Enrico Calandra. Ritratto di un architetto

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Paola Barbera Matteo Iannello

Enrico Calandra Ritratto di un architetto


03 DIÀTONI studi di storia dell’architettura e restauro


Questo libro è stato pubblicato con i fondi della ricerca MIUR FFABR 2017, finanziata dall’Università degli studi di Catania, Dipartimento DICAR. Gli autori hanno elaborato congiuntamente struttura e contenuti del testo. La stesura dell’Introduzione e dei capitoli II, IV, VI, VII è di Paola Barbera; quella dei capitoli I, III, V è di Matteo Iannello, che ha anche curato la sezione “Memorie di allievi”.

ISBN 978-88-6242-410-3 Prima edizione Dicembre 2020 © LetteraVentidue Edizioni © Testi e immagini: rispettivi autori. Dove non diversamente indicato, le immagini provengono dall'Archivio Calandra, Palermo. È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico e impaginazione: Raffaello Buccheri LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa


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ENRICO CALANDRA


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Introduzione

STORIA DI UN MAESTRO

MEMORIE DI ALLIEVI

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Capitolo I Gli anni della formazione

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Giuseppe Samonà Ricordo di Enrico Calandra

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Capitolo II Da Palermo a Messina

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Enrico Tedeschi In memoria di Enrico Calandra

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Capitolo III La ricerca della modernità nel progetto di architettura

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Capitolo IV La storia per il restauro

Antonio Zanca In memoria del Professore Ingegnere Architetto Enrico Calandra

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91

Capitolo V Dalla Sicilia a Roma. L’insegnamento alla Scuola Superiore di Architettura

Francesco Basile Storia e critica dell’architettura in un grande educatore

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Edoardo Caracciolo Enrico Calandra

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Capitolo VI Il progetto storico

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Capitolo VII Un’eredità multiforme APPARATI 163

Bibliografia

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Indice dei nomi


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E. Calandra, Paesaggio.

E le qualità inerenti all’essenza del disegno architettonico sono in lui rafforzate da un temperamento artistico non comune e da un sobrio, spontaneo e gustoso graficismo che rende i suoi lavori singolarmente attraenti»19. Testimonianze e documenti d’archivio raccontano come all’indomani dalla laurea le attenzioni e le energie del giovane Calandra siano tutte proiettate verso una personale affermazione professionale secondo una pratica del mestiere intesa come sintesi di una ricerca artistica scientificamente fondata, consapevole dell’architettura del passato ma espressione e manifestazione della vita moderna. Una consapevolezza matura al punto da spingerlo a rifiutare il posto da ingegnere delle Ferrovie Sicule, assegnatogli come vincitore di concorso nell’agosto del 190120, e a mettere da parte anche quelle prime esperienze professionali che si erano concretizzate in maniera autonoma con il progetto e la costruzione dell’imbocco della nuova galleria ferroviaria di Chiusa Sclafani lungo la linea a scartamento ridotto Palermo-Corleone-San Carlo21 – progettata dall’ingegnere Amedeo Chauffourier e realizzata con la direzione dei lavori di Francesco Calandra 19. E. Basile, Relazione sui titoli didattici e sull’attività artistica e professionale del Prof. Enrico Calandra, documento manoscritto, Roma, 20 settembre 1920, ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Universitaria, Fascicoli professori, III serie, busta 88. 20. Cfr. E. Calandra, Esposizione dell’attività scientifica ..., cit. 21. La linea ferrata era stata progettata dall’ingegnere Amedeo Chauffourier e realizzata con la direzione dei lavori di Francesco Calandra. La concessione per il successivo utilizzo, era stata affidata all’imprenditore Roberto Trewhella in qualità di rappresentante legale della Società inglese Narrow Gadge Railway Company Sicily di Londra. Cfr. Pirrone 1993.


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E. Calandra, La rocca di Godrano (1912).

–, e nello studio, assai più articolato e complesso, per una rete ferroviaria a trazione elettrica per le Ferrovie del Bosco Etneo. Il progetto messo a punto tra il 1902 e il 1904 e presentato ufficialmente con un fascicolo a stampa edito nel 190522, prevedeva il collegamento di Catania con trentacinque tra comuni e frazioni della provincia; un percorso articolato per oltre cinquanta chilometri che dal punto di vista architettonico si completava con lo studio dei diversi fabbricati di servizio: «Si è accresciuta l’attrattiva della ferrovia – scrive Calandra – col dotarla di fabbricati viaggiatori per le stazioni ed anche per le fermate, che si allontanassero dai tipi comuni. Trattandosi di ferrovie elettriche d’istituzione eminentemente moderna, si è ispirata la forma e la decorazione dei fabbricati stessi ad una certa novità e libertà di stile, che, mentre allo esterno manifestasse con sano criterio estetico la speciale destinazione degli edifici, mercé la evidente mostra dei locali destinati al pubblico, presentasse nella disposizione, forma e dimensioni degli ambienti le maggiori comodità pei viaggiatori di tutte le classi […] Si è perciò data la maggiore importanza ai vestiboli e alle tettoie comuni, […] e si sono fornite anche le stazioni secondarie di ambienti destinati ad uso di bar o ristoranti e rivendite di tabacchi, di modo da offrire un confort adeguato alle odierne esigenze ed alle abitudini attuali»23. Quello che di fatto voleva essere un vero e proprio passaggio di consegne da padre a figlio, si scontra tuttavia con il desiderio e la 22. Calandra 1905. Il “Corriere di Catania” dedicherà un articolo per illustrare alla cittadinanza il progetto elaborato da Calandra. Cfr. La ferrovia elettrica del Bosco Etneo. Progetto dell’ing. E. Calandra, in “Corriere di Catania”, 1905, n. 234. 23. Calandra 1905, pp. 15-16.


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Messina, Veduta della Chiesa di Santa Maria della Valle (1930).

si pone al lavoro «con ardente passione, mettendo in luce, con appositi profondi scavi, le varie parti del monumento per poterne, con esattezza e scrupolosità […], eseguire il rilievo ed indagare e risolvere problemi e dubbiezze non poche, che hanno affaticato la mente di valorosi critici e cultori di storia dell’Arte»5. Di antica fondazione, probabilmente in un luogo in cui preesistono resti di una costruzione romana del V-VI secolo d.c., come attestano frammenti di fregi su un architrave e dei capitelli, la chiesa ha un impianto originario centrico "bizantino-normanno", sormontato da cupola, al quale – secondo la tesi di Calandra – vengono aggiunte successivamente le navate. Le due parti sono armonizzate nel corso dei numerosi lavori di rifacimento svolti tra il XIII secolo e l’inizio del XIV; l’abbandono della chiesa e del monastero avviene progressivamente tra la fine del Trecento e il Cinquecento, preservando tuttavia il monumento da successivi interventi e rimaneggiamenti rinascimentali e barocchi. La chiesa deve essere ancora integra quando viene visitata e descritta da Lord Henry Gally Knight nel 1838, ma nel breve volgere di un paio d’anni subisce il crollo della cupola, un parziale interramento e lo stravolgimento del contesto naturale circostante a causa dell’alluvione del 1840. A partire dalla primavera del 1907, Calandra passa suoi luoghi intere giornate, lavora e riposa in una casetta di contadini nei pressi della chiesa, lì conserva strumenti per i rilievi, disegni, taccuini, appunti, libretti di misure; il lavoro prende corpo tra le biblioteche e i ruderi della chiesa, segnando l’inizio del mestiere di storico dell’architettura, capace di coniugare gli strumenti dello studioso con quelli del tecnico.

5. Zanca 1946, infra.


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E. Calandra, Chiesa di Santa Maria della Valle, restauro ideale: spaccato assonometrico, piante e vista interna.


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Il terremoto del 28 dicembre 1908 interrompe bruscamente la strada intrapresa e segnerà profondamente la vita umana e professionale di Calandra. Da Palermo, dove si era recato per festeggiare in famiglia il Natale, Calandra ritorna immediatamente a Messina per prestare il proprio aiuto; i morti, come si saprà, sono quasi centomila, la città è ridotta a un cumulo di rovine, anche la casa dove Calandra abitava, di fronte la chiesa di Santa Maria delle Trombe, lungo la via dei Monasteri, non esiste più. Quando ritorna nella valle dove sorge la Badiazza, Calandra constata il crollo del grande arcone di imposta della cupola, l’unico superstite, gravato per altro da porzioni dei pennacchi angolari ad archetti che costituivano il passaggio dagli arconi al tamburo della cupola; anche la piccola casa rurale dove Calandra custodiva i materiali di lavoro e i disegni non esiste più: «Se tu sapessi – scrive in una lettera alla moglie Dina – che valle di dolore e di sterminio è questa città. Pianti, gemiti, persone ancora vive, appese a ringhiere di balconi alle quali non è possibile arrivare; non si possono appoggiare le scale ai palazzi sventrati di cui è rimasta soltanto la facciata. Dalle macerie, a intervalli, giungono gemiti, e non si può intervenire perché sono molto difficili da rimuovere. Quando sono state approntate delle tende, lungo il litorale meno devastato, ho lasciato la nave dove sono rimaste molte persone, fra le quali Borgese e Barzini dei quali ho tratteggiato, affrettatamente, una caricatura. Scrivono articoli per diversi giornali e appunti vivi e palpitanti. […] Sono andato a rivedere la casa dove abitavo, poco lontano dall’università. Non esiste più. […] Sopra tanto sterminio e desolazione ho ritrovato alcune tue lettere conservate in un armadio. Le ho raccolte bagnate e sporche; ma più leggere delle altre cose sono rimaste in superficie»6. Pochi taccuini, con gli schizzi di campagna, si salvano fortunosamente. Bisognerà aspettare il 1915 perché l’Università di Messina riapra, ma negli anni che seguiranno il terremoto, Calandra continuerà a lavorare 6. Il passo della lettera inviata da Enrico Calandra a Dina Omodeo è riportato in: Omodeo Calandra 1981, pp. 102-103.


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sulla chiesa della Badiazza, primo tassello di un vasto mosaico che nel tempo, e con l’aiuto di numerosi allievi, egli metterà a punto. Con il terremoto si chiude, temporaneamente, l’Università di Messina e sia Zanca che Calandra vengono trasferiti a Palermo. Nel 1910, nonostante molti disegni, elaborati didattici e progetti siano andati persi tra le macerie, Antonio Zanca spinge Calandra a partecipare al concorso bandito dall’Università di Cagliari per la cattedra di Disegno d’Ornato e Architettura Elementare7. L’iter del concorso è travagliato, nonostante il prestigio di Guglielmo Calderini, componente della commissione d’esame insieme ad Antonio Zanca, Sebastiano Locati, Giacomo Misuraca, Giulio Pittarelli; un primo giudizio viene annullato, proprio in seguito al ricorso di un concorrente palermitano, Francesco Paolo Rivas. Gli aspiranti alla cattedra sono peraltro numerosi e parecchi sono ritenuti dalla Commissione adeguati a ricoprire il posto bandito; su richiesta di Antonio Zanca, Enrico Calandra viene sottoposto a una prova grafica e a una dissertazione orale sulla stessa, perché possa appieno dimostrare il proprio valore in assenza di titoli e disegni perduti nel terremoto. Il tema sorteggiato è stato proposto da Calderini e consiste nella progettazione di un ciborio nello stile del XIV secolo. «La dottrina e la solida preparazione culturale, di cui dié prova, destarono tale ammirazione da riscuotere il vivo e sincero applauso dei concorrenti stessi. Esempio unico negli annali dei concorsi universitari!»8. In un arco di tempo tutto sommato ridotto, tra la fine del 1907 e il 1912, Calandra compie velocemente i passi che lo portano alla cattedra di Disegno d’Ornato e Architettura Elementare, raggiungendo l’obiettivo di 7. Il primo giudizio si conclude con l’individuazione di una terna composta da: Gustavo Tognetti, primo all’unanimità, Pietro Ricci ed Enrico Calandra, con quattro voti ciascuno, ma il concorso viene annullato per vizio di forma dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Nuovamente bandito nel 1911, viene portato a termine nel dicembre dello stesso anno con l’individuazione della terna composta da Gustavo Tognetti, con cinque voti favorevoli, Enrico Calandra con tre voti favorevoli, Francesco Fichera con tre voti favorevoli. Cfr. Ministero della Pubblica Istruzione 1913. 8. Zanca 1946, infra.

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E. Calandra, Chiesa di Santa Maria della Valle, studi e appunti di rilievo (1908).


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sistema continuo di logge variamente articolate che mostrano in evidenza il sistema trave-pilastro in cemento armato che struttura l’intero edificio e ne disegna l’immagine stessa30. Sono temi sviluppati da Calandra anche nei coevi progetti per l’edificio di reddito da costruirsi nell’isolato 331 del Piano Regolatore di Messina e redatto in collaborazione con l’ingegnere Caffarelli, per la casa Costa e grandi magazzini Peloritani "Giacomo Costa" nell’isolato 387 sempre a Messina o ancora, per la villa Falzea nella frazione di Mortelle a ovest di Capo Peloro in cui la struttura in cemento armato che compare nella sua essenzialità strutturale data dal rapporto compositivo trave-pilastro nel disegno della grande pergola che copre la terrazza aperta verso il mare è integrata dal disegno di erme e figure alate che compaiono sui prospetti31. Progetti in cui aspetti funzionali, disegno e composizione dei volumi sono oggetto di studi sempre più approfonditi con l’obbiettivo – più volte dichiarato – di mettere a punto un linguaggio espressivo adeguato ad una nuova contemporaneità, capace di riassumere e rielaborare in forme

30. A conclusione di un lungo iter progettuale l’Amministrazione Comunale deciderà di abbondare l’idea di costruire il nuovo Ufficio di Igiene, accogliendo così l'invito mosso da parte della cittadinanza a limitare il numero degli edifici pubblici che proprio in prossimità della Galleria Vittorio Emanuele, nell’area a monte del corso Cavour, si erano già realizzati, in favore di una destinazione residenziale dei terreni ancora disponibili. 31. L’incarico per la costruzione della villa Falzea risale ai primi mesi del 1920. Il pittore Adolfo Romano, allievo e amico di Calandra, si occupò degli interni e della realizzazione del ricco apparato decorativo che caratterizza i prospetti esterni. Cfr. Romano 2013, p. 88.


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nuove temi e modi della tradizione: «Oggi – scrive Calandra – si può essere moderni senza bisogno di romperla colla tradizione. I migliori architetti italiani d’oggi ce ne forniscono prove luminose, purché per tradizione non s’intenda il servile attaccamento alle forme di un qualsiasi passato, ma quel tener fede agli spiriti di una razza tramandandoli attraverso i vari cambiamenti di forme, per i secoli. […] Viceversa certe architetture, che sembrano tradizionali solo perché fatte tutte di frammenti già visti, possono essere quanto mai lontane dallo spirito tradizionale»32. La conoscenza e la consapevolezza di un passato che Calandra riscopre progressivamente finisce con il determinarne anche le ricerche architettoniche: erme, telamoni, figure alate, partiti e motivi decorativi e cromatici, sono tutti riferimenti linguistici e formali che diventano sempre più presenti nei disegni e nelle architetture. I due progetti presentati con Camillo Autore al concorso bandito nel 1924 per la nuova sede del Banco di Sicilia di Siracusa33 attingono rispettivamente all’architettura «siciliana, vermexiana del principio del ‘600» (motto "In onore del Vermexio") e alla «greca-siracusana modernizzata» (motto "Corda et ala"): «Il caldo sentimento barocco che il Calandra seppe dare ai prospetti del progetto per il palazzo del Banco di Sicilia in Siracusa, entusiasmò in quel tempo anche grandi architetti italiani e noi giovani da poco laureati, aprendoci nuovi orizzonti oltre che per il gusto magistrale dell’interpretazione, per la chiarezza e l’ingegnosità della controllatissima pianta. Tutti sentimmo allora, 32. Calandra 1927, pubblicato in Barbera Iannello 2010, pp. 63- 67, cit. p. 64. 33. Il concorso fu bandito il 22 novembre 1924, la Commissione, presieduta da Ignazio Mormino, era composta da Enrico Mauceri direttore del museo di Messina, Antonio Zanca, Giuseppe Capitò e Salvatore Valenti. Cfr. Sarta 2002, pp. 59-66.

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E. Calandra, Progetto per l'Ufficio Municipale d'Igiene di Messina, prospetto principale su piazza Sant'Agostino e vista prospettica del cortile (19211926).


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A. Zanca, Progetto di restauro della Cattedrale di Palermo (1901, AZ).

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Seppure su un elemento di dettaglio, come la transenna delle navi della chiesa, Calandra rielabora la lezione appresa dal proprio maestro che per progettare nel 1901 il rifacimento della facies esterna della cupola della cattedrale palermitana era partito proprio dallo studio delle varie fasi di costruzione e completamento della fabbrica e aveva optato non per la ricostruzione di una ipotetica cupola nello stile "originario" del duomo normanno, ma per una sua realizzazione in analogia con le torri campanarie assai posteriori, riferibili al XIV secolo, proprio in ragione dell’armonia complessiva del monumento. Gli studi sulle due cattedrali normanne, distanti pochi chilometri l’una dall’altra, impegnano maestro e allievo in un confronto che segnerà con continuità il cammino di entrambi. Sebbene siano pochi i documenti che attestano lo svolgersi e il progredire degli studi di storia dell’architettura tra la fine degli anni Dieci e gli anni Venti tuttavia le ricerche, seppure senza esiti di pubblicazioni, dovettero essere condotte e anche con una certa risonanza sul territorio. Nella seconda metà degli anni Venti Calandra, nominato Ispettore Onorario dei Monumenti9, è infatti il referente, cui si rivolgono istituzioni diverse, nel campo del restauro e della storia dell’architettura medievale. A conferma della notorietà dello studioso e della sua autorevolezza, sappiamo che tra il 1926 e il 1927 Calandra viene interpellato sia 9. In archivio si conservano appunti, disegni e schizzi oltre a diverse bozze di schede di catalogazione redatte secondo il Modello 24 “Antichità e Belle Arti”.


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dall’arcivescovo di Siracusa, Giacomo Carabelli, che dal vescovo di Tropea, Felice Cribellati, a proposito dei delicati restauri delle due cattedrali. Il cantiere del duomo di Siracusa, visitato da Calandra a lavori appena iniziati, è oggetto di un secondo sopralluogo nel 1926 a restauro quasi compiuto, con la guida di Paolo Orsi e di Sebastiano Agati. Calandra è invitato dall’arcivescovo a esprimere il proprio parere su un’operazione complessa e non scevra da critiche. La rimozione della decorazione interna di epoca barocca e la ricerca dei volti molteplici, da quello classico del tempio di Atena a quello medievale, nascosti sotto un ultimo strato settecentesco hanno fatto temere che: «accadesse in parte, restaurandosi l’Athenajon, qualcosa di quello che nel secolo scorso era toccato, nel restauro del tempio detto della Concordia a Girgenti, alla chiesa intitolata a San Gregorio delle Rape, ora semplice ricordo»10. Le ragioni del restauro compiuto sono difese da Calandra non perché con esso si giunga «al ripristino del più antico tempio», ma perché attraverso le scelte effettuate si rimette in luce lo spirito profondo che aveva animato le scelte del vescovo Zosimo «nel volere un ambiente così suggestivo […] attutendo la forza maschia, titanica del colosso pagano, con la intimità pura e gentile dell’arte bizantino-cristiana»11. Ragioni ideali, di una fede che non teme il contatto col diverso, di una religione che

10. Calandra 1926, pubblicato in Barbera Iannello 2010, pp. 53-55, cit. p. 53. 11. Ivi, p. 54.

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E. Calandra, Studio della chiesa di San Pietro e Paolo a Forza d’Agrò. E. Calandra, Monastero di Gala.


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Capitolo VI Il progetto storico

Gli anni romani testimoniano uno straordinario interesse per l’architettura contemporanea: Calandra, abbandonata la verifica sperimentale attraverso il progetto, concentra le proprie energie sull’insegnamento e pone, come abbiamo visto, le esperienze architettoniche più recenti e innovative come nucleo centrale del proprio magistero. I primi anni Trenta sono interamente dedicati a questo nuovo incarico che richiede la messa a punto di un materiale didattico vastissimo, in un ambito in buona parte da esplorare. D’altro canto, già nell’accettare l’incarico Calandra scriveva a Giovannoni: «Posso solo garantire che […] non mi risparmierò nemmeno nel nuovo campo», confessando un unico timore: «potessi sentirmi sicuro di essere aderente alla vita che s’è venuta determinando nella nostra civiltà contemporanea, come sono sicuro di amare e di avere penetrato quella che ha determinato i monumenti e l’arte che ho qualche volta preso in esame!»1. Per alcuni anni le carte d’archivio e le corrispondenze non recano traccia di ricerche sulla storia dell’architettura siciliana. Tuttavia, dopo un periodo dedicato interamente alla contemporaneità, le architetture dei secoli passati ricompaiono tra i progetti di ricerca di Calandra ed è forse proprio la distanza dalla Sicilia ad acuire lo sguardo dello studioso sulla storia dell’isola e a fargli riprendere le fila di un lavoro interrotto. A partire dal 1936 le corrispondenze con numerosi allievi rimasti in Sicilia ci informano sui progetti e sui metodi di ricerca di un gruppo di architetti e storici dell’arte che riconosce in Calandra la propria guida. Nessuno ha la visione d’insieme che il maestro ha maturato viaggiando tra occidente e oriente dell’isola, nessuno ha la sua capacità di leggere le architetture unendo agli strumenti del mestiere di architetto i metodi dello storico dell’arte, nessuno – soprattutto – ha il suo indubbio

1. Minuta della lettera di Enrico Calandra a Gustavo Giovannoni, s.d. ma 1929, AC.

E. Calandra, Studi dei prospetti della chiesa di San Pietro e Paolo a Forza d'Agrò.


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E. Calandra, Cattedrale di Palermo, studio dell’area occupata dal vecchio e dal nuovo Duomo.

maggio e giugno Calandra ritorna in Sicilia, compie ulteriori sopralluoghi e tiene delle conferenze a Palermo e a Messina, con ampia risonanza sui giornali locali e non solo. Nel 1939 dunque, un po’ da vicino e un po’ da lontano, Calandra regge le redini del gruppo di lavoro e progetta per l’inizio dell’anno successivo un nuovo sopralluogo di studio. Le mete concordate con Spatrisano e con gli altri sono Castelvetrano, Sciacca e Agrigento, e questa volta al gruppo vorrebbe unirsi anche il giovane Vittorio Ziino. Anche in campo nazionale cominciano a essere pubblicati esiti delle ricerche sulla storia dell’architettura siciliana. Nel 1940, nella collana voluta da Giovannoni I Monumenti d’Italia, vengono pubblicati due lavori strettamente collegati, frutto della scuola di Calandra: Chiese siciliane del periodo normanno, di Francesco Basile e Il Duomo di Cefalù di Giuseppe Samonà. Nel recensirli su "Palladio" Calandra rivendica l’origine delle ricerche negli anni di lavoro comune a Messina, dove ha preso forma un nuovo modo di guardare alla storia dell’architettura, sia perché «viste dall’angolo messinese invece che dall’angolo palermitano […] le vicende


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assumevano accenti diversi»21, ma anche perché lo sguardo dell’architetto sulla storia vede ciò che altri, privi degli strumenti del mestiere, non possono vedere. Le parole dedicate al volume di Samonà non lasciano spazio a dubbi: «[…] La revisione totale, operata da questo libro nella storia, nella conoscenza e nella valutazione artistica di questo monumento, non deriva da fortunati ritrovamenti d’archivio, ma dall’attento esame e dall’analisi più profonda, costruttiva, funzionale, estetica fatta da un architetto sensitivo e vigile, edotto dei problemi connessi col tema e dei più recenti aggiornamenti di studi […] deriva cioè dal lavoro di un architetto e di uno studioso fusi in un sol indagatore assetato di verità»22. Calandra ha ben chiara la visione d’insieme del mosaico che sta provando a comporre, affidando figure e temi ai suoi allievi, ma c’è un elemento centrale del disegno al quale – pur non abbandonando la pratica della condivisione del confronto – vuole dedicarsi personalmente: il Duomo di Palermo.

21. Calandra 1941, ripubblicato in Barbera Iannello 2010, p. 209. 22. Ivi, p. 204.

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E. Calandra, Studio delle absidi della Cattedrale di Palermo.


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Memorie di allievi ~ Giuseppe SamonĂ Enrico Tedeschi Antonio Zanca Francesco Basile Edoardo Caracciolo


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Ricordo di Enrico Calandra Giuseppe Samonà Dattiloscritto inedito Archivio Calandra, Palermo

Ed ora debbo raccogliermi in religiosi pensieri per parlare del mio Maestro. Dico Maestro, perché questo Egli fu pienamente; tuttavia, io lo penso come il “professore”: questo nome eravamo tutti abituati a dargli per antonomasia, parlando di Lui o pensando a Lui. Per noi, dire “professore” significava dire Calandra. Era come un appellativo affettuoso e più intimo, che dai nostri giovani anni avevamo usato soltanto per Lui; personificava qualcosa di più del semplice titolo accademico, quasi un attributo di onore e di commozione, che ci legava con affetto filiale alla sua grande personalità, che fu in Sicilia per noi quella di un gigante in un mondo di nani. Egli rappresentò, per gli architetti della nostra generazione, la pagina nuova di vita, l’esemplare più perfetto di tutto quanto in Lui si riassumeva, nel tormentato periodo degli anni prima del ’30, degli atteggiamenti spirituali dell’arte e della cultura. Un fascino straordinario emanava dalla sua persona, ed era tanto grande che le nostre crisi, i nostri dubbi, i nostri disorientamenti si risolvevano in placata serenità nel suo spirito, che accoglieva queste crisi nostre e sapeva comporle – qualunque fosse il dissidio – per una magica comprensione quasi da apostolo, per un equilibrio così limpido di giudizio, che nessun altro ebbe dipoi a farci sentire fra gli uomini anche più geniali e brillanti, che avemmo a incontrare nei nostri anni maturi. Sentivamo in Lui, noi giovanissimi, qualcosa che andava al di là della straordinaria cultura, della vivacità dell’ingegno; sentivamo

come una forza morale così vivida che oltre al fascino intellettuale aveva il potere di attirare, per quella umanità che era come il contenuto più profondo di ogni suo riposto pensiero. Questa umanità, questo equilibrio morale furono il potere, il tessuto connettivo da cui si animarono tutte le sue eccezionali doti di artista sensibilissimo, e più ancora di acutissimo critico e storico dell’arte; quel fermento vitale, cioè, che fece di Lui il maestro, il gigante di noi giovani, l’animatore di tutti i nostri entusiasmi, l’uomo a cui si rivolsero tutti i nostri pensieri, tutti i nostri sentimenti, e verso il quale si schiusero le nostre anime, anche le più ermetiche, come quella del Cardella. Questa illuminata superiorità morale fece dell’uomo Calandra il simbolo di perfezione per quei giovani architetti della Sicilia, che vollero spezzare i legami di stanca mediocrità, a cui tardi epigoni di un morente passato cercavano di vincolarli. Egli esordì, come artista architetto, nei primi anni del Novecento, sentendo il tormentoso dissidio tra le aspirazioni del secolo e il decadimento dell’architettura. Contro questo decadimento Egli insorse, e la sua fu ribellione aperta e completa allo stile floreale dominante in Sicilia; ribellione che lo mise in luce fra i pochi che compresero la giustificazione morale del suo atteggiamento, ma che lo isolò in gran parte dalla massa degli ossequianti alle vecchie impalcature dottorali di quel periodo di piatta mediocrità borghese. I suoi progetti di allora portano come il segno di una divinazione del futuro; c’è in


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essi un senso così limpido e perfetto di funzionalità e di aderenza allo scopo, che pone senz’altro quest’opera giovanile fra gli esempi più cospicui dei precursori italiani dell’architettura contemporanea. La sua pianta del progetto di concorso per la Stazione di Milano ha uno studio attentissimo dei percorsi e una così equilibrata distribuzione degli spazi, che fanno presentire organismi assai più vicini a noi nel tempo. Un gruppo di villini dimostra, oltre a questo senso perfetto di aderenza allo scopo, una straordinaria finezza della configurazione spaziale delle masse sentite come squisito gusto grecizzante, in cui una maniera di architetti come l’Olbrich (molto studiato e imitato allora in Italia) è superata in emozione tutta siciliana, in cui l’artista trasfonde il suo eccezionale sentimento fantastico. Questo sentimento traluce nei suoi disegni, ove l’esuberanza del temperamento controllatissima dall’acuta osservazione del passato, sentito non come bagaglio di dottrina, trasforma in espressione ogni linea. Tali doti di squisito disegnatore ed architetto fan rivivere della nostra tradizione architettonica quegli aspetti caratteristici che ne mettono in risalto lo spirito; esse si rivelarono già nella sua prima battaglia, il Pensionato artistico nazionale, da Lui conteso fino all’ultima tappa al Beppe Torres e al Milani. Questo progetto, di cui si conservano i bei disegni, esprime una commossa interpretazione del tardo Cinquecento con una vivacità che altri concorrenti furono ben lontani dal dare. Difficilmente, infatti, si trova in architetti del tempo un entusiasmo così grande per l’architettura nostra, una profondità di interpretazione e un amore, quale tralucono dalle sue opere, in cui il passato è come rivissuto e superato da una vera emozione d’arte. Il caldo sentimento barocco che il Calandra seppe dare ai prospetti del progetto per il palazzo del Banco di Sicilia in Siracusa, entusiasmò in quel tempo anche grandi architetti italiani e noi giovani da poco laureati, aprendoci nuovi orizzonti oltre che per il gusto magistrale dell’interpretazione, per la chiarezza e l’ingegnosità della controllatissima pianta. Tutti sentimmo allora, e sentiamo tuttora, come quel progetto fosse di gran lunga superiore agli altri presentati al concorso: un’opera di primo piano fra cose mediocri. Tuttavia, il suo straordinario amore per i

monumenti siciliani, di cui si occupò sempre con mirabile acume di giudizio, impegnò sempre più la sua attività, allontanandolo poco alla volta dall’architettura militante. Egli, che era un entusiasta delle nuove possibilità espressive dell’architettura, cominciò a sentire un dissidio, che si fece sempre più profondo, fra la sua passione delle architetture siciliane del passato e il sentimento di artista innovatore. I fantasmi di quell’arte prevalsero sempre più in lui, soverchiando la fantasia dell’artista, e lo condussero ad una quasi totale inibizione dei suoi poteri creativi. Posta come problema morale, la crisi si risolse nella rinunzia volontaria all’architettura militante, per una coraggiosa e come dire sovrumana onestà di dichiararsi impotente al proseguimento del suo lavoro di compositore, nonostante questa tanta ricchezza di fermenti vitali. Egli si volse tutto allo studio amoroso dell’architettura del passato; e qui, come nella sua attività artistica, si sente permeare la coscienza morale, che fa più ampio di respiro e più perfetto di equilibrio ogni suo pensiero, per la grande umanità di cui si alimentano tutte le emozioni. Ogni cosa che Egli pensò e disse, comunicava ai giovani, ai discepoli, che stavano intorno a Lui come a un antico filosofo ellenico. Superato e placato ogni tormento di creatività, Egli si rasserenò come per una catarsi e poté osservare e giudicare dall’alto i problemi dello spirito. Non dimenticheremo la parola calda, persuasiva e pur tranquilla, con cui esponeva così acutamente la soluzione di un problema di architettura; né l’entusiasmo trascinatore della sua parola, quando, davanti a un monumento della nostra Sicilia, ne illustrava i caratteri, mettendone in chiaro i problemi e facendo rivivere l’organismo in tutti i suoi dettagli con concretezza profonda e incisiva. Chi non ricorda la sua infaticabile opera di ricercatore, gli anni in cui lo accompagnammo nei luoghi più impervi e nei paesi più remoti, per riconoscere un frammento, una chiesa, una cupola? Questa attività che mai venne meno, neppure quando il corpo fu indebolito dalle trepidazioni per la prigionia del figlio, non ebbe un’adeguata corrispondenza di scritti. Tutto quanto Egli scoperse e studiò lo diede ai discepoli: a Bottari, ad Autore, a me, a Cardella, a Spatrisano, a Caracciolo e a tanti altri che vicino a Lui si formarono e che cercarono


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Storia e critica dell’architettura in un grande educatore Francesco Basile "Metron" 15, 1947, pp. 2-6

«Tornato da Napoli sono stato in colloquio spirituale con Lei …», è l’inizio dell’ultima lettera che Enrico Calandra mi scrisse l’otto gennaio 1946, qualche giorno prima di essere gravato dall’infermità, che doveva poco tempo dopo condurlo alla tomba. È la dolorosa chiusura di un carteggio che durava ormai da oltre vent’anni. Infrequenti gli accenni ad affari privati o di famiglia, noi discutevamo dei nostri studi, propositi e ricerche, dei risultati, dei richiami che ci stimolavano, delle difficoltà e scontentezze che ci arrestavano. Dense, minuziose sono le sue lettere, come tutti i suoi scritti, e vi si ritrova il senso di ciò che fu e l’attrasse e amò. Con vivezza di autobiografia esse documentano quello stesso atteggiamento dello spirito che gli era connaturato, il dosato giudizio, la calma ragionativa, la scrupolosità e profondità di osservazione, l’austerità del carattere agguerrito. Enrico Calandra era per vocazione un educatore e un maestro. Conoscitore esperto e aggiornato dei fatti e problemi dell’architettura moderna (non gli difettavano dirette esperienze artistiche, nei primi anni più frequenti) non meno che della storia dei monumenti, confluivano nel suo metodo tutte le sue qualità e reciprocamente si aiutavano, era il suo stile di grande acutezza e intensità. Mai lo vedemmo opaco studioso chiuso nella sua ricerca e geloso delle sue conquiste, era in effetti un animatore dei meno provveduti studiosi che gli si avvicinavano e ad essi egli sapeva infondere la fede che nutriva nel proprio lavoro, pronto a rimuovere per loro

ingombri e a dissolvere pregiudizi, prodigo della sua ricchezza d’uomo e delle sue estese e comparative conoscenze, quanto poco disposto a tollerare i voli bizzarri e l’approssimativo, le curiosità eleganti e le vanitose compiacenze, niente affatto indulgente a vedere in maniera facile i problemi non facili. Il suo interesse per l’architettura del passato non era motivato da un nostalgico idoleggiamento, da un «desiderio vano della bellezza antica» e lontano dal suo carattere erano quelle facili tenerezze e quella schiumosa rettorica che si versano copiose sul monumento e che è frutto del proprio fantasticare, quanto quell’estatico e non meno vacuo annichilimento interiore di fronte al fatto artistico. Ma altrettanto aborriva quella fiacca metodica, inetta a risolvere il problema della comprensione di un’opera d’arte, che è fondata sull’ingegnoso smontare il monumento nelle sue parti alla ricerca di diverse influenze – gelida brezza su cose calde di vita – quasi che un’opera d’arte possa trattarsi con i sistemi in uso per le analisi chimiche. Tutti notavano che non inclinava verso l’indagine filologica, l’industriosa ricerca d’archivio, quanto l’attraevano le pure qualità formali dell’opera, nell’ascoltazione diretta, nella comunione e riunione all’artista. Questo era il suo modo abituale di leggere l’opera e, artista egli stesso, sapeva scoprirne con finezza l’umano accento e l’intimo succo. Nel suo volume sulla storia dell’architettura in Sicilia, che l’editore Laterza gli


MEMORIE DI ALLIEVI

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pubblicò nel 1938, il Calandra diede un saggio delle sue esperienze in un campo poco dissodato (e tuttora in massima parte da investigare) che in modo speciale gli stava a cuore per avervi dedicato molti anni di meditazioni e di viaggi per ogni luogo e per aver suggerito a anche guidato alcuni dei più importanti studi che sull’argomento si son fatti negli ultimi decenni. Ma il lettore difficilmente s’avvede che quel libro non è che una trama di preparazione, per uso proprio, di un articolo da periodico, quello che una rivista francese gli chiese in ristretti limiti di tempo per un numero unico interamente dedicato alla Sicilia. Eppure quel suo carattere compendioso di riepilogo, tracciato con mano sicura ma rapida, quella fittezze di fatti e di idee, e anche quel procedere per caratteristiche salienti di periodi e di gruppi di monumenti, condensando spesso molteplici allusioni in una sola frase e persino nei singoli vocaboli, con cura prescelti e avaramente contati, sono una diretta conseguenza delle speciali circostanze che condizionavano lo scrittore. Per altro egli sapeva tener conto che in una regione coma la Sicilia la storia degli influssi non si può sottovalutare, se si deve sistemare prospetticamente un insieme della sua storia artistica. E se talvolta sembra che troppo si senta costretto a insistere su discernimenti di tendenze e correnti e di esteriori condizionamenti dei fatti d’arte (ma si noti con quale perspicuità egli tratteggia sia i profondi motivi dell’architettura del periodo normanno sia i tipici aspetti dell’architettura rinascimentale nelle sue ritessiture di elementi della tradizione nelle singolari chiese palermitane del pieno Cinquecento) subito dopo si vede quanto posto egli lasci alla valutazione della spontanea e argentina poesia, come sappia schiettamente intendere l’artista che ha saputo librarsi al di sopra delle esterne contingenze. Matteo Carnalivari, Giacomo e Paolo Amato, il Vaccarini, il Marvuglia, i nipoti Gagini, e ancora altri, sono figura d’architetti la cui sfera formale egli con penetrante intuito ricostruisce intatta nell’istantaneo colorito individuale. Lo stesso spirito egli portava nelle sue lezioni universitarie, felice di trovarsi fra giovani a cui infondeva il meglio che era in lui. Nella scuola spendeva tutto se stesso

e, sotto lo stimolo dell’insoddisfazione, un culto assiduo, una cura minuziosa metteva nell’elevare continuamente l’efficacia del suo metodo che fondava veramente su una stretta collaborazione fra insegnante e discenti. Questo concetto fugava ogni monotonia e irrigidimento accademico e creava fra la cattedra e i banchi la più feconda intesa; il rapporto non era più di subordinazione o di travasamento ma di coordinazione e di identificazione. Una svolta sostanziale segna nella sua attività didattica, dopo il quindicennio messinese – in cui non gli furono risparmiate incomprensioni e amarezze – l’inizio dei suoi corsi di Caratteri degli edifici nell’Ateneo romano. In questo insegnamento, di cui il Calandra fu in Italia il primo docente, veniva a riflettersi la ricchezza di innovazioni introdotta dai nuovi tempi, il processo di rapida crescenza in fatto di esigenze pratiche imposte agli edifici, il moltiplicarsi e la flessibilità dei loro tipi e dei loro equipaggiamenti, i vincoli sanciti dalle moderne leggi, l’ampliamento delle attrezzature meccaniche e dei requisiti igienici, motivi che sono direttamente riportabili ai fattori economici, industriali e scientifici assai rilevanti nella vita attuale e che spingono i non artisti, gli ingegni marcatamente pratici, alla trasposizione dell’edificio su un piano esclusivamente utilitario. Il Calandra si accinse al suo compito con grande fervore e gusto di approfondimento. Comprese subito che bisognavano principi solidi e precisi se si voleva dominare la grande quantità di osservazioni sperimentali e dati disponibili, se si voleva tentare di raccogliere in una costruzione articolata e armonica tutte le sparse conoscenze e i risultati variamente raggiunti. Egli teneva ben fermo che l’opera dell’architetto non è circoscritta e definita in un corpo di sapere di pertinenza della tecnica costruttiva e, innanzi tutto, nell’indagare i caratteri pratici delle opere architettoniche, abbandonò quel precario indirizzo manualistico di livellamento e riduzione al «tipo», indirizzo che per essere sopraffatto da concetti morfologici e descrittivi seziona un edificio come un organismo inanimato in cui agiscono soltanto valori metrici, procedimento che resta al di sotto delle più elementari esigenze logiche.


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ENRICO CALANDRA


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Indice dei nomi

A Agati, Sebastiano 79 Aymonino, Carlo 109 Albanese, Achille 19 Albini, Franco 133 Amato, Giacomo e Paolo 153 Arata, Giulio Ulisse 127 Arena, Adriana 75, 163 Armanni, Osvaldo 91 Armetano, Aristide 28 Armò, Ernesto 28, 62 Autore, Camillo 61, 62, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 88, 131, 139, 141, 148, 158, 162, 164, 168 Autore, Suleima 106 Azzolini, Tito 33 B Bagnera, Giuseppe 147 Baroni, Costantino 127 Basile, Ernesto 15, 23, 24, 25, 26, 28, 33, 37, 39, 41, 42, 43, 57, 62, 70, 81, 133, 164, 166, 167 Basile, Francesco 61, 101, 106, 120, 152, 158, 163 Basile, Giovan Battista Filippo 20, 32, 165 Bazzani, Cesare 33 Belletti, Alberto 31 Bellini, Egisto 31 Benedetti, Simona 89, 163 Benevolo, Leonardo 109 Bergson, Henri 62 Berti, GIuseppe 28, 31 Biolchi, Riccardo 28, 31 Bo Bardi, Lina 13, 109, 163 Bocchi, Amedeo 31 Böhm, Dominikus 56 Boito, Camillo 33 Bonaccorso, Giuseppe 89, 127, 163 Bonafede, Antonio 131

Bonatz, Paul 56 Bonelli, Renato 13, 108, 131, 164 Bonfiglio, Antonio 62 Bottari, Stefano 12, 61, 81, 82, 83, 131, 141, 158, 164, 168 Bozzoni, Corrado 108, 164 Brunelli, Elisa 62 C Caffarelli 64 Cagliostro, Rosa Maria 70, 164 Calandra, Francesco 19, 26 Calandra, Maria 11, 106, 108, 136 Calandra, Roberto 11, 98, 101, 143, 169 Calderini, Guglielmo 47, 52, 147, 148 Calza Bini, Alberto 133 Calza Bini, Giorgio 99, 106 Campisi, Giovanna 31 Candela, Simone 37, 164 Canella, Carlo 31 Capezzoli, Corrado 31 Capitò, Giuseppe 65, 67 Capitò, Michele 20, 24, 164 Caprì, Giuseppe 62 Caracciolo, Edoardo 12, 15, 61, 94, 98, 106, 119, 129, 130, 131, 132, 141, 155, 164 Carabelli, Giacomo 79 Caravacci, Amerigo 31 Carbonara, Pasquale 13, 98, 99, 100, 106, 108, 131, 164, 169 Cardella, Salvatore 61, 113, 119, 131, 132, 140, 141, 158, 164 Carnilivari, Matteo 113 Caronia, Salvatore 32, 33, 39 Caronia Roberti, Salvatore 23, 24, 25, 32, 67, 164 Casciato, Maristella 106, 164 Castiglia Di Giovanni, Giuseppe 28


03. DIÀTONI studi di storia dell’architettura e restauro Su Enrico Calandra (1877-1946) ha pesato un lungo silenzio storiografico. Le memorie dei suoi allievi — tra questi Giuseppe Samonà, Lina Bo, Bruno Zevi — che ci consegnano il ritratto di un maestro in anni che di maestri sono assai poveri. Attraverso lettere, scritti e disegni emersi dall’archivio dell’architetto, questo libro restituisce in un’unica immagine i molti volti di Enrico Calandra: quello del giovane architetto alla ricerca della modernità, quello del maestro amatissimo dagli allievi più diversi, quello dello storico dell’architettura impegnato nella definizione dei fondamenti di una disciplina che da allora, grazie anche ai suoi studi, appartiene agli architetti. Le tracce di una storia individuale e familiare che ha origine nella Sicilia di fine Ottocento ci conducono lontano verso una storia dell’architettura – e non solo – che racconta l’Italia negli anni difficili delle guerre mondiali e del regime fascista.

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