Per un’architettura terrestre

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Giacomo Borella, Per un’architettura terrestre, LetteraVentidue

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01 . Costellazioni

no dei pensatori di architettura che negli ultimi tempi mi interessa di più si chiama Francesco e di mestiere fa il papa. (Se qualcuno mi avesse detto che un giorno mi sarebbe toccato entusiasmarmi per un papa mi sarei sbellicato dalle risate). Non dice nulla di nuovo, ma ha le idee molto chiare sulle tre o quattro questioni fondamentali del nostro tempo: la catastrofe ambientale, il cambiamento climatico, l’alienazione della città contemporanea, tutti prodotti dell’ideologia dell’espansione e del consumo illimitato, e dell’asservimento al “culto del capitale” (questa formula però non è sua, ma di Walter Benjamin1), “le megastrutture e le case in serie (che) esprimono lo spirito della tecnica globalizzata, in cui la permanente novità dei prodotti si unisce a una pesante noia”2 (ha


forse ingaggiato come consulente Lucien Kroll?), la cultura dello scarto (l’elogio che egli fa del suo contrario: l’economia popolare del riciclo e del riuso3). Questo orientamento confligge in modo radicale con il discorso sull’architettura che ha fino ad ora prevalso: Rem Koolhaas, uno dei pensatori di architettura che mi interessa di meno, certo lo archivierebbe nell’aborrito settore dell’“urbanistica delle buone intenzioni”. Il discorso di Francesco, se preso sul serio, scuote in profondità il paradigma moderno dell’architettura, interamente fondato sulla disponibilità illimitata delle risorse, e con esso la pratica contemporanea che nella sua stragrande maggioranza – a parte “un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità”4 – è ancora ben


lontana dal mettere in questione quelle fondamenta. Prendiamo ad esempio uno dei simboli del paradigma moderno, quello della trasparenza, che si estrinseca nel binomio facciata continua vetrata – aria condizionata. I dati oggettivi, il bilancio termodinamico e soprattutto la nostra esperienza personale, ci hanno mostrato da molti decenni quanto questa soluzione sia una sciagura, una vera e propria calamità ecologica, e quanto disastrose siano le condizioni ambientali che produce tanto all’interno degli edifici che al loro esterno. Abbiamo insomma sperimentato da un pezzo che “la Terra era evidentemente il pianeta sbagliato per questo tipo di cose”5. Eppure questa è a tutt’oggi la modalità costruttiva che monopolizza l’architettura terziaria, degli aeroporti, delle istituzioni, degli ospedali, nei quattro angoli del


pianeta, nelle condizioni climatiche più disparate, nei progetti delle vedette dell’architettura più celebrate, come in quelli dei più bistrattati geometri; ora spesso nella sua versione più aggiornata, con tanto di certificazione ambientale LEED Gold. Il discorso di Francesco può sembrarci scontato, eppure il suo contenuto deve ancora cominciare a scompigliare in profondità il quadro pre-formattato dell’architettura contemporanea. Questo libretto non parla affatto di Francesco, anzi raccoglie alcuni testi scritti in gran parte prima del suo pontificato, ma tratta proprio di questo auspicato rivolgimento. L’architettura del nostro tempo è in larghissima misura un’architettura fossile. Con due significati distinti. In senso metaforico: è la traccia senza vita dell’architettura che ha dominato nel secolo scorso i paesi


sovrasviluppati, la parodia della sua fiducia cieca nella tecnologia (qualsiasi essa sia), nella crescita, nella infinita accumulazione del denaro e nella disponibilità illimitata di risorse. In senso letterale: perché la sua vuota onnipotenza formale, la sua inconsistenza corporea, è fondata su un consumo smisurato di combustibili fossili o atomici. L’attiva partecipazione di questa architettura fossile alla distruzione ambientale non è un incidente di percorso, ovviabile con un’ulteriore aggiunta tecnologica, ma l’effetto coerente dei suoi fondamenti programmatici. Se c’è una qualche minima speranza di ritrovare un’architettura umana, essa sarà post-fossile, frugale e minore, certo anche minoritaria, e credo dovrà affrontare due compiti, uno triste e l’altro allegro: 1. risalire la china del nostro


“analfabetismo dell’angoscia”6, ricercare la “capacità di sentire l’angoscia adeguata” al salto di qualità che la minaccia ambientale rappresenta, tenerla con sé e renderla operativa quando si lavora sui temi dell’architettura e della città. È più seria e abitabile un’architettura dell’angoscia, o della “disperazione creativa”, come diceva Colin Ward, piuttosto che l’attuale architettura dello show, con i suoi rendering popolati da fantasmi sorridenti, come se “la vita fosse diventata un modo per passare il tempo”; 2. ritrovare, pur nello spaesamento delle città e nella dispersione dei luoghi, il senso di appartenenza al creato. Merleau-Ponty, nelle sue conversazioni radiofoniche del ’48, parla in modo toccante della ricerca di Gaston Bachelard sui quattro elementi classici: aria, acqua, fuoco, terra. In essa, ciascuno di questi


elementi è “come una patria per ogni uomo, (…) il sacramento naturale che gli arreca forza e felicità”7. Da qui, ricercare malgrado tutto un’architettura allegra, che riconosce la terra come dono, la manutiene e ne raccoglie i frutti. Note 1. AAVV, Il culto del capitale. Walter Benjamin: capitalismo e religione, Quodlibet, 2014. 2. Lettera enciclica “Laudato si’” del Santo Padre Francesco sulla casa comune, Tipografia vaticana, 2015. 3. Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’incontro mondiale dei movimenti popolari, Libreria Editrice Vaticana, 2014. 4. Lettera enciclica “Laudato si’”, op. cit. 5. Ivan Illich, Bisogni, in Dizionario dello sviluppo (1992), a cura di Wolfgang Sachs, EGA Editore, 2004. 6. Günther Anders, L’uomo è antiquato, 1.Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale (1956), Bollati Boringhieri, 2003 (questa e tutte le citazioni successive). 7. Maurice Merleau-Ponty, Conversazioni, SE, 2002.




01. Giacomo Borella, Per un’architettura terrestre Prossimi titoli: Marco Navarra, Piccola filosofia pratica dell’informe Alessandro Rocca, Terra di nessuno Giovanni Corbellini, Lo spazio dicibile. Architettura e narrazione Jeremy Till, Spazio, tempo e Architettura lo-fi


COSTELLAZIONI . Scritture dell’architettura Collana ideata e diretta da Marco Navarra Comitato scientifico Eduard Bru, Barcellona Davide Tommaso Ferrando, Torino/Madrid Kurt W. Forster, New York Mario Lupano, Venezia Gian Luca Porcile, Genova Li Xiangning, Shangai

Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione. Walter Benjamin Ci sono libri che come lampi aprono un’improvvisa e urgente comprensione del presente e nella conoscenza stessa trovano immediatamente gli strumenti per trasformare il mondo. Questa condizione felice ritrova “il tempo della verità” laddove passato e presente perdono i loro confini. I libri della collana, liberi dalla forzature delle intenzioni, scoprono con naturalezza le ragioni di necessità per immaginare punti di vista differenti dalle vulgate dominanti. Le “Costellazioni” presentano testi che affrontano nuove questioni attraversando trasversalmente discipline diverse. Si tratta di testi irriverenti e eretici che guardano al di là di codici disciplinari consolidati cercando in altri campi stimoli e procedure per ripensare gli strumenti dell’architettura. I libri della collana trasformano occasioni, episodi, cronache in idee e nuovi punti di vista che fanno dello spostamento dello sguardo un’affilata pratica critica. A partire dall’architettura, attraverso la qualità e l’espressività della scrittura, le “Costellazioni” esplorano questioni decisive della cultura contemporanea proponendo punti di vista inediti.


01 . COSTELLAZIONI ISBN 978-88-62-42-164-5 Prima edizione italiana Gennaio 2016 © LetteraVentidue Edizioni © Giacomo Borella È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. L’editore rimane a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare. Book design: Francesco Trovato, Raffaello Buccheri Tutte le fotografie sono dell’autore, la fotografia n. 14 è di Francesco Borella. Quarta di copertina: Gatta che prende il sole, Milano, 2012. I disegni alle pagine 9 e 11 sono dell’autore; l’incisione a pagina 15 è di Panagiotis Veizis. Finito di stampare nel mese di Gennaio 2016 presso lo Stabilimento Tipolitografico Priulla S.r.l. (Palermo) LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italia

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Giacomo Borella

Per un’architettura terrestre



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Giacomo Borella (Milano, 1964) è architetto e cofondatore dello studio Albori. Ha scritto articoli e interventi, collaborando con diverse testate tra le quali Lo straniero, Gli Asini, Corriere della Sera, Radio Popolare. Recentemente ha curato, per le edizioni Elèuthera, Architettura del dissenso, un’antologia di scritti di architettura di Colin Ward.


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