Ciò che noi siamo

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Espansioni online per docenti e studenti

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Ciò Che noi siamo Che cosa mangiamo? Dove abitiamo? In che cosa ci differenziamo gli uni dagli altri? Sono solo alcuni degli affascinanti interrogativi cui l’antropologia cerca di dare risposta attraverso una concreta ricerca sul campo. elementi caratterizzanti di QUesto corso Le posizioni teoriche dei vari antropologi non sono presentate astrattamente, ma emergono nella trattazione dei diversi temi, con schede, citazioni, proposte di lettura.

Dal terreno

La scelta antologica privilegia testimonianze che documentano il lavoro concreto dell’antropologo, visto direttamente sul campo.

Schede etnografiche

Corredate di carte e immagini, le schede etnografiche offrono un quadro ampio e articolato dei popoli della Terra.

Verso l’esame

Il percorso didattico prepara gradualmente all’Esame di Stato.

Videolezioni

In alcune lezioni di notevole efficacia Marco Aime presenta i temi più rilevanti della ricerca antropologica.

Marco Aime

Ciò Che noi siamo Manuale di antropologia

Ciò Che noi siamo

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In copertina: In coda alla fermata del bus. © Jasper White/Getty Images

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Capitolo

5

Comunicare per essere umani

Profilo 1  Un utensile fondamentale 2  Lingue o dialetti? 3  Le lingue vivono 4  Non di sola voce 5  Lasciare tracce... 6  ...e non lasciare tracce 7  Nuove oralità

1 Un utensile fondamentale

Quel fischio per ogni marmotta significa genericamente «pericolo», ma non dice se stanno arrivando due escursionisti con la giacca a vento rossa oppure un SUV o un lupo. Le marmotte non hanno un linguaggio complesso, si limitano al segnale di allarme. Esattamente come potrebbe fare una sirena o una luce lampeggiante, che ci avvertono di un qualche pericolo, ma non ci spiegano quale.

Dalla comunicazione al linguaggio «Comunicare l’un l’altro, scambiarsi informazioni è natura; tenere conto delle informazioni che ci vengono date è cultura», così scriveva il celebre poeta tedesco Wolfgang Goethe (17491832), sottolineando l’importanza del comuUn modo complesso nicare. L’uomo è un animale sociale e la sua di comunicare: la lingua socialità si fonda essenzialmente sulla capa Il linguaggio umano, invece, grazie a una cità di comunicare in un modo complesso, particolare conformazione del nostro apparato più complesso di quanto non facciano le altre fonetico, consente di definire con maggiore o specie. Possiamo infatti dire che sono la parola minore precisione oggetti, persone, azioni, fate il linguaggio a trasformare gli uomini in esseri ti, sentimenti in modo riconoscibile per coloro umani. È la capacità di parlare, di emettere suo- che parlano la stessa lingua. Possiamo dire che ni articolati che ci contraddistingue. Anche gli le lingue sono gli utensili più raffinati e indianimali comunicano tra di loro, ma hanno detto spensabili fra quelli inventati dagli con segnali che indicano eventi che esseri umani. Una lingua è un insieL’origine della cultura stanno accadendo, come segnalare me organizzato di suoni, che acè il poter raccontare un pericolo. Ad esempio le mar- ciò che si è vissuto e quisiscono un significato dato loro motte, quando vedono avvicinarsi ciò che si conosce: è dagli uomini che l’hanno inventata. un potenziale pericolo, emettono comunicazione. Benché le lingue del pianeta siano un sibilo fortissimo per avvertire A. Salza, antropologo italiano migliaia e quanto mai diverse tra i loro simili di correre nella tana. (1944-) di loro, gli organi del corpo umano

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Scheda etnografica

Gli inuit

2 www.inuitcircumpolar.com

G

li «inuit», il cui nome significa «esseri umani», sono noti anche come «eschimesi», nome assegnato loro dagli indiani algonchini, che significa invece «mangiatori di carne cruda». La lingua inuit appartiene alla famiglia eskimese-aleutina del gruppo delle lingue paleo-asiatiche. Questo popolo, che oggi conta circa 100 000 individui, distribuiti dalla Siberia alla Groenlandia, discende da quegli uomini che circa 8 000 anni fa hanno attraversato lo stretto di Bering e hanno occupato il nord dell’America settentrionale. Raccoglitori e cacciatori-pescatori nomadi, gli inuit si sono stabiliti lungo le coste artiche e all’interno, formando sempre gruppi di piccole dimensioni. La loro vita si basa su un continuo alternarsi di fasi di

ó Piccolo Inukshuk, costruzione in pietra di forma si-

mile a un essere umano usata dagli inuit come punto di riferimento (Parco Nazionale Del Diaspro, Canada).

Mar Glaciale Artico

Siberia

raggruppamento e di dispersione seguendo le stagioni e i movimenti della selvaggina. Sia la caccia sia la raccolta sono regolate da un diritto tradizionale condiviso. La loro organizzazione sociale è fondata sulla ricerca del consenso e l’autorità non viene trasmessa ereditariamente, ma deve essere acquisita per merito personale, conoscenza dell’ambiente e successo nella caccia. Figura centrale è lo sciamano-angakkuq, intermediario tra il mondo visibile e quello invisibile, la cui autorità è superiore anche a quella del capo del gruppo. Il pensiero religioso degli inuit riconosce l’esistenza di un’anima presente negli esseri viventi (umani e animali) e negli elementi naturali. L’attività dello sciamano consiste nel mantenere l’armonia del mondo, preservandola da possibili alterazioni provocate da atti umani sconsiderati. Lo sciamano è il guardiano delle regole, che permettono alle diverse anime di partecipare, attraverso la reincarnazione, al ciclo continuo della vita. Inoltre lo sciamano cura le malattie, localizza la selvaggina, calma la tempesta, viaggia nei mondi celeste, marino e sotterraneo per andare incontro alle forze sovrannaturali. Tuttavia a partire dal xviii secolo la religione tradizionale ha progressivamente ceduto il passo al cristianesimo, soprattutto al protestantesimo. Gli inuit oggi sono protagonisti di una viva lotta per veder riconosciuto il diritto a conservare i loro territori e per mantenere intatto il fragile equilibrio biologico delle loro terre, minacciate oggi sempre di più dallo sfruttamento del sottosuolo. Per questo da alcuni anni reclamano la creazione di governi regionali autonomi. A tale proposito hanno dato vita alla Conferenza Circumpolare Inuit, che permette ai diversi gruppi di informarsi e di coordinare le loro azioni. La Conferenza negli ultimi anni è in prima linea nella lotta per la salvezza dei ghiacci artici, che si stanno progressivamente sciogliendo minacciando in prima battuta proprio l’esistenza del popolo inuit.

Groenlandia

Alaska CANADA

Oceano Atlantico ó Area compresa fra la Siberia e la

Groenlandia in cui vive la popolazione inuit.


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capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

2 Lingue o dialetti? Plurilinguismo Il linguaggio è forse il più geniale e importante utensile inventato dall’uomo. Un mezzo che consente alle persone di comunicare e pertanto di dare vita a comunità, popoli, nazioni. Le lingue stanno alla base della vita dei popoli: nel mondo vengono parlate oggi approssimativamente 6 000 lingue, mentre il numero delle nazioni del pianeta è circa 200. Ne consegue che in moltissimi stati esiste il plurilinguismo. Pensiamo al Canada, dove si parla inglese e francese, al Belgio, in cui ci si divide tra fiamminghi e valloni, e alla Francia, dove, oltre alla lingua ufficiale, vivono il bretone e il corso. Anche in Italia si parla francese in Valle d’Aosta e tirolese in Alto Adige, senza dimenticare minoranze linguistiche slovene, albanesi, grecaniche e provenzali. La lingua può anche diventare un importante marcatore di identità. I greci chiamavano barbari coloro che non sapevano parlare

il greco, che erano «balbuzienti»; così come gli antichi aztechi definivano selvaggi coloro che non conoscevano il nahuatl, che significa «la lingua dal dolce suono». I khoi-san, che abitano il deserto del Kalahari (Africa sudoccidentale) [ p. 133 ], sono noti per avere una lingua particolarissima, fatta di «clic» ottenuti facendo schioccare la lingua sul palato. Con tale tecnica riescono a ottenere 30 intonazioni diverse e fino a 90 suoni fonetici.

ó Uomini della popolazione khoi-san del Kalahari.

3 4 1 2 5

Amerinda

Khoisanide

Eschimo-aleutina

Altaica

Austronesiana (Austrica

Dravidica

Nadene

Uralica-yukaghir

Miao-yao (Austrica)

1

Niger-kordofaniana

Indoeuropea

Australiana

Afroasiatica

Sinotibetana

Austroasiatica (Austrica)

2 Burushaski 3 Ket

Caucasica

Ciukci-camciacta

Nilosahariana

ó Le principali famiglie linguistiche nel mondo.

Basco

4 Gilyak 5 Nahali


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Lingua e nazionalismo Gli studi di linguistica che si svilupparono in Europa a partire dalla fine del Settecento hanno svolto fin dall’inizio un ruolo fondamentale per la nascita delle ideologie nazionaliste, che hanno fatto un uso ampio e strumentale di questa disciplina per far nascere nuove nazioni. Infatti uno dei principali elementi unificanti su cui vennero costruite queste ideologie fu il tema della lingua comune e nazionale, che tuttavia spesso era il frutto di una costruzione artificiale e di una standardizzazione. Un caso evidente è quello del nazionalismo tedesco, che teorizzava l’esistenza di un’unica nazione tedesca, nonostante le regioni dell’area germanica fossero non solo divise sul piano politico, ma anche su quello linguistico; infatti nella sola Prussia si parlavano sei lingue diverse oltre al tedesco. Eppure si riuscì a trasmettere

I khoi-san

C

on questo termine si designano due gruppi etnici dell’Africa meridionale (i khoi e i san), noti anche con il nome di boscimani. Quest’ultimo termine deriva dall’inglese bushmen, «uomini della savana». Oggi i khoi-san abitano in gran parte nel deserto del Kalahari e la loro economia si basa in parte sull’allevamento e in parte sulla caccia e raccolta. In realtà questi gruppi non sono originari del deserto e neppure sono stati sempre cacciatori-raccoglitori. Fino al xvii secolo, pascolavano le loro grandi mucche dalle corna lunghe sulle verdi colline che sorgono alle spalle dell’attuale Cape Town. Furono i coloni olandesi, sbarcati proprio al Capo di Buona Speranza, a spingerli progressivamente nel deserto, appropriandosi di tutti i loro pascoli e costringendoli a diventare cacciatori-raccoglitori. I khoi-san vivono in piccole bande, che generalmente comprendono un clan. Ogni villaggio ha un capo, solitamente il più anziano del gruppo, che fa da mediatore nelle dispute interne e prende le decisioni più importanti, come ad esempio quando spostarsi e in che direzione. Essendo l’economia di caccia e raccolta semi-nomade, le terre di ogni gruppo sono ben definite da norme tradizionali,

l’idea che la lingua tedesca derivasse davvero in linea diretta della lingua degli antichi germani descritti da Tacito. La standardizzazione delle lingue Nello stesso periodo, cioè nel xviii secolo, in tutta l’Europa il metodo filologico utilizzato dalla linguistica scientifica, che definisce l’identità di un popolo attraverso la sua lingua, finì per rimodellare la mappa etnica e politica dell’intero continente. Un primo effetto fu quello di una completa ridefinizione della realtà linguistica europea. Si riconobbe che nel nostro continente, all’interno dei grandi gruppi linguistici riconosciuti, risuonavano un’infinità di idiomi locali, con altrettante sfumature. Questa frammentata e sfaccettata varietà linguistica venne poco a poco piallata e uniformata, per poi essere sostituita da un certo numero di lingue, definite in

Scheda etnografica 2 www.khoisanpeoples.org/ che regolamentano l’accesso alle risorse e alle pozze d’acqua. I matrimoni sono esogamici e ogni uomo deve cercare moglie in un altro gruppo. Questa pratica è un potente meccanismo sociale, che serve a legare tra di loro i diversi clan. Come molte altre minoranze i khoi-san stanno combattendo oggi una loro battaglia nei confronti dei governi del Botswana, della Namibia e del Sudafrica per vedere riconosciuti i loro diritti, avere scuole e strutture sanitarie.

NAMIBIA BOTSWANA

SUDAFRICA

Oceano Indiano

ó Area del deserto del Kalahari in cui vive la popolazio-

ne dei khoi-san, o boscimani.


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capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

funzione di regole scientifiche dettahanno detto ca più che linguistica. Generalmente si definisce lingua te dagli studiosi. «Quando io mi servo di una la parlata che accomuna Poiché le lingue realmente parlate parola – rispose con tono tutti i cittadini di una nao scritte non corrispondevano mai sprezzante Humpty Dumpty zione, mentre i dialetti saesattamente alle regole artificiali – quella parola significa della linguistica, vennero inventate quello che piace a me, né più, rebbero parlati dalle minoranze all’interno della delle lingue «ufficiali» – in genere né meno». nazione stessa. Qualcuno versioni sistematizzate di un dialet- «Il problema è – insisté Alice con un po’ di ironia ha detto to locale, spesso quello parlato da un – se lei può dare alle parole che «una lingua altro non è gruppo politicamente dominante o significati così differenti». «Il problema è – tagliò corto che un dialetto che ha fatto in una grande città – e queste norfortuna», oppure possiamo me furono imposte attraverso i pro- Humpty Dumpty – chi è che dire, con il grande linguista grammi scolastici statali. Il risultato comanda, tutto qui». L. Carroll, Alice nello specchio statunitense contemporaneo fu che le frontiere linguistiche si fecero assai più rigide e intere tradizioni orali, e in Noam Chomsky, che «una lingua è un dialetto qualche caso perfino scritte, scomparvero sotto con un esercito e un passaporto». La linguistica fornì ai nazionalisti un mezzo la pressione dell’uso «standard». per proiettare l’origine delle loro nazioni in un passato lontano, che addirittura precedeva la I dialetti Le parlate della gente diventarono così dei diffusione della scrittura. Forzata o meno, seledialetti e il titolo di lingua venne poco a poco zionata o meno, purificata o meno, la lingua diriservato a quelle ufficialmente riconosciute venta comunque uno degli elementi fondanti dagli stati. Non si deve però ritenere che una dello Stato: garantisce lo scambio tra i cittadini lingua sia superiore a un dialetto per forma o e le comunicazioni, e dà vita a una percezione struttura, la distinzione è una questione politi- unitaria della realtà da parte della popolazione.

L’autore

Edward Sapir (1884-1939)

Nato in Germania, Sapir emigrò con la famiglia negli Stati Uniti quando aveva soli cinque anni. Per questo viene a tutti gli effetti considerato tra i maggiori etnologi e linguisti statuOpere principali nitensi. Studiò linguistica alla Il linguaggio. Introduzione Columbia University, dove fu alla linguistica (1921) allievo del grande Franz Boas, Cultura, linguaggio e che lo iniziò all’antropologia e personalità (1949) lo spinse a compiere ricerche sui linguaggi dei nativi americani. Negli anni successivi, infatti, Sapir si dedicò allo studio della lingua scomparsa degli yana, dei navajo, dei nootka, dei paiute e dei takelma e fu anche uno dei primi a studiare lo yiddish, la tipica parlata degli ebrei della mitteleuropa e degli Stati Uniti. Tutti i suoi sforzi erano tesi a cercare di stabilire dei legami tra l’antropologia e la linguistica. La sua carriera di insegnante si sviluppò in alcune tra le più prestigiose università americane: dalla University of California alla Pennsylvania University, dalla University of Chicago a Yale. Tra

i suoi allievi il più celebre fu Benjamin Whorf, il cui nome è legato a quello di Sapir per la formulazione di una teoria linguistica, nota appunto come «ipotesi Sapir-Whorf», elaborata nel 1921. Secondo Sapir e Whorf la lingua non è solo uno strumento per registrare la realtà, la lingua contribuisce a creare la realtà. A questo proposito Edward Sapir scrive: «i mondi nei quali vivono società distinte sono mondi differenti e non lo stesso mondo al quale sarebbero attribuite etichette diverse». Insomma, il mondo che crediamo essere «reale» sarebbe invece una costruzione fondata sulle nostre usanze linguistiche. Una sorta di teoria della relatività applicata ai linguaggi umani: a lingua diversa corrisponde non una diversa percezione del mondo, ma un vero e proprio mondo diverso. Tale ipotesi mantiene una sua importanza fondamentale per gli antropologi che si occupano del linguaggio, sebbene abbia subito non poche critiche, come quella di rappresentare individui che, vivendo in mondi diversi, non potrebbero pertanto comunicare tra di loro.


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T T T L L L L S trentino T L S TT

T

T FP lombardo FP P piemontese P

ligure

veneto

emiliano-romagnolo

toscano umbro laziale

marchigiano settentrionale marchigiano meridionale

A abruzzese

SC A

laziale molisano sassarese

C

L Ladino P Provenzale FP Franco-Provenzale T Tedesco S Sloveno C Catalano SC Serbo-croato A Albanese G Greco

A

gallurese

A P

campano

pugliese

A

logudorese

lucano

campidanese

A

A

A

salentino

G

A

calabrese

Dialetti settentrionali Dialetti centro-meridionali

A

scambi. Le lingue sono vive e, come tutti gli esseri viventi, sono destinate a mutare con il tempo. Per esempio, nonostante l’italiano sia una lingua romanza, discendente del latino e basata sul toscano del Trecento, noi italiani pronunciamo ogni giorno moltissime parole di origine diversa, che i linguisti chiamano prestiti: sabato è di origine ebraica, arancia, limone, spinaci e moltissimi altri nomi di frutti e verdure, ma anche zucchero, ammiraglio, algebra e zero sono di origine araba, scacchi deriva dal persiano, lama e guerriglia dallo spagnolo, elmo dal tedesco, gioiello dal francese, per non parlare dei numerosissimi anglismi che caratterizzano oggi la nostra parlata. Gli uomini si sono sempre mossi e incontrandosi si scambiavano idee e nozioni e pertanto anche parole, che poi entravano a far parte del linguaggio comune.

G siciliano

Sardo

ó I principali gruppi dialettali in Italia.

3 Le lingue vivono La lingua cambia con gli scambi… Nonostante ogni lingua sia definita da un dizionario e da regole più o meno precise, non dobbiamo pensare che queste strutture siano immutabili. Inoltre il fatto che una lingua sia espressione di un gruppo, di un popolo, di una nazione non significa affatto che essa sia un prodotto esclusivo di quel gruppo, di quel popolo o di quella nazione, ma è piuttosto il risultato di lunghi e più o meno frequenti

ó Siya Qalem, Due uomini discutono tra loro, miniatura

turca di un manoscritto del xv secolo (Istanbul, Topkapi Sarayi).

… e con il tempo Le lingue inoltre mutano con il mutare dei tempi, perché si adeguano alla realtà che devono descrivere. Non a caso ogni anno le pubblicità dei dizionari della lingua italiana mettono in evidenza il numero di neologismi contenuti nella nuova edizione. Ad esempio con l’avvento dell’informatica il nostro vocabolario si è arricchito di termini di origine inglese come formattare, mouse, cliccare, resettare, che sono divenuti famigliari, per non parlare di neologismi giovanili come googlare, taggare o postare. Sempre tra i giovani si diffondono spesso forme di parlata gergale, che contraddistinguono una generazione rispetto alle altre. Le emigrazioni sempre più massicce hanno inoltre favorito il nascere di nuove forme di linguaggio. I moderni linguisti prestano attenzione al cosiddetto franglais, un misto di francese e inglese parlato da molti giovani parigini, equivalente dello spanglish usato dai loro coetanei spagnoli. Sempre dalla Francia, e in particolare dalle banliueues (i quartieri periferici) parigine, ci viene un altro linguaggio nuovo: il cosiddetto verlan, che consiste nello spezzare e capovolgere le parole (verlan è appunto il rovesciamento di à l’anver: al contrario fou, matto, diventa ouf e beur sta per arabe) o nel cambiarne l’ultima vocale e in altre forme di smontaggio della lingua ufficiale, come segno di disagio e di ribellione nei confronti delle convenzioni.


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capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

4 Non di sola voce Tanti modi di parlare Ferdinand de Saussure (1857-1913), il padre della linguistica, intuì che la lingua non è solo fatta di regole fisse e standardizzate, ma viene anche «interpretata» dai parlanti. Le lingue non solo differiscono tra di loro per sintassi e grammatica, ma anche per il modo in cui le si

parla: noi italiani diamo molta cadenza ai nostri discorsi e così gli spagnoli; al confronto la parlata di un russo apparirà più «piatta» e così via. Anche nella stessa comunità linguistica esistono diversi modi di parlare: si può dare più enfasi, parlare in modo concitato oppure con toni bassi a seconda del contesto in cui ci si viene a trovare. Da questa constatazione nacque una distinzione divenuta poi celebre: quella tra lan-

Approfondimento La scomparsa delle lingue Il linguaggio, la comunicazione, verbale e non, sono alla base delle società umane; anzi potremmo dire che sono indispensabili alla loro creazione e al loro mantenimento. Una lingua determina i cambiamenti e segna profondamente l’identità di un popolo. Nonostante le lingue sembrino essere dei veri pilastri delle culture, solidi e robusti, ai quali affidare la comunicazione quotidiana, la storia, la scienza, l’arte, la religione, nulla è più fragile di una lingua. È sufficiente una generazione perché una lingua scompaia, come è accaduto, per esempio, nel caso di paesi colonizzati o nel caso di secessioni. L’Unione Sovietica si è dissolta nel 1991 e oggi nelle numerose repubbliche che sono sorte in seguito al distacco dalla Russia si parlano lingue nazionali come il georgiano, l’ucraino, il lituano, l’uzbeko. La generazione che ha frequentato le scuole dopo l’indipendenza non parlerà più il russo, lingua ufficiale dell’URSS, come faceva la generazione dei suoi genitori, ma la lingua del proprio paese. Nuove lingue nascono, altre invece scompaiono. Si calcola che negli ultimi cinquecento anni siano sparite circa la metà delle lingue del mondo. Nella maggior parte dei casi non ce ne siamo nemmeno accorti, perché a scomparire sono lingue di piccoli gruppi ai margini dell’impero economico-culturale dell’Occidente. Ad esempio gli Stati Uniti sono una vera e propria tomba di idiomi. Quando Cristoforo Colombo sbarcò sulle coste americane, nel continente si parlavano circa 300 lingue; oggi ne restano in vita 175 e perlopiù parlate da piccoli gruppi marginali. Le cause della scomparsa di una lingua sono diverse: un genocidio che elimina tutti i parlanti, come nel caso dei tasmaniani, oppure un’espansione demografica di alcune popolazioni a scapito di altre, o ancora un’espansione economica, in seguito alla quale si impongono le lingue dei paesi più forti, come nel caso delle lingue occidentali nei paesi colonizzati. Se osserviamo una carta linguistica, notiamo come la distribuzione delle lingue nel mondo sia molto diseguale: il 4% della popolazione parla il 60% delle lingue del mondo; questo dato significa

che si sta andando verso una progressiva standardizzazione delle lingue. È curioso notare come la maggiore varietà linguistica si registri nelle regioni del mondo dove è presente un tasso di biodiversità maggiore. Laddove si registra una maggiore varietà di specie naturali si registra anche una maggiore varietà linguistica: un paesaggio più ricco favorisce la creatività e la necessità di classificare in modo più dettagliato la realtà circostante. Da alcuni anni gli studiosi hanno messo in luce come alla scomparsa della biodiversità corrisponda una scomparsa proporzionale delle lingue. Purtroppo con le lingue scompaiono anche molti saperi, molta «scienza», perché gran parte delle conoscenze tradizionali sono legate alle parlate delle comunità che le hanno generate. L’imposizione di lingue nazionali «colte» ai popoli indigeni ha fatto sì che con le lingue scomparissero anche molti saperi locali a esse connessi: per esempio classificazioni di animali e piante che le nostre lingue non sono in grado di esprimere. Questa sempre maggiore espansione delle lingue dominanti è causa d’impoverimento, se non fosse che gli innumeri slang locali per fortuna propongono continue innovazioni e ci offrono nuovi modi di esprimerci. Tuttavia la cancellazione è continua: ci sono lingue come il tofa, il tozha e il tuha, parlate per secoli da popoli nel nord della Mongolia e della Siberia, che oggi contano solamente trecento parlanti. Sono rimasti in meno di mille anche a parlare lo yimas della Nuova Guinea. Di fronte a questo senso di perdita un allarme efficace è espresso da una frase dell’umorista americano William Cuppy: «La maggior parte di noi ha la sensazione che non potremo mai arrivare ad estinguerci. Anche i dodo avevano questa sensazione». Il sito DOBES (Dokumentation Bedrohter Sprachen, Documentazione delle lingue a rischio), curato dall’Istituto Max Plank di Nimega (Olanda), presenta un archivio, purtroppo ricco, di lingue a rischio, offrendo la possibilità di sentirne il suono.

2 www.mpi.nl/DOBES


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capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

Per un europeo guardare qualcuno negli occhi è un segno di franchezza, mentre in Africa lo stesso gesto viene considerato un’insolenza: in segno di rispetto un africano abbassa gli occhi. In Africa occidentale per onorare l’abitazione di qualcuno ci si toglie le scarpe; gli europei si levano il cappello. Il corpo non comunica solo attraverso i gesti, ma può diventare anche un supporto per forme di scrittura. Prendiamo il caso delle pitture facciali dei nativi americani, che servivano a trasmettere dei messaggi, dei tatuaggi e di altre forme di «scrittura» sul e con il corpo.

I modelli di scrittura Esistono tre modelli di scrittura al mondo: le scritture dette pittografiche, come gli antichi geroglifici egiziani, costituite da elementi simili a disegni, che richiamano fedelmente gli oggetti e i fatti che vogliono indicare (il disegno del sole indica il sole).

5 Lasciare tracce… L’invenzione della scrittura «Scripta manent» («le cose scritte rimangono») dicevano i latini, mettendo così in evidenza una delle caratteristiche più importanti della scrittura: la permanenza nel tempo. Scrivere infatti significa fissare su un supporto materiale parole, segni, che a loro volta evocano concetti e suoni immateriali. La scrittura consente di immagazzinare informazioni al di fuori del corpo umano. È difficile dire quando venne inventata la scrittura; primo perché fu il risultato di un processo di evoluzione durato a lungo, secondo perché forme di scrittura nacquero in luoghi diversi, con forme e finalità diverse. Uno dei primi esempi è la scrittura dei sumeri «inventata» nel 3200 a.C. circa. Anche gli egizi, pochi secoli dopo, idearono una scrittura pittografica composta da geroglifici. I cinesi crearono la loro scrittura ideografica nel 1300 a.C. e gli «indiani» dell’America centrale inventarono un loro modo di scrivere nel 600 a.C. Si parla di invenzione nel senso che questi popoli sono partiti da zero, senza avere esempi precedenti. Tutte le altre forme di scrittura presenti nel mondo passato e presente sono il prodotto di imitazioni o di vere e proprie re-invenzioni. Per esempio se uno straniero arrivava in una società che conosceva la scrittura, ne intuiva l’utilità e, fatto ritorno a casa, o tentava di imitare ciò che aveva visto oppure re-inventava un nuovo sistema di segni del tutto diverso da quello originario.

ó Esempio di scrittura geroglifica, dal Libro dei morti

di Kha, 1400 a. C.

Esistono poi scritture chiamate logografiche o ideografiche, nelle quali i segni sono sempre meno realistici e sempre più schematici. In questo caso, per esempio, il disegno del sole può indicare, oltre all’astro, anche la luce, il giorno, il calore ecc. Infine abbiamo le scritture alfabetiche, come la nostra, in cui i segni grafici rimandano a dei suoni, che presi da soli non hanno nessun significato, ma che lo acquistano solo grazie alla loro combinazione. Una M di per sé non significa nulla e nemmeno una N e una D, ma, unite a due O, possono dare vita alla parola MONDO, che invece ha un significato ben preciso. ó Tre esempi di passaggio dalla scrittura pittografica alla

scrittura ideografica.


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capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

ó Bibbia latina di Johann Gutenberg, 1455 circa (New

York, Pierpont Morgan Library). Si tratta del primo libro stampato in caratteri mobili in Europa.

non si diffuse, mentre in Europa ebbe un successo immediato e ripercussioni importantissime sull’alfabetizzazione delle popolazioni? In parte perché i caratteri cinesi sono nume-

rosissimi e non era facile maneggiarli, ma la ragione principale è legata al fatto che in Cina la scrittura era un sapere esclusivo dei mandarini, la classe dei burocrati, che proprio su questa conoscenza fondavano il loro potere e che pertanto non avevano nessun interesse a diffonderlo. La diffusione della capacità di leggere e scrivere avrebbe indebolito il loro potere. Non a caso Claude Lévi-Strauss ha scritto che «la scrittura serviva a tenere asserviti i popoli». Al contrario rispetto ai suoi predecessori asiatici l’invenzione di Gutenberg, che nel 1456, utilizzando un torchio da olio, realizzò la prima stampa a caratteri mobili, ebbe un grande successo, specialmente quando, alcuni decenni più tardi si diffuse in Germania la Riforma protestante, che prevedeva la lettura diretta dei testi sacri da parte dei credenti. Era necessario quindi diffondere la Bibbia e l’alfabetizzazione delle genti e, per raggiungere questi obiettivi, l’invenzione di Gutenberg ebbe un ruolo essenziale.

Approfondimento Alfabeti in Africa Si sente spesso dire che l’Africa è il continente dell’oralità, il continente «senza scrittura», ma la realtà ci dimostra come questo sia uno dei molti luoghi comuni di carattere etnocentrico, che dominano la nostra visione dell’altro. In realtà in diverse regioni dell’Africa si sono sviluppate forme di scrittura differenti, che hanno avuto più o meno fortuna. Ecco alcuni esempi: l’Osmanya, creato nel 1922 in Somalia da Cismaan Yuusuf Keenadiid, comprende 30 lettere; il loro ordine segue quello dell’alfabeto arabo, ma, a differenza di questa scrittura, l’Osmanya si legge da sinistra a destra. Fu il più popolare dei ben undici alfabeti inventati in quarant’anni, fino al 1961. Di questi va segnalato almeno quello di Sheikh Cabduraxmaan Sheikh Nuur ó Alfabeto Osmanya. (1933).

La Somalia è uno dei rarissimi paesi del continente dove si parli praticamente una sola lingua madre, il far soomaali. Dal 1972, in seguito all’introduzione obbligatoria dell’alfabeto latino, questa lingua ha subito una trasformazione, ma nel 1977 erano almeno ventimila le persone che ancora usavano l’alfabeto Osmanya per la loro corrispondenza privata; si stampavano anche libri e un quindicinale, Horseed. Un altro dei tanti alfabeti moderni dell’Africa occidentale, che gode di ben altro successo rispetto all’Osmanya, è lo N’ko, termine che in lingua malinké significa «io dico». Gli diede la forma definitiva, il 14 aprile 1949, Souleymane Kanté, uno studioso guineano che voleva offrire un sistema di trascrizione unitario ai dialetti mandinghi. Sono 36 i caratteri alfanumerici dello N’ko, oltre a una decina di «segni diacritici» che, fatto raro, indicano anche i toni delle vocali. Lo N’ko non è solamente uno strumento linguistico: attorno ad esso si è sviluppato un vero e proprio movimento culturale transnazionale – in parte esoterico – a carattere afrocentrico e tuttora ben vivo, comprendente filosofia, religione e farmacopea.


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ó Alfabeto N’ko.

ó Alfabeto Nsibidi.

Sono necessari 123 segni per mettere per scritto la lingua più parlata del Mali, il bambara (più esattamente bamanan, un termine originariamente spregiativo con il quale i musulmani designavano gli infedeli), che fa parte del più ampio gruppo mande, presente in ampie regioni dell’Africa occidentale (Mali, Burkina Faso, Niger). Tra i dizionari che raccolgono i termini mande il più antico è il Vai, inventato in Liberia attorno al 1833 da Momolu Duwalu Bukele e con il quale vennero tradotti Bibbia e Corano. Il Tifinagh è l’alfabeto dei «berberi» (variante di «barbari»), le popolazioni dell’Africa settentrionale preesistenti all’occupazione araba e che vivono nelle regioni del nord Africa fino al deserto del Sahara. Il Tifinagh si distingue per le sue lettere geometriche, forme che più facilmente di quelle arrotondate possono essere incise sulla roccia, come ad esempio facevano i tuareg per segnalare la presenza di acqua nelle vicinanze. Alcune steli con iscrizioni bilingui attestano diversi stadi del Tifinagh fin dal ii secolo a.C. Una variante, detta Gouanche, è rintracciabile nelle Canarie, isole di cui i berberi furono i primi abitatori. La scrittura Nsibidi o Nsibiri, diffusa in Nigeria nel bacino sud-orientale del Cross River, non è sillabica né alfabetica, ma un ricco complesso di ideogrammi e pittogrammi. L’accostamento di un segno all’altro va «commentato», piuttosto che «letto», alla stregua dei segni grafici dei celebri dogon del Mali. Lo Nsibidi è una scrittura tipica della società segreta Ekpe, ma alcuni simboli sono diventati di dominio pubblico e vengono utilizzati in contesti di magia, guerra, storie d’amore. Il loro supporto, più che la carta, sono le pareti delle case o i tessuti. ó Alfabeto Shü-Mom.

La Shü-Mom è la scrittura africana che ha la storia meglio documentata, anche se, come spesso capita, la sua origine è stata mitizzata. Njoya fu l’ultimo sultano di Foumban, il regno camerunese dei Bamun esistente fin dal xv secolo. Riorganizzò il suo stato, ma morì in esilio a Yaoundé nel 1933, travolto dalle vicende coloniali. Un giorno dell’anno 1895 una voce gli ingiunse, in visione, di disegnare una mano su una tavoletta, di versare quindi dell’acqua sul disegno e poi di berla. Il sovrano interpretò il sogno come il conferimento di una missione: inventare una scrittura per il suo popolo. Cominciò con un complesso sistema di tipo geroglifico (non risulta che Njoya conoscesse la scrittura egizia) di 466 pittogrammi e ideogrammi che andò via via perfezionando. La sesta e ultima versione, A ka u ku, composta di 82 lettere e 10 numeri, vide la luce verso il 1910. Era un vero e proprio alfabeto. Una decina d’anni dopo verrà affiancata da un’altra, «corsiva» e più elegante. Njoya impiantò anche una vera e propria tipografia e fin dalla terza versione aveva cominciato a scrivere libri sulla storia e i costumi bamun. Nella quinta versione fu anche tradotta parte della Bibbia (ma fu l’arabo del Corano a stimolare la nascita dello Shü-Mom). Njoya curò la diffusione del suo dizionario attraverso la creazione di scuole e di una biblioteca nel suo stesso palazzo.


145

 Uno sguardo d’insieme scambi/prestiti

neologismi

che si arricchiscono con

dialetti lingue

distinte in

lingue ufficiali usate

comprendono

per definire

identità nazionali stato

per fondare

langue

sistema codificato di suoni e segni

parole

interpretazione personale e creativa della lingua

pittografica logografica socialità

alfabetica

fondata sulla

capacità di comunicare

attraverso

che può essere

scrittura

è una forma di

classificazione del mondo

necessaria per la

modo di fissare informazioni fuori dal corpo umano

fondazione dello diffusione delle

stato

religioni rivelate

ebraismo, cristianesimo, islam, fondate su testi scritti

gesti performance gestuale tradizioni orali

che comprendono

canti/danze proverbi

e-mail chat nuove oralità

come

SMS comunicazione televisiva


146

5

1 Un utensile fondamentale ó L’uomo è un animale sociale; la sua

socialità si fonda essenzialmente sulla capacità di comunicare in un modo più complesso di quanto non facciano le altre specie. Per comunicare si usa la lingua, un insieme organizzato di suoni, che operano su un piano non solo visivo, ma soprattutto simbolico. ó Parlando non solo comunichiamo, ma classifichiamo il mondo. Il modo in cui ciò avviene è arbitrario: ogni lingua infatti, come ha affermato l’antropologo Franz Boas (1858-1942), crea categorie di esperienze legate alla realtà di un gruppo. La lingua è dunque un modo di guardare e di interpretare la realtà.

2 Lingue o dialetti? Nel mondo vengono parlate oggi circa 6 000 lingue; in moltissimi stati esiste il plurilinguismo. ó La lingua può essere un importante marcatore di identità. Le ideologie nazionaliste che si diffusero in Europa dalla fine del Settecento si basarono sul tema della lingua comune per definire le identità nazionali. Poiché nel nostro continente, all’interno dei grandi gruppi linguistici, si trovava un’infinità di idiomi locali, si cercò di uniformare le varietà linguistiche e di imporre, attraverso i programmi scolastici statali, delle lingue «ufficiali», spesso frutto di una costruzione artificiale e di una standardizzazione. Le frontiere linguistiche si fecero più rigide e intere tradizioni orali, e in qualche caso scritte, scomparvero. Il titolo di lingua venne riservato a quelle ufficialmente riconosciute dagli stati, mentre le altre furono definite dialetti. óForzata o meno, la lingua è uno degli elementi fondanti dello Stato: garantisce lo scambio tra i cittadini e crea una percezione unitaria della realtà da parte della popolazione. ó

3 Le lingue vivono Ogni lingua è il risultato di scambi ed è destinata a mutare con il tempo. Agli scambi si devono i prestiti, ó

|I|n | s|i|n|t|e|s|i |

Comunicare per essere umani

parole provenienti da altre lingue. Le lingue inoltre mutano con il tempo, perché si adeguano alle realtà che devono descrivere: nascono così i neologismi. ó Tra i giovani si diffondono spesso forme di parlata gergale, che contraddistinguono una generazione rispetto alle altre, o nuovi linguaggi che manifestano ribellione, come il verlan, che «smonta» il francese ufficiale. Le emigrazioni sempre più massicce hanno inoltre favorito il nascere di forme di linguaggio che mescolano lingua madre e inglese.

4 Non di sola voce Le lingue non differiscono tra loro solo per sintassi e grammatica, ma anche per il modo in cui le si parla. Ferdinand de Saussure (1857-1913), padre della linguistica, distingue tra langue e parole. La langue è il sistema codificato di suoni e segni (nel caso della scrittura) di cui ogni lingua è composta e che gli individui non possono modificare; la parole indica l’interpretazione personale e creativa della lingua, tipica di ogni individuo e di ogni gruppo. ó Ogni società prevede modi di conversare adeguati al «contesto di situazione» (Malinowski). Una lingua dunque non è fatta solo di parole, ma anche di gesti, comportamenti, estetismi, ed è inserita in un determinato contesto sociale. ó La lingua non è il solo mezzo per comunicare. Nella vita quotidiana utilizziamo spesso i gesti o le forme di «scrittura» sul e con il corpo. Anche i gesti, come le lingue, non sono universali. ó

5 Lasciare tracce… Scrivere significa fissare su un supporto materiale parole e segni, in modo da immagazzinare informazioni al di fuori del corpo umano. L’invenzione della scrittura fu il risultato di un lungo processo. Forme di scrittura «originali» nacquero in luoghi e tempi diversi, a cominciare dai sumeri (3200 a.C. circa). Tutte le altre forme di scrittura sono il prodotto di imitazioni o di re-invenzioni. ó

ó Esistono tre modelli di scrittura: le

scritture pittografiche, costituite da elementi simili a disegni, che richiamano fedelmente gli oggetti e i fatti che vogliono indicare; le scritture logografiche o ideografiche, nelle quali i segni sono sempre meno realistici e più schematici, e le scritture alfabetiche, in cui i segni rimandano a suoni, che acquistano significato solo grazie alla loro combinazione. ó La scrittura sta alla base della costruzione di uno stato: per controllare un territorio vasto è infatti necessaria una forma di burocrazia, la quale si basa sulla scrittura. Quasi sempre nel passato (ma non solo) era un sapere riservato a pochi, in genere sacerdoti o scribi, poiché la scrittura è uno strumento di controllo e di potere. ó I caratteri mobili per la stampa furono inventati nel xiii secolo in Cina, ma non ebbero grande successo sia per la quantità di caratteri richiesti dal cinese, sia perché la scrittura era un sapere esclusivo dei mandarini. Al contrario in Europa, dopo l’invenzione di Gutenberg, che nel 1456 realizzò la prima stampa a caratteri mobili, essi si diffusero rapidamente, specie a partire dalla Riforma protestante, che prevedeva la lettura diretta dei testi sacri da parte dei credenti. ó La scrittura ha svolto un ruolo fondamentale anche nella diffusione di ebraismo, cristianesimo e islam: tre religioni che si fondano su testi scritti, ritenuti depositari della verità rivelata.

6 … e non lasciare tracce ó L’impatto

delle società con scrittura su quelle orali favorì un’interpretazione evoluzionista, che riteneva «superiori» le prime rispetto alle seconde. Nel 1961 l’antropologo belga Jan Vansina rivalutò la tradizione orale, affermandone il valore storico e dandone anche una definizione: non una testimonianza singola, ma un fatto conosciuto e ripetuto nel tempo sotto forma di narrazione da molti rappresentanti di una comunità. ó La «tradizione orale» è un insieme di forme espressive diverse, che van-


148

capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

|v|e|r|i|f|i|c|a| RIPERCORRIAMO IL TESTO

6 Secondo l’antropologo belga Jan Vansina che cos’è la tradizione?

1 In che cosa la comunicazione umana si differenzia da quella animale?

7 Quali altre forme, oltre il racconto, fanno parte della tradizione orale?

2 Completa la seguente affermazione: Una lingua non è solo un insieme di

,

ma è soprattutto un sistema organizzato di , che esprimono del gruppo che la parla. 3 Indica se le seguenti affermazioni sono vere (V) o false (F):

8 Quali sono le forme di scrittura contemporanee che si avvicinano alla comunicazione orale?

a Generalmente si definisce «lingua» la parlata che accomuna tutti i cittadini di una nazione. v f b Le lingue sono spesso frutto di una costruzione artificiale e di una standardizzazione. v f c

In Europa la definizione di un certo numero di lingue nazionali portò alla creazione di una realtà linguistica molto più frammentata e sfaccettata. v f d Le lingue sono superiori ai dialetti sia per forma sia per struttura. v f e Le lingue «ufficiali» nazionali furono imposte attraverso i programmi scolastici statali.

PER APPROFONDIRE 1 Che ruolo ha svolto la lingua nella costruzione delle ideologie nazionaliste?

v f

4 Qual è la differenza tra langue e parole?

2 Fai qualche esempio di gesti che utilizzi nella tua comunicazione o che vengono usati dalle persone che conosci e spiega il loro significato, suddividendoli tra gesti di «accoglienza» e gesti di «ostilità». Gesti di «accoglienza» 5 Indica quale di queste affermazioni non corrisponde a quanto contenuto nel testo: La scrittura ha svolto un ruolo fondamentale nella diffusione delle religioni monoteiste, perché queste si fondano su testi scritti. Nelle società fondate sulla scrittura la religione tende a rimanere immutata nel tempo. Nelle società basate sulla cultura orale la religione si diffonde più rapidamente. La religione fondata sulla scrittura porta a creare un forte senso di appartenenza che supera i confini etnici.

Gesti di «ostilità»


150

capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

|P|e|r| |S|T|U|D|i|a|r|e| Verso l’Esame

Le parole dell’antropologia

Indica la risposta o il completamento che ritieni corretto.

cacciatori-raccoglitori: gruppi che vivono sullo sfruttamento delle risorse naturali, raccogliendo bacche, frutti, piante (le donne) e cacciando (gli uomini). clan: gruppo di discendenza i cui membri fanno risalire la loro discendenza a un comune antenato mitico. dialetti: sono dialetti le parlate non ufficialmente riconosciute da uno stato, ma non per questo inferiori a una lingua. esogamia: pratica matrimoniale in cui si privilegia il matrimonio con un partner esterno al gruppo. lingua: un insieme organizzato di suoni, che acquisiscono un significato dato loro dagli uomini che l’hanno codificato. Lo status di lingua è connesso al riconoscimento ufficiale di uno stato. sciamano: specialista rituale, tipico delle popolazioni siberiane e dei nativi americani, dotato di poteri particolari, il quale, attraverso la trance, spesso indotta dal ritmo di tamburi, riesce a entrare in contatto con le entità sovrannaturali. tradizione orale: processo di trasmissione verbale intergenerazionale di conoscenze e pratiche culturali di una determinata popolazione.

1 Nel mondo oggi vengono parlate approssimativamente: a 200 lingue b 600 lingue c 6 000 lingue d 12 000 lingue 2 Quale di questi gruppi di prestiti linguistici presenti nella lingua italiana contiene un elemento estraneo? a prestiti di origine ebraica: sabato, ammiraglio b prestiti di origine araba: arancia, limone, spinaci, zucchero, algebra, zero c prestiti di origine persiana: scacchi d prestiti di origine spagnola: lama, guerriglia 3 Il verlan è: a un misto di francese e inglese parlato da molti giovani parigini b un misto di spagnolo e inglese parlato da molti giovani madrileni c un linguaggio usato nelle periferie parigine come segno di ribellione nei confronti delle convenzioni d un gergo giovanile usato in Inghilterra, che ha avuto origine dal diffondersi dell’informatica 4 La scrittura venne «inventata» soltanto due volte nella storia: a dai cinesi nel 1300 a.C. e dagli arabi nel vi secolo d.C. b dai sumeri nel 3000 a.C. e dagli indiani dell’America centrale nel 600 a.C. c dagli egizi nel 3000 a.C. e dai fenici nel ii secolo a.C. d dai persiani nel vii secolo a.C. e dai maya nel iv secolo d.C. 5 Esistono tre modelli di scrittura al mondo: a le scritture pittografiche, le scritture logografiche e le scritture alfabetiche b le scritture pittografiche, le scritture alfabetiche e le scritture numeriche c le scritture logografiche, le scritture ideografiche e le scritture alfabetiche d le scritture alfabetiche, le scritture analfabetiche e le scritture ideografiche


Comunicare per essere umani

T1 G. Orwell   (da 1984)

I principi della Neolingua T2 G. Carofiglio  (da La manomissione delle parole)

Distorcere la lingua

T3 E. Canetti  (da La lingua salvata)

antologia dal terreno

5

1 M. Griaule

La parola fecondante

2 J. Vansina

Le fonti orali e la storia

La lingua dei ricordi d’infanzia

T1

G. Orwell

I principi della Neolingua Nel 1948 il geniale scrittore britannico George Orwell scrisse un libro di apparente fantascienza, ambientato nel 1984. La società da lui immaginata era dominata dal «grande fratello» che controllava tutto e tutti (di qui il nome del celebre programma televisivo). Il regime dittatoriale prevedeva anche l’imposizione di una lingua semplificata e pensata perché vi si potessero dire solo cose gradite al potere.

L

a Neolingua era la lingua ufficiale in Oceania ed era stata inventata per venire incontro alle necessità ideologiche del Socing, o Socialismo Inglese. [...] Fine della Neolingua non era soltan5 to quello di fornire un mezzo di espressione per la concezione del mondo e per le abitudini mentali proprie ai seguaci del Socing, ma soprattutto quello di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Era sottinteso come, una volta che la 10 Neolingua fosse stata definitivamente adottata, e l’Archelingua, per contro, dimenticata, un pensiero eretico (e cioè un pensiero in contrasto con i principi del Socing) sarebbe stato letteralmente impensabile, per quanto almeno il pensiero di15 pende dalle parole con cui è suscettibile di essere espresso. Il suo lessico era costituito in modo tale da fornire espressione esatta e spesso assai sottile a ogni significato che un membro del Partito potesse desiderare propriamente di intendere. Ma 20 escludeva, nel contempo, tutti gli altri possibili significati, così come la possibilità di arrivarvi con metodi indiretti. Ciò era stato ottenuto in parte mediante l’invenzione di nuove parole, ma soprattutto mediante la soppressione di parole indeside25 rabili e l’eliminazione di quei significati eterodossi che potevano essere restati e, per quanto era possibile, dei significati in qualunque modo seconda-

ri. Daremo un unico esempio. La parola libero esisteva ancora in Neolingua, ma poteva essere usata 30 solo in frasi come «Questo cane è libero da pulci» ovvero «Questo campo è libero da erbacce». Ma non poteva essere usata nell’antico significato di «politicamente libero» o «intellettualmente libero» dal momento che la libertà politica e intellet35 tuale non esisteva più, nemmeno come concetto, ed era quindi, di necessità, priva di una parola per esprimerla. Ma, a parte la soppressione di parole di carattere palesemente eretico, la riduzione del vocabolario era considerata fine a se stessa, e di 40 nessuna parola di cui si potesse fare a meno era ulteriormente tollerata l’esistenza. La Neolingua era intesa non a estendere, ma a diminuire le possibilità del pensiero; si veniva incontro a questo fine appunto, indirettamente, col ridurre al minimo la 45 scelta delle parole. [...] Tutte le ambiguità e sfumature di significato erano state completamente eliminate. Nei limiti del possibile, una parola in Neolingua appartenente a questa classe era semplicemente una spe50 cie di suono staccato che esprimeva una sola idea chiaramente intesa. Sarebbe stato del tutto impossibile usare il Vocabolario per scopi letterari, ovvero per discussioni politiche o filosofiche. Era destinato soltanto a esprimere pensieri semplici e 55 definiti, che chiamassero in causa oggetti concreti e azioni materiali. [...] La parola pensiero, per esempio, non esisteva da sola e in questa forma, in Neolingua. Il suo posto era stato preso dalla parola pensare, che serviva sia 60 per il nome che per il verbo. Non era seguito alcun principio etimologico: in taluni casi era il nome originale che veniva mantenuto, in altri era il verbo. Non c’erano, per esempio, parole come taglio, dal momento che il suo significato era espresso a 65 sufficienza dal nome coltello. Gli aggettivi erano formati mediante l’aggiunta del suffisso evole al nomeverbo, e gli avverbi mediante l’aggiunta del suffisso mente. Così, per esempio, velocitevole, significava

151


154

capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

bia imparata soprattutto con loro. Ma poiché non frequentai mai una scuola bulgara e lasciai Rustschuk1 quando avevo solo sei anni, il bulgaro l’ho ben presto completamente dimenticato. Tutti gli eventi di quei miei primi anni si svolsero 15 dunque in spagnolo o in bulgaro. In seguito mi si sono in gran parte tradotti in tedesco. Solo eventi particolarmente drammatici, delitti e morti per intenderci, nonché i più grandi spaventi della mia infanzia, mi sono rimasti impressi nella loro 20 fraseologia spagnola, ma in modo estremamente preciso e indistruttibile. Tutto il resto, vale a dire il più, e specialmente tutto ciò che era bulgaro, come appunto le favole, me lo porto in testa in tedesco. In che modo precisamente ciò sia avvenuto, 25 non saprei dire. Non so a che punto e in quale occasione questo o quest’altro si sia automaticamente tradotto nella mia mente. Non ho mai indagato su tutto questo, forse sono stato trattenuto 30 dal timore che una ricerca metodica, condotta secondo principi severi, potesse distruggere quel che di più prezioso, in fatto di ricordi, io porto in me. C’è una cosa sola che posso affermare con sicurezza: gli avvenimenti di quegli anni mi sono 35 ancora presenti nella memoria in tutta la loro for10

za e freschezza – me ne sono nutrito per più di sessant’anni – tuttavia in grandissima parte sono legati a vocaboli che io allora non conoscevo. Mi sembra naturalissimo metterli ora sulla carta, non 40 ho affatto l’impressione di mutare o deformare alcunché. Non è come la traduzione letteraria di un libro da una lingua all’altra, è una traduzione che si è compiuta spontaneamente, nel mio inconscio, e poiché io evito come la peste questa parola che 45 ha perduto ogni reale significato a causa dell’uso smodato che se ne fa, mi si voglia perdonare se l’adopero in questo solo e unico caso. (E. Canetti, La lingua salvata) 1. Rustschuk: o Ruse, città della Bulgaria che si trova a nord

est di Sofia.

per capire ó Quali sono le lingue che convivono nella mente

dello scrittore? Quali appartengono alla sua infanzia? Quali invece al suo presente? ó Qual è il rapporto fra lingua e memoria che emerge nel brano? ó Che cosa intende l’autore con «traduzione»? ó Prova a documentarti sulle ragioni per le quali la famiglia ebraica di origine spagnola dell’autore vivesse in Bulgaria.

dal terreno 1

M. Griaule

MALI

La parola fecondante Tra gli anni Trenta e la fine degli anni Cinquanta l’antropologo francese Marcel Griaule si dedicò allo studio dei dogon del Mali. Una popolazione che egli rese celebre con il suo libro Dio d’acqua, in cui narra le conversazioni con Ogotemmeli, un anziano cacciatore, reso cieco da un incidente di caccia, che gli illustra la complessa cosmogonia dogon. In questo brano emerge l’importanza della parola, che grazie a un gioco di metafore diventa elemento fecondante. Come a dire: è la parola che crea l’uomo.

II colloquio del giorno precedente aveva fatto apparire l’onnipotenza del verbo umano. Attraverso la voce l’uomo chiama Dio; attraverso la voce, egli prolunga l’azione divina. 5 C’era indubbiamente da aspettarselo, dal momento che Dio stesso, per mezzo del Nommo1 suo figlio, aveva riorganizzato per tre volte il mondo, servendosi di tre parole successive, sempre più

esplicite e sempre più diffuse. E anche la rigenerazione degli otto uomini, la loro rinascita come geni d’acqua, era avvenuta attraverso la voce del Nommo che, parlando a se stesso, si fecondava. Da dove veniva questa parola che si propagava sulle volute elicoidali del vapore sospeso davanti 15 al volto? Che sentieri seguiva nell’essere umano? Non era nel carattere di Ogotemmeli rispondere direttamente a queste domande. «Il Nommo» disse, «che è acqua e calore, entra nel corpo con l’acqua che si beve e comunica il suo 20 calore alla bile e al fegato. La forza vitale che porta la parola, che è la parola, esce dalla bocca in forma di vapore acqueo, che è acqua e parola». Come aveva detto il giorno prima, Ogotemmeli ricordava che la parola usciva dal più profondo e 25 dal più segreto dell’essere, cioè dal fegato. Ma egli intendeva seguire il corso originario del suo pensiero e non voleva rispondere a delle domande. Ricordò che la prima parola era stata scandita davanti a un sesso di donna. Il primo perizoma, 10

1. Nommo: è la divinità creatrice dogon.


156

capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

Per questo è proibito, nei villaggi, parlare a voce alta, gridare e fischiare durante la notte. «Le parole volano via. Non si sa dove vadano. Si perdono. Esse sono forza che si perde, perché tutte le donne riposano, e nessun orecchio, nessun sesso ascolta». 145 Dove dileguano le parole, quando non hanno eco e non c’è nessuno che le ascolti? Era giusto lanciare al di sopra dei muri di cinta, negli interstizi delle porte, nelle stradine deserte, parole senza destinatario? V’era tuttavia di peggio dell’assenza 150 di ascoltatrici. In realtà, in un villaggio, ci sono sempre delle donne che non dormono. «La parola, di notte, entra nell’orecchio delle donne. Esse si chiedono: “chi ha parlato?”. E non lo sanno mai. Quel che è detto di notte è parola di 155 sconosciuto, che cade nel grembo del caso». Se le donne fossero così fecondate, l’embrione sarebbe frutto di avventura, «come quello che riceverebbero dormendo sregolatamente con i ragazzi». 160 Ma la parola notturna non feconda le donne e, come i colpi battuti di notte sulla terra disfanno il lavoro che, di giorno, il fabbro ha eseguito sulla sua incudine, così: «Il verbo notturno, penetrando nell’orecchio delle donne, passa attraverso la gola 165 e il fegato e si avvolge intorno all’utero in un senso nefasto, dipanando le spire efficaci della parola diurna». La cattiva parola rendeva dunque la donna momentaneamente inabile alla procreazione, 170 perché distruggeva, o meglio, disfaceva «il germe d’acqua» pronto a ricevere l’apporto del maschio. Ma la sua azione aveva anche altre conseguenze. Il cieco aveva già detto che il verbo malvagio non si limitava a investire l’utero: ne esalava in effluvi 175 che svolgevano un ruolo decisivo nei giochi della generazione. «La cattiva parola è un fetore. Essa agisce sulla 140

AFRICA CENTRALE

2

J. Vansina

Le fonti orali e la storia Partendo dalle sue lunghe ricerche in Africa centrale, l’antropologo belga Jan Vansina, affronta il problema delle tradizioni orali e del modo in cui esse possono venire utilizzate come fonti storiche. In passato esse non venivano considerate degne di fiducia, ma Vansina, nel suo libro dimostra come, con un metodo adeguato, tali fonti abbiano valore quanto le fonti scritte.

forza dell’uomo. Essa va dal naso alla gola e al fegato, e dal fegato al sesso». 180 Essa contribuiva così a tenere lontano l’uomo. Ogotemmeli prese allora a parlare dell’igiene femminile, che poteva combattere, in larga misura, gli effetti della cattiva parola. Ricordò il granaio celeste, il cui centro era occupato dal vaso sferico, 185 immagine dell’utero e del sole, che conteneva le pietre di unione destinate a segnare le articolazioni produttrici del seme. [...] Ogotemmeli, prendendo spunto da questi elementi materiali, spiegò il sistema delle regole 190 igieniche, del quale faceva parte la meticolosa gesticolazione delle donne per attirare gli uomini. Il profumo, agendo come una buona parola, lottava contro il fetore creato dalla cattiva parola. Da lì, egli tornò al gioco degli ornamenti e del 195 vestiario che aveva già esposto nei particolari. Il cerchio si chiudeva così sul compito incessante che la parola svolge nei trabocchetti e nelle lotte per la procreazione. Lo stesso verbo, che predisponeva l’utero all’unione, attirava gli uomini nelle 200 pieghe del perizoma che, nell’intreccio dell’ordito e della trama, racchiudeva le parole degli otto antenati. (M. Griaule, Dio d’acqua)

per capire ó Chi è il Nommo? ó Come si compie l’azione ordinatrice e

generatrice di Dio?

ó Che cosa distingue la «buona parola» dalla

«cattiva parola»?

ó Quale potere ha la «buona parola»? Quali sono

invece le conseguenze della «cattiva parola»?

ó Dal testo quali «indizi» ricavi su Ogotemmeli?

Secondo te chi potrebbe essere?

ó Che idea della procreazione si può ricavare da

questa narrazione?

Le tradizioni o trasmissioni orali sono delle fonti storiche il cui carattere proprio è determinato dalle forme che esse rivestono: sono orali o «non scritte» per il fatto che si fondano, di genera5 zione in generazione, sulla memoria degli uomini. Questi tratti propri della tradizione orale pongono un problema specifico allo storico. Dovremo negare loro a priori ogni credibilità? Come potremo altrimenti assicurarci del loro valore storico? In 10 questo studio tenterò per l’appunto di dimostrare che la tradizione orale in quanto fonte storica non è necessariamente sprovvista di veridicità; essa può, al contrario, ed entro certi limiti, meritare un


158

capitolo 5

ó Comunicare per essere umani

deve necessariamente avere l’intenzione di trasmettere fatti di importanza storica allorché comunica eventi del passato: la testimonianza non ha necessariamente come scopo la registrazione della storia. Tuttavia le tradizioni che comunica120 no informazioni sul passato possono essere considerate fonti storiche; essendo testimonianze riferite, esse possono essere considerate fonti per la conoscenza del passato. Una favola di Esopo, per esempio, è una fonte 125 per la conoscenza del passato, in quanto è espressione di un determinato aspetto della cultura in un dato periodo storico. 115

B) Caratteristiche La relazione tra il fatto o l’evento osservato e l’ultima testimonianza, o la prima registrazio130 ne scritta di questa, può essere descritta nel modo seguente. Il fatto osservato è comunicato dall’osservatore mediante una testimonianza che potremmo chiamare proto-testimonianza o testimonianza iniziale. Questa è ascoltata da una 135 persona che a sua volta la riferisce a un’altra e questa la diffonde raccontandola a una terza, e così di seguito. In questo modo nasce una catena di trasmissione, in cui ogni ulteriore testimone è un anello ed ogni testimonianza è una testimo140 nianza auditiva. L’ultimo testimone comunica l’ultima testimonianza della catena a colui che la fissa per iscritto. Tale sequenza può essere rappresentata in questo modo:

Fatto o avvenimento  145 Osservatore è Proto-testimonianza o testimonianza iniziale  Catena di è Testimonianza auditiva trasmissione o testimonianza che forma  un anello della catena 150 Informatore è Ultima testimonianza finale o testimonianza finale  Colui che fissa è Prima testimonianza la testimonianza trascritta per iscritto Dalla definizione proposta e dalla descrizione della sequenza sopra esposta risulta il carattere specifico della tradizione orale: la sua trasmissione verbale. L’esistenza di tale caratteristica fa sì che si debba considerare una tradizione come una successione di testimonianze storiche anch’esse verbali. (J. Vansina, La tradizione orale)

per capire

ó Su che cosa si fondano le «trasmissioni orali»? ó Quale obiettivo si pone Jan Vansina con l’opera

La tradizione orale?

ó Su quali tipi di popoli si concentra lo studio di

Vansina? Perché?

ó Quali caratteristiche hanno le tradizioni orali? ó Che cosa non può essere definito «tradizione

orale»?

ó Che cos’è una «catena di trasmissione»?

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE Opere da cui sono tratti i brani E. Canetti, La lingua salvata, Adelphi, Milano, 1991 (1977) G. Carofiglio, La manomissione delle parole, Rizzoli, Milano, 2010 M. Griaule, Dio d’acqua, Bollati Boringhieri, 2002 (1948) G. Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 2002 (1948) J. Vansina, La tradizione orale, Officina, Roma, 1977 esti citati o consigliati T J. Goody, La logica della scrittura e l’organizzazione della società, Einaudi, Torino, 1988 E.T. Hall, Il linguaggio silenzioso, Garzanti, Milano, 1972 M. McLuhan, La galassia Gutenberg, Armando, Roma, 1995 D. Nettle e S. Romaine, Voci del silenzio. Sulle tracce delle lingue in estinzione, Carocci, Roma, 2001 E. Sapir, Cultura, linguaggio, personalità, Einaudi, Torino, 1972 B.L. Whorf, Linguaggio, pensiero, realtà, Bollati Boringhieri, Torino, 1970


Appendice ó Atlante del mondo contemporaneo

390

meno del 5

dal 5 al 25

dal 25 al 45

dal 45 al 65

oltre il 65

Analfabeti (% sulla popolazione di oltre 15 anni)

Più analfabeti +

Meno analfabeti –

ó Diffusione dell’analfabetismo nel mondo.


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Appendice ó Le parole dell’antropologia

Le parole dell’antropologia agricoltura: modello di produzione basato sullo sfruttamento di piante domesticate. Si definisce coltivazione, quando è praticata con zappe e mezzi simili; agricoltura, quando si utilizza l’aratro. allevamento: pratica economica basata sullo sfruttamento di animali domesticati. Si definisce allevamento una pratica stanziale, mentre per pastorizia si intende una forma di allevamento che prevede lo spostamento stagionale dei capi di bestiame. ambienti antropizzati: ambiente prodotto di una lunga azione dell’uomo. animismo: termine usato per indicare un vasto insieme di religioni tradizionali non istituzionalizzate. antropologia marxista: prospettiva antropologica che cerca di individuare modi di produzione diversi da quello capitalista e di studiare le questioni legate alla stratificazione sociale, all’interrelazione tra modello economico e struttura sociale, nonché ai rapporti tra colonizzati e colonizzatori. antropopoiesi: secondo l’antropologo Francesco Remotti è quell’insieme di pratiche che ogni società mette in atto per rendere più «umano» il corpo, per costruire l’uomo secondo i propri criteri di umanità. aree culturali: aree geografiche abitate da gruppi umani, che condividono tratti culturali comuni. arte immateriale: l’insieme di forme espressive non plastiche, come danza, musica, poesia, canto ecc. arte materiale: l’insieme di forme espressive plastiche, come scultura, pittura ecc. artigianato: attività di trasformazione condotta con mezzi manuali e su piccola scala. banda: la banda è la forma tipica di organizzazione di popolazioni di cacciatori-raccoglitori, di piccole dimensioni (meno di cinquanta membri), con base fortemente egualitaria. baratto: forma di scambio di beni o servizi senza la mediazione del denaro. Gli attori del baratto stabiliscono insieme il valore dei beni in oggetto. caccia-raccolta: economia basata sullo sfruttamento delle risorse naturali, raccogliendo bacche, frutti,

piante (le donne) e cacciando (gli uomini). capo: individuo che ad esempio in una tribù detiene una funzione di comando e che possiede determinate prerogative e privilegi. casta: gruppo ordinato su base gerarchica a cui si appartiene per nascita e non per affiliazione. circoncisione: pratica di modificazione genitale maschile che consiste nella rimozione del prepuzio. A seconda del contesto può significare l’appartenenza religiosa o il passaggio all’età adulta. clan: gruppo di discendenza i cui membri fanno risalire la loro discendenza a un comune antenato mitico. commercio: pratica economica che prevede lo scambio di beni o servizi con l’intermediazione del denaro. comparazione: metodo antropologico che consiste nel confronto tra diverse culture al fine di riscontrare elementi di similitudine o di differenza. cultura: insieme di saperi, pratiche, tradizioni condivisi da un gruppo umano, che vengono trasmessi di generazione in generazione, ma sempre suscettibili di cambiamenti e prestiti da altre culture in seguito a incontri, scontri, migrazioni. dialetti: sono dialetti le parlate non ufficialmente riconosciute da uno stato, ma non per questo inferiori a una lingua. diffusionismo: prospettiva antropologica secondo cui le diverse culture venivano irradiate da centri particolarmente importanti e si diffondevano alle società periferiche. discendenza bilineare: trasmissione di beni e status per cui i figli ereditano da entrambi i genitori. discendenza matrilineare: trasmissione di beni e status per cui i figli ereditano esclusivamente per via materna. Poiché quasi sempre sono gli uomini a detenere i beni, i figli della donna erediteranno da suo fratello, lo zio materno. discendenza patrilineare: trasmissione di beni e status per cui i figli ereditano esclusivamente per via paterna. discendenza unilineare: trasmissione di beni e status per cui i figli ereditano o per via paterna o per via materna.

domesticazione: selezione progressiva praticata dall’uomo su piante e animali fino a renderli più produttivi e assoggettati all’uomo. La domesticazione non riguarda una sola pianta o un solo animale, ma le intere specie. dote: beni o denaro che la sposa reca con sé al momento del matrimonio. ecologia culturale: prospettiva antropologica che pone l’accento sul rapporto tra le popolazioni e l’ambiente in cui vivono, analizzandone prevalentemente gli aspetti relativi all’adattamento e all’economia. emico: il punto di vista di chi fa parte della società in oggetto e che percepisce gli stessi fatti con una prospettiva interna. endogamia: pratica matrimoniale in cui si privilegia il matrimonio con un partner interno al gruppo. esogamia: pratica matrimoniale in cui si privilegia il matrimonio con un partner esterno al gruppo. età anagrafica: nella nostra società l’età anagrafica è la differenza tra l’anno corrente e il nostro anno di nascita. È un dato che serve soprattutto a fini burocratici. età sociale: età che nasce dal legame tra l’età anagrafica e un determinato valore che ogni società attribuisce a quell’età. È la percezione sociale dell’età anagrafica di un individuo in una determinata società. etico: il punto di vista dell’osservatore esterno, che spesso è altro rispetto alla comunità che studia. etnocentrismo: atteggiamento opposto al relativismo, che prende come unico punto di riferimento e come metro di giudizio la propria cultura. etnografia: pratica di raccolta e di registrazione dei dati sulla base dell’osservazione partecipante. evoluzionismo sociale o unilineare: prospettiva antropologica sviluppatasi tra fine Ottocento e inizio Novecento, che considerava le diverse società poste su una scala evolutiva, che le avrebbe condotte infine al modello occidentale. famiglia: insieme di parenti stretti, che vivono insieme. Si parla di famiglia nucleare, quando è formata da genitori e figli; di famiglia allargata quando oltre al nucleo, convivono altri parenti (nonni, zii, cugini ecc.).


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