Giancarlo De Carlo nel centenario

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Indice 9

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Prefazione Michelangelo Russo Introduzione Gemma Belli e Fabio Mangone Architettura: un pensiero complesso Permeabile alla libertà. L’architettura di Giancarlo De Carlo Antonella Barbato

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La progettazione processo di Giancarlo De Carlo. Forma e indeterminazione nell’architettura contemporanea Grazia Pota

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La spazializzazione dell’uso e delle relazioni. Giancarlo De Carlo e i corpi che abitano lo spazio Vincenzo Valentino

55

Imparare da De Carlo. Il “pensiero complesso” come lezione da/per ricostruire Giovangiuseppe Vannelli

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77

Relazioni e “traduzioni” De Carlo e il disegno della città. Affinità metodologiche con la tesi di laurea di Salvatore Bisogni e Agostino Renna Gennaro Di Costanzo La “modernità” per Giancarlo De Carlo e il raffronto con l’architettura di Frank Lloyd Wright Vincenzo Esposito


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Verso un’alternativa nel solco del Moderno. Giancarlo De Carlo e il Movimento di Studi per l’Architettura Alberto Terminio

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Patrick Geddes attraverso l’opera di Giancarlo De Carlo. Diffusione e sperimentazione del pensiero geddesiano in Italia Giovanni Spizuoco

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Architettura e partecipazione Architettura partecipata negli spazi dell’abitare. L’opera di De Carlo verso una “rivoluzione culturale” Francesca Buglione L’architettura prima della partecipazione. L’esperienza INA-Casa di Giancarlo De Carlo Ermanno Bizzarri Città e territorio De Carlo, la città e il territorio Cinzia Didonna

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Il disegno del territorio come matrice della città: pensiero e progetto di Giancarlo De Carlo Veronica Marino

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Il territorio in pericolo Monica Esposito

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Innesti, restauri e riusi Architettura e libertà. Tessitura dell’antico e innesto del contemporaneo nell’opera di De Carlo Bianca Maria Rodriguez


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Dall’esperienza ligure di De Carlo al restauro dei nuclei minori abbandonati dell’Irpinia. Approcci, criteri e scelte metodologiche per il restauro post-sisma di borghi storici Luigi Cappelli

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La riqualificazione delle aree interne come disvelamento della qualità insediativa: il Borgo di Colletta di Castelbianco Francesca Ciampa

227

Giancarlo De Carlo e il recupero del monastero di San Nicolò L’Arena a Catania. L’intervento sulla preesistenza come strumento di riqualificazione urbana Sara Iaccarino

243

Il ruolo della preesistenza nella pratica urbanistica di Giancarlo De Carlo. L’esperienza del Piano Particolareggiato per il Centro Storico di Rimini Valentina Allegra Russo

255

Il progetto di riuso nell’opera di Giancarlo De Carlo Maria Giovanna Pacifico

267

L’esperienza di Urbino Connessioni pluridimensionali e spazialità fluida. L’esperienza del Piano Regolatore di Urbino e l’attualità del pensiero di De Carlo nella città contemporanea Ivan Pistone

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Una città, un mondo. L’esperienza di De Carlo a Urbino: un’architettura locale in un contesto globale Francesco Casalbordino

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L’eccezione al dogma. Giancarlo De Carlo: il Montefeltro, Urbino e il progetto architettonico della verticalità Lorenzo Giordano


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La città ri(n)tracciata. Forme di città e frammenti di storia nei progetti per i Collegi Universitari di Urbino Marianna Sergio Comunicare per immagini Rileggere Giancarlo De Carlo attraverso il linguaggio del disegno Sabrina Acquaviva, Marika Falcone

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Possibilità inesauribili di comunicazione. I cortometraggi di Giancarlo De Carlo alla X Triennale di Milano Luigiemanuele Amabile

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Riferimenti bibliografici citati nei saggi


Introduzione di Gemma Belli, Fabio Mangone


Gemma Belli, Fabio Mangone

Il 12 dicembre del 1919 nasceva a Genova Giancarlo De Carlo. Un secolo dopo, nell’ambito delle numerose iniziative promosse in tutta Italia, in particolare dal Comitato per il Centenario della nascita dell’architetto, istituito presso l’Accademia di san Luca a Roma, il suo rilevante contributo al dibattito sull’architettura, sulla città e sul paesaggio, nonché la sua opera, sono stati oggetto di intense occasioni di rilettura, alle quali, in maniera significativa, hanno partecipato numerosi studenti e giovani ricercatori: tra questi ultimi, anche gli allievi del Dottorato in Architettura dell’Università di Napoli Federico II, con grande abnegazione, nonostante l’anno appena trascorso abbia imposto grandi limitazioni e comportato enormi difficoltà. Per la prima volta, l’insieme degli allievi della nostra Scuola di Dottorato si misura su un unico tema, dando un contributo individuale ma scaturito dal costante confronto, con un prodotto di ricerca che complessivamente si configura come un lavoro collettivo, svolto in team, se volessimo usare il lessico caro a De Carlo. La pluralità degli sguardi, peraltro, valorizza il carattere molteplice di un dottorato in Architettura non generalista, ma aperto a plurime specificazioni metodologiche che fanno capo, aggiornandole, ad altrettante tradizioni disciplinari. La saldezza del metodo, e la speciale attitudine alla ricerca, hanno consentito di portare avanti uno studio programmato poco prima che scoppiasse la pandemia, e condotto in una fase di grandi difficoltà, non soltanto perché sono stati drasticamente ridimensionati convegni e incontri vis-à-vis programmati nell’ambito delle celebrazioni del centenario, ma anche per le maggiori difficoltà a consultare biblioteche e archivi, e a spostarsi per visitare le opere. In qualche modo dare la parola esclusivamente alle nuove generazioni, come si fa in questa occasione, è di per sé una maniera per celebrare l’architetto-intellettuale anticonformista. È noto l’atteggiamento di Giancarlo

Introduzione

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Architettura: un pensiero complesso


La spazializzazione dell’uso e delle relazioni Giancarlo De Carlo e i corpi che abitano lo spazio di Vincenzo Valentino


Vincenzo Valentino

L’occupazione dello spazio fra individualità e sistema: dalla funzione all’uso Nel testo Architettura e esistenzialismo: una crisi dell’architettura moderna, Ignasi de Solà-Morales mette in evidenza come gli accesi dibattiti interni ai CIAM degli anni Cinquanta furono tutt’altro che episodi isolati, in quanto segnarono «un lento ma inesorabile spostamento delle coordinate dalle quali pensare l’architettura»1. Quest’ultima, secondo de Solà-Morales, si apprestava a relazionarsi con un diffuso clima culturale esistenzialista, figlio della fenomenologia, in cui al centro veniva posta l’esperienza vissuta individuale e sociale. In quegli anni, infatti, opponendosi ad ogni forma di meccanicismo, «indentificato con una parola che sino a quel tempo era stata una parola chiave: il funzionalismo», un gruppo di giovani dissidenti presenti ai CIAM proponeva nuove visioni eticamente fondate, in cui «l’universo personale di ciascun individuo, la sua intimità e soggettività, emergono quali finalità principali alle quali la costruzione dell’architettura e della città dev’essere indirizzata»2. Giancarlo De Carlo fu tra i maggiori protagonisti delle azioni critiche mosse contro l’ortodossia predicata dai membri del consiglio direttivo, affermandosi come uno dei massimi rappresentanti del Team 10. Lo scardinamento del determinismo meccanicistico, sintetizzato dall’equazione modernista forma-funzione, la critica all’existenzminimum e a qualsiasi forma di riduzionismo della complessità dei fenomeni umani, rappresentano alcune chiavi di lettura essenziali per provare a circoscrivere i principali temi della ricerca decarliana. Il grande merito della fase razionalista è, secondo De Carlo, l’aver spostato l’attenzione 1. de Solá-Morales 1991, p. 38. 2. Ivi, pp. 38-39.

La spazializzazione dell’uso e delle relazioni

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Architettura: un pensiero complesso

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Nuovo villaggio Matteotti a Terni. Plastico dell’intero complesso: in basso la sola parte realizzata.

di organizzare lo spazio attraverso le variabili aleatorie e entropiche che si determinano a seguito della sua naturale occupazione: libero movimento, spazi di relazione, differenti modi di abitare. Ciò che conta non sono tanto le modalità (sedute collegiali, mostre, dibattiti) con cui si attua la partecipazione allo spazio, quanto la «moltiplicazione di possibili infinite identità da verificare, in cui sostare temporaneamente, con le quali plasmare l’alterità. Così come sosteneva Pirandello, uno, nessuno e centomila sono quantità che convergono nello stesso punto per disegnare e misurare il senso dell’intorno»31. In questo quadro si comprende la grande attenzione che De Carlo nel Matteotti riserva alla configurazione e collocazione delle sequenze di spazi “soglia”, proprio in quanto naturali punti di contatto tra singole identità e potenziali condensatori di differenze. Tra le cellule abitative e gli edifici pubblici, tra le terrazze 31. Marini, Corporalia. Occupazioni, traslati, anticorpi in architettura, in Borgherini 2019, p. 137.

Napoli per Giancarlo De Carlo


Vincenzo Valentino

Nuovo villaggio Matteotti a Terni. Pianta del secondo piano: in evidenza i collegamenti pedonali trasversali sopraelevati e le “soglie”.

giardino e le direttrici di movimento pedonale plurilivello, le soglie configurano un campo topologico relazionale in cui si scontrano e si confondono le condizioni di partenza e di approdo, si definiscono spazi intermedi tra individuale e collettivo, interno e esterno. Come sottolinea Geroges Teyssot «la forma della soglia, come figura temporale e spaziale, è quella dello spazio “intermedio”, del termine medio che apre due cose o due persone»32 . Una zona interstiziale nella quale le opposizioni non si annullano a vicenda, ma sono complementari e simultaneamente presenti: «è il segno dello spazio che inerisce alla differenza, spazio che contemporaneamente separa e tende verso»33. Le soglie del Matteotti non sono dei confini, ovvero delle linee di demarcazione, ma delle “regioni” dello spazio. Secondo Michel de Certeau se le frontiere e i ponti vengono descritti nella prospettiva «di una sintassi che determina dei 32. Teyssot 2000, p. 26. 33. Ivi, p 33.

La spazializzazione dell’uso e delle relazioni

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La “modernità” per Giancarlo De Carlo e il raffronto con l’architettura di Frank Lloyd Wright di Vincenzo Esposito


Vincenzo Esposito

Modernità e anarchia Nelle vicende biografiche, così come nelle tappe formative, dell’architetto Giancarlo De Carlo si leggono le scelte moderne e anarchiche che hanno fatto di lui un progettista all’avanguardia. Nato a Genova nel 1919, figlio di un ingegnere navale, De Carlo si trasferisce ben presto dai nonni paterni a Tunisi, in quanto il padre, separatosi dalla moglie, non riusciva a prendersi cura di lui. Conduce a Tunisi gli studi primari culminati nella maturità scientifica conseguita nel 1937. Durante gli anni trascorsi in Tunisia, si imprimono nella memoria del giovane Giancarlo gli enormi spazi che si compenetrano, l’intreccio tra gli spazi aperti e gli edifici chiusi. Il suo sguardo è già catturato dalle fattezze dell’edificato. Nell’ottobre del 1937 rientra in Italia per iniziare il 1° corso allievi ufficiali di Genio navale, ma in pochi mesi decide di trasferirsi presso la Facoltà di ingegneria industriale del Politecnico di Milano. Frequentando il Politecnico De Carlo subisce, però, il fascino delle lezioni di architettura, infatti, in seguito affermerà: «Mi piaceva l’atmosfera che c’era là dentro e così ho cominciato prima a guardare quello che gli studenti di architettura facevano e poi a seguire alcuni dei loro corsi come auditore. […] Li osservavo mentre disegnavano o discutevano e mi piaceva molto quel loro modo di lavorare»1. In ogni caso, porta a termine il corso di studi avviato, laureandosi il 10 luglio 1942. È da questo preciso momento che la sua formazione si intreccia inesorabilmente con le vicende della guerra: risponde alla chiamata alle armi e viene inviato in Grecia con le truppe di occupazione italiana. Trasferito poi a Milano, in attesa di un nuovo imbarco, riprende gli studi per immatricolarsi, finalmente, al corso di laurea in Architettura. Contemporaneamente 1. Bunčuga, De Carlo 2018, p. 34.

La “modernità” per Giancarlo De Carlo e il raffronto con l’architettura di Frank Lloyd Wright

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Architettura e partecipazione


Architettura partecipata negli spazi dell’abitare L’opera di De Carlo verso una “rivoluzione culturale” di Francesca Buglione


Francesca Buglione

La frontiera culturale dell’architettura: la partecipazione L’architettura della partecipazione è illustrata da Giancarlo De Carlo come un’utopia realistica1 – una dicotomia solo apparentemente paradossale tra i due termini –, in grado di formare un’idea di comunità2. A suo avviso, l’architettura deve uscire dall’autonomia in cui è stata inquadrata, superando il concetto del progettista prometeico capace di plasmare lo spazio con forme date aprioristicamente3, e redimersi, divenendo parte di un processo culturale, ovvero il mezzo con il quale la società costruisce il suo luogo di esistenza. De Carlo non presenta una teoria della partecipazione meccanica e sterile, bensì muove verso la definizione di un processo partecipativo, ovvero un dialogo sotteso da un’energia creativa4, che si rivela attraverso l’interpretazione della vita quotidiana dei fruitori degli spazi dell’abitare. La partecipazione diviene non una metodologia asseverata ma un’inclinazione, una forma di apertura al dibattito e all’ascolto verso la collettività, un ampliamento della progettualità che include altre visioni, spesso conflittuali che, attraverso una “progettazione tentativa”, consentano il materializzarsi dei problemi reali nelle loro trasfigurazioni spaziali. Con l’obiettivo di istituire un confronto continuo tra problemi reali e immagini di configurazioni spaziali, elaborando una “progettazione tentativa”5, da sospendere quando si raggiunge un punto 1. De Carlo 2015, p. 14. 2. Ibidem. 3. Ratti 2014. 4. De Carlo 2002. 5. Purini, L’opera e il tema, in Samassa 2004b.

Architettura partecipata negli spazi dell’abitare

115


Architettura e partecipazione

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Il Villaggio Matteotti negli anni Settanta. Vista dei percorsi connettivi: contrapposizione tra verticalità e orizzontalità.

Napoli per Giancarlo De Carlo


Francesca Buglione

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Il Villaggio Matteotti negli anni Settanta. Vista degli spazi di distribuzione.

Architettura partecipata negli spazi dell’abitare


Dall’esperienza ligure di De Carlo al restauro dei nuclei minori abbandonati dell’Irpinia Approcci, criteri e scelte metodologiche per il restauro post-sisma di borghi storici di Luigi Cappelli


Luigi Cappelli

Il dibattito sulla ricostruzione e sulla salvaguardia dei nuclei storici urbani minori in seguito a eventi sismici si sviluppa su un assunto principale: l’entità dei danni provocati dal terremoto è caratterizzata da una profonda pervasività che coinvolge indistintamente l’intera compagine abitativa, colpendo sia i grandi monumenti che il più indifeso e spesso meno apprezzato tessuto storico urbano. Quest’ultimo viene sovente perduto, in favore della conservazione prioritaria di edifici immediatamente rappresentativi ed identitari e per interessi meramente speculativi, politici e socioeconomici, della sfera pubblica e privata. Tale perdita oltre a cancellare porzioni di patrimonio costruito ignora completamente oltre un secolo di studi e riflessioni compiute sui tracciati storici urbani, sviluppatesi a partire dalla seconda metà dell’Ottocento anche in seguito ad un significativo ampliamento del campo disciplinare del restauro che a partire dalla conservazione dei singoli monumenti si estese all’intero ambiente urbano. Si pensi agli apporti teorici di Camillo Sitte (1843-1903) che studiò gli ambienti urbani dell’epoca classica, del Medioevo e del Rinascimento, definendone i caratteri fondamentali e tentando di conciliarli con le esigenze della vita contemporanea, applicandoli alle sistemazioni moderne1. La stessa motivazione spinse Charles Buls (1837-1914) ad agire in favore della salvaguardia del patrimonio culturale e della conservazione del centro storico di Bruxelles, tentando di adeguare la città ai criteri moderni, preservando i cosiddetti valori del passato. 1. Cfr. Sitte 2020: Sitte contribuì alla formazione di una coscienza conservativa verso i centri storici, criticando il tecnicismo della città speculativa e cercando di riportare l’urbanistica su basi più attente ai valori spaziali.

Dall’esperienza ligure di De Carlo al restauro dei nuclei minori abbandonati dell’Irpinia

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Innesti, restauri e riusi

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Colletta di Castelbianco ripresa da fondovalle: si vede il borgo completamente immerso nella natura e in perfetta continuità con essa.

Napoli per Giancarlo De Carlo


Luigi Cappelli

Vista di un aggregato abitativo di Colletta di Castelbianco prima e dopo l’intervento conservativo di Giancarlo De Carlo.

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e conservazione dell’antico. Anzitutto per De Carlo la storia rappresenta uno strumento per l’interpretazione del contesto urbano e territoriale. Il paesaggio viene considerato come stratificazione di operazioni di cura sapiente dell’uomo e della sua cultura, in forte dialogo con la tradizione. De Carlo, affiancato dal gruppo Team 10, segna in maniera forte la cultura architettonica dell’epoca e ha una netta influenza sugli sviluppi del restauro italiano: si pensi a Scarpa, a Minissi, ad Albini, a Zevi e alla coesione particolare che in quegli anni esisteva tra storia, progettazione e urbanistica. La posizione di De Carlo assume la storia come contesto e l’opera come organismo e la complessità del borgo di Colletta di Castelbianco è assimilata praticamente all’esoscheletro di crostaceo, a cui non è possibile “staccare una parte” a scapito del tutto. De Carlo, significativamente dal punto di vista del metodo, tenta un’operazione di genetica architettonica: risalire al DNA del centro abitato per individuarne le alterazioni ammissibili, inserendo nuove funzioni e strutture, lavorando con l’architettura affinché possa ospitare attività innovative, narrando il passato. Egli assume la storia come strumento guida, come una capacità interpretante che modella il progetto che oggi sembra perduta, ma che nell’opera decarliana è un lampante suggerimento all’interpretazione dei

Dall’esperienza ligure di De Carlo al restauro dei nuclei minori abbandonati dell’Irpinia


Innesti, restauri e riusi

Colletta di Castelbianco. Prospetto-sezione di un edificio. 216

dal mare. L’obiettivo imprenditoriale era quello di creare delle “White Eagles” all’italiana, aree immerse nella natura e al contempo collegate con il mondo attraverso sistemi tecnologici all’avanguardia. Secondo questa strategia imprenditoriale il borgo di Colletta di Castelbianco doveva essere ripensato come un villaggio delle telecomunicazioni, luogo in cui il fruitore poteva godere del contesto medioevale e delle bellezze naturalistiche pur essendo sempre collegato con il mondo esterno. A tal fine fu essenziale l’accordo stipulato con la Telecom, che installò un sistema di trasmissione dati supportato dalla fibra ottica ed esteso dal Comune di Albenga a quello di Colletta di Castelbianco. Questo fu il primo passo significativo verso il cablaggio dell’intero borgo e della tecnologizzazione delle singole unità abitative con un proprio singolare accesso alla rete internet. Questo accordo determinò benefici diffusi anche nell’intorno urbano del borgo: la Val Pennavarie ha anticipato di circa dieci anni lo sviluppo tecnologico degli altri territori italiani godendo di un progresso culturale, sociale e turistico avanzato. Il processo di acquisizione durò circa due anni, dal 1992 al 1994, la cui lentezza dipese dalla difficile rintracciabilità delle singole proprietà

Napoli per Giancarlo De Carlo


Francesca CIAMpa

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Colletta di Castelbianco. Sezioni dell’edificato con schemi delle connessioni.

La riqualificazione delle aree interne come disvelamento della qualità insediativa



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