a Francesco Garofalo, come un fratello maggiore
Direzione e cura Mauro Marzo Comitato scientifico Bruno Messina Luca Ortelli Antonio Tejedor Cabrera
10. Collana Figure Brevi saggi di carattere monografico su architetti e artisti del passato e del presente. Gli autori sono architetti impegnati nel progetto e nell’insegnamento del progetto. I saggi intrecciano corrispondenze tra architetti e artisti lontani nello spazio e nel tempo, narrano quelle “affinità di spirito in relazione alle forme” su cui Henri Focillon ha scritto pagine memorabili.
ISBN 978-88-6242-363-2 Prima edizione italiana maggio 2019 © LetteraVentidue Edizioni © Federico Bilò Come si sa la riproduzione, anche parziale, è vietata. L'editore si augura che avendo contenuto il costo del volume al minimo i lettori siano stimolati ad acquistare una copia del libro piuttosto che spendere una somma quasi analoga per fare delle fotocopie. Anche perché il formato tascabile della collana è un invito a portare sempre con sé qualcosa da leggere, mentre ci si sposta durante la giornata. Cosa piuttosto scomoda se si pensa a un plico di fotocopie. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico: Francesco Trovato Impaginazione: Martina Distefano Finito di stampare nel mese di maggio 2019 LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia www.letteraventidue.com
Federico Bilò
Le indagini etnografiche di
Pagano
Indice ***
11
Introduzione
Architettura e Antropologia 25
La ricerca sull’Architettura Rurale Italiana 39
Quattro scritti del 1935 51
Il libro e la mostra 59
Eco critica dell’evento 69
Etnografia visiva 83
Le fotografie di Pagano 103
Significati della ricerca di Pagano 115
Architettura/Non-architettura 133
Senso comune e sapere specialistico 149
Epilogo
AttivitĂ duale: traduzioni dalla Non-architettura 175
Apparati
Architettura e Antropologia Introduzione
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D
a alcuni anni cerchiamo di individuare le relazioni che intercorrono o potrebbero intercorrere tra l’architettura e l’antropologia1. E questo cercare è generato da qualcosa di più di un disagio, quasi da un fastidio, cui l’antropologia, nell’ipotesi di lavoro, potrebbe porre rimedio. Fastidio per la deriva di molta, troppa architettura di questi anni pesantemente segnati dalla globalizzazione, che hanno prodotto un più che dubbio esperanto architettonico, spesso inadeguato, pretenzioso e noioso. Il fastidio del quale parliamo non è nuovo, anche se nuove sono le sue attuali dimensioni. Qualcosa di simile già si percepiva verso la fine degli anni Cinquanta quando, sotto la spinta di quello che allora veniva definito Internazionalismo, l’architettura veniva ridotta a un tecnocratico problem-solving. Tra quelli che reagirono contro questo fastidio, ricordiamo quasi tutti gli esponenti del Team 10 e alcuni architetti a esso vicini, come James Stirling, Herman Hertzberger e Oswald Mathias Ungers; a modo suo, Bernard Rudofsky; e poi, ancora, parecchi architetti italiani, tra i quali Aldo Rossi. Le reazioni furono diverse, ma alcune condivisero la convocazione dell’antropologia come antidoto: in questo, pensatori per altri versi inconciliabili, come Aldo Van Eyck e lo stesso Aldo Rossi, presentano inaspettate consonanze. L’interesse per l’antropologia e la volontà di avvicinare a questa disciplina l’architettura, derivano dalla 1. Lungo tutto il testo, per Antropologia si intende sempre l’Antropologia Culturale.
11
La ricerca sull’Architettura Rurale Italiana ***
C
onsideriamo due affermazioni, una di un architetto, l’altra di un antropologo, per dare immediata concretezza all’intenzione di coniugare queste due discipline. L’architetto è Giancarlo De Carlo, che afferma: «Pagano aveva cominciato ad attaccare con violenza Piacentini e tutti gli accademici fascisti. Aveva anche cominciato a pubblicare i suoi articoli sull’architettura rurale (che poi sono stati raccolti in un libro). Sosteneva che la nostra vera tradizione non era quella romana, come proponevano gli architetti del regime, ma quella dell’architettura spontanea, che lui andava in giro a scoprire e fotografare con una Rollei 6 x 6»1. In poche righe, con la consueta lucidità, De Carlo individua tutti i capisaldi della vicenda: ci dice che Pagano oppone alla tradizione aulica dell’accademismo e della retorica fascista, una diversa e alternativa tradizione: quella del costruito spontaneo e rurale; che tale opposizione impiega vari strumenti: degli scritti (principalmente su «Casabella») e delle fotografie; che tali fotografie furono scattate da Pagano stesso, il quale girava in lungo e in largo l’Italia munito della sua macchina fotografica. Pagano, dunque, lavora sul campo: cerca, trova, esamina, comprende, documenta. E documenta attraverso le sue fotografie. L’antropologo è Francesco Faeta, che afferma: «all’interno del campo antropologico, la fotografia 1. F. Bunčuga, Conversazioni con Giancarlo De Carlo. Architettura e libertà, Elèuthera, Milano 2001, p. 43.
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Palazzo dell’Arte di Milano, pianta parziale del corpo aggiunto per la VI Triennale, su progetto di Giuseppe Pagano. Con il n.14 è indicata l’area destinata alla mostra sull’Architettura Rurale Italiana.
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Allestimento della mostra.
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Le fotografie di Pagano ***
D
obbiamo ora chiederci perché Pagano basi la sua ricerca sulla fotografia. È lui stesso a fornirci la risposta, quando scrive: «alla fotografia ho dovuto dedicarmi quasi per forza, quando ho iniziato lo studio della casa rurale italiana. Per raccogliere rapidamente molto materiale documentario su questo argomento, ho scartato subito ogni sistema di illustrazione a disegno perché troppo lento, soggettivo e non scientifico»1. Ripetiamo che fu questa vicenda a indurre Pagano a fotografare in maniera continuativa, a farne un fotografo; e le affermazioni ora citate consentono di fare alcune considerazioni. In primo luogo rileviamo, come già De Seta2, la distanza di Pagano dalle posizioni a suo tempo espresse da Le Corbusier, pressoché inverse: lo svizzero considerava la macchina fotografica uno “strumento di pigrizia”, benché ne facesse ampio uso, come recentemente dimostrato da Tim Benton3. In secondo luogo ricordiamo come De Seta avesse pure evidenziato l’influenza su Pagano di Moholy-Nagy attraverso Pittura Fotografia Film, ottavo dei Bauhausbucher, abbastanza diffusi a Milano negli anni Trenta. Infine, osserviamo quanto la pretesa oggettività – vorremmo dire la Sachlichkeit – attribuita da Pagano alla fotografia 1. G. Pagano, Un cacciatore d’immagini, in «Cinema», dicembre 1938. Poi anche in «costruzioni-casabella» nn. 195/198, dicembre 1946, Fascicolo speciale... cit. 2. Cfr. C. De Seta, Introduzione, in C. De Seta (a cura di), Giuseppe Pagano Fotografo, Electa, Milano 1979, catalogo della mostra tenutasi a Bologna e a Roma nella primavera del 1979. 3. T. Benton, Le Corbusier Secret Photographer, Lars Muller, Zurich 2013.
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Riproduzione della copertina del libro di Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel, Architettura Rurale Italiana.
94
Riproduzione dell’Introduzione del libro di Pagano e Daniel.
95
Riproduzione della p. 107 del libro di Pagano e Daniel.
100
Riproduzione della p. 120 del libro di Pagano e Daniel.
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