Carmine Maringola, scenografo/attore

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Vittorio Fiore

Carmine Maringola, scenografo/attore

PerĂ­actoi 09

La scena recitante per Emma Dante


Il testo è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università di Catania. Progetti di Ricerca: Prometeo – Linea 1 (prof. V. Fiore) Prometeo - Linea 3, “Teatro e Memoria” (coord. prof.ssa S. Scattina)

ISBN 978-88-6242-418-9 Prima edizione italiana, Novembre 2020 © LetteraVentidue Edizioni © Vittorio Fiore Tutti i diritti riservati È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Gli autori sono a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare. Book design: Raffaello Buccheri LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa, Italy www.letteraventidue.com

DISUM DIPARTIMENTO di SCIENZE UMANISTICHE


Indice

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Lo spazio e gli oggetti nel gioco del teatro di Maringola&Dante Anna Barsotti

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Architetto, attore, scenografo Contaminazioni virtuose per una visione dello spazio scenico

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Tra artigianalità e rigore: le scenografie per la lirica e l’approccio laboratoriale > La Muette de Portici > Feuersnot > Gisela! > La Cenerentola > Macbeth > Voix humaine / Cavalleria Rusticana > L’angelo di fuoco

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Eracle di Euripide: una necropoli al Teatro Greco > Eracle di Euripide

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La scena recitante

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Carmine Maringola, percorsi d’attore Simona Scattina

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Apparati Teatrografia - Bibliografia



Architetto, attore, scenografo Contaminazioni virtuose per una visione dello spazio scenico

Le parti in corsivo in rosso sono parole proprie di Carmine Maringola tratte da un lungo dialogo avuto a Palermo tra il 15 e il 16 dicembre 2019.

Macbeth, 2019, regia E. Dante, scene C. Maringola. Per gentile concessione del Macerata Opera Festival, foto Zanconi.

Carmine Maringola costituisce un trait d’union tra attore e scenografo, ruoli che gli consentono un controllo maggiore del progetto dello spazio scenico, rafforzato dagli studi di Architettura, che hanno affinato la sua sensibilità alla percezione e alla gestione degli spazi, fornendogli i codici di lettura e gli strumenti di elaborazione progettuale. Affrontarne in modo critico e selettivo il percorso artistico impone uno sguardo a tre componenti formative che entrano in gioco inseguendosi, sovrapponendosi e contaminandosi in modo virtuoso, in lavori in cui è difficile estrapolare la sua opera dal teatro di Emma Dante; il lungo sodalizio di vita e lavoro tra i due artisti rende ardua l’operazione di scindere la paternità delle sole opere scenografiche per la stretta sinergia e la reciproca influenza creativa. Le idee e i riferimenti di entrambi, la formazione di Carmine e il metodo di Emma si accostano e si fondono, manifestandosi e ripresentandosi come struttura portante delle scritture sceniche. Carmine inizia il suo percorso diciottenne seguendo il suo primo sogno giovanile: studiare architettura per fare l’architetto; a ventun’anni, al terzo anno del corso universitario, inizia parallelamente a interessarsi alle arti performative Non ricordo sia stata una mostra, uno spettacolo o un evento in particolare che abbiano determinato questo mio interesse, ma il fermento culturale che in quegli anni si viveva nelle città del sud Italia, iniziando dalla primavera palermitana fino al primo mandato 19


con i suoi movimenti. La prova aperta ha dato origine al monologo, poi è stata introdotta via via la struttura scenica: un uomo di mare ‘ancorato’, con zavorre di diverso peso. Sospese si muovevano con i miei gesti, pesavano costringendomi a sforzi, quasi per contrastare la forza del “risucchio del mare” (n.d.r.), divenendo davvero pericolose quando ondeggiavano a pochi centimetri dalla mia testa; è una macchina scenica “viva”20. Uno stangone, delle carrucole, il mio corpo sospeso, teso, in pericolo, super controllato. Anche ne La scortecata, ho formato la scena man mano che gli oggetti vengono aggiunti. Con Emma è un ragionare e un introdurre cose, a volte casuali. Con un po’ di stoffa rossa, delle vele sospese a due cantinelle, ho costruito delle quinte a ventaglio ne Le pulle (2006), che spariscono e riappaiono, provate e perfezionate in solitudine e nelle prove alla Vicaria. Gli Object trouvé divengono poi involontariamente parti indispensabili dello spettacolo. Per Acquasanta la macchina scenica è semplice: la prua della barchetta ospita l’attore per il monologo, legato al sistema di corde e di ancore di vario peso (2,5 Kg, 4 Kg alle caviglie e 6 kg alla cinta dei pantaloni), che fanno da contrappeso; un sistema basato sulla lunghezza delle cime che si modifica con il peso della persona, che dosa la sua forza per contrastare quella che tende a tirarlo in alto. La completa il megafono, comprato per strada da un ambulante, che si è rivelato incredibilmente appropriato: uno dei due pulsanti metteva in moto la musica del film “Titanic”. Non lo sapevo, l’ho premuto per caso durante le prove, e da lì la scoperta! Ne avevo comprati solo 4 con questa stessa caratteristica. 30

Macbeth, 2019, regia E. Dante, scene C. Maringola, per gentile concessione del Macerata Opera Festival, foto Zanconi. Configurazioni basate sulla disposizione variabile delle sedie degradanti.


Un “incidente a reazione poetica”, che aggiunge un forte particolare drammaturgico dipendente da qualcosa di inaspettato e poco durevole (il giorno che si guasteranno tutti e quattro i megafoni … si resterà privi di un elemento importante). Tutto si costruisce così passo per passo, … anche come attore non ho mai ricevuto da Emma un copione per una sua lettura, tranne che per la” Scortecata” (2018, tratta da Basile, n.d.r.), ma è la costruzione e la ripetizione di un percorso che va a formalizzarsi in copione da trascrivere solo dopo lo spettacolo. Non è utilizzato alcun sistema di registrazione audio o video durante la costruzione della partitura; nessuna tecnologia informa la scenografia, poiché la Dante non usa «strumenti e oggetti della contemporaneità (videoinstallazioni, dia positive, voci registrate, […]). Deve anzi “tornare indietro” attraverso simboli che – come il crocifisso – appartengono ad un “preistorico comune”, capaci di farle fare “un salto nel tempo”»21. «Dei suoi spettacoli si può dare un’interpretazione antropologica oltre che sociale, civile, ed esistenziale; il suo teatro, perché possa parlare ai contemporanei, deve rendere consapevole lo spettatore della durezza e dell’ingiustizia del vivere»22. Ognuno tiene a memoria il proprio personaggio, tra azioni e parole, attraverso un processo produttivo di cui è chiara la partenza, mai l’arrivo; il testo se c’è è un “trampolino”, per dirla alla Grotowsky, che deverbalizzato genera altre storie ed altre parole; quelle che Emma fissa sono parole degli attori, persone a cui lei da credito, poichè sono loro che generano testo, saltando alcuni passaggi legati alla recitazione; è lei che ne mantiene la memoria viva cercando dei collegamenti, 31


Feuersnot

Teatro Massimo di Palermo, 2014 1901 Richard Strauss — Musica Ernst von Wolzogen — Libretto

Il Feuersnot1 di Strauss ha, nella storia che racconta, una coincidenza con la storia della Compagnia Sud Costa Occidentale (1999-2000, io vi entro nel 2005) che per circa dodici anni ha girato il mondo con i suoi spettacoli, mai esibendosi a Palermo, la città dove ha sede e dove prepara spettacoli nei suoi laboratori. Si deve a Roberto Alaimo, alla direzione del Teatro Biondo, il ritorno in città della Compagnia, con l’invito ad Emma Dante di occuparsi della “Scuola dei mestieri dello spettacolo” (rapporto terminato nel 2020, n.d.r.). Il rapporto conflittuale tra Francoforte e Strauss si sovrappone e si confonde a quello tra Palermo e la Dante: è un rapporto di amore-odio di tipo soprattutto concettuale. Strauss, nato a Monaco nel 1864, non compreso nel suo stile innovativo dai suoi conterranei bavaresi fu costretto ad emigrare in Sassonia. Da allora considerò i suoi concittadini dei “meridionali” gretti, pieni di pregiudizi, non in grado di comprendere le novità della sua musica. L’opera, pensata con scenografie di ambiente tedesco è «una parabola sull’amore

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e sull’infanzia che si svolge in un solstizio d’estate in una Monaco senza tempo che, da capitale del sud della Germania, diventerà il prototipo di ogni città del sud»2; qui il musicista pazzo e alchimista, Konrad (l’incompreso Strauss), farà ardere simbolicamente una catasta di strumenti e di spartiti, «a denuncia di come stanno andando le cose nei nostri teatri, di come questo Paese stia bruciando nell’indifferenza generale la sua musica e la sua cultura»3 (ancora attualissime 2. R. Lenzi, Dante per Strauss, in «L’Espresso», 23/01/2014.

1. Letteralmente: “mancanza di fuoco”.

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3. G. Manin, Emma Dante brucia la musica: così denuncio


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La Cenerentola Teatro dell’Opera di Roma, 2016 1817 Gioacchino Rossini — Musica Jacopo Ferretti — Libretto

Nel 2016 Emma Dante firma La Cenerentola o sia il trionfo della bontà di Rossini al Teatro dell’Opera di Roma con una regia che torna ad occuparsi della fiaba, dell’immaginario creato dai Grimm e da Perrault1, a cui la

regista ha dedicato una riscrittura per il teatro2, nata da una sua «voglia di leggerezza […] di (n.d.r.) giocare e divertirsi […] cambiando i finali»3. È un melodramma giocoso del 1816, ed è uno dei migliori lavori del musicista pesarese. Ispirata alla fiaba di Perrault, per espressa richiesta del musicista venne privata di ogni elemento magico e surreale, al punto che la fata madrina viene sostituita dal saggio Alidoro, anziano educatore del principe, alla ricerca di una sposa adatta al suo protetto. La Dante percorre la storia nella denuncia delle prepotenze e delle angherie cui è sottoposta «una donna condannata a non poter uscire dalla casta più bassa dello sfruttamento domestico, prigioniera di una vita meccanica tra lavaggi e pulizie, comandata a bacchetta e caricata a molla, come un pupazzo o un carillon»4. Il gran lavoro e la

1. Oltre ai Grimm e a Perrault, autori della fiaba, il librettista Jacopo Ferretti si servì certamente di due libretti d’opera: Cendrillon di Charles Guillaume Etienne per Nicolò Isouard (1810) e Agatina, o la virtù premiata di Francesco Fiorini per Stefano Pavesi (1814).

2. Cfr. Emma Dante, Anastasia, Genoveffa e Cenerentola: Favola per bambini e per Adulti, Milano, la Tartaruga, 2011. 3. S. Scattina, «Non vissero tutti felici e contenti». Emma Dante tra fiaba e teatro, Titivillus, Corazzano (PI), 2019, p.146, “Intervista ad Emma Dante”. 4. Ivi, p. 65, nota 27. «Il trucco allo stesso modo rimanda a quello delle bambole o a quello delle marionette e le movenze sono simili a quelle di veri e propri burattini. […] La chiavetta dei personaggi resta il simbolo della loro meccanicità, per 1

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gran fretta nell’andare sù e giù di Cenerentola, richiamata da tutti, ha suggerito alla costumista Sannino una ricarica sulla schiena di tante cenerentoline, «tanti golem, pupazzi senz’anima»5, automi che rappresentano il moltiplicarsi della protagonista; i costumi sono un “vulcano di colori” «nelle tinte della cenere per la protagonista, di uno sgargiante azzurro tiffany per il principe e la sua corte, appena un tocco di rosso a macchiare guanti e calzature dei potenti»6. In questa edizione «il capolavoro rossiniano viene precipitato nel candore immacolato, abbagliante di un salone dai fregi garbatamente neoclassici disegnato da Maringola»:

questi colori polvere restituiscono alla scenografia per la fiaba l’aspetto di uno di «quei disegni, fatti di soli contorni, approntati per bimbi dalla spiccata creatività: senza colori affinché il fanciullo, rispondendo a criteri ignoti, possa scegliere e applicare le tinte che più gli aggradano»7. Maringola ha molto amato la Cenerentola firmata da Jean-Pierre Ponnelle che nel 1971 curò la regia, la scenografia nei toni del grigio cenere e i costumi per il Maggio Musicale Fiorentino, che è stata un riferimento per molti8. Ne ha visto a teatro le riprese: nel 2005 quella di Sonia Frisell con Bruno Campanella sul podio, e quella del 7. P. Pietricola, op.cit.

poter vivere hanno bisogno che qualcuno li ricarichi ed è questo un tentativo per far sì che diventino buoni. La chiavetta è quindi emblema di bontà, amore e ascolto, quelle qualità che solo Cenerentola e il principe mostrano in un mondo dove prevalgono i propri interessi, l’ipocrisia e l’egoismo». Cfr. G. Terlizzi, La Cenerentola di Gioacchino Rossini: in scena al Teatro dell’Opera di Roma con la regia di Emma Dante, in «Recensito. Quotidiano di Cultura e spettacolo», https://www.recensito. net/teatro/la-cenerentola-emma-dante-teatro-dell-opera-di-roma-gioachino-rossini.html. 5. P. Pietricola, La Cenerentola, in «Sipario.it» 8/6/2019, https:// www.sipario.it/recensioniliricac/item/12535-cenerentola-la-regia-emma-dante.html. 6. G. Montemagno, La Cenerentola, in «Hystrio» n. 2/2016.

8. La regia di Ponnelle è una pietra miliare. Lo stesso Luca Ronconi vi si riferì nel 1988 (Palafestival di Pesaro, con le scene di Margherita Palli) affermando: «quella di Ponnelle era bella, […]. Però è vero, il punto fermo è difficile per un’opera sfuggente. Ha tre facce: l’antecedente fiabesco, il libretto che vuole essere realistico e una musica astratta e formale che realistica non è. Allora, o prendi parte per una delle tre facce penalizzando le altre due, o le fai coesistere in una quarta […]» che forse è l’”acidità”. La Cenerentola «si offre come opera buffa, ma in realtà per certi aspetti è sinistra. I toni crudi, l’accumulo di frustrazioni e miserie piccolo - borghesi tra i mobili da rigattiere nella casa di Don Magnifico, la sua cattiveria. […]» Cfr. Intervista di Valerio Cappelli, «Corriere della Sera» 7 agosto 1998, in Centro Teatrale Santa Cristina http://lucaronconi.it/scheda/opera/ la-cenerentola

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L’angelo di fuoco Teatro dell’Opera di Roma, 2019

1919-1926 Sergej Prokof’ev — Musica Sergej Prokof’ev — Libretto (tratto da un romanzo di V.J. Brjusov)

Spostata dalla città di Colonia del XVI secolo a Palermo, la scena è caratterizzata da elementi mobili («imponenti pile di libri – la biblioteca di Jakob Glock – ed esperimenti anatomici, sedute spiritiche e sinistre liturgie di esorcismi»1) cui fanno da fondo le Catacombe dei Cappuccini di Palermo, suggestivo ipogeo sotto la chiesa di Santa Maria della Pace, nella loro purezza di sistema di nicchie arcuate sovrapposte: un’architettura “geometrica ed incombente”2. I tre ordini sono sfalzati e consentono un percorso praticabile al primo livello. Questo luogo in cui giacciono circa 8000 salme imbalsamate, mummie di frati Cappuccini e nobili siciliani perfettamente conservati nei loro abiti d’epoca, ha da sempre affascinato Maringola. In esso si muovono i personaggi della storia che, tra l’esoterico e il demoniaco, tra

1. G. Montemagno, Monteverdi, Mozart e Prokof’ev quattro secoli di opere in scena, “L’angelo di fuoco”, in «Hystrio» n. 3/2019. 2. D. Villatico, L’angelo di fuoco di Prokofi’ev a Roma, in «Gli stati generali», 25/05/2019, https://www.glistatigenerali.com/ musica-classica/langelo-di-fuoco-di-prokofev-a-roma/. Maringola è sempre stato attratto dalle architetture pure come il cosidetto ‘colosseo quadrato’ a Roma (il Palazzo della Civiltà Italiana (1935-1940) per l’esposizione mondiale del 1942, capolavoro dell’Architettura Razionalista italiana.

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il grottesco e il farsesco, è stata creata dal poeta simbolista Valerij Brjusov, con chiari richiami alle atmosfere del Faust, in cui il compositore russo riuscì a fondere storia e favola, modernismo e tradizione in un vero capolavoro teatrale di realismo romantico. Maringola sposta nel ventre della terra l’intera opera, anche la scena della locanda, è ideata come un luogo dove si agitano dei vivi “già morti”: viene infatti offerto un loculo come alloggio per Ruprecht, in un trasferimento «dal cupo misticismo della Germania del Cinquecento alla religiosità sfarzosa del Mediterraneo»3. Lo scenografo riempie i loculi con dei fantocci, e, in quelli più bassi, 3. R. Vega, Ossessioni demoniache nell’Angelo di fuoco di Prokof’ev messo in scena da Emma Dante a Roma, in https:// operaincasa.com/category/novecento/page/5/


1. Calcedonio Reina, Amore e morte, 1881. 2, 3. L’angelo di fuoco, 2019, Archivio Teatro dell’Opera di Roma. 2

prendono posto molti personaggi, che entrano ed escono di scena stendendovisi. «L’angelo di fuoco è opera esoterica, magica – racconta Emma Dante – Un incubo spettacolare e visionario» che ha permesso «di esplorare il mondo parallelo dei sogni, il mondo oscuro della mente infestato dai fantasmi». […] «rispettando il testo, al passo con la musica»4. L’angelo è uno spirito maligno, interpretato in questa edizione da un ballerino di break dance; la sua apparizione ad una vergine la spinge a molteplici pratiche peccaminose che le costeranno la vita sul rogo, nell’intento di ricordarci quanto sia sottile, o forse non esista, il confine tra terreno e ultraterreno. Nell’ultimo atto lo scheletro di una donna messo in croce è un momento raccapricciante, un presagio della fine che attende la protagonista. «La decisione scenografica sepolcrale viene […] incontro a quel gusto un po’ macabro dell’opera, decorato inoltre da Dante con il taglio cimiteriale dei teschi e delle ossa con cui la compagnia di attori gioca mentre un’indovina predice il futuro di Renata. Di radicale novità la decisione di fare di Madiel un angelo rovesciato che, invece di librarsi in volo sbattendo le ali,

‘cammina’ sul cielo a testa in giù (come una sorta di Lucifero descritto dall’Alighieri). Ma c’è una scena in cui di angeli ne appaiono addirittura due, uno luminoso e uno scuro, a dare corpo (invisibile) all’immaginazione di Renata. L’unione che la donna tanto agogna e l’angelo rifugge, probabilmente si compie nella morte. Condannata al rogo con l’accusa di aver portato il maligno all’interno del monastero, dove le sorelle possedute si scatenano in un climax orgiastico in cui si uniscono con l’angelo, Renata andrà incontro alla sua fine – in un tripudio quasi carnevalesco di sicilianità – agghindata da Madonna dei sette dolori di Palermo (altra figura cara alla regista e allo scenografo, che ancora una volta sostituiscono il rogo con l’assunzione in cielo di una santa n.d.r.), con un lungo velo nero dalla testa ai piedi, sul capo una corona a raggiera e sul petto un enorme cuore d’oro dove sono infilzati sei pugnali. Madiel se li avvicina e le porge l’ultimo, con cui lei assesta il colpo fatale. Entrambi si accasciano, senza vita. È nell’Aldilà, nella dimensione dove le regole della razionalità e le certezze della materia non valgono più, che il desiderio diventa realtà»5.

4. F. Raponi, Teatro dell’Opera di Roma, “L’angelo di fuoco” di Prokof’ev con la regia di Emma Dante, in «Teatri on line, 17/05/2019», https://www.teatrionline.com/2019/05/ teatro-dellopera-di-roma-langelo-di-fuoco-di-prokofev-con-la-regia-di-emma-dante/.

5. L. Cipolletta, Emma Dante porta "L'angelo di fuoco" di Prokof'ev tra sottosuolo e Aldilà, in «Recensito, quotidiano di cultura e spettacolo», https://www.recensito.net/teatro/ teatro-opera-roma-online-angelo-dTeatro i-fuoco-emma-dante.html.

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Carmine Maringola, percorsi d’attore Simona Scattina

Carmine Maringola in Verso Medea, 2012, da Euripide, testo e regia E. Dante. Foto Franco Lannino, Archivio Compagnia Sud Costa Occidentale.

Osservare un attore che recita non è mai cosa semplice1, così come provare ad analizzare e mettere al centro del ragionamento la sua figura può provocare un senso di smarrimento. Da diversi anni ormai si riflette sulla «trasversalità interdisciplinare» dell’attore post-novecentesco che propone di sé nuove identità possibili e nuove modalità espressive in una ridefinizione di pratiche che Marco De Marinis ha definito «trasmutazione della identità-funzione dell’attore»2 a partire da un legame di continuità, seppur problematico, con l’eredità novecentesca. La scena contemporanea ci pone di fronte a un attore che si scopre non più solo come una figura capace di azioni vive ed efficaci, ma rende il suo corpo attraversabile, facendo della sua presenza un dispositivo d’innesco di complessi e molteplici processi di trasfigurazione. In tal senso non sembra fare eccezione Carmine Maringola che ben si inserisce in quello che Stefania Rimini, parlando del magistero di Emma Dante, ha definito «body writing»3: un percorso artistico che parte da un inventario esistente, fatto dal corpo degli attori, e si genera attraverso estenuanti sessioni laboratoriali al fine di ottenere una partitura da accrescere nel tempo. Ciò che colpisce Maringola ancor prima dell’incontro con la Dante – quando, studente della Facoltà di Architettura presso l’Università Federico II di Napoli intercetta il teatro del Living Theatre che, nel dopo Julian, e a seguito della chiusura nel 1993 della sede newyorkese, diventava nuovamente nomade fino a trovare una nuova dimora in Italia – è un’idea di teatro con una forte matrice di protesta, di un 85


La scenografia è richiesta già in una fase preliminare creativa, ha il compito di restituire il suo apporto drammaturgico partecipando attivamente anche alla partitura dei movimenti […]; nei nostri lavori non arriva alla prova generale, quando ormai è tardi per lavorare ad una sua integrazione […]. Carmine Maringola

Carmine Maringola nella scena contemporanea è un esempio di contaminazione virtuosa tra le tre componenti che ne animano la ricerca: architetto, attore, scenografo. Alla formazione di architetto associa la vocazione di performer impegnato in una “cellula napoletana” del Living Theatre, perseguendone la visione rivoluzionaria; un periodo post-laurea di residenza a New York costituisce la sua vera iniziazione artistica. Tornato in Italia, si trasferisce a Palermo ingaggiato in un teatro dove, nel tempo libero dalla “professione” attorica, studia la “macchina scenica”, recuperando dall’esperienza pratica la manualità e l’artigianalità del teatro sette-ottocentesco, guidato dalla consapevolezza degli spazi, propria ad un architetto. Dall’incontro con Emma Dante si genera un lungo e resistente sodalizio di vita e lavoro che «[…] a partire dall’innesto partenopeo nel corpus geneticamente palermitano della Sud Costa Occidentale […]» lo vede impegnato nella ricerca delle relazioni tra azione performativa e segni drammaturgico-scenici (A. Barsotti). Il testo ne delinea un ritratto, attraverso gli spettacoli a cui partecipa come attore — guidato dalla Dante con cui firma le scene — e le opere liriche di cui è artefice delle scenografie.

€ 18,00

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