Ogni volta che, grazie a una nuova avanzata di forze storiche e alla liberazione di nuove energie, nuove terre e nuovi mari fanno il loro ingresso nell’orizzonte della coscienza collettiva umana, mutano anche gli spazi dell’esistenza storica. Nascono allora nuovi parametri e nuove dimensioni dell’attività storico-politica, nuove scienze, nuovi ordinamenti, una nuova vita di popoli o rinati. Questo ampliamento può essere talmente profondo e sorprendente da comportare il mutamento non solo delle misure e dei parametri, non solo dell’orizzonte esterno degli uomini, ma anche della struttura del concetto stesso di spazio. Allora si può parlare di una rivoluzione spaziale. (Carl Schmitt, Terra e mare)
Indice
08
Doxiadis e l’architettura del mondo Prefazione di Alberto Ferlenga
16
Nostra Patria è il mondo intero Introduzione di Benno Albrecht
22
Antefatto: Doxiadis in Grecia
30
Nuovo ordine 30 34 37
50
Progetto e sviluppo 50 56 63
74
Un’attenzione inedita Una prospettiva evolutiva: Fathy Dynapolis in Africa Verso un progetto continentale: l’All-Africa plan
Verso la città-mondo 148 153 163 170
195
Sviluppo e insediamento tra scienza e managerialità Tentativi di modellizzazione Dynapolis Crescita e controllo The City of the Future
Evoluzione e infrastruttura 116 121 130 134
148
Progetto e sviluppo Professione e networking «Sviluppo a ogni costo»
La città del futuro 74 81 91 100 102
116
Decolonizzazione e modernizzazione La sfida dello sviluppo tecnico La fine delle ideologie
Un’alternativa per la città del futuro Terra incognita Tyrwhitt: «A meno di non essere completamente marxisti…» Le forme di Ecumenopolis e la Asian Highway
Riferimenti bibliografici
Doxiadis e l’architettura del mondo Prefazione di Alberto Ferlenga
Destroying the values created by nature and Man is today our most characteristic action in building human settlements1.
Nel 1967, dalla torre dell’isola-fortezza di Bourtzi, in Grecia, Konstantinos Doxiadis scrive l’introduzione alla prima edizione del suo libro Ekistics dedicato alla sistematizzazione di una “scienza degli insediamenti umani”, l’ekistica appunto, che già aveva delineato nel 1943, al tempo della sua militanza nella resistenza contro l’occupazione del suo paese. L’architetto che dal centro del golfo di Nauplia fa i conti con la realtà molteplice delle città del mondo ricorda Darley, l’alter ego di Lawrence Durrell in Justine, che da un’isola dell’Egeo ripercorre le diverse realtà dell’Alessandria che ha vissuto. Il libro che raccoglie le idee di Doxiadis ha avuto varie stesure, la prima risale al 1964 ma solo quattro anni dopo l’iperattivo architetto e urbanista greco sarà in possesso dell’apparato di ridisegni urbani in grado di sostenerne, in modo per lui soddisfacente, l’impianto teorico. All’uscita del libro, alle spalle dell’autore c’è una carriera professionale già affermata e favorita da contatti ben radicati con l’establishment 8
politico e culturale statunitense. In epoca di Guerra fredda Doxiadis è il titolare di quello che può essere considerato il primo studio di urbanistica globale (Doxiadis Associates) che ha per committenti stati o istituzioni internazionali e disegnerà i piani per città come Islamabad, Baghdad, Accra, Miami, Detroit, Rio de Janeiro, Lagos, Karachi, Khartoum, Teheran, Riyadh e molte altre. Le sue attività sono supportate da varie strutture collaterali. Vi è il Center of Ekistics di Atene, con la sua azione di ricerca e formazione, la rivista Ekistics, attiva dal 1957, i Delos Symposia, che coinvolgono in approfondimenti multidisciplinari sui temi dell’insediamento umano studiosi dalle più diverse provenienze: dagli architetti Kenzo Tange, Buckminster Fuller e Fumihiko Maki a Jonas Salk, scopritore del primo vaccino contro la poliomielite, dall’antropologa Margaret Mead agli storici Sigfried Giedion e Arnold Toynbee, dal biologo Conrad Hal Waddington al geografo Jean Gottmann. Pochi anni prima dell’uscita di Ekistics, Doxiadis vive anche la straordinaria esperienza del progetto per Islamabad, capitale del nuovo Pakistan e, a tutti gli effetti, terza capitale del moderno, dopo Chandigarh e Brasilia, concepita come una città “crescente”, fatta di piccole città nella città e di infrastrutture viabilistiche differenziate per i diversi usi. Ekistics, dunque, sistematizza anni di esperienze dirette e di ricerche. Suo obiettivo è fornire strumenti utili a superare lo stato di crisi in cui versano gli agglomerati urbani di ogni genere e evitare il rischio di una catastrofe derivante dal sommarsi degli effetti congiunti di uno sviluppo incontrollato e di una rottura dell’equilibrio con la natura. Sull’onda di questo pericolo, Doxiadis ritiene che la messa a punto di una scienza specifica basata sullo studio delle città, delle loro premesse storiche e delle loro implicazioni contemporanee costituisca l’unica possibilità di contrastare il disastro annunciato ed attribuire un nuovo ruolo ad architetti 9
Filippo De Dominicis
e urbanisti. L’obiettivo è dare forma sopportabile alla città del futuro che viene immaginata, nella sua fase ultima, come Ecumenopolis, rete continua di nodi urbani e connessioni infrastrutturali estesa per l’intera superficie terrestre. Nell’introduzione del 1967 Doxiadis rivela anche i suoi principali riferimenti: Dimitris Pikionis, primo tra tutti, il suo maestro degli anni dell’Università Tecnica di Atene, a cui deve la comprensione del «valore estetico dei nostri territori»; Lewis Mumford, i cui libri lo hanno aiutato «a comprendere la complessità degli insediamenti umani», Arnold Toynbee, con cui discute «i processi di evoluzione della storia e i capitoli dedicati alle antiche città»2. Sebbene non nominati nell’introduzione, bisognerebbe però aggiungere tra i debiti importanti del libro anche Il Tramonto dell’Occidente, di Oswald Spengler, fondamentale per molti architetti del secolo, in cui viene immaginata, come fase finale dell’evoluzione urbana, Cosmopolis, la città-mondo, così simile alla Ecumenopolis di Doxiadis. E ancora, sarebbero da citare gli studi degli anni Cinquanta sulla Megalopolis americana di Jean Gottmann, o quelli, precedenti, di Patrick Geddes sulla valley section, analisi ante litteram del rapporto tra un insediamento e il proprio contesto geografico. È poi lo stesso Doxiadis a dichiarare come, al di là dei debiti culturali, gran parte della spinta verso nuovi studi gli derivi dalla dolorosa esperienza vissuta nei paesi distrutti dalla guerra e dalla vista dei profughi abbandonati a sé stessi, dopo migrazioni epocali come la Mikrasiatikí katastrofí greca o la partition indopakistana quando: «realizzai che, basandomi sui miei studi di architettura, ingegneria e planning ero impotente nell’aiutarli per conquistare una nuova vita»3. Ma al di là delle influenze dirette esercitate su di lui da maestri o eventi Doxiadis è stato soprattutto un abile raccoglitore di idee maturate in svariati ambiti che utilizzerà nel tentativo 10
Doxiadis e l’architettura del mondo
senza precedenti di dar vita ad una scienza non compresa tra quelle ufficiali. Per chi legge dall’Italia il suo tentativo, salta agli occhi l’analogia – metodologica e non solo – con quello quasi contemporaneo di Aldo Rossi in L’architettura della città (1966), visto dal suo autore come il “frammento di una compiuta teoria urbana” e concepito in origine come manuale di urbanistica. Come Rossi, non a caso evocato nell’introduzione alla prima monografia sull’architetto greco, Doxiadis crede «che l’architettura non possa esaurirsi nell’edificio in sé, perché si trasformerebbe in architettura di interni o decorazione, ma dovrebbe essere connessa in modo positivo con il proprio contesto»4. Molte altre sono le assonanze tra i due, incluso l’interesse a definire un nuovo ruolo “sociale” per l’architetto e pur non essendo documentata la conoscenza diretta dei rispettivi contributi è indicativo che la rivista Ekistics sia presente nell’archivio della Casabella di Ernesto Nathan Rogers nel periodo in cui Rossi vi lavora come giovane editor. Ma tornando a Doxiadis, in questa sua opera di costruzione di una nuova scienza e di una nuova cultura, vi è un aspetto che lo distacca da altri studiosi della sua epoca. La percezione, cioè, che quella delle città sia ormai una questione globale. Nel suo caso, tuttavia, non si tratta solo di intuizioni ascrivibili al campo delle utopie o delle previsioni ad effetto. La sua lettura si basa su analisi precise, appoggiate a ricerche sul campo e supportate dall’uso dei primi calcolatori elettronici, e il punto di vista universale gli permetterà di mettere a fuoco, prima di altri, le priorità emergenti sullo scenario complessivo del mondo: energia, ambiente, trasporti, cibo, acqua, clima. L’accumulo di conoscenza su questi temi avviene attraverso i continui viaggi, i progetti, la collaborazione con organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e università come Harvard, le ricerche sulla città del futuro finanziate da fondazioni americane come la Ford Foundation. In questo lavoro di analisi globale si 11
Filippo De Dominicis
Doxiadis Associates con Hassan Fathy, Centro di una comunità nella regione di Mussayib, Iraq, in “Ekistics”, vol. 6, n. 36 (ottobre 1958), p. 178, per gentile concessione dell’Athens Center of Ekistics. 12
Doxiadis e l’architettura del mondo
avvarrà di una rete estesissima e variegata di relazioni, di uno staff numeroso in grado di praticare contemporaneamente i terreni della ricerca, della formazione e del progetto, ma anche di collaboratori “speciali” come Hassan Fathy, egiziano, tra i più importanti architetti del Novecento, e Jackie Tyrwhitt, inglese, urbanista ed ex segretaria dei CIAM. I due studiosi gli porteranno la ricchezza di punti di vista – l’uno più tradizionale e l’altro più innovativo – apparentemente distanti tra loro, ma che lo aiuteranno nell’ambizioso tentativo di fondere i percorsi di due differenti aspetti della modernità. Alla base delle sue riflessioni rimarrà sempre, come termine di paragone, la città greca, che aveva iniziato a studiare nel 1935 con la sua tesi di dottorato a Berlino, pubblicata in tedesco nel 1937 e poi nel 1972 tradotta in inglese da Tyrwhitt con il titolo Architectural Space in Ancient Greece5. Per queste sue caratteristiche, e per l’essersi mosso con preveggenza in un’epoca di passaggio, la sua vicenda è ancora oggi una miniera inesplorata di idee e strumenti per chi sia interessato allo studio delle dinamiche urbane. Malgrado ciò, pochi oggi ne ricordano il contributo. Notissimo nel suo tempo, in cui esercita un vero e proprio ruolo di opinion leader, anticipando figure di architetti globali che solo più tardi avremmo conosciuto, Doxiadis è stato, poi, pressoché dimenticato o addirittura guardato con sospetto perché considerato, da alcuni, come un agente dell’imperialismo americano impegnato su temi di frontiera e favorito dalla nazionalità greca. Certo, il cripticismo di molti suoi scritti, i rapporti con i centri del potere USA, e il meccanicismo delle sue teorizzazioni non hanno aiutato la divulgazione del suo enorme lavoro dopo la sua morte, avvenuta nel 1975, così come il progressivo affermarsi di un alone da setta attorno al gruppo ekistico. Se però, sfrondando la parte datata e propagandistica delle sue riflessioni, andiamo al fondo di esse, ne esce un contributo 13
Filippo De Dominicis
tanto più importante in quanto concentrato su problemi che le città avrebbero conosciuto in modo evidente solo in un tempo molto più vicino a noi, alle soglie del nuovo millennio. Indubbiamente Doxiadis è stato, infine, un grande comunicatore – come attestano i suoi molti libri, la sua rivista, la familiarità con i media, l’uso spettacolare degli eventi – e, potremmo dire, anche un antesignano in questo campo, almeno per quanto riguarda gli architetti. Dalle sue molteplici attività esce la consapevolezza del ruolo nuovo della comunicazione nel mondo globale. Lo dimostrano le “liturgie” dei simposi di Delo che riprendono e amplificano quelle dei vecchi CIAM razionalisti (il viaggio in nave, la firma collettiva di una carta di intenti, ecc.), e la collaborazione con grandi comunicatori e studiosi della comunicazione come Sigfried Giedion e Marshall Mc Luhan, entrambi frequentatori degli incontri ekistici. Filippo De Dominicis affronta in questo libro, in modo particolare, la dimensione globale del progetto e della ricerca in Doxiadis. Per l’Italia si tratta del primo contributo approfondito ed aggiornato sull’architetto greco, ma ha un interesse ben più ampio considerando la frammentarietà e la parzialità degli studi internazionali recenti su questa figura anomala della scena architettonica del novecento. Il racconto di De Dominicis, frutto dell’analisi delle molte testimonianze lasciate da Doxiadis e di approfondite ricerche d’archivio, ci rivela, con considerazioni ben documentate, un aspetto fondamentale della figura del grande planner, mettendo in evidenza l’utilità del suo lavoro in un’epoca in cui molte delle sue previsioni si sono avverate. Allo stesso tempo, questo ampio saggio aggiunge un tassello importante alla ricomposizione di un quadro della cultura architettonica del Novecento più completo e complesso di come per molti decenni ci sia stato descritto.
14
Doxiadis e l’architettura del mondo
Note 1. Doxiadis Konstantinos Apostolos, Ekistics: An Introduction to the Science of Human Settlements, Oxford University Press, Londra-New York, 1968, p. 7. 2. Ivi, p. xxix. Le traduzioni sono dell’autore. 3. Ivi, pp. 1-4. 4. Kyrtsis Alexandros-Andreas (a cura di), Constantinos A. Doxiadis: texts, design, drawings, settlements, Ikaros, Atene, 2005. 5. Doxiadis Konstantinos Apostolos, Architecture Space in Ancient Greece, The MIT Press, Cambridge, 1972 (ed. originale: Doxiadis Konstantinos Apostolos, Raumordnung im griechischen Städtebau, Tesi di dottorato, Università di Berlino-Charlottenburg, 1937).
15
Filippo De Dominicis
Doxiadis Associates, Masterplan per Khartoum, 1959, in “DA Bulletin”, n. 4, agosto 1959, Doxiadis Archives 35409, © Constantinos & Emma Doxiadis Foundation, Atene. 82
La cittĂ del futuro
83
Filippo De Dominicis
Doxiadis Associates, La struttura di una comunità di classe IV, in DOX-OA 13, 30 novembre 1959, p.145, Doxiadis Archives 35881, Š Constantinos & Emma Doxiadis Foundation, Atene. 92
La città del futuro
avrebbe esercitato la sua massima pressione: con un tasso di crescita della popolazione tre volte superiore a quello medio nazionale28, l’ambiente urbano diventava non solo la sede, ma il punto di partenza più naturale per ogni discorso su sviluppo e insediamento; un argomento, questo, che se da un lato legittimava le posizioni già espresse a Milano – uno sviluppo che si sarebbe fatto strada attraverso i confini nazionali –, dall’altro rendeva secondario ogni tipo di impegno settoriale limitato al solo mondo rurale. A fronte di una tale problematizzazione – rappresentare la crescita, individuarne la sede e costruire un modello insediativo che ne incorporasse le dinamiche –, l’approccio teorico di Doxiadis si proponeva un obiettivo ulteriore: Dynapolis doveva essere configurata per confrontarsi con la scala transnazionale e incrementale della crescita, assecondandone la traiettoria e, al tempo stesso, alimentandone la portata. Questa ambizione significava essenzialmente due cose: in primo luogo, il modello Dynapolis sarebbe stato plasmato sulle condizioni e sulle necessità del nuovo mondo indipendente, un mondo che a detta di Kwame Nkrumah – una figura in quell’epoca particolarmente influente – avrebbe dovuto attraversare gli stadi della crescita con una accelerazione dieci volte superiore rispetto a quella del mondo occidentale29. In ragione di una necessità simile, quindi, Dynapolis avrebbe risposto a una logica formale progressiva, in grado di fronteggiare tassi di incremento demografico mai visti prima, e di svilupparsi secondo una traiettoria di tipo parabolico, più o meno corrispondente alle previsioni di sviluppo fornite dagli economisti classici30. In sostanza, Dynapolis doveva governare lo spazio della città ma soprattutto regolarne il tempo, guidando i comportamenti dei cittadini verso lo sviluppo. Immersi in un ambiente urbano plasmato sulle regole del progresso, i nuovi abitanti avrebbero assorbito i dettami della modernizzazione, dell’industrializzazione, della costruzione in serie razionalizzata sui paradigmi 93
Filippo De Dominicis
172
Verso la cittĂ -mondo
Ecumenopolis in Africa occidentale (D-COF 1115), s.d., in Doxiadis Archives 25822, Š Constantinos & Emma Doxiadis Foundation, Atene. 173