Elena Mendia nel terrazzo del suo appartamento nel condominio di via Manzoni 131, Napoli 1954 (AM)
INDICE
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INTRODUZIONE
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I PRIMI CANTIERI La formazione L’Ufficio Tecnico della Mostra d’Oltremare I primi cantieri e il Teatro dei Piccoli I padiglioni
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UNA PROFESSIONISTA Architetti napoletani Il boom edilizio Una città di condomini Lo Studio Architetti Mendia Carile-Maione
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INDICE DEI NOMI
Elena Mendia e Delia Maione alla Mostra d’Oltremare, primi anni Cinquanta (AM)
INTRODUZIONE di Anna Giannetti
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na foto in bianco e nero. Una portiera aperta. Due giovani donne sorridenti ritratte in una Cinquecento decapottabile. Le frecce sul parabrezza anteriore. L’auto ferma in un viale. Una testa di giraffa di stoffa che si intravede al finestrino. Al volante, Elena Mendia, al suo fianco Delia Maione; due colleghe di Università, due architette, due socie di studio, sempre insieme. Primissimi anni Cinquanta, erano state fotografate mentre si spostavano da un cantiere all’altro della Mostra d’Oltremare, il che spiega la presenza di una testa di giraffa, finalmente a bordo dell’auto di seconda mano con cui avevano sostituito le biciclette e la Vespa 50 usate fino ad allora. Nel 1950, appena laureate, erano entrate a far parte come progettiste dell’Ufficio Tecnico dell’Ente Autonomo Mostra d’Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo instituito due anni prima e diretto dall’ingegnere Pasquale Sasso – il braccio destro di Luigi Tocchetti eletto Presidente in quello stesso anno – che aveva messo insieme la squadra degli ingegneri e dei geometri: loro due erano le uniche architette. Avevano organizzato e diretto cantieri – il coordinamento dei restauri e delle ricostruzioni era di competenza dell’Ufficio - controllato le piantumazioni degli 11 chilometri di viali e il ridisegno delle aiuole. Un lavoro enorme rimasto nell’ombra, anche perché in molti casi le attribuzioni erano e sono rimaste quelle degli anni Quaranta, nonostante i loro interventi sostanziali. Sarebbe, però, errato pensare che sia stato tale silenzio a spingere la giovane autrice di questo volume ad interessarsi alla figura di Elena Mendia, sfruttando anche l’opportunità, metodologicamente stimolante, di avere a disposizione non solo l’archivio dell’architetta, ma anche i suoi ricordi vividi e puntuali da raccogliere in forma di interviste, documenti vivi di una vicenda professionale ancora in corso. Altri sono i temi di più ampio respiro che la sua lunga carriera assieme alla Maione ha messo in luce e sui quali il volume è stato costruito.
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Elena Mendia che dirige i cantieri della Mostra d’Oltremare. Sullo sfondo la Torre delle Nazioni, 1952 (AM)
I PRIMI CANTIERI
La formazione Elena Mendia arrivò a Napoli subito dopo la nascita, nel 1925, quando la famiglia vi si trasferì dalla vicina Portici a seguito della promozione del padre a vicequestore della città. Poco dopo, la madre trentenne rimase vedova con quattro figli, riuscendo però a garantire un’ottima istruzione a maschi e femmine, che frequentarono tutti il liceo classico Gian Battista della Porta. Quando scoppiò la guerra Elena aveva 15 anni e dové aspettare il 1944 per potersi iscrivere, con un po’ di ritardo, alla Facoltà di Architettura, come ricorda: Ho fatto la licenza liceale durante la guerra. Poi mi sono fermata per due, tre anni prima dell’università poiché la città era sotto le bombe. In quegli anni frequentai il corso di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti; avevo una predilezione per questa materia perché la mia famiglia andava spesso a teatro. Ebbi la fortuna di conoscere Emilio Notte, Giovanni Brancaccio, che divenne un mio professore. Appena possibile, mi iscrissi ad Architettura e dovetti lasciare Scenografia (intervista del 2/2/2020).
La sua scelta fu in aperto contrasto con la volontà materna che, sulla scorta della tradizione familiare, aveva stabilito per la figlia un futuro diverso. Bisnonno di Elena era, infatti, Ambrogio Mendia, un importante ingegnere napoletano, scomparso nel 1888, ma la cui figura autorevole suscitava molto rispetto e ammirazione in famiglia e si sperava che la nipote potesse seguirne le tracce. Ambrogio Mendia era stato, infatti, dal 1863 professore ordinario di Costruzioni Statiche e Idrauliche e di Meccanica Applicata alle Costruzioni nella Regia Scuola d’Ingegneria di Napoli, di cui divenne direttore nel 1881. L’ingegnere aveva realizzato sotto il governo borbonico opere di notevole rilievo, come il prosciugamento del lago di Agnano e il
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La Torre delle Nazioni, 1952 (AM)
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Elena Mendia. Un’architetta nella Napoli del Secondo Dopoguerra
La Torre delle Nazioni e il Padiglione del Lavoro Italiano in America Latina appena realizzato, 1952 (AM)
Il Preside seguì la laureanda per gli aspetti architettonici del progetto, mentre Cocchia, reduce dall’esperienza in Triennale, la indirizzò per quelli paesaggistici. L’architetta ricorda: A lui debbo la mia cultura botanica, molte volte alle sette del mattino ci recavamo al parco della Floridiana e lui mi insegnava le essenze, i nomi di molti alberi: le siepi ornamentali, le fiorite perenni o stagionali, lezioni che mi furono utili per la tesi e importantissime per il mio lavoro futuro (intervista del 2/2/2020).
Il progetto de La Scuola di Danza, custodito presso l’archivio Mendia, era complessivamente un progetto moderno, molto più vicino alla ricerca compositiva di Cocchia che di Canino, composto da una varietà di volumi bianchi dalle forme pure su pilotis che si articolavano nel giardino del parco intorno ad uno specchio d’acqua. La distribuzione delle parti aperte, quelle chiuse o semiaperte, era complessivamente ben equilibrata, dimostrando una particolare sensibilità dell’architetta per il dato naturale. Il progetto fu presentato, oltre che da un plastico, da alcune tavole realizzate ad acquerello, una tecnica cara a Mendia e particolarmente adatta a rappresentare i giardini.
I primi cantieri
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L’Arena Flegrea progettata da Giulio De Luca nel 1940 e restaurata nel 1952 (AM)
Un’aula studio del Camim, 1963 (AM)
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UNA PROFESSIONISTA
Architetti napoletani Nel dicembre del 1957, in onore della nomina di Alberto Calza Bini a professore emerito fu organizzata a Palazzo Gravina la mostra dal titolo “Rassegna dell’attività professionale dei laureati della Facoltà di Architettura dal 1935 al 1957”, tenuta aperta, per il sopraggiungere della morte del fondatore della Facoltà, fino al gennaio del 1958. La Rassegna esponeva i progetti dei laureati della prima e della seconda generazione rappresentando, di fatto, una panoramica delle opere degli architetti napoletani fino al dopoguerra, inclusa la Mostra d’Oltremare. Tra i progetti dell’esposizione campeggiavano, infatti, i disegni ormai celebri del recinto di Fuorigrotta: l’Arena e le Serre Tropicali, rispettivamente di De Luca e Cocchia – definiti da Zevi in una nota recensione «i migliori laureti dell’anteguerra»132 –, insieme ai progetti di Nunziata, Capobianco, Sbriziolo, Mazzioti, Marsiglia e di Mendia e Maione. Delle due architette erano esposti il Teatro dei Piccoli, le ricostruzioni e gli allestimenti dei padiglioni del complesso. Anche se da alcuni fu considerata più un «raduno di ex-allievi»133 che un’azione culturale, la Rassegna del 1957 fu una delle prime occasioni di dibattito sullo stato dell’arte dell’architettura napoletana134. Nell’immediato dopoguerra, infatti, ad eccezione degli incontri della cellula
132. Cfr. B. Zevi, Bilancio partenopeo. Si misurano i laureti di Napoli, in Cronache di architettura, Vol V, Laterza Bari 1978, pp. 10-13. (Articolo apparso su “L’Espresso” del 12 gennaio del 1958). 133. R. De Fusco, Napoli e il Movimento Moderno dell’architettura in Italia, in Documento su Napoli. Edilizia ed urbanistica, Edizioni di Comunità, Roma 1961, p. 22. 134. Cfr. G. Ricci, La cultura architettonica a Napoli dal 1945 al 1960, in Fuori dall’ombra..cit.., pp. 523-535.
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Elena Mendia. Un’architetta nella Napoli del Secondo Dopoguerra
Palazzine Fiore in via Denza a Portici, piante e prospetti, fine anni Cinquanta (AM)
nel 1958 e 450.000 nel 1964209, registrando un incremento del 400% degli investimenti, pubblici e privati, in abitazioni tra il 1951 e il 1964210, mentre gli addetti alle costruzioni passavano da 1.100.000 nel 1951 a 2.100.000 nel 1964211. Se gli anni del boom sancirono il diffondersi della liberalizzazione del mercato delle costruzioni a partire dalla casa, possedere un appartamento di proprietà era stato per la classe media un sogno in parte realizzato già prima della guerra: dal 1927 si formò una commissione, composta tra gli altri da Alberto Calza Bini e Giuseppe Gorla in qualità, rispettivamente di presidenti dell’ICP di Roma e di Milano, preposta alla formulazione di norme che facilitassero l’istituto del condominio212, ovvero la pratica di abitare all’interno di edifici multipiano in appartamenti di proprietà, e quindi il frazionamento della proprietà in orizzontale213. Il riconoscimento definitivo del condominio come regime ormai diffuso divenne effettivo solo nel 1939, quando il nuovo catasto edilizio urbano introdusse la tassazione per unità immobiliare al posto della tassazione per fabbricato o per 209. Cfr. G. Crainz, Storia del miracolo… cit., p. 131. 210. Cfr. G. Ferracuti, M. Marcelloni, op. cit., p. 46. 211.Cfr. G. Crainz, Storia del miracolo …cit., p. 122. 212. Cfr. L. Bortolotti, Storia della politica edilizia in Italia, Editori riuniti, Roma 1978, p. 73. 213. Nel diritto romano, infatti, si contemplava il frazionamento della proprietà solamente in verticale, mentre nel senso orizzontale non si concepiva che un diritto di superficie. Cfr. A. Jannuzzi, G. Jannuzzi, Il condominio negli edifici, Giuffrè, Milano 1968.
Una professionista
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La grande officina centrale del Camim con la copertura a doppio shed, 1963 (AM)
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Elena Mendia. Un’architetta nella Napoli del Secondo Dopoguerra
Una professionista
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