INDICE
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Introduzione PARTE I IL BLOCCO DEL SISTEMA 01. La standardizzazione delle tecnologie efficienti La valutazione uniformata della sostenibilità La standardizzazione dei processi produttivi L’esigenza di una progettazione efficace 02. La mancata integrazione fisico-digitale Introduzione al concetto di Digital Twin Strumenti interoperabili di progettazione Scenari di produzione digitale integrata 03. L’illusione della Mass Customization Dalla produzione di massa ai modelli assembly-to-order Barriere alla personalizzazione industriale on-demand La questione normativa PARTE II LA RISCRITTURA DEL CODICE 04. Progettare tecnologie agili Progettare i processi di assemblaggio Progettare i processi di stampa e taglio Progettare i processi di deformazione 05. Filiere project-responsive Il framework dell’incertezza Modelli di Responsive Supply Chain: gli involucri ceramici Modelli di Agile Supply Chain: i materiali programmabili 06. Verso un’architettura circolare Recupero e riutilizzo dei prodotti Nuove forme di bioregionalismo Rivoluzioni lente Conclusioni Bibliografia
INTRODUZIONE
Il fenomeno di omologazione nella produzione architettonica corrente sta generando edifici con forme e tecnologie che rischiano di prevaricare qualsiasi tipo di contenuto. Il motivo è forse rintracciabile nel fatto che l’architettura non è più incentrata attorno all’uomo, ma dipende piuttosto dalle possibilità economiche della committenza. Gli aspetti di gestione progettuale dei grandi interventi, o in generale dei progetti che vedono l’investimento di ingenti capitali, non sono più lasciati unicamente in mano a un unico progettista: mentre, fino a non molto tempo fa, l’architetto coordinava il progetto nel suo complesso, oggi sono richieste nuove competenze e figure professionali all’interno del processo decisionale (Prassoli, 2019). Il progetto di per sé lascia in secondo piano l’architettura per dare maggiore rilievo ad aspetti di carattere finanziario a livello locale e globale, i quali guardano alle potenzialità economiche dell’edificio e allo sfruttamento massimo di queste ultime. Nella maggior parte dei casi, l’architetto, più che di una vera e propria gestione del progetto, si occupa di addossare ad uno scheletro strutturale una forma arbitraria la cui unica funzione è quella dell’apparire (Paris, Beccu, 2008). Per di più, la prefabbricazione di elementi e sistemi ha ulteriormente ridotto i ruoli dell’architetto, a favore però del peso crescente della grande industria nei processi costruttivi. Le filiere industriali sono 6
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attualmente orientate ad un’organizzazione produttiva “snella”, che differenzia i prodotti a valle del ciclo produttivo e solo dopo aver ricevuto gli ordinativi, con l’obiettivo di garantire una commercializzazione variegata e intercambiabile per moduli. L’enfasi che un tempo si riponeva sulla “serialità” si è finora limitata a una “versatilità” assicurata dalla flessibilità dei sistemi di fabbricazione industriale, molti dei quali sono già abilitati digitalmente. Il tasso di automazione e di robotizzazione nella realizzazione in stabilimento degli elementi costruttivi è ormai elevato in molte linee produttive, ma la loro differenziazione si limita spesso alla componibilità diversificata di un prodotto, le cui parti componenti e i materiali provengono da diversi fornitori (Ciribini, 2019). Di contro, le tecnologie di Rapid Manufacturing, come la stampa 3D, le tecniche sottrattive e di deformazione robotizzata, pur rappresentando un campo di sperimentazione in costante sviluppo, soffrono ancora nel trovare spazio tra le priorità di investimento della grande industria, scoraggiata, inoltre, dall’apparato normativo e dai costi elevati per l’implementazione digitale delle linee produttive. I pochi esempi di manifattura avanzata applicata all’industria delle costruzioni hanno finora riguardato la stampa, il taglio e la presso/termoformatura, in un processo upstream o nelle fasi intermedie di lavorazione, di grandi pannellature per l’involucro edilizio, applicate per lo più in grandi edifici rappresentativi. Le possibilità offerte dal design parametrico hanno di fatto permesso ai progettisti di concepire forme scultoree nel loro insieme, per poi suddividerle successivamente in una moltitudine di componenti diversi, secondo un approccio progettuale di tipo top-down (dall’insieme alle parti) che trova nell’input digitale alla macchina di fabbricazione il suo step conclusivo. La proliferazione dei prodotti generata da un processo di differenziazione anticipata non può sicuramente rappresentare un paradigma di innovazione per la produzione architettonica di massa, che opera essenzialmente utilizzando materiali ordinari. Rispetto alla velocità con la quale le prime sperimentazioni digitali hanno innovato il settore delle costruzioni nel corso della Terza Rivoluzione industriale, permettendo di fatto lo sviluppo di nuovi modelli di produzione flessibile, la Quarta Rivoluzione fatica a diffondere sistemi per la personalizzazione totale dei prodotti mediante il controllo ciberfisico della produzione (Cipriani, 2018). Forse le sperimentazioni in atto non sono efficaci a garantire una sostenibilità economica – e nemmeno ambientale, Introduzione
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IL BLOCCO DEL SISTEMA
Nel mondo dei software, i programmatori rilevarono problemi a causa di codici informatici sempre più disordinati e caotici. Le interazioni impreviste producevano spesso malfunzionamenti, generando effetti non voluti e irreversibili. Il “blocco del sistema” (crash) oggi coinvolge altri settori tecnologici, come le discipline legate alla progettazione dell’ambiente costruito: la distanza che intercorre tra l’ultima generazione di giovani professionisti progettisti (formatisi nell’era della rivoluzione digitale e in grado di coniugare competenze informatiche alla pratica progettuale mediante l’applicazione di regole generative) e il mondo più o meno standardizzato della produzione di materiali e componenti per l’architettura, è decifrabile come un divario ormai crescente tra “scienza” (know why, sapere il perché, a che scopo) e “tecnica” (know how, sapere come ottenerlo), che può generare problemi di affidabilità nel caso in cui inizi un fenomeno di accelerazione del sapere computazionale rispetto all’associato campo tecnologico. Questa dicotomia diventa molto evidente in caso di applicazioni tecniche non coerenti ai requisiti di un determinato progetto o contesto geografico, generando così incertezze in fase di costruzione e di fruizione.
LA STANDARDIZZAZIONE DELLE TECNOLOGIE EFFICIENTI Coerentemente agli accordi internazionali per la tutela e la conservazione delle risorse, la nuova generazione di politiche ambientali ha portato alla ridefinizione dei metodi di progettazione architettonica in chiave sostenibile. È quindi evidente che operazioni quali la ridefinizione degli assetti spaziali attuali e di nuovi paradigmi rispondenti agli obiettivi di basso impatto ambientale, l’ottimizzazione naturale delle condizioni di comfort e fruibilità degli ambienti, l’uso di risorse energetiche rinnovabili etc., rivestano oggi un ruolo ed una importanza fondamentale. In aggiunta alla molteplicità di tipologie e utilizzi degli edifici, le variabili da mettere a sistema nell’organizzazione di un’architettura sostenibile ed energeticamente efficiente devono essere qualitativamente e quantitativamente variegate in relazione alla diversificazione dei parametri di caratterizzazione geografica e antropica, in modo da consentire una continuità tra la ricerca di sistemi tecnologicamente efficienti e tutti gli aspetti che da sempre contraddistinguono e caratterizzano il progetto, nelle sue differenti sfaccettature e declinazioni. Di contro, le logiche speculative dei processi produttivi industrializzati stanno innestando una vera propria tendenza all’impiego globalizzato e ricorsivo di tecnologie e materiali standardizzati, generando così un appiattimento indiscriminato del patrimonio architettonico contemporaneo e del suo funzionamento. Sfruttando in pieno le potenzialità offerte dalla gestione digitale dei processi produttivi e operativi, una nuova metodologia progettuale può rivolgersi alla realizzazione di sistemi realmente efficaci (e non soltanto efficienti secondo parametri analitici individuali), che consentano di calibrare il quadro prestazionale del progetto mediante un processo computazionale in grado di bilanciare forma e tecnologia.
La valutazione uniformata della sostenibilità Durante gli anni del boom edilizio successivo al secondo dopoguerra, il basso costo dell’energia e la tendenza del mercato a richiedere costi contenuti e tempi ridotti di costruzione hanno esasperato alcuni criteri progettuali, sviluppando una tendenza, da parte dei costruttori e dei professionisti, a fare sempre più affidamento alle tecnologie attive e riducendo così la progettazione degli edifici ad un puro atto formale e compositivo. L’abbandono dei criteri che tenevano conto dei fattori naturali (sole, vento, acqua, sottosuolo, verde), dell’esposizione e dell’orientamento del manufatto, così come l’introduzione massiccia della tecnica costruttiva del calcestruzzo armato in sostituzione, in tutto o in parte, ai materiali locali e alle soluzioni tecnico-costruttive tradizionali, da sempre efficaci per il raffrescamento naturale o l’isolamento termico, hanno avuto come conseguenza sia l’aumento indiscriminato dei consumi e dell’uso di risorse non rinnovabili, sia la perdita di conoscenze e know-how legati alla cultura costruttiva locale (Tatano, 2002). L’ambiente costruito, complice l’utilizzo sempre più diffuso del processo di prefabbricazione come presupposto per una maggiore velocità di esecuzione e per una riduzione dei costi, ha risentito notevolmente di questa profonda spinta all’industrializzazione: la città e il territorio si sono trasformati velocemente ed il nuovo non ha semplicemente sostituito la scena urbana tradizionale, ma l’ha assorbita privandola dei suoi significati e configurandone di nuovi, espressione non più di sistemi culturali diversi, bensì unicamente delle attuali regole dell’economia. Le nuove forme insediative hanno configurato paesaggi ibridi dove un nuovo invasivo e indifferenziato si mescola con l’antico, in un’omologazione di luoghi anche molto distanti fra loro (Brondi, 1979). Una potenziale exit strategy per sfuggire alla tendenza uniformatrice della produzione edilizia si è presentata a seguito della crisi petrolifera degli anni Settanta, grazie alla quale un pensiero critico rispetto al tema della dipendenza energetica ha investito tutti i settori dell’economia. In questi anni, i temi della domanda e dell’uso dell’energia hanno assunto progressivamente maggiore rilevanza, carattere di interdipendenza fra le regioni economiche del mondo e connotazione di urgenza in relazione allo sviluppo sostenibile delle attività umane. 19
smaltimento), che può generare un’enorme quantità di dati ed informazioni trasversali all’intera filiera, utili a rispondere alle esigenze specifiche del customer, ma anche a studiare nuove linee di ricerca applicate con forme variabili di exploitation/exploration (Geissbauer et al., 2014). L’integrazione verticale, perseguita grazie alla capacità di controllo dei crescenti flussi di informazione B2B (business-to-business), è ottenuta mediante la segmentazione dei data model e il loro ancoraggio alle singole direttrici strategiche aziendali, a loro volta elaborate in ambienti con gradi variabili di complessità (Fig. 2.1 A). L’integrazione orizzontale, invece, è strettamente correlata alla creazione sincronica di più ecosistemi digitali interconnessi (Sahasrabudhe et al., 2011); grazie a meccanismi interattivi E2E (end-to-end) – dall’approvvigionamento delle materie prime all’utilizzo del prodotto, fino al suo termine di vita – si conferisce alla produzione una proprietà dinamica rilevante per qualsiasi sistema ciberfisico: il dynamic scaling (Hagel et al., 2013). È infatti possibile parametrare le performance dei prodotti sulla base dei potenziali di interazione reciproca tra gli step di progettazione, produzione e utilizzo, che possono attivarsi nello sviluppo di progetti e linee di ricerca dal carattere fortemente innovativo (Fig. 2.1 B).
Concentrando l’analisi alla sola industria delle costruzioni, la recente spinta alla digitalizzazione del settore è rivolta principalmente alla creazione di una continuità – tuttora pressoché lineare – nei flussi di dati tra le realtà aziendali che si susseguono nel tempo quali “portatori di interesse”: architetti, ingegneri, impiantisti, general contractors, fornitori e subappaltatori, proprietari, facility managers. Per ciascuna fase del ciclo di vita di un edificio (progettazione, produzione, esercizio), nell’ultimo decennio, ci si è concentrati più sulla digitalizzazione dei processi progettuali e produttivi interni a ciascuna realtà aziendale coinvolta, che alla creazione di ecosistemi digitali che interagiscano tra loro (Ciribini, 2019). Eppure, il Building information Modeling (BIM) permetterebbe una mutua interazione tra tutti gli attori coinvolti: con l’introduzione dei software di ultima generazione, che sfruttano un sistema collaborativo di cloud computing per ottenere uno scambio di dati in tempo reale, i processi decisionali possono essere implementati secondo più livelli di ottimizzazione, organizzati secondo logiche di sistema proprie del networking. Se uno degli obiettivi principali della digitalizzazione dei settori industriali più avanzati è dato dall’eliminazione dei rifiuti e degli sprechi, l’utilizzo di formati interoperabili BIM 36
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(in primis lo Standard IFC – Industry Foundation Classes, definito dalla norma ISO 16739), utilizzabili simultaneamente tra i diversi ecosistemi digitali coinvolti nel processo, possono ridurre al minimo i fattori che non creano valore, quindi considerabili come “scarti” (Womack, Jones, 2006). Gli scarti sono generati quasi sempre da modifiche in corso d’opera al progetto, scambi di informazioni inesatte, rigenerazioni della documentazione, gestioni errate delle tolleranze (Kieran, Timberlake, 2004). Tuttavia, la politica attuale di molti produttori di applicativi software e hardware tende a sviluppare sistemi digitali chiusi, in concorrenza con le piattaforme dei competitor, ritardando di fatto un’effettiva integrazione orizzontale tra progetto, produzione e gestione del patrimonio costruito. L’esempio più immediato è costituito dallo sviluppo di programmi parametrici interoperabili verticalmente, ovvero all’interno di un pacchetto contenente più applicazioni della stessa software house; in questo caso, infatti, ci si riferisce a un sistema detto closed BIM. Una maggiore interconnessione consisterebbe nell’eliminare realmente le frequenti interruzioni tuttora riscontrabili nel flusso di dati tra ambienti di modellazione (informativa), di calcolo (energetico, impiantistico e strutturale), di produzione (digitalizzata) e di gestione (smart) degli edifici, impedendo così sia un utilizzo esclusivamente analogico del processo di digitalizzazione, sia il rischio di generare degli oneri eccessivi rispetto ai benefici attesi (Ciribini, 2019).
Strumenti interoperabili di progettazione Negli ultimi anni, nel progetto di architettura, stanno assumendo sempre più rilevanza la gestione parametrica e la morfogenesi computazionale, favorite da software e piattaforme informatiche ad accesso libero e condiviso secondo logiche di collaborazione e cooperazione open-development, nell’ambito di una costante ricerca di forme e tecnologie sempre più complesse. Gli algoritmi consentono oggi di sviluppare e di controllare i comportamenti meccanici e prestazionali di geometrie ottimizzate mediante sistemi evolutivi, così come l’input digitale permette il controllo automatizzato dei processi di fabbricazione La mancata integrazione fisico-digitale
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LA RISCRITTURA DEL CODICE
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In informatica, per risolvere il problema generato dalla complessità dei codici, una delle soluzioni rivelatasi tra le più efficaci è stata l’adozione di una nuova metodologia di programmazione, definita in seguito Agile. Riprendendo i termini usati nel 2001 da uno dei suoi promotori, Ward Cunningham, “specificare” i comportamenti desiderati ha sempre richiesto definizioni e standard elaborati, mentre, paradossalmente, “generare” i comportamenti richiedeva spesso solo l’identificazione di un insieme molto più semplice di regole generative attraverso un processo di iterazione adattativa, al fine di creare le condizioni nelle quali è più probabile che si generino i comportamenti desiderati. I principi della filosofia Agile possono essere applicati all’architettura attraverso la scrittura e la condivisione di codici parametrici, come già avviene nella piattaforma collaborativa di GitHub. Tali “regole” possono essere adottare in fase di progettazione mediante l’uso degli strumenti di modellazione algoritmica, come Autodesk Dynamo e Rhino Grasshopper, interoperabili con i motori di calcolo cloud-based e i sistemi produttivi robotizzati. Per questo motivo, i nuovi strumenti di progettazione digitale richiedono oggi competenze sempre più orientate alla programmazione informatica, come del resto avviene in tanti settori industriali che sfruttano sistemi avanzati di meccatronica. In quest’ottica, la cultura tecnologica deve giocare un ruolo significativo nel promuovere tecnologie realizzabili e cantierabili con procedimenti di fabbricazione on-demand, nelle quali l’aspetto esplorativo e creativo dell’attività progettuale può confrontarsi in tempo reale con le capacità produttive e organizzative dell’industria manifatturiera, con l’obiettivo di definire un’applicazione del prodotto ottimizzata e completamente personalizzata a un uso specifico. Titolo capitolo
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VERSO UN’ARCHITETTURA CIRCOLARE
Il percorso tracciato fin qui risulta cruciale per immaginare una vita utile più duratura per una nuova generazione di sistemi di costruzione a secco, che possono essere facilmente disassemblati e reinstallati per diversi cicli. Tale strategia, caratterizzata da un minore utilizzo di energia e materiali rispetto al riciclaggio, si fonda su un duplice approccio: il mantenimento dell’edificio lungo il suo ciclo di vita, e la trasformazione dei rifiuti derivanti da processi di costruzione e demolizione in risorse locali da riutilizzare. Tuttavia, per velocizzare qualsiasi processo di innovazione senza correre il rischio di seguire mode momentanee o falsi miti di sostenibilità, la cultura tecnologica deve riattivare quanto prima un dialogo sistemico tra aspetti materiali e progetto, e superare i confini che da sempre settorializzano la produzione edilizia in una serie di sotto-processi concatenati, ma ancora troppo chiusi nei rigidi modelli che organizzano e strutturano le aziende coinvolte. Al progettista è richiesto dunque di amplificare il proprio ruolo di coordinamento dei diversi ambiti coinvolti nel processo costruttivo, includendo il controllo digitale nella fabbricazione di materiali e componenti.
Recupero e riutilizzo dei prodotti Le tecnologie di fabbricazione digitale, e la loro continua evoluzione, offrono orizzonti di indagine e innovazione che rappresentano, di fatto, una delle strade da perseguire nella progettazione di architetture sostenibili. Queste riflessioni evidenziano l’importanza, nell’ambito di un progetto, della scelta del corretto sistema tecnologico, nonché della verifica dei criteri di compatibilità con le caratteristiche del luogo, i requisiti di comfort e la gestione economica del progetto. In quest’ottica acquistano rilevanza i concetti di “durabilità” e “resilienza” dei sistemi costruttivi adottati. Il primo, oramai presente nelle norme tecniche per le costruzioni (NTC) in relazione agli elementi strutturali degli edifici, diventa un parametro di valutazione obbligatorio non soltanto per garantire l’efficienza della costruzione nel tempo, e la sua rispondenza ai criteri di sostenibilità ambientale, ma anche per programmare cicli di utilizzo dei materiali con “durabilità controllate”, attivando possibili processi circolari di recupero e riutilizzo dei materiali. Il secondo, invece, può riferirsi alla capacità dei sistemi tecnologici a resistere ai fenomeni di obsolescenza attraverso un buon livello di adattabilità intrinseca, che consenta la modifica, rigenerazione o rifunzionalizzazione delle singole parti e componenti (Radogna, Viscuso, 2018). Sotto il profilo ambientale, le tecnologie devono essere valutate in maniera completa, considerando gli impatti derivanti dall’approvvigionamento, il trasporto e la lavorazione dei materiali, nonché le possibili ricadute sulla salute degli utenti dovute a emissioni di sostanze nocive. Nell’ambito dei protocolli di certificazione vigenti, sono oggi considerate di primaria importanza le prestazioni relative alla qualità dell’ambiente interno, in termini di comfort termo-igrometrico, acustico e visivo, così come il contenimento dei consumi; ne consegue che, a parità di prestazioni energetiche, i prodotti sono selezionati in base al prezzo, trascurando invece i costi ambientali e sociali provenienti dall’intero ciclo di vita del manufatto (Buoninconti et al., 2019). Riprendendo quanto analizzato nel Cap. 1, nel valutare l’impatto prodotto dalla realizzazione di alcuni edifici a basso indice di emissioni (nZeB), studi recenti – pubblicati nell’ambito di un convegno della Rete Italiana LCA – evidenziano come il contenimento delle 113
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PROCESSI DI ASSEMBLAGGIO
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