LA Jonio VOCE Anno LVIII - N. 4
Domenica, 19 aprile 2015
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Dopo l’ultima strage
“Migrantes” sottolinea il dovere della solidarietà
dell’
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Periodico cattolico fondato da Orazio Vecchio
Diocesi - 1
Interviste
Mons. Malandrino nel 60° di sacerdozio “Il bilancio per me lo fa il Signore” Nando Costarelli
2
L’hanno chiamato “Perfetta Letizia” il vino della vigna del Seminario Domenico Strano
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Diocesi - 2
Festa a Santa Tecla per il parroco don Alfredo D’Anna sacerdote da 10 anni
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Laura Pugliatti
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Acireale In città si ha paura dopo gli atti intimidatori commessi contro il sindaco e l’on. D’Agostino
“Forse la legalità disturba” Pubblichiamo la nota che la Fondazione Migrantes ha emesso all’indomani del compiersi dell’ultima grande strage di immigrati. Sembra ormai delinearsi in queste ore che la tragedia dell’imbarcazione in viaggio dal Nord Africa (proveniente dalle coste egiziane o libiche) verso l’Europa, travolta dalle onde del Mediterraneo, si configura come la più grave strage degli ultimi anni nel Mediterraneo. Infatti, ai 950 morti dall’inizio dell’anno ad oggi, si sono aggiunti, secondo le tragiche conferme di queste ore, altre 700 vittime, che hanno perso la vita nel loro viaggio della speranza, in fuga da guerre disperazione. Le vittime sono “uomini e donne come noi” – ha ricordato il S. Padre al Regina Caeli di ieri mattina -: ragazzi, giovani e bambini, famiglie, persone cristiane e di altre religioni in fuga dalla guerra e dalla fame, mossi dalla disperazione. Parafrasando la costituzione apostolica Gaudium et spes, ripresa dal beato Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio, di fronte a queste ripetute tragedie nate da un contesto internazionale segnato da guerre e povertà, “le nazioni sviluppate hanno l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo” (n.48). Un dovere di solidarietà che chiama in causa l’Europa, ma anche le potenze economiche del mondo, le organizzazioni internazionali come l’ONU, sollecitando tre azioni. La necessità immediata di un’azione navale europea e internazionale nel Mediterraneo, che sull’esempio di Mare nostrum, possa non solo limitarsi a presidiare i confini, ma a costruire veri e propri percorsi di salvezza, canali umanitari per le persone e i popoli in fuga. E’ vergognoso nascondersi dietro ai supposti costi di un’operazione per abbandonare a se stessi famiglie, giovani, donne e bambini alla morte. In secondo luogo, alimentare un piano sociale europeo che vada a rafforzare con risorse non solo l’accoglienza di chi chiede una protezione internazionale nelle sue diverse forme, ma valuti anche forme nuove di riconoscimento in tempi brevi, che permettano una circolazione e una tutela dei richiedenti asilo in tutti e 28 i Paesi europei. In terzo luogo, ripartire da un’azione internazionale congiunta che abbia l’obiettivo della pace e della sicurezza nel Nord Africa, nel Medio Oriente e nel Corno d’Africa, così che le persone, grazie anche a un efficace programma di cooperazione internazionale, possano ricostruire il proprio Paese e averne il diritto di viverci. L’Italia, (continua a pag. 2)
Barbagallo: “Aumentato il controllo del territorio” Sono trascorsi oltre due mesi da quando è stata incendiata l’auto del sindaco di Acireale, Roberto Barbagallo, una ventina di giorni da quando è esplosa una bomba carta davanti casa sua e da quando è stata fatta trovare la testa di un capretto col proiettile conficcato sul cancello d’ingresso dell’abitazione dell’on. Nicola D’Agostino. Oggi l’amministrazione, come già aveva annunciato in quei giorni, ha continuato il suo lavoro. «E’ un doppio segnale, un “avvertimento” - aveva detto il primo cittadino, il giorno dell’assemblea popolare -, Ileana Bella (continua e altri servizi a pag 5)
Giarre Il responsabile del Centro, Scuderi, gioisce per il bimbo “trovato” a Pasqua e conferma l’anonimato
La “Culla per la vita” assicura la segretezza Nei giorni di Pasqua la culla del Centro di aiuto alla vita di Giarre si è animata. In quella culla qualcuno ha depositato un neonato che la mamma ha affidato a questa organizzazione perché, appunto, vivesse. Il responsabile del Centro, Andrea Scuderi, ci ha spiegato, ancora una volta, che l’associazione opera nell’anonimato assoluto. Mentre buona parte degli organi d’informazione, con leggerezza e superficialità hanno parlato “della mamma che ha depositato di notte il piccolo nella culla” (ma come
hanno saputo che era lei?) e di “indagini dei carabinieri per identificarla” (a che pro, quando la legge prevede che le mamme possono partorire anche in ospedale nell’anonimato e non riconoscere il neonato?). Con ciò confondendo certamente, se non dissuadendo, altre mamme che volessero affidare alla culla per la vita i loro piccoli, e mettendo a rischio l’opera di quanti si adoperano per salvarli. Mario Vitale (servizio a pag. 4)
Acireale
Diocesi - 3
Aci San Filippo
Inaugurato il Museo che raccoglie la storia della Basilica e della comunità Maria Grazia Patanè
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E’ tornato al Padre don Salvatore Ragusa prete buono di cuore e ricolmo di spirito don Roberto Strano
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sostienici con il tuo 5 per mille Lo 0.5 ‰ della tua imposta sul reddito può essere destinato all’associazione di volontariato “Orazio Vecchio”
La legge Finanziaria prevede la possibilità di destinare il 5 per mille della propria imposta sul reddito ad associazioni di volontariato, onlus, ricerca etc. Il 5‰, altra cosa dal già sperimentato 8 ‰, non determina nessuna variazione nell’ammontare dell’imposta. Anche l’Associazione Orazio Vecchio,nata soprattutto per curare La Voce dell’Jonio, è tra i soggetti beneficiari. Per destinare a noi il contributo basta compilare l’apposita scheda del 5‰ sul modello 730 o Unico: 1) Inserire i propri dati anagrafici e il codice fiscale; 2) Firmare nel riquadro indicato come Sostegno del Volontariato, delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale.... (il primo a sinistra della scheda); 3) Indicare in quel riquadro il codice fiscale 90034160870 (come nell’esempio sopra)
Esposta a S. Sebastiano fino al 21 giugno la copia della Sindone “sacrale per contatto” Nando Costarelli
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solidarietà Quarta “Rete per la Caritas”
Sala multimediale a Linera
Parte della comunità “Papa Giovanni XXIII” di Linera
Una “rete” d’istituzioni diverse si “affronta” per realizzare un progetto concreto a favore dei fratelli più bisognosi. Il Seminario vescovile di Acireale, l’Azione cattolica di Acireale e l’amministrazione comunale di Santa Venerina Domenico Strano (continua a pag. 2)
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In Seconda
19 aprile 2015
dell’
Jonio
Intervista Mons. Giuseppe Malandrino a cuore aperto nel sessantesimo di sacerdozio
Riflessione Sull’esempio di Gesù
La felice ricorrenza del sessantesimo anniversario di sacerdozio è stata per mons. Giuseppe Malandrino, vescovo emerito delle diocesi di Acireale e Noto, occasione per ringraziare il Signore, con una solenne concelebrazione nella nostra chiesa cattedrale, per i benefici da Lui ricevuti e per il fecondo ministero prima sacerdotale e poi episcopale, quest’ultimo al servizio delle due diocesi. Dalla viva voce di mons. Malandrino, ci è stato possibile comprendere come il germe della sua vocazione sia maturato e nel tempo abbia potuto produrre, con la grazia del Signore, copiosi frutti. Quanto egli ci ha comunicato vuol costituire una vera e propria catechesi. - Eccellenza, com’è maturata in lei la vocazione al sacerdozio? Devo tutto al mio parroco, mons. Vincenzo Spiraglia, il quale a Pachino, durante il periodo di preparazione al conferimento del Sacramento della Cresima (avevo all’epoca solo nove anni) mi chiese se per caso non mi sentissi chiamato dal Signore al servizio sacerdotale, dicendomi, tuttavia, che non dovevo rispondere a lui ma al Signore e suggerendomi di recitare quotidianamente un’Ave Maria alla Madonna, perché mi illuminasse sulla divina volontà su di me. - In che modo la sua famiglia ha influito nella sua vocazione sacerdotale? Pur profondamente religiosa, la mia famiglia non ha mancato di esprimere inevitabili perplessità, legate anche al mio carattere abbastanza vivace. - Quali difficoltà hanno segnato la sua missione pastorale, dapprima quale semplice sacerdote e poi come vescovo? Non sono state certo poche le difficoltà che, anche a livello di comprensione, pur inesorabilmente caratterizzando la mia missione, sono state affrontate e superate grazie al mio ottimismo, con un’azione pastorale che non facesse mai nascondere la realtà, ma anche e soprattutto basandomi sulla ferma convinzione che la fede smuove le montagne ed è il Signore che opera nella storia. L’impegno nella due diocesi è stato sicuramente non semplice, particolarmente a Noto, ove si è dovuto affrontare e risolvere la complessa problematica della ricostruzione della cattedrale. - In considerazione della sua ormai pluridecennale attività pastorale, quale bilancio si sente di fare delle sue esperienze di sacerdote e di vescovo? Sono convinto che un bilancio lo possa fare solo il Signore, unico giusto giudice, perché la missione sacerdotale non è da
“Non si può dire che sia servito a molto perchè il male dalla terra non fu tolto”: amara verità, anche se “prese la gente per mano”, quella povera, quella giudicata, quella che non ha valore agli occhi dei potenti. Il male rimane per un solo motivo: Dio ci ha dato tutto in lui, in Gesù. Lui non è più responsabile. I responsabili siamo ora noi, gli uomini. L’ebraismo conosce bene quest’autonomia e questa responsabilità, quando afferma : “Essa (la Torah) non è più in cielo”. E’ l’affermazione dell’adultità dell’uomo che impara, anche sbagliando, a giudicare da sè, senza appellarsi all’intervento miracolistico di Dio o al tremendo giudizio della sua autorità. Ed è anche l’appello che Dio rivolge all’uomo perchè viva la sua fede non tra le pareti di una chiesa o nell’intimo dell’anima, come risvolto psicologico della conoscenza di sè, della crescita personale e della funzionalità delle relazioni soltanto., Questo occorre, ma non basta. La responsabilità della fede si gioca nell’ambito politico, sociale ed economico. Nel nostro bel Paese il popolo soffre per l’ingordigia dei suoi governanti e per la sua ignavia
“Il bilancio per me lo fa il Signore”
considerarsi un lavoro, bensì un’azione dello Spirito, sempre ispirata ad una forte scelta di fede. Non a caso, ho voluto ispirare il mio ministero episcopale all’ascolto della Parola di Dio, scegliendo come motto ‘Dei Verbum audiens’, per una ispirazione di fede che, basata sulla Parola di Dio, eviti la cosiddetta ‘Eresia dell’Azione’. Ho volutamente attribuito importanza primaria alle visite pastorali alle comunità, alle visite agli ammalati insieme con i parroci ed ai congressi eucaristici, tutte pratiche illuminate dalla Parola di Dio. Anche gli anni di studio a Roma (1950/’58) hanno contribuito a maturare in me una triplice devozione: Eucaristia, Madonna della Fiducia, Papa. Se, comunque, un bilancio posso fare in termini numerici, sono ventisette i presbiteri da me ordinati nei diciotto anni di servizio nella diocesi acese, diciotto, invece, in quella di Noto.
- Quali consigli si sente di dare a quanti oggi si impegnano ad abbracciare il sacerdozio o ne stanno già vivendo le prime esperienze? A mio parere occorre andare sempre all’essenziale della fede. Facendo ingresso in Seminario, poi, occorre chiaramente discernere quale ne sia l’intento, se cioè ci si senta chiamato almeno embrionalmente dal Signore. Si diventa preti per servire, sull’esempio di Cristo, gli altri, particolarmente se poveri e bisognosi ed occorrono, a tal uopo ,motivazioni forti, ritenendo essenziale la preghiera e sforzandosi di evidenziare un sacerdozio gioioso, non solo a parole, ma con fatti concreti. - Com’è la sua vita oggi? Quali momenti ne scandiscono il diuturno scorrere? Oggi posso riprendere pienamente la mia libertà di figlio di Dio, assicurare una maggiore disponibilità alla preghiera oltre che disporre di maggior tempo per incontri e per la ripresa delle mie attività di studio; ciò mi consente di trascorrere gioiosamente l’età avanzata. - In che modo il messaggio evangelico può ancor oggi essere conciliabile con le contingenti difficoltà socio-economiche? Occorre, comunque, che tutti ci si sforzi sempre nell’annuncio evangelico, parola d’amore e di servizio. Occorre essere testimoni credibili del messaggio per una fedeltà al Vangelo nelle situazioni concrete. Nando Costarelli
“Sogno giovani liberi...”
Ricordo Pinella Musmeci lascia una significativa testimonianza nella comunità acese
Docente e giornalista di profonda cultura La figura di Pinella Musmeci, recentemente scomparsa, giornalista pubblicista, socia dell’Ucsi, nella città di Acireale, è esemplare per la passione che ha caratterizzato tutta la sua vita nel privato e nel sociale. Sono innumerevoli gli episodi che la ritraggono sia nel suo amore per la famiglia, sempre al centro delle sue attenzioni, sia nell’impegno quotidiano di educatrice dall’animo delicatamente poetico, per diversi decenni professoressa di lettere nell’Istituto statale magistrale “Regina Elena”, successivamente per un decennio nel liceo Scientifico paritario dell’Istituto San Michele. Come operatrice culturale, Pinella, dal 1998, anno in cui fondò la sede acese di “Sicilia Antica”, in collegamento con l’istituzione regionale di Palermo, ha vissuto un’intensa vita al servizio del sodalizio con generosità: per sei anni nella direzione, poi come collaboratrice, promuovendo con autentico slancio creativo varie iniziative molto apprezzate dai cittadini. Ogni anno un interessante convegno sulla sicilianità, con relativa pubblicazione degli atti. Inoltre, la pubblicazione di due libri a sua cura, il primo, “La guida di Acire-
ale”, l’altro ”La città e il suo testimone”, un saggio su Giacinto Platania. Si è qualificata con onore quale esperta della storia di Acireale, con ricerche in vari archivi italiani e inoltre nell’Archivio storico nazionale spagnolo della città di Simancas. Quale socia corrispondente dell’Accademia Zelantea, nella classe di Lettere e Belle Arti, su “Rendiconti”, si segnalano le sue pubblicazioni su tre grandi siciliani: il poeta Mario Gori, Tito Marrone, Giuseppe Sciuti. Molto noti i suoi libriccini di poesia, densi di profondi significati. Una testimonianza di stima e affetto da parte della città, la presenza alle esequie, svoltesi ad Acireale, nella parrocchia di Santa Maria della Fiducia, dove la concelebrazione è stata presieduta dal parroco don Saverio Mingoia, che ha anche letto una preghiera di Pinella. A conclusione, interventi pregni di valori del marito prof. Luigi Benintende, dei tre figli Giusy, Enzo e Mario, di padre Alfio Cantarella dell’Istituto San Michele. Anna Bella
dalla prima Una Rete per la Caritas dell’
Jonio
Direttore responsabile Giuseppe Vecchio
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La strage di migranti L’Italia, con la sua storia straordinaria di solidarietà, nonostante la crisi che segna anche i giovani e le famiglie italiane, non può rinunciare a condividere risorse per la tutela di un diritto e dovere fondamentale verso chi oggi, disperato, si mette in viaggio. Non si può sacrificare alla ragion di Stato o a ragioni politiche o elettorali il dovere della solidarietà, lasciando alla discrezionalità di organismi e istituzioni l’esercizio di tale dovere. Come comunità cristiana non si può indebolire il dovere dell’ospitalità di chi ci mostra in maniera rinnovata il volto sofferente di Cristo, “la carne sofferente di Cristo” - come ci ha ricordato più volte papa Francesco -, valutando con coerenza e coscienza di rafforzare una rete ecclesiale, sociale e familiare di accoglienza, segno anche di una sussidiarietà, fondamentale valore sociale.
I prossimo 15 maggio presso il Palasport Santa Venerina disputeranno un match in occasione della quarta edizione di “Una rete per la Caritas”. Il triangolare di calcio a cinque nasce da un’idea del Seminario in collaborazione con la Caritas diocesana e la sezione locale del Centro sportivo italiano (Csi), e quest’anno registra il patrocinio del comune di Santa Venerina. L’evento, sostengono i promotori, si prefigge attraverso lo sport di trasmettere un messaggio di solidarietà. Si tratta, dunque, di uno “spazio per servire”. Infatti, l’iniziativa servirà quest’anno a raccogliere fondi per la realizzazione di una sala multimediale presso la casa famiglia di Linera (S.Venerina) gestita da Marco e Laura Lovato, papà e mamma di un famiglia speciale, che accoglie adolescenti e giovani abbandonati in età infantile, con handicap e altri problemi. La casa famiglia di Linera è una delle trecento dell’associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII” sparse in tutta Italia e fondate da don Oreste Benzi. Abbiamo raggiunto Marco e Laura per capire cosa significa per i ragazzi disporre di uno spazio multimediale. “Abbiamo già sperimentato positivamente come i ragazzi nonostante i loro problemi di approccio e di adattamento riescano a raccontare le loro emozioni attraverso il computer”, hanno rilevato. “Per noi, e soprattutto per i ragazzi, la sala multimediale sarà
uno spazio con cui interagire e affrontare la disabilità con la creatività”. A beneficiare della sala multimediale non saranno solo i ragazzi delle case famiglie del territorio (Linera, Monacella, Giarre e Acireale): “Apriremo le porte anche a tutte quelle famiglie che hanno nel proprio nucleo disabili adulti sulla scia di quanto già fatto finora”. Le funzioni saranno molteplici, annunciano papà e mamma Lovato: “La sala aiuterà molto i ragazzi autistici ma sarà utilizzata anche alla compagnia teatrale attraverso cui potrà realizzare dei cortometraggi e altro materiale”. Vale la pena ricordare la ricca realtà di casa famiglia di Linera, a cominciare dalla cooperativa “Rò la formichina, dentro cui i ragazzi si cimentano nella lavorazione del legname dando vita con tanto amore a realizzazioni straordinarie. E poi il Centro diurno “Geremia”, dove le ragazze, e non solo, convertono i tessuti di scarto dando loro nuova funzionalità. E ancora, la compagnia teatrale, Alberto e Concetta che accolgono nella struttura di Monacella altri ragazzi con disabilità. Certamente la sala multimediale è un dono prezioso per i ragazzi di casa famiglia. La carità significa intuire i bisogni: è bello dare a chi chiede, ma è più bello dare, perché sappiamo comprendere a chi non ci chiede. Da qui l’invito a partecipare e a devolvere con il cuore una libera offerta durante la manifestazione. Domenico Strano
e passiva rassegnazione. Invece di assediare la Bastiglia, i giovani ricorrono ancora al sistemo antico, inefficace e preambolo di strutture mafiose della raccomandazione o della buona parola per cercare ciò che spetterebbe loro di diritto e che lo Stato deve garantire: il lavoro. Ma il circolo è vizioso. Se lo Stato non offre lavoro è perchè non si lotta più per il lavoro, ricercandolo nel favore dell’amico dell’amico. E’ tempo di maturità, è tempo di protestare pacificamente, scendendo in piazza, chiedendo che la smettano di declamare false promesse, che smettano di impinguarsi di soldi pubblici. La scuola, la sanità, il lavoro in Italia non sono più garantiti, mentre i politici si abbandonano nelle sedi istituzionali a bagarre di cattivo gusto che li rivelano come assetati di potere e di soldi. Il loro guadagno è uno scandalo, la burocrazia amministrativa e gli enti inutili, come pure le segreterie di ogni politico, sono uno scandalo. Questo sistema va cambiato. Occorre che il popolo si riprenda la sua sovranità. Gesù ha parlato chiaro, denunciando la ricchezza iniqua dei pochi. Il suo annuncio non è stato rivolto alla salvezza personale dell’anima, ma ad un profondo rinnovamento dell’ordine politico, sociale ed economico, per il benessere e la dignità di ogni uomo. Guerre, immigrazioni, crisi: un macchinoso progetto di pochi che si arricchiscono sempre più. La mitezza della colomba deve accompagnarsi all’astuzia e prudenza del serpente. Il fuoco della giustizia deve bruciare nel cuore. Gesù ha camminato per le strade, cambiando la storia. Quando ci mancherà il pane sulle nostre tavole - e questo tempo purtroppo non è lontano – cosa faremo? Cercheremo la raccomandazione, ricorreremo al sotterfugio oppure alla predica sterile fatta ai poveri di condividere il poco che hanno, in vista di una ricompensa nei cieli, mentre i ricchi sguazzano beatamente nelle ricchezze frutto del sangue dei poveri? Il Vangelo o è forza rinnovatrice oppure, se nulla cambia, denuncia una Chiesa che lo ha tradito, una Chiesa pigra o peggio connivente con le strutture del mondo. Spero che questa Pasqua non porti tanti mi piace a questo messaggio augurale scomodo postato su un social network: sogno giovani che con intelligenza, creatività, coraggio, riprendano in mano la loro vita e quella del loro paese, senza violenza, scalzando dalle poltrone ricchi e potenti, giovani che costruiscono una civiltà dell’amore, l’amore che sovverte l’ordine, quello stantio, quello che uccide i più per il benessere di pochi, giovani forti, forti della Parola di vita, forti di Gesù e come lui, che denuncino chiaramente le logiche perverse del mondo e si adoperino, con fatica e gioia, per creare un mondo più umano. Sogno che domani questi giovani si adoperino, si impegnino, liberi dalla passività della rassegnazione, coinvolgendo con il loro entusiasmo gli adulti spenti dal realismo della vita, noi adulti, che stiamo lasciando loro come eredità il nulla, la fame, la miseria e l’incapacità di ribellarsi. Sogno giovani dalla mente libera e dal cuore aperto, giovani che con il oro sì entusiasta scorgano in Gesù e nel Vangelo non la voce di una religione, ma la forza di una fede capace di ridare bellezza e dignità al nostro Paese e al mondo. Che sia Pasqua, giovani, salvateci: Dio vi ha dato tutto. Non abbiate paura. Dite sì alla vita. E allora sarà veramente resurrezione. Auguri! Don Carmelo Raspa
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Cultura e Spettacolo
Jonio
19 aprile 2015
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Libri Il grande interrogativo che si pone Giuseppe Savagnone nel suo ultimo libro “Quel che resta dell’uomo”
Possibile parlare di nuovo umanesimo? È ancora possibile parlare di “umanesimo”? Giuseppe Savagnone s’interroga così nel suo ultimo lavoro “Quel che resta dell’uomo” (Cittadella editrice, Assisi, 2015). Con un significativo richiamo al prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” Savagnone esplora i nuovi tracciati dell’“umanesimo” rimettendo in discussione “la percezione che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno della propria identità” e delineando “un umanesimo che non sia soltanto ad uso e consumo dei credenti”. E lo fa analizzando alcune tensioni/contraddizioni: l’ecologismo, la natura umana, l’essere umano e le sue relazioni, l’identità sessuale e il rapporto tra umanesimo e post-umanesimo. Temi scottanti con cui bisogna fare i conti se si vuole discutere di nuovo umanesimo ponendosi l’interrogativo se “abbia ancora senso parlare di uomo” come di una realtà ben definita o piuttosto prendendo coscienza che “il concetto di uomo è una costruzione mentale che maschera la complessità reale”. Quella compiuta è un’analisi attenta sulla realtà da cui emerge una crisi dell’umano. Afferma Savagnone: “Siamo
davanti alla crisi radicale dell’idea stessa di “umanesimo” e all’annuncio di qualcosa di diverso”. Riflettendo come oggi si assista alla negazione dell’ideale umanistico, lo studioso sottolinea questo “qualcosa di diverso” ponendo la sua attenzione sul post-umanesimo: “Siamo
A Catania il congresso nazionale Fuci
“Incontro all’umanità. Domande, proposte, esperienze per le sfide della contemporaneità” è il tema scelto per il 64° congresso nazionale della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci). Il congresso, un appuntamento ormai immancabile per la Federazione, che si svolgerà quest’anno a Catania dal 30 aprile al 3 maggio, è il momento in cui giovani studenti universitari dei tanti atenei italiani si possono confrontare sugli argomenti più urgenti del nostro Paese, sulle sfide e le responsabilità che tali temi suscitano e richiedono. “La volontà è quella di non lasciare le riflessioni e i confronti a Catania, ma tornare a casa nelle nostre università con maggior consapevolezza e impegno nel concreto del nostro quotidiano per queste sfide che ci riguardano in quanto studenti, cittadini, ma soprattutto esseri umani”, ha affermato Marco Fornasiero, presidente nazionale maschile. Molti saranno gli studiosi e i docenti universitari che prenderanno parte ai lavori, tra questi mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito d’Ivrea, al quale spetterà la prolusione del giovedì pomeriggio durante la cerimonia d’apertura presso l’Aula magna del rettorato di piazza Università, cui seguiranno le riflessioni di Mauro Magatti, docente di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, e quella di Stella Morra, docente di Teologia presso la Pontificia università gregoriana. Per il programma integrale del Congresso si può visitare la pagina www.congresso.fuci.net. D. S.
veramente di fronte a una identità irrinunciabile, oppure abbiamo a che fare con un concetto ormai culturalmente datato, per il quale ci sarà una fine prossima così come c’è stata un’origine?”. Il superamento dell’uomo vecchio, ricorda Savagnone, è presente in tutto il Nuovo testamento (si pensi alla lettera agli Efesini di San Paolo). Non si tratta certo né di una trasformazione né di uno stravolgimento: è Dio che dispone e crea il nuovo, perché “vuole che l’uomo diventi quello che da sempre doveva essere e che il peccato ha sfigurato”. Nel libro sono poste questioni davvero enormi che il cristiano non può eludere. Savagnone li affronta senza alcuna pretesa di dare soluzioni certe ma accendendo una speranza per far prendere coscienza che è possibile un nuovo umanesimo in Gesù Cristo entrando in dialogo con le sfide dell’antiumanesimo contemporaneo. Affrontarli senza la giusta consapevolezza si correrebbe il rischio di essere ingenui e retorici. “Dio creò l’uomo a sua immagine” (Gen 1,27). Il post-umanesimo, conclude Savagnone, non potrà non fare i conti con questo Dio irrimediabilmente umano. Domenico Strano
Libri Nino Leotta intervistato dai figli alla presentazione del suo romanzo “Stella”
La difficile missione del formatore Un evento partecipato e coinvolgente quello che si è svolto lo scorso lunedì 13 aprile, nella sala conferenze del S. Biagio Resort di Acireale, in occasione della presentazione della nuova fatica letteraria del prof. Antonino Leotta. Il romanzo dal titolo “Stella”, edito da A & B, narra del giovane gesuita Gabriele, costretto a dover fare i conti con una realtà difficile in quanto dovrà sperimentare il contrasto tra il formalismo conservatore delle istituzioni religiose in cui si trova ad insegnare, e la missione stessa del formatore. La narrazione si snoda e prende corpo nello scenario di una città di provincia, nella Sicilia del dopoguerra. “La caratteristica dell’autore – ha spiegato il prof. Francesco Sofia, socio onorario dell’ANPE e già docente di Filosofia, Psicologia e Scienze della Formazione nei Licei – è che fugge con le parole, poiché gli interessa mettere a nudo il protagonista della vicenda. Si tratta di una prosa fluida, efficace, che permette all’autore di affidare alla parola il cammino lineare del messaggio”. Ma qual è il comune denominatore nella vicenda? La risposta ci è data da un momento di grande
complicità che ha visto l’intervento di Emanuele e Luca Leotta, figli dello scrittore, i quali, nell’intervista rivolta al padre, sono riusciti a far svelare all’autore quali retroscena vi siano nel suo prezioso e certosino lavoro. “I personaggi scorrono come se si trovassero in sequenze sceniche. – ha affermato Emanuele – E’ prima ancora un cinema mentale e poi reale, che diventa specchio di una realtà che è relegata al di fuori di possenti e forti mura”. Ne deriva da una parte, la sofferenza, “l’incapsulazione”, dall’altra però anche il bisogno di trascendenza, in una lotta che mette a nudo il dramma dell’uomo materiale e spirituale al tempo stesso. - Quale tessuto sociale ha il gesuita, al di fuori del convento? - ha chiesto Emanuele Leotta. “P. Gabriele è cosciente di essere cresciuto isolato
dal contesto esterno e vuole recuperare, aprendosi al confronto. A tal proposito, è significativo un “dialogo – scontro” che egli avrà con il professore. Da esso, infatti, si svilupperà il concetto che Dio è per l’uomo. Non l’uomo per Dio”. - Chi sono i protagonisti della vicenda? “Insieme a P. Gabriele è l’amore. Non esiste per il sacerdote l’educazione all’affettività, tuttavia egli è chiamato ad educare all’amore”. Non sono mancati gli interventi di bonaria provocazione, quelli che danno il giusto spunto per far riflettere e per far intraprendere un viaggio d’introspezione. - E’ un libro politico a livello globale e locale? domanda Luca al padre per dargli modo di sottolineare la grande carenza di responsabilità politica cittadina. “Attraverso il mio libro – ha infatti spiegato l’autore – ho voluto condannare l’ “apparire” di una città che nasconde accordi e tradimenti e che si lascia tacitamente avvolgere da una copertura di convenienza”. - E riguardo allo stile? “Voglio essere me stesso. – ha spiegato Antonino Leotta – Cerco di creare il mio stile perché l’interesse è quello di far comprendere ciò che scrivo”. Maria Cristina Torrisi
Recensioni Elia Torrisi ne “La politica come vocazione” indica quali sono i “valori non negoziabili” Elia Torrisi La politica come vocazione. Il bene comune e l’impegno della chiesa, Casa editrice Kimerik, Patti 2014. Frutto di studio, riflessione ed esperienze di vita, il giovane pamphlet dal titolo “La politica come vocazione. Il bene comune e l’impegno della chiesa”, racconta la personale visione di un ragazzo alle prese con una società dai facili egoismi, passiva e sorda, dove alcuno è indispensabile. Elia Torrisi nasce a Catania nel 1994. Da bambino pratica il Kung Fu e all’età di dieci anni inizia gli studi di violino e di pianoforte che porterà a compimento con successo. Partecipa alla fase provinciale delle Olimpiadi della Matematica organizzate dalla Scuola Normale di Pisa. Nel 2012 consegue con lode il diploma di maturità classica presso I.I.S. “ Michele Amari”di Giarre. Attualmente frequenta il corso di laurea in Economia e Scienze sociali presso l’Università Commerciale “L. Bocconi” e collabora con il periodico cattolico fondato da O. Vecchio “ La Voce dello Jonio”. Iscritto al Partito Democratico, al FutureDem e al FUCI, è attivamente impegnato in politica. Mosso dagli insegnamenti cristiani contenuti nel Vangelo, nella Dottrina Sociale della Chiesa, nell’invito di Giovanni Paolo II a perseguire la verità con ragione e nella fede, riconoscendo con Paolo VI, il valore delle scienze, seppur limitatamente ad ogni specifico ambito, le quali non potranno dar conto dell’uomo nella sua totalità ma possono ampliare gli orizzonti dell’umana libertà abbandonando calcolati condizionamenti. Per non perdere la bussola e riscoprirci semplici fruitori della realtà, sono necessari quelli che il Torrisi ricorda essere “valori non negoziabili” che facciano da guida. Occorre dunque un solido esercizio del pensiero, per scalfire le illusioni del vacuo relativismo imperante nella società contemporanea il quale «non ci consente neanche soltanto di pensare che esistono una realtà ed una verità oggettive»; solidarietà, altro valore irrinunciabile, il cui significato viene chiarito ricorrendo alla semplicità concettuale espressa dai ragazzi della scuola di Barbina: si è solidali quando «Il problema degli altri è uguale al mio»; centralità della persona e difesa della vita che danno ragione sia dello Stato «quale costruzione artificiale è subordinato alle aggregazioni naturali, in primo luogo la famiglia.», pietra angolare della società e custode della vita e dell’educazione; sia della naturale predisposizione dell’uomo alla politica, intesa quale vita associata, che in maniera responsabile e morale si orienta al bene comune. Già Aristotele agli albori della democrazia osò definire l’uomo come zoon politikon. Solo una politica scevra da utilitarismi individuali può realizzare l’autentica vocazione dell’uomo per la stessa e permettere alla società contemporanea di uscire, rinnovata, dalla crisi che l’attanaglia. «La moderna liquidità annichilisce tutti i solidi riferimenti etici che si originano sia dall’annuncio del Vangelo, sia dal senso laico dell’umano.». Abbattere la crescente ignoranza che massifica e omologa gli individui, che li allontana dallo loro stessa identità e non gli permette di abbracciare prospettive identitarie più estese, per riscoprire la voglia e la libertà di agire, di non lasciare che gli altri decidano per noi. Il pamphlet, profuso di spiritualità cristiana non manca di echi di matrice laica ed umanistica e, come afferma Salvo Patanè nella prefazione: «si annuncia come la teoria delle due spade- una, dunque , spirituale, in mano alla Chiesa; l’altra temporale, a servizio della politica conseguente al suo Magistero-…». Vanessa V. Giunta
Acireale Vera Pulvirenti sullo scopo del concorso musicale Fidapa
teatro C on la regia di Camilla Patti Strano anche un “Pianto di Maria” del 1300
“Valorizzare giovani talenti”
In scena “La Resurressioni” del 1400
Un evento di grande valenza sociale, il 2° Concorso musicale strumentale organizzato dalla Fidapa di Acireale “Giovani Talenti 2015”, avrà luogo nei giorni 6-7 maggio nel salone delle conferenze “San Paolo”, mentre l’8 maggio la parte finale si svolgerà all’Accademia Zelantea. Alla pianista Vera Pulvirenti, presidente dell’iniziativa, abbiamo chiesto: - Com’è nata l’idea di questo concorso? “Nel 2012, chiamata come consulente esterna di musica dalla presidente Fidapa della sezione “Riviera dei Ciclopi” di Catania, avv. Rosalba Murgo, fui coinvolta nell’organizzazione di un concorso in merito. Questa esperienza mi fece nascere l’idea di organizzarne, tra i tantissimi concorsi musicali in Italia, uno anche ad Acireale, esteso a tutta la Sicilia, che premiasse i ragazzi che studiano con profitto sia la musica sia le discipline dell’Istituto frequentato, coinvolgendo così le scuole secondarie di primo e secondo grado”. - In quante sezioni si articola il Concorso? “In cinque sezioni: 1. Pianoforte e fisarmonica; 2. Archi, arpa e chitarra; 3. Fiati e ottoni; 4. Percussioni; 5. Musica da Camera (Strumentale, Canto leggero e Gruppi corali. Sezione Speciale Scuola Media ad indirizzo musicale, categoria unica)”. - Quali sono i premi per ciascuna sezione? -”Per la categoria A, riguardante gli iscritti alla Secondaria di I° grado, I° premio assoluto, con votazione 98-100, € 100,00 e attestato. Per Vera Pulvirenti la categoria B, studenti iscritti alla Secondaria di 2° grado, lo stesso premio, superiore nella quotazione, € 200,00. Premio unico e attestato per musica da camera, € 200,00; Scuola ad indirizzo musicale, € 100,00; premio speciale per la migliore classificata, anche se non è vincente, € 200,00. A tutti i vincitori: I° premio con voti 95-97; 2° premio con voti 91-94; 3° premio con voti 88-90, attestato di partecipazione per ciascuna sezione”. - Ci sono sponsorizzazioni per le borse di studio? “Siamo noi della Fidapa a sostenerle, ma spero di potere coinvolgere degli sponsor. Abbiamo avute da Faro alcune piantine fiorite per la Commissione, formata da colleghi di musica. Segnaliamo i ragazzi meritevoli ad altre associazioni. La Fondazione Fidapa , di cui è presidente la dott. Eugenia Bono, l’anno scorso, ha voluto l’individuazione di una candidata meritevole per interpretazioni personali”. A. B.
Domenica 12 aprile nella Sala teatro San Paolo, ha avuto luogo l’interessante sacra rappresentazione in siciliano “La Resurressioni” di Marcu Di Grandi, autore del 400; inoltre nell’introduzione all’Evento della Resurrezione è stato inserito un “Pianto di Maria” del 300. Stile icastico di riduzione, adattamento e regia della prof. Camilla Patti Strano. Il testo del Di Grandi consta di 893 versi, in metrica varia, con prevalenza di endecasillabi: ne è stato portato sulla scena poco più della metà; omessa la prima parte, incentrata sulla discesa di Cristo agli Inferi e la liberazione delle anime dei Giusti. Di rilievo, le emblematiche scene dell’apparizione di Gesù a Maria Maddalena, ai discepoli di Emmaus, agli Apostoli nel Cenacolo. Il sacro è stato recepito dagli spettatori con immediatezza, sia per la bravura degli attori, che hanno interpretato con passione la loro difficile parte, in un linguaggio antico con termini del tutto in disuso, sia per il gioco delle scene, in un palcoscenico abbastanza ampio e ben attrezzato. I colori tenui e sfumati hanno contribuito a creare un’atmosfera di “suspance”, densa di richiami ai Vangeli, attraverso simboli scenografici. Caratteristici i costumi e rispondenti all’epoca; in particolare, d’effetto quelli
di Maria, Maria Maddalena, Cristo, Pietro e Tommaso. La compagnia teatrale ha validamente contribuito all’ottima realizzazione della sacra rappresentazione, realizzata nei secoli scorsi sul sagrato delle chiese: essa costituisce per il pubblico momenti emotivi di accostamento al mistero divino. Attori: Lella Costa, Morena Mauro, Domenico Altobello, Salvo Leone nelle convincenti e impegnate interpretazioni, rispettivamente di Maria, Maria Maddalena, Cristo, Pietro; Riccardo Naty per i personaggi di Giovanni e Luca; Cettina Leotta per Maria di Cleofa; Andrea Musmeci per Pilato e Filippo; Antonio Presti per Messaggero e Garzone; Vera Fazio per Venditrice di unguenti; Salvo Bella per Cleofa; Salvo Scuto per Tommaso; Turi Castorina per Andrea. Assistente all’allestimento, Maria Patané; scene, Turi Castorina; costumi, Sartoria san Paolo; tecnico delle luci e del suono, Francesco Leotta. Nella conclusione, incisivi interventi del parroco, mons. Sebastiano Raciti, e della regista, Camilla Patti Strano, sulla valorizzazione dei testi antichi in dialetto siciliano, specialmente di quelli riguardanti le sacre rappresentazioni. Anna Bella
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19 aprile 2015
Speciale Cronaca
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intervista Sul bambino nato nei giorni di Pasqua parla il presidente del Movimento, Cesare Scuderi
La culla anonima che salva la vita Da oltre tre anni il Centro di Aiuto alla Vita di Giarre, in collaborazione col 118, ha realizzato la Culla per la Vita, che ha sostituito ciò che in passato rappresentava la ‘ruota degli esposti’: in pratica, in assoluto anonimato, è possibile lasciare un neonato in tale struttura che è dotata di un segnale che allerta immediatamente il servizio 118. Com’è noto, durante le ultime festività pasquali la Culla ha ricevuto un piccolo, grande ospite, al quale volontari ed ospedalieri hanno dato in un primo momento il nome di Pasqualino. Della vicenda parliamo con Cesare Scuderi, da sempre volontario “per” la vita, assieme alla moglie ed a tante altre persone meravigliose, che Giarre e l’hinterland non ringrazieranno mai abbastanza. “Quando, il 26 febbraio 2012, il Centro di Aiuto alla Vita di Giarre inaugurò la Culla per la vita – ci confessa Cesare, che è il responsabile del Centro - molti si chiesero se servisse veramente o fosse una cosa inutile, collocata solo per fare scena. La domanda ce la eravamo posta anche noi. Vero che esistevano altre Culle sparse un po’ in tutta Italia dove raramente erano stati lasciati dei bambini, però…” Il “però” di Cesare narra di un’importante esperienza particolare vissuto in associazione. “Tramite il numero verde nazionale avevamo contattato una ragazza che doveva assolutamente partorire senza che nessuno lo sapesse e aveva deciso di lasciare il bambino dovunque, anche alla stazione. Le volontarie le hanno assicurato che se fosse andata a partorire in ospedale avrebbe potuto lasciare il bimbo in assoluto anonimato”. - E cosa decise? “Ha accettato la nostra proposta e quando è nata la creatura non ha neppure voluto vederla”. - Temeva forse che avrebbe avuto da-
Il gruppo di volontari del “Centro di aiuto alla vita” di Giarre
vanti agli occhi per sempre il volto di un figlio frutto di una violenza? “Pare la spiegazione più probabile. E allora ci siamo detti: come le porte delle nostre sedi sono aperte per dare una alternativa alle porte degli ospedali dove si praticano gli aborti, così la Culla per la vita sarà l’alternativa al cassonetto della spazzatura. Da allora sono passati tre anni, anni di attenzione e di cure perché la “Culla” fosse sempre funzionante e fosse portata a conoscenza di quante più persone possibili”. Invero, in molte parrocchie della diocesi di Acireale, dal 2009, ogni primo mercoledì del mese si prega per la Vita. “Fu un’iniziativa caldeggiata dall’allora vescovo mons. Pio Vigo – spiega Scuderi - che in una lettera inviata ai Sacerdoti ricordava che la preghiera incessante produce miracoli.Queste preghiere oltre a far desistere molte mamme dall’andare ad abortire ha sicuramente aperto il cuore alla mamma di Pasqualino che, seppure sicuramente nell’angoscia e nella disperazione, ha voluto lasciare suo figlio nella culla e non altrove. Pasqualino vive e noi con lui diciamo: grazie, mamma!”. - E’ dunque importante far capire che la “Culla per la vita” è un’opportunità… “Anzitutto mi piace precisare che Il Centro di aiuto alla Vita si rivolge alle donne
che in seguito ad una gravidanza inattesa o indesiderata ritengono che non vi sia un’alternativa all’aborto. Grazie alle nostre volontarie, spesso riescono ad esercitare il diritto a portare avanti la gravidanza: e nessuna si è mai pentita. E operiamo senza sovvenzioni pubbliche o della Curia; la provvidenza e le attività di auto sovvenzione ci permettono di sopperire a tutte le necessità. Va poi aggiunto che anche la “Culla” è stata realizzata a spese nostre. Grazie alla sensibilità di padre Nino Russo, parroco della chiesa Gesù Lavoratore, che ospita nei locali parrocchiali la nostra sede, abbiamo potuto usare una porta laterale della stessa chiesa da cui si accede in un deposito. La porta, poco illuminata, si trova in via Umbria, una via che di notte è poco frequentata e garantisce in modo più che sufficiente l’anonimato”. - Importante la collaborazione col 118… “Per la realizzazione della “Culla” è stata fondamentale la collaborazione della centrale operativa del 118, diretta dalla dott. ssa Isabella Bartoli, che ha permesso di collegare l’allarme della culla con gli operatori della centrale. Per avere la certezza di un intervento tempestivo e accompagnato dall’assistenza sanitaria per il neonato, come si è sperimentato con Pasqualino”. Mario Vitale
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Speciale Cronaca
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acireale Fanno paura ma anche riflettere gli atti intimidatori contro il sindaco Barbagallo e l’on. D’Agostino
C’era il mito della “città tranquilla” Credevamo di vivere in una città tranquilla. Una città piena di legalità. Gli atti intimidatori che negli ultimi mesi hanno colpito l’amministrazione Barbagallo ci dimostrano che non è proprio così. Partiamo dalla notte tra il 20 e il 21 febbraio. L’auto del sindaco, la sua smart bianca con impresso il ghiacciolo verde simbolo della manifestazione “Vivaci”, parcheggiata sotto casa, quella notte ha preso fuoco o è stata incendiata. All’epoca si era in dubbio se ritenere l’incendio di origine dolosa o meno. E per lo più la gente parlava di autocombustione. Oggi, coi nuovi fatti che hanno visto vittime sia Barbagallo che il deputato regionale Nicola D’Agostino, fanno ben capire l’intento intimidatorio dei mandanti di queste due azioni: la bomba carta fatta esplodere accanto alla Fiat 500 della moglie del primo cittadino, posteggiata a pochi passi dall’abitazione; e la testa di un capretto con un proiettile conficcato in fronte appeso al cancello dell’abitazione del deputato regionale acese Nicola D’Agostino. Due azioni svoltesi durante la stessa notte tra il 2 e il 3 aprile. Secondo i Carabinieri del nucleo di Acireale, dalle telecamere delle due abitazioni si vede un motorino con due persone a bordo col viso coperto, prima la bomba carta sotto casa Barbagal-
lo, e 10 minuti dopo lo stesso motorino e i due personaggi vengono ripresi dall’occhio della telecamera della abitazione-D’Agostino. Di sicuro ora non si può più parlare di autocombustione dell’auto del sindaco ma di una combustione che l’amministrazione sta facendo per pulire la città dall’illegalità. E questi sono i risultati. Si è tenuta un’assemblea cittadina il giorno dopo i due accaduti. Tantissima gente presente al Palazzo del Turismo per dimostrare solidarietà alle due vittime di questi assalti. La Città vede tanti cittadini onesti ma ancora veniamo macchiati da questi gesti privi di legalità. Tanti i commenti che si sono scatenati sui social, c’è chi parla di mafia, chi parla di piccoli imprenditori a cui il sindaco aveva fatto promesse e non le aveva rispettate. Ma soffermiamoci un momento. Se davvero era gente bisognosa di aiuto avrebbe mai tagliato la testa di un capretto e conficcatoci dentro un proiettile 44 magnum? Un proiettile messo lì apposta e non sparato sull’animale, la cui testa, nel caso l’animale fosse stato ucciso dallo sparo della magnum 44, non ci sarebbe stata più, considerata la pesantezza del calibro del proiettile.
Catanoso: “Troppa spettacolarizzazione” I due atti intimidatori che hanno colpito il sindaco acese Barbagallo e l’onorevole D’Agostino una ventina di giorni fa, hanno dato vita a tutta una serie di opinioni sui social, sui giornali, sui telegiornali, dove hanno parlato politici, forze dell’ordine e cittadini comuni. Ma nessuno, o in pochi, si sono preoccupati di sentire la voce dell’opposizione politica acese. Eccola. Cosa ne pensa allora di questi atti Basilio Catanoso, leader di Forza Italia acese? «Sono atti barbari che vanno condannati. Per il resto non ho nulla da commentare. Una volta che gli inquirenti e la magistratura avranno scoperto cosa c’è sotto potremo fare dei commenti». Come leader d’opposizione all’attuale ge-
stione politica, come giudica l’operato dell’amministrazione Barbagallo? «La giudico come la stanno giudicando tutti gli acesi: un operato inesistente. Abbiamo visto questa fantomatica amministrazione del cambiamento, abbiamo visto una pseudo pista ciclabile che non si capisce nemmeno. Sto aspettando dei risultati ma sono pessimista. Avevo già il sospetto fin dall’inizio, e l’ho detto anche in campagna elettorale, che sarebbe stato un bluff e fino ad ora ho avuto ragione. D’altronde la democrazia esiste per questo: la gente vota il progetto e poi rivota o meno in base a quello che si riesce a fare». Perché non ha partecipato all’assemblea popolare che si è tenuta qualche giorno dopo gli atti che avevano colpito D’Agostino e Barbagallo? «È stata ridicola tutta questa spettacolarizzazione e la spettacolarizzazione di episodi molto gravi come questi, ancor prima che si
Pagina a cura di Ileana Bella
sappiano i risultati delle indagini, è altrettanto grave. Bisogna aspettare la fine dell’inchiesta. È inutile fare cinema perché prima bisogna pazientare e capire che cosa c’è sotto. Chi ha un ruolo pubblico e viene incaricato dagli elettori a svolgere un ruolo, non può andare in giro a fare di testa propria in situazioni dove non c’erano forze dell’ordine né istituzioni». Qualcuno della sua parte politica ha partecipato….. «Forse a titolo personale, alcuni iscritti al partito o qualche consigliere , ma nessuno col mandato del partito e io assolutamente no!». Catanoso quindi condanna gli attacchi illegali fatti a questa amministrazione ma allo stesso tempo la spettacolarizzazione fatta attraverso assemblee popolari, mettendo le due cose sullo stesso piano. Ha detto che condivide il parere di molti acesi su quello che ha fatto e non ha fatto questa amministrazione. Ma perché non valutare anche tutti gli ostacoli e rallentamenti burocratici che il sindaco e i suoi collaboratori si sono trovati davanti?
Il sindaco conferma: “Noi non molliamo nel rispetto del mandato dei cittadini” (dalla prima pagina) che qualcuno ha voluto far arrivare a me e all’onorevole D’Agostino. Gli inquirenti stanno lavorando e le indagini spero possano darci presto risposte certe, ma è chiaro che si tratta di azioni molto forti e violente, che vorrebbero spaventare un’amministrazione che sta cercando di migliorare i livelli di vivibilità, legalità e trasparenza in questa città. Stiamo facendo in modo di riportare ordine, di combattere ogni forma di abusivismo, di far rispettare le regole e tutelare chi paga le tasse. Abbiamo adottato un regolamento a sostegno alle vittime di usura e presto arriverà in consiglio il regolamento per l’uso dei beni immobili confiscati alla mafia e andremo avanti in questa direzione con maggiore convinzione. Insomma è difficile oggi fare una sintesi e capire a chi abbia dato fastidio l’attività di questa amministrazione, ma di sicuro chi ha fatto delle azioni così brutte agisce contro la civiltà e contro il bene della città, che invece ci è vicina». Ed oggi questa è l’opinione del sindaco Barbagallo: «Ancora ci sono momenti di preoccupazione ma devo rispettare il mandato che ho avuto dai cittadini. Ho fatto la denuncia e i Carabinieri, la Polizia e la Procura di Catania se ne stanno occupando. Rispetto al primo caso che era stato preso con leggerezza, visto che parlavano di autocombustione, adesso ci sono ripensamenti dopo che i riflettori si sono nuovamente accesi». Si tratta di atti fatti da organizzazioni mafiose? «Non si sa - ha detto il sindaco - ma di certo la testa di capretto fatta trovare appesa al cancello dell’abitazione di D’Agostino è abbastanza emblematica. Comunque, valuteranno quanti si stanno occupando del caso». La causa, il motivo che ha spinto qualcuno a fare questi atti intimidatori qual è? I giornali ed i social ipotizzano che la causa sia stata l’approvazione del progetto anti-usura o l’aumento delle multe fatte. Cosa ne pensa il sindaco? «Credo più che altro che la causa sia da cercarsi nell’aumento del controllo del territorio. Non ci sono solo le multe, ma c’è più controllo del suolo pubblico e tante altre cose che si stanno facendo nella trasparenza e nella legalità. Penso che chi ha un’attività è giusto che paghi ciò che gli spetta da pagare. Ultimamente c’è un controllo del territorio più dettagliato e marcato rispetto al passato e questo potrebbe essere una delle cause. Ma sempre di questo si accerterà chi si sta occupando del caso».
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Chiesa e Società
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diocesi Domenica 26 aprile la Giornata mondiale per le vocazioni, coinvolte parrocchie e comunità
Vocazioni e santità: toccati dalla Bellezza Domenica 26 aprile si celebra in tutta la Chiesa la 52a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Questa giornata coincide sempre con la quarta domenica di pasqua, detta anche domenica del “buon pastore”, dal momento che nella liturgia della messa viene proclamato un brano del discorso di Gesù in cui si definisce “la porta e il pastore delle pecore” (Gv 10). La Giornata vuole sensibilizzare tutti i fedeli a corrispondere al comando del Signore che ha detto: “la messe è molta ma gli operai sono pochi; pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe” (Lc 10, 2). La vocazione, infatti, è anzitutto un dono di Dio che va invocato continuamente perché molti avvertano la chiamata a servire il Signore nella Chiesa e corrispondano con generosità nei diversi ministeri che sono necessari alla comunità cri-
Rifugiati politici Il nuovo sistema di accoglienza illustrato dal dott. Gabriele Spina Il nuovo sistema di accoglienza dei migranti ad Acireale è stato illustrato qualche giorno fa dallo psicologo dott. Gabriele Spina, uno dei responsabili del consorzio di cooperative “Il Nodo”, che opera già da diversi anni tra Acireale e Catania, in collaborazione con lo Sprar (il Servizio per l’accoglienza dei richiedenti asilo politico e rifugiati del Ministero dell’Interno) e con gli enti locali. Chiuso infatti il centro di accoglienza che da qualche anno funzionava presso l’ex Collegio Santa Venera di via Dafnica, sono stati presi in affitto alcuni appartamenti nel centro di Acireale, in cui sono ospitati dei piccoli gruppi di extra comunitari. “I vantaggi di questa nuova soluzione di accoglienza – afferma il dott. Spina – sono numerosi: intanto una condizione generale di vita senz’altro migliore, perché nel vecchio centro, anche se ampio e accogliente, c’erano delle stanzette piuttosto piccole ed un sistema di gestione dei servizi comuni che richiamava quasi il funzionamento di una caserma. Ed era sempre costante il rischio di creare delle forme di ghettizzazione. Con il sistema degli appartamenti, inseriti nei condomini e nel tessuto vitale della città, si favorisce invece l’integrazione e la socializzazione dei migranti sia con la popolazione, sia con la società e la cultura locali, mentre d’altra parte si riesce anche a dar loro una maggiore indipendenza e autonomia personali.” “La frammentazione e l’ampia distribuzione su tutto il territorio cittadino potrebbero, di contro, rappresentare uno svantaggio, ma a questo si è ovviato con l’aumento degli operatori, perché per ogni gruppo-casa c’è un operatore responsabile.” Grazie a questo nuovo sistema degli appartamenti, è stato possibile aumentare il numero delle persone accolte ad Acireale, per cui si è passati dai 20-25 ospiti del vecchio centro di accoglienza, ai circa 80 attuali, distribuiti in una decina di case. Con il servizio Sprar gli immigrati, quando rientrano nelle condizioni previste per l’ottenimento dello status di rifugiati politici, vengono inseriti in un progetto della durata di sei mesi (rinnovabili fino ad un massimo di 18), durante i quali vengono assistiti sia nelle procedure burocratiche finalizzate, per l’appunto, al conseguimento dell’asilo politico, sia sul piano personale, per il recupero di documenti personali, titoli di studio, patente di guida e quant’altro necessario; sia sul piano dell’assistenza sanitaria; e sia, ancora, per l’inserimento sociale con la ricerca di un lavoro o di un alloggio autonomo. Sono molti – come è stato anche mostrato in un video proposto dal dott. Spina – gli immigrati che si sono inseriti nella nostra zona nel mondo del lavoro, acquisendo delle valide competenze in campo commerciale, artigianale o anche imprenditoriale.
stiana. A motivo di questa diversità di servizi, le vocazioni per le quali pregare vanno intese in senso molto ampio: non si prega solo perché ci siano consacrati nell’ordine sacro o nella vita religiosa ma in generale perché ciascuno sappia realizzare nella propria vita il progetto di Dio. Il tema della Giornata di quest’anno è: “Vocazioni e santità: toccati dalla Bellezza” (Evangelii Gaudium 167 e 264). L’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni propone come slogan “È bello con te”. Questo slogan esprime un cammino che trasforma il nostro sguardo di fede e lo rende capace di riconoscere la bellezza del Signore che, anche oggi, continua a chiamare e a spargere semi di vocazione con abbondanza. A tal proposito, il Santo Padre Francesco, nel suo messaggio per la Giornata, invita i giovani a non avere paura di uscire da se stessi e mettersi in cammino.
“”Quanto è bello – prosegue il papa – lasciarsi sorprendere dalla chiamata di Dio, accogliere la sua Parola, mettere i passi della nostra esistenza sulle orme di Gesù, nell’adorazione del mistero divino e nella dedizione generosa degli altri!”. A livello locale, ogni parrocchia e comunità della nostra Diocesi animerà la giornata con momenti di preghiera o opportuni riferimenti nelle messe. Oltre alla preghiera, non mancheranno le catechesi sul tema della vocazione. In questo senso, ampio materiale è stato preparato dall’Ufficio nazionale. Da parte sua il Seminario, “in prima linea” sul tema vocazionale, propone l’adorazione eucaristica mensile aperta a tutti giovedì 23 alle ore 19; inoltre, i seminaristi saranno presenti in diverse parrocchie per rendere la loro testimonianza durante le messe domenicali. don Alfio Privitera
DIOcesi Prima produzione nella vigna del Seminario di Randazzo
Quando il buon vino è “Perfetta Letizia”
Nino De Maria
Noè, essendo coltivatore, piantò una vigna (Gen 9,20). Egli fu il primo produttore di vino della storia. Anche nelle vicende di Abramo troviamo la presenza di questa bevanda: Melchisedek, re di Salem e sacerdote di Dio, offrì pane e vino e benedisse il profeta (Gen 14,18). Gli Ebrei consideravano la vite “uno dei beni più preziosi dell’uomo” (I Re) ed esaltavano il vino che “rallegra il cuore del mortale” (Salmi). Nel Nuovo Testamento troviamo il vino nell’episodio delle nozze di Cana e nell’istituzione dell’Eucarestia del giovedì santo. Il vino, dunque, è la bevanda più antica del mondo. E sempre il vino è al centro di un’inedita iniziativa del seminario vescovile di Acireale, che ha prodotto e imbottigliato “Perfetta letizia”, il vino per la messa. Don Angelo Milone e don Francesco Mazzoli, rispettivamente rettore e economo del seminario, ne sono stati i promotori. A parlarci di questa esperienza è stato Arturo Grasso, lettore e al quarto anno di studi del seminario di Acireale. “Per me si è trattato di mettere in campo le mie conoscenze essendomi laureato in agraria – ha affermato a La Voce dell’Jonio il giovane seminarista – e di offrirle a beneficio di tutta la diocesi. Ho ereditato la tecnica dalla mia famiglia”. Il vino, che non supera i dieci gradi e ha un gusto decisamente liquoroso, è destinato all’ uso liturgico e non è in vendita. Le varietà presenti nel vino, ci spiega Arturo Grasso, sono “l’anzolia, il catarratto e in piccola parte il nerello mascalese”. La vigna si trova a Randazzo e si estende su circa due ettari e mezzo. È di proprietà del seminario che l’ha ereditata da mons. Birelli e dalle sorelle Germanà, entrambi personalità storiche legate
alla cittadina etnea. L’annata del vino è quella del 2014 e l’imbottigliamento è avvenuto durante la settimana santa appena trascorsa. Il vescovo mons. Antonino Raspanti, al termine della messa in Coeli Domini del giovedì santo, ha distribuito le bottiglie di vino ai parroci presenti. Alla domanda come mai avesse scelto il nome “Perfetta letizia”, Arturo ha risposto così: “Perfetta letizia è un nome tipicamente francescano. Io provengo da una parrocchia francescana (S. Maria degli Angeli di Acireale) ed essendo stato inviato nella parrocchia di Santa Venera a Santa Venerina ho pensato di coniugare san Francesco e la campagna, di cui Santa Venerina è ricca”. Il vino, ha aggiunto il giovane seminarista, “ti porta a vivere nella gioia che diventa meta della nostra vita. La gioia si vive solo dopo avere vissuto delle sofferenze. Per la coltivazione della vite ci vuole duro lavoro ma alla fine si ha il prodotto del vino, ci si unisce alle sofferenze di Cristo, si rinuncia al proprio io per conformarsi a Cristo e vivere così la vera gioia, tema tanto caro a Papa Francesco”. “Perfetta letizia” è il frutto che il seminario ha offerto a tutta la diocesi di Acireale: “Questa iniziativa esprime la condivisione e la fraternità sacerdotale a noi seminaristi e a tutti i sacerdoti attraverso il dono concreto del vino”, ha aggiunto. E infine: “È in cantiere il progetto di miglioramento fondiario per portare il terreno da trecento a cinque mila piante. E se ci riusciamo pianteremo anche degli ulivi”. Domenico Strano
analisi Nella lotta di popolo contro l’invasione nemica morirono oltre 300 sacerdoti, 191 per mano dei repubblichini
Dopo 70 anni la consapevolezza: Resistenza, il ruolo dei “ribelli per amore” Fu lotta di popolo spontanea contro un’invasione nemica. Un generale tedesco, durante i nove mesi dell’occupazione nazista della capitale, esclamò irosamente: “Mezza Roma nasconde l’altra mezza”. Niente a che fare con le analisi marxiste unilaterali e ristrettamente ideologiche. Basti pensare all’alto numero di sacerdoti uccisi, oltre 300 (191 dei quali per mano dei fascisti repubblichini) C’è chi dice: Resistenza, roba del passato. Non è poi tanto vero se, oltre alle iniziative istituzionali, in numerose parti d’Italia e in differenti ordini di scuole docenti e alunni hanno organizzato incontri per ricordare i settanta anni dalla conclusione della guerra in Italia con quel grande evento che fu la rivolta popolare del 25 aprile 1945 contro i nazifascisti. Semmai, sarà necessario mettere ordine nelle riflessioni storiografiche che sono state condotte, e che ancora si vanno facendo, per rettificare una lettura a lungo unilaterale dei ruoli che vi hanno svolto i vari settori della società nazionale. Fu lotta di popolo spontanea contro una invasione nemica, sentita come arbitraria. Un generale tedesco, durante i nove mesi dell’occupazione nazista della capitale, esclamò irosamente: “Mezza Roma nasconde l’altra mezza”. Niente a che fare con le analisi che influenti storici di matrice comunista dettarono per anni dalle cattedre universitarie (da Ernesto Ragionieri ad Alberto Asor Rosa) e da quella specie di bibbia laica che è stata la Storia di Einaudi, e secondo le quali
la partecipazione marxista, con le sue giustificazioni ideologiche, sia stata la molla quasi unica che fece girare la ruota della Resistenza. Una nuova generazione di studiosi – citiamo soltanto, fra i tanti nomi che è possibile fare, quello dello scomparso Pietro Scoppola – ha messo a punto strumenti di ricerca che stanno redistribuendo le carte della partecipazione e delle sue ragioni. Si era abusato, per esempio, di espressioni come “attendismo” o “zona grigia”, tali da permettere a una parte, che non aveva voluto rischiare nulla, di giustificarsi indicando la pretesa inesistenza di un silenzioso retroterra di quanti invece consentivano di sopravvivere ai protagonisti dei combattimenti sul terreno. La gente delle retrovie, peraltro, non era esente da rischi: come provano sia le attribuzioni di colpe e responsabilità individuali che portavano al carcere, alle torture, al campo di concentramento, alle esecuzioni, sia le stragi (alcune centinaia, spesso efferate) perpetrate dai nazifascisti contro popolazioni accusate di sostegno ai combattenti della libertà. Altri hanno voluto contestare la legittimità della partecipazione del mondo cattolico alla lotta armata. Duemila caduti, duemilacinquecento feriti, diecine di riconoscimenti al valore su un complesso di partigiani fra i 60 e gli 80mila. Soltanto una parte, comunque, di una presenza difficilmente calcolabile ma sotterraneamente e capillarmente attiva, dalle parrocchie all’associazionismo ecclesiale, dall’Azione cattolica agli scout. Non
si spiega altrimenti l’alto numero di sacerdoti uccisi, oltre 300 (191 dei quali per mano dei fascisti repubblichini), superiore a quelli tedeschi in dodici anni di nazismo. Del resto in piena guerra La Civiltà Cattolica non temeva di affrontare l’argomento pubblicando, in due quaderni successivi – il 95 del 1944 e il 96 del 1945 –, l’intervento del gesuita Andrea Oddone che confermava come, nei confronti di una legge ingiusta, fosse sempre lecita la resistenza passiva. Che era legittimo diventasse attiva (secondo la risposta positiva di San Tommaso alla questione an liceat necare tyrannum, se sia possibile uccidere il tiranno) se fosse in pericolo la religione; bisognava deplorare – scriveva citando l’enciclica del 1890 Sapientiae christianae di Leone XII – “coloro che rifiutano di resistere per non irritare gli avversari”. La ribellione armata, ripeteva P. Oddone sulla scia del pensiero tomista, era doverosa nei casi in cui la tirannia fosse costante, manifesta e giudicata come tale dalla parte più sana della società, se fossero numerose le probabilità di successo, se la situazione successiva si presentasse migliore di quella passata. Tutte condizioni che rispondevano alle circostanze del periodo in cui se ne scriveva. C’è una fortunata definizione, “ribelli per amore”, per designare quei cattolici che ritennero di doversi mettere in gioco per la libertà di tutti. La coniò Teresio Olivelli, poi ucciso in un campo di concentramento per aver voluto difendere un compagno di prigionia angariato dagli aguzzini. Era contenuta nella famosa Preghiera del ribelle, quella che, in un’invocazione al Cristo, si concludeva “Se cadremo, fa’ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri morti a crescere al mondo giustizia e libertà”. Sia detto in memoria della Resistenza. Angelo Paoluzi
dell’
Jonio
Chiesa e Società
19 aprile2015
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Diocesi Mons. Raspanti alla festa per i dieci anni di sacerdozio di don Alfredo D’Anna, parroco di Santa Tecla
“Il prete si fa carico della sua comunità” La comunità di Santa Tecla ha festeggiato don Alfredo D’Anna in occasione del decimo anniversario di sacerdozio. Si è cominciato con la concelebrazione eucaristica presieduta dal vescovo mons. Antonino Raspanti che con gioia si è unito alla preghiera di questa comunità per ringraziare Dio del dono della vocazione sacerdotale. “Il sacerdote è un piccolo faro, una guida che indica la strada ai fedeli a lui affidati” ha detto il vescovo. Presenti alla concelebrazione tanti sacerdoti della nostra diocesi, i seminaristi, il sindaco di Acireale, ing. Roberto Barbagallo, alcuni consiglieri comunali e la famiglia di don Alfredo, la mamma, i fratelli e i nipoti. Pieno di gratitudine l’intervento, alla fine della celebrazione, della presidente dell’Azione Cattolica di S. Tecla prof.ssa Rosaria Maugeri che, a nome di tutti i parrocchiani, ha voluto ringraziare don Alfredo per il suo operato. “Quando un prete arriva in una comunità, sa che se ne dovrà fare carico e prendersene cura ma è vero anche il contrario, è la gente che si prende cura di lui che lo sostiene, lo conforta, lo consiglia come si fa in una vera famiglia ed è così che tutti noi speriamo che lei si senta nella nostra parrocchia, come in famiglia”. La tappa del decimo anniversario ha sottolineato poi il vescovo rappresenta l’ingresso nel periodo più adulto della vita sacerdotale, quando agli entusiasmi dei primi anni subentra il rendersi conto di quanto possa essere faticoso il compito di un sacerdote. Ma la vocazione è un dono e non mancherà la grazia di Dio per andare avanti nella propria missione. Uno dei ragazzi della catechesi ha letto la poesia di O. Menato “L’importante è seminare” dedicata dai più piccoli parrocchiani al loro sacerdote. Don Alfredo ha ringraziato tutti ricordando il giorno della sua ordi-
nazione con la stessa emozione. Come segno concreto di operosa carità la comunità ha voluto donare contributi per costruire un pozzo in Africa. I festeggiamenti sono proseguiti poi con la benedizione del centro sportivo “Pelluzza”, un luogo di aggregazione giovanile, un’opera storica per la piccola comunità di Santa Tecla che è stata realizzata attraverso l’impegno di collaborazione e lo spirito di gratuità di tutti gli abitanti. Ho chiesto a don Alfredo di ricordare la sua chiamata alla vita sacerdotale e di fare un bilancio di questi 10 anni. “La vocazione non nasce così all’improvviso ma è il frutto di un cammino che certamente per me è stato abbastanza lungo perché sono entrato al seminario nel 1999, a 27 anni, e sono stato ordinato nel 2005. Anni prima mi ero posto già la domanda e anche se nel corso del mio cammino personale non ho subito risposto a questa proposta, era una domanda che restava dentro di me e che si ripresentava ogni qualvolta dovevo fare scelte fondamentali nella mia vita. Una volta giunto il momento di decidermi, sono entrato in seminario, e fin da subito mi sono sentito al mio posto, mi sono sentito in cammino, mi sono sentito chiamato, mi sono sentito incoraggiato da tutti; la mia famiglia mi ha sempre sostenuto, come hanno fatto la mia comunità, i parroci della mia parrocchia, padre Rosario Guarrera e padre Salvatore Blanco che mi hanno incoraggiato in modo veramente significativo. Facendo un resoconto di questi dieci anni di ministero, posso dire che è un bilancio di novità, giorno per giorno, di tanti doni quotidiani, che mi fa dire che questi anni sono trascorsi in modo velocissimo. Tante esperienze belle e anche tanti momenti faticosi, momenti di contraddizione, di sacrificio, ma tutto mi fa pensare che rifarei questa scelta cento volte, mille volte, che questa è la mia vocazione.” Laura Pugliatti
e ricolmo di spirito
esce appagato perché è entrato in uno spazio “vivo”, dove ha potuto cogliere l’essenza di una comunità che appartiene al frammento più antico del territorio acese e che con i suoi oggetti continua a narrare la sua storia e a mostrare, con orgoglio, la sua identità. Maria Grazia Patanè
Don Roberto Strano
Uno spazio vivo che racconta la storia della comunità getti, tra cui gli argenti del XVII e XIX secolo e una stola appartenuta a papa Benedetto XVI. Al primo piano, si può ammirare la famosa tempera su tavola, raffigurante il “San Nicola di Bari”, opera attribuita alla scuola di Antonello da Messina, datata tra il 1455 e il 1477. Imperdibile la visita alla Camera di mummificazione, cripta articolata in due ambienti voltati contigui, appartenente all’antica Confraternita di San Nicola, che si trova nella navata laterale destra della Basilica. Di grande valore anche il presbiterio, con i suoi marmi policromi e gli stalli lignei dei canonici , e la cappella del SS.Sacramento, entrambi realizzati su disegno dell’architetto Francesco Battaglia. Questi oggetti e questi dipinti, che attendevano da tempo di essere museificati per la loro unicità, sono pezzi di grande pregio che non sono andati perduti, ma che si trovano nel luogo ad essi deputato, cioè sono collocati laddove i fedeli passano e continuano a partecipare alle funzioni religiose. Alla fine di questo percorso il visitatore
Prete buono di cuore Al cittadino acese sarà capitato più volte di incrociare sul proprio cammino un Sacerdote di normale statura, sempre con la talare (un po’ lisa a dire il vero) e con lo sguardo sempre sorridente. Era il Parroco di santa Caterina, don Salvatore Ragusa, che venerdì scorso, 17 aprile, ha varcato i limiti del tempo per ricevere il premio riservato ai servi buoni e fedeli del Vangelo. Egli era nato a Randazzo il 14 Gennaio 1933 ed era stato ordinato Sacerdote il 28 Ottobre 1956 da Sua Eccellenza Mons. Salvatore Russo. Randazzo era, allora, fucina di tante vocazioni sacerdotali. Don Salvatore non fece ritorno, come tanti suoi concittadini, alla Città natale, ma fu destinato nell’Arcipretura Parrocchiale di Milo, guidata allora dall’Arciprete Mons. Concetto Fichera, passato alla storia come uno degli esemplari Parroci che la Diocesi ha avuto. Fu nominato Parroco nella piccola frazione di santa Caterina nel 1971, antica Chiesa sacramentale della Città al cui sacro fonte fu battezzato il P. Mariano Patanè, fondatore dell’Oratorio dei PP. Filippini della Città. La frazione di santa Caterina, per la sua posizione e le sue viuzze e, soprattutto, per la sua piazza sul mare, sicuramente meriterebbe ben attenzione da parte degli Amministratori per valorizzare il nostro Patrimonio artistico, storico e culturale. P. Ragusa fu il Parroco di Santa Caterina. Con essa si identificò e in essa visse i suoi lunghi giorni di ministero sacerdotale. Concluso l’insegnamento di Religione Cattolica nelle Scuole statali, con la “buonuscita” realizzò un campo di calcetto e un Oratorio per la Parrocchia, quel sito porta, giustamente il suo nome, per ricordare ai posteri la presenza fattiva e attiva dello zelante Parroco “buono di cuore e ricolmo di Spirito Santo” come si legge nella targa ivi apposta. Egli stesso provvedeva al pagamento della bolletta dell’energia elettrica della Chiesa e dell’Oratorio e quando, a seguito della tromba d’aria del 5 Novembre u.s., gli fu consigliato di lasciare gli ambienti della canonica perché a rischio, egli non ne volle sapere di trasferirsi altrove. Fu Assistente dell’AIFO (Associazione Amici di Raoul Follereau). Nel mese di febbraio ebbe un ictus cerebrale. Immediatamente soccorso e ricoverato sembrò riprendersi, anche se per cautela ed assistenza gli si consigliò di fermarsi all’OASI Maria SS.ma Assunta di Aci S. Antonio. Tutto faceva presagire una buona ripresa e, invece, Venerdi scorso, nel pomeriggio, una ricaduta del male si rivelò fatale. Nella tarda serata il suo corpo esamine fu portato nella Chiesa parrocchiale di Santa Caterina dove tutti i parrocchiani lo attendevano e con amore lo hanno vegliato per due giorni fino ai funerali, presieduti dal Vescovo, lunedi 20 aprile. A-Dio caro don Salvatore.
Aci San Filippo Inaugurato il Museo della Basilica, che fa parte della rete diffusa
Nei giorni scorsi è stato inaugurato ad Aci San Filippo uno spazio museale, sito all’interno della Basilica, che è stato intitolato a Benedetto XVI, in onore del Papa che, a suo tempo, ha elevato a Basilica l’antica chiesa. Il museo fa parte di una rete museale diocesana voluta dall’allora vescovo Pio Vittorio Vigo e dal suo vicario generale Rosario Di Bella e mirava a recuperare e a valorizzare i beni culturali di proprietà della diocesi di Acireale in un’ottica di fruizione del patrimonio comune. Il visitatore che si appresta a scoprire il museo della Basilica potrebbe restare deluso dal fatto che non si troverà di fronte a grandi saloni ove ab b r a cc i a r e con un solo colpo d’occhio i vari reperti d e tt a g l i at a mente catalogati e non più utilizzati e, quindi, privi di vita. Qui è la stessa Basilica, con il suo percorso articolato in 11 punti , a diventare spazio museale e a narrare la storia della comunità. Concepita nella metà del ‘700 dall’architetto Francesco Battaglia, essa accoglie al suo interno dipinti di Antonio Pennisi, di Giuseppe Dionisi, di Pietro Paolo Vasta e Pietro Badessa. Vi si trovano, inoltre, le statue lignee del XV secolo di San Filippo Apostolo e San Giacomo Apostolo, oltre a un crocifisso dello scultore Gennaro Gallo del 1639. Lo spazio museale in sé, invece, angusto ma molto suggestivo, si trova nella torre campanaria e vi si accede per mezzo di un’ incantevole scaletta a chiocciola medievale, realizzata in pietra lavica. Al piano terra della torre si trova l’olio su tela Xiphonia del Vasta e l’espositore museale con vari og-
Padre Ragusa
diocesi In contemporanea con la cerimonia di Torino, alla presenza del Vescovo
Esposta la copia della Sindone, “sacrale per contatto” In contemporanea con l’ostensione straordinaria della Sindone nel Duomo di Torino, a partire da domenica 19 aprile, nell’ambito delle manifestazioni programmate per il bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco, anche la Basilica Collegiata ‘San Sebastiano’ in Acireale ha aperto le celebrazioni, che si protrarranno fino al giugno prossimo, con la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal vescovo mons. Antonino Raspanti, per l’ostensione straordinaria della preziosa copia del sacro lino che, ivi custodita, riprende le caratteristiche dell’originale. La Sindone, custodita per l’appunto a Torino, è stata nei secoli oggetto di grande devozione, avendo avvolto il corpo senza vita di Cristo ed essendo stata bagnata dal suo sangue e dalle sue lacrime. La Sindone costituisce, oltre che un prezioso sacro reperto, anche un invito alla rilettura dei Vangeli della Passione del Signore, così da riscoprire in tutta la sua drammaticità la sofferenza dell’Uomo dei dolori, di Colui che è il Giusto per eccellenza. La copia custodita nella Basilica acese, risalente al XVII secolo, è una delle poche al mondo ad avere acquisito la caratteristica della sacralità per
contatto, essendo stata adagiata sopra l’originale. Nelle pieghe del sacro telo, dunque, l’uomo riscopre il senso autentico della propria esistenza, insegnando anche il rispetto per il corpo e per la sua dignità tante volte offesa e negata. La copia della Sindone custodita nella Basilica acese è di proprietà dell’Arciconfraternita ivi operante ed intitolata al Ss. Crocifisso. Sul bordo inferiore del lenzuolo si trova la scritta ‘Extractum – ex originali – Taurini’ – anno 1644’ ed esso è dipinto pressocchè con le medesime misure dell’originale. L’ostensione straordinaria si affianca a quella ordinaria, che la nostra Basilica propone annualmente nel periodo compreso tra la quinta domenica del tempo liturgico di Quaresima (prima domenica di Passione) e il lunedì dell’Angelo (Pasquetta). L’ostensione straordinaria, dunque, consente ancora una volta di accostarsi in preghiera davanti alla sacra reliquia a quanti, per varie ragioni, fossero impediti a raggiungere Torino per le locali celebrazioni. Nando Costarelli
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Jonio
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