INDICE 6
Prefazione Mauro Palma
1 – LA RICERCA 14
Introduzione
Andrea Di Franco, Paolo Bozzuto
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Le ragioni di una [nuova] ricerca sul carcere Andrea Di Franco
2 – IL CARCERE A MILANO 58
Gli istituti di pena milanesi come caso studio Andrea Di Franco
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Per restituire il carcere alla città Francesco Infussi
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La socialità nel carcere: pratiche e luoghi Antonella Bruzzese, Benedetta Marani, Laura Pogliani
3 – RIPENSARE GLI SPAZI DEL CARCERE, IN CARCERE 146
Tracce di libertà: un’esperienza di ricercaazione nella Casa di reclusione di Bollate Andrea Di Franco
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Senza filtro: un workshop di investigazione e progetto nella Casa di reclusione di Opera Emilio Caravatti, Riccardo Miccoli
4 – LO SPAZIO E LE NORME 184
La progettazione delle carceri in Italia, dagli anni Cinquanta al 1975: verso la “riforma” Paolo Bozzuto, Riccardo Miccoli
200
Dopo la “riforma”: gli spazi del carcere e lo spazio della normativa Paolo Bozzuto
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Imparare dagli altri: un confronto con il contesto europeo Gianfranco Orsenigo
5 – ORIENTAMENTI AL PROGETTO 262
Linee guida per la riqualificazione degli spazi Paolo Bozzuto, Lorenzo Consalez, Andrea Di Franco
278
Un repertorio di azioni possibili Lorenzo Consalez
404
Postfazione Gabriele Pasqui
408 414
Riferimenti bibliografici Gli autori
PREFAZIONE Mauro Palma
Ci sono luoghi che richiedono parole discrete, pronunciate con tono rispettoso e cauto, perché in essi si annidano la difficoltà e molto spesso la sofferenza e le parole permeano con il loro accento tutto l’ambiente oltre che le relazioni che in essi si stabiliscono. Parole discrete che però mancano nel vocabolario del presente, proprio quando di tali luoghi si discute; poiché questi spesso appaiono distanti e soprattutto finiscono sempre con l’interrogarti. Il vocabolario inadeguato, a volte duro e impietoso, è così sintomo dell'incapacità a misurarsi con la complessità della parte difficile del nostro corpo sociale, del non riconoscerla come propria e del relegarla in un mondo esterno e non visibile, da affrontare al più con l’asetticità burocratica. I luoghi di privazione della libertà sono di questo tipo. Richiederebbero parole caute, discrete appunto, e raramente le trovano. Perché, al di là di dichiarazioni formali d’intenti, restano spesso intrisi di quel residuo di desiderio di vendetta e di quella inconfessabile attrazione per il rifiuto assoluto verso chi ha colpito la presunta normalità; sentimenti vengono coltivati nei confronti di persone che hanno commesso reati o che sono irregolarmente presenti nel territorio che si ritiene esclusivamente proprio o nei confronti di coloro che sono ritenuti difficilmente omologabili a quanto è percepito come ordinato modo di vivere. Così, le parole del linguaggio comune e dei media sul carcere non sono quasi mai discrete, caute. Esse oscillano tra il linguaggio cruento di chi considera irrimediabilmente persa ogni ipotesi di rapporto tra le persone ristrette e il contesto sociale esterno, e il linguaggio astratto, denso di circolari, protocolli e acronimi, di chi amministra le pene anche con volontà inclusiva,
Un’architettura discreta
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ma spesso perdendo di fatto la connessione con la concretezza delle persone a cui tali atti si riferiscono. Due linguaggi che richiedono una diversa, ma simmetrica riconversione. Ma, la discrezione non va richiesta soltanto alle parole: dovrebbe guidare anche le immagini. Queste hanno il ruolo importante – seppure tutto da riscoprire – di essere veicolo per far percepire i mondi oltre i muri come parte del complessivo contesto che coinvolge tutto, al di qua e al di là di essi. Eppure, nonostante le immagini, questi restano spesso luoghi non visibili e non visti: se nel carcere è più facile, almeno in anni recenti, avere occhi esterni che entrino, vedano e traggano immagini e sensazioni, nei centri dove sono ristretti i migranti irregolari l’opacità è spesso impenetrabile. Non solo, ma perché si veda realmente all’interno di essi non basta renderli visibili e riconoscibili da occhi esterni perché tra il “visibile” e il “visto” esiste l’intrinseca distanza tracciata dalla “non appartenenza”: se quel mondo non mi appartiene o se io non mi percepisco come appartenente a esso, è facile che io non lo veda veramente pur avendolo sotto gli occhi. In una delle grandi città del nostro Paese, per esempio, il “Centro per il rimpatrio” dei migranti irregolari – il luogo dove queste persone sono ristrette in attesa che si compia il definitivo annullarsi della speranza che aveva alimentato il loro spingersi verso un altrove – è nel pieno centro urbano, con palazzi che vi si affacciano; eppure ciò che viene visto non suscita quella reazione che scatterebbe se condizioni anche lontanamente simili a quelle che si vedono dal balcone di casa si vedessero in un altro contesto. Parole discrete, immagini anch’esse discrete e non desiderose di suscitare emozioni forti dovrebbero essere il segno del riconoscimento della normale comune appartenenza e del reciproco vedersi e riconoscersi come persone, qualsiasi sia la propria posizione rispetto a quel muro separatore. E lo spazio? Lo spazio in cui tale funzione di restrizione della libertà individuale si realizza, pur nel solco di garanzie che la nostra Carta costituzionale detta, riesce a essere discreto senza divenire anonimo? Riesce a essere dialogante, non impositivo, ma anche non falsamente “neutro”? Perché analogamente a quanto avviene per il linguaggio, anche lo spazio in cui la privazione della libertà quotidianamente si concretizza può dispiegarsi in negativo non solo nel caso in cui sia incombente e segregante, ma anche nel caso in cui sia “muto” perché rispondente alla mera richiesta di contenere e null’altro proporre. 7
Lo spazio di relazione nel carcere
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Le ragioni di una [nuova] ricerca sul carcere
Andrea Di Franco
LA RICERCA
Andrea Di Franco
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Lo spazio di relazione nel carcere
INTRODUZIONE Andrea Di Franco Paolo Bozzuto
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Le ragioni di una [nuova] ricerca sul carcere
Questo volume propone gli esiti della ricerca “L’architettura del carcere: da spazio di detenzione a luogo di relazione” svolta presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani – DAStU del Politecnico di Milano tra il 2016 e il 2018, finanziata dal Fondo di Ateneo per la Ricerca di Base (FARB). La ricerca ha mirato a esplorare e indagare, attraverso gli strumenti del progetto d’architettura e del progetto urbano, il tema dello spazio del carcere e delle sue condizioni di abitabilità: un’emergenza civile in Italia a cui non si è finora riusciti a dare risposte efficaci e strutturali, nonostante l’impegno quotidiano profuso dai dirigenti e dagli operatori dell’Amministrazione penitenziaria e dai soggetti del terzo settore a vario titolo attivi entro le molteplici realtà carcerarie italiane. Presupposto fondante e primo riferimento del lavoro è stato (e ancora è) la convinzione espressa dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma, in merito al ruolo fondamentale che lo spazio assume nella definizione dell’esperienza di vita dei detenuti: «Lo spazio condiziona concretamente la pena nel suo svolgersi ben di più di molte acute elaborazioni teoriche» (Palma 2011: 52). L’interferenza tra spazio ed esistenza emerge anche dalle parole di Eligio Resta, giurista e filosofo, quando afferma che la necessità di affrontare il tema della condizione detentiva a partire dall’architettura è dovuta al fatto che esso riguarda il rapporto tra spazio individuale e spazio collettivo: «il problema del carcere si pone in maniera dirompente come anatomia politica dei corpi» (Resta 2011: 243-244). Il carattere spaziale deve pertanto essere considerato come fattore condizionante concreto; spazio e architettura sono il presente solidificato di un passato ancora vincolante, oltre che il futuro già iscritto nell’inerzia della materia costruita. Essi sono l’espressione di un tempo arrestato: lo spazio che confina il tempo, e che a sua volta incide sul corpo. Se il carattere precipuo della pena in carcere diventa, attraverso la chiusura dello spazio, quello della sottrazione dell’uomo dal proprio tempo e dell’inserimento in un “non-tempo” confinato, questo annullamento del tempo del condannato va oltre alla sottrazione della sua libertà, e costituisce di fatto un aggravio, con conseguenze determinanti, della pena. Ricorriamo ancora alle parole di Mauro Palma (ivi) per sostanziare questo legame strutturale tra il senso della detenzione
La necessità di occuparsi delle carceri
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Lo spazio di relazione nel carcere
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Le ragioni di una [nuova] ricerca sul carcere
Andrea Di Franco
IL CARCERE A MILANO
Andrea Di Franco
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Lo spazio di relazione nel carcere
GLI ISTITUTI DI PENA MILANESI COME CASO STUDIO Andrea Di Franco
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Le ragioni di una [nuova] ricerca sul carcere
La ricerca, abbiamo visto, concentra la propria azione di analisi, operando direttamente negli istituti o affiancando i dati resi disponibili, sui tre casi milanesi, Opera, Bollate e San Vittore. Questo lavoro analitico sui tre casi, affiancato alle letture dei casi internazionali di maggiore interesse, coniugato con lo studio diretto di esperienze svolte in altre città italiane (Torino, Napoli, Firenze, Roma), serve a definire una casistica che a partire dalle realtà specifiche possa delineare delle regole generali di intervento a loro volta selezionabili e specificabili nel momento in cui, da parte degli operatori della realtà penitenziaria o di ulteriori progetti di ricerca, vengano applicate ad altri casi specifici. È questa una condizione caratteristica del “progetto aperto” cui questa ricerca tende. Milano offre una casistica esemplare, con i suoi tre istituti, rispetto al collocamento urbano (centrale, periferico, periurbano), alla tipologia edilizia (edificio storico – peraltro vincolato dalla soprintendenza, struttura per massima sicurezza – Opera, e struttura per media sicurezza – Bollate), e alle caratteristiche delle persone detenute (casa circondariale per brevi permanenze ad alta percentuale di stranieri, struttura per detenuti comuni, permanenze medie – Bollate, e struttura per detenuti ad alta e massima sicurezza / art 41 bis, permanenze lunghe o senza fine – Opera). In tal senso raccoglie in un’unica realtà amministrativa una gran varietà di caratteri, il che agevola una diretta opera di confronto. Come abbiamo già osservato, la ricerca delle regole generali di intervento passa attraverso un’azione multipla di progetto che possa istruire un “catalogo” di interventi paradigmatici, applicabili ai diversi casi. Questo progetto per “esempi”, regolato sui casi studio milanesi, attiva delle ipotesi di trasformazione tematiche che, a causa di questo carattere paradigmatico degli ambiti di sperimentazione, costituiscono la sostanza delle linee guida alla progettazione e si rendono applicabili a – o perlomeno confrontabili con – ulteriori sperimentazioni extra-cittadine. I casi milanesi che la ricerca prende in considerazione fotografano oggi una situazione quantitativamente non emergenziale, in particolare se confrontata con la media della situazione nazionale. La casa circondariale di San Vittore è passata dalle 1697 presenze del 2012 alle 786 del 2015, a fronte di una capienza di 712 posti letto.
Il caso Milano. Un campione rappresentativo
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Lo spazio di relazione nel carcere
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Per restituire il carcere alla città
il carcere a milano
5. Lo spazio pericarcerario a San Vittore: un contesto urbano denso, un muro di recinzione impermeabile allo sguardo, la rarefazione delle pratiche urbane lungo il perimetro.
6. Lo spazio pericarcerario a Bollate: la trasparenza del recinto esterno e il parcheggio sovradimensionato. Le recinzioni che si fronteggiano lungo la strada.
Francesco Infussi
7. Lo spazio pericarcerario a Opera: l’isolamento del carcere in un ambiente agricolo e l’invisibilità dalla strada.
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Lo spazio di relazione nel carcere
4. Particolare dell’attacco del nuovo frangisole in legno di cedro alla struttura di ferro esistente restaurata, Bollate, 2019.
circonda le strutture, giunge al carcere e, addirittura, entra nel carcere, senza fermarsi annichilita a qualche centinaio di metri di distanza, e nemmeno andando a sbattere contro le sue mura come fossero emerse all’improvviso da un incubo fuori dal tempo. Il senso è proprio questo: raccontare di uno spazio urbano che entra in carcere e di uno spazio interno che si manifesta all’esterno. Probabilmente è proprio su questo fronte che l’architettura può diventare l’elemento più efficace di costruzione di un progetto di relazione che giunge sino allo spazio della coscienza dei cittadini di dentro e di fuori.
La partecipazione come motore: dal progetto alla realizzazione
Come anticipato all’inizio di questo capitolo, il procedimento del laboratorio ha tentato di innestare un progetto nel progetto, dotato della quasi utopica ambizione di giungere, all’interno della struttura carceraria, a una realizzazione concreta attraverso il meccanismo della partecipazione. Si tratta di un procedimento che ha un importante riferimento, per quanto riguarda il mondo del carcere, nell’esperienza svolta nell’istituto di Sollicciano (Firenze) con il “Giardino degli Incontri”, di Giovanni Michelucci, nella seconda metà degli anni ’80 del
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TRACCE DI LIBERTÀ: DUE esperienzE di ricerca - azione nel carcere di Bollate
Ripensare gli spazi del carcere, in carcere
Novecento (Fondazione Michelucci, 1983). Il “Giardino degli incontri” non è l’unico riferimento del nostro tentativo di realizzazione: recentemente, altre interessanti esperienze, in particolare nella Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino (con la realizzazione di spazi per gli incontri per i detenuti e di piccoli spazi di sosta e incontro per gli agenti di Polizia Penitenziaria) e nel carcere di Poggio Reale a Napoli (con un sistema di arredi per rendere disponibili all’uso collettivo i corridoi delle sezioni), hanno esplorato questa possibilità di concretizzare piccoli progetti che sollevano grandi temi (Santangelo 2017). Questo tema del progetto e della realizzazione “partecipata”, apre ad alcune considerazioni. «Per capire ciò che accade nei luoghi, come città e grands ensambles, che riavvicinano persone, costringendole a coabitare, sia nell’ignoranza o nella reciproca comprensione, sia nel conflitto, latente o dichiarato, con tutte le sofferenze che ne risultano, non basta rendere ragione di ciascuno dei punti di vista presi in modo separato. Bisogna anche confrontarli come sono nella realtà, non solo per relativizzarli, lasciando giocare all’infinito il gioco delle immagini incrociate, ma, al contrario, per far apparire, attraverso il semplice effetto di giustapposizione, ciò che risulta dallo scontro di visioni del mondo differenti o antagoniste: cioè, in certi casi, il tragico, che nasce dallo scontro senza concessioni o compromessi di punti di vista incompatibili, perché ugualmente fondati su delle ragioni sociali» (Bourdieu 1972). Le parole di Pierre Bourdieu ben sintetizzano il senso e la necessaria laboriosità, che costringe anche ad accettare l’esito del “fallimento”, del processo di progettazione e realizzazione “partecipata”, inteso come passaggio di elaborazione del conflitto. Se progetto significa modificazione dell’esistente, il senso di questa alterazione della realtà trova sempre gradi differenziati di resistenza nella realtà in cui deve incidere. Il valore del processo di condivisone di tutte le fasi del progetto è evidentemente quello della rilevazione della sostanza di queste resistenze e della possibilità conseguente della elaborazione del conflitto che ne consegue. Condurre il conflitto come materiale da praticare sul piano del progetto naturalmente pone un ulteriore ostacolo, talvolta decisivo per il naufragio dell’intero percorso, alle già complicate dinamiche che vanno dall’ideazione alla realizzazione. Tuttavia, anche l’ipotesi del fallimento o dell’alterazione Andrea Di Franco
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Lo spazio di relazione nel carcere
5. Casetta Rossa, vista interna con il Prunus Padus inserito, Bollate, 2018.
sostanziale dei piani di partenza, rientra in quella logica del progetto che, oltre a cercare ragioni più profonde – e dunque più complesse – dell’esito spaziale-formale, trova ragion d’essere nelle stesse dinamiche di confronto, incontro o scontro. Se, per di più, stiamo parlano di luoghi in cui il tema del conflitto è la ragione d’esistenza di questi stessi luoghi – qual è il carcere –, si chiarisce quanto la presa in carico di questo “materiale” come reagente e sostanza stessa della forma architettonica, sia un fatto ineliminabile. La ricerca dipartimentale è divenuta il motore che ha esteso questo metodo di studio e progetto partecipato all’ambito didattico, coinvolgendo anche gli studenti ed ampliando così il piano pedagogico: la presenza dei giovani progettisti ha permesso di approfondire ed articolare maggiormente le dinamiche del confronto tra i soggetti coinvolti, mettendo in discussione e ri-assegnando i ruoli e attribuendo nuove responsabilità. È un’idea di metodo che considera la pratica architettonica quale parte di un lungo e composito processo di relazione che il progetto deve necessariamente agire come proprio materiale costituente.
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TRACCE DI LIBERTÀ: DUE esperienzE di ricerca - azione nel carcere di Bollate
Ripensare gli spazi del carcere, in carcere
In merito a questo aspetto, il progetto di architettura, e in modo ancor più cogente se applicato al tema specifico dell’architettura penitenziaria, per poter comporre risposte spaziali adeguate, deve a priori e senza possibilità di delega chiamare in causa, dare voce e tentare di coordinare domande e risposte di una grande pluralità di soggetti: sia relativi alle discipline specifiche della modificazione dello spazio, sia relativi agli ambiti percorsi dalla ricerca: amministrazione pubblica (nazionale, comunale, di zona), amministrazione penitenziaria (direttori, provveditori), il personale di polizia penitenziaria, il personale interno – educatori e psicoterapeuti che conducono le attività trattamentali –, le importanti figure di tramite tra società carceraria e società civile quali sono i garanti (nazionale e locale) della dignità delle persone private della libertà personale; oltre, naturalmente, alle persone detenute, quali “abitanti loro malgrado”. Studenti, ricercatori e detenuti si trovano dunque di fronte per intraprendere questo particolare dialogo tra progettista e committente, affiancati da due mondi istituzionali, la scuola e l’amministrazione penitenziaria, che cercano un linguaggio comune. Nell’ottica sopra decritta il ruolo dei progettisti e degli “abitanti” si compone, si intreccia e talvolta si scambia. Ancor più lo fa in questo speciale ambito in cui l’abitabilità è forzosa e dunque la progettualità dello spazio assume il carattere di un progetto di vita. Più che altrove il senso della partecipazione è restituire la progettualità a chi l’ha perduta o non l’hai mai conosciuta: il progetto acquista valore in quanto possibilità di scelta e necessità di confronto tra diversi punti di vista. Il processo d’intersezione e scambio tra progettisti e fruitori dello spazio conduce ad innescare un pensiero di progetto proprio nel luogo in cui quel pensiero è programmaticamente escluso in quanto destabilizzante: escluso, di norma, da una prassi sostanzialmente reiterativa che persegue necessariamente il disinnesco di ogni eccezione e trasgressione. Evidentemente l’esito vuole essere, oltre alla formulazione di una risposta “tecnica”, quello della costruzione di un metodo di progettazione condiviso. Non si mette però in discussione la necessità di chiarezza delle competenze, dei ruoli e la riconoscibilità delle specifiche esperienze. Viceversa, è proprio il dialogo tra voci che si riconoscono come distinte che può condurre ad un’idea di architettura “integrata”, vale a dire composta sulla base di istanze e possibilità tanto distinte quanto rilevanti. Andrea Di Franco
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Lo spazio di relazione nel carcere
IMPARARE DAGLI ALTRI: UN CONFRONTO CON IL CONTESTO EUROPEO Gianfranco Orsenigo
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Le ragioni di una [nuova] ricerca sul carcere
Introducendo Prison Architecture1 (Fairweather, Mc Conville 1998) Lord Hurd scrive «una buona progettazione delle carceri favorisce l’instaurarsi di buone relazioni tra lo staff e i detenuti, prevede spazi e opportunità per una ampia gamma di attività, offre condizioni decenti di abitabilità e lavoro». Affermazioni di buon senso che ben descrivono il compito che il progetto di architetture è chiamato a praticare responsabilmente quando affronta il tema del carcere. Nel testo da un lato si sottolinea l’assenza di dibattito accademico, professionale e pubblico nonostante la rilevanza delle questioni, dall’altro si prova ad elencare una serie di domande a cui una seria riflessione sul tema è tenuta a dare risposta. «Quanto grandi dovrebbero essere? Dove dovrebbero essere localizzate? Quale possibilità di accesso deve essere garantita alla società civile? Quale messaggio il loro progetto deve promuovere: inclusività (detenuti parte della società) o di esclusione (detenuti tenuti in disparte dalla loro società) o è possibile far convivere entrambe le idee (dal momento che le carceri dovrebbero essere dei buoni vicini, anche se la loro funzione è quella di separare i criminali dalla comunità)?»2 (Hurd 1998: xiv). Va ricordato che Lord Hurd scrive da presidente del Prison Reform Trust (PRT) ente volontaristico che lavora per promuovere «un sistema penale giusto, umano ed efficace». L’organizzazione è stata fondata nel 1981 a Londra da un gruppo di attivisti insoddisfatti degli sviluppi della Howard League for Penal Reform e che oggi informa e fa pressione perché vengano: ridotte le carcerazioni inutili, siano migliorate le condizioni di abitabilità delle carceri e vengano promossi i diritti umani nel sistema giudiziario3. In quegli anni in diversi paesi occidentali si sono avviate la riforma dei sistemi penitenziari e delle strutture carcerarie mettendo al centro gli aspetti rieducativi e di reinserimento sociale dei detenuti una volta scontata la pena. Gli interventi non si sono limitati alla revisione delle normative ma hanno promosso la sperimentazione di forme e tipi di architettura del carcere inedite. Esperienze nelle quali gli architetti dialogano e includono differenti saperi come la sociologia, la psicologia e l’ecologia. Nelle realizzazioni evidenti sono le influenze tra 1. Pubblicazione che raccoglie gli esiti del convegno di studio su idee di pena e architettura delle carceri tenutosi a Londra nell’Aprile 1998.
.
2 Tutte le traduzioni che compaiono nel presente testo sono dell’autore. 3. Per una descrizione più approfondita si rimanda a http://www.prisonreformtrust.org.uk/
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Lo spazio di relazione nel carcere
1. Contesto territoriale della struttura detentiva di Halden; in aperta campagna. Struttura detentiva di massima sicurezza Localizzazione Halden, Østfold, 252 detenuti Superficie istituto 30 ha
Superficie edificata 27.500 mq Progetto e costruzione 2002-2010 Apertura 2010 Progettisti: HLM Architecture, Erik Moller Arkitekter Asplan Viak AS (paesaggisti), Beate Ellingsen AS (interior designer)
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IMPARARE DAGLI ALTRI: Un confronto con il contesto europeo
lo spazio e le norme
opera sotto la direzione del Ministero della giustizia e pubblica sicurezza – ed è responsabile per l’attuazione delle sentenze. L’agenzia si occupa della formazione degli agenti di sorveglianza; questi devono aver seguito un corso di due anni allo Staff Academy in cui ricevono nozioni di psicologia, criminologia, giurisprudenza, diritti umani ed etica, oltre a nozioni per la gestione quotidiana. La formazione è molto importante in quanto il sistema norvegese si fonda sul concetto di “sicurezza attiva”. Le guardie, disarmate, si relazionano continuamente con i detenuti al fine di garantire la sicurezza del carcere. Ad ogni prigioniero è assegnato un ufficiale di riferimento che lo assiste nei contatti con servizi esterni o con altri uffici del sistema penitenziario e fornisce assistenza nel definire il percorso più adeguato per scontare la pena. Al fine di riabilitare i detenuti si favoriscono – nei limiti consentiti – uno stile di vita il più simile a quello che vivrebbero fuori: lavorando, studiando o svolgendo attività di svago. Qualora un detenuto si rifiuti di prendere parte a qualunque attività, le autorità possono imporgli di lavorare14. Ogni tipo di lavoro è retribuito sulla base di quanto stabilito dal Servizio di correzione. I detenuti possono, a determinate condizioni, utilizzare il computer per lavorare, studiare e inviare o ricevere posta elettronica, se previsto dal regime a cui sono sottoposti. I detenuti possono telefonare senza restrizioni di tempo ad eccezione di chi è in un carcere di alta sicurezza; a questi sono concessi venti minuti alla settimana. Il carcere di Halden L’istituto di massima sicurezza di Halden, nome del centro abitato in cui è localizzato, si trova a due ore di macchina da Oslo. La struttura inaugurata nella primavera del 2010 rappresenta uno degli esempi più innovativi per il “regime responsabilizzante” adottato. Porre l’autodeterminazione del detenuto al centro ha richiesto l’adozione di una struttura che fosse il più simile possibile al mondo esterno. Posto su una collina boscata in aperta campagna, l’unico elemento che ne segnala la presenza è il muro alto 8 metri. Non sono presenti recinzioni metalliche o torrette di controllo. All’interno è organizzato a padiglioni immersi nel verde. 14. Si veda la sezione 3-12 del Regulations relating to the Execution of Sentences – traduzione del gennaio 2018.
Gianfranco Orsenigo
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Lo spazio di relazione nel carcere
EDIFICATO
0
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spazi aperti
100
IMPARARE DAGLI ALTRI: Un confronto con il contesto europeo
lo spazio e le norme
accessi
recinti
12, 13, 14, 15. Gli elementi della struttura detentiva Brians 2.
Gianfranco Orsenigo
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Lo spazio di relazione nel carcere
37. Il penitenziario di Nieuwegein, una delle corti progettate dalla paesaggista Petra Blaisse, dello studio Inside Outside.
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Le ragioni di una [nuova] ricerca sul carcere
Andrea Di Franco
Andrea Di Franco
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Lo spazio di relazione nel carcere
UN REPERTORIO DI AZIONI POSSIBILI Lorenzo Consalez
Il capitolo è redatto da L. Consalez. Hanno collaborato all'ordinamento e alla classificazione dei materiali progettuali C. Peruzzotti, F. Peruzzotti e L. Sala. Le icone e le assonometrie delle schede sono state disegnate da C. Peruzzotti e L. Sala
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Le ragioni di una [nuova] ricerca sul carcere
Le Linee guida si propongono come un manuale d’uso per i fruitori stessi delle strutture carcerarie, in grado di individuare – dalle criticità – possibili soluzioni spaziali e progettuali, sempre in relazione con le pratiche d’uso attualmente in essere e alla loro possibile evoluzione. Il gruppo di ricerca ha scelto di utilizzare come esempi progettuali una selezione di lavori svolti sul tema carcere all’interno del Politecnico di Milano a partire dall’anno 2013. I lavori sono stati elaborati nell’ambito nei laboratori di Progettazione Architettonica e sviluppati nelle tesi di laurea triennale e magistrale presentate durante l’ultimo quinquennio. La catalogazione si è servita di un metodo orientato a ricercare gli aspetti strategici ed esemplari degli elaborati didattici, in modo tale da giungere ad una sintesi schematica degli aspetti fondativi che caratterizzano l’innovazione architettonica all’interno degli istituti di pena italiani. Il campo di studio sono le carceri lombarde, in particolare gli istituti di Milano (Bollate e Opera), oggetto della ricerca generale, e le case di reclusione di BresciaVerziano e di Monza, rispettivamente oggetto di Tesi di Laurea e di una specifica ricerca precedente.
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1/f.1 SPAZI DI ACCESSO E DISTRIBUZIONE x COMMERCIO E SCAMBIO CON IL TERRITORIO
Rendere accessibile il recinto del carcere per incrementare lo scambio di beni e servizi con il territorio Il fronte perimetrale d’ingresso e l’accesso al carcere diventano lo spazio simbolico e fisico nel quale trovano luogo le attività che prevedono lo scambio con il territorio. Le funzioni possibili riguardano il commercio e i servizi. In particolare sono ipotizzabili, per quanto riguarda il commercio, la vendita di prodotti artigianali, alimentari e da giardino realizzati all’interno del carcere. Inoltre, per quanto riguarda i servizi, possono essere previste attività di assistenza alla persona gestite in collaborazione con le persone detenute, o uffici della pubblica amministrazione e scuole. Gli spazi aperti immediatamente adiacenti all’accesso sono il luogo dove avviene lo scambio, sia tramite la riconfigurazione delle aree interne, sia con il ridisegno delle aree esterne adiacenti, che assumono il ruolo di piazza urbana. I nuovi spazi possono ospitare le funzioni di commercio e scambio con il territorio e, contemporaneamente, diventare il luogo dedicato a ospitare eventi periodici di incontro con la cittadinanza. La posizione favorisce l’accessibilità da parte della città verso una struttura riconfigurata come centro di commercio e erogazione di servizi.
Gli spazi di accesso sono ridisegnati per favorire lo scambio di beni e di servizi con il territorio.
Gli spazi interni adiacenti all’accesso sono ridisegnati con elementi leggeri in modo da trasformare il limite del recinto in un luogo abitabile.
Il disegno degli spazi aperti è integrato nella nuova immagine architettonica, che concorre a ridefinire il ruolo urbano del penitenziario.
Lo spazio di accesso del carcere diventa una nuova piazza pubblica, luogo di incontro e di scambio tra la popolazione detenuta e la cittadinanza.
3/E.1 ARIE / SPORT
Ridisegnare lo spazio aperto delle arie per favorire momenti di sport collettivo e individuale outdoor L’intervento riqualifica lo spazio aperto delimitato dai padiglioni residenziali con un nuovo disegno di suolo e l’inserimento di padiglioni bassi per le attività indoor e di servizio ai campi sportivi. La funzione principale prevista riguarda le attività sportive outdoor, con la presenza di campi regolamentari per le diverse discipline. Gli edifici bassi che completano il disegno generale integrano l’offerta con spazi coperti che permettono attività sportive anche in condizioni metereologiche avverse e contengono i depositi per impianti e attrezzature. Il progetto prevede il ridisegno generale dello spazio aperto con pavimentazioni tecniche e decorative che ospitano i campi e un’ampia piazza/connettivo per il relax e il tempo libero. Piantumazioni e pensiline integrano il progetto e offrono luoghi per il riparo e l’aggregazione. La strategia di progetto elementare permette la ripetizione dell’intervento nelle differenti arie, sia contemporaneamente, sia in tempi successivi, in modo tale da garantire una flessibilità in base alle risorse disponibili. La posizione, delimitata e interna agli edifici residenziali multipiano, permette di riconfigurare l’intero settore come luogo contemporaneamente per la residenza e per l’incontro. Lo spazio aperto delle arie è ridisegnato come campo sportivo per attività di sport collettive e individuali outdoor.
L’intervento è costituito da un corpo costruito che separa parzialmente due aree all’interno delle quali sono realizzati campi sportivi all’aperto e spazi per il tempo libero.
Una grande campitura di pavimentazione colorata caratterizza l’identità unitaria dei differenti spazi divisi dal corpo costruito per attività indoor.
L’immagine disegnata dalle pavimentazioni e dagli inserti verdi si contrappone all’uniformità dei padiglioni perimetrali, ridefinendo il carattere delle corti.
9/C.1 SPAZIO TRATTAMENTALE / CONVIVIALITÀ
+ Costruire nuovi edifici destinati ad attività conviviali e alla spiritualità L’area di un grande padiglione esistente è ricostruita per realizzare un centro di attività di convivialità e incontro e ospitare luoghi per i culto e la spiritualità. Le attività previste sono polarizzate intorno a spazi specifici pensati per le differenti religioni e per la spiritualità. La grande struttura integra ambienti di studio e di formazione e luoghi di incontro e socializzazione non specializzati. L’intervento organizza lo spazio intorno a una sequenza di spazi a doppia o tripla altezza, che prendono luce dalla copertura e accolgono le diverse attività. La strategia progettuale reinterpreta le forme seriali della struttura preesistente in un nuovo disegno che configura il complesso come il nuovo centro spirituale del penitenziario. La posizione isolata, affacciata sul grande spazio aperto dell’area trattamentale, accentua il significato simbolico dell’edificio e trasmette un immagine monumentale.
L’area del padiglione industriale è ricostruita per accogliere nuove attività culturali e luoghi di culto.
All’interno del nuovo padiglione sono presenti spazi disegnati per il culto e la spiritualità.
Il padiglione è disegnato da una sequenza di spazi a doppia o tripla altezza, che prendono luce dalla copertura e accolgono le diverse attività conviviali e collegate alla spiritualità.
Il prospetto del nuovo intervento reinterpreta le forme seriali della struttura preesistente e ridisegna il fronte affacciato sullo spazio comune.