Ferrara - Voci di una città n° 36

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voci di una città

voci di una città

Anno 17, numero 34, Giugno 2011

Ferrara . Voci di una Città - Rivista semestrale di cultura, informazione e attualità. Anno 17 numero 34, Giugno 2011

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Semestrale di cultura, informazione e attualità

Fondazione Cassa

Giugno 2011 Italian text with English summary

di Risparmio di Ferrara



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Rivista semestrale di cultura, informazione e attualitĂ della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara


F e r r a r a · V o c i d i u n a C i t Rivista semestrale di cultura, informazione e attualità Anno 17, numero 34 - Giugno 2011 Registrata presso il Tribunale di Ferrara il 9 novembre 1994 con il numero 13/94. ISSN 1128-3572 Edizione fuori commercio, riservata ai soci e agli amici della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara

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Comitato Editoriale Giorgio Franceschini, Roberto Pazzi, Paolo Ravenna, Leopoldo Santini, Gaetano Tumiati, Gianni Venturi, Francesca Zanardi Bargellesi Direttore Responsabile Alfredo Santini Coordinamento e cura editoriale Monica Bracardi Impaginazione e realizzazione le Immagini - Ferrara Progetto Derek Bacchus Segreteria di redazione Valentina Lapierre Revisione bozze Angela Ghinato Editore Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara Sede legale, amministrativa e redazionale Palazzo Muzzarelli Crema Via Cairoli, 13 - 44121 Ferrara tel. 0532/205091 - fax 0532/210362 Stampa SATE - via Goretti, 88 - Ferrara

I n c o p e r t i n a: Un casone di valle nel Parco del Delta del Po, Fototeca Parco Delta del Po, Comacchio Crediti Fotografici Parigi, Musée Marmottan Monet: p. 8 New York, Solomon R. Guggenheim Museum, Solomon R. Guggenheim Founding Collection: p. 10 Collezione privata, © Succession Picasso, by siae 2011: p. 11 Stoccolma, Dansmuseet, Musée Rolf de Maré, © by siae 2011: p. 12 Washington, Hirshhorn Museum, dono della Joseph H. Hirshhorn Foundation, 1972, © by siae 2011: p. 12 Milano, collezione privata, © Gala-Salvador Dalì Foundation, by siae 2011: p. 13 Dal catalogo della mostra meis. Architetture per un museo, a cura di Carla Di Francesco, Ferrara, 2011: pp. 14, 16, 17 Fototeca Parco del Delta del Po: pp. 18, 20-23 Biblioteca Comunale Ariostea, Ferrara, Fondo Cartografico Crispi, serie XVI, tavola 67: p. 24 Dal volume La Nazione ebraica spagnola e portoghese di Ferrara, di Aron di Leone Leoni, Firenze, 2011: pp. 26, 27 Dal catalogo della mostra Franco Patruno: percorsi, Ferrara, 2001: pp. 30, 32 Fototeca Comune di Tresigallo: p. 34 Foto “le Immagini”, Ferrara: pp. 36-39, 46, 48, 49, 58-61, 72 Foto Marco Caselli Nirmal: pp- 30-32 Foto Nazario Spadoni: p. 61 Archivio Carlo Bassi: pp. 40, 43-45 Archivio Centro Operativo Ferrara, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini: pp. 50, 54, 55 Pinacoteca Nazionale, Ferrara, lastre fondo “Vecchi e Graziani”: pp. 52, 53 Fototeca Musei Civici d’Arte Antica, Ferrara: p. 55 Archivio Provincia di Ferrara: pp. 58-61 Centro di Documentazione Storica, Ferrara: p. 66 Collezione Silvia Villani: p. 69 Archivio Fondazione Carife: pp. 71, 73-75 Archivio Carife: pp. 77, 78, 80

Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara Presidente Piero Puglioli Vice Presidente Pier Carlo Scaramagli Consiglieri Roberto Bonora; Andrea Buzzoni; Nicola Gherardi; Riccardo Maiarelli; Mario Mazzoni; Paolo Ravenna; Francesca Zanardi Bargellesi

Cassa di Risparmio di Ferrara SpA Presidente Sergio Lenzi Vice Presidente Ennio Manuzzi Consiglieri Marco Berti; Antonio Bondesani; Riccardo Fava; Paolo Govoni; Mario Guidi; Massimo Marchetti; Teodorico Nanni; Simonetta Monica Talmelli; Giuseppe Vancini

Presidente del Collegio Sindacale Giantomaso Giordani Sindaci Tullio Chiesa; Stefano Raddi

Presidente del Collegio Sindacale Stefano Leardini Sindaci Andrea Malfaccini; Marco Massellani

Segretario Guido Reggio

Direttore generale Daniele Forin

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uesto numero si apre con le anticipazioni di Maria

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abitativa e produttiva hanno generato una soluzione moderna

Luisa Pacelli sulla mostra che si inaugurerà a settembre

e unica nel suo genere, la cui conservazione deve essere atten-

a Palazzo dei Diamanti, dedicata ai grandi maestri della

tamente progettata.

modernità (Modigliani, Picasso e Dalì), protagonisti di

Carlo Bassi ci racconta la sua esperienza nella progettazione

un periodo di eccezionale vitalità artistica che ebbe come

della chiesa del Beato Giovanni Tavelli a Villa Fulvia, recen-

palcoscenico Parigi nel ventennio precedente la Grande

temente inaugurata. Io stesso ho voluto tributare, con sincera

Guerra. Restando in tema di eventi espositivi Carla Di

ammirazione, un piccolo omaggio alla carriera di Carlo Bassi,

Francesco ci presenta i risultati del concorso di progettazione

che con tanta passione e professionalità ha contribuito anche

per il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della

alla valorizzazione di Ferrara.

Shoah di Ferrara (meis), protagonista della recente mostra

Si continua con Giovanni Lamborghini, che ha ricostruito

presentata questa primavera sempre a Palazzo dei Diamanti.

le vicende attributive di alcuni affreschi rinvenuti negli anni

Il celebre documentarista e scrittore Folco Quilici condivi-

Cinquanta presso la chiesa di Santo Stefano, mentre Marco

de con i nostri lettori un toccante ricordo della sua infanzia

Borella spazia sul sistema delle residenze estensi (“delizie”)

ambientato nel Delta del Po, in cui rivive un momento di

nel nostro territorio provinciale.

profondo legame di lui e sua madre, la pittrice Mimì Quilici

Giovanni Sassu traccia per noi un affettuoso e sentito ricordo

Buzzacchi, suscitato dall’evocativo ambiente delle nostre valli.

di Berenice Giovannucci Vigi, recentemente scomparsa, con

Gianni Venturi ci propone un’attenta e partecipata lettura del

la quale in tante occasioni abbiamo avuto l’onore di colla-

volume del compianto Aron Leoni, opera di monumentale

borare, sia come Fondazione che come Cassa di Risparmio.

importanza nello studio della Nazione ebraica spagnola e por-

Segue il contributo di Davide Mantovani sui rapporti tra Fer-

toghese a Ferrara, tra la fine del Quattrocento e la prima metà

rara e Mazzini, in occasione del 150° dell’Unità d’Italia.

del Cinquecento.

La parte dedicata alla Cassa e alla Fondazione si impernia

Si prosegue con il ricordo di don Franco Patruno, tracciato

sull’aumento di capitale, grazie al quale la nostra banca potrà

con sincero affetto da Andrea Nascimbeni, che in occasione

dotarsi delle risorse dettate da Basilea 3, e sull’innovativo

della recente pubblicazione del volume che raccoglie gli ar-

piano industriale varato recentemente. La Fondazione, poi,

ticoli di don Franco sulla terza pagina dell’«Osservatore Ro-

ripercorre gli interventi di maggior rilievo, sostenuti negli ulti-

mano», ricorda le sapienti doti critiche e i tratti umani di una

mi anni, in tema di tutela ambientale.

personalità fuori dall’ordinario. Pier Giorgio Massaretti ci guida per mano alla riscoperta

All’ultimo minuto è pervenuto, graditissimo, un saluto e

dell’architettura di epoca fascista di Tresigallo, splendido

augurio del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio

esempio di programmazione urbanistica in cui dimensione

Napolitano che riportiamo a pagina 70 della rivista. [Al

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Parigi capitale delle arti / Paris, capital of the arts

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dell’Ebraismo Italiano e della Shoah / National Museum of Italian Jewry and the Holocaust

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❧ A vv e n t u r a n e l l e “ V a l l i ” / A d v e n t u r e ” ❧ Ieri e oggi nel Parco del Delta del Po / Yesterday and today in the Po Delta Park

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Verità e memoria nell’ultimo lavoro di Aron Leoni / Truth and

Memory in the last work of Aron Leoni

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La Fondazione pubblica un’antologia dei suoi scritti per «L’Osservatore Romano»

/ The Foundation publishes an anthology of his writings for «L’Osservatore Romano»

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Mas saret ti ❧ L’arc hitettur a T res igall o / A rchitec ture and to i g a l l o ❧ Lo stupore di una ri-scoperta / The wonder of discovery

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architetto, un grande studioso, un grande ferrarese / A great architect, a great scholar, a great “Ferrarese”

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❧ La chiesa del

Beato Giovanni Tavelli a Villa Fulvia / The church of the Blessed Giovanni Tavelli in Villa Fulvia

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❧ Vitale sì, Vitale no / Vitale ❧ La presenza del pittore bolognese nella chiesa di Santo Stefano a Ferrara / The presence of

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the Bolognese painter in the Santo Stefano church in Ferrara

Marco Borella ❧ Le Este residences in Fe

Estensi nel Ferrarese / The ❧ Un sistema monumentale di rilevanza mondiale / A monumental

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system of international importance

Gio van Berenice

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Una protagonista silenziosa della vita culturale ferrarese / A silent protagonist of the cultural life

of Ferrara

L u i g i D a v i d e M a n t o v a n i ❧ Mazzini e Ferrara / Mazzini F e rr a r a ❧ Uno speciale legame a distanza / A distant but special bond

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l a C a s s a d i R i s p a r m i o d i F e r r a r a ❧ a c u r a ❧ Un percorso nel verde / I tanti aspetti dei progetti “verdi” sostenuti dalla Fondazione Carife ❧ a cura dell’Ufficio Relazioni Esterne e Stampa ❧ Questi mesi vissuti intensamente / Le assemblee del 30 aprile e 6 maggio 2011, il piano industriale e l’aumento di capitale ❧ a cura dell’Ufficio Relazioni Esterne e Stampa ❧ Carife: una banca a misura di famiglia / Tante iniziative a sostegno del territorio o n d a z i o n e

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1. Claude Monet, Il ponte giapponese a Giverny, 1918-24, olio su tela, cm 89 x 100 Parigi, MusĂŠe Marmottan Monet Claude Monet, The Japanese Bridge at Giverny, 1918-24, oil on canvas, 89 x 100 cm Paris, MusĂŠe Marmottan Monet

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Anni folli Parigi capitale delle arti [M

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«La modernità – questo gran mistero abita ovunque a Parigi: la si ritrova ad ogni angolo di strada, accoppiata a ciò che era un tempo, prega di ciò che sarà. Come Atene ai tempi di Pericle, oggi Parigi è la città dell’arte e dell’intelletto per eccellenza. È qui che ogni uomo degno del nome di artista deve esigere il riconoscimento dei propri meriti». Giorgio de Chirico, Vale lutetia, «Rivista di Firenze», n. 8, febbraio 1925 The Roaring Twenties ❧Paris, capital of the arts ❧By M a r i a L u i s a P a c e l l i ❧ During the 1920’s Paris became both the stage and the symbol of the desire for renewal, exemplifying the feeling of liberation that was widespread at the end of World War I. Already an international capital of art and culture, the City of Light was a fashionable and cosmopolitan city. A mythical place for artists who flocked there from all over the world, attracted by its liberal customs, the intellectual ferment, theatres, cafes and art galleries, to give free expression to their creativity, meeting together in a climate of innovation and experimentation. The sense of relief and joy that the war had ended undoubtedly contributed to the irrepressible vitality of the French capital, described by Hemingway as a «moveable feast». But although France was on the winning side, the war had left material and psychological wounds, so the excitement that characterized the “Roaring Twenties” also reflected the need to forget the suffering and destruction caused by the conflict. The complexity of these moods was manifested in the arts by a restless modernity, expressed by a variety of personalities and a kaleidoscope of styles, distinguished on occasions by the will to break with the past and to start from scratch, but also by the need to establish a new type of order, rebuilt on the reassuring foundations of tradition. The exhibition Gli anni folli. La Parigi di Modigliani, Picasso e Dalí “The Roaring Twenties. The Paris of Modigliani, Picasso and Dalí” proposes the polyphony and wealth of creative expressions of this period. The exhibition begins with two masterpieces by Monet and Renoir, the impressionist masters who were still at work in the post-war period, continuing with the works of Modigliani, Chagall, Lipchitz, Van Dongen, Foujita, Soutine and many others. These artists did not share the same group poetry, leader or manifesto, but were united by a style that showed their uniqueness in the search for highly personal forms of expression, consistent with the dream of freedom that led them to move to Paris.

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urante gli anni Venti del secolo scorso Parigi è il palcoscenico e, al tempo stesso, il simbolo del desiderio di rinascita e del sentimento di liberazione che si diffonde al termine della prima guerra mondiale. Capitale mondiale dell’arte e della cultura, in quel periodo la ville lumière è una città mondana e cosmopolita, un luogo mitico per gli artisti che, attratti dai suoi costumi liberali, dal fermento intellettuale, dai teatri, dai caffè, dalle gallerie, vi accorrono da ogni parte del mondo per dare libera espressione alla propria creatività, confrontandosi in un clima di rinnovamento e sperimentazione. Il senso di sollievo e la gioia dovuti alla fine del conflitto contribuiscono

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2. Amedeo Modigliani, Nudo, 1917, olio su tela, cm 73 x 116,7 New York, Solomon R. Guggenheim Museum, Solomon R. Guggenheim Founding Collection Amedeo Modigliani, Nude, 1917, oil on canvas, 73 x 116.7 cm New York, the Solomon R. Guggenheim Museum, Solomon R. Guggenheim Foundation Collection

senza dubbio alla prorompente vitalità della capitale francese, che Hemingway descrive efficacemente nei diari del periodo come una «festa mobile». Ma, benché la Francia ne sia uscita vincitrice, la guerra ha lasciato ferite materiali e psicologiche non meno pesanti che in altre parti d’Europa, cosicché l’ebbrezza che caratterizza gli “anni folli” rispecchia, ad un tempo, il bisogno di dimenticare la sofferenza e la distruzione causate dalla guerra. In ambito artistico, la complessità di tali umori si manifesta in una modernità inquieta, espressa da una molteplicità di personalità e da un caleidoscopio di stili, contraddistinti ora dalla volontà di rompere con il passato per ripartire da zero, ora dalla necessità di stabilire un nuovo tipo di ordine, ricostruito sulle rassicuranti fondamenta della tradizione. La mostra Gli anni folli. La Parigi di Modigliani, Picasso e Dalí ripropone la polifonia e la ricchezza delle espres-

sioni creative di questa stagione, che ebbe tra i suoi protagonisti alcuni tra i principali maestri dell’arte del Novecento. Il termine cronologico della rassegna è segnato dall’ascesa del Nazismo in Germania, fatto che modificò radicalmente il clima culturale europeo, aprendo la strada ad altri e ben più drammatici scenari. La mostra prende le mosse con due capolavori di Monet e Renoir, i maestri impressionisti che nel primo dopoguerra sono ancora all’opera e fanno scuola, l’uno portando al limite dell’astrazione la rappresentazione della natura (figura 1), l’altro indicando la strada con le sue bagnanti dalle forme morbide e monumentali per una rilettura in chiave moderna della statuaria classica e della pittura rinascimentale. L’immagine della «festa mobile» ben si presta a fotografare l’ambiente bohémien di Montparnasse, dove la vasta compagine degli stranieri ha stabilito il proprio

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Alongside this group we find Picasso, whose genius was unfolding on multiple fronts, together with Derain and De Chirico, observing the art of the past to lay the foundations of a modern classicism. We also find the works of Matisse with his concubines, nudes and interiors full of light, painted in the south of France but frequently exhibited in Paris. A veritable feast for the eyes. Other experiences that were essential for the development and artistic renewal of the period were the Russian Ballet productions by Diaghilev and those of the Swedish Ballet by Rolf de Maré, with original costumes designed by Matisse, De Chirico and Larionov. Following this we can see the scale model for the ballet La Création du monde, with sets and costumes by Léger. At this time Paris was also the centre of European avantgarde photography and a part of the exhibition shows us the atmosphere of those years, confronting the works of pioneer photographers such as Man Ray, André Kertész, Eugène Atget, Ilse Bing and Germaine Krull. Studies in abstract research are principally represented by Mondrian, whose studio was one of the Parisian crossroads where the avant-garde future of the twentieth century was created. Dadaism, and the subsequent birth of the surrealist movement, characterize entirely different experiences of the period, underlining the need to break with past, urging a return to the typical revolutionary spirit of the pre-war avant-garde groups. The Dada group in Paris, which included Max Ernst, Picabia, Duchamp, Jean Arp and Man Ray, with his corrosive and discrediting irony, represented both the culmination and the negation of all the myths of the progressive avant-garde. Surrealism grew from these ruins and, under the auspices of Marx and Freud, engaged in the ambitious task of giving a new sense of meaning to the world, leading to mankind’s spiritual, as well as material, freedom.

3. Pablo Picasso, Maternità, 1921, olio su tela, cm 65,5 x 46,5 Collezione privata - © Succession Picasso, by siae 2011 Pablo Picasso, Maternity, 1921, oil on canvas, 65.5 x 46.5 cm Private Collection - © Succession Picasso, by siae 2011

da protagonisti, primo fra tutti Picasso il cui genio si dispiega su molteplici fronti. Pur senza abbandonare, nella discrezione del suo studio, l’ardita sperimentazione di tecniche e materiali che aveva contraddistinto il suo lavoro negli anni precedenti, egli è tra i primi, con Derain e De Chirico, a guardare all’arte del passato per gettare le basi di un moderno classicismo (figura 3), mentre la radicalità del linguaggio cubista nei suoi dipinti, così come nei coevi capolavori di Braque e nelle opere di Gris, evolve in un canone sofisticato ed elegante, di certo più appetibile per il rifiorito mercato dell’arte. Anche Matisse, del resto, ha abbandonato le tensioni della sua ricerca prebellica e le odalische, i nudi e gli interni pieni di luce, che dipinge nel sud della Francia e che regolar-

quartier generale. Sotto il largo ombrello della cosiddetta “Scuola di Parigi”, questi pittori e scultori, tra i quali figurano Modigliani (figura 2), Chagall, Lipchitz, Van Dongen, Foujita, Soutine e molti altri, non condividono una poetica, un leader o un manifesto, ma sono accomunati da uno stile che, privilegiando il genere del nudo e del ritratto, è in linea con la tradizione figurativa e manifesta la propria unicità nella ricerca di forme espressive fortemente personali, coerenti al sogno di libertà che li aveva spinti a trasferirsi a Parigi. Accanto a loro, gli artisti che avevano animato la stagione delle avanguardie storiche sono ancora sulla scena

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4. Fernand Léger, bozzetto per La Création du monde, 1923, legno, pittura, carta e cartone, cm 46 x 61 x 45 Stoccolma, Dansmuseet, Musée Rolf de Maré - © by siae 2011Jean Fernand Léger, sketch for ‘La Creation du monde’, 1923, wood, paint, paper and cardboard, 46 x 61 cm x 45 Stockholm, Dansmuseet, Musee Rolf de Maré - © 2011 by siae

mente espone a Parigi, sono una vera e propria festa per gli occhi. Di un’analoga, appagata sensualità si ammanta anche l’iridescente pittura dell’amico Bonnard. Esperienze fondamentali per lo sviluppo e il rinnovamento artistico del periodo sono state le produzioni dei Balletti Russi di Diaghilev e dei Balletti Svedesi di Rolf de Maré, per le quali vennero chiamati a raccolta alcuni dei maggiori artisti, coreografi, scrittori, e musicisti contemporanei, che concorsero alla creazione di vere e proprie opere d’arte totali. In mostra saranno evocate da costumi originali disegnati da Matisse, De Chirico e Larionov per alcune importanti produzioni. Accanto ad essi la maquette con le scene e i costumi di Léger per il balletto La Création du monde (figura 4), che l’artista immaginò come un caleidoscopio di forme geometriche in movimento, sulle note di Darius Milhaud ispirate alla musica jazz. La Parigi dell’età del jazz è stata anche il centro europeo della fotografia d’avanguardia, che trovava infinite fonti di ispirazione nella sua fisionomia moderna. Una sezione della mostra ne restituisce l’atmosfera

5. Robert Delaunay, La Tour Eiffel, 1924-26, olio su tela, cm 160,6 x 120 Washington, Hirshhorn Museum. Dono della Joseph H. Hirshhorn Foundation, 1972 - © by siae 2011 Robert Delaunay, La Tour Eiffel, 1924-26, oil on canvas, 160.6 x 120 cm Washington, Hirshhorn Museum. Gift of Joseph H. Hirshhorn Foundation, 1972 - 2011 © by siae

e il volto, mettendo a confronto gli scatti di pionieri della fotografia come Man Ray, André Kertész, Eugène Atget, Ilse Bing e Germaine Krull con una delle celeberrime Tour Eiffel (figura 5) di Delaunay, un dipinto dalla composizione dinamica nel taglio “a volo d’uccello” e nei contrasti cromatici, che restituisce la vertigine di quella struttura in acciaio visibile da ogni angolo della città. La ricerca in ambito astratto, poco congeniale alla tradizione francese ma assai diffusa nel resto d’Europa, è rappresentata in primo luogo dall’arte di Mondrian, il cui studio è uno dei crocevia parigini in cui si scrive il futuro dell’avanguardia del Novecento. Di ritorno a Parigi nel 1919, l’artista olandese vi trova gli stimoli,

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6. Salvador Dalí, L’eco del vuoto, c. 1935, olio su tela, cm 73 x 92 Milano, Collezione privata - © Gala-Salvador Dalí Foundation, by siae 2011 Salvador Dalí, The echo of the vacuum, c. 1935, oil on canvas, 73 x 92 cm Milan, private collection - © Gala-Salvador Dalí Foundation, by siae 2011

a partire dal cubismo, per sviluppare appieno la sua estetica neoplastica, improntata a un principio di ordine universale, a suo modo conforme allo spirito classicista del contesto parigino di quegli anni. Tra le esperienze di segno completamente diverso s’inscrivono invece il dadaismo e la successiva nascita del movimento surrealista che ripropongono di nuovo sulla scena parigina l’esigenza di rottura e lo spirito rivoluzionario tipico dell’avanguardia prebellica. Trasmigrato dall’esperienza zurighese, il gruppo dada, che a Parigi ebbe tra i suoi protagonisti Max Ernst, Picabia, Duchamp, Jean Arp e Man Ray, con la sua ironia corrosiva e demistificatrice, rappresentò ad un tempo il culmine e la negazione di tutti i miti progressisti delle avanguardie. Da quelle macerie il surrealismo, impiegando ogni mezzo dell’espressione artistica, e sotto l’egida di Marx e Freud, si impegnò

nell’ambiziosa impresa di restituire un senso nuovo al mondo, che portasse alla libertà tanto spirituale quanto materiale dell’uomo. È in questa direzione che si dispiegano gli universi onirici delle tele di Magritte e Miró e che muovono le sperimentazioni con le pratiche di scrittura e pittura automatiche, fondate sulla liberazione dell’inconscio, utilizzate tanto da Breton, Eluard e altri letterati, quanto dai pittori Masson ed Ernst. Ma, presto, come era accaduto alle avanguardie degli anni Dieci, il sogno di dare al mondo una possibilità di essere diverso e migliore da quello che era stato si sarebbe dissolto in un nuovo e ben più fosco scenario di guerra, prefigurato, fin dalle soglie degli anni Trenta, nell’opera di molti dei principali artisti del movimento, a partire dai capolavori del cinema d’avanguardia di Buñuel, fino agli inquietanti panorami dipinti da Tanguy e Dalí (figura 6). ❧

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Una visione virtuale dello spazio espositivo del meis A virtual view of the exhibition space of the meis

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Il MEIS Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah [

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n gradissimo pannello verso via Rampari di San Paolo e un altrettanto visibile pannello con recinto di cantiere sul lato di via Piangipane, segnalano da quasi un anno un luogo che diventerà speciale all’interno della città di Ferrara: il meis, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, alla cui realizzazione stanno lavorando operativamente dal 2009 il Ministero per i beni e le attività culturali, e per esso la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, la Soprintendenza per i beni architettonici, il Comune di Ferrara, la Fondazione meis. Istituito con la legge 296 del 2006 T h e MEIS ❧ N a t i o n a l M u s e u m o f I t a l i a n J e w r y a n d t h e con lo scopo di testimoniare la coH o l o c a u s t ❧ B y C a r l a D i F r a n c e s c o ❧ Since 2009, the Ministry for Heritage and Cultural Activities, the Superintendence for Architectural Heritage, stante e diffusa presenza della comuthe City of Ferrara and MEIS Foundation have been working towards the realization nità ebraica sul territorio italiano, al of the meis, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (the National meis è affidato il compito di far conoMuseum of Italian Jewry and the Holocaust). Established by Act of Parliament No. 296 in 2006, in order to bear witness to the scere e divulgare la storia, il pensiero constant and widespread presence of the Jewish community on Italian territory, the e la cultura dell’ebraismo italiano e MEIS is undertaking the task of introducing and disseminating the history, thought di diffondere con la sua attività l’inand culture of Italian Jewry and to encourage the meeting between cultures and religions, peace and brotherhood among peoples. contro tra culture e religioni diverse, The MEIS is not only designed as a museum-laboratory, to promote cultural devella pace e la fratellanza tra i popoli. opment, studies and investigations, to host meetings and conferences, but also as Il meis è pensato come un museoa structure capable of easily and efficiently communicating the themes of history and the culture of Italian Judaism to different audiences and visitors, from children laboratorio, centro di promozione to scholars, from students to the merely curious and passionate, thereby creating a ed elaborazione culturale, di studi ed museum with a strong educational mission. It will include rooms for conferences and approfondimenti, luogo di incontri seminars, educational workshops, video projections, a specialized library, and also a bookshop, restaurant, cafeteria, outdoor areas for rest and refreshment. A fascinating e convegni, ma nello stesso tempo place in which the public will come to learn, but also to visit a pleasant and welcomcome struttura capace di comunicaing urban location. re con semplicità ed efficacia i temi Located on the site of the former District Prison, it will help Ferrara with the difficult task of reconciling the city with what was - for the years between 1912 to 1992 - a della storia e della cultura dell’ebraiplace of exclusion and closure. smo italiano a diverse categorie di

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pubblico e frequentatori, dai bambini agli studiosi, dagli studenti ai più semplici curiosi e appassionati; sarà quindi un museo a forte vocazione didattico-educativa, nel quale i visitatori potranno trovare oltre che esposizione museale permanente e sale per mostre temporanee, gli spazi per convegni e seminari, per laboratori didattici, per proiezioni, una biblioteca specializzata; e inoltre libreria, ristorante, caffetteria, aree esterne di sosta e ristoro. Un luogo accattivante nel quale il pubblico si recherà per apprendere e imparare, ma anche, più semplicemente, per frequentare uno spazio cittadino piacevole e accogliente. A seguito di concorso internazionale di progettazione, concluso nel gennaio di quest’anno, è stato individuato nel raggruppamento formato dallo studio Arco di Bologna, dallo studio -Scape di Roma e dagli architetti statunitensi Michael Gruber e Kulapat Yantrasast il gruppo progettista del futuro meis, che, collocato nel sito delle ex carceri circondariali, si assumerà nei confronti di Ferrara anche il difficile compito di riconnettere alla città e alla sua vita quello che è stato per molti decenni – dal 1912 al 1992 – il luogo della esclusione e della chiusura. Il progetto vincitore ha del resto convinto la giuria del concorso anche per aver interpretato al meglio questo

La palazzina di via Piangipane, primo nucleo del meis operativo dal prossimo autunno The building in Via Piangipane first core of the MEIS, operational from next autumn

tema: il percorso dell’area a piano terra, che si presenta sotto forma di un piccolo parco integrato agli edifici, è totalmente libero e fa del complesso uno spazio cittadino a tutti gli effetti, da utilizzare anche senza accedere all’interno delle sale espositive o dei servizi strettamente legati alla funzione museale. Se, ci si augura, i cittadini ferraresi faranno largo uso di questo potenziale legame che dal meis viene offerto, con l’invito ad entrare anche da via Piangipane, l’ingresso principale del Museo, dotato di ampia area di accoglienza e orientamento dei visitatori, è invece rivolto all’esterno della città, e collocato lungo via Rampari di San Paolo, in accordo con le previsioni urbanistiche secondo le quali nei programmi di recupero del quadrante sud-est della città sono comprese ampie aree idonee a parcheggio e riqualificazione della viabilità. Dal punto di vista architettonico il progetto fa convivere nella nuova funzione museale due corpi di fabbrica della struttura ex carceraria (la palazzina d’ingresso su via Piangipane e il grande edificio delle ex carceri maschili), alternandoli ad edifici di nuova realizzazione. Questi ultimi, simbolicamente ispirati ai cinque libri della Torah nella volumetria esterna, compongono uno il corpo di fabbrica d’ingresso/accoglienza, l’altro il cuore del museo, nel quale sono collocati auditorium e sale di esposizione, organizzate in uno spazio libero e di grande flessibilità. Trasparenza di vetri traslucidi sui quali sono scritte frasi scelte della Torah caratterizzano le paginelibro dei prospetti, che nel gioco di superfici si alternano

From an architectural point of view, the new museum will combine two buildings of the former prison structure, with new constructions providing an external view inspired by the symbolic five books of the Torah. Translucent glass with selected phrases from the Torah, characterize the page-book prospect, alternating with the red brick surfaces of the existing buildings. This approach seems to embrace the message of welcome and dialogue that is unequivocally the MEIS project’s intention. And now? When will the Museum open? This recurring question must be answered taking into account two essential factors: funding - now only partially available, and the time required for the construction of public works. Meanwhile, by the end of 2011, the redevelopment of the building in via Piangipane will have concluded, so that the museum may soon start developing projects and informing the public of its first activities, responding to its vocation as a cultural centre for the city, but especially to implement the important national mission that the Foundation has set itself.

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Elaborazione virtuale del parco e dell’ingresso principale Virtual elaboration of the park and main entrance

ne calcolato in dieci mesi, ai quali bisogna aggiungere i tempi per l’emanazione e l’aggiudicazione della gara d’appalto, valutabile in altri sei mesi, e, come ovvio, quelli per la costruzione. Nel frattempo, tuttavia, entro la fine di quest’anno 2011, saranno conclusi i lavori di riqualificazione della palazzina di via Piangipane nel suo assetto preliminare, che la vede ospitare anche una sala per piccoli convegni e seminari e, al piano superiore, uno spazio espositivo. Un lavoro che, su progetto interno della Soprintendenza per i beni architettonici e del Comune di Ferrara, si è deciso di anticipare proprio perché il Museo possa al più presto iniziare a sviluppare progetti e rendere pubbliche le prime attività, rispondendo alla sua vocazione di centro culturale proiettato verso la città, ma soprattutto in grado di soddisfare l’alta missione nazionale che la Fondazione si è data. ❧

a quelle rosse, in cotto, degli edifici preesistenti. L’insieme è armonioso e sensibile anche al contesto urbano, fatto di edilizia piuttosto minuta: volumetrie frazionate, altezze degradanti e mai al di sopra di quelle degli edifici verso i quali si affacciano. Anche in questo approccio sembra di cogliere quel messaggio di accoglienza e dialogo che è il manifesto programmatico del meis. E ora? Quando avremo il Museo? A questa ricorrente domanda bisogna rispondere tenendo conto di due fattori imprescindibili: il finanziamento, ad oggi disponibile solo in parte, e i tempi necessari alle azioni che la legge prevede per la realizzazione di opere pubbliche: perché l’idea del concorso possa diventare vero progetto, con le caratteristiche utili per appaltare, deve superare i livelli di progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, fasi che richiedono un tempo di elaborazio-

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Avventura nelle “Valli” Ieri e oggi nel Parco del Delta del Po [

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n un primo tempo ci aveva entusiasmato e divertito. Poi cominciammo ad ammutolirci, ad aver paura. Eravamo due compagni di scuola, otto anni compiuti da poco. E quel giorno alla Mesola s’era in gita con mia madre. Lei amava le infinite varianti del paesaggio ferrarese, quello storico, umanizzato delle città e quello naturale, fosse coltivato o ancora selvaggio. Come alla Mesola, appunto. Alcuni giorni dopo la fine dell’anno scolastico, ai primi di giugno aveva detto: «Mi offrono un’auto per portarmi a dipingere in Valle. Vieni anche tu, e se vuoi porta un amico. Là vi sentiAdventure in the “marshes” ❧ Yesterday and today in rete esploratori di un mondo selvagt h e P o D e l t a P a r k ❧ B y F o l c o Q u i l i c i ❧ At the beginning we were clearly thrilled and amused, but this gradually changed to silence and then, gio, come quello del vostro amico towards the end of the adventure, we began to be afraid. Salgari». We were classmates, just turned eight years old, and on that day we were on a trip Non immaginava che quella battuta to Mesola with my mother. A few days after the end of the school year in early June, she said: «I have a car to sarebbe stata confermata da quanto take me to paint in the Delta. Come along and bring a friend, if you want. There avremmo vissuto. Ovvero “l’effetto you can play at being explorers in a wild world – just like the ones in the stories giungla”, per citare quella parola, by your friend Salgari». Who could have imagined that what she intended as a friendly joke would beappunto!, salgariana, riferendola al come frightening reality, that the Salgarian ‘jungle effect’ referred to the dense bosco fitto di canne ed apparenteforest of reeds where we boys ended up by getting lost. mente sterminato dove noi ragazzi The plants stretched out uniformly and unendingly. Well over three meters high, shooting up from the sandy soil with gnarled trunks as big as those of a young finimmo con il perderci. tree. The thick, sharp leaves rustling, blocking the view of the sky, sun and clouds, A dirla così, è difficile immaginare forming a canopy that impeded our sense of direction and made the atmosphere stifling. We had entered enemy territory and found ourselves in big trouble. un bosco di canne capace di mettere We realised that we didn’t know whether to go to the right or to the left, forwards paura. In realtà quella vegetazione si or backwards. No one answered our calls, repeated loudly and with increasing distendeva, eguale, sino a chissà quaanxiety. Should we go this way or that? The adventure was finally brought to a close when we heard the repetitive sounding of the horn of the car that had le distanza. Assai più alte di tre mebrought us to the Po Delta marshes. tri, svettavano su terreno sabbioso, I forgot all about it, of course, until one day many years later. con tronchi nodosi grossi come quel-

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One spring, in the early seventies, I was working on a lengthy film project, one of the sixteen films in the series ‘L’Italia dal cielo’. I flew over the marshes and the Po Delta Park in the light of a beautifully clear June, first at a high altitude, then almost brushing the water, strips of land, and dense green spots of vegetation. We passed over small towns, houses that had been abandoned and others where people came out to greet us. I returned several times to the marshes. At the start of the nineteen eighties, together with my son Brando who was starting his career as a film director, we made the film ‘Le Ali del Delta’, documenting the early development of the nature reserve created by the Ferrara Provincial administration. I spoke with the poet Augusto Frassinetti of this natural wealth, and he wrote: «The rivers were revered by our ancestors as gods, as sovereigns of the territories they passed through. Although the myth was dispelled and the sacrifices and rites were discarded, the royal charm persisted, the brilliance of their incorruptible crowns: those oases of green, sometimes soft sometimes obscure, in waters of many different colours, as commanded by the reflections of the sky». It was only later that I realized that my mother and I had loved and portrayed the landscapes of the world that reflected the same unique beauty: open horizons in series of horizontal lines, strips of land suspended between water and sky, patches of deep blue and changing green.

li di un alberello. Le loro fitte foglie taglienti e fruscianti, impedivano la vista del cielo, del sole, delle nubi. Formavano un soffitto vegetale uniforme, che impediva l’orientamento. E rendeva quell’atmosfera soffocante. A terra non si notavano tracce di sentieri. E noi, presi inizialmente dallo “spirito d’avventura”, inoltrandoci in quel territorio con bambinesca incoscienza c’eravamo messi nei guai. Ce ne rendemmo conto quando cominciammo a sentire un crescente desiderio di tornare sui nostri passi, e ci accorgemmo di non sapere se dirigerci a destra o a sinistra. Se andare avanti o tornare indietro. Al divertimento, allo scherzo si sostituiva, come ho detto, una dose crescente di paura. Anche perché non s’udiva risposta ai nostri richiami, ripetuti a gran voce sperando di ricevere una risposta. Dovevamo andare di qua o di là?

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Sulle Valli e il Parco del Delta avevo volato nella luce di un giugno splendidamente limpido; prima ad alta quota, poi sfiorando acque, lembi di terra, e fitte macchie verdi. Oltre alle acque e alle distese verdi sorvolammo piccoli centri abitati, casoni abbandonati ed altri dai quali sbucò qualcuno a salutarci. Immagini di vita disseminate nella vastità di quel paesaggio, dove la realtà si raddoppiava nel cielo riflesso nelle superfici a specchio. E l’uomo, pareva un nulla nel paragone. Il poeta-scrittore Alberto Bevilacqua, parlando della mia e della sua esperienza nel mondo delle Valli, ricordò uno dei tanti suoi incontri in quell’ambiente singolare. E mi disse di uomini che: «… interpretavano i segni della natura. E nei sentieri tra acque e boschi se ne andavano nelle notti con stoppie ardenti. Ne vidi alcuni aggirarsi con quelle fiamme che tenevano sospese sulle mani.

Non so quanto sia durato quello smarrimento, nel ricordarlo tendo forse a dilatare i tempi; ma di certo quel momento si protrasse a lungo, e si risolse solo quando infine udimmo suonare ripetutamente il clacson dell’auto che ci aveva portato alle Valli. Di lì a poco, con la pittrice che aveva concluso il suo lavoro, si tornava a Ferrara, senza dir parole del nostro azzardo in quella selva subdola ingannatrice. Dimenticai tutto, ovviamente sino a un giorno di molti anni dopo. In una primavera, agli inizi degli anni Settanta, mi stavo impegnando per un lungo lavoro cinematografico, uno dei sedici film della serie “L’Italia dal cielo”, che tanto mi interessò realizzare e dalla quale ho avuto molte soddisfazioni (non solo allora, ma anche adesso: la serie viene replicata con successo in un programma Rai, quarant’anni dopo la sua produzione).

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Dentro gli aloni, che si spostavano seguendo un calcolo magico, le loro teste sembravano di angeli dalle ali viola». Sono tornato più volte nelle Valli. Insieme a mio figlio Brando che, nei primi anni Ottanta iniziava il suo mestiere di regista, realizzammo il film Le Ali del Delta, documentando i primi passi del Parco naturalistico creato dall’Amministrazione ferrarese. (Mi piacerebbe tornare oggi a filmare dopo quarant’anni negli stessi ambienti protetti; e mettere così in risalto quanto si è fatto per preservare, migliorare e far conoscere luoghi di tanto incanto e bellezza). Parlai di quella ricchezza con un poeta, Augusto Frassinetti, e lui per commentare le visioni del Po e del Delta che avevo filmato, scrisse: «I fiumi furono venerati dagli antichi come dei, come sovrani dei territori che attraversavano. Caduto il mito, dimessi sacrifici e riti propiziatori, non è venuto meno il loro fascino regale, il fulgore

incorruttibile dei loro diademi: quelle oasi di verde a volte tenero a volte oscuro, tra acque dai toni più diversi, come comandano i riflessi del cielo». Nel concludere, vorrei di nuovo citare mia madre. E non certo per stucchevole “mammismo” ma per quel suo amore per le Valli che in parte mi ha trasmesso. Il suo rapporto con quel mondo nasceva dal fatto che Lorenzo, suo padre, mantovano esperto nelle colture di riso, fu inviato agli inizi del Novecento nelle Valli ferraresi per studiare se vi si potesse creare una coltura di riso su vasta scala. Per quattro anni, la famiglia Buzzacchi risiedette a Ca’ del Bosco, ai margini della Mesola. In quel mondo Mimì, la sua figlia maggiorenne, crebbe “nel cuore di una natura meravigliosa” come lei ripeteva spesso. Più che naturale, quindi, che la sua passione continuasse nel tempo. Le Valli erano rimaste nel suo ricordo come un Eden favoloso.

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Quando nel ’55 tornai dagli atolli Tuamutu, in Oceania, oltre al film riportavo foto che non tardai, al ritorno, a mostrarle. Appena le vide, lei restò un attimo sovrappensiero poi aprì la porta del suo Studio, e mi mostrò le tavole dei suoi ultimi lavori: quadri dipinti tra le Valli e il Delta. Ci abbracciammo, avevamo amato e ritratto due paesaggi del mondo che nella loro unicità specchiavano identica bellezza: orizzonti aperti in successione di linee orizzontali, lembi di terra sospesi tra acque e cielo, macchie d’azzurro profondo e di verdi cangianti. Del paesaggio che avevo documentato nell’altra parte del mondo, lei ne aveva colto eguale fascino in visioni vicine, famigliari. Eravamo rimasti egualmente affascinati da due mondi magici composti in una natura modellata da forme e colori unici. ❧

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Pianta di Ferrara disegnata da Andrea Bolzoni, 1705 Map of Ferrara drawn by Andrea Bolzoni, 1705

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Una lettura e un commento Verità e memoria nell’ultimo lavoro di Aron Leoni [

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ron Leoni (1932-2010), figlio di Leone Leoni, rabbino capo di Ferrara e di Venezia, e di Gemma Ravenna Leoni, ha derivato dai genitori la passione per la cultura ebraica. Dottore in Agraria, è stato dirigente della “Vita Mayer Corporation” e rappresentante delle industrie cartarie italiane presso il Parlamento Europeo di Bruxelles. Ritiratosi dall’attività, si è totalmente dedicato allo studio della storia e della cultura della diaspora sefardita, con particolare attenzione ai rapporti con l’amata Ferrara. Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato La Nazione ebraica spagnola e portoghese negli Stati Estensi (Rimini, Luisé Ed., 1992) e The Hebrew Portuguese Nations in Antwerp A read ing and com ment ❧ Truth and Memory in the last work and London at the time of Charles V o f A r o n L e o n i ❧ B y G i a n n i V e n t u r i ❧ Aron Leoni (1932-2010), son of Leone Leoni, chief rabbi of Ferrara and Venice, and Gemma Ravenna Leoni, inherited his and Henry VIII. New documents and passion for Jewish culture from his parents. He had a degree in agronomy and became interpretations (New Jersey, Ktav Pudirector of the “Vita Mayer Corporation”, also representing the Italian paper industry at the European Parliament in Brussels. On his retirement he totally dedicated himself to the blishing Company, 2004). study of the history and culture of the Sephardic diaspora, with particular attention to his È morto a Milano nel 2010 prima di vemuch-loved Ferrara. In addition to numerous articles, he also published La Nazione ebraica spagnola e portoghese negli Stati Estensi (Rimini, Luisé Ed., 1992) e The Hebrew Portuguese dere l’uscita del suo lavoro conclusivo. Nations in Antwerp and London at the time of Charles V and Henry VIII. New documents and In questa breve biografia è racchiusa interpretations (New Jersey, Ktav Publishing Company, 2004). His passion for history was not attained through academic studies, but was the result of la specificità dell’autore di questo libro a tendency to piety, or respect for the tradition and history of his ancestors and his own che onora la città per cui è stato scritSephardic origins, his inexhaustible desire to re-establish truth based on memory. This book is the opus magnum, the conclusion of a life plan and the restoration of an historical event to, il mondo della cultura, la dignità to the dignity of memory. del vivere. Nella commemorazione What does this book tell us and what is its purpose? In the same year that the American continent was discovered, for political and religious che la sorella Bruna Leoni Herzfeld ha reasons, the kingdoms of Spain decided to expel the Jews from their lands. tenuto al Palazzo dei Diamanti per la The ships departed from ports in Spain and then from Lusitania, carrying this unwelcome cargo of pain, reminding us of the present-day where other desperate people undertake presentazione del volume l’8 maggio journeys looking for a safe haven. The ships stopped at Genoa, where the ‘outcasts of the 2011, la figura di Aron Leoni è stata earth’ were prevented from landing. But a representative of the Este court in Ferrara, under Ercole d’Este I, was sent offering “tolerance” to the Jews. They were invited to Ferrara to ritagliata sugli affetti e sugli interessi, work - not with guarantees of servitude, but with some form of autonomy to protect them singolarmente affascinante ed eticaagainst the ruthless rules of the Church, and to exercise those professions in which Jews had somehow become specialists: weaving fabrics, manufacturing precious gems and metals, mente complessa. La cultura storica changing currency. A “nation” was born in Ferrara giving an identity to a community that che lo vede protagonista negli anni had the same need to belong as a people. della sua maturità non gli viene da stu-

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devolution of the city sanctioned by the Papal States in 1598. The epilogue details the experiment in Ferrara, which stood out against the widespread European desire to rule over the Jewish “nations” - the consequences of which are still tragically evident to the present day. Although Alfonso II reconfirmed all the safe-conducts and privileges, in 1570 the infamous yellow insignia was imposed and, in 1581, a group of Portuguese men accused of conversion to the Jewish faith were arrested under the orders of the Duke. The following year the privileges were restored until devolution. The Nations were no longer called Spanish and Portuguese, but Spanish and Levantine.

In 2002, during the Italian Presidency of the EU, Ferrara was chosen as a representative of a “unique” renaissance, highlighted in the exhibition in Ferrara Castle the following year. Here we saw the exceptionality of the political-cultural proposals made by the Este dynasty during the period of its greatest splendour. This “unique” Este plan allowed the Sephardic Jews (but also the Ashkenazi and Italian Jews) in Ferrara to find not the heimat (the homeland of the heart), but the ‘permission’, which, starting from “tolerance”, justifies the ways and opportunities for political structures to access the status of “nation”, or organized group, and to be welcomed in the city, defended by the Duke’s policy, protected as much as possible against the refusal to accept them that was demonstrated by the whole of the rest of Europe. As a result of these fundamental contributions the Renaissance singulière, shown in the 2002 exhibition, became a Renaissance that was different, if not unique, in a long period of political and ideological decisions. In his wonderful introduction to the two volumes of the book, Adriano Propseri warns that Aron Leoni’s aim was to provide evidence of something that was missing: the absence of Jews in public life. The desire to erase this role created a memory gap that the book, and the documents it so passionately researched, wants to fill, thus limiting the damage of the loss. Prosperi insists on this concept, i.e. that the curtailment suffered by Jews in public life has been weighing on our collective conscience by formulating a pressing question: would, over time, Italian history have been different if the Ferrara model had been adopted? History is not made with hypothesis but with facts, but it is also true that historical thinking can reason and find the opening in the net that surrounds us and prevents us from escaping from the consequences of the historical “facts”. The second volume is told as a story in the literary sense, based on a framework that could be read as follows: the painstaking recovery of evidence linked to the progressive roots in Ferrara of the Jewish “nations”, from the Sephardic to the Ashkenazi, from the “Italian” Jews to the “Marrani” and conversos, in continuous correlation with the strategy of Ercole I, Alfonso I and, above all, Ercole II d’Este. The volume also describes the events of the most important Jewish families who settled in Ferrara: the Abravanel family, the Mendes-Benveniste de Luna Naci family or Enriques Benveniste; the Italians and Germans who established themselves in Ferrara and flourished and prospered, also benefiting the dynasty that defended and saved them, at least until the death of Ercole II, from the encroachments of the Church. An important chapter is dedicated to Jewish publishing activities in Ferrara, including masterpieces such as the Biblia Espanola, or the first Castilian translation of Petrarch’s Canzoniere. Another of these fascinating tales is that of Beatrice de Luna alias Grazia Naci or Nasi, a complicated story of this banker who, through intelligence and ability, managed to accumulate one of the largest fortunes in Europe and to administer it, for a certain period of time, in Ferrara. Leoni adds careful observations to the story about the Este family and their policies, especially those of Ercole II who, when faced with the harshest attacks and pressures from the Church, not only protected the Jews, but allowed them to create «a centre of Jewish study open to believers of any faith». In 1556 the pope accused the Jews of unlawful activity and imposed a new tax. Ercole defended them, explaining to the pope how important these people, including the Marranos, were for the state’s economy. Ercole, together with the entire Este family, was a man of his time but the unheard of novelty for that period was his outspoken defence of the Jews. A policy that probably anticipated the tragic end of the Este power in Ferrara, with the

di accademici perseguiti come mestiere e scelta di lavoro ma è il frutto nato da quella tensione alla pietas, ovvero il rispetto per la tradizione e la storia dei propri padri, delle sue origini sefardite, della sua inesausta volontà di ristabilire una verità che si fonda sul concetto per Aron di Leone Leoni (1932-2010) lui fondamentale e per tanti di noi condiviso della memoria. Questo libro che rappresenta l’opus magnum, la conclusione di un progetto di vita e di restituzione di una vicenda alla dignità della memoria comincia con l’amore per la natura, per gli alberi, per la terra; quasi una nostalgia per la patria perduta che si concretizza nella donazione di cinquemila alberi in memoria dei genitori e che simbolicamente, nel suo mestiere di rappresentante delle industrie cartarie presso il Parlamento europeo, trasfonde la passione per le piante nella passione per la pagina, per il foglio in cui una verità va scritta e conservata. Senza retorica, che per un personaggio come questo sarebbe inopportuna e non aderente al vero, sembra che la consegna delle ultime carte, delle ultime pagine nate da quegli alberi all’editore Daniele Olschki racchiuda il senso della ricerca che anima La Nazione ebraica spagnola e portoghese di Ferrara. Cosa narra questo libro e quale è il suo intento? Nell’anno da tutti indicato come la nascita della modernità con la scoperta del continente americano, la Spagna o meglio i regni di Spagna decidono per ragioni politiche e religiose di cacciare dalle proprie terre gli ebrei. Non solo quelli legati alla propria fede, ma anche coloro che per

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Come appariva la Sinagoga Spagnola Levantina di via Vittoria in Ferrara. Ricostruzione di Francesco Corni, con la consulenza di Paolo Ravenna View of the Spanish Levantine Synagogue in via Vittoria, Ferrara. Reconstruction by Francesco Corni, with advice from Paolo Ravenna

proprio a Ferrara una “nazione”, intesa nel suo significato identitario di una comunità che ha le medesime forme di appartenenza a un popolo. È stato detto autorevolmente che la storia di Ferrara non si esaurisce nel e con il Rinascimento; anzi, momenti meno studiati, quali il Medio Evo e l’età legatizia, ci potrebbero dare una prospettiva di quella storia più equilibrata e meno ossessivamente unita all’età aurea estense a cui senza soluzione di continuità è stato legato il “nuovo” Rinascimento estense novecentesco: da Adolfo Venturi a Warburg, alla Metafisica tra De Chirico, Carrà, Morandi, Savinio, auspice il giovanissimo De Pisis. Nel mito del Rinascimento si aprì l’irripetibile mostra del 1933 della pittura ferrarese e l’affermazione delle ipotesi di Longhi che tuttora sembrano non aver subìto superamenti di rilievo. Tutto questo fervore rinascimentale se ha prodotto una messe imponente di studi e di sistemazioni critiche, ha penalizzato ricerche che solo ora si avviano alla prova di nuove soluzioni e proposte. Nel 2002, al tempo

forza o interesse avevano abiurato alla religione dei padri o anche chi nella linea genealogica poteva annoverare qualche discendenza ebraica. Partono dunque dai porti spagnoli e poi da quelli lusitani le navi che trasportano questo carico dolente che nessuno vuole e che ricorda nella sua terribile evidenza tanti viaggi di disperati ancor oggi in cerca di un porto sicuro. Le navi si fermano a Genova dove viene impedito di sbarcare ai reietti della terra. Ma, e se non fosse una storia documentata si potrebbe parlare di un racconto ad effetto, arriva il rappresentante della corte estense a Ferrara inviato da Ercole I d’Este che offre “tolleranza” – e ne vedremo il significato – agli ebrei. In pratica li invita a trasferirsi a Ferrara per lavorare con garanzie non di servitù, ma di una qualche forma di autonomia contro le spietate regole della Chiesa e per esercitare quei mestieri di cui gli Ebrei erano in qualche modo specialisti: dalla tessitura di stoffe preziose alla lavorazione dei gioielli e di metalli, al cambio di valuta. Nasce dunque da una situazione di intolleranza e di odio proveniente dalla Spagna

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della Presidenza europea italiana, Ferrara venne scelta a rappresentare un rinascimento che il titolo indicava “singolare” e che nella ripresa ferrarese della mostra in Castello dell’anno successivo metteva in luce la singolarità delle proposte politico-culturali della dinastia estense nel periodo del suo maggior splendore. Salvo un’assenza che il libro di Leoni e prima quello di Adriano Franceschini hanno riempito, sostituendo una memoria là dove si registrava un vuoto, come ben ha interpretato Gherardo Ortalli nella presentazione del libro di Leoni tenutasi a Palazzo dei Diamanti. Il libro di Adriano Franceschini, Presenza ebraica a Ferrara (Firenze, Olschki, 2007 - Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara) porta in sottotitolo Testimonianze archivistiche fino al 1492 mentre quello di Aron di Leone Leoni suona La Nazione ebraica spagnola e portoghese di Ferrara (14921559) saldandosi entrambi nel recupero di quella enorme assenza della memoria non solo degli Ebrei a Ferrara, ma anche di quella “singolare” politica degli Estensi che permise agli Ebrei sefarditi (ma anche a quelli askenaziti e italiani) di trovare a Ferrara se non l’heimat, la patria del cuore (Israele dunque e con essa tutta la vicenda di un popolo), la “permissione”, che – come rileva Ortalli – partendo dalla “tolleranza”, giustifica nei modi e nelle possibilità di quelle strutture politiche di accedere alla qualifica di “nazione”, ovvero gruppo organizzato e accolto nella città, difeso dalla politica ducale, protetto, per quanto possibile e secondo parametri che non possono essere i nostri, dal rifiuto di accoglienza dell’Europa intera: anche e oltre l’esempio di Venezia. Ecco dunque la Renaissance singulière testimoniata nella mostra del 2002 grazie a questi contributi, trasformarsi in un Rinascimento diverso se non unico con l’aggiunta di questo fondamentale tassello, foriero nel lungo periodo di decisioni politico-ideologiche che non si sono esaurite, come ben si nota nel lavoro di Leoni il quale procede raccontando gli Ebrei a Ferrara nel Cinquecento ma con il pensiero puntato alla condizione attuale degli Ebrei. Una condizione memoriale complessa e assai originale che ha fatto e farà discutere gli storici; una ricezione nel senso più ampio di come il termine memoria vada recepito nel sentire comune. Adriano Propseri nella bellissima introduzione ai due tomi del lavoro di Leoni e anche più problematicamente nel

discorso di presentazione a Palazzo dei Diamanti, avverte che il libro ha lo scopo di documentare un’assenza: quella degli Ebrei dalla vita civile. La perseguita volontà di cancellarne il ruolo ha creato quel vuoto di memoria che il libro e i documenti così appassionatamente indagati vogliono colmare e limitare così il danno della perdita. Prosperi insiste su questo concetto, cioè che la decurtazione subita dagli Ebrei nella vita civile – e non solo – ha pesato sulla nostra coscienza ponendo un interrogativo impellente che Leoni ha tentato di soddisfare. Poteva, nel tempo, la storia italiana andare diversamente se il modello ferrarese avesse vinto? È chiaro che la storia non si fa con le ipotesi ma con i fatti, ma è anche vero che il pensiero storico può ragionare sui “disguidi del possibile”, direbbe Montale, e trovare il varco alla rete che ci circonda, che ci ha fatto così e non ha permesso la fuga dalle conseguenze dei “fatti” storici. Il lavoro di Leoni, supportato dalla straordinaria raccolta di documenti quasi sempre inediti che compongono il secondo tomo, si svolge come un racconto nel senso letterario del termine e come lo poteva concepire Giorgio Bassani basato su una griglia che si potrebbe così schematizzare. Recupero a tappeto di testimonianze legate al progressivo radicarsi a Ferrara delle “nazioni” ebraiche. Da quella sefardita a quella askenazita; dagli Ebrei “italiani” ai “marrani”, ai conversos in continua correlazione con la politica estense di Ercole I, Alfonso I e soprattutto Ercole II. Le vicende delle più importanti famiglie ebree che si stabiliscono a Ferrara ma che hanno a che fare anche con il movimento europeo dei radicamenti ebraici, Anversa, Istanbul, e Ancona e Venezia e tante altre città. Sono i Pires, i Pinto, i Coronel, i Charavon , i Serrano e tanti altri; ma soprattutto la famiglia Abravanel a Ferrara, la famiglia Mendes-Benveniste de Luna Naci o gli Enriques Benveniste e quelle italiane e tedesche insediatesi a Ferrara e prospere sotto Ercole II che fondano sinagoghe, si aggregano in Nazioni, prosperano e fanno prosperare la dinastia che li difende e li salva, almeno fino alla morte di Ercole II, dalle invadenze della Chiesa che procede attraverso una politica a tenaglia intesa a strappare Ferrara agli Estensi e nello stesso tempo rimettere al proprio posto, cioè nei confini del Ghetto, gli Ebrei, indispensabili ma ridotti almeno fino all’unità italiana a sopportare l’iniqua catena di un servaggio senza via d’uscita per riprendersi quei diritti che l’immane cata-

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Il volume di Aron di Leone Leoni, La Nazione ebraica spagnola e portoghese di Ferrara (1492-1559), a cura di Laura Graziani Secchieri, è stato edito nel 2011 per i tipi di Olschki (Firenze) con il contributo di Fondazione Carife Aron di Leone Leoni’s book ‘The Spanish and Portuguese Jewish Nation of Ferrara’ (1492-1559), edited by Laura Graziani Secchieri, published in 2011 by Olschki (Florence) with the aid of the Carife Foundation

strofe della shoah ha di nuovo e in maniera così tragica negato. Un capitolo importante è dedicato all’editoria ferrarese ebraica, straordinaria impresa che annovera capolavori quali la Bíblía Española già studiata con un importante contributo di Piero Stefani alla settimana di Alti Studi 2010 dell’Istituto di Studi rinascimentali di Ferrara; o la prima traduzione in lingua castigliana del Canzoniere di Petrarca. Tra questi affascinanti racconti spicca quello di uno straordinario personaggio femminile: Beatrice de Luna alias Grazia Naci o Nasi, una figura degna della penna di Balzac o dello Stendhal delle Cronache italiane. Nella complicata vicenda di questa banchiera che riesce attraverso l’intelligenza e la capacità ad accumulare una delle più grandi fortune europee e ad amministrarle per un certo periodo proprio a Ferrara, occupando con l’appoggio del duca una posizione di rilievo alla corte tanto da poter affittare a Ferrara una delle più belle dimore della città, quel palazzo Magnanini-Roverella, ultima opera del grande architetto Biagio Rossetti autore della famosa “addizione erculea”, la città sognata e modellata sul concetto della città ideale assieme al suo committente Ercole I d’Este. Grazia Naci è l’esempio forse più brillante della fortuna ebraica. A questo racconto si possono aggiungere le attente osservazioni che Leoni dedica alle politiche estensi, specie quelle di Ercole II che negli studi canonici sembrava essere defilato rispetto alla presenza a Ferrara della moglie Renée de France, figlia del re di Francia, amica di Calvino e confinata nella corte parallela di via Savonarola, nel palazzo che porta il suo nome e allontanata dal Castello estense per evidenti motivi di contrasto con il marito che difende le posizioni del cattolicesimo e vede con sospetto le amicizie della moglie, di fatto seguace della religione riformata. Eppure è lo stesso Ercole II che di fronte ai durissimi attacchi e alle pressioni della Chiesa non solo difende gli Ebrei, ma come è citato nel documento 1266 (vol. I, p. 525), permette di costituire «un centro di studi ebraici aperto ai credenti di qualsiasi fede». E sono gli anni terribili degli editti di Paolo IV contro gli Ebrei e i Marrani. Nel 1556 con la bolla Cum nimis absurdum il papa accusa gli Ebrei di essere tornati alla religione dei padri senza che il duca lo sapesse e impone una nuova tassa. Ercole interpella gli Ebrei se erano disposti a pagare la tassa (cosa che verrà fatta) ma li difende spiegando al papa di cui era – come si sa – feuda-

tario, l’importanza di quel popolo, compresi i Marrani; per l’economia dello Stato. Che Ercole II fosse, come asserisce Leoni, un principegentiluomo non mi convince forse per la prima e l’ultima volta. Ercole come l’intera dinastia è un uomo del suo tempo le cui azioni vanno spiegate entro il concetto di sovranità dell’antico regime. Non fa eccezione alla durezza propria dei signori rinascimentali; ma la novità intrinseca è questa inaudita per quel tempo difesa degli Ebrei; della sua fermezza a contrastare il volere di Carlo V che impediva la migrazione verso Ferrara dei “Cristhaos novos”. Una politica che probabilmente anticipava la fine tragica del potere estense su Ferrara sancita con la devoluzione della città allo Stato della Chiesa nel 1598. Probabilmente come ci avverte Leoni la questione ebraica avrà avuto il suo peso. L’epilogo riporterà l’esperimento ferrarese nel consueto binario di una volontà europea di dominio sulle “nazioni” ebraiche le cui conseguenze sono ancora carne viva e bruciante al presente. Nonostante Alfonso II riconfermi tutti i salvacondotti e i privilegi, nel 1570 viene imposto il segno distintivo giallo tristemente famoso, salvo per la nazione portoghese e per “i titolari dei banchi di prestito e cambio, i medici, gli studenti dell’Ateneo” e di altre personalità di spicco. Nel 1581 il duca fa arrestare i portoghesi accusati di essersi fatti circoncidere; infine l’anno seguente il ripristino dei privilegi fino alla devoluzione. Le Nazioni non si chiameranno più Spagnola e Portoghese bensì Spagnola e Levantina. ❧

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Don Franco Patruno (1938-2007)

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Franco Patruno: scrivere l’arte, vivere dell’arte La Fondazione pubblica un’antologia dei suoi scritti per «L’Osservatore Romano» [

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ede la luce, a quattro anni dalla scomparsa dell’autore, Equivalenze, o dello scrivere l’arte. Scritti per «L’Osservatore Romano», di don Franco Patruno: curata da Massimo Marchetti, l’antologia – che spazia lungo dieci anni di interventi sull’«Osservatore» – contiene interviste, speciali, recensioni di mostre e di film, è presentata da Andrea Emiliani e si chiude con una postfazione di Carlo Bassi. Nasce questo libro sotto l’egida della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, che ha meritevolmente reso possibile l’edizione per ricordare la figura e l’opera di questo sacerdote, finissimo conoscitore dell’arte – ed artista lui stesso –, della filosofia, della teologia, della letteraFranco P atruno : writing art, living art ❧ The Foundation publishes an antura senza confini, della cinematograthology of his writings for «L'Osservatore Romano» ❧ By Andrea Nascimbeni ❧ Four years after the death of the author, Equivalenze, o dello scrivere l’arte. Scritti per fia, di cui fu uno dei suoi più attenti «L’Osservatore Romano» (Equivalences, or writing on art. Articles for «L’Osservatore cultori: i complementi di specificaRomano») a collection of work by Father Franco Patruno has been published. zione si sprecano, tanto vasta era la Edited by Massimo Marchetti, the anthology – which covers ten years of his contributions to «L’Osservatore» – contains interviews, commentaries, reviews of exhibitions cultura di Patruno. Quella di scrivere and films, and is presented by Andrea Emiliani with an afterword by Carlo Bassi. The sull’«Osservatore», fu sicuramente Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara supported the idea of commemorating both per don Franco un motivo di soddithe figure and work of this priest, an expert in fine art, philosophy, theology, unconfined literature and cinema. Writing for the «Osservatore», was an object of satisfaction sfazione, un coronamento importante for Father Franco, an important culmination of thirty years of activity in journalism. anche se tardivo, di un’attività giorWe find the validation and fulfilment of his priesthood, in a field – that of culture – nalistica trentennale: la terza pagina which provided a testing ground that looked more like a battlefield than a quiet vineyard. Through the homily pronounced by Pope Paul VI, in 1964, we can retrieve the atmosdel quotidiano vaticano conferiva agli phere that reigned in the Church in those years. «We need you – said the Pope – Our scritti – e perciò all’autore stesso – non Ministry needs your cooperation. Because, as you are aware, our Ministry is to preach and to make accessible and comprehensible, even moving, the world of the spirit, the solo una visibilità nazionale ma anche invisible, the ineffable, the world of God (…) and your art is precisely that of seizing una sorta di imprimatur dell’autorità the treasures of the spirit of heaven, clothing them in words, colours, forms and accessuprema, che lo accreditava ipso facto sibility». Father Franco had this sensitivity, this ability to feel what is almost impossible to grasp through thought, abundant with intelligence ‘contaminated’ by the tenderness negli ambienti culturali d’oltre Tevere. of perception and vision, enriched with readings that substantiated an inner life. FurDon Franco non ne aveva certamente thermore, Pope Montini continued, «there is a profound understanding between priest bisogno: semmai, poteva costituire

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and artist and an amazing ability to share insight» but «to scale the heights of the lyrical expression of intuitive beauty we must make priesthood and art coincide». This is the secret of Father Franco’s special vocation. «I believe, – remarked Father Franco thirty years later – that today we can talk of a discussion (between artists and the Church) – that failed to work as a result of a sort of mutual estrangement. If artists once felt “at home” in the Church, they now look at it from a distance, as though it were a world apart», but Father Franco, strong with a faith that is capable of looking beyond appearances, observed: «From a religious point of view, we are now aware that God doesn’t always write on straight and narrow lines and that travelling on routes that differ from those of the Church does not necessarily represent a radical distance from religion». Patruno both anticipated and suffered this toil, stating that «even expressions that are apparently “less ecclesiastical” do not face the Church as an abstract synopsis without correlation». When, in 1999, John Paul II wrote his Letter to artists, Father Franco, commenting in the «Osservatore», could not conceal his excitement in finding such venerable confirmation of his own insights: the «joyful effort of dialogue» through which many roads have been opened. «The artist, above all, – John Paul II reminds us – senses the precarious nature of things, often with the anguished tones of the gap between nature and grace, becoming a sign of reality that infinitely transcends». Today the treasure of his thoughts is entrusted to the pages of this anthology, ideally conveyed to a culture without boundaries. Just like the unconfined horizon of Father Franco.

Don Patruno intervista Robert Rauschenberg Don Patruno interviews Robert Rauschenberg

dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità». Nel riconoscere agli artisti questa maestria, Paolo VI aggiunge un’altra prerogativa: quella di conservare – nel medesimo momento in cui lo rendono accessibile, comprensibile, fruibile – l’ineffabilità del mondo dello spirito, la sua trascendenza, il suo mistero e, al tempo stesso, la necessità di raggiungerlo nella facilità ma anche nello sforzo. Questa sensibilità, questa capacità di avvertire per via del sentire ciò che per via del pensiero è quasi impossibile cogliere, la troviamo sovrabbondante in don Franco, ricco di quella intelligenza ‘contaminata’ dalla tenerezza della percezione e dello sguardo, imbevuta di letture che sostanziano una vita interiore: Guardini, Dante, Dostoievskij, Hölderlin, Von Balthasar. «E se Noi mancassimo del vostro ausilio – continua il papa Paolo –, il ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico». E non solo «fra sacerdote e artista c’è una simpatia profonda e una capacità d’intesa meravigliosa» ma «per assurgere alla forza della espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte». Ecco il segreto della vocazione speciale di don Franco. «Credo, si possa – dirà don Franco trent’anni dopo

e rappresentare l’alloro di una laurea honoris causa mai conseguita anche se sempre meritata. Troviamo la validazione, quasi il compimento del suo sacerdozio, in un terreno – quello dell’arte, e per esteso della cultura – che costituì un banco di prova che assomigliava di più ad un campo di battaglia piuttosto che ad una tranquilla vigna. Attraverso la filigrana dell’omelia di papa Paolo VI, pronunciata di fronte agli artisti il 7 maggio 1964 nella Cappella Sistina, recuperiamo la temperie ecclesiale che doveva regnare in quegli anni. Patruno aveva letto – lo dirà lui stesso al convegno “Il sacro nella città secolare” tenutosi a Cento nel 1994 – l’importante documento di papa Montini. «Noi abbiamo bisogno di voi – disse il papa –. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito,

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ogni cosa che si manifesta in modo nuovo. Fanno anche “teologia” gli artisti, sia nell’epifania delle icone che nello scorrere dei segni della cultura occidentale» (ibid.). Pertanto, quando nel 1999 Giovanni Paolo II scrive la sua Lettera agli artisti, don Franco, commentandola sulle righe dell’«Osservatore», non poteva celare l’emozione nel trovare così alta conferma alle sue profetiche intuizioni: la «gioiosa fatica del dialogo» (p. 114) – la chiamò – «grazie al quale molte strade si sono aperte, nonostante difficoltà e resistenze» di chi ha continuato a «privilegiare il dilettantismo alla vera arte e il facile spettacolo a quell’implicito che, come nella Pietà Rondanini, apre all’ulteriorità» (ibid.). Una visione estetica, quella del papa, che don Franco con esita a definire «ardita» perché in essa si parla di pregustare, nei “veli” delle diverse forme, un frammento «di ciò che verrà» (l’éskathon) quando l’artista conoscerà allo stesso modo di come è conosciuto, ma sempre «nell’avvertenza, splendida, del mistero nascosto nei secoli». C’è tutta la teologia paolina della Lettera ai Romani al capitolo 8. Nessuno – ricorda Giovanni Paolo II – quanto l’artista, avverte la precarietà delle cose, spesso con i toni angosciati del dislivello tra natura e Grazia, e proprio in questa avvertenza l’arte diviene segno di una realtà che lo trascende in modo infinito. Mi piace concludere queste brevi note con un accenno alla recensione al film di Philip Gröning Die grosse Stille (Il grande silenzio): è datata 29 aprile 2006 ed è, se non l’ultimo articolo di don Franco, la chiusa del volume. «Il film – scrive Patruno – si sofferma con concentrazione sui Certosini in ascolto della Bibbia. Il racconto nasce dalla trama della vita quotidiana, nella ritualità di gesti ed azioni che pur ripetuti all’infinito, ogni volta sono nuovi. ... [il silenzio], se scelto come interiorizzazione di quanto si sta dicendo, acquista il significato della parola quieta, esistenziale, personale» (pp. 211-212). Ora questo tesoro – intendo le sue riflessioni – viene parzialmente ma, al tempo stesso, fortunatamente affidato alle pagine di questa silloge, idealmente consegnate alla cultura che non ha confini. Come l’orizzonte di don Franco. ❧ «The rest is silence!» William Shakespeare, Amleto, (Atto V, scena II).

il Concilio, a quel convegno centese di cui sono stati fortunatamente stampati gli atti – oggi parlare, a cuor sereno e con qualche rimpianto, di un colloquio venuto meno per una sorta di reciproca estraneità; se gli artisti erano “di casa”, ora vedono a distanza la Chiesa, quasi fosse un mondo a parte, sopravvissuto a nuove luci liberanti del pensiero». Ma don Franco, dotato di quella fede che sa guardare oltre alle apparenze, osservava: «Ad uno sguardo religioso, oggi si prende consapevolezza che Dio spesso scrive sulle righe storte e che anche l’essere andati per itinerari diversi da quelli della Chiesa non ha significato lontananza radicale dalla religiosità». Patruno anticipa nella riflessione, soffre nella carne, questo travaglio, affermando che «anche le espressioni apparentemente “meno ecclesiali” non stanno di fronte alla Chiesa in una sinossi senza congiungimenti: si armonizzano, invece, perché la Chiesa stessa non ha altra terra in cui abitare e le aspirazioni, le gioie e le recondite speranze dei compagni di viaggio sono le sue stesse gioie e speranze» (p. 113). Quale migliore parafrasi della “Gaudium et spes”, costituzione pastorale conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo! «Se la Chiesa annuncia agli artisti l’alito della Parola non è per toglierli da quel mondo che è anche il suo, ma per aiutarli a recepire che il vento dello Spirito di Pentecoste è già partecipato nell’intuizione, stupita e meravigliata, di

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L’architettura e l’urbanistica di Tresigallo Lo stupore di una ri-scoperta [

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ulla strada che conduce ai Lidi ferraresi, evitando la pericolosa superstrada Ferrara-Mare, di lontano fora l’ombroso coperto dei poderosi platani che bordano la strada provinciale “Rossonia” la svettante e muta ciminiera dell’impianto industriale dismesso della “Lombardi”: la prima testimonianza visibile della cittadina di Tresigallo. Percorrendo poi il largo viale rettilineo che, avvicinandosi al paese, da Final di Rero conduce allo svincolo circolare per la vicina Formignana, a destra e a sinistra si possono ancora ammirare testimonianze di un’ottima architettura industriale, e solo in minima parte riconvertita e riutilizzata rispetto la sua originaria destinazione produttiva autarchica. Architecture and town planning in Tresigallo ❧ The Qui si inizia a respirare un’aria diwonder of discovery ❧ By Pier Giorgio Massaretti versa: diversa rispetto la materica an❧ On the road that leads to the Ferrara beaches, the chimney stack of the disused “Lombardi” industrial plant is the first visible sign of the town of Tresigallo. tichità del rosso laterizio delle mura Continuing along the straight, wide avenue that takes us to the town centre, on both urbane di Ferrara; diversa rispetto i the left and the right we can still admire the remains of grand industrial architecture, monumentali volumi delle stalle che only slightly re-converted from its original self-sufficient productive function. The atmosphere we breathe is different here: different from the antique red brick walls identificano, rassicuranti, il nostro of the city of Ferrara, we find ourselves in an environment that is alien to that of the paesaggio agricolo. E come in un Po Valley. Unusual. Made up of abandoned Sironian chimney stacks and metaphysical film in bianco e nero, con un fulmiarched porticoes - like a clearly visible tear in the fabric of the slow, secular history of the Estense agricultural territory. neo flashback, si è in un attimo proA complex urban organism of “modernity”, almost textbook and sufficiently intact and iettati in un ambiente non-padano, perceptible notwithstanding the myopic modernization of recent years. Its position inusuale: fatto di sironiane ciminiere “on the border” of land that was the subject of the great mechanical reclamation of the Ferrara area, allowed the then Minister of Agriculture and Forestry, Edmondo Rossoni, spente e di metafisici portici arcati. to experiment with a different, more updated strategic role for the town of his birth. Come una specie di strappo ben visiAbove all, he envisaged the modernization of the traditional Po Valley village: equipping bile nella trama della storia secolare it with factories for the production of farm machinery, or industrial processing plants for the agricultural products from the surrounding estates (hemp, sugar beet, milk, e lentissima del nostro ambiente, fruit), or for the production of a self-governing trade sectors, drawn primarily from the agricolo ed estense. processing of hemp fiber or its by-products. The existing agricultural village, the few Un complesso organismo urbano and localized rural plants that were built prior to Rossoni’s intervention, were almost entirely preserved and reinserted in the planned project of expansion. della “modernità” quindi, quasi da

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manuale; un residuo architettonico che è ancora sino ad oggi sufficientemente integro e leggibile, nonostante le dismissioni, i rovinosi abbandoni, le drastiche sostituzioni o le miopi modernizzazioni, i maquillage (si stanno perdendo, ad esempio, i primitivi e luminosi colori, sostituiti da terragne tinteggiature padane). Una specie di “modernità retrocessa” questa, che è rimasta però impigliata nell’immutato disegno della cittadina, nelle autarchiche tecnologie di costruzione e di trattamento della superficie architettonica. Memorie, spesso desolanti, della concreta attuazione di “moderni” modelli di progettazione e di edificazione, da recuperare nel loro intrinseco valore testimoniale. L’endemicità del quadro territoriale risulta determinante per una corretta analisi e per una soddisfacente comprensione della specifica genesi e composizione urbana di Tresigallo. La sua collocazione “alla frontiera” dei terreni che furono oggetto della storica grande bonifica meccanica ferrarese, legittimò il ministro Rossoni a sperimentare qui un diverso e più aggiornato ruolo strategico del suo paese natale. Egli concepì anzitutto un ammodernamento socio-economico dell’originaria configurazione di borgo agricolo padano: attrezzandolo – come in un vero e proprio polo agro-industriale, di scala regionale – con fabbriche destinate alla produzione di attrezzature meccaniche per l’agricoltura, o per il trattamento industriale dei prodotti agricoli provenienti dal circostante latifondo bonificato (canapa, barbabietola, latte, frutta), o infine per la produzione di una merceologia autarchica, ricavata principalmente dalla lavorazione della fibra della canapa o di suoi sottoprodotti.

An experience of re-foundation, that integrates and blends the historical configuration of the town in a more monumental and spectacular urban setting. The road plan - this special geometrization of urban development, inherited from the more established historical patterns of town planning - is employed here as a generative element of the “urban design” of the town. Tresigallo was decided, designed and configured by correspondence. Even though the executive architectural and town planning projects were technically formalized and graphically elaborated by the engineer from Tresigallo, Franco Frighi, he was provided with direct indications in the form of notes, charts and written suggestions from the Minister in Rome, sent to Rossoni’s factotum in the town (his friend Mariani). These indications contained disordered but evocative sketches of the new look of Tresigallo, the one that Rossoni dreamed of and desired. In the second half of the 1930’s the innovative construction technology of reinforced concrete and iron were extensively used in Tresigallo; new self-sufficient materials and updated construction site procedures were coherently experimented, with the aim of creating original techniques for new types of buildings. Everything was strategically inter-related with tactical alliances, entrepreneurial and speculative, especially with strong economic entities: insurance companies and national banks, together with the Opera Nazionale Combattenti (Ex-Soldiers Association) which, in the 1930’s, promoted and guided the historic land reclamation and colonization of the Pontine Marshes. Tresigallo was therefore “designed”, zoned and ordered hierarchically, still appreciable today for the care reserved for the image of the town, the attention given to the architecture of the square and streets, the use of specific solutions that create the urban environment. The planning and practical execution of the restoration (both old and modern) must be subject to interpretive understanding, the cultural and procedural settings of these various and well-established physical and material “stories”. In this manner the concept of modern restoration, even in this case, in order to avoid damaging replacements or rhetorical falsities, must begin with those bricks, those buildings, those urban images, creating a real relationship of shared emotions; to be taken care of.

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Pur all’interno di una comune e diffusa matrice “igienista” – per quell’«ordinato funzionamento dell’organismo urbano» che Gustavo Giovannoni teorizza rimandando agli episodi di “fondazione” urbana, dell’Agro Pontino, delle cittadine autarchiche fasciste, dell’Istria, della Sardegna, degli assolati villaggi di colonizzazione demografica della Libia balbiana –, il fenomeno Tresigallo non può essere oggettivamente classificato come un affermato modello di “fondazione”, pur nel riscontro di ricorrenti motivazioni strutturali e dei relativi processi insediativi. Il preesistente borgo agricolo, le poche e localizzate permanenze d’impianto rurale anteriori all’intervento rossoniano, quando prospetticamente compatibili con il nuovo disegno urbanistico previsto, sono state mantenute quasi integralmente, e reinserite in uno schema progettuale di ampliamento – pur dimensionalmente e qualitativamente assai radicale –, tutto innervato sul segno forte del preesistente asse stradale. Un’esperienza di ri-fondazione, dunque, che integra e mimetizza la configurazione storica del paese in un più monumentale e spettacolare involucro urbano. La tessitura viaria – questa speciale geometrizzazione dello sviluppo urbano, ereditata dai più consolidati modelli storici di progettazione urbana –, è qui impiegata come elemento generativo del “disegno urbano” della cittadina. La composizione scenografica degli slarghi urbani (strategicamente disposti lungo il percorso periferico di circonvallazione) e della ipergeometrica piazza centrale, la vera e propria quinta urbana che gli edifici formano modellandosi alla morfologia viaria, sottolinea-

no una riduttiva connotazione planimetrica e bidimensionale del progetto urbanistico stesso. È nuovamente un asse viario – quello che innerva, senza soluzione di continuità, la rettilinea connessione tra la piazza e il cimitero – che sviluppa un implicito, e insieme mistico, percorso simbolico: dal vitalismo della piazza alla prospettica monumentalità del cimitero. Nonostante quella “genetica” differenziazione insediativa, il progetto di Tresigallo ripercorre molto scolasticamente modelli disciplinari, linee urbanistiche che sono state diffusamente sperimentate nella pratica corrente. Una diversità sostanziale ha comunque caratterizzato il farsi progettuale della cittadina: Tresigallo è stata decisa, configurata e progettata per lettera. Se i progetti, architettonici e urbanistici esecutivi, hanno tutti avuto un’ordinata formalizzazione tecnica negli elaborati grafici del tresigallese ingegnere Franco Frighi, questo tuttavia prendeva diretta indicazione sul da farsi da quegli appunti, grafici e scritti che l’allora ministro, da Roma, inviava al suo fiduciario in paese (l’amico Mariani), e che contenevano – oltre ad elenchi dettagliati sui cantieri da aprire, sulle opere da approntare –, disordinati ma evocativi schizzi sul nuovo volto di quella Tresigallo che si stava facendo, e che Rossoni sognava e desiderava. Dalle condizioni ora descritte mi sembra emerga con chiarezza come Tresigallo possa rappresentare un’offerta privilegiata per la sperimentazione, sul campo, di un’innovativa disciplina progettuale: il “restauro del moderno”. La corrente e testata filologia del restauro dell’antico – fissata com’è dall’ormai pluridecennale dibattito culturale e dalla consolidata ricerca scientifica sul tema, ma

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soprattutto dalla corrente ordinarietà dei concreti interventi attuati – deve essere indubbiamente assunta come paradigma centrale di una sperimentazione ancora tutta da fare, giocata su di un territorio storico, tecnologico e culturale ancora tutto da esplorare e mappare. A Tresigallo, nella seconda metà degli anni Trenta – periodo di febbrile attività costruttiva e caratterizzato da un vivace dibattito in campo urbanistico, a scala nazionale –, vengono massicciamente impiegate le nuove tecnologie del calcestruzzo armato e del ferro; coe-

rentemente si sperimentano nuovi materiali autarchici e aggiornate procedure di cantiere, destinati all’edificazione di nuove tipologie edilizie; il tutto strategicamente relazionato a tattiche alleanze, imprenditoriali e speculative, soprattutto con soggetti economici forti: assicurazioni ed istituti bancari nazionali, insieme a quell’Opera Nazionale Combattenti che, negli anni Trenta, promosse e guidò l’epocale evento di bonifica e colonizzazione dell’Agro Pontino (e di cui Antonio Pennacchi, nel suo recente romanzo Canale Mussolini,

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ci restituisce il mistico eroismo popolare). Un nucleo urbano, cioè, “progettato”, zonizzato e ordinato gerarchicamente, in cui sono apprezzabili ancora oggi la cura per l’immagine urbana pubblica (il trattamento della pavimentazione e degli elementi di arredo urbano), l’attenzione scenografica per l’architettura della piazza e dei nodi urbani, l’impiego di apposite soluzioni (urbanistiche e/o architettoniche) che danno forma e ne disegnano il tessuto urbanistico. La prassi progettuale ed esecutiva del restauro (quello

dell’antico ma anche quello del moderno), deve necessariamente passare attraverso la comprensione interpretativa, l’assunzione culturale e la fissazione procedurale di queste diverse e consolidate “storie”, materiche e materiali. In tal modo il paradigma del restauro del moderno, anche in questo caso, per evitare dannose sostituzioni o retoriche falsificazioni deve aprire con quelle pietre, con quelle costruzioni, con quelle immagini urbane, un vero e proprio rapporto di condivisione sentimentale; per prendersene cura. ❧

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Torino, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM), il primo MAXXI italiano. Studio Bassi - Boschetti 1951-1959 Turin, Modern and Contemporary Art Gallery (GAM), the first Italian MAXXI. Bassi - Boschetti Studio 1951-1959

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Carlo Bassi Un grande architetto, un grande studioso, un grande ferrarese [

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lcuni anni fa il presidente Granzotto presentò al Premio Stampa indetto dall’Unione Industriali l’onorevole Giulio Andreotti con parole di grande intensità e di grande elogio. Sempre pronto alla battuta, lo statista, ora ultranovantenne, replicò: «ma lei mi ha fatto un epitaffio da vivo!». Analogo atteggiamento dovremmo tenere per un ragazzo di 87 anni che ha onorato – e tuttora onora – la sua terra natale con una mirabile attività poliedrica e di grande spessore tecnico e culturale. Parlo di Carlo Bassi che dice, al sottoscritto: «mi piace molto definirmi “architetto militante” Carlo Bassi ❧ A great architect, a great scholar, a perché così inquadro in modo preg r e a t “ F e r r a r e s e ” ❧ B y A l f r e d o S a n t i n i ❧ Carlo Bassi enjoys defining himself as a “militant architect” because this precisely fits his concept of being ciso il mio essere “architetto” direi an “all-round architect”. He began to study architecture in 1942-43, far from home, “a tutto tondo”». when bombs were falling on Milan. Architecture was (and is) the motivation behind all «Mi sono dedicato a questi studi, his ambitions and inspirations: «It made me imagine and construct buildings, that is to say, invent spaces. Imagining and studying the stories of cities urged me to write books, lontano da casa, quando a Milano to cultivate the arts, particularly literature and poetry» - he remarks. In the nineteen cadevano le bombe e quando a Ferfifties, together with Goffredo Boschetti, colleague and life-long friend from Pilastri rara, nell’immaginario urbano esistenear Ferrara, he opened a partnership that started business with a prestigious success: almost immediately he was acclaimed as winner in the first national competition in vano solo gli ingegneri e i geometri. architecture, announced after the end of the second World War, for the design of the Ma devo dire che questo accadeva new Gallery of Modern and Contemporary Art in Turin. non solo a Ferrara se nell’anno di In Milan, the Bassi-Boschetti partnership mainly worked on social housing projects and for the Office of the New Diocesan Church: for example, they designed the splendid grazia della mia iscrizione alla facoltà church of the Guardian Angels in Via Colletta, planned in the years prior to the second 1942-1943 al primo anno a Milano Vatican Council. For the Province of Bologna they created the Psycho-Pedagogical Medical Institute ‘Sante Zennaro’, «then, finally – states Carlo Bassi – Ferrara appears eravamo in 19! in my curriculum». In the mid-seventies an unexpected call requested the partnership L’architettura per me è stata (ed è) la to urgently design the headquarters of the ‘Banca di Credito Agrario’ in the Magrini madre di tutte le mie aspirazioni ed palace in Corso Giovecca, now the central office of the Cassa di Risparmio. The result is a building with unique characteristics that led to other prestigious assignments. Carlo ispirazioni: mi ha fatto immaginare e Bassi also worked in the planning group for the complete restoration of the church costruire edifici, cioè inventare degli of St. Christopher in the Certosa di Ferrara, financially supported by the Fondazione spazi. Immaginare e studiare dei bra-

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piena attività che nel 2009 ha celebrato i suoi primi cinquanta anni di vita. La gam con direzioni prestigiose è stata sempre, ed è tuttora, all’avanguardia nel proporre sistematicamente gli avvenimenti più significativi delle arti nel mondo. A Milano lo studio Bassi-Boschetti ha lavorato prevalentemente nella edilizia sociale e per l’Ufficio Nuove Chiese della Diocesi. Per la cooperazione Carlo Bassi vuole segnalare il quartiere della cooperativa “L’Eguaglianza” (cooperativa a capitale indiviso fondata nel 1914) e per la Diocesi di Milano, negli anni Sessanta-Settanta una casa-chiesa dedicata a Sant’Adele a Buccinasco e la splendida chiesa degli Angeli Custodi in via Colletta, progettata negli anni nei quali si andava preparando il Concilio Vaticano II: con le aperture della Diocesi ambrosiana al “nuovo” la chiesa anticipa nei suoi spazi e nella concezione liturgica quelle che saranno le grandi novità del Concilio.

ni di città, mi ha sollecitato a scrivere libri, a coltivare le arti, in particolare la letteratura e la poesia. Infatti in questa mia attività quasi segreta ma viva e operosa si inserisce anche un premio Lerici-Pea per un testo poetico dedicato a Biagio Rossetti». È questo l’esordio del nostro colloquio con un “giovane” che ha percorso tutto un itinerario di lavoro con la passione e la tenacia propria di chi si sta inventando una vita negli anni in cui si andava costruendo l’identità democratica del Paese dopo la fine della guerra. Con Goffredo Boschetti, collega e compagno di una vita, ferrarese di Pilastri, negli anni Cinquanta ha costituito uno studio di progettazione che ha avviato l’attività con un successo prestigioso: la vittoria nel primo concorso nazionale di architettura bandito dopo la fine della seconda guerra mondiale, per il progetto (e subito dopo la costruzione) della nuova Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea a Torino; una istituzione in

Per la Provincia di Bologna, in seguito ad un concorso vinto, lo studio Bassi-Boschetti, insieme ad alcuni giovani colleghi, ha realizzato l’Istituto Medico Psicopedagogico “Sante Zennaro” proprio negli anni in cui la lunga riflessione sulle sofferenze psichiche dei ragazzini diventava scienza applicata. Poi, finalmente, mi dice Carlo Bassi, «nel mio curriculum compare Ferrara». A metà degli anni Settanta una chiamata imprevista chiede allo studio la progettazione urgente della sede centrale della Banca di Credito Agrario nel palazzo Magrini di corso Giovecca, ora sede operativa della Cassa di Risparmio. Ne uscì un edificio con caratteristiche singolari che procurò allo studio l’incarico per un’altra costruzione prestigiosa per una banca nel centro di Milano. Poi in anni successivi l’Amsefc, dopo che Carlo Bassi aveva partecipato al gruppo di lavoro per il nuovo Piano Regolatore della città e si era sciolto il sodalizio efficiente e straordinario con l’architetto Boschetti (dopo quasi cinquant’anni di lavoro comune) incarica Carlo Bassi, con l’architetto Guido Zigola, della costruzione del Tempio della Cremazione nella Certosa di Ferrara. In questo luogo, mitico per la cultura della città, Carlo Bassi lavorerà

Cassa di Risparmio di Ferrara, with extraordinary results. Along with this “emergency planning” we can admire the results of sixty years of work: the honorary citizenship of the City of Baltimore in the United States, the Gold Medal at the International Committee of the XIII Triennale in Milan, highly significant positions in architectural competitions. The ten churches built for the Diocese of Milan, Mantua and Bologna, the new sacristy in the Cathedral of Ferrara, together with the architect Massimo Dalla Torre. Carlo Bassi devoted special attention to the location of the Madonna di Piazza, with a plaque inscribed with his own words, to honour the death of more than a thousand unarmed citizens under “friendly-fire” bombings during the Second World War. Then the books and the one hundred articles published in journals, magazines and newspapers, devoted to the problems of the city, architecture and the arts. He also won the Lerici prize for poetry in 1989 with the poem ‘Six verses for Biagio Rossetti’. He has written eight books on Ferrara, to which we must add the large volume of architectural history ‘Percorsi nella storia della città e dell’architettura’ published by Bovolenta-Zanichelli and the non-fiction novel ‘La morte di Le Corbusier’. In conclusion, we must remember the construction of the church of Villa Fulvia in Ferrara, dedicated to the Blessed Giovanni Tavelli da Tossignano. The last demonstration of his commitment to architecture and the architecture of his city.

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Chiesa di Sant’Anselmo a Malcantone (Mantova). Studio Bassi - Boschetti 1970 Sant’Anselmo church in Malcantone (Mantua). Bassi - Boschetti Studio 1970

ancora nel gruppo di progettazione per il restauro della chiesa di San Cristoforo, operazione di recupero totale sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara con un risultato straordinario.

Poi le dieci chiese realizzate per le Diocesi di Milano, per quella di Mantova, per quella di Bologna, la nuova sagrestia del Duomo di Ferrara con l’architetto Massimo Dalla Torre e il grande dipinto di Paolo Baratella. Una attenzione particolare Carlo Bassi ha dedicato al luogo della collocazione della Madonna di Piazza, con una lapide con un suo testo, per ricordare i più di mille morti inermi caduti sotto le bombe “amiche” durante le seconda guerra mondiale. Mi piace quanto mi ha detto in proposito: «Ho lavorato al testo di quella lapide con una citazione da Eugenio Montale pensando a due amici la cui presenza insieme a quella di mia moglie e quella di altri, tanti, protagonisti delle scelte della mia vita hanno segnato il mio lavoro: sono due preti,

Vicino a queste che possiamo chiamare emergenze progettuali c’è tutto il tessuto quotidiano di sessant’anni di lavoro: la cittadinanza onoraria della Città di Baltimora negli Stati Uniti per la partecipazione agli studi per il riallestimento del Baltimore Museum of Art, la Medaglia d’Oro della commissione internazionale della XIII Triennale di Milano, i molti significativi piazzamenti in concorsi d’architettura ad Aleppo, a Toronto, a La Spezia, a Trieste, a Trento, a Venezia, il Premio Stampa dei giornalisti ferraresi.

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Interno della chiesa di Sant’Adele a Buccinasco, Corsico (Milano). Studio Bassi - Boschetti 1968 Interior of the Sant’Adele church in Buccinasco, Corsico (Milan). Bassi - Boschetti Studio 1968

monsignor Giulio Zerbini e don Franco Patruno». Poi i libri e i cento testi sparsi in volumi, riviste, quotidiani dedicati ai problemi della città, dell’architettura, delle arti. Sono da ricordare l’invenzione di riviste letterarie come «Incontro» e «Quaderno» realizzate con amici preziosi come Claudio Varese. Ha vinto anche il Premio Lerici nel 1989 per la poesia Sei strofe per Biagio Rossetti. I libri dedicati a Ferrara sono ormai otto e tutti molto noti (Perché Ferrara è bella, Ferrara - lessico di architettura, Breve ma veridica storia di Ferrara, Vedere Ferrara con nonno Lu, ecc.), ai quali bisogna aggiungere il grosso volume di storia dell’architettura Percorsi nella storia della città e dell’architettura edito da BovolentaZanichelli e il romanzo-non romanzo La morte di Le Corbusier per le edizioni Jaca Book, ove immagina le ultime ore di vita di uno dei suoi maestri.

Milano, interno della chiesa dedicata agli Angeli Custodi. Studio Bassi-Boschetti 1965 Milan, interior of the church dedicated to the Holy Angels. Bassi - Boschetti Studio 1965

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Edificio d’abitazione per la cooperativa di via Cechov a Milano, 1990 Cooperative apartment building on via Cechov in Milan, 1990

Non si può dimenticare l’impegno civile e politico di Carlo Bassi, assessore per i Cristiano-Sociali nella penultima giunta Soffritti. Alla fine, per concludere questa rapida lettura per sommi capi di un corposo curriculum, dobbiamo ricordare la recente (quasi) conclusione, dopo dieci anni di lavoro e di problemi via via risolti, delle opere per la costruzione della chiesa di Villa Fulvia dedicata al beato Giovanni Tavelli da Tossignano, ultimo lavoro del

suo impegno per l’architettura e nella architettura nella sua città, del quale qui a seguire ci parla Carlo Bassi stesso, che mi dice di voler ricordare che alla prima parte della progettazione ha lavorato con gli architetti Massimo Dalla Torre, Sabina Boselli e l’ingegnere Giovanni Monini, e alla seconda parte e a quella conclusiva con l’architetto Guido Zigola e il perito Maurizio Zappaterra, tutti collaboratori stupendi, insieme all’ingegnere Liliano Cavallari direttore dei lavori. ❧

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Chiesa del Beato Tavelli da Tossignano a Villa Fulvia, 2010 The church of the Blessed Giovanni Tavelli in Villa Fulvia, 2010

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L’emozione dello spazio sacro abitato La chiesa del Beato Giovanni Tavelli a Villa Fulvia (alla memoria di monsignor Giulio Zerbini) [

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on ho intenzione di descrivere il progetto della chiesa di Villa Fulvia cominciando dai dati anagrafici e dimensionali e dalle ragioni della sua collocazione. Potrei cominciare dall’incarico alla progettazione dell’edificio, ricevuto, correva l’anno 1987, da monsignor Giulio Zerbini, vicario generale della Diocesi del quale venero la memoria e devo dire che questa circostanza fu un momento magico indimenticabile: dopo tanto lavoro su questo tema fondamentale per la Diocesi di Milano, progettare una chiesa per la mia città significava dare senso alla mia identità e alla riThe emotion of the inhabited sacred space ❧ The flessione che conducevo su di essa. church of the Blessed Giovanni Tavelli in Villa Fulvia ❧ B y C a r l o B a s s i ❧ In 1987 I was assigned the task of designing the Villa Tuttavia preferisco soffermarmi sulla Fulvia Church by Monsignor Giulio Zerbini, Vicar General of the diocese of Ferrara. emozione nel vederne l’architettura It was an unforgettably magic moment: planning a church for the city of my birth gave finalmente vivere, nel suo grande spasome kind of sense to the reflections I had been having about my identity. However, in this note I prefer to focus on the emotion of seeing the architecture come to life in its immense white space, open to the faithful to worship, a unique structure that became the center of gravity for the neighborhood and a recognizable image of the life of a vast inhabited area. The long period of planning and development (almost thirteen years) presented the project with moments of suffering and tension, but in the end these difficulties have become the “newness” of this architecture, its identity in the urban context, a new quality that crystallizes its image in a permanent manner. I would like to mention the dome and the colours of various parts of the external structure in contrast to the pure white of the inside. The dome represents a fundamental step on the difficult path towards ecumenicalism, which we must ascribe to the teachings of John Paul II: the Church must breathe with two lungs, the East and the West. In this light, the design of the building in the form of a Greek cross and the presence of the dome are characteristics that belong to Eastern Churches. The external image of the building is inspired by Giotto’s paintings in the upper church in Assisi. In the background of one image there is a church illustrated in bright colours: pink, yellow and green, in the same way that the urban ensembles painted by

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Giotto, L’estasi di San Francesco, basilica superiore di Assisi Giotto, The Ecstasy of St. Francis, upper church of Assisi

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Qui la lunga gestazione (quasi tredici anni) ha caricato il progetto di momenti di sofferenza, di tensione, di ricerca che lo hanno profondamente segnato e questa è una ragione in più per la mia commozione perché alla fine quelle difficoltà (che in parte ci eravamo costruite) sono diventate la “novità” di questa architettura, la sua identificabilità nel contesto urbano, la qualità nuova che segna in modo definitivo la sua immagine. Mi riferisco alla presenza della cupola e alla colorazione delle superfici esterne delle varie parti che la strutturano in opposizione al bianco totale dell’interno. La cupola segna un passaggio fondamentale nel percorso difficile dell’ecumenismo che dobbiamo ascrivere al magistero del beato Giovanni Paolo II, il quale fece propria la intuizione del poeta russo Vjaceslav Ivanov: la Chiesa deve respirare con due polmoni, quello dell’Oriente e quello dell’Occidente. In questa ottica

zio bianco, aperta ai fedeli e al culto, struttura singolare diventata baricentro di un quartiere e riconoscibile immagine della vita di una vasta area abitata. L’emozione è immaginabile e si ripete ogni volta che un’architettura esce dalla fase del progetto, dalla riflessione personale, per diventare luogo di vita di persone che se ne impossessano e lo fanno diventare proprio. contemporaries of the great Maestro are always colorful. We took this idea and worked accordingly, reassured by the unexpected positive response that we received. This highly imaginative elaboration of the exterior is contrasted by the whiteness of the interior, where even the wooden parts have been bleached. The baptistery is blessed with the presence of the light of the sun and the sky, where the hortus conclusus that surrounds it merges with the dialectics of nature and therefore also with that of light, in the house of the faithful. These are the fundamental “figures” that give meaning and strong individuality to this building, a decidedly avant-garde contribution to the debate on ecumenism.

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tistero dove l’hortus conclusus che lo circonda entra con la dialettica della natura “naturata” e quindi anche con quella della luce, nello spazio dei fedeli. Ecco, queste sono le “figure” fondamentali che danno senso e forte individualità a questa architettura e la pongono all’avanguardia per la immagine che comunica nel dibattito sull’ecumenismo. Ferrara con questo edificio ha una nuova architettura sacra, un nuovo spazio dove si celebra il mistero del Sacro: insieme ai colleghi che hanno lavorato con me e a tutti i protagonisti di questa avventura, laici e sacerdoti, tutti operatori straordinari, affidiamo questa opera alla comunità parrocchiale perché la custodisca come segno speciale e privilegiato della propria identità. Voglio ringraziare in particolare gli operai dell’impresa costruttrice del geometra Bruno Stabellini, che hanno dimostrato di essere maestranze di alta scuola. ❧

Interni della chiesa del Beato Tavelli da Tossignano a Villa Fulvia (Ferrara) Interiors of the church of the Blessed Giovanni Tavelli in Villa Fulvia (Ferrara)

la pianta a croce greca dell’edificio (come era il progetto michelangiolesco di San Pietro) e la presenza della cupola sono semantemi propri delle chiese orientali e vogliono dare una immagine viva e reale del collegamento auspicato. La cupola convive con una struttura che sembra contenerla, ma la sua forma vince questi vincoli e la croce che la conclude è alta nel cielo. L’immagine esterna dell’edificio si avvale invece delle riflessioni su alcuni dipinti di Giotto ad Assisi, nella chiesa superiore. Nell’affresco dedicato all’estasi di San Francesco, alle spalle del Santo è dipinta una chiesa i cui volumi sono coloratissimi: rosa, gialli, verdi così come sono sempre coloratissime le compagini urbane dipinte dai pittori contemporanei del grande Maestro. Abbiamo colto questa suggestione e abbiamo operato di conseguenza con un inaspettato riscontro positivo di opinioni che ci ha molto rassicurati. A questa elaborazione quasi fantasiosa dell’esterno fa riscontro il candore totale degli interni dove fino le parti in legno sono state sbiancate. Il bianco è il colore della luce e la luce, quella del sole e del cielo ha una sua presenza privilegiata nel bat-

La posa della prima pietra, 1998 The inaugural laying of the foundation stone, 1998

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Un brano di affresco staccato dalla chiesa di Santo Stefano, oggi nel Museo di Casa Romei A piece of fresco from the Santo Stefano church, now in the Casa Romei Museum

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Vitale sì, Vitale no La presenza del pittore bolognese nella chiesa di Santo Stefano a Ferrara [

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l primo maggio del 1949 usciva sulla «Gazzetta Padana» un articolo firmato da Giulio Righini dal titolo: Di Vitale da Bologna gli affreschi di Santo Stefano? Giulio Righini, presidente della “Ferrariæ Decus” e studioso di cose d’arte, con quello scritto informava la cittadinanza della scoperta di alcuni affreschi frammentari ritrovati in un ambiente situato alla base del campanile della chiesa di Santo Stefano. L’attribuzione da lui data portava direttamente alla mano di Vitale da Bologna, che aveva lavorato a Ferrara in un periodo compreso tra il 1334 e il 1359: tutto Vital e da B olo gna ❧ The presence of the Bolognese paintquesto era sostenuto dalla ricognier in the Santo Stefano church in Ferrara ❧ By Giovanni L a m b o r g h i n i ❧ In 1949 Giulio Righini, President of Ferrariae Decus (a society zione della pittura esaminata dal vivo devoted to the safeguarding of historic monuments) and art scholar, was responsible ed ancora sul muro sul quale era stafor the discovery of fragmented frescos in a room at the base of the bell tower of the ta dipinta, oltre alla rilevanza di alcuSanto Stefano church in Ferrara. He attributed the painting to Vitale da Bologna, who had worked in Ferrara during the period between 1334 and 1359: the finding ni particolari dei profili, degli occhi was supported by a close study of the frescos on the wall on which they were painted, dei personaggi e dell’andamento as well as the relevance of details in the profiles, the eyes of the characters and the complessivo dell’opera; osservazioni overall style of the work of art. Almost fifty years later, this attribution was confirmed in an article by Alessandro precise ed acute, ma sostanzialmente Volpe in Nuovi Studi, entitled: “Vitale a Ferrara, sventure e risarcimenti”, where he rimaste inascoltate. explains why he agrees that the painting is by Vitale. Nel 1998, dunque quasi cinquant’anMost of the criticism following Righini, therefore after the removal of the painting, concentrated on the deteriorated quality of the frescos, and this is largely due to the ni più tardi, durante i quali tutta poor execution of the restoration, even though not entirely the fault of those who una schiera di storici dell’arte aveva carried out the actual work. The church of Santo Stefano, where the frescos were found, was an ancient parish esteso le proprie considerazioni circa church previously noted in the XI century, part of the Ferrara Cathedral Chapter asl’esecuzione degli affreschi, tale attrisets from 1083 until the XVII century. buzione è stata confermata dall’interThe bell tower, built in 1275, collapsed in 1339 and was rebuilt over the following years but without major consolidations. It is likely that after the reconstruction of the vento di Alessandro Volpe in «Nuovi tower, the walls of the chapel under the tower were painted by Vitale with scenes from Studi», intitolato Vitale a Ferrara, the life of St. Maurelio who, together with Saint George, is the patron saint of Ferrara. sventure e risarcimenti, in cui l’autore

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Following the earthquake in 1570, the church was restored and Vitale’s frescos were covered with several layers of lime. In the 1920’s Ferrariae Decus undertook the restoration of the facade and apse in a Gothic style and the right-hand side was renovated in the forties. A few years later, in September 1944, Ferrara was heavily bombed resulting in the total destruction of the Santo Stefano church ceiling. It was probably during this period – the first months of 1949 – following a careful explorative survey of the building, that the frescoes of St. Maurelio were revealed. It has already been stated that had Giulio Righini’s discovery been given wider attention, the authorities would have been more diligent and would have supervised a more accurate restoration. This would have better preserved the paint surface and made it easier to interpret the a secco details, which might have made the attribution to Vitale easier. Initially the restoration work was carried out by Enrico Gessi, who had little practical experience in fresco removal; it was one year later that The Superintendence assigned the removal operations to the famous restorer Arturo Raffaldini, who had previously worked on major restorations of large and complex works of art. On June 20th 1950 the stripping of the uppermost pigmentbearing layer had begun, but Raffaldini met with many problems: once the first layer of canvas had been applied the second sheet could not be positioned because the glue had not completely dried and, in some points, had dried incorrectly. Only by heating the small chapel and the canvas layers, Raffaldini managed to strip the frescos, which were taken to Florence in order to be transposed onto another canvas and mounted on a wooden frame, and then handed back to the city of Ferrara. In conclusion, we would like to add information taken from the archives: the Santo Stefano frescos would have been examined in Raffaldini’s workshop in Florence by Mario Salmi, renowned art historian and, at that time, Vice President of the Supreme Council of Antiquities and Fine Arts, an indication that academic circles had been informed of a discovery of considerable historical value. These are the reasons why scholars and critics have debated at length whether to credit this important work of art in Ferrara to Vitale.

Qui e nella pagina successiva due immagini che documentano il ritrovamento degli affreschi Here and on the next page two images documenting the discovery of the frescoes

Dunque se tutta la critica successiva al Righini e quindi posteriore anche alle operazioni di stacco delle pitture è stata deviata dall’aspetto deteriore degli affreschi, lo si deve in gran parte all’esecuzione di un cattivo restauro da non imputare agli operatori; probabilmente è proprio questa la causa che non ha messo in luce chiaramente quei particolari così ben descritti da Giulio Righini e che facevano pensare proprio a Vitale; ai motivi e alle cause che hanno portato a tutto ciò cercherò di dare risposta, ma è doverosa premessa ripercorrere brevemente la storia della chiesa. Santo Stefano era un’antichissima parrocchiale di cui si hanno notizie già nell’XI secolo; la chiesa faceva parte dei beni del Capitolo della Cattedrale di Ferrara già dal 1083 e lo fu sino al XVII secolo. Lo storiografo ferrarese Marcantonio Guarini ci informa che il campanile della chiesa, eretto nel 1275 crollò nel 1339... «senza che in lui si scorgesse alcun segno o macola ... poi venne rifatto, ma di minore altezza, nella forma presente» e tale

spiega molto bene che la conferma della mano di Vitale viene data grazie al ritrovamento di due vecchie lastre fotografiche. Le immagini furono realizzate dallo studio Vecchi e Graziani di Ferrara proprio nel 1949 all’epoca dello scoprimento degli affreschi e mostrano con straordinaria precisione la qualità della materia pittorica così diversa da come la si vede oggi, ossia dopo l’intervento di trasporto su di un diverso supporto.

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Quaranta fu sistemato il fianco destro, ma pochi anni più tardi e in particolare nel settembre 1944, la città di Ferrara fu colpita da un violento bombardamento che distrusse anche il soffitto della chiesa di Santo Stefano, che venne successivamente ripristinato e forse proprio in quel periodo, i primi mesi del 1949, grazie ad un’attenta indagine esplorativa dell’edificio, si giunse allo scoprimento degli affreschi con storie della vita di san Maurelio. Ritornando dunque alla vicenda degli affreschi, si è già detto che se l’articolo di Giulio Righini fosse stato recepito in maniera più ampia, maggiore sarebbe stata l’attenzione da parte delle autorità competenti alla campagna di restauro degli affreschi e un buon restauro avrebbe sostanzialmente meglio conservato la superficie della pellicola pittorica, che sarebbe stata più leggibile perché ricca di particolari eseguiti a secco e che avrebbe portato all’attribuzione a Vitale con più facilità e in minor tempo. Per una serie di eventi particolari tutto ciò non è avvenuto, anche se una nota del 17 maggio 1949 della Soprintendenza di Bologna diretta a quella di Ravenna

intervento di ricostruzione fu posto in cantiere senza rifare le fondamenta. È inoltre probabile che dopo la ricostruzione del campanile le pareti del sacello che si trova alla base dello stesso venissero affrescate da Vitale con storie della vita di san Maurelio che assieme a san Giorgio è patrono della città. Ancora dal Guarini sappiamo che la chiesa dopo il terremoto del 1570 fu oggetto di restauro e ampliamento a tre navate; magari proprio durante quel cantiere gli affreschi dipinti da Vitale vennero ricoperti da alcuni strati di calce e addirittura mutilati per l’apertura di un’altra porta di ingresso al vano che era utilizzata come cappella. Durante il XVII secolo furono i padri Filippini ad officiare la chiesa di Santo Stefano e questo sino al 1796, anno in cui la congregazione fu soppressa; l’edificio comunque rimase aperto al culto e nel 1825 venne allestito sulla facciata il portale marmoreo della chiesa di San Silvestro andata distrutta. Negli anni Venti del Novecento poi, in una temperie culturale che potremmo definire neoestense, la “Ferrariæ Decus” si fece onere del restauro della facciata e dell’abside riportandoli ad uno stile gotico; negli anni

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Qui e nella pagina successiva i brani di affreschi staccati dalla chiesa di Santo Stefano, oggi nel Museo di Casa Romei Here and on the next page the pieces of detached frescoes from the Santo Stefano church, now in the Casa Romei Museum

ci informa che il ritrovamento delle pitture era cosa già nota agli uffici competenti, i quali erano interessati in accordo col Comune di Ferrara e col parroco al distacco poiché tale intervento veniva sollecitato anche da Roberto Longhi che stava organizzando la mostra sulla pittura bolognese del Trecento. Allora come in questo difficile periodo la scarsità dei fondi a disposizione per la conservazione delle opere d’arte era quanto mai viva, e quindi era solo grazie alla partecipazione di molti soggetti pubblici e privati che si costituivano i cantieri di restauro. In prima battuta fu dunque incaricato il restauratore Enrico Gessi – il quale non aveva grande pratica nel distacco di affreschi – delle operazioni di descialbo: ossia il togliere gli strati di calce dalla pittura per poter mettere in luce la globalità delle superfici dipinte; le tinte a calce si riuscivano ad eliminare anche se... «è risultato ... la resistenza di alcune zone»: dato che si ricava dal suo preventivo di spesa. Soltanto un anno più tardi però si riparla degli affreschi di Santo Stefano, quando la Soprintendenza incaricò dell’intervento di distacco il celebre restauratore Arturo Raffaldini che in precedenza si

era occupato di importanti interventi di restauro in cicli pittorici anche molto vasti: dagli affreschi di Sant’Agostino a Rimini a quelli di palazzo Te a Mantova, dal Salone dei Mesi di palazzo Schifanoia, alle ante d’organo di Cosmè Tura del Museo del Duomo a Ferrara e che in quel periodo stava lavorando al recupero della Sala delle Sibille a Casa Romei, e voleva dunque utilizzare la stessa strumentazione nei due cantieri, ottimizzando i tempi. Al 20 giugno del 1950 i lavori di strappo erano cominciati, ma Raffaldini stava incontrando molte difficoltà; vicende al limite del grottesco, direi, che probabilmente sono state alla base della cattiva riuscita del restauro: infatti una volta applicato il primo strato di tele non si era potuto procedere col secondo strato in quanto il sagrestano della chiesa aveva chiuso tutte le parti del vano con gli affreschi, con la conseguenza che la colla non si era asciugata del tutto e in alcuni punti si era asciugata male, per cui il restauratore aveva pensato a riscaldare l’ambiente in maniera artificiale utilizzando una piccola stufa per velocizzare il processo di asciugatura, ma non gli fu concesso usare la corrente elettrica della parrocchia, così dovette ricorrere ad un attacco temporaneo

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di luce con l’installazione di un altro contatore anticipandone le relative spese. Solo riscaldando la piccola cappella Raffaldini riuscì a strappare gli affreschi e una volta trasportati a Firenze per la trasponitura su tela e il montaggio su telaio in legno, li riconsegnò al Comune di Ferrara che una volta collaudati li allestì, qualche anno più tardi, a Casa Romei dove ancora oggi si possono ammirare e in maniera più leggibile, grazie ad un restauro della fine degli anni Ottanta che ha eliminato muffe, scollamenti, stuccature grossolane, vecchie patine e insetti xilofagi. Dobbiamo aggiungere per dovere di cronaca una piccola notizia d’archivio che non ha trovato seguito: gli affreschi di Santo Stefano dovevano essere esaminati nel laboratorio di Raffaldini a Firenze da Mario Salmi, grande storico dell’arte e a quel tempo vice presidente del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti, segno che in ambito accademico si era sparsa la voce di un ritrovamento di notevole valore storico. Dunque si può dire che siano questi i motivi che hanno fatto pensare per tanto tempo agli studiosi e alla critica: Vitale sì, Vitale no. ❧

Un’immagine degli anni Quaranta della chiesa di Santo Stefano An image from the Forties of the Santo Stefano church

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1. Palazzo della Diamantina 2. Palazzo di Isola a Pontelagoscuro o Castello 3. Palazzo di Confortino 4. Palazzo dell’isola di Belvedere 5. Palazzo “oltra Po” del Borgo di San Luca 6. Palazzo di Fossadalbero

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13. Palazzo di Belriguardo (Voghiera) 14. Palazzo del Verginese 15. Palazzo di Medelana 16. Palazzo di Ostellato 17. Castello di Portomaggiore 18. Palazzo di Consandolo

7. Palazzo di Baura 8. Palazzo di Contrapò 9. Palazzo di Monestirolo 10. Palazzo della Guarda 11. Palazzo di Copparo 12. Palazzo di Sabbioncello

19. Palazzo di Argenta 20. Castello di Mesola 21. Palazzo di Vaccolino 22. Palazzo di Marozzo 23. Palazzo delle Casette di Magnavacca 24. Palazzo del Governatore a Comacchio

La rete delle “delizie” alla fine del xvi secolo ricostruzione dall’Atlante del Ferrarese di Alberto Penna con il posizionamento delle 29 dimore estensi The map of the “delizie” at the end of the sixteenth century reconstruction from the Atlas of Ferrara by Alberto Penna with the positioning of the 29 Este residences

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Le residenze Estensi nel Ferrarese Un sistema monumentale di rilevanza mondiale [

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e residenze estensi nella provincia di Ferrara costituiscono un insieme monumentale frutto della politica di trasformazione del territorio affrontata dagli Este nel corso del loro dominio sulla città, a partire dal XIV secolo sino alla devoluzione nel 1598 e al conseguente spostamento della capitale del loro Stato a Modena. Note come “delizie”, devono questa denominazione alla connotazione simbolica che gli importanti edifici, frutto di uno studiato modello architettonico, artistico e decorativo, hanno assunto grazie allo spirito di magnificenza che la corte estense ha saputo coltivare accanto alle attribuzioni poThe Este residences in Ferrara ❧ A monumental syslitiche del buon governo. Il castello tem of international importance ❧ By Marco Borella ❧ The Este family residences in the province of Ferrara constitute a monumental di Ferrara, il palazzo Schifanoia, il accomplishment, result of the policy of transformation of the area undertaken by the palazzo di Belriguardo, il castello Este dynasty during their rule over the city, from the fourteenth century to devolution di Mesola, tra le meglio conservate in 1598, and the subsequent reallocation of their state capital to Modena. Better known as the “delizie” (delights), the name is derived from the symbolic conanche nel loro rapporto architettura notation that the buildings have assumed, thanks to the spirit of grandeur that the e arte, assieme al palazzo di BenviEste court cultivated. Ferrara castle, the Schifanoia palace, the Belriguardo palace and gnante e alle ville della Mensa e del Mesola Castle, among the best maintained, together with the Benvignante palace and the Mensa and Verginese villas, form a map that shows us the territorial power of the Verginese, costituiscono oggi, così Este family at the height of their period of influence. come componevano assieme ad altri When the Estes came to Ferrara the city was already a strategic centre on key trade palazzi (alla fine del Cinquecento si and communication routes but it was surrounded by insalubrious marshes. In the first half of the fifteenth century the only activity that enriched the state was agricultural contavano in provincia di Ferrara production, and for this reason an intense and effective land reclamation procedure ventinove residenze nella disponibiwas initiated. The primary effect was the transformation of the landscape; the marshland and lità della corte degli Este), una rete wooded areas were gradually drained and structured to eventually become productive che rappresentava il riferimento terfarmlands. However, many of the new agricultural lands were created not only as ritoriale del potere estense. technically efficient farms, but these sites were “interpreted” in the same manner as the Este urban possessions. So not only farms were built, but architecturally sophisticated Alla fine del Cinquecento si contavabuildings with artistic decoration of the first order were created as an appropriate no nel territorio estense tra La città backdrop to life at court for holidays, entertainment and hunting. A unique landscape, ed il mare ventinove residenze nella

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Palazzo di Belriguardo (Voghiera)

organized and redesigned as a representation of the ability of their government. In this context the “delights” were a part of the city, set in a unique cultural landscape that expanded from the urban centre towards the sea. After centuries of neglect the Este residences are all that remain of the artistic setting that, between the XV and XVI centuries, delineated the “antique” Po Delta. Since 1999, when Unesco included the “delights” in the World Heritage List, it has become clear that if an area needs to be promoted, a process of recognition and awareness must be initiated in order to reconstruct the identity of the locations and their inhabitants. The “delights”, set in a vast territory of over 46,000 hectares, provide an important opportunity for the recovery of historical knowledge, and an even greater possibility to create a site of enormous promotional value. Presenting them in this manner, as a series of monuments, like the justifiably more famous Venetian villas, offers an opportunity to further develop this potential, especially after the area’s inclusion in the World Heritage List. A heritage of monuments scattered throughout the province, as an expansion of the site: “Ferrara city of the Renaissance and the Po Delta”, would strengthen and increase the attractiveness of each monument concerned, establish tourist routes of great interest for the future development of the territory. At present the province of Ferrara, the city of Ferrara, the Emilia Romagna Region, the Regional Directorate of the Ministry of Culture and the Po Delta Park, on the basis of an institutional agreement signed in 2005 by the all municipalities of the province, have drawn up a Unesco Site Management Plan, which provides the first steps towards a process of knowledge, protection, awareness and appreciation of the cultural landscape of Ferrara which cannot fail to include strong support for the monumental work of the “Delizie Estensi”.

Palazzo di Fossadalbero

disponibilità della corte degli Este come rilevato da Andrea Marchesi in un attento studio delle fonti di archivio in via di pubblicazione per la Provincia di Ferrara. L’effetto primario fu la trasformazione del paesaggio, che da acquitrinoso e boscoso divenne, per gradi, stabilmente asciutto, organizzato e produttivo, lungo gli assi principali dell’alveo del Primaro, del Po di Volano e del Po di Venezia, partendo dal riscatto delle terre umide della Diamantina ad ovest della città e spostandosi progressivamente verso il mare, sino all’ultima grande opera di bonifica del Polesine di Ferrara che da Copparo giungeva al mare e che culminò con la creazione del castello e del barco della Mesola negli ultimi anni del Cinquecento. In tale panorama i molti nuovi possedimenti agricoli non vennero controllati soltanto da fattorie (castalderie) tecnicamente efficienti, ma questi siti vennero “interpretati”, come gli Este erano ormai soliti fare per le loro proprietà di città, senza alcuna distinzione per territorio di riferimento che fosse urbano, suburbano o extraurbano. Non solo fattorie dunque, ma palazzi dall’archi-

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Mappa dei collegamenti Stellata

Bondeno

Mesola

Diamantina

Copparo Castello Estense

Schifanoia

Mensa

FERRARA

Belriguardo

Pomposa Palazzo Pio

Verginese Comacchio

Cento Vie d'acqua principali

Benvignante

Aree tampone Aree di riconoscimento UNESCO

Argenta

Valli di Comacchio

Centri urbani Confini comunali Confini Provinciali Collegamenti al territorio Collegamenti diretti

La rete delle “delizie” oggi sul sito iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale The current map of the “delizie” included in the World Heritage List

tettura sofisticata e dalle decorazioni artistiche di primo ordine, uno sfondo adeguato anche alla vita di corte: dalla villeggiatura, alla rappresentanza, alla caccia. Intervenire sul territorio per gli Este ha significato prima di tutto non fare distinzione tra città e campagna, tra territorio urbano e extraurbano. Il prodotto di tale politica è un unico paesaggio organizzato e ridisegnato a rappresentazione delle capacità del loro governo. In tale panorama le “delizie” erano un tutt’uno con la città, inserite in un unico paesaggio antropizzato che dal centro urbano si espandeva verso il mare seguendo i corsi dei fiumi e dei canali, principali vie di comunicazione, gronde fondamentali per il riscatto delle terre dall’acqua. Dopo secoli di abbandono, con la devoluzione del ducato al papato, nel 1958, Ferrara perde le sue prerogative di capitale e diviene una città di frontiera, e per un’impostazione territoriale produttiva dominata paesaggisticamente dall’agricoltura di latifondo e dall’azione della bonifica meccanica, si sono consolidate profonde trasformazioni sul territorio e le residenze estensi oggi costituiscono quanto resta di maggiormente tangibile di quel paesaggio culturale che tra il XV ed il XVI secolo andò delineandosi nell’“antico” delta del Po.

Palazzo di Benvignante

Che le “delizie” siano oggi gli snodi fondamentali del territorio è stato riconosciuto anche dall’Unesco che, nel 1999, le ha iscritte alla Lista del Patrimonio dell’Umanità: Le residenze dei Duchi d’Este nel Delta del Po illustrano in modo eccezionale il riflesso della cultura del Rinascimento sul paesaggio naturale; il Delta del Po è un eccezionale paesaggio culturale pianificato

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Villa della Mensa

cile da riconoscere, da un lato per la sua conformazione pianeggiante ove quasi nulla interrompe lo sguardo verso l’orizzonte, dall’altro per la numerosa presenza di detrattori che hanno buon gioco di fronte alla delicatezza della percezione delle linee e degli oggetti di antica memoria e identità: le opere di bonificazione naturale; la lavorazione agricola di terre appena emerse dall’acqua; i fiumi ed i canali preziosi per la continuità della produzione; i piccoli borghi e le pievi accostati agli argini unico baluardo al rischio che le acque rappresentano; i filari di alberi ed i vitigni; le siepi che danno solidità alle rive delle opere di bonifica; i fiumi ed i canali un tempo, e forse anche oggi, ben più pratici alla manutenzione ed economici al trasporto di altre vie su terra o su ferro; i materiali e le forme costruttive dettate dalle risorse locali, dal clima e dalla operosità dell’uomo; le fattorie piccole e grandi che divengono anche palazzi per dare senso ad un intervento sulla natura del luogo unico ed eccezionale nel panorama mondiale. Un territorio tanto vasto (sono oltre 46.000 gli ettari di superficie della provincia di Ferrara compresi nel sito riconosciuto dall’Unesco) trova nella rete delle “delizie” la più importante opportunità di costruire un motore di conoscenza ed un volano promozionale di grande valore. Il presentare le “delizie” in tal modo, come un sistema monumentale seriale al pari di sistemi ben più famosi come le ville venete, le residenze sabaude, i castelli della Baviera, si propone come un’occasione di sviluppo di quella potenzialità attrattiva che si rivela ancora più consistente grazie anche all’opportunità offerta dall’inserimento nella Lista del Patrimonio Mondiale. Una rete monumentale sparsa nella provincia, corrispondente alla diramazione del sito “Ferrara città del

che conserva in modo notevole la sua forma originale. Mentre è potenzialmente indiscutibile il valore del patrimonio del paesaggio culturale che si cela tra città e mare in questo antico delta, paragonabile a paesaggi culturali assai più consolidati e famosi come le Cinque Terre o la Val d’Orcia, è evidente la necessità, se lo si vuole valorizzare, di avviare un processo di riconoscimento e di consapevolezza per ricostruire l’identità dei luoghi e dei suoi abitanti. Siamo di fronte in effetti ad un paesaggio storico diffi-

Palazzo della Diamantina

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Rinascimento ed il suo delta del Po”, è capace di rafforzare e moltiplicare l’attrattiva di ogni singolo monumento interessato, costituire un’utile guida nella ricerca di identità locali coordinate, creare percorsi turistici futuri di grande interesse per lo sviluppo del territorio. Un patrimonio visibile, in un paesaggio da scoprire come già aveva delineato nel suo lavoro del 1972 Ugo Malagù, presentato da Mario Salmi e da Luciano Chiappini, intitolato Ville e delizie del ferrarese, ove si poteva già trovare quella intuizione a guardare al territorio ferrarese come un vasto giacimento di beni monumentali inserito in un unico tessuto culturale. In un bacino che contiene oltre 160 beni con un provvedimento di tutela da parte del Ministero dei Beni Culturali e un numero assai più alto di beni schedati e vincolati de iure, le dimore estensi sono oggi una grande opportunità di rilancio del territorio e devono essere preparate alla sfida della ricerca di nuove destinazioni compatibili con le loro valenze storico-artistiche ma soprattutto nella coscienza e nell’economia di un lavoro di sistema. In questo momento la Provincia di Ferrara, il Comune di Ferrara, la Regione Emilia Romagna, la Direzione Regionale del Ministero dei Beni Culturali, il Parco del Delta del Po, hanno portato a termine, sulla base di una intesa istituzionale siglata nel 2005 anche da tutti i Comuni della provincia, un Piano di Gestione per il Sito Unesco che volge i primi passi verso un processo di conoscenza, tutela, consapevolezza e valorizzazione del paesaggio culturale ferrarese nel quale non può mancare un intenso lavoro di sostegno al sistema monumentale delle Delizie Estensi. Un paesaggio culturale che si snoda anche tra le pagine dei primi quattro volumi della collana "Paesaggio Estense" pubblicati da Olschki con il sostegno della Fondazione Carife. ❧

Castello di Mesola

Palazzo del Verginese

Palazzo di Belriguardo (Voghiera)

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Un ricordo di Berenice Una protagonista silenziosa della vita culturale ferrarese [

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o scorso 16 marzo è venuta a mancare Berenice Giovannucci Vigi. Studiosa dell’arte emiliana nonché storica insegnante del Dosso Dossi, Berenice è stata una protagonista – silenziosa e discreta, com’era nel suo stile – della vita culturale ferrarese degli ultimi trentacinque anni. Chi ha avuto la fortuna di frequentarla, colleghi, allievi, amici o semplici conoscenti, non poteva che rimanere colpito dalla sua straordinaria energia, dalla sua voglia incontenibile di fare, dall’urgenza del condividere le proprie passioni e il suo amore per l’arte. Nata a Bologna nell’agosto del 1947, I n memo ry of Beren ice ❧ A silent protagonist of the culha studiato storia dell’arte con Frant u r a l l i f e o f F e r r a r a ❧ B y G i o v a n n i S a s s u ❧ Berenice Giovannucci Vigi passed away on March 16th this year. Emilian history of art scholar and teacher at cesco Arcangeli. Laureatasi nel 1974, the Dosso Dossi school, for the last thirty years Bernice has been an important figure in arriva Ferrara l’anno successivo, the cultural life of Ferrara. Who had the good fortune to know her could not help but quando sposa l’amato Vittorio. be struck by her extraordinary energy, her irrepressible desire to get things done, by the Come accennato, la vita professiourgency of sharing her passion and love for art. Born in Bologna in August 1947, where she graduated in 1974, she arrived in Fernale di Berenice si è mossa su due rara the following year, when she married her beloved husband Vittorio. As previously binari che spesso si sono incrociati: mentioned, the professional life of Berenice shifted between two levels that often interla sua attività di insegnante di storia sected: her work as a teacher of history of art and that of an art historian. dell’arte e quella di storica dell’arte. Berenice devoted her passion and determination to both areas, convinced that the priProfessoressa attenta e generosa, mary function of the art historian was to communicate and make beauty known to others, to preserve the historical and artistic heritage of our country, to convey the studiosa di grande spessore, in enemotions that great masterpieces give us and, at the same time, to rediscover and relive trambi i campi Berenice ha profuso experiences of works or lives of artists that were less highly considered. la passione e la determinazione che She dealt with subjects that had often been forgotten, rediscovering little-known or le erano propri. Il contatto continuo obscure topics. In painting she gave preference to investigating aspects of sacred art from the sevencon il mondo della scuola e con i teenth and eighteenth centuries, tracing the history of painting of the Este churches giovani l’avevano portata a maturare after the devolution. Mention must be made of her more renowned studies on figurala convinzione – ben registrabile tive art in Emilia, like those of Giuseppe Antonio Ghedini, on the iconography of the nei suoi articoli, nei suoi saggi e nei

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È questo il credo che ha animato tanto la sua ricca produzione scientifica quanto quella divulgativa. Con attenzione e dedizione si è occupata di ambiti spesso dimenticati, riscoprendo territori poco noti o poco frequentati. Non vi è settore della storia dell’arte emiliana nella cui bibliografia di riferimento non si ritrovi un suo libro, un suo saggio, una sua segnalazione, a testimonianza dei suoi tanti interessi e della sua vivace curiosità. Nel campo della pittura, ad esempio, privilegiò indagare gli aspetti legati al sacro nel Sei e Settecento; in questo senso, e prima di altri, si è dedicata a tracciare un percorso, un panorama, della pittura delle chiese estensi dopo la devoluzione. In questi ambiti, sono da menzionare alcuni dei suoi studi più noti sulla cultura figurativa emiliana, come quelli su Giuseppe Antonio Ghedini (indagato una prima volta nel 1979 e poi ancora nel 2001, in relazione all’amata chiesa di Santa Maria in Vado), sull’iconografia del Cristo crocifisso nel Seicento ferrarese (1980), sul Rosario nell’arte emiliana (1988), sul Guercino a Cento (1991) e sul pittore centese Marco Zoppo (1993). Di grande rilevanza le ricerche sul paesaggista lombardo, ferrarese di adozione, Giuseppe Zola (2001), cui ha dedicato pagine che restano imprescindibili per lo studio del paesaggio. Altra sua passione è stata la miniatura. Da giovanissima, verso la fine degli anni Settanta, in controtendenza rispetto agli studi dell’epoca che privilegiavano l’aspetto cortigiano e profano, aveva scelto di approfondire le tematiche legate alla miniatura sacra estense del tardo Quattrocento, riscoprendo per prima, attraverso l’analisi dei codici del Museo della Cattedrale, la figura dell’Argenta in un saggio del 1983, pubblicato sulla nota rivista «La Bibliofilia». La scultura ferrarese è stata un’altra sua grande predilezione, maturata attorno al 2000, i cui esiti sono confluiti nel prezioso volume Scultura e scultori a Ferrara: 1598 - 1796, pubblicato nel 2004 per iniziativa della Fondazione Carife. Berenice aveva in animo di scriverne una sorta di appendice, di seconda parte, e solo la prematura scomparsa le ha impedito di portare a ter-

crucified Christ in seventeenth century Ferrara, on Rosary art in Emilia, Guercino and Cento and the painter from Cento, Marco Zoppo. Her valuable research into the landscape artist from Lombardy, Giuseppe Zola, was greatly appreciated. Her other passion was ‘miniatura’ art, first rediscovering the importance of the artist Jacopo Filippo d’Argenta in an essay written in 1983, subsequently published in the well-known magazine «La Bibliofilia». Sculpture from Ferrara was another of her great loves, on which she wrote the book Scultura e scultori a Ferrara: 1598 1796, published in 2004 with the support of the Fondazione Carife. But it is with the Cathedral and its ancient history, conserved in the Museum, that the name of Berenice Giovannucci Vigi is linked in two ways. She wrote a guide to the Cathedral, but it was the Cathedral Museum that was the focus of her unremitting academic research. For nearly two decades she represented its historical memory, and was the supreme connoisseur. She fought strenuously for its appraisal and, for more than ten years, assumed the role of tireless animator of its cultural activities. A long-standing love that blossomed from when she was a girl, prompting her, freshly graduated, to prepare an introductory book on the masterpieces of the Museum. This work became the text in the first modern guide to this institution. In 1989 she published the first scientific catalogue of the Cathedral Museum, a volume that has enabled generations of scholars to approach the magnificent ‘fearfulness’ of San Giorgio e il drago by Tura, the naturalism of Maestro dei Mesi, Karcher’s hagiographic tapestries featuring St. Maurilius and St. George, the powerful grace of the Madonna della Melagrana by Jacopo della Quercia. Berenice dedicated her life to the Cathedral Museum. Confirmed by the fact that her last effort was to promote, implement and complete the new scientific catalogue of the collections. For this, her last labour, she not only wanted established scholars at her side but also young researchers, convinced that science and history can only move forward through dialogue and comparison with new generations.

sui libri – che la funzione prima dello storico dell’arte fosse quella di comunicare e far conoscere agli altri la bellezza, salvaguardare il patrimonio storico e artistico del nostro Paese, di trasmettere l’emozione che i grandi capolavori sanno donare e, al contempo, far riscoprire o far rivivere esperienze relative a opere o ad artisti considerati minori.

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mine il lavoro che avrebbe potuto contare sul sostegno della stessa Fondazione e della Cassa di Risparmio di Ferrara, istituzioni con le quali la studiosa ha dialogato ininterrottamente sin dal 1984. Ma è alla Cattedrale, la chiesa madre della città estense, e al Museo che ne documenta la millenaria storia, che il nome di Berenice Giovannucci Vigi si lega a doppio filo. Se alla Cattedrale ella ha dedicato nel 2000 una celebre e fortunata guida, il Museo del Duomo, come amava chiamarlo, ha costituito il fulcro costante dell’attività di studiosa, al punto che anche al di fuori delle mura cittadine l’immagine di questa istituzione è associata alla figura di Berenice. Per circa vent’anni ne ha rappresentato la memoria storica, ne è stata la massima conoscitrice; battutasi strenuamente in passato per la sua valorizzazione, da oltre dieci anni, dopo il trasferimento della collezione nell’ex chiesa di San Romano e in qualità di membro del Consiglio di Gestione del Museo, aveva assunto il ruolo di infaticabile animatrice delle sue attività culturali. Un amore antico, sbocciato sin da giovanissima, che la spinse a preparare da neo-laureata un libro stampato privatamente in un numero limitato di copie di introduzione ai capolavori del Museo. Questo stesso scritto è diventato poi il testo della prima guida moderna di questa istituzione, edita nel 1979, cui seguiranno negli anni altri studi e altre ricerche. Nel 1989, in particolare, pubblica il primo catalogo scientifico del Museo della Cattedrale, un lavoro pionieristico e per certi versi titanico, che diventerà una pietra miliare degli studi sull’arte estense, un’opera che ha consentito a generazioni di studiosi di avvicinarsi alla grandiosa terribilità del San Giorgio e il drago di Tura, al naturalismo del Maestro dei Mesi, all’agiografia maureliana e giorgiana degli arazzi di Karcher, alla grazia possente della Madonna della Melagrana di Jacopo della Quercia. Non è una formula rituale affermare che al Museo della Cattedrale Berenice ha consacrato la sua vita. Lo prova il fatto che il suo ultimo sforzo, compiuto quando già la malattia avanzava, sia stato quello di promuovere, realizzare e portare a termine il nuovo catalogo scientifico delle collezioni, stampato nel 2010 grazie al

sostegno del Capitolo della Cattedrale e della Fondazione Carife, impresa che Berenice avvertiva come una necessità dopo il fiorire degli studi sull’arte ferrarese degli ultimi anni. Per questo suo ultimo lavoro ha voluto accanto a sé studiosi già affermati ma anche giovani ricercatori, convinta com’era, specie negli ultimi anni, che la scienza e la storia possono progredire solo attraverso il dialogo e il confronto con le nuove generazioni. Anche per questo mancherà molto la sua figura: mancherà a tutti gli amanti dell’arte, ai giovani laureandi o ai ricercatori già affermati, che chiedevano consiglio, confronto e spesso conforto, trovando la porta di corso Giovecca 90 sempre aperta e Berenice pronta ad accoglierli con un bonario e incoraggiante sorriso. ❧

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Ritratto di Malvina Mosti Costabili Portrait of Malvina Mosti Costabili

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Mazzini e Ferrara Uno speciale legame a distanza [

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e Mazzini abbia mai messo piede a Ferrara non si sa. Dei suoi legami politici con Ferrara nel 1849, hanno scritto Alessandro Levi e Costantino Panigada nel loro saggio L’elezione di Giuseppe Mazzini a deputato di Ferrara alla Costituente romana del 1849 (Ferrara, Zuffi, 1919). Vale la pena peraltro di ricordare che il futuro triumviro optò per il Collegio di Roma, dove era stato ugualmente eletto, e suggerì come successore l’argentano Gaetano Lizabe Ruffoni, suo collaboratore. Senza dubbio il rapporto politicamente più significativo egli l’ebbe con il comacchiese Gioacchino Bonnet, suo punto di riferimento per il tentativo Mazzini and Ferrara ❧ A distant but special bond ❧ di insurrezione nel Veneto, come B y L u i g i D a v i d e M a n t o v a n i ❧ Nobody really knows whether Mazzini testimoniano le numerose lettere a ever set foot in Ferrara. His political connections with the city have been described by lui inviate nei primi anni Sessanta, Alessandro Levi and Costantino Panigada in their essay “L’elezione di Giuseppe Mazzini a deputato di Ferrara alla Costituente romana del 1849” (The election of Giuseppe assieme ad una specie di codice per Mazzini, Ferrara Member of the Constituent Assembly of Rome 1849) (Ferrara, Zuffi, decifrare la corrispondenza segreta. 1919). Tuttavia, chi ricercasse nell’imWithout doubt the most politically significant relationship he had was with Gioacchino menso epistolario mazziniano ed Bonnet from Comacchio, his point of reference for the attempted insurrection in the Veneto region. However, those examining Mazzini’s immense correspondence will find in quello più esiguo di sua madre a special connection with Ferrara, starting with the young Tancredi Mosti, future comMaria, ritroverebbe, in momenti mander of the ‘Bersaglieri del Po’. significativi della loro febbrile attiviIn September 1846, Countess Gianna Maffei Mosti, mother of Tancredi and widow tà, uno speciale legame con Ferrara of Ercole Mosti, went to Genoa with her twenty-year-old son in the hope of completing his cultural education. Tancredi, however, was particularly anxious to carry out a ed alcuni ferraresi, a cominciare European tour in order to follow in the footsteps of his father. He arrived in London dal giovane Tancredi Mosti, futuro at the start of November 1846, so contact must have been made with Mazzini shortly comandante dei Bersaglieri del Po. after, as Mazzini wrote to Giuseppe Lamberti, his most important ally in Paris, «I’m Nel settembre 1846, la contessa Gianwriting again to mention Count Mosti, a splendid young man from Ferrara, with some connections to the moderate party of Rome and Bologna but, at the same time, loyal to na Maffei Mosti, madre di Tancredi, my opinions and therefore to be cultivated». A week later he wrote once more: «Dear vedova di Ercole Mosti e da tempo Lamberti, first of all let me introduce you to a young Count Mosti from Ferrara, Italian legata affettivamente a Gaetano Recin both soul and heart (...)». chi, futuro ministro dell’Interno del At that time, Mazzini was in the process of creating a Fondo Nazionale (National Foungoverno costituzionale di Pio IX, 67

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Tancredi era però soprattutto ansioso di fare un tour europeo, ripercorrendo le orme del padre che fra l’ottobre 1814 e l’aprile 1815 aveva visitato Germania, Belgio e Francia, come racconta il letterato ferrarese, suo compagno di viaggio Giuseppe Maria Bozoli in Brevi memorie di viaggio (Ferrara, Bresciani, mdcccxliv). Tappa principale per entrambi, padre e figlio, era stata la visita a Rurich in Germania, nel cui castello abitavano gli Hompesch, della cui famiglia era la moglie di Ercole, nonna di Tancredi, Maria. Nel suo ritorno in patria Ercole aveva fatto in tempo a vedere l’imperatore Napoleone, fuggito dall’Elba nel 1815, Tancredi, invece, che aveva fatto un’escursione a Londra, incontrava il repubblicano Giuseppe Mazzini. A Londra, come provano i diari della madre, era giunto nei primi giorni del novembre 1846, il contatto con Mazzini doveva essere avvenuto poco dopo, se questi scriveva a Giuseppe Lamberti, suo massimo punto di riferimento a Parigi, il 27 gennaio 1847: «Ti scriverò nuovamente per mezzo d’un conte Mosti, ferrarese, giovine buono, con qualche relazione nel partito moderato di Roma e Bologna, ma ligio a un tempo delle opinioni mie e da accarezzarsi quindi». Una settimana dopo, il primo di febbraio, riscriveva: «Caro Lamberti, innanzi ogni cosa ti presento il giovine Conte Mosti, Ferrarese, Italiano d’anima e di core [...]. Presentandolo, mi pare di prolungare in certo modo il mio contatto con lui: tanto tu senti com’io sento e t’ho per un mio alter ego in Parigi. Accoglilo dunque com’ei si merita: mando, se mi riesce, per lui vecchie lettere e un libro di Rossetti che darai o farai avere a Ricciardi». In quel momento Mazzini era nel pieno di una grossa impresa, la creazione di un Fondo Nazionale, attraverso cui sovvenzionare l’azione patriottica: il giovane ferrarese veniva immediatamente inserito in questa iniziativa e cominciava a fare la spola tra Londra e Parigi. Il 19 febbraio Mazzini scriveva ancora a Lamberti: «Avrai veduto il giovine Mosti. Tienilo caro, egli sarà a Ferrara il mio intermediario pel Fondo Nazionale» e l’11 marzo, dopo aver mandato una copia dell’Indirizzo programmatico di una sua nuova creatura, la Lega Internazionale, chiedeva che fosse tradotto in francese e diffuso ai giornali, ma prima, «tradotto che venisse comunicato l’Indirizzo al giovine Mosti». Ormai, apparentemente Tancredi era entrato nel livello confidenziale dell’azione politica mazziniana, tanto da chiedere per i suoi

aveva seguito costui al Congresso degli Scienziati Italiani a Genova portando con sé il rampollo ventenne nella speranza che egli si acculturasse, facesse amicizie in un contesto eminente per sapere e virtù civili. dation), through which he hoped to subsidize patriotic action: the young man from Ferrara was immediately enlisted and began to travel between London and Paris. Mazzini wrote to Lamberti again: «You will have seen the young Mosti. Hold him dear, he will be my agent in Ferrara for the National Foundation». At this point it would appear that Tancredi had become a trusted collaborator of Mazzini’s political strategy. But after having met a young man from Ferrara, the city of Ferrara itself must have entered the heart and thoughts of Mazzini. The election of Pius IX had alarmed Austria to the point of contemplating a plot against the pope. In Ferrara, on the 14th June 1847, Baron Flaminio Baratelli head of the Austrian spy service in the Papal States, was assassinated. Subsequently Radetsky ordered military contingents to enter the city. This incident resounded across Europe as it threatened to upset the balance of the Treaty of Vienna. Mazzini, realizing the possible consequences wrote to his mother: «The act will take place and then it will be the case to see what the Italians can do». The situation seemed to animate him – «I feel my blood boil when I hear of the events Ferrara». As it turned out, things went differently, and Austria gave up on the military operation. Shortly after, however, Mazzini met Tancredi’s sister, Malvina Mosti Costabili, who had ostentatiously married into another branch of the Ferrara nobility: Giovanni Costabili, heir of Giovan Battista, one of the most influential ministers of the Napoleonic Kingdom of Italy. Giovanni was a moderate, but the flight of Pius IX had led him, with his family, to Rome, after having been elected to the Roman Constituent Assembly as Minister of Finance in the last few months of the Republic. During the fighting against the French, Malvina had been part of the group of women in the organization that assisted the wounded. Forced into exile after the fall of the Roman Republic, she took refuge with her husband and children in Genoa, where she became a close friend of Mazzini’s mother. Mazzini was responsible for finding a good tutor for Malvina’s children, asking her information by means of his mother, and trying to involve her in the National Loan project. But the correspondence between Mazzini and Malvina must have also touched more political issues, since his mother sent and received “packages” of suspicious papers. Maria wrote to Malvina in 1850: «A few days after you left I received a letter from Emilia which included the missive that I was asked to send you». Maria’s friend ‘Emilia’ was, in fact, none other than Giuseppe Mazzini.

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contatti l’uso di parole convenzionali. Scriveva infatti, da Di lì a poco, però, gli eventi italiani facevano incontrare Parigi, Lamberti a Mazzini nei primi di maggio 1847: «Mo- Mazzini con Malvina Mosti Costabili, sorella di Tancredi. sti preferisce “chiave gesuitica” anche per lui – gli manderò Primogenita, era nata nel 1818, aveva sposato in nozze fao con Rolandi che aspetto domani, o per Emilio, la parola volose un altro rampollo della nobiltà ferrarese – decine tra noi convenuta e servirà anche per lui». di opuscoli nuziali furono stampati per celebrare l’evento Ma dopo che un giovane ferrarese era entrato nella sua vita, – Giovanni Costabili, erede di Giovan Battista, uno dei mianche la città di Ferrara, in modo inaspettato, doveva col- nistri più influenti del Regno italico napoleonico, l’uomo locarsi al centro dei pensieri di Mazzini. L’elezione di Pio che aveva creata la quadreria privata più illustre d’Europa. IX ed il prodigioso effetto, anche nazionale italiano, che Giovanni era un moderato, ma la fuga di Pio IX lo aveva aveva prodotto in tutta la penisola aveva scosso l’Austria a portato, con tutta la famiglia, a Roma, dopo essere stato tal punto da pensare ad un complotto contro il papa, o co- eletto deputato alla Costituente romana, come ministro munque un intervento, come denunziava attraverso un ce- delle Finanze negli ultimi mesi della Repubblica. Durante lebre scritto, La congiura di Roma e Pio IX (Losanna, 1847) i combattimenti contro i francesi, Malvina aveva fatto paril patriota Filippo De Boni. A Ferrara, il 14 giugno 1847, te del gruppo di donne dell’organizzazione per l’assistenza veniva assassinato il barone Flaminio Baratelli, capo dello dei feriti, guidate da Cristina Trivulzio Belgioioso, come spionaggio austriaco nello Stato pontificio («infamissimo fra direttrice dell’ospedale di San Giacomo. Costretta all’esigli uomini», lo definiva Mazzini) ed allora Radetsky faceva lio, dopo la caduta della Repubblica Romana, si era rifuentrare in città il 17 luglio, in assetto di guerra e con le micce giata con il marito ed i figli a Genova, dove era divenuta, dei cannoni accese, contingenti militari che occupavano le come testimonia il libro di Leona Ravenna (Maria Mazzini, porte, disarmavano le sentinelle pontificie, sostituendole. Firenze, Le Monnier, 1932), intima amica della madre di Il gesto aveva risoMazzini, Maria. Fra nanza in tutta Euroil 1850 ed il 1852 pa poiché rompeva Mazzini si occupa di gli equilibri del Trattrovare per Malvina tato di Vienna. un buon precettore Mazzini, intuendo per i figli, chiede a lei speranzoso le posinformazioni tramisibili conseguenze, te la madre, cerca di il 17 agosto scriveva coinvolgerla nel proalla madre: «L’intergetto per il Prestito vento avrà luogo e Nazionale scrivendo allora sarà il caso di a Saffi affinché si adoDue ritratti del marchese Tancredi Trotti Mosti vedere cosa sanno peri presso le donne Two portraits of the Marquis Tancredi Trotti Mosti fare gli Italiani». La italiane chiedendogli situazione lo eccitava – «mi sento bollire il sangue quan- «di scrivere e mandarmi biglietti per la Costabili e per altre do odo le cose di Ferrara». Era così convinto dell’inelut- dieci donne che avete in Italia, onde incalorirle per l’impretabilità dell’invasione austriaca nell’Italia centrale da non stito». Ma fra Mazzini e Malvina la corrispondenza doveva poter pensare ad altro che al fatto di Ferrara: «Credo [...] toccare anche temi più politici, poiché tramite la madre le che sia il principio dell’occupazione degli Stati. Con que- manda e riceve “involti” cartacei sospetti. Maria scrive insta notizia in corpo, potete capire che non posso ciarlare fatti a Malvina, il 7 dicembre 1850: «Pochi giorni dopo che di cose insignificanti». partiste ebbi lettere della mia Emilia quale accludevami la In realtà le cose andarono diversamente; l’Austria, vi- papelletta che qui vedete coll’ingiunzione di mandarvela». sta la reazione contraria, soprattutto inglese, rinunciava Questa Emilia, amica di Maria, era in realtà Giuseppe all’intervento. Mazzini. ❧

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La Fondazione e la Cassa di Risparmio di Ferrara

Il giardino della palazzina Marfisa dopo il restauro paesaggistico


Scorcio sul verde del Cimitero Ebraico, recuperato con il contributo della Fondazione Carife

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Un percorso nel verde I tanti aspetti dei progetti “verdi” sostenuti dalla Fondazione Carife [a

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Redazione]

dell’accesso laterale della Biblioteca Comunale Ariostea. L’intervento è stato realizzato in collaborazione con gli “Amici della Biblioteca Ariostea” e ha previsto la sostituzione del portone di cantiere sull’accesso della Biblioteca in via Giuoco del Pallone. A metà degli anni Ottanta, quando prese il via il restauro di palazzo Paradiso, il passo dell’ingresso era stato raddoppiato per consentire il passaggio ai camion e alle betoniere coinvolti nei lavori. Con il restauro in questione sono state ripristinate le antiche dimensioni del varco d’accesso, restituendo un decoro estetico che era venuto meno con l’inserimento di una vistosa putrella in ferro ai tempi dell’ampliamento. Chi ha progettato questo intervento ha pensato, secondo noi in maniera molto riuscita, ad attirare lo sguardo e quindi l’attenzione di chi passa. Il cancello infatti, grazie ai suoi elementi metallici collocati non di taglio, ma in diagonale, rivela progressivamente, a chi si trova a passargli di fronte, il giardino che si dischiude dietro di lui. Si tratta di ciò che resta dell’antico Orto Botanico, un tempo annesso all’Università che risiedeva proprio a palazzo Paradiso. Oggi in questo prezioso contesto si trova la Biblioteca Comunale, scrigno di un importante e vasto patrimonio librario e documentario, che in più di un’occasione è stata oggetto di interventi di sostegno da parte della Fondazione Carife. Ricordiamo per esempio il restauro dei dipinti raffiguranti i cardinali, collocati a decorazione della Sala Manoscritti, riportata al suo antico splendore da pochi anni.

uardando la pianta di Ferrara da una prospettiva aerea, salta subito all’occhio l’altissima percentuale di spazi verdi interclusi tra le abitazioni. La ragione è assai antica: Ferrara è una delle prime città ad istituire, fin dall’età medievale, delle severe norme igieniche che vietavano di far refluire per le strade i rifiuti, solidi e liquidi. Tali regole hanno incentivato la formazione di spazi cortilivi, interni rispetto alle abitazioni, in cui collocare cisterne “da butto”, ove far confluire i residui domestici; ovviamente questi luoghi assunsero misure e caratteristiche proporzionate alle possibilità dei padroni di casa. Così accanto al semplice cortile condiviso da più unità abitative, furono creati anche raffinati e splendidi giardini. Questi preziosi tasselli hanno composto un variegato mosaico nell’assetto urbanistico cittadino, per la cui storia e valenza si rimanda ai numerosi scritti esistenti. In questa occasione si vuole invece provare a tracciare un percorso che inanelli gli interventi più significativi sostenuti e promossi dalla Fondazione Carife in materia di “verde”. In tale definizione vorremmo comprendere tutti quei progetti accomunati da un’ottica ambientale che riguardano non solo la città, ma anche tutto il territorio provinciale. Molti di questi progetti si sono rivelati dei completamenti necessari ad altri interventi, intrapresi in un momento diverso. Facciamo un esempio preciso. Alla fine di maggio abbiamo inaugurato il ripristino

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Una sala interna del Museo delle Valli di Argenta

Procedendo lungo questo ideale “percorso verde”, vogliamo ricordare il nostro contributo al progetto inerente la fusione della copia in bronzo del putto di Giuseppe Virgili (Voghenza, Ferrara, 1894 - Bologna, 1968) che ornava la fontana del giardino della palazzina Marfisa, magnifico esempio di residenza signorile del secolo XVI. Il progetto ha visto lavorare fianco a fianco il Servizio Beni Monumentali del Comune di Ferrara, la Direzione dei Musei Civici d’Arte Antica e il Garden Club di Ferrara, promotore dell’iniziativa. Il Servizio Beni Monumentali ha provveduto al ripristino della vasca in muratura e dei collegamenti idraulici, mentre il Garden Club, con il benestare dei Musei Civici d’Arte Antica, del Servizio Beni Monumentali e della locale Soprintendenza, ha curato la fusione della copia, il collocamento di fari subacquei per l’illuminazione della scultura nelle ore notturne e l’impianto di quattro aiuole di rose a coronamento della vasca. La replica del putto è stata ottenuta dal modello originale in gesso, recuperato e messo a disposizione dal figlio dello scultore e magistralmente restaurato da Maurizio Bonora, allievo di Virgili. Volendo storicizzare questo intervento bisogna sottolineare che il legame della Fondazione con la palazzina Marfisa nasce da lontano. La Cassa di Risparmio

di Ferrara, infatti, all’epoca del suo primo centenario (1938) sostenne il restauro della palazzina e la fece arredare da Nino Barbantini. Tra le zone della nostra città di maggior pregio dal punto di vista ambientale, possiamo indicare tutto il settore ricompreso tra San Cristoforo alla Certosa e il Cimitero Ebraico, entrambi oggetto di importanti recuperi promossi dal nostro ente. In questo splendido contesto, rimasto per certi versi intatto dai tempi dell’“addizione erculea”, ha sede l’Associazione Nuova Terraviva che gestisce una vera e propria azienda agricola biologica all’interno della città, a poche centinaia di metri dal centro. In collaborazione con questa associazione la Fondazione Carife ha sostenuto un progetto di educazione dei bambini alla natura e all’agricoltura biologica, da tenersi durante il periodo estivo. L’iniziativa trae spunto dalla consapevolezza che i bambini in genere oggi vivono in una realtà sempre più artificiale, mentre per la loro crescita sono fondamentali i benefici derivanti dalla frequentazione di un ambiente armonico e naturale, dove stare a contatto con la natura e scoprire la manualità, l’arte e la musica, attraverso svariate attività. Restando in tema di attività svolte nelle zone verdi adiacenti a San Cristoforo alla Certosa e dedicate ai gio-

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vanissimi citiamo anche la “Tendopoli Verde”, ovvero campi estivi per ragazzi con difficoltà di vario tipo. Tale iniziativa, sostenuta dal nostro ente in maniera continuativa negli ultimi tre anni, è stata promossa dall’Associazione “Dalla terra alla luna”. Si tratta di un gruppo spontaneo di famiglie, accomunate dalla presenza di un famigliare affetto da problematiche dello sviluppo psicologico, ai quali nel tempo si sono affiancati specialisti, educatori professionali, volontari ed amici. Il progetto non si pone solo l’obiettivo di offrire un semplice servizio di centro estivo, ma quello di proporre diverse attività tra cui: laboratori, giornate in piscina, attività legate alla gestione di animali (fattoria), attività con cani addestrati, iniziative in collaborazione con il Canoa Club e gite in montagna. Il tutto è stato gestito tenendo conto delle esigenze dei ragazzi, lasciando da parte il preordinato e l’eccessivamente schematizzato e preferendo l’ascolto del bisogno. Fondamentale per la buona riuscita del progetto è stato coinvolgere nelle attività sia ragazzi “normodotati” che “diversamente abili”, favorendo l’integrazione e la possibilità di sostenere esperienze di aiuto reciproco tra ragazzi di diversa età. Da un altro progetto rivolto ai bambini, vale a dire il recupero dell’orto dell’antico convento di Santa Chiara, tramite l’avvicinamento dei più piccoli ai ritmi e alla cura del verde, è nata un’interessante iniziativa editoriale: “Le fate nell’orto”. Silvia Donini infatti, in quanto artefice dei due progetti, ha convogliato l’esperienza maturata con i “piccoli aspiranti ortolani” in un simpatico e accattivante manuale che accompagna per mano chi abbia voglia di dedicarsi a questa “verde passione”. Entrambi i progetti hanno avuto il sostegno della Fondazione. Come si è ricordato poco sopra, anche il Cimitero Ebraico è stato oggetto di un progetto sostenuto dalla nostra Fondazione: i lavori di riorganizzazione delle aree verdi. Si è partiti nel progettare il recupero dalla consapevolezza che si tratta di un ambiente unico per estensione, storia e integrità naturalistica, tanto da ospitare ancora oggi la nidificazione dei fagiani. Tale recupero si è posto quale completamento dei rifacimenti e dei restauri degli edifici cimiteriali finanziati dal Ministero dei Beni Culturali. L’intervento, calibrato secondo un attento progetto di restauro paesaggistico, è stato pensato partendo dalla considerazione che il Cimitero mantiene la funzione primaria di luogo di sepoltura, ma al tempo stesso è anche sito della memoria storica della Comunità Ebraica di Ferrara, della storia della città, nonché

patrimonio culturale e paesaggistico della collettività intera. Proprio in virtù di queste considerazioni l’intervento realizzato ha tenuto conto della molteplicità di valenze del luogo e, in particolare, dei vincoli di tutela di legge. Diversi poi gli interventi promossi anche sul territorio provinciale ad iniziare dal ripristino dell’antico giardino della “delizia” del Verginese. A coinvolgere nel progetto la Fondazione fu il Comune di Portomaggiore di concerto con la Provincia di Ferrara, mentre i progettisti furono Ada Segre, Giampaolo Guerzoni, Giovanni Morelli e Stefania Gasperini. Il brolo indica un giardino od orto, costituito da un impianto di alberi da frutto su un manto erboso. Dagli studi condotti si è potuto desumere che nell’antico giardino della villa gli alberi erano collocati nelle fasce perimetrali dei compartimenti, sugli angoli e a distanze fisse, o disposti a croce al loro interno. Di fatto si è però reso necessario pensare ad una progettazione che valorizzasse le aree contigue all’edificio e che agevolasse la fruizione da parte del pubblico. L’intervento realizzato può essere definito come “progetto nuovo su area

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sviluppo urbano costiero, aveva mantenuto le caratteristiche ambientali originarie, conformandosi come area naturale residua di pregio anche se in condizioni di forte degrado. Il gruppo di giovani progettisti che compone l’associazione culturale, ha saputo individuare le potenzialità ambientali del luogo per incentivarne la protezione, la valorizzazione e proporne un uso sostenibile che miri al recupero dell’antico paesaggio costiero. Uno degli obiettivi principali che si sono prefissati è stato di far diventare “Jacaranda” un luogo presente nella mappa mentale degli abitanti, così come dei fruitori occasionali della spiaggia; un luogo riconoscibile e immediatamente distinguibile anche come progetto pilota rispetto ad altre aree libere della costa emiliano-romagnola. A questo progetto è stato conferito anche il premio ministeriale “Giovani idee cambiano l’Italia” indetto dal governo italiano, Dipartimento della Gioventù. Infine ricordiamo che ad Argenta la Fondazione ha contribuito al progetto di restyling del Museo delle Valli e all’allestimento di una Sala dei Sensi. Questo ambiente è stato dotato di arredi e materiali che simulano il canneto e i manti erbosi, alberi ed essenze legnose tipiche dell’ambiente vallivo; inoltre schermi di diverse dimensioni propongono immagini e filmati che riproducono i ritmi del giorno e delle stagioni, per trasmettere insieme percezioni emotive e cognitive che introducono poi alla visita in valle, il vero museo vivente all’aperto. L’atelier consente pure l’approfondimento delle tematiche per scolaresche e adulti mediante le attività pratiche e i laboratori naturalistici; vengono proposte anche le attività artigianali, come impagliare sedie e produrre piccoli manufatti, mediante l’intreccio della canna comune. I progetti e le pubblicazioni richiamati nelle pagine che precedono, coprono l’intera estensione della Provincia di Ferrara, con dimensioni economiche, modalità ed oggetto degli interventi tra loro assai diversificati. Volutamente, si è anche omesso di riordinare la sequenza temporale, lasciando al lettore la libertà di immaginarli come realizzati in un unico contesto, proprio per esaltare il collegamento trasversale che li contraddistingue pur nella specificità di ciascuno: la tutela dell’ambiente. È un intento che può pertanto esplicarsi in molteplici situazioni e talvolta basta poco, un’attenzione in più, per arricchire un’iniziativa di questo valore aggiunto. Ponendo insieme tutti questi sforzi, grandi e piccoli, si riesce però nel tempo a migliorare la vivibilità nostri luoghi. ❧

La torre colombaia al centro del brolo del Verginese

storica”, in quanto non si tratta né di un’operazione di conservazione di un giardino esistente, di cui rimaneva soltanto un’area prativa indifferenziata, né di ripristino di una situazione precisa nel tempo. Per ottenere un effetto credibile, sono stati scelti generi e specie vegetali in voga già dalla fine del Quattrocento o dall’inizio del Cinquecento, ma mai decaduti nell’uso anche in tempi successivi: melo, pero, susina, albicocca, ma anche fruttiferi minori, quali i meli-cotogno, i melograni, i sorbi, i noccioli ed i nespoli, nonché bulbose da fiore, fragole e malvoni. Raccogliamo con soddisfazione, nei giorni in cui stiamo ultimando questo numero della rivista, che a completamento dei lavori di recupero che hanno compreso anche il ripristino del brolo, si andrà ad aggiungere un nuovo stanziamento pubblico per il recupero definitivo della “delizia”. Nelle prossimità di Portogaribaldi abbiamo sostenuto un progetto di recupero e valorizzazione di un’area naturale della costa, promosso dall’Associazione culturale “duno Onlus”. L’area in oggetto è conosciuta come spiaggia libera “Jacaranda”, si tratta di un luogo che, per casualità pianificatorie e buchi nella maglia dello

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Questi mesi vissuti intensamente Le assemblee del 30 aprile e 6 maggio 2011, il piano industriale e l’aumento di capitale [a

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ileggendo questi primi sei mesi del 2011 non può sfuggire un’impressione molto chiara: Carife, la cui storia annovera oltre un secolo e mezzo di prudenti amministrazioni e di bilanci in crescita, dopo un periodo di difficoltà ha invertito la rotta puntando, senza indugi e con molta fermezza, verso il recupero di quel ruolo di sana banca di riferimento “della città e del territorio” che le è sempre appartenuto. Quest’inversione “a u”, questo “voltare pagina” ha caratterizzato l’agire della nuova leadership, scaturita dall’assemblea del 27 aprile 2010, fin da subito. Poi, con l’arrivo del direttore generale Daniele Forin, la strategia ha preso forma e corpo, ridando slancio ed entusiasmo a tutta l’azienda. Lo stato di “salute” di Carife è stato paragonato – dallo stesso direttore Forin solo un paio di mesi fa – alla febbre che tutti, grandi e piccoli, almeno una volta nella vita, hanno sperimentato. E chi ha un minimo di competenze mediche sa che la febbre è sintomo di una reazione dell’organismo che può far sperare in una guarigione . Ma ripercorriamo i momenti salienti del primo scorcio dell’anno per comprendere appieno le tappe fondamentali di questo processo, in cui l’agire della banca si attua con la totale consonanza e il pieno avvallo della Fondazione. Il momento assembleare, nella sua fase ordinaria (30 aprile) ha visto Carife chiudere l’esercizio al 31 dicembre

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2010 con una riduzione delle perdite del 32% su base individuale e del 25% sul consolidato. Nel contempo, «le prime indicazioni del 2011 confermano la validità delle linee guida tracciate» – ha dichiarato il presidente Sergio Lenzi –. L’insieme di costi operativi risulta calato del 14%: merito del forte sforzo di contenimento delle spese. Non solo: «È aumentato il numero dei conti correnti» ha sottolineato il direttore Forin, «frutto dell’attenzione che abbiamo nei confronti delle famiglie. Un processo di ricomposizione a favore del credito nei confronti delle piccole e medie imprese e dei privati consumatori, che ora incidono per circa il 70% del monte crediti complessivi (al netto dell’esposizione verso la controllata Commercio e Finanza Leasing e Factoring)». Il cauto ottimismo deve comunque confrontarsi con le difficoltà permanenti che riguardano il contesto economico in cui la Cassa opera. A distanza di soli sei giorni, il 6 maggio, i soci sono stati convocati di nuovo in assemblea per l’approvazione dell’aumento di capitale del controvalore massimo di 150.220.329 euro. L’operazione, seguendo l’iter stabilito dalle autorità di controllo e vigilanza (Banca d’Italia e Consob), dal punto di vista tecnico, prevede l’emissione di 7.153.349 azioni ordinarie ad un prezzo di sottoscrizione unitario di 21 euro, un valore che, rispetto agli ultimi scambi effettuati, incorpora uno sconto di circa il 30%. I soci presenti e rappresentanti il 67,72% del capitale sociale, hanno approvato all’unanimità l’aumento

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Qui e nella pagina successiva: scorci sulle assemblee del 30 aprile e del 6 maggio 2011

di espansione aggiuntiva, che sarà realizzato in presenza di condizioni particolarmente avanzate di quello Base, con una disponibilità di risorse finanziarie che abilitino tale espansione. Senza entrare troppo nel dettaglio, ma per comprenderne la vasta articolazione, si può dire che il piano agisce su tutte le leve strategiche, come la crescita dei ricavi, l’incremento dell’efficienza delle strutture operative del Gruppo, la ristrutturazione del controllo del rischio. I macro programmi di intervento, per realizzarsi, prevedono tutta una serie di “cantieri di lavoro”, secondo una gerarchia logico-temporale tipica per ciascun settore, ma secondo un disegno armonico complessivo. Nel triennio 2011-2014, il Piano Industriale si pone l’obiettivo di avere una banca locale efficiente, che lavora con tecnologie moderne e adotta una politica commerciale maggiormente focalizzata sulle esigenze del territorio, della clientela retail, small business, piccola e media impresa. E tra le operazioni straordinarie previste dal Piano, figura l’aumento di capitale.

di capitale proposto. L’approvazione dell’operazione da parte dell’assemblea straordinaria permetterà, una volta terminata, all’Istituto – sono parole del presidente Lenzi che ha commentato con visibile soddisfazione il voto positivo – «di rafforzare la struttura patrimoniale rispettando i parametri fissati da Basilea 3, che entreranno in vigore nel 2013 e ci consentirà di proseguire la strategia di consolidamento e sviluppo delineata nel Piano Industriale 2011-2014». E veniamo dunque a toccare il nerbo del rilancio di Carife, quel documento – denominato appunto piano “industriale” – che espone in modo organico le principali direzioni strategiche dell’impresa, i principali obiettivi economici e finanziari, le azioni che saranno intraprese per permettere il raggiungimento dei risultati, i relativi impatti sulle performance aziendali. Esso si compone di due momenti: il Piano Base, con il duplice obiettivo della ristrutturazione dei costi ma anche del rilancio dei ricavi, intende garantire una forte sostenibilità economica al Gruppo; in sequenza, il Piano

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L’attuale situazione patrimoniale di Carife è a livelli adeguati rispetto a quelli richiesti dalla normativa in vigore. Tra breve, però, l’accordo di Basilea 3 prevederà una ricapitalizzazione dell’intero sistema bancario europeo per garantire l’adeguamento della struttura patrimoniale e il rafforzamento dei coefficienti patrimoniali, in particolare Tier 1 Ratio e Total Capital Ratio. La bce ha deciso di procedere ad un consistente aumento di capitale per sostenere piani di salvataggio e in Italia, già nello scorso 2010 sono numerose le banche che hanno proceduto ad effettuare simili operazioni e nei prossimi mesi altre seguiranno. Va sottolineato il ruolo della Fondazione. L’aumento di capitale non comporterà una variazione degli assetti proprietari perché la Fondazione, pur non partecipando direttamente all’operazione – quindi riservando spazio ai vecchi soci con l’opportunità dell’esercizio di prelazione – manterrà comunque la maggioranza assoluta del capitale di Carife. L’operazione è dunque rivolta ai soci, vecchi e nuovi, e agli investitori istituzionali interessati alla rivalutazione del proprio investimento, a sostegno del territorio. Sottoscrivere l’aumento di capitale vuol dire condividere un progetto di ampio respiro, destinato a rilasciare i propri benefici effetti economici in un’ottica di medio-lungo termine. Con un’adeguata dote di capitale, ad operazione conclusa, Carife potrà continuare a sostenere e promuovere il territorio alimentando un circolo virtuoso di crescita e sviluppo economico. Per confermare l’autonomia e la vocazione locale. ❧

Il direttore generale Daniele Forin

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Carife: una banca a misura di famiglia Tante iniziative a sostegno del territorio [a

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uove proposte commerciali e rinnovata energia per una ripartenza a trecentosessanta gradi. È l’intento e la prerogativa della Cassa di Risparmio di Ferrara e delle Banche del Gruppo Carife. «Carife è ripartita a gran velocità – ha rilevato il direttore generale Daniele Forin – e in pochi mesi ha messo a punto una serie di proposte e prodotti per la clientela retail-small business, che rispondono alle molteplici esigenze e richieste della stessa». La Banca ferrarese ha dedicato da sempre grande attenzione ai piccoli azionisti, alle famiglie, alle piccole e medie imprese e non a caso, dopo il programma personalizzato per i soci (un ventaglio di proposte, agevolazioni, servizi dedicati in esclusiva ai possessori di azioni), ha ora pensato alle famiglie. «A Ferrara e provincia si contano circa 160 mila famiglie – ha spiegato Forin – il quaranta per cento delle quali è cliente della Cassa di Risparmio di Ferrara». È stato così messo a punto il Programma Family, dedicato ai clienti attuali e futuri dell’istituto di credito e delle Banche del Gruppo. In che cosa consiste la nuova offerta commerciale? «Con un’unica mossa – ha rilevato – e contando su un unico punto di riferimento è possibile ottenere la risposta più vantaggiosa per le necessità bancarie della famiglia. Si tratta di una gamma di soluzioni e servizi studiata e formulata per facilitare il rapporto con la banca, rispondendo in modo completo alle esigenze bancarie di

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base di ogni nucleo familiare ma anche dei single». Come si accede al Programma Family? Con un unico modulo di adesione il cliente potrà contare su un’ampia gamma di offerte: mutui per la casa, prestiti personali, assicurazioni, piani di accumulo per la gestione del risparmio, ma anche pagamento delle utenze del gas e dell’energia. Ogni servizio attivato assicura un vantaggio economico di diverso valore che verrà riconosciuto direttamente al cliente. «Le famiglie – ha posto l’accento il direttore commerciale Gabriele Galliera –, sommando le differenti opportunità, potranno risparmiare concretamente fino a cinquecento euro». L’altra proposta di casa Carife è il ContoCard, un conto sintetico che è allo stesso tempo conto corrente, bancomat e carta prepagata. È un conto corrente, in quanto offre tutte le funzioni di un tradizionale conto corrente, dall’accredito dello stipendio, all’addebito delle bollette fino alla possibilità di eseguire e ricevere bonifici; un bancomat, perché permette di prelevare e pagare negli esercizi commerciali in Italia e all’estero, e infine una carta nominativa ricaricabile per effettuare tutte le operazioni di base e acquistare in sicurezza su Internet tramite il circuito internazionale MasterCard. Il Contocard e il Programma Family sono due vantaggiose opportunità per il cliente e possono coesistere. La Cassa di Risparmio di Ferrara, per far conoscere ‘da

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In senso orario: premiazione del campione olimpico di canoa Antonio Rossi; uno degli stand allestiti dalla Cassa di Risparmio; il Mini Basket Day; il ring allestito nella Sala della ex Borsa

vicino’ le nuove proposte, ha promosso diverse iniziative all’interno del centro commerciale Il Castello; ha allestito un proprio corner informativo e allo stesso tempo ha aperto ‘fuori orario’ l’Agenzia n. 8, per poter così fornire un servizio informativo e di consulenza alla clientela. Ma la Banca non si è fermata qui e per far conoscere in maniera più capillare i propri prodotti, ha presidiato numerosi eventi del territorio che ha sponsorizzato, mettendo a disposizione team di qualificate persone. Dalla Sagra dell’Asparago di Mesola – tra i più importanti appuntamenti fieristici – alla Sagra della Fragola di Lagosanto, a Floraglio nella “delizia” di Belriguardo di Voghiera. Fino agli appuntamenti sportivi, in primis la Ferraramarathon, tornata a risplendere all’ombra del Castello estense, il Mini Basket Day al quale hanno partecipato oltre duecento piccoli cestisti, la festa del Tennis Club Marfisa, il Trofeo dell’Hockey Club Bondeno, la festa del Cus Rugby, la festa del Canoa Club, con il campione olimpico e mondiale di canoa Antonio Rossi. E ancora, il torneo nazionale preolimpico di boxe femminile, con le migliori pugili italiane scese sul ring allestito nella Sala ex Borsa; quindi i Giochi della Gioventù, e il Galà dello Sport che ha visto sfilare i campioni di ‘casa’ di tutte le discipline che si sono distinti per i risultati raggiunti e soprattutto per i valori trasmessi durante la carriera agonista. È il caso dell’ex sprinter d’oro Pietro

Mennea che ha fatto da testimonial all’evento. Carife opera dunque per il territorio e nel territorio, a sostegno delle comunità in cui è nata e svolge la propria attività da oltre 170 anni. ❧

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voci di una città

voci di una città

Anno 17, numero 34, Giugno 2011

Ferrara . Voci di una Città - Rivista semestrale di cultura, informazione e attualità. Anno 17 numero 34, Giugno 2011

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Semestrale di cultura, informazione e attualità

Fondazione Cassa

Giugno 2011 Italian text with English summary

di Risparmio di Ferrara


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