Kur 25 ita

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IRAN, DAL NORTHERN PARAU ALLA PRIMA PROSPEZIONE NELLE GROTTE DI SALE Luca Imperio La prima spedizione La Venta in Iran si è svolta nell’agosto del 2016, in seguito a dei contatti che Giuseppe Spitaleri (per tutti Peppe Spit) aveva coltivato con gli speleologi iraniani Joussef Sornina e Yones Shariatmadari. Partiti in numero molto ristretto dall’Italia, con loro e altri speleo locali siamo andati sul massiccio del Parau per una prima prospezione. L’obiettivo principale in quella occasione era stringere i contatti con i locali e capire le potenzialità della zona; poi, se possibile, discendere anche il pozzone con cui si stavano cimentando gli speleologi iraniani. Arrivati a Teheran in piena notte, senza capire una parola di Farsi, abbiamo comunicato a gesti finché non è arrivato Yones che parla perfettamente inglese: da quel momento è stato tutto più semplice. Superate le inevitabili diffidenze causate dalle differenze di lingua e costumi, abbiamo cominciato ad amalgamarci con il gruppo degli iraniani e con i vari capi di settore: lì ognuno ha un compito e tutto funziona. Ogni sera si tenevano riunioni per discutere della giornata passata e organizzare la successiva.

Ingresso di un pozzo sul diapiro Deh-Kuyeh

Scortati da due soldati e aiutati per il trasporto da quattro muli, siamo arrivati a quota 3200, sul massiccio del Parau, arsi dalla sete e dal sole. Abbiamo capito subito il motivo per cui loro sono sempre tutti vestiti e si proteggono dal sole che non ammette distrazioni e non concede tregua. I primi sono stati giorni di studio reciproco, per testare le capacità di ognuno, poi dopo la discesa in grotta tutto è stato più facile: la speleologia unisce, in grotta si parla una sola lingua. Dopo la prima calata, abbiamo girovagato per il Parau in cerca di grotte: un potenziale pazzesco, molti ingressi trovati e segnati con il GPS. Dalla montagna nasce una sola sorgente che crea il fiume che poi porta acqua a Kermansha; in quota, invece, l’unica acqua è quella portata da noi o la neve da sciogliere. Da Teheran avevano portato un “signor” generatore, nulla di compatto e facile da gestire, ma terribilmente efficiente, e ogni sera si cenava tutti insieme, seduti in cerchio a condividere cibo ed emozioni, ma pure il dolore alle anche: noi quattro italiani siamo anime in pena, non siamo abituati a stare seduti a terra e, ci spostiamo e risistemia-


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