Lo spazio in architettura

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01 libriprimi Una collana di testi che non si trovano piĂš in libreria o che non sono mai stati tradotti in italiano. Tappe fondamentali del pensiero e della teoria dell’architettura, che possiedono un eccezionale valore didattico per la diversitĂ originale dei punti di vista colti nel loro atto di nascita. Ogni libro è riletto e annotato da un curatore che, attraverso un acuto lavoro critico, offre al lettore nuove chiavi interpretative.


libriprimi Collana ideata e diretta da Marco Navarra Comitato scientifico Paola Barbera, Palermo-Siracusa Giovanni Corbellini, Torino Edoardo Dotto, Palermo-Siracusa Sergio Pace, Torino Gennaro Postiglione, Milano Joerg Gleiter, Berlino

ISBN 978-88-6242-294-9 Prima edizione italiana Aprile 2019 Titolo originale: Space in architecture. The evolution of a new idea in the theory and history of the modern movements. Prima edizione: 1977, pubblicato da van Gorcum, USA-Olanda © LetteraVentidue Edizioni © Cornelis van de Ven È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico: Giuseppe Scirè Banchitta Copertina: Francesco Trovato Impaginazione: Stefano Perrotta Traduzione: Francesco Cacciatore, Giorgia Cesaro Revisione del testo: Davide Picatto LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia www.letteraventidue.com


Cornelis van de Ven

Lo spazio in architettura L'evoluzione di una nuova idea nella stagione dei Movimenti Moderni Edizione italiana a cura di Francesco Cacciatore


Indice

Ringraziamenti Introduzione Premessa dell'autore

vii xi xix

Parte 1. L’idea di spazio nella filosofia e nella scienza I. Rendere tangibile lo spazio (Lao-Tzu) II. La geometria finita dell'universo (Platone) III. La teoria del luogo (Aristotele) IV. Lo spazio divino: la luce gotica (Sugerio, Tommaso D'Aquino, Agostino, Vitellio) V. Lo spazio infinito dell'universo (Copernico, Galilei, Cartesio, Locke, Newton, Leibniz) VI. L'intuizione metafisica e il contenuto della forma (Kant, Hegel, Schopenhauer) VII. Fisica: il continuum spazio-tempo (Weyl, Jammer, Lorentz, Einstein)

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Parte 2. L’idea di spazio nelle teorie architettoniche francesi e inglesi prima dell'inizio dei movimenti moderni I. L'accademia francese I: la distribuzione e l'idea di spazio (de l'Orme, Blondel, Ledoux, Laugier, Boullée) II. L'accademia francese II: piano, sezione e assonometria isometrica (Durand, Guadet, Viollet-le-Duc, Choisy) III. L'analogia con la natura: architettura viva (Ruskin)

56 64 70

Parte 3. L’idea di spazio nella teoria architettonica tedesca, 1850-1930 I Il materialismo e i tre momenti spaziali (Semper) II La teoria dell'empatia: la massa (Vischer, Lipps)

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III. Visione pura e visione cinetica (Hildebrand) IV. La creatrice dello spazio e la volontà artistica (Schmarsow, Riegl) V. Dall'empatia alla visione piana (Wölfflin) VI. L'astrazione e la paura dello spazio (Worringer) VII. Concavità e convessità: la doppia faccia dello spazio architettonico (Sitte) VIII. La coalizione estetica di massa e spazio (Brinckmann, Sörgel, Schumacher) IX. La morfologia dello spazio (Frankl) X. La terza generazione di teorici dell'architettura: gli anni '20 (Höver, Karow, Klopfer, Zucker, Adler, Frey, Jantzen)

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Parte 4. L’idea di spazio nei movimenti moderni, 1890-1930 I. L'importanza delle idee genetico-materialiste (Sullivan, van de Velde, Gropius, Wright) II. La volontà artistica dello spazio (Berlage, Endell, Schindler, Scott) III. Espressionismo e Futurismo I: l'idea Faustiana di spazio (Nietzsche, Poelzig, Marinetti, Sant'Elia, Wijdeveld, Steiner, Kohtz, Taut, Scheerbart, Spengler) IV. Espressionismo II: spazio organico e spazio geometrico (Mendelsohn, Taut, Hansen, De Fries, Finsterlin, Häring) V. “Apres Le Cubisme”: dallo spazio quadrimensionale al tridimensionale (Apollinaire, Gleizes & Metzinger, Ozenfant, Le Corbusier) VI. De Stijl: piano versus quarta dimensione (Mondrian, van Doesburg, Kiesler, Severini, Poincaré) VII. Suprematismo Russo: lo spazio irrazionale (Malevich, Gabo, Lissitzky, Stam) VIII. La Bauhaus: una scienza dello spazio (Gropius, Hilberseimer, van der Rohe, Moholy-Nagy) IX. Wright e la terza dimensione (Wright) Conclusioni Apparati Bibliografia Fonti delle illustrazioni Indice dei nomi La forma dell'aria. Note a margine sulla tradizione dell'amor vacui di Francesco Cacciatore

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Ringraziamenti

Vorrei ringraziare i membri della Architektengemeenschap van de Broek & Bakema di Rotterdam, che mi hanno aiutato per diversi anni nel mio tirocinio in architettura e disegno urbano e che hanno creato un ambiente importante per lo sviluppo del mio pensiero architettonico. In particolare, il supporto di Jacob B. Bakema mi ha permesso di realizzare il mio più sentito desiderio: studiare con Louis I. Kahn all'Università della Pennsylvania. Per rendere possibile la mia permanenza all'estero, ho beneficiato di una borsa Fulbright, dei servizi della Nederland-Amerika Instituut di Amsterdam e della borsa di studio della Graduate School of Fine Arts dell'Università della Pennsylvania a Philadelphia. Durante il Master Studio di Kahn, divenni sempre più interessato alle teorie e ai concetti di spazio esistenti in architettura. In seguito, il Programma di Dottorato della Graduate School of Arts and Sciences mi offrì l'opportunità di proseguire le mie ricerche. I miei particolari ringraziamenti vanno a G. Holmes Perkins. Sotto la sua guida, prima come Direttore del Graduate Group in Architecture e poi come mio supervisore, ho potuto realizzare la mia ambizione di portare a compimento questa tesi. Senza il suo supporto, il mio lavoro non avrebbe mai potuto concludersi nel modo sperato. Vorrei poi esprimere la mia gratitudine verso Peter Shepheard, Edmund N. Bacon e David van Zanten per le valide critiche che ho ricevuto. Per quanto riguarda il contributo olandese, Jacob Bakema ha sempre rappresentato un intenso stimolo, con il suo entusiasmo nel leggere le bozze del mio lavoro e nel fornirmi le sue osservazioni costruttive. Sfortunatamente Louis Kahn non visse abbastanza per vedere la fine del mio lavoro. Mi piacerebbe che questo libro fosse considerato come una modesta ricompensa al suo significativo apporto iniziale. Infine, sono grato a Mary Whealin, per le sue continue attenzioni durante tutto il periodo del mio dottorato, a James Westerhoven per aver scrupolosamente corretto il manoscritto e a Doris Sklaroff per il suo eccellente contributo nella battitura e revisione del testo. Philadelphia, Ottobre 1974, Cornelis J.M. van de Ven



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Introduzione

Il fine delle nostre creazioni è l'arte dello spazio, l'essenza dell'architettura. H.P. Berlage (1908) Spazio! Una parola con un'attrazione così magica per gli architetti del ventesimo secolo, una parola così spesso usata e abusata che ho iniziato a domandarmi da dove venga e cosa possa significare. Ascoltando i miei maestri ho sentito uscire dalle loro labbra la parola “spazio” con diverse intonazioni. Nei libri di architettura l'ho vista usare come l'alpha e l'omega della disciplina. E finalmente, nel momento in cui ho iniziato a disegnare, ho provato l'eccitazione di aver toccato il concetto più misterioso e intangibile dell'architettura stessa: lo spazio. Nel 1957 Louis I. Kahn disse: “L'architettura è la meditata creazione di spazi. Il continuo rinnovamento dell'architettura deriva dall'evoluzione del concetto di spazio”1. Quando lessi questa affermazione, diversi anni fa, si rafforzò in me la curiosità per il concetto di spazio; di fatto divenne la base per una ricerca che ebbe come risultato il presente volume. Sin dall'antichità l'idea di spazio è stata un argomento vitale nelle discussioni filosofiche in generale e nell'ambito delle scienze naturali. Tuttavia, abbastanza stranamente, è apparsa solo di recente nella teoria dell'architettura. In realtà, non si troverà nessun trattato architettonico precedente alla seconda metà del XIX secolo in cui il concetto di spazio, se non del tutto omesso, venga trattato come essenziale. Fino a quel momento esso rimase un pensiero in abstracto, chiaramente riservato al regno dei filosofi e degli scienziati. Seguendo lo sviluppo di differenti visioni del mondo all'interno della cul1. L.I. Kahn, Architecture is the Thoughtful making of Spaces. The Continual Renewal of Architecture comes from changing Concepts of Space, in Perspecta, The Yale Architectural Journal, IV, 1957, pp. 2-3.


Parte 1


L’idea di spazio nella filosofia e nella scienza


3

[1] Zhuozhing yuan a Suzhou. “Apriamo porte e finestre per fare una casa”.

Parte prima. L’idea di spazio nella filosofia e nella scienza


[I]

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Rendere tangibile lo spazio

Si ha un bel riunire trenta raggi in un mozzo, l’utilità della vettura dipende da ciò che non c’è. Si ha un bel lavorare l’argilla per fare vasellame, l’utilità del vasellame dipende da ciò che non c’è. Si ha un bell’aprire porte e finestre per fare una casa, l’utilità della casa dipende da ciò che non c’è. Così, traendo partito da ciò che è, si utilizza quello che non c’è.1 Lao-Tzu (c. 550 a.C.) Il nucleo centrale della filosofia di Lao-Tzu è il Tao, o “Via del Divenire”. Esso esprime l'idea che nulla permane in un mondo in continua trasformazione2. I taoisti considerano errati tutti i concetti statici come quelli già espressi da Confucio, contemporaneo di Lao-Tzu. La duttilità del pensiero taoista rappresenta con grande efficacia il carattere evolutivo del pensiero dell'uomo, anche in relazione all'idea di spazio, oggetto di questo libro. Più di 2500 anni fa, il leggendario Saggio pose le basi del suo principio filosofico e fenomenologico della dualità. Nei capitoli iniziali del suo libro, il Tao Teh Ching, egli unisce l'“essere” e il “non-essere” in un unico concetto rimasto 1. Lao-Tzu, Tao Teh Ching, J.C.H. Wu (a cura di), St. John University Press, New York, 1961, capitolo XI.

Nella versione qui riportata la traduzione è tratta da: J.J.L. Duyvendak (a cura di), Tao tè ching. Il libro della via e della virtù, A. Devoto (trad. di), Adelphi, Milano, 1973, p. 49 [N. del T.].

2. Cfr.: Lao-Tzu, Tao Teh Ching, The Book of The Way and its Virtue, J.J.L. Duyvendak (trad. di), Murray, Londra, 1954, che contiene eccellenti annotazioni sul pensiero taoista. Il curatore traduce Tao come “Cammino”. Nel libro I, cap. 1, leggiamo: “Il cammino che può essere veramente considerato come il Cammino non ha niente di permanente […] Perché, infatti, è attraverso la costante alternanza tra Non-Essere e Essere che si possono osservare le meraviglie dell'uno e le limitazioni dell'altro”.


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Parte prima. L’idea di spazio nella filosofia e nella scienza

valido lungo l'intero sviluppo della civiltà umana. Infatti, come vedremo in seguito, questa unità di due opposte condizioni è, ancora oggi, la struttura vitale dell'estetica contemporanea dello spazio. Il famoso XI capitolo del Tao Teh Ching, citato in apertura, racchiude in sé molto di più del semplice principio degli opposti; esso indica la supremazia di ciò che è contenuto, lo “spazio interno”. Il “non-essere” è l'essenziale, che si materializza così in una forma concreta. L'estetica architettonica del tardo XIX secolo presenta lo spazio come l'essenza stessa dell'architettura. Alcune tendenze artistiche dell'inizio del XX secolo, facendo riferimento alla saggezza del pensiero orientale, secondo cui la materia è al servizio del vuoto, perseguirono con forza la smaterializzazione della massa compatta, come, ad esempio, il movimento De Stijl. Ancora oggi le riflessioni di Lao-Tzu esercitano una forte influenza sugli architetti che riconoscono il vero potenziale dell'architettura nella dimensione immateriale e intangibile del vuoto3 [2]. A uno sguardo più attento, però, la citazione di apertura introduce un’altra questione di particolare interesse per l'architettura. Nella prima coppia di versi, l'assemblaggio dei raggi in un tutto può essere identificato come una forma “tettonica” [3]. Nella seconda coppia di versi, invece, lo spazio è creato scavando una massa di argilla [4]. Ciò suggerisce una qualità materiale e costruttiva denominata da Gottfried Semper come forma “stereotomica"4. Pertanto, la discussione sui due modi opposti di dare forma allo spazio in architettura (tettonico e stereotomico), che molti ritengono abbia avuto origine dalle riflessioni teoriche del XIX secolo, è in realtà un’intuizione precedente, risalente addirittura a più di 2500 anni fa. Nella terza coppia di versi, infine, è contenuto un ultimo pensiero dalla forte valenza contemporanea. Lao-Tzu aveva già sottolineato come lo spazio interno fosse più importante e necessario della sua controparte materiale, la massa. Così facendo, egli pone l'enfasi sulla fondamentale linea di separazione tra spazio interno e spazio esterno: la parete che li divide. Egli concepisce i vuoti prodotti dalle porte e dalle finestre come spazi di transizione che costituiscono il fondamento della forma architettonica. Probabilmente qui troviamo 3. Cfr.: A.I.T. Chang, The Existance of Intangible Content in Architecture Form, Princeton University Press, Princeton, 1956, è un’opera basata sulla filosofia di Lao Tzu e sulla sua applicabilità. A p. 9 si legge: “Attraverso la contemplazione non formale, sono portato a credere che è l'esistenza degli elementi intangibili, il negativo nelle forme architettoniche, ciò che le rende vive”. Vedi anche F. L. Wright, A Testament, Horizon Press, New York, c. 1957, p. 130; vedi anche, in questo volume, Parte Quarta, capitolo IX. 4. Cfr.: G. Semper, Der Stil in den Technischen und Tektonischen Künsten oder Praktische Ästhetik, F. Bruckmann, Monaco, 1879, vol. 2, p. 8.


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Rendere tangibile lo spazio

[2a] Spazio di transizione in un giardino cinese.

[2b] Louis I. Kahn, Ospedale Nazionale di Ayub, Dacca, Bangladesh.

[3] Grande Porta Meridionale del Todai-ji Temple di Nara, sezione trasversale. Forma tettonica.


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Parte prima. L’idea di spazio nella filosofia e nella scienza

[4b] Hans Hollein, Candle Shop, Vienna (1964-1965). Forma stereotomica in metallo.

[4a] Nel Shizi Lin di Suzhou. Forma stereotomica in argilla.

[5] Peter Eisenman, Casa III, Residence Miller, Lakeville, Connecticut (1974). Transizione di spazio interno-esterno.


Rendere tangibile lo spazio

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il primo tentativo scritto di interpretazione dell’idea di soglia come elemento di continuità spaziale, spostando l'attenzione dallo spazio interno a quelle parti dell'edificio che proiettano lo spazio interno verso l’esterno, argomento che, evidentemente, continua ad affascinare gli architetti contemporanei [5]. Poiché lo spazio esiste da entrambi i lati della parete e questo confine deve poter essere attraversato in qualche punto, separazione e connessione avvengono simultaneamente. Questa duplice nozione può essere interpretata in diversi modi. O, per un verso, il muro è fondamentalmente espressione dell’uso interno o, per l’altro, si può dire che esso abbia due facce: una interna e una esterna. Lao-Tzu non risolve in alcun modo il carattere duale della seconda ipotesi che, come nel mito di Giano, invece, ossessionò i teorici dell'architettura della fine del XIX secolo, quali Sitte e Sörgel, e il pensiero teorico di architetti come Louis Kahn, Robert Venturi o Charles Moore [6]. Le intuizioni di Lao-Tzu portano a teorizzare tre livelli gerarchici di spazio. Al primo livello, lo spazio è il risultato dell'assemblaggio tettonico; al secondo, la forma stereotomica confina in maniera più omogenea lo spazio; nell'ultimo, lo spazio di transizione stabilisce la connessione tra il mondo interno e quello esterno. Il poema di Lao-Tzu, mettendo in relazione la forma architettonica e una cosciente idea di spazio, rappresenta il primo esempio di un'estetica dello spazio. In esso si combinano un’attitudine di tipo morale (il Bene) e un giudizio estetico sulla forma (la Bellezza). La filosofia occidentale si è misurata con l'idea di spazio sin dai tempi più antichi ma solo alla fine del XIX secolo la teoria estetica cominciò ad applicare tale idea alla forma architettonica. Questa fase nella storia della teoria architettonica consentì di rivalutare Lao-Tzu come pensatore moderno.


Parte 2


L’idea di spazio nelle teorie architettoniche francesi e inglesi prima dell'inizio dei movimenti moderni


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Parte seconda. L’idea di spazio nelle teorie architettoniche francesi e inglesi prima dell'inizio dei movimenti moderni

[43] Étienne-Louis Boullée, Cenotafio di Newton (1784). Immagine dello spazio immenso e infinito.


[II]

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L'Accademia francese II: piano, sezione e assonometria isometrica

Jean-Nicholas-Louis Durand, discepolo di Boullée, portò avanti le discussioni teoriche che persistevano all'interno dell'Accademia francese. Egli attaccò sia Vitruvio sia Laugier, dichiarando che le proporzioni non derivano né dal corpo umano né dal primitivo rifugio e che l'imitazione non è il fine dell'architettura. Attaccò anche la dottrina tripartita di Blondel sostituendola con il suo sistema architettonico, che si può riassumere così: 1) gli “elementi” (muri, volte, fondazioni, ecc.); 2) la “composizione” (disposizione in pianta); 3) l'analisi funzionale, o “programma"1. Con questa triade Durand stabilì le regole dell'estetica funzionalista moderna. La bellezza fu identificata con la disposizione utilitaria per mezzo degli elementi, essendo la disposizione l'unica finalità dell'architetto. Secondo Durand, l'architettura doveva ridursi alla risposta a due questioni fondamentali. In primo luogo, come fare l'edificio più conveniente possibile con una determinata quantità di denaro e, in secondo luogo, date le esigenze, come costruire edifici al minimo costo. Di fatto, il concetto di disposizione di Durand corrisponde al concetto di distribuzione di Blondel. Egli identificò la disposizione con il tracciato funzionale delle attività programmate, la pianta [44], e non andò oltre. Durand non dimostrò alcun interesse per una percezione di tipo soggettivo e, nella sua teoria architettonica, l’idea di spazio non fu mai definita come principio estetico in modo esplicito. I corsi di architettura condotti da Julien Guadet all'École a partire dal 1894, seguivano esattamente il percorso tracciato da Durand circa un secolo prima. Guadet riprese la stessa divisione di elementi, composizione e programma senza porre in dubbio la pianta come essenza della composizione architettonica, in cui bellezza e utilità devono riconciliarsi2 [45]. Quando analizzava una pianta, egli iniziava quasi immediatamente con il fare la distinzione tra superfici 1. J. N.L. Durand, Nouveau Précis des Lecons d'Architecture, donato dall'autore all’Ecole Imperiale Polytechnique, Parigi, 1813, p. 23.

2. Cfr.: J. Guadet, Eléments et Theorie de l'Architecture, Librarie de la Construction Moderne, Parigi, 1902, vol. 1, pp. 2-3, 124. Sulla separazione tra circolazione e utilità, p. 117.


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Parte seconda. L’idea di spazio nelle teorie architettoniche francesi e inglesi prima dell'inizio dei movimenti moderni

[50] Sogn, Hopperstadt, Norvegia. Chiesa di legno (1130 circa). Analogia con la forma naturale del pino e con la coda di pesce.


[III]

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L'analogia con la natura: architettura viva

Tra i teorici che ebbero maggiore influenza sull'architettura europea del XIX secolo, John Ruskin fu l'emblema di una mentalità in forte contrasto rispetto alle tendenze presenti in Francia e in Germania nella stessa epoca. Sia dal punto di vista morale che percettivo, le sue teorie risultano particolarmente rilevanti, anche se indirettamente, per lo studio del tema dello spazio. A differenza di Kant e Hegel in Germania, o del suo connazionale Newton, la visione del mondo di Ruskin non era di tipo trascendentale. Ruskin non credeva nelle intuizioni a priori ma solo nella realtà concepita attraverso l'osservazione1. Anche se riconobbe il potere della conoscenza intellettuale, egli ritenne che la capacità della mente di comprendere le forme create dall'uomo, come gli edifici, fosse legata al modello della morfologia naturale. In questo senso si spiega la forma architettonica come rielaborazione di concetti già noti di cui si fa esperienza visiva osservando i fenomeni naturali [50]. A Ruskin era estranea una concezione di spazio a priori e credeva che le forme naturali potessero insegnare tutta la verità, i valori e le regole. Da questo punto di vista appare chiaro come egli si collochi all’interno della tradizione dell’empirismo inglese. Ruskin tentò di tracciare la relazione ideale tra bellezza e forma naturale e, dalle sue osservazioni dell'universo, dedusse immagini formali che potessero essere riportate sugli edifici. A titolo di esempio egli considerò l'arco a tutto sesto (la volta celeste), l'arco a sesto acuto (la foglia) e il capitello corinzio (le piante)2. Credeva, pertanto, che si potesse raggiungere la bellezza solo attraverso l'imitazione della natura e che le forme che non fossero state direttamente derivate dalla natura fossero brutte3. Inoltre, era convinto che tutte le regole che si riferiscono al luogo, alla posizione e all'esatto colore degli ornamenti si potessero trovare rappresentate nell'ambiente naturale circostante. 1. Cfr.: J. Ruskin, The Seven Lamps of Architecture (1848), The Noonday Press, New York, 1971, p. 16, dove si legge: “L'architettura è l'arte che acconcia e adorna gli edifici eretti dall'uomo per qualsiasi impiego, in modo che il vederli possa contribuire alla salute, al vigore e al piacere intellettuale”. 2. Ivi, p. 100. 3. Ivi, p. 101.


Parte 3


L’idea di spazio nella teoria architettonica tedesca, 1850-1930


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Parte terza. L’idea di spazio nella teoria architettonica tedesca, 1850-1930

[78] Antoni Gaudí, Casa Milà (1906-1910), dettaglio della facciata.


[VI]

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L'astrazione e la paura dello spazio

Il trattato di Wilhelm Worringer, Astrazione e empatia1, pubblicato nel 1908, è un'opera chiave nella drammatica opposizione, che avviene nella mente dell'uomo, delle forze vitali menzionate in precedenza. Come per gli scritti di Lipps, la teoria dell'empatia in estetica fu argomento centrale dell’opera di Worringer. Tuttavia, egli credeva che la sola teoria dell'empatia non bastasse a spiegare l'opera d'arte. Dalla teoria di Lipps derivò l'impulso per l'astrazione, forza che egli considerava antagonista all'empatia. Entrambi gli impulsi contrari, spiegava, rispondono alla necessità umana di soddisfare l’assoluta e primordiale Kunstwollen (volontà artistica), tesi centrale di Riegl. I tre agenti di “finalità”, “materia prima” e “tecnica” di Semper non potevano essere alla base della genesi artistica; solo il compimento della volontà artistica di un'epoca era in grado di produrre il livello più alto di bellezza: Il valore di un'opera d'arte, ciò che chiamiamo la sua bellezza, risiede nella sua capacità di donare felicità. Ogni stile rappresenta la massima concessione di felicità del gruppo umano che lo ha creato. Ciò che, dal nostro punto di vista, appare essere la maggiore distorsione, deve essere stata, al momento della sua creazione, la bellezza e la realizzazione più alta della volontà artistica.2 Da un lato l'empatia rappresentava il desiderio umano per le forme organiche e naturalistiche, come si può vedere, per esempio, nell'opera di Gaudí [78]. Dall'altro lato, l'astrazione si manifestava come impulso per la geometria inorganica, cristallina, stilizzata. Ciò nonostante, l'architetto Victor Horta dimostrò che anche le forme organiche possono essere astratte [79]. L'impulso per l'empatia proviene da “una felice e panteistica relazione di fiducia tra l'uomo 1. W. Worringer, Abstraction and Empathy. A Contribution to the Psychology of Style, World Publishing Co., Ohio, 1967; pubb. orig. in tedesco, 1908. 2. Ivi, p. 13;


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Parte terza. L’idea di spazio nella teoria architettonica tedesca, 1850-1930

e i fenomeni del mondo esterno”. L'impulso per l'astrazione è il risultato di “una grande agitazione interna provocata nell'uomo dai fenomeni del mondo esterno”. A questo proposito Worringer aggiunge che la negazione dell'idea di spazio, la paura dello spazio, evoca un impulso per l'astrazione. Egli ritenne che l'astrazione fosse il risultato dell'“immensa paura spirituale per lo spazio” subita dall’uomo e spiegò il fenomeno dell'agorafobia menzionato in precedenza come “un residuo di una normale fase dello sviluppo dell'uomo in cui quest’ultimo non era ancora in grado di fidarsi interamente delle impressioni visive come mezzo di familiarizzazione con lo spazio esteso dinnanzi a se, dipendendo ancora dalle certezze del senso tattile”. L'uomo si confronta con un “mondo di fenomeni esteso, disconnesso e sconcertante”, ovvero con il caos. Sentendosi tormentato e perso nell'universo, l'uomo fu soggetto a un “immenso bisogno di tranquillità, eliminando l'arbitrarietà del mondo esterno, purificandolo fino al suo valore assoluto”. Questo stato di felicità che l'uomo soddisfaceva attraverso il mondo dell'arte, gli venne offerto dall'astrazione. Secondo Worringer, le conseguenze di questa tendenza interiore furono duplici. In primo luogo, la riduzione a un “piano” di tutte le rappresentazioni artistiche e, in secondo luogo, la soppressione della rappresentazione dello “spazio”. A questo punto, Worringer approfittò appieno del concetto di rilievo di Hildebrand, il quale riteneva che fosse compito dell'artista eliminare dal “cubico la sua qualità agonizzante”3. Fu proprio il riconoscimento di questa assoluta purificazione del piano che portò il pittore astratto Mondrian alla sua visione artistica [80]. In questo senso, le teorie di Worringer ebbero grande importanza per la nascita della pittura astratta e per la creazione dello spazio astratto. Worringer fu un esponente di quello strano miscuglio di ottimismo e pessimismo che permeava la cultura europea alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Il suo punto di vista sulla volontà artistica sembrava essere piuttosto negativo, come un'evasione. La sua tesi iniziale sosteneva che “il piacere estetico è la concretizzazione dell’appagamento del sé”, ma presto si trasformò in “alienazione del sé”, e non nella realizzazione del sé proiettata all’esterno di un uomo che ordina il mondo trasformandolo nella sua dimora secondo un punto di vista esistenziale. Assieme a Schopenhauer, Worringer fuggì dall’impenetrabile mondo di Maya verso le alte sfere del Nirvana4. La concretizzazione del sé diviene ora una via di fuga per l’immaginario mondo della felicità, liberando il genere umano dall'angoscia del caos che lo circonda.

3. Ivi, pp. 22-23.

4. Ivi, p. 18, dove si riferisce a Schopenhauer.


L'astrazione e la paura dello spazio

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Le argomentazioni di Worringer sono valide per comprendere i contraddittori punti di vista dell’uomo sul mondo e trattano della lotta dell'uomo contro i fenomeni. Questa tragedia non avrà mai termine, almeno fintanto che i contrasti tra lo spazio e la massa continueranno a essere legati al complesso delle contraddizioni psico-fisiologiche dell’uomo stesso. [79] Victor Horta, Hotel Tassel, Bruxelles (1892-1893), scala.

[80] Piet Mondrian, composizione con piani di colore su sfondo bianco, A (1917).


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Parte terza. L’idea di spazio nella teoria architettonica tedesca, 1850-1930

[81] Camillo Sitte, Piazza del Duomo di Ravenna, pianta schematica (1889). Le visuali sono interrotte dagli edifici, aumentando l’impressione di spazio interno.

[82] Camillo Sitte, Piazza di Braunschweig, pianta schematica (1889). Spazio urbano raccolto. Le visuali sono interrotte, ogni spazio si configura come un’entità limitata.


[VII]

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Concavità e convessità: la doppia faccia dello spazio architettonico

Una delle più interessanti teorie riguardo l'idea di spazio fu quella dell'architetto e urbanista viennese Camillo Sitte. Come architetto egli non ebbe molta fama e la sua importanza è interamente dovuta alle sue teorie sulla pianificazione urbana. Nel 1889 pubblicò la famosa opera L'arte di costruire le città1, che sollevò controversie ancora irrisolte. Sitte era inorridito dai rigidi e implacabili disegni urbani delle città dei suoi tempi, controllate interamente, per lo meno in Europa, dagli ingegneri civili. Alla ricerca di un miglioramento, egli esaminò appassionatamente gli spazi urbani del passato che avevano avuto successo [81] [82] tentando di derivare da essi i principi generali che potevano essere alla base della loro bellezza. Sitte credeva che una volta compresi tali principi, essi potessero essere nuovamente applicati conseguendo risultati altrettanto ammirabili2. Egli era interessato alla ricerca della qualità spaziale. La tendenza alla purificazione, riconoscibile nelle teorie di Semper, Berlage e Loos, era generalmente limitata agli spazi architettonici interni agli edifici. L'interesse di Sitte, al contrario, era rivolto agli spazi aperti, alle piazze. Esattamente come i teorici dell'architettura appena menzionati, Sitte non era interessato all'eclettismo degli spazi urbani, ma alle sottese qualità valide in ogni tempo. Il suo esame degli spazi esterni spaziava dall'agorà greca alla cour d'honneur del Barocco francese e a partire da questi esempi fu in grado di dimostrare principi artistici congruenti. Sitte si limitò volutamente alle qualità artistiche degli spazi esterni e fu soprattutto grazie a lui che la distinzione tra spazio interno e spazio esterno, dal punto di vista dell'estetica dello spazio, divenne irrilevante. Schmarsow, per esempio, che fu il primo a teorizzare l'idea di spazio in ambito artistico, deve aver subito l'influenza di Sitte nell'accettare gli spazi senza copertura, il suo concetto

1. C. Sitte, City Planning According to Artistic Principles, G. R. Collins e C. C. Collins (trad. di), Random House, New York, 1965, pubb. orig. in tedesco, 1889. 2. Ivi, p. XV.


Parte 4


L’idea di spazio nei movimenti moderni, 1890-1930


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[189] Frank Lloyd Wright, Tempio Unitario, Oak Park, Chicago, III. (1906). Pubblicato in Ausgeführte Bauten (1911).

[190] Robert van’t Hoff, Villa Bosch a Duin, Huis ter Heide (1911-1912).

Parte quarta. L’idea di spazio nei movimenti moderni, 1890-1930


[IX]

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Wright e la terza dimensione

Il vigore della “forma compatta chiusa” che aveva inizialmente regolato le attività industriali e architettoniche della Werkbund tedesca iniziò gradualmente a declinare, in particolar modo dopo che gli architetti dell’Europa occidentale conobbero il lavoro di Frank Lloyd Wright, grazie alla celebre pubblicazione Ausgeführte Bauten edita da Ernst Wasmuth nel 1911 [189]. La “distruzione [organica] della scatola”1, come, molti anni dopo, Wright soleva chiamare le caratteristiche formali della sua architettura, entusiasmò gli architetti dell'avanguardia europea, inducendoli a sostituire la scatola compatta, che fino ad allora aveva costituito l’ideale architettonico, con piani aggettanti e compenetranti [190]. Nel 1911, Berlage si affrettò a visitare gli Stati Uniti per avere una diretta esperienza del lavoro di Wright e, rientrato in Olanda, affermò con entusiasmo che Wright era indubbiamente il più grande architetto vivente, onore in gran parte attribuitogli per il suo magistrale utilizzo della “terza dimensione”. Poiché Wright fu riconosciuto sia dagli espressionisti sia dai neoplasticisti come architetto di grande influenza sull’architettura Europea occidentale, sarà interessante dedicare alcune pagine alla sua estetica dello spazio. È importante notare che Wright non parlò mai di una sua idea di spazio, né Berlage riuscì a mettere in relazione il lavoro e gli scritti di Wright alla sua nuova idea, sebbene, già dal 1905, egli fosse un architetto teorico che si occupava dell'idea di spazio. L'unica indicazione che abbiamo a tale riguardo è ciò che Berlage racconta su uno studente di Sullivan che, nel 1911, facendogli da guida a Chicago, definì la caratteristica plasticità della Unity Church di Wright come forma"tridimensionale”, termine che in quel periodo sembra essere stato di uso comune nella Scuola di Chicago2. Al di la di questo aneddoto, la filosofia architettonica di Wright antecedente alla Prima Guerra Mondiale, riflette un interesse per aspetti principalmente 1. F.L. Wright, The Distruction of the Box (1952), in E. Kaufmann, B. Raeburn (a cura di), Frank Lloyd Wright, Writings and Buildings, World Publ. Co., New York, 1960. 2. Cfr.: H.P. Berlage, Amerikaanse Reisherinneringen, cit., p. 45.


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Parte quarta. L’idea di spazio nei movimenti moderni, 1890-1930

genetico-materialisti della forma così come per un atteggiamento ricettivo di fronte alla natura e ai materiali naturali ma, certamente, non nei confronti delle idee dell’estetica hegeliana riguardanti il contenuto della forma. Ciò spiega, per esempio, le note di disappunto di J. J. P. Oud del 1925 nei confronti degli architetti olandesi che, secondo lui, imitavano Wright più per le sue innovazioni formali che per le sue idee spirituali3. Oud aveva perfettamente compreso che il movimento architettonico neoplastico, al quale apparteneva, era nato da due fonti: da una parte, dalla grammatica formale americana di Wright e, dall’altra, dallo Zeitgeist artistico europeo, lo spirito dell’epoca in cui lo spazio appare come la “volontà artistica” (Kunstwollen) di Riegl, e che trovò la sua espressione nella pittura e scultura cubista. Per ciò che concerne l'idea di spazio, le osservazioni di Oud furono corrette, poiché le idee cubiste sulla “simultaneità” e sullo “spazio-tempo” si svilupparono nel continente europeo indipendentemente dai contributi plastici di Wright a Chicago. Tuttavia, l'influenza formale che gli affascinanti edifici di Wright esercitarono sui movimenti moderni dell'architettura europea fu, a volte, considerata molto più importante delle ideologie pittoriche cubiste4 [191 e 192]. Durante gli anni Venti, cioè durante l'“età dell'oro” dell'idea di spazio nell'Europa occidentale, Wright sviluppò un’architettura che dimostrava grande interesse per la forma, il massimo dell’espressione della massa e dei volumi chiusi, dal compatto carattere precolombiano [193]. Quest’ultimo è il periodo della carriera di Wright che spesso identifichiamo come un periodo di decadenza. Verso la fine degli anni Venti, Wright divenne consapevole degli ultimi traguardi europei poiché, non solo rispettò gli aspetti formali dell'allora dominante architettura De Stijl ma la sua filosofia iniziò ad assorbire anche idee spaziali tipicamente tedesche. Nel 1928 egli iniziò una dura lotta contro l'International Style europeo e, in particolare, contro Le Corbuiser. Probabilmente il suo attacco più feroce è quello pubblicato in un articolo intitolato In the Cause of Architecture nel quale Wright sostiene, ancora una volta, che la natura dei materiali è l'unica fonte d’ispirazione capace di condurre a un'espressione organica. Così, in modo passionale, Wright avvertì che non si costruisce per la “macchina”, né che la casa dovrebbe essere considerata come una “macchina”. Tali considerazioni

3. Cfr.: J.J.P. Oud, Der Einfluss von Frank Lloyd Wright auf die Architektur Europas (1925), in Holländische Architektur, A. Langen, Monaco, 1926, pp. 78-83.

4. Cfr.: V. Scully, Frank Lloyd Wright (1960), Braziller, New York, 1969, p. 23, dove si scrive: “A mio parere, lo stesso movimento olandese De Stijl doveva essere più riconoscente ai dettagli a banda interconnessa e ai volumi plastici di Wright che al cubismo francese”.


Wright e la terza dimensione

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[191] Frank Lloyd Wright, Midway Park, Chicago, III. (1914), veduta generale. Decomposizione di piani che influenzò gli architetti De Stijl.

[192] Jacobus Johannes Pieter Oud, progetto per una fabbrica, Purmerend (1919). Qui si può osservare l’influenza di F. L. Wright più che l'impronta cubista.

[193] Frank Lloyd Wright, Villa Barnsdall, Hollywood, California (1920). Volumi chiusi di forte carattere precolombiano.



E. Chillida, “Il limite e lo spazio�, Christian Marinotti Edizioni.


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La forma dell'aria Note a margine sulla tradizione dell'amor vacui di Francesco Cacciatore

Non vidi il vento vidi muoversi le nuvole Non vidi il tempo vidi cadere le foglie1 Eduardo Chillida, 1994 “Quando costruiamo non facciamo altro che staccare una quantità conveniente di spazio, isolarla e proteggerla, e tutta l’architettura deriva da questa necessità”2. L’indagine di Cornelis van de Ven sembra prendere forma a partire da riflessioni come questa. Una frase pronunciata da Louis Kahn nel 19573, in particolare, stimola la curiosità dell’olandese per il concetto di spazio tanto da diventare, per sua stessa ammissione, la base di partenza del suo ragionamento. D’altronde, quanto il percorso di ricerca dell’autore sia debitore nei confronti dell’opera e del pensiero del Maestro americano lo testimonia la parte introduttiva del libro, in cui il nome di Kahn viene più volte menzionato. Iniziando questa breve riflessione critica su Lo spazio in architettura, pertanto, sembra utile chiarire alcuni aspetti che riguardano tale riferimento. 1. In: Eduardo Chillida, Lo spazio e il limite. Scritti e conversazioni sull’arte, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2010, p. 44.

2. Questa frase del 1914, attribuita allo storico dell’architettura inglese Goffrey Scott, rivela come questi concetti si diffondono nel panorama culturale europeo nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. In: Stephen Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna, 1995, p.196. Una citazione più estesa del testo di Scott è contenuta anche in: Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura. Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura, Giulio Einaudi editore, Torino 1948, pp. 134-136.

3. “L’architettura è la meditata creazione di spazi. (…) Il continuo rinnovamento dell’architettura deriva dall’evoluzione del concetto di spazio”. Vedi: Louis Kahn, L’architettura è la meditata creazione di spazi, in: “Perspecta”, n. 4, 1957; trad. it. in: Christian Norberg-Schulz, Louis Kahn. Idea e Immagine, Officina Edizioni, Roma, 1980, pp. 66-67.


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Verso i primi anni ’70, dopo gli studi compiuti in patria, il giovane van de Ven, sostenuto e incoraggiato da Jacob Bakema4, si trasferisce in America con l’idea di completare la sua formazione. Qui, presso l’Università della Pennsylvania, a Philadelphia, ha l’occasione di studiare con Louis Kahn che, sia indirettamente, attraverso il suo lavoro e i suoi scritti, sia direttamente, attraverso le sue lezioni e l’intenso dialogo che notoriamente stabiliva con gli studenti, lo indirizza verso un Dottorato di ricerca sul tema dello spazio in architettura. Questo lavoro, purtroppo, viene ultimato solo dopo la morte improvvisa dell’architetto americano, avvenuta nel 19745. Anche se non conosceremo mai il giudizio di Kahn sull’esito di questa ricerca, sembra proprio che il suo contributo, seppure solo di indirizzo, abbia portato molta fortuna. Lo scritto di van de Ven, infatti, viene pubblicato in Olanda tre anni dopo, nel 1977, presso le edizioni van Gorcum di Assen6, e da quel momento conosce numerose edizioni e traduzioni. Come lo stesso autore precisa nell’introduzione al volume, nel 1981 vedono la luce l’edizione spagnola7 e quella giapponese e, nel 1991, quella indonesiana. Questa traduzione italiana, che arriva a quarant’anni dalla versione originale, va a colmare una lacuna incomprensibile vista la centralità del tema nel dibattito architettonico contemporaneo e calcolato il ruolo di alcune figure chiave del Novecento italiano, cui più avanti avremo modo di accennare, all’interno di quella che può essere considerata una vera e propria tradizione dell’amor vacui8. Con tale espressione si allude alla fitta schiera di filosofi, teorici, storici dell’arte, psicologi, artisti e architetti che, nel corso degli ultimi due secoli, 4. Jacob Berend Bakema, è stato un architetto olandese vissuto durante il XX secolo. Il suo contributo professionale si sviluppa all’interno dello studio associato Van de Broek & Bakema di Rotterdam, presso cui van de Ven trascorre da giovane un periodo di lavoro. Molto noto è il suo ruolo all’interno del gruppo Team 10, nato nell’ambito dell’esperienza dei CIAM e poi sopravvissuto autonomamente, che egli contribuì a fondare, alimentandone il dibattito interno con la partecipazione a tutti gli incontri organizzati. Il suo ruolo nell’ambito di questa organizzazione fu talmente importante che la stessa fine del Team 10 viene fatta coincidere, convenzionalmente, con la morte dell’architetto olandese, avvenuta nel 1981. 5. Louis Kahn fu trovato morto nella toilette della Pennsylvania Station di New York il 17 marzo del 1974. Egli rientrava da un viaggio in India, dove si recava periodicamente a controllare i cantieri delle diverse opere che, all’epoca, stava realizzando in quei luoghi. 6. Vedi: Cornelis van de Ven, Space in Architecture, Van Gorcum, Assen 1977.

7. Vedi: Cornelis van de Ven, El espacio en arquitectura, Ediciones Catedra, Madrid 1981.

8. L’espressione, letteralmente “amore per il vuoto”, seppure poco utilizzata, è qui intenzionalmente adoperata in contrapposizione a quella più nota di horror vacui, letteralmente “orrore del vuoto”. Con quest’ultima frase si esprime un concetto fondamentale della fisica aristotelica che, in polemica con la fisica democritea, asseriva l’inesistenza di spazi vuoti (natura abhorret a vacuo, “la natura rifugge il vuoto»). Fonte: Dizionario Enciclopedico Treccani, voce Horror vacui.


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hanno posto al centro della propria riflessione un’idea di architettura orientata verso la dimensione dello spazio cavo e del vuoto piuttosto che della massa e della materia solida. Questa tradizione, che in filosofia può essere fatta risalire al pensiero di Hegel e in architettura si segnala a partire dal pensiero teorico di Gottfried Semper, pur essendo piuttosto recente, ha alle spalle un’ampia riflessione propedeutica sviluppatasi nel corso di secoli in ambito filosofico e scientifico. Proprio questo percorso coincide con il racconto della prima parte del libro che, nonostante sia considerata dall’autore una sorta d’introduzione ai più consistenti argomenti successivi, rappresenta una delle sezioni più affascinanti della ricerca. Viene tracciato, infatti, a piccole tappe, tutto il percorso di sviluppo del concetto di spazio reperibile nell’opera dei principali filosofi e scienziati, dall’antichità fino al Novecento. La narrazione si concentra sul dualismo fra dimensione materiale e immateriale dell’architettura in relazione all’idea di spazio: il vuoto, interpretato in termini di non-essere, comincia a esistere con una connotazione positiva nell’antica filosofia orientale, a partire dal Tao Te-Ching di Lao-Tzu9, per poi materializzarsi in ambito occidentale con il pensiero di Platone e Aristotele e di nuovo rendersi più rarefatto, incorporeo, a partire dalle speculazioni hegeliane che innescheranno il dibattito ottocentesco sull'opera d'arte totale e sul ruolo dell'architettura all'interno di questo scenario. Un’idea di vuoto inteso in senso positivo e distante da connotazioni negative di stampo nichilista, pertanto, è il fulcro intorno al quale si sviluppa tutta la ricerca di van de Ven. Da questo punto di vista non si spiega l’esclusione dalla trattazione della posizione atomistica di Leucippo, Democrito e Lucrezio10. Questi filosofi, ancora prima della scuola ateniese, avevano fondato la propria dottrina intorno all’esistenza di un vuoto incorporeo che permette agli atomi in movimento di generare l’intera realtà fisica in divenire. Su questa visione integralmente immateriale prevale, invece, l’ambito delle speculazioni 9. Vedi la Parte Prima, cap. I, di questo libro. Per un approfondimento sulla visione del vuoto all’interno del vasto scenario delle filosofie e delle religioni orientali vedi: Giangiorgio Pasqualotto, Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d’Oriente, Marsilio Editori, Venezia 1992.

10. L’atomismo è una concezione filosofica secondo la quale la realtà è composta di atomi, cioè di particelle indivisibili che eternamente si muovono nello spazio vuoto, le quali, aggregandosi e disaggregandosi, danno origine a tutti corpi e al loro divenire. Introdotto nell’antichità da Leucippo e dal suo allievo Democrito, esso fu ripreso da Epicuro e si diffuse nel mondo romano grazie al De rerum natura di Lucrezio. Con l’avvento del metodo scientifico, nel XVII secolo, la concezione atomistica ricevette una formulazione di tipo quantitativo, mentre la fisica più recente e quella quantistica, confutando l’idea di indivisibilità dell’atomo, ne sancisce la crisi definitiva. Fonte: Dizionario Enciclopedico Treccani, voce Atomismo.


La forma dell'aria

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platonico-aristoteliche in cui lo spazio cavo acquisisce la materialità sia pure più rarefatta dell’aria11. Proprio grazie a questa nuova consistenza il vuoto diventa suscettibile di manipolazioni e trasformazioni e guadagna la possibilità di prendere forma. Per spiegare meglio questo passaggio fondamentale della ricerca, su cui si fonda tutta la visione occidentale dell’idea di spazio, si può fare riferimento alla metafora chillidiana riportata in apertura. L’aforisma rappresenta, allo stesso tempo, sia l’idea d’inafferrabilità dello spazio interpretato in termini di vuoto sia la necessità di un dispositivo, di un mezzo attraverso il quale questa sostanza senza corpo si possa manifestare. La frase, indubbiamente, può essere messa in relazione con una delle opere più paradigmatiche dello scultore basco: i Pettini del vento di San Sebastian, del 1977. Le possenti tenaglie metalliche collocate nel punto di confine tra la terra e l’acqua, nell’aria turbinante dell’Atlantico, cercano invano di afferrare una sostanza tanto reale quanto indomabile e volatile, alla quale sembra impossibile dare forma se non attraverso l’imposizione di un limite: “Il limite è il vero protagonista dello spazio; come il presente, altro limite, è il vero protagonista del tempo”12, aggiunge, infatti, Chillida, regalandoci, attraverso l’immagine dei pettini di San Sebastian, una delle più lucide metafore dell’idea di architettura. Anche van de Ven va rintracciando, nel libro, una visione dello spazio inteso come possibilità di dare forma all’aria confinandola attraverso il vincolo di un limite. Questa nozione appare evidente a partire dalla Terza Parte della trattazione, quando entra in gioco la stagione dei teorici tedeschi, sviluppatasi dal 1850. Personaggi come Gottfried Semper, Robert Vischer, Adolf von Hildebrand, Alois Riegl, Camillo Sitte, August Schmarsow e altre figure hanno avuto il merito di spostare l’attenzione sull’idea di spazio da ambiti extra-disciplinari come quello filosofico e scientifico verso il campo dell’arte e dell’architettura. Come sempre la riflessione si sviluppa dapprima in filosofia con la nascita dell’Estetica moderna, a partire dal pensiero di Kant e Hegel, e, ancora una 11. L’associazione tra l’idea di spazio e la consistenza dell’aria non è nuova nell’ambito delle riflessioni teoriche sull’argomento. Alberto Campo Baeza, in particolare, riferisce un antico proverbio andaluso di origine araba che recita: “Per fare una casa si afferra una manciata d’aria confinandola con alcune pareti”. Vedi: Alberto Campo Baeza, Un puñado de aire, in: “2G” n. 28, Aires Mateus, Editorial Gustavo Gili, Barcellona 2004, pp. 46-47. Per un approfondimento su quest’argomento vedi anche Francesco Cacciatore, L’animale e la conchiglia. L’architettura di Manuel e Francisco Aires Mateus come dimora del vuoto, in: Carlotta Tonon (a cura di), L’architettura di Aires Mateus, Mondadori Electa, Milano 2011. 12. Vedi: Eduardo Chillida, Lo spazio e il limite, op. cit., p. 35.



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