Omnibus Design. Viaggi inediti nel progetto

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ISBN 978-88-6242-457-8 Prima edizione Luglio 2020 © Giuliano Molineri © LetteraVentidue Edizioni È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Progetto grafico: Stefano Perrotta LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia www.letteraventidue.com


GIULIANO MOLINERI

VIAGGI INEDITI NEL PROGETTO


Indice


6 Introduzione / Alessandra Coppa — 12 Uva

83 F3

17 Pasta

87 Pistoia

22 Orologi

92 Laocoonte

24 Hosta

97 Design for the other 90%

28 Navi

100 L’asinello di Delhi

41 144 metri

111 Navicella spaziale

45 Macchine da cucire

113 Vermouth

48 Gratz

118 Matera, la bolletta della luce

52 Parc de la Villette 55 Vetro

124 Ezio Gribaudo e Mihail Chemiakin

58 Treni e Metro

129 City image

63 Sanitari

135 Ginkgo biloba

67 Taiwan

74 Elika

141 Ringraziamenti

76 Kyoto

143 Giuliano Molineri

81 Gocce


Introduzione Alessandra Coppa

6


È

7

OMNIBUS DESIGN

l’inizio del 1974 quando Giuliano Molineri fa il suo ingresso nella Divisione di Industrial Design per poi assumere la direzione della Giugiaro Design. Inizia così un lungo viaggio – fino al 1999 che ha come compagno d’avventure l’amico Giorgetto Giugaro – le cui vicende raccontano le storie dei progetti di design, sono spassosamente narrate in questo libro direttamente dall’autore, in qualità di managing director della Giugiaro Design. La Giugiaro Design è stata costituita nel 1983 da Giugiaro e da Aldo Mantovani, tecnologo, contitolare paritetico dell’Italdesign, per sviluppare progetti di product design non automobilistici. In precedenza il disegno industriale era gestito da una Divisione interna all’Italdesign operativa sin dal 1968, anno di fondazione della Casa di Moncalieri. Occupandosi di gestione dei rapporti con la committenza, Molineri ha affrontato in venticinque anni con Giugiaro e il suo team una miriade di temi progettuali che hanno portato alla definizione di significativi prodotti di industrial design, di grafica e packaging, di comunicazione, di exhibit e di urban design. Per questo motivo ci invita tutti a salire sull’Ominibus per partire e per ripercorrere insieme quel viaggio nel design e sul design, in una modalità più lenta del mezzo ferroviario accelerato poiché l’Omnibus “effettua tutte le fermate lungo la linea, servendo così i passeggeri più trascurati”. Questo viaggio virtuale è fatto di partenze e di ritorni a Moncalieri dove la storia del progetto che si intreccia con la memoria di luoghi non è esente da “geostalgie” (è con questo neologismo tra “geografie e nostalgia” che Molineri intitola una sua raccolta di poesie in forma di aforismi).


GIULIANO MOLINERI

Uva

Nel 1987 il nostro Studio – che si è spesso occupato di graphic design, di comunicazione e di strategie di immagine aziendale – accettò la richiesta pervenuta dal Consorzio Uva Italia di Canicattì. Confesso che prima di questo contatto Canicattì per me,come per molti connazionali nordisti era entrata nel gergo comune per indicare l’escursione dello stivale “dalle Alpi a Canicattì”. Credo rappresentasse l’altra sponda del fiume, tutto quanto i Piemontesi non hanno saputo rifondare, tutto quanto, insieme ai papalini e ai capitolini ci abbia emarginato dall’Europa. Per questo le mie visite, gli incontri con la gente del luogo, la natura, l’ambiente, le tradizioni e la storia che lo hanno permeato, l’isola tutta mi hanno convinto a gettare la maschera, a smetterla con gli stereotipi e i pregiudizi e hanno stimolato in me una curiosità prima stupita e poi affettuosa e complice nei confronti di una civiltà millenaria straricca di pathos che continuo a considerare esotica. Si trattò di svolgere una ricerca tendente a dare maggior visibilità e specificità all’Uva Italia da tavola prodotta nel distretto di Canicattì, di assoluto pregio, confusa con poca attenzione con l’altra concorrente blasonata: l’Uva Italia di Puglia. Per il Consorzio ci dimostrammo in partenza – lo ammetto – troppo ambiziosi. Oltre a identificare un logo e una grafica integrata per il lettering, la comunicazione e la confezione in cassetta (in cartone bianco, scatolato, irrigidito, con ottimi interventi di cartotecnica), proponemmo di ricorrere a un bollino – in plastica o almeno in carta – da applicare al raspo di ogni grappolo così da certificarne nel dettaglio la 12


provenienza. Un po’ come il bollino “Melinda” sulle turgide mele della Val di Non e quello blu delle banane “Ciquita”, applicato sin dal 1944.

La filosofia del nostro lavoro, proprio come avvenne successivamente anche per l’immagine e il package dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, dovette essere illustrata nel cinema cittadino, in ragione del numero degli affiliati al Consorzio titolati a decidere, con proiezione a powerpoint e successivo dibattito. Nel corso dell’Assemblea la valutazione delle nostre proposte avvenne in modo molto colorito, civile, sorprendentemente disinibito, fra dissertazioni non prive di commenti e di riserve pertinenti. Passò la nostra mozione di focalizzare il marchio in una macro lettera “C” di matrice bodoniana, con inscritto un grappolo d’uva stilizzato in 6 acini di cui uno a tre sezioni a simulare i colori della nostra bandiera. Era dunque la “C” di Canicattì a identificare e convalidare la provenienza e l’implicita garanzia di qualità del prodotto. La grafica per le cassette cartonate riprendeva in continuo marchio, grappoli, foglie e scritte nero su un bianco brillante, “igienico”, ottimo per impatto e riconoscibilità. 13

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Scusate se scado per un attimo nella nozionistica ma mi preme render chiari i contesti che descrivo. Furono i Fenici già nel ‘600 a.C. a sbarcare nel Mediterraneo molte qualità di vitigni via via affinate per ottenere sia l’uva da tavola che da mosto. La varietà di maggior spicco prodotta nella provincie di Caltanissetta e di Agrigento, ottenuta con l’incrocio di due varietà di viti, Bicane e moscato d’Amburgo, riconoscibile per il bell’aspetto, la grossa e resistente pezzatura, buccia sottile, pochi vinaccioli e polpa compatta, a seguito di ripetute selezioni e affinamenti ha assunto la denominazione di “Uva da tavola Italia di Canicattì”. Nel 2005 si è costituito il “Consorzio per la Tutela e la Promozione dell’Uva da Tavola di Canicattì” che ha ottenuto il riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta), registrato in ambito comunitario, che impone il rispetto di un rigido disciplinare teso a garantire tracciabilità, freschezza, salubrità e sapidità del prodotto. Il raccolto a marchio si estende su 25 comuni tra le province di Agrigento e Caltanissetta e riunisce circa 60 soci di due categorie: soci produttori (50) e soci confezionatori (10).


144 metri

“Stupire” era l’aspirazione e l’ambizione dell’armatore saudita che, privo di blasoni nobiliari, gareggiava con sceicchi e miliardari planetari con l’azzardo e la spregiudicatezza dell’uomo di successo teso a varare imprese glamourper mantenersi al vertice delle cronache del jet set. 41

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La mission di disegnare un m/y che, passando dagli 86 ai 144 metri, cogliesse l’eredità del Nabila per proiettarsi nel futuro, secondo i sogni di Khashoggi, si presentò piuttosto ardua se si considera che, a parte lo strabiliante impatto in mare, «il profilo della linea esterna del Nabila per parecchi decenni è stato giudicato insuperabile». Lo Studio mobilitò una schiera di creativi – car designer, industrial designer e ingegneri navali free lance – per stendere una serie di proposte della forma esterna supportate dai relativi meta-progetti tecnici di fattibilità: viste in sezione e in pianta dell’intera nave con indicata la destinazione di tutti i locali sui diversi ponti (l’atrio di accoglienza, la suite dell’armatore, la sala comandi con 3 postazioni sincronizzate, la sala macchine e le altre aree tecniche, la logistica, le scialuppe di salvataggio, i percorsi di evacuazione. Ricorrendo alle tempere e ai pastelli – anche all’acquarello – realizzammo viste degli interni principali comprensivi di dettagli su rivestimenti, arredi e componenti. Fra le diverse alternative caldeggiavamo una versione che proponeva in coperta una enorme piscina protetta da un tetto trasparente scorrevole e le postazioni all’estremità del ponte per le manovre in rada carenate da cristalli così da integrarle al corpo della massa della prua: un tema questo decisamente elegante capace di caratterizzare l’intero frontale e conferirgli una autorevolezza e imponenza senza eguali.


Così come avvenne in Brunei – e con la regia degli stessi plenipotenziari – ultimata la prima fase di ricerca fummo invitati a predisporre una presentazione degli elaborati a Parigi, all’hotel Ritz di place Vendome.

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In prima mattinata scendemmo all’hotel (allora di proprietà della famiglia Khashoggi) e fummo invitati dal primo segretario di Adnan servirci di una suite(ori, stucchi, papier peintes, specchi, ceramiche, tappeti, ecc.) messa a disposizione “per rilassarci/riposare” nell’attesa di ricevere disposizioni circa la sala da adibire per la riunione prevista par il tardo pomeriggio. Disponevamo al riguardo di un proiettore e delle dia, ma anche dei disegni – che trasportammo dentro lunghi tubi di cartone – appendibili su plance e/o a parete. Ben presto il segretario bussò per comunicarci che, ricorrendo quel giorno il compleanno della moglie di Adnan, Laura Biancolini (Làmia dopo la conversione all’Islam) eravamo invitati alla cena in suo onore prevista da ChezMaxim’se che il nostro incontro si sarebbe svolto subito dopo nell’appartamento del saudita in AvenueMontaigne. Rinvenuti dallo choc e sollevati dalla amabilità del segretario, obiettammo timidamente che non disponevamo di un abito da sera.Il nostro interlocutore, prevedendo questa riserva e sorridendo, ci invitò ad affittare gli smoking all’agenzia teatrale di Boulevard des Italiennes, a due passi dall’Opera. Ci precipitammo in quel fantastico magazzino ricolmo di ogni costume e taglia finalizzati al teatro, al balletto, all’opera lirica e confidammo che la nostra richiesta potesse essere evasa. Con un busillis, però. Mentre il chief disponeva di un fisico da sfilata, il sottoscritto avrebbe necessitato di un costume non dico da Falstaff, ma almeno da figurante di operetta bavarese.Il commesso si diresse verso uno stendino alto, al secondo livello di un corridoio zeppo di costumi. Estrasse prima la taglia standard e poi si orientò verso uno smoking open size che, abbondante in partenza, disponeva agli interni – giropetto, pancia, cavallo pantalone, lunghezza complessiva – di strisce di velcro e di tiranti adattabili alla bisogna. Con gesti esperti e per nulla dubbiosi quel sarto provetto mi calzò lo smoking in modo impeccabile 42


Macchine da cucire

Una sommaria indagine nella storia del design italiano ci convinse che la macchina da cucire poteva rappresentare un tema degno di essere aggredito, visto che puntava sull’ottimizzazione dell’ergonomia, sulla semplicità e facilità d’uso e che si rivolgeva a una vasto pubblico di operatrici, di sarte, di casalinghe intraprendenti. Ricordo molti negozi di macchine da cucire – alcuni monomarca altri abbinati a locali per i corsi di cucito – e mi stupivo per l’ampio spazio riservato dai periodici femminili nel descrivere le tecniche del cucito e del ricamo con allegati modelli di sartoria da imitare o ritagliare. La materia poi era stata legittimata nel tempo da progettisti di chiarissima fama. Marcello Nizzoli (che aveva concepito fra le altre la Olivetti Lettera 22) era l’autore di modelli quali la Supernova del 1953 vincitrice del Premio Compasso 45

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Lo Studio per politica ha sempre previsto di soddisfare le richieste spontanee di product design senza andarsele a cercare, ma in un caso fummo noi a farci avanti forti di alcuni convincimenti. Avevamo già nel nostro palmarés risultati per lo meno interessanti di prodotti di consumo disegnati per una clientela anche internazionale, ma la nostra percezione rimaneva quella di essere giudicati dal mondo del design nostrano, quello milanese per intenderci, come un manipolo di “stilisti” dell’enclave torinese con la presuntuosa velleità di fare i designer. Così noi disegnavamo treni, elicotteri e imbarcazioni ed eravamo stilisti e loro – fra i molti progetti che hanno fatto letteratura e hanno contribuito a lanciare il Made in Italy – si concedevano di disegnare maniglie e sgabelli cospargendoli di una certa allure e dignità pur sempre afferente alla loro aulica missione.


d’Oro dell’ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale, del modello Lidia (1955) e della Mirella del 1956/7, vincitrice anche del Gran Premio della XI Triennale di Milano, entrata nella collezione del MoMA di New York, «considerata un laboratorio automatico grazie all’utilizzo di memorie meccaniche che guidavano l’esecuzione dei ricami».

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Anche Marco Zanuso si cimentò brillantemente in materia col modello 1100/2 Borletti (1956) e con la macchina attaccabottoni insieme a Richard Sapper (nel 1964). Per Salmoiraghi Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti avevano disegnato nel 1958 un modello molto funzionale. Fu così che approcciammo la Necchi e un suo Amministratore, l’ingegner Bruno Beccaria, bresciano, già Presidente di Fiat Auto e boss di OM e Iveco, che invitò la sua Direzione di Pavia ad affidare a noi – metalmeccanici della matita – un tema da sviluppare. La prima ricerca, condotta fra il 1978/79, riguardò una nuovo modello basico di macchina, dalle prestazioni semplificate. Un po’ per stupire un po’ per esplorare un argomento a noi ostico, eseguimmo 20 – leggasi 20 – modelli “di stile” in polistirolo verniciati e completi di componenti simulati. Quando sistemammo quel po’ po’ di reperti sul grande tavolo della “Sala Consiglio” nella sede di Pavia suscitammo nei nostri interlocutori stupore e imbarazzo al punto che nessuno di loro se la sentì di procedere alla sgrossatura delle proposte (mai più avremmo ripetuto un simile azzardo). Finimmo con l’essere noi a suggerire il tema da approfondire che portò alla progettazione del “modello 570” affidato alla compartecipata Bagat di Zara (Zadar sia in serbo che in croato). La serie prodotta interamente in Dalmazia sarebbe stata destinata sia al mercato italiano che a quello dei paesi dell’Est. Mentre a Pavia seguimmo le fasi di ingegnerizzazione del nuovo modello i nostri tecnici furono richiesti nel polo industriale di Zara per le fasi di messa a punto e di avviamento della produzione. Fu quella una ulteriore esperienza professionale e umana a contatto con personaggi dalla spiccata personalità: competenti nella materia trattata, giganti praticanti o patiti di basket, amanti della buona tavola (infinite le portate del pescato e poi – quando credevi di aver terminato, 46


Vetro

Il vantaggio di rispondere alle sollecitazioni più disparate si porta dietro la possibilità di imbattersi in case history, in testimonianze umane e professionali molto affascinanti.

È così che nel 1973 Vittorio Livi fonda la FIAM per produrre elementi di arredo in vetro curvato. Per ottenere questi risultati perfeziona la tecnologia del taglio al laser e si inventa anche di sana pianta attrezzature che via via renderà sempre più sofisticate. Il vetro si fa protagonista unico nel mondo del progetto attraverso l’inventiva del suo autore che decide con obiettività e lungimiranza di ricorrere alle proposte di progettisti di chiara fama. Comincia a occupare una nicchia prima inesplorata nel gotha delle firme del design. Per questo gravita nell’enclave milanese dei nomi importanti e poi estende le sue relazioni ai designer stranieri, frequenta l’ADI e partecipa agli eventi promossi 55

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Il caso della FIAM di Tavullia, nelle Marche, a pochi chilometri da Pesaro – un territorio che ha dato i natali a Gioacchino Rossini e a Valentino Rossi, scusate l’ardire – è uno di questi. A inizio anni ’70 un giovane di talento, dalle ampie visioni e intuizioni entra in una bottega artigiana dedita alla costruzione di mobili in legno dove si taglia anche il vetro per farne mensole, tavolini e ripiani trasparenti. Il ragazzo prende a manipolare questo materiale per renderlo meno banale, docile con interventi al forno, per curvarlo al calore, per creare strutture che gli rendano merito, dignità e autonomia. Una materia strutturata che per la sua trasparenza sa inserirsi con personalità nell’arredo e sa stimolare nei creativi forme gentili e nel contempo robuste e stabili.


dalla Triennale di Milano. Predispone cataloghi dei suoi prodotti con fotografi e agenzie di comunicazione accreditate e si conferma a tutto tondo esponente di spicco del Made in Italy.

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Il percorso di Livi è tutto meno che provinciale, come non sono provinciali i rappresentanti delle correnti critiche del progetto sorte in Toscana: il Gruppo Archizoom (di Andrea Branzi, Paolo Deganello, Massimo Morozzi e Gilberto Corretti) così come il Gruppo Superstudio, protagonista del Radical Design (di Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia), entrambi critici verso il funzionalismo e la fagocitazione del design da parte dell’industria. Provocatorie e liberatorie le fughe in avanti milanesi di Ettore Sottsass quando promuove le sue ceramiche e la collezione del Gruppo Memphis e di Alessandro Mendini, attento ai fenomeni d’oltre oceano, creatore della rivista Modo, fondatore del Gruppo Alchimia, anima della scuola di design Global Tools. Fu Livi che ci propose nel 1981 di lavorare a un tavolo in vetro e lo Studio disegnò una versione con piano ovale generoso poggiato su una base in vetro a forma di cilindro srotolato. La chiamò “Papiro”. Ancora una volta la tecnologia per ricavare la base dichiarava una vera padronanza nell’avvolgitura a caldo del cilindro manipolato in forno alla temperatura di 360 gradi prima di riprendere con le pinze e contro curvare il lato terminale, senza fiammature o incrinature. Il modello fu messo a catalogo per alcuni anni. Nel prosieguo l’azienda ricorse a basi più semplificate, compreso il cilindro chiuso. Ma è sulla libreria che tengo a soffermarmi perché il pezzo che proponemmo e che Livi riuscì a realizzare come un masterpiece, una scultura non imitabile da parte di alcuna concorrenza (che pure si stava facendo aggressiva) è degno di assoluto riguardo non solo da parte dei cultori del design ma degli amanti dell’arte tout court. Immaginate una unica lastra di vetro float sistemata in un enorme forno a forma di cubo, appoggiata su cavalletti e appositi tralicci. La lastra presenta già incisioni al diamante come una tracciatura per 56


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Elika

Ho avuto la fortuna di utilizzare per anni in cucina un kit di 4 sedie “Superleggera” create da Gio’ Ponti tra il 1952 e il 1957 per Cassina. Il loro acquisto fu per certi versi casuale. Stavo arredando un alloggetto molto gradevole fronte mare quando entrai in un negozio di mobili in fase di lancio che esponeva in vetrina articoli “moderni” offerti a condizioni promozionali. Il proprietario mi propose tutta una serie di elementi di arredo firmati, comprese le sedie. Citò Cassina ma omise di attribuirle al celebre architetto/designer mentre si soffermò a lodare la loro incredibile leggerezza e insieme solidità. Sapevo qualcosina della loro gestazione. L’autore – uno dei padri del design e dell’architettura italiana – dichiarò di essersi ispirato alla tradizione artigiana ligure ottocentesca delle “chiavarine” di legno e canna intrecciata. La sua caparbietà lo portò a spolparne la struttura – con listelli triangolari – e a lavorare di incastri ricorrendo per la seduta alla canna d’India. Il peso complessivo si ridusse a 1,7 Kg e permise al produttore di dichiarare la “699” – il suo codice di progetto – la sedia più leggera del mondo. In effetti l’intelaiatura esile, evanescente di quelle gambette seppe reggere al peso della mia massa e agli assalti vandalici del mio bimbetto che per la loro maneggevolezza giocò a impilarle, ribaltarle, trainarle e spingerle a mo’ di carrozzelle. Questi spunti mi sono serviti per chiamare in causa un nostro studio che eseguimmo per Cinova, la società brianzola condotta da Chicco Busnelli, una partecipata di suo padre Giuseppe Franco Busnelli titolare di Busnelli Industrie e fratello di Piero. Peculiarità della nostra 74


poltroncina “Elika” fu proprio la sua essenzialità, leggerezza, docilità, comfort e sorprendente stabilità. La seduta è ricavata assemblando tre diversi elementi: lo schienale, bracciolo e sostegno anteriore disponibile in fibra di carbonio, in Baydur o nel tradizionale legno di ciliegio; l’imbottito è in poliuretano espanso con rivestimento in pelle, tessuto o alcantara. Comune a tutte le versioni l’alluminio curvato impiegato con funzione strutturale stabilizzante per le gambe posteriori. La fascia/schienale avvolta a mo’ di elica – di qui “Elika” – favorisce un accogliente appoggio lombare. La versione più leggera in fibra di carbonio pesa meno di 4 kg.

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Elika è scomparsa presto dal mercato, bruciata dall’incalzante offerta di sedute proposte a ogni stagione. Eppure alcune icone sono sopravvissute nei decenni. Questo a ribadire che il design e anche la qualità dei suoi componenti non generano in automatico il successo commerciale in assenza di tutti quei fattori fondanti del marketing mix che i saccenti sacri testi USA ritengono indispensabili mescolando la melassa in 4 P (product, price, promotion, place) oppure in 7 P (product, process, place, price, promotion, physical evidence, people) e così via concionando.


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Matera, la bolletta della luce

Ciclicamente e a rotazione ci è successo di covare la voglia di aprire una seconda sede dello Studio nei luoghi più diversi. Parigi aveva sedotto i più, ma non è mancata la California, San Pietroburgo, Berlino, ecc. Invece il progetto che è andato più vicino ad avverarsi fu Matera, negli anni 2002-2006. Va premesso che in quel periodo io già mi rapportavo con lo Studio in qualità di consulente e dunque business plan e relative valutazioni erano demandati al nuovo responsabile dell’Industrial Design. L’intera operazione è stata gestita principalmente dal figlio del Chief, braccio destro del padre come car designer e come promotore della nuova, promettente sezione di Architettura, molto interessato al progetto per le relazioni instaurate con operatori e industriali del luogo. Trattandosi di scelta strategica decisamente delicata e in previsione di dover delegare alcune figure per la costruzione del possibile nuovo organismo senza mandare in crisi l’attività da svolgersi in sede, fui coinvolto sin dalle prime mosse. L’attenzione su Matera era dettata da molti fattori, alcuni obiettivi altri istintivi, sentimentali per tutto quanto questa città storica rappresenta (si contende con Gerico il primato di città più antica del mondo). «Sulle estreme propaggini aspre e selvagge delle Murge, a cavallo tra Puglia e Basilicata, all’interno di quell’arco di territorio solcato dalle Gravine, la tipica conformazione calcarea ha permesso lo sviluppo della civiltà rupestre e per gli imprevedibili sentieri della storia ha spinto animi religiosi a fondare le proprie comunità cenobitiche di cui resta mirabile traccia nei Sassi e nelle grotte di Matera».

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Nei testi si legge ancora: «7.000 anni di vicenda umana svolta senza interruzione dal neolitico a oggi in uno stesso luogo». Un agglomerato concepito «con una doppia direttiva: la città costruita – la civita – nel nucleo del Rione Sassi e una città scavata in grotte adibite a chiese rupestri, ad abitazioni e a stalle». La grande rinascita dopo il degrado era partita dal 1952 con la prima delle leggi speciali sui Sassi voluta da Alcide De Gasperi e con il trasferimento (dal 1953 al 1968) di oltre 15.000 abitanti nei nuovi rioni della città moderna (la metà dei 30.000 residenti). Il percorso è noto e punteggiato di positività. Del 1993 l’inserimento di Matera e dei Sassi nel patrimonio mondiale dell’umanità e la conseguente tutela dell’UNESCO a sostegno del recupero e restauro delle risorse ambientali, storiche, artistiche e monumentali. Inoltre l’altipiano murgico è stato nobilitato per legge regionale a “Parco Naturalistico” con conseguenti tutele e benefici.

Se nel 2002/2004 i fari erano ancora bassi su Matera, esistevano già segnali premonitori a chi avesse avuto l’estro di interpretarli. Sul versante economico industriale la Basilicata, sede del “Distretto del Mobile Imbottito” stava acquisendo nell’arredamento posizioni di leadership (con export quasi al 90%), l’agricoltura puntava sui prodotti biologici di eccellenza e le aree di estrazione del petrolio procuravano royalty saggiamente destinate allo sviluppo turistico (specie ricettività 119

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Dal 2004 – anno di uscita del film storico “La Passione di Cristo” di Mel Gibson girato ai Sassi – si registra una imponente crescita di visibilità del territorio suggeritore di cultura non solo cinematografica ma artistica, giunto ad attrarre oltre il milione di visitatori annuali (il film di Francesco Rosi del 1979 “Cristo si è fermato a Eboli” dall’omonimo romanzo di Carlo Levi era già stato girato in gran parte a Matera). Di qui lo stimolo delle Istituzioni locali a concorrere e ad aggiudicarsi la designazione di Matera e dei Sassi a “Capitale Europea della Cultura per il 2019” con prevedibili forti ritorni economico-sociali. Riconoscimento ottenuto in coppia con Plovdiv, la città bulgara dal passato nobile che ho avuto la fortuna di frequentare.



Giuliano Molineri

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OMNIBUS DESIGN

Nato a Garessio, in provincia di Cuneo, nel febbraio 1942, Giuliano Molineri si è laureato in Filosofia all’Università di Torino. Nel 1974 entra in Italdesign come responsabile strategie di comunicazione e direttore della Divisione di Industrial Design. Dal 1981 al 1999 dirige la Giugiaro Design (design di beni semidurevoli, prodotti di consumo, mezzi di trasporto non automobilistici). Nel 1998 le Istituzioni torinesi e regionali conferiscono a Giorgetto Giugiaro l’incarico di Presidente del Comitato Promotore dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 e Giuliano Molineri assume l’incarico di Direttore Generale. A fine 1999 Molineri lascia la Italdesign-Giugiaro pur mantenendo incarichi di consulenza per fondare la Frimark, società che sviluppa strategie di comunicazione e marketing. Dal 2003 al 2008 svolge il ruolo di Direttore Scientifico della sede di Torino dello IED (Istituto Europeo di Design). Nella comunità del design è eletto membro del Comitato Direttivo dell’ADI (Associazione Italiana per il Disegno Industriale) tra il 1991 e il 1992, mentre tra il 1990 e il 1992 rappresenta l’ADI nel Gruppo di Lavoro sul Design all’Unione Europea. Dal 2002 al 2004 è membro del Comitato Esecutivo dell’ADI. Per i bienni 2003-2005 e 2005-2007 è membro del board dell’ICSID, International Council of Societies of Industrial Design che ha sede a Monreal (dal 2017 WDO, World Design Organisation). L'ICSID affida a Torino il mandato di prima “World Design Capital” per il 2008, e Molineri diventa responsabile delle Relazioni Internazionali del relativo comitato, diretto da Paola Zini. Nel giugno 2018 l’ADI gli conferisce il premio “Compasso d’Oro alla carriera” nella categoria Design Management. Ha curato mostre sul car e industrial design, collabora con riviste del settore, ha pubblicato saggi e testi di letteratura e poesia.


Perché il titolo “omnibus design”? Le ipotesi spaziano. Se partiamo dal latino e dall’antropologia, il significato può riferirsi al design rivolto a tutti: non una disciplina snob ed elitaria, ma una risposta sincera alle molte esigenze del mercato, anche le più modeste. In gergo ferroviario invece, l’Omnibus è un servizio di tratta che effettua tutte le fermate lungo la linea, servendo così i passeggeri più distanti e trascurati. Sul piano professionale dei metodi e dei contenuti pretendere di fare i tuttologi genera riserve e perplessità. Implica la presunzione di saper tutto o di volersi occupare di tutto con una infarinatura generale, nessuna specializzazione e dunque poca competenza e capacità di incidere. Lascio aperta questa riflessione e la affido a voi, fiducioso che saprete giudicare la bontà o meno, la liceità o meno dell’approccio. A parlar di sultani e grandi navi da un lato e di formati di pasta da cucinare dall’altro vi sentirete indecisi nel ritenere plausibile, azzeccata o rischiosa l’adesione a qualsivoglia commessa, o meglio “scommessa”. Eppure in ogni progetto ti imbatti in persone, luoghi, situazioni che finiscono con l’intrigarti.

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