convinto che se non ci fossi io.. Qui sarebbe lasciato tutto a se stesso. Esco poco di casa poichè ho un gran bel giardino e i nipoti vivono nella mia stessa casa. Esco principalmente per fare la spesa, che per un vecchio arzillo di 90 anni, mi capirai, non è un’attività molto attraente. Soprattutto nei negozi di oggi. Troppo caotici! Non riesco mai a trovare quello che cerco e tante volte non ricordo nemmeno che cosa sto cercando. Mi piacerebbe entrare e sapere sempre dove andare. L > Vivi da solo dunque? da molto? riesci a gestirti nella vita di tutti i giorni? A > Sono un uomo vecchio e solo. Da qualche anno. Ma devo ammettere di essere una persona ancora in gamba. Ho imparato da qualche anno a farmi da mangiare e a fare le faccende di casa, non l’avevo mai fatto prima. Oggi cucino piatti da solo e pulisco la casa, ogni tanto mi viene in aiuto una signora, per le cose più difficili come stirare. Per le ricette di cucina mi aiuta spesso mia nuora che mi spiega come fare. Se ci fosse una qualche tecnologia all’interno della cucina che mi spiegasse come fare, ne sarei ben felice! E forse anche mia nuora! [Andrea scoppia a ridere e si versa un bicchiere di vino rosso]. L > Ti sei mai avvicinato alle nuove tecnologie? A > Io vendevo e riparavo biciclette e motorini, poi televisori e radio, e poi ancora caldaie. Ho sempre amato la tecnologia. Riparo ancora tante cose che altrimenti i miei nipoti getterebbero via. Come già ti ho detto sono un tuttofare. Mi piacerebbe tantissimo capire cosa sono tutti quegli oggetti così piccoli e affascinanti che vendono oggi, ma purtroppo le competenze che ho sono molto limitate rispetto a questa nuova realtà. Ho molto tempo libero.. Ma sono troppo vecchio. Diciamocelo! [beve un sorso di vino, e con’aria sognante ripete le ultime parole nel suo dialetto]. L > Hai molto tempo libero e tante competenze, ti piacerebbe lavorare per le persone che hanno bisogno, faccio un’ipotesi, di riparazioni? A > Mi piacerebbe moltissimo. Ma io oramai sono rimasto solo. Non ho più molti amici, [ride e si mette le mani sulla testa] sono sopravvissuto solo io! Come potrei avere un contatto con le persone di modo che questa cosa possa funzionare..? [Accendo il laptop e faccio vedere ad Andrea un video molto interessante e ironico su un’ipotesi di ubiquitous computing all’interno di un appartamento: L’età del fuoco - The age of fire di Mauro Calvone (2010)] L > Allora Andrea, che cosa ne pensi? Ti aiuterebbe un luogo simile? A > Assolutamente no, probabilmente impazzirei! E non potrei nemmeno riparare nulla? No. Non se ne parla proprio! [fa una pausa, beve un altro sorso di vino, si tocca il mento] Anche se mia nuora non sarebbe d’accordo. C’è stato un periodo in cui (era appena morta mia moglie), mia nuora veniva spesso a controllare il mio frigorifero perchè diceva che non ero abbastanza attento e rischiavo di mangiare cibi scaduti. In effetti non ero per niente attento. Ti verrà da ridere, ma non erano cose a cui ero abituato. Ho pensato: le cose sono in frigorifero.. ci penserà lui! L > Hai ancora la patente? A > Che discorsi! Certo che ho la patente! L > Ti senti sicuro a guidare l’automobile? Non preferiresti usare i mezzi? A > Preferirei, certo. Ma in una città piccola come Belluno i servizi non sono molti e mi irrita stare alla fermata dell’autobus ad aspettare che il servizio funzioni e gli autobus arrivino all’orario giusto. Dovresti inventare qualcosa che mi avvisi che l’autobus sta arrivando. Così non perdo il mio tempo. Che forse non ne ho ancora molto! L > Nonno, ci hanno già pensato. A > Come? E cosa stiamo aspettando?

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chi? Persone che desiderano trovare un posto speciale dove mangiare. perchè? Perchè sarebbe utile poter scegliere un luogo adatto alle proprie esigenze, attraverso un device dedicato a questa specifica attività ma comunque poco ingombrante. dove? Venezia. Una città con una grande quantità di luoghi di ristorazione, non sempre di qualità. come? Attraverso un tovagliolo pieghevole. Un device versatile in tecnologia OLED, connesso alla rete della città, che segnali all’utente in qualsiasi momento, la presenza di un ristorante. che cosa vogliono sapere gli utenti? Vogliono conoscere i piatti offerti dal ristorante, vogliono sapere se il cibo è fresco e in stagione, la provenienza dei prodotti e i prezzi. Vogliono sapere se il ristorante offre piatti specifici (es. vegetariani, oppure dedicati a persone con particolari problematiche). quanto tempo prima l’utente riserva un tavolo e quali mezzi utilizza per farlo? l’utente riserva un tavolo poche ora prima di recarsi al ristorante e generalmente lo fa telefonicamente, appoggiandosi alla struttura nella quale è ospitato (es. Hotel). quali altre categorie di persone potrebbe aiutare? Può aiutare i gestori del locale nell’organizzazione dei tavoli e nella gestione del personale.

definire una design opportunity

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(design dei servizi)

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design dei servizi difficoltà media creatività conoscenza delle caratteristiche di un servizio flessibilità 120 min

Un servizio è una sequenza di attività che costituiscono un processo, e hanno valore per l’utente finale1. I servizi sono ovunque nelle nostre città, essi possono essere molto semplici e distribuiti o complessi e costituiscono una parte determinante della nostra economia. Ogni giorno abbiamo a che fare con i servizi, dai netturbini allo sportello dell’ufficio postale. Essi non sono tangibili, al contrario sono immateriali e un utente può entrare in contatto con essi solamente attraverso il sistema di oggetti che ne sono la manifestazione puramente fisica. I servizi sono inoltre flessibili in quanto ogni contesto richiede delle particolari specificità. Un servizio è il risultato di un lavoro umano, proprio per questo motivo la sua efficacia dipende direttamente dall’atteggiamento lavorativo degli addetti ai lavori. Oltre che dal contesto, il servizio dipende anche dal periodo in cui viene offerto. I servizi infatti non sono omogenei durante tutto l’anno ma subiscono variazioni a seconda per esempio delle condizioni climatiche. Di conseguenza possiamo dire anche che i servizi sono co-creati poichè non sono realizzati esclusivamente da chi li fornisce, ma necessitano del rapporto con l’utente. La caratteristica più affascinante dei servizi è la sua sostenibilità in quanto gli attori coinvolti in un servizio compiono una sorta di scambio di valori. Non si tratta infatti di un criterio basato sul possesso di beni, al contrario i servizi sono naturalmente ecologici poichè permettono l’uso di un prodotto a più persone.

Solitamente però, quando acquistiamo dei prodotti, lo facciamo per dimostrare la nostra identità attraverso una serie di linguaggi come per esempio il brand. Ad oggi la più grande sfida del design dei servizi è dunque quella di far si che gli utenti possanto comunicare la propria identità con i servizi così come accade per i prodotti2. Definire una design opportunity è un punto di partenza per la fase di progettazione. In questa fase è importante individuare l’utente e gli stakeholders, comprendere le potenzialità del progetto. Nella pagina accanto è rappresentata una design opportunity: un tovagliolo interattivo in grado di localizzare ristoranti, suddividerli in categorie e permettere all’utente di conoscere i prodotti offerti, i prezzi e di prenotare un tavolo in tempo reale. Trencherman (che significa buona forchetta) consentirà al turista di organizzare il proprio viaggio e, parallelamente, consentirà ai gestori dei locali di organizzare gli spazi e il personale. Questo servizio è stato progettato per essere offerto

1. Saffer, Design dell’interazione, 2007, 174. 2. Moggridge, Designing Interactions, 2006, 421-423.

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quick and dirty paper prototype servizi di navigazione ACTV

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(prototipi)

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prototipi difficoltà media

creatività rapidità

120 min

Il prototipo è la rappresentazione tangibile di come il design funzionerà, una volta ultimato. Nel momento in cui il design include l’esperienza tanto quanto il prodotto, sarà necessario comunicare anche qual’è il feedback una volta entrati in contatto con esso. Diverse tipologie di prototipi vengono utilizzate durante le fasi di progettazione. Prototipi cartacei: sono certamente il sistema più rapido per rappresentare il funzionamento di un prodotto o di un servizio. Con la carta infatti si può analizzare tutto il percorso che un prodotto o un servizio compie, infatti ogni singolo pezzo di carta può contenere per esempio la schermata di una applicazione. La carta è molto versatile, è possibile prototipare rapidamente un’interazione e comprenderne i punti di forza e di debolezza che altrimenti probabilmente l’interaction designer non potrebbe cogliere durante la fase di progettazione. E’ possibile inoltre creare delle vere e proprie interazioni utilizzando cursori cartacei per dimostrare il funzionamento del progetto all’utente; Prototipi digitali: il prototipo digitale può avere le stesse potenzialità di un prototipo cartaceo, oppure può essere ad altà fedeltà rendendo possibile un’interazione dell’utente con il prodotto stesso. Il prototipo digitale ha sicuramente un grande vantaggio: quello di poter essere facilmente distribuito; Prototipi fisici, nel caso di prodotti possono essere realizzati veri e propri modelli, o parti di essi. Il modello può essere fatto in materiali fedeli al progetto, oppure in balsa, argilla e altri materiali da modellismo; nel caso invece di un servizio, si

realizzano vere e proprie ambientazioni oppure si proiettano immagini realistiche dell’ambientazione in questione1. Per rappresentare il nostro concept di un servizio di pensiline per l’ACTV, azienda dei trasporti veneziana, abbiamo scelto un prototipo cartaceo che si potesse realizzare in tempi brevi. In seguito abbiamo realizzato un video quick and dirty, ovvero veloce e senza alcuna post-produzione. Il nostro progetto consiste in una bacheca sensibile che consente all’utente di organizzare il proprio viaggio e scoprire quali sono gli eventi in città, nei pressi di quella particolare fermata. Il device consentiva inoltre di scaricare i dati all’interno del device mobile personale attraverso una gesture molto semplice, ovvero trascinare i contenuti verso il device stesso. Quando l’utente ha terminato le sue attività può uscire dal menù principale accartocciandolo e utilizzare la superficie per esprimere la propria creatività. Quella del paper prototype è stata un’esperienza molto utile per realizzare un mezzo che possa comunicare rapidamente al gruppo di lavoro quali possono essere i punti di forza e di debolezza di un progetto.

1. Saffer, Design dell’interazione, 2007, 114 - 117.

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1 2

3 5

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(conclusioni)

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conclusioni Questa mia immersione nel design dell’interazione mi ha risvegliato da un torpore progettuale dal quale ero stata colpita negli ultimi tempi. Le tecniche di brainstorming e di raccolta delle informazioni, le interviste e le rappresentazioni grafiche, l’uso spasmodico di post-it sono ormai diventati parte della mia tecnica progettuale. Riflettere profondamente ma con rapidità su ciò che ci circonda e che viviamo tutti i giorni per giungere a diverse idee (talvolta irrealizzabili). Non porre mai un freno alla creatività e non criticare mai negativamente un’idea, cercare di valorizzarla. Ringrazio pertanto Gillian Crampton Smith e Philip Tabor per avermi trasmesso questi valori durante le lectures del corso di Teorie dell’interazione.

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bibliografia

Moggridge, Bill. 2006. Designing Interaction. Cambridge: MIT Press. Saffer, Dan. 2007. Design dell’interazione: creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design. Milano: Pearson Education, Aiga. Norman, Donald. 1998. La caffettiera del masochista: psicopatologia degli oggetti quotidiani. New York: Basic Books, versione italiana, 1990 Firenze: Giunti Editore. Norman, Donald. 1998. Il Computer invisibile: la tecnologia migliore è quella che non si vede. Cambridge: MIT Press, versione italiana, 2000 Milano: Apogeo Editore. De Kerckhove, Derrick. Brainframes. Mente, Tecnologia, Mercato. Versione italiana, 1993 Bologna.


colophon

In copertina Titolo: Baskerville Italic, 48, 72 pt. Sottotitolo: Baskerville Italic, 18 pt, 10 pt. Autore: Klill Regular, 12 pt. Indice: Baskerville Italic, 11 pt. Nelle pagine Titolo Capitoli: Baskerville Regular/ Italic 36 pt. Testo: Helvetica Neue Regular, 10 pt. Per le Citazioni:Helvetica Neue Italic, 10 pt; Note: Baskerville Regular/ Italic, 9 pt; per i titoli del libri citati: Baskerville Regular/ Italic, 9 pt; Didascalie: Baskerville Regular/ Italic, 9 pt;


ambienti intelligenti modelli concettuali affordance metafore utenti design opportunity prototipi


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