monografia
SostenibilitĂ Urbana Trasmettere la CittĂ Sostenibile
01
aprile 2009
TAO n.1/2009 www.taomag.net Direttore Responsabile
Consiglio OAT
Riccardo Bedrone
Riccardo Bedrone, presidente Sergio Cavallo, vicepresidente Felice De Luca, segretario Adriano Sozza, tesoriere
Redazione
Raffaella Lecchi (r.lecchi@awn.it) Liana Pastorin (l.pastorin@awn.it) Via Giolitti, 1 - 10123 Torino Tel. +39 011546975 Fax +39 011537447 www.to.archiworld.it Segreteria di Redazione
Raffaella Bucci (raffaella.bucci@awn.it) Art Director
Fabio Sorano - Lorem impaginazione
Davide Musmeci - Lorem
consiglieri Roberto Albano Domenico Bagliani Giuseppe Brunetti Mario Carducci Mariuccia Cena Franco Ferrero Franco Francone Giorgio Giani Elisabetta Mazzola Gennaro Napoli Stefania Vola direttore OAT Laura Rizzi
Fotografie
Maurizio Pisani DieciCento (Lucio Beltrami, Gisella Molino, Mariateresa Dell'Aquila) Foto di copertina
Lucio Beltrami - DieciCento Supplemento di OA Notizie periodico di informazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Torino - n. 1/2009
Traduzioni
Studio RGE Stampa
AGES Arti Grafiche SpA Corso Traiano 124 - 10127 Torino PubblicitĂ
Maddalena Bertone (m.bertone@awn.it) Web version
Simona Castagnotti SPONSOR TECNICI
Lorem (www.lorem.it) DieciCento (www.flickr.com/groups/diecicento)
Consiglio Fondazione OAT
Carlo Novarino, presidente Fabio Diena, vicepresidente consiglieri Riccardo Bedrone Domenico Bagliani Maria Rosa Cena Franco Francone Marcello La Rosa Claudio Papotti Ivano Pomero Giuseppe Portolese Claudio Tomasini direttore Fondazione OAT Eleonora Gerbotto
Indice
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Ai lettori di TAO Editoriale Riccardo Bedrone Contributors
Possibilità 8 12 14 15 16 17
Una politica per i cambiamenti climatici Fabrizio Barbaso Crisi globale: rischi e opportunità Intervista a Daniela Palma PlaNYC 2030 Rohit T. Aggarwala Processo, ascolto, sussidiarietà stefano mirti, simone quadri (ID-LAB) con giovanni Oggioni Buenos Aires Daniel Gustavo Chain Il Pacchetto 20-20-20: la firma dei Sindaci Intervista a Domenico Mangone
Comunicazione 20 22 23 24 25 26 27 28
Un modello per la trasformazione Pier Giorgio Turi BdS 2040 re-gener-a[c]tion chaLLenge all Energy a green heart(h) for Torino bio-basse ff-rew La scienza come sinonimo di progresso Piero Bianucci
Democrazia
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Le parole dell’abitare Manuela Olagnero Come sarà la casa del futuro? Ci sarà una casa per tutti? Cino Zucchi, Fabrizio Accatino Un sinonimo di sostenibile. La sostenibilità è auspicabile e/o praticabile? Peppino Ortoleva, Matteo Agnoletto Qual è il rapporto tra architettura e democrazia? L’architettura crea democrazia? Piergiorgio Tosoni, Antonella Parigi Torino: Laboratorio Democratico Gustavo Zagrebelsky Che cosa ci fanno gli architetti dove si parla di democrazia?
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Roundabout
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Ai lettori di TAO
Cari lettori, l’uscita del primo numero di TAO – Transmitting Architecture Organ, un acronimo che si rifà esplicitamente alla fortunata titolazione del XXIII UIA World Congress 2008 di Torino – rappresenta una tappa significativa sulla strada che l’Ordine degli Architetti di Torino e la sua Fondazione stanno percorrendo per giungere ad una migliore relazione tra architetti e società. Il 2008 è stato un anno spartiacque: il grande successo in termini di pubblico e di interesse suscitato, appunto, dal tema comunicare architettura ha indotto una più chiara percezione del ruolo degli architetti e tale cambiamento di attenzione ha investito anche il modo di comunicare dell’Ordine. Indubbiamente, infatti, “capire e farsi capire” è un compito prioritario per gli architetti, sempre più coinvolti, attraverso il loro mandato sociale, nella ricerca della sostenibilità ambientale e della qualità del costruito come nella valorizzazione della “cultura del progetto”; ma lo è ancor più per l’OAT, impegnato da tempo a sostenere e promuovere con ferma convinzione questa visione. Come primo passo, è stato deciso di non disperdere il ricco patrimonio di relazioni, conoscenza e informazioni accumulato durante il Congresso, e la prima uscita di TAO ne raccoglie l’eredità e lo spirito, condividendo con i lettori – che saranno architetti naturalmente, ma anche, si spera, committenti, imprenditori, amministratori, clienti, fruitori e cittadini – il frutto dei progetti nati in occasione del 2008.
TAO è un magazine monografico che uscirà tre volte all’anno, che si presenta in forma cartacea, ma è anche disponibile on-line, consultabile e scaricabile da tutti dal sito www.taomag.net e che si arricchirà nel tempo di nuovi contributi e approfondimenti, per essere quanto più possibile aggiornato sugli argomenti trattati. Come è accaduto nelle scelte del Congresso, TAO non persegue – né potrebbe – l’approccio delle grandi riviste d’architettura, troppo spesso concentrate sul mondo delle eccellenze di moda, vere o presunte. TAO cerca di parlare agli architetti e ai cultori dell’architettura di buone pratiche, di procedimenti possibili, di obiettivi raggiungibili, di progetti concretamente innovativi in una prospettiva di invito al dialogo, al miglioramento reciproco e al confronto tra esperienze locali e internazionali. Ma ha anche l’ambizione di staccarsi dalle riviste “di genere” edite dagli Ordini professionali, il più delle volte resoconto tardivo delle loro iniziative istituzionali: a questo provvede da tempo, tempestivamente e con soddisfazione degli iscritti la newsletter digitale OA Notizie. Ai lettori il giudizio sul primo numero dedicato a uno degli assi portanti dell’impegno scientifico dell’OAT, la “sostenibilità urbana”. Con la speranza che non facciano mancare commenti e suggerimenti. Riccardo Bedrone direttore di TAO
Editoriale Riccardo Bedrone
La sostenibilità è il grande tema che ci assilla, la parola sempre presente, usata ormai in tutti i contesti possibili, spesso senza capirne la portata. Tuttavia, se esiste un caso in cui sostenibilità ha un valore davvero pregnante, è quello urbano. Le città sono luoghi di enorme consumo energetico, di convivenza e di immigrazione difficili, di tensione sociale antiproduttiva, di aspettative economiche indotte dal consumismo ma spesso frustrate. Nelle città si gioca la partita più complicata, che mette necessariamente insieme conoscenze e competenze le più diverse ma che ha bisogno di una regia consapevole e motivata per comporre con equilibrio le spinte e rispondere razionalmente ed equamente ai fabbisogni sociali. Il primo numero di TAO è dedicato al tema della sostenibilità urbana, a partire dalla grande esperienza del progetto internazionale “Trasmettere la Città Sostenibile” presentato l’anno scorso al XXIII Congresso mondiale UIA.
dall’area complessa di Basse di Stura, a nord di Torino. Un’area che potrebbe essere il trampolino di lancio per l’applicazione delle direttive dell’Unione Europea in tema di salvaguardia ambientale in grado di consentire di reggere il confronto con le città che nel panorama internazionale si distinguono nell’aver accelerato quella trasformazione che, prima di essere urbana, politica, economica e sociale, deve essere di mentalità.
Una città, per essere “sostenibile”, ha bisogno di tenere in considerazione aspetti tecnici e sociali, per superare il disagio che procura ciò che non è più sopportabile: la difficoltà di accesso alla casa di un numero sempre maggiore di persone, le nuove esigenze dell’abitare, che derivano dalla minore possibilità di spesa delle famiglie e dall’affermarsi di situazioni abitative non più tradizionali. In fondo, è ciò che da tempo l’Unione Europea chiede ai paesi membri di affrontare: come vivere, lavorare e intratteneIl valore del progetto procede dalla scelta di aver raccolto re relazioni in luoghi urbani che sempre meno vengono perintorno al tema della sostenibilità urbana un comitato scienti- cepiti come “democratici”, per evitare quel malessere della fico internazionale autorevole – e non soltanto rappresentanti vita nelle città che ne mina la coesione e la competitività. politici locali troppo spesso vincolati a procedure e a tempi farraginosi – e dalla sua capacità di guidare il confronto con gli enti e le amministrazioni locali, gli esperti, i cittadini e le realtà pubbliche e private, che insistono o hanno interessi in quella parte di città di futura trasformazione rappresentata
Contributors
Fabrizio Accatino
Nato a Torino nel 1971. Giornalista, ha lavorato per diverse testate prima di diventare direttore di cinema e radio, organizzatore di festival, ideatore e curatore di eventi culturali, collaboratore del Museo Nazionale del Cinema. Da più di dieci anni è corrispondente da Torino per Radio Vaticana. È vicedirettore del RomaFictionFest e sceneggiatore per la testata a fumetti Dylan Dog. Per La7 è autore delle trasmissioni di cinema “25a ora” e “La valigia dei sogni”. Vive tra Torino e Roma.
Rohit T. Aggarwala
Direttore dell’Ufficio Pianificazione e Sostenibilità a Lungo Termine della Giunta Municipale di New York, incaricato della creazione ed implementazione di PlaNYC, un piano di sostenibilità completo per la Città di New York. Nativo di Manhattan, NY, Rohit Aggarwala ha ottenuto i diplomi di Laurea, Specializzazione e Dottorato presso la Columbia University, così come un Master alla Queens University in Ontario. Prima di lavorare per l’amministrazione Bloomberg, è stato consulente di direzione da McKinsey & Company.
Matteo Agnoletto
Ricercatore in Composizione architettonica, presso la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena. È stato capo redattore della rivista “Parametro”. Dal 2005 è collaboratore della sezione architettura alla Triennale di Milano, dove è stato curatore di sezione delle mostre “Good N.E.W.S.” (2006) e “Casa per tutti” (2008). E’ fondatore con Andrea Cavani e Andrea Zamboni dello studio di architettura ACZ, risultando tra i progettisti selezionati per la fase finale del Concorso per il complesso integrato della Stazione Alta Velocità a Bologna.
Fabrizio Barbaso
Direttore generale aggiunto DGTREN Commissione Europea.
Riccardo Bedrone
Nato a Torino nel 1946, Riccardo Bedrone è professore associato di Tecnica e pianificazione urbanistica presso la II Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Torino, dal 2005 al 2008 ha ricoperto la carica di Presidente del 23 UIA World Congress Torino 2008. È il direttore responsabile di TAO, Transmitting Architecture Organ.
Piero Bianucci
Giornalista e curatore dal 1981 al 2005 del supplemento «Tuttoscienze» de «La Stampa». Dal 2006 ne è consulente e collabora con il quotidiano torinese. Autore di libri di divulgazione scientifica e di opere di narrativa, collabora con la Rai e la Tv svizzera. E' docente a contratto presso l’Università di Torino nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione. Da febbraio 2008 è presidente del Planetario di Torino.
Daniel Gustavo Chain
Ministro per lo Sviluppo Urbano di Buenos Aires. Architetto. Specializzato in Executive Development Program, Università della Pennsylvania. Ha partecipato al Programma di Preparazione Avanzata per il Coordinamento Generale di un Cambiamento Culturale Strategico, Forum Corp., Boston-USA. In passato è stato membro del consiglio accademico del Primo Corso Latinoamericano di Specializzazione in Habitat e Povertà Umana; direttore dell’Istituto per la Casa della Città di Buenos Aires; consigliere nella Fondazione ‘Creer y Crecer’ e Coordinatore del Settore Ambiente, Sviluppo Urbano ed Infrastrutture; consigliere e vicesegretario nella Fondazione Nazionale del Premio Nazionale per la Qualità in Architettura ed Urbanistica.
Id-lab
Interaction Design Lab, in breve Id-Lab è una società di design specializzata nel risolvere problemi di innovazione tecnologica. Per far questo meglio e più efficacemente, Id-Lab ha superato al suo interno le separazioni disciplinari. Designer, architetti, ingegneri meccanici e informatici, video maker e grafici, esperti di comunicazione, psicologia, marketing, economia e amministrazione collaborano fianco a fianco e sullo stesso piano.
Domenico Mangone
Dal 1996 esercita la professione di avvocato e ricopre la carica di Giudice Onorario presso il Tribunale di Torino. Fin da giovanissimo si dedica alla politica, percorso che lo porta nel 2001 a ricoprire la carica di Presidente della II Commissione Consiliare Permanente, relativa a urbanistica, edilizia privata, viabilità e trasporti, arredo urbano, edilizia e lavori pubblici. Attualmente è Assessore all’Ambiente del Comune di Torino e Presidente dell’Agenzia Energia e Ambiente della Città.
Stefano Mirti
Torino 1968, progettista, laureatosi al Politecnico di Torino con successivo dottorato presso lo stesso ateneo. Post-doc alla Tokyo University, ha insegnato alla Tama Fine Art School (2000/1), professore associato all’Interaction Design Institute Ivrea (2001/2005). Tra i soci fondatori e partner di Id-lab, dal gennaio 2007 è il direttore della scuola di design di NABA (Milano). Consulente di Torino World Design Capital 2008, è il responsabile del Piano dei Servizi del PGT della città di Milano (come Id-lab). Tiene una rubrica fissa: “Mirtilli” su Abitare on-line.
Giovanni Oggioni
Direttore Settore Pianificazione Urbanistica Generale del Comune di Milano.
Manuela Olagnero
Docente di Sociologia presso l’Università degli Studi di Torino, ha condotto studi sulle élites politiche e intellettuali, sui processi di terziarizzazione, sui fenomeni di diseguaglianza sociale connessi alla transizione post-fordista. Dal 2003 partecipa al network di ricerca "Monitoring Living Conditions and Quality of Life in Europe". Dal 2004 partecipa ai lavori di ricerca della Associazione Torino Internazionale. Attualmente fa parte del gruppo di ricerca PRIN su Analisi biografica delle transizioni.
Peppino Ortoleva
Antonella Parigi
Laureata in Filosofia nel 1985 presso l’Università di Torino, inizia la sua attività professionale collaborando con diverse organizzazioni culturali, tra cui Movie Club e il Festival Cinema Giovani. In seguito, si occupa per dieci anni di marketing e pubblicità per multinazionali come Braun e Cinzano e nel 1994 fonda, con Alessandro Baricco e altri tre soci, la Scuola Holden, di cui è stata Direttrice fino al gennaio 2005. Dal luglio 2000 al 2005 è consigliere d’amministrazione del Teatro Stabile di Torino e vice-presidente della Fondazione Circuito Regionale. Nel 2005 sviluppa Torino Spiritualità di cui attualmente è Presidente del Comitato organizzatore e nel 2006 per conto della Regione Piemonte ha dato vita al Circolo dei Lettori, che attualmente dirige.
Architetto e urbanista. Dal 1997 collabora con la Città di Torino per numerose iniziative (costituzione Urban Center e Laboratorio Città Sostenibile, del quale è coordinatore scientifico). È stato docente coordinatore del Master di Urbanistica partecipata promosso da Regione Piemonte e tutor del corso di Gestione urbana del Politecnico di Torino. Dal 2000 collabora con l'Ordine degli Architetti di Torino sui temi sulla sostenibilità urbana, dal 2006 coordina la commissione OAT "Architettura e Città sostenibile". È Relatore generale dell'iniziativa "Trasmettere la Città Sostenibile".
Gustavo Zagrebelsky
Milano 1980, laureato in Scienze del Turismo e Comunità Locale presso l’Università Bicocca di Milano. Dal 2007 lavora in Id-Lab dove segue vari progetti; dal giugno 2008 collabora al Piano dei Servizi del PGT della Città di Milano. Assistente dei corsi di “Marketing” e “Urban design” alla scuola di design di NABA (Milano).
Professore di Diritto costituzionale e Diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari e di Torino. Dal 1995 al 2004, giudice della Corte costituzionale e, nel 2004, Presidente della Corte medesima. Attualmente, è rientrato alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dove insegna Giustizia costituzionale. Tra i saggi di maggior rilievo si segnalano Contro l'etica della verità (Laterza, 2008) e La legge e la sua giustizia (Il Mulino, 2009).
Piergiorgio Tosoni
Cino Zucchi
Studioso di Storia e teoria dei mezzi di comunicazione, curatore di mostre, musei e programmi radiofonici. Dal 1986 ha affiancato alla sua attività un'intensa attività professionale nel campo della ricerca sulla comunicazione e della produzione culturale, prima con la società Cliomedia di Torino, poi dal 2001 con la Mediasfera di Firenze, di cui è presidente. Dal 1992 insegna Storia e teoria della comunicazione all'Università degli Studi di Torino di cui è diventato professore ordinario nel 2005.
Simone Quadri
Daniela Palma
Piergiorgio Tosoni (1944) è professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura 2 del Politecnico di Torino. Ha condotto analisi sul tema della casa a basso costo e dell’edilizia popolare in Italia. Ha svolto studi e ricerche sui caratteri morfologici e tipologici dei tessuti storici di diverse città piemontesi: Torino, Nichelino, Moncalieri, Rivalta Torinese, Acqui Terme, Cuneo, Ivrea, che hanno costituito parte integrante di piani e di progetti urbanistici di riqualificazione e tutela dei beni culturali ambientali di quelle città.
Laureata nel 1989 in Scienze Statistiche ed Economiche su temi dell'Economia Internazionale (Università degli studi di Roma “La Sapienza”). Ha conseguito nel 1995 il Dottorato di Ricerca in Analisi Economica Matematica e Statistica dei Fenomeni Sociali. Ricercatrice Enea dal 1990 nelle aree dell'economia dell'innovazione e dello sviluppo sostenibile, coordina dal 1999 le attività dell'Osservatorio Enea sull'Italia nella Competizione Tecnologica Internazionale.
Pier Giorgio Turi
Nato a Milano nel 1955, ha conseguito il Bachelor of Science in Art and Design al MIT e la Laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano, dove svolge attività didattica e di ricerca. Insieme allo studio Zucchi Architetti ha progettato e realizzato negli anni molti edifici pubblici, residenziali e commerciali, una serie di progetti di spazi pubblici, progetti per il ridisegno di aree agricole, industriali o storiche; ha partecipato a concorsi liberi e a inviti nazionali e internazionali.
un cambiamento sostenibile a partire dalle trasformazioni urbane
Possibilità la strada della sostenibilità è possibile ed è già stata intrapresa: alcuni dei modi concreti per raggiungere l’obiettivo. che è garantire una possibilità di sopravvivenza al pianeta
sostenibilità può essere contemporaneamente un'idea, uno stile di vita, un modo di produrre
la sostenibilità può essere una chiave di lettura che consenta di riesaminare e reinterpretare l‘approccio alla pianificazione territoriale e al costruire
lo sviluppo sostenibile non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo, preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali
la possibilità di uno sviluppo sostenibile sembra indicare una contraddizione in termini, come dire che comprando le cose giuste possiamo risparmiare a fine mese
l'economia sostenibile può salvare la terra
Fabrizio Barbaso
una politica sui cambiamenti climatici gli indirizzi sovranazionali: cosa propone la commissione europea nell’intervento al congresso mondiale degli architetti torino 2008
daniela Palma
crisi globale: rischi e opportunità l’aggiornamento del dibattito sulla sostenibilità in tempi di crisi mondiale
4 città alle prese con lo sviluppo sostenibile
milano Buenos aires torino
PH Gisella Molino - DieciCento
new york
8 — Possibilità
Una politica sui cambiamenti climatici Le esperienze e gli indirizzi dell’Unione Europea in relazione a città e energia. 2 Luglio 2008 Intervento al XXIII UIA World Congress Torino 2008 Fabrizio Barbaso
Le Città, l’Energia e la Politica sui Cambiamenti Climatici Le città sono il fulcro dell’attuale società moderna: l’80% degli abitanti dell’Unione Europea vive in città. Nelle città, comprese le zone periferiche, avviene l’80% del consumo finale di energia, nelle case, negli edifici adibiti ad uffici e per i trasporti. A partire da marzo 2007, l’Unione Europea ha adottato una politica energetica e sui cambiamenti climatici dagli obiettivi estremamente ambiziosi per un uso efficiente dell’energia (20%) e con obiettivi vincolanti (riduzione del 20% delle emissioni di CO2 e raggiungimento del 20% di energie rRinnovabili) entro l’anno 2020. Tali obiettivi vincolanti sono stati concordati dai Capi di Stato e dai Governi. Ma i cambiamenti climatici, come ben sappiamo, rappresentano un problema globale, a cui va data soluzione a livello prevalentemente locale. Oltre la
metà delle emissioni di gas ad effetto serra vengono create in città, dalle città. Pertanto le città del futuro dovranno svolgere un ruolo fondamentale nel contrastare questo nostro problema climatico. L’approccio deve essere integrato, a lungo termine e, soprattutto, basato sulla partecipazione dei cittadini. Si tratta di un quadro complesso che può essere gestito al meglio a livello locale. Le città, quindi, devono diventare i fautori preminenti dell’implementazione di politiche energetiche sostenibili, ed il loro impegno va sostenuto. Attualmente, a livello europeo, abbiamo già intrapreso numerose iniziative specifiche a favore delle città e del loro sviluppo energetico sostenibile. Come il Patto dei Sindaci. In breve, ciò significa che le città che decidono di aderire a tale patto si impegnano ufficialmente a raggiungere e a superare l’obiettivo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2, attraverso lo sviluppo e l’implementazione di un piano d’azione energetico sostenibile.
Progetto CONCERTO CONCERTO è un’iniziativa, nell’ambito del nostro programma quadro europeo di ricerca, volta a promuovere una grande quantità di fonti di energia rinnovabile e un uso efficiente dell’energia nelle città. Dopo vent’anni di sostegno al settore immobiliare per lo sviluppo e la presentazione di tecnologie sostenibili, ci siamo resi conto che tali tecnologie non riescono ad affermarsi a sufficienza sul mercato. Ancora oggi, sono solo migliaia, e non milioni, le case a bassissimo impatto energetico. Ancora oggi, la stragrande maggioranza delle case in costruzione sono destinate ad avere prestazioni energetiche decisamente scarse, associate a poca comodità, scarsa attenzione per gli aspetti igienico-sanitari e costi energetici elevati. Case di questo tipo, attualmente, non hanno alcun senso in termini economici, sebbene al giorno d’oggi siano ancora una realtà.
Possibilità — 9
CONCERTO, quindi, intende perseguire una strada diversa: invece di ottimizzare i singoli edifici a livello di costi e di prestazioni energetiche, l’ottimizzazione viene attuata su comunità o zone più vaste della città. Il principio basilare consiste nel dimostrare che l’ottimizzazione, nell’ambito di una comunità più vasta, risulta più vantaggiosa economicamente, comportando allettanti ritorni sugli investimenti. L’innovazione necessaria consiste nell’integrazione di fonti di energia rinnovabile e in un uso efficiente dell’energia. Ogni progetto CONCERTO deve poter contare su un direttore d’orchestra eccellente, nella persona del coordinatore, e su uno spartito eccellente, il programma di lavoro. Non esistono regole che possano valere per tutti: ogni città, ogni comunità è diversa dalle altre. Sono necessari strumenti differenti per poter affrontare i problemi e le barriere a livello di tecnologia, finanziamenti, quadri normativi, clima, tra-
dizioni, aspettative e convinzioni della popolazione locale, ecc. Attualmente la Commissione sta offrendo sostegno finanziario per progetti CONCERTO a 47 città in 18 Paesi europei. Ma non esistono due progetti simili tra loro. Tuttavia, durante le riunioni indette regolarmente fra i coordinatori di CONCERTO vengono scambiati esempi di buona prassi, insegnamenti appresi a seguito di esperienze negative, ecc., con grande professionalità ed entusiasmo. Attualmente, oltre un milione di cittadini vivono o lavorano in case ed uffici nell’ambito delle 47 comunità CONCERTO, con una riduzione del consumo energetico che va dal 50 al 70%, mentre la rimanenza proviene da fonti di energia rinnovabile. Quindi, in media, le comunità CONCERTO sono prossime alla neutralità per quanto riguarda le emissioni di CO2. Il fulcro di ogni singola comunità CONCERTO è un gran numero di edifici ad altissime prestazioni, molto più elevate rispetto ai requisiti richiesti dalla direttiva EPBD.
CONCERTO ha dimostrato che le comunità a zero impatto energetico e a zero emissioni di CO2 sono una cosa possibile su ben più vasta scala, e maggiormente economiche rispetto all’ottimizzazione di ogni singola casa in termini energetici e di emissioni di CO2. CONCERTO ha anche dimostrato che le case ad alte prestazioni sono una necessità assoluta per ottenere città ad alte prestazioni. Alcuni edifici aventi prestazioni estremamente scarse, a seguito dei lavori di ristrutturazione hanno mostrato una riduzione del consumo energetico che va dall’80 all’85%.
Direttiva sulle Prestazioni Energetiche degli Edifici (EPBD) In Europa, il 40% del consumo finale di energia deriva dal settore immobiliare. Siamo inoltre pienamente consapevoli del fatto che nell’UE potremmo risparmiare, in modo economicamente vantaggioso, fino al 28%
dell’energia consumata negli edifici entro il 2020. Questo, a sua volta, potrebbe andare a ridurre il nostro consumo finale complessivo di energia dell’11% circa. Per quanto riguarda le emissioni di CO2, nell’ultima relazione del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici è stato calcolato che, a livello mondiale, circa il 30% delle emissioni di gas ad effetto serra previste nel settore immobiliare possono essere evitate, con netti vantaggi economici entro il 2030. Ai fini di sfruttare appieno le considerevoli potenzialità in materia di risparmio energetico in tutta Europa, nel 2002 è stato adottato un approccio innovativo mirato ad edifici ad alta efficienza energetica, attraverso la Direttiva sulle Prestazioni Energetiche degli Edifici. Il principale obiettivo di tale Direttiva è quello di promuovere il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici attraverso requisiti minimi in materia di prestazioni energetiche, certificazione delle prestazioni energetiche, così come ispezioni regolari di caldaie ed impianti dell’aria condizionata. La legislazione dell’UE attualmente tutela 480 milioni di abitanti che vivono in circa 206 milioni di case. Ciò significa un vastissimo mercato per il settore edilizio, elettrodomestici ed apparecchiature tutelati dai requisiti minimi di efficienza richiesti dall’UE, etichette riportanti le prestazioni ed altre normative. Grazie all’implementazione di tale Direttiva, si stanno creando nuovi posti di lavoro in tutta Europa, molti dei quali in piccole e medie imprese. Stanno emergendo nuove opportunità commerciali, ad esempio per gli architetti, in quanto sono necessari dei liberi professionisti per la certificazione delle prestazioni energetiche degli edifici, per fornire consulenze su come migliorarne le prestazioni energetiche e per realizzare le ispezioni su caldaie ed impianti dell’aria condizionata.
PH Lucio Beltrami - DieciCento
10 — Possibilità
Il settore immobiliare può fornire un contributo determinante per raggiungere l’obiettivo di ridurre del 20% il nostro consumo di energia primaria entro il 2020. Alla luce di quanto esposto, attualmente la Commissione sta prendendo in considerazione la possibilità di riformulare la Direttiva sulle Prestazioni Energetiche ai fini di
Ai fini di sfruttare appieno le considerevoli potenzialità in materia di risparmio energetico in tutta Europa, nel 2002 è stato adottato un approccio innovativo mirato ad edifici ad alta efficienza energetica porre rimedio alle mancanze ancora esistenti nell’implementazione e di trarre maggiori vantaggi dall’enorme potenzialità in materia di risparmio energetico nel settore immobiliare. Ci siamo posti degli obiettivi estremamente ambiziosi, per quanto ri-
guarda la suddetta riformulazione. Attualmente, la Direttiva ha un campo d’applicazione ristretto, in quanto si limita a regolamentare la nuova costruzione o la ristrutturazione di grandi edifici, che rappresentano solo il 30% circa della totalità dei nostri edifici. Inoltre, alcuni dei requisiti sulle prestazioni energetiche, in vari Stati Membri, non risultano ottimali a livello di costi, e non tutti i certificati emessi attualmente sono di qualità soddisfacente. Pertanto, in base alle esperienze maturate nell’ambito dell’attuale implementazione della Direttiva, sono stati individuati elementi basilari che devono essere rafforzati o ulteriormente chiariti nella Direttiva, senza andare a modificare i requisiti fondamentali della versione attuale. Ad esempio, una possibile opzione potrebbe essere quella di ampliare il campo d’applicazione della Direttiva, per poter assoggettare a regolamentazione un maggior numero di edifici, nel momento in cui vengono realiz-
PH Gisella Molino - DieciCento
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zate grandi opere di ristrutturazione. Ulteriori possibili opzioni potrebbero consistere nel rafforzare i requisiti per i certificati sulle prestazioni energetiche, così come per l’ispezione di caldaie ed impianti dell’aria condizionata. Tali proposte porteranno a nuove opportunità di lavoro per architetti ed altri professionisti coinvolti nella progettazione, costruzione, ristrutturazione e certificazione degli edifici.
Comunicazione La tecnologia e la legislazione sono strumenti necessari per un cambio di rotta nel settore edilizio, ma la consapevolezza dei cittadini, la loro richiesta attiva di edifici migliori e progettati in modo più intelligente, la loro comprensione dell’importanza dell’uso dell’energia a casa e sul posto di lavoro, sono gli elementi trainanti fondamentali. Dobbiamo informare ed educare la popolazione sulle opportunità e sui vantaggi offerti dagli
edifici a basso impatto energetico, non solo in termini di costi energetici o di un ambiente domestico più salutare, ma anche per promuovere la creazione di nuovi posti di lavoro e, in generale, lo sviluppo a livello locale. Noi possiamo offrire il nostro contributo su scala europea, ma i cittadini devono essere convinti da professionisti competenti del posto. Anche in questo caso, è fondamentale che gli architetti siano in grado di consigliare al meglio i propri committenti e di spingere gli operatori del settore verso la costruzione di edifici migliori, sia in termini di benessere che di prestazioni energetiche. Come recentemente affermato dall’architetto Fernando Navarro, si deve sempre tenere presente che il progetto di ogni singolo edificio contribuisce ad aumentare le emissioni di CO2 per un lungo lasso di tempo. Solo edifici progettati in modo intelligente saranno in grado di contrastare tale tendenza. La società riuscirà a
porre un limite alle emissioni solo se gli architetti sapranno fare uso delle loro conoscenze e della loro buona volontà per contrastare il problema. Gli architetti devono essere sostenuti da un ordinamento intelligente e dalla giusta volontà politica. È a questo punto che devono entrare in gioco i sindaci e le amministrazioni cittadine, creando le opportune condizioni normative ed offrendo il giusto supporto a livello locale. Su scala europea, possiamo offrire il massimo sostegno sia in termini di ordinamento politico che di finanziamenti. Ma il cambiamento avrà luogo grazie a decisioni prese localmente, stimolate dal nostro comune operato in tutta Europa. Conto sugli architetti, affinché facciano in modo che possa avvenire il suddetto cambiamento. Gli architetti possono contare sulla Commissione Europea, continuando a riporre ambizioni ed a mostrare entusiasmo nell’ambito delle prestazioni energetiche degli edifici.
12 — Possibilità
Crisi globale: rischi e opportunità Conversione produttiva, ambiente e innovazione possono essere la chiave per uscire dalla crisi intervista a Daniela Palma
DOMANDA Il protrarsi della crisi economica mondiale sta modificando l’approccio alle tematiche ambientali: dalle politiche dell’Unione Europea alla campagna elettorale di Barack Obama in tutto il mondo si chiede alle strutture produttive di ciascun paese di adattarsi alle esigenze ambientali. Crisi economica e riconversione produttiva sono compatibili? RISPOSTA La crisi economica è seria e la questione climatica sempre più stringente, due fatti che, insieme, porterebbero a pensare a una ineluttabilità degli eventi. È bene però rammentare gli aspetti “rigenerativi” delle crisi sul sistema economico. Senza andare troppo indietro nel tempo, basterebbe infatti ricordare, pur con le dovute distinzioni, la crisi che ha coinvolto le economie industrializzate negli anni ’70 sulla scia degli shock petroliferi. Siamo passati dalla “fabbrica fordista” all’“automazione flessibile” che ha accompagnato non solo la razionalizzazione energetica ma anche un’impor-
tante evoluzione dei consumi. Quel periodo è stato lo spazio d’incubazione della rivoluzione dell’elettronica e dell’informatica di cui ancora oggi parliamo. Venendo al tempo presente non possiamo non osservare come l’inizio di un percorso sia già stato segnato.
Non è un caso che già diversi paesi abbiano iniziato a generare competenze tecnologiche in campo ambientale facendosi attori di questa nuova fase dell’innovazione nei sistemi industriali Questo lo vediamo immediatamente se guardiamo all’Unione Europea che di recente, con il suo “Pacchetto Clima-Energia”, meglio noto come “Pacchetto 20-20-20” (che prevede, entro il 2020 e per l’Europa nel suo insieme, una riduzione del 20% rispetto al 1990 delle emissioni di gas serra, una pro-
duzione del 20% della domanda finale di energia da fonti rinnovabili ed una riduzione del 20% dei consumi energetici) ha inteso “segnare il passo” del cambiamento definendo obblighi precisi per i suoi Stati Membri. Ma questo cambiamento si è già messo in moto e, sotto il profilo del “rinnovamento” del sistema produttivo, cominciano già ad esserci studi che pongono in evidenza l’effetto “virtuoso” della regolamentazione ambientale sui processi innovativi. Sempre con riferimento all’Unione Europea registriamo già una vocazione alle politiche per lo sviluppo di tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovali nel piano di sviluppo tecnologico riflesso nel cosiddetto Set-Plan del novembre 2007. La “consapevolezza” del periodo di crisi può imprimere senz’altro un’accelerazione a questo disegno. D L’emergenza della crisi economica non comporta rischi aggiuntivi per l’ambiente, che potrebbe essere mes-
PH Lucio Beltrami - DieciCento
Possibilità — 13
so in secondo piano rispetto a necessità economiche e sociali di più immediato riscontro? R Certamente, siamo esposti a questo rischio. Né si può negare che il fronte dell’emergenza debba attivare delle azioni che arginino nell’immediato le conseguenze prossime della crisi. Tuttavia è pur vero che si possono imprimere delle “direzioni” alle azioni che si intraprendono, quantomeno evitando di fare errori marchiani. In Italia, ad esempio, qualunque sia l’emergenza che si ha di fronte, e qualunque sia la portata dell’emergenza (ieri i richiami di Maastricht, oggi la crisi internazionale) si pensa a decurtare risorse dal mondo della conoscenza che inizia dalla formazione “primaria” per arrivare al complesso dell’attività di ricerca. Ma questo è il vero carburante del futuro e, a dire il vero, l’hanno capito non solo i maggiori paesi industriali, ma anche gli “emergenti” (Cina, India, solo per citare i più evidenti). E non è un caso che già diversi paesi abbia-
no iniziato a generare competenze tecnologiche in campo ambientale facendosi attori di questa nuova fase dell’innovazione nei sistemi industriali. Probabilmente la crisi può rallentare, momentaneamente, questo processo, ma non arrestarlo, né tanto meno invertirne la rotta. D La svolta nucleare è convincente? Non è un pericoloso caso di dipendenza energetica che si trasforma in una ancora più pericolosa dipendenza tecnologica? R L’Italia ha accumulato fin dalla seconda metà degli anni ’80 un deficit di competenza nelle tecnologie avanzate, essendo riuscita, fino a tempi non lontani, a gestire la propria competitività nell’ambito dei settori “tradizionali”. Questo di per sé non è un male. Il problema è però che il mondo va in un’altra direzione e il nostro, che è pur sempre un paese ad industrializzazione avanzata, “consuma” innovazione senza “produrne”. E aggrava così i suoi conti con l’estero.
L’assenza di un adeguato “sistema nazionale d’innovazione” ci porta, paradossalmente, a peggiorare la situazione. È un sistema che funziona “al ribasso”, che non riesce, perché non può per costruzione, a esprimere una domanda di risorse qualificate, dimostrando, conti alla mano, che le (poche) spese in ricerca sono sprecate. Ma sappiamo bene che quei pochi soggetti sparuti (pubblici o privati che siano) la ricerca la fanno bene (se non meglio, se guardiamo all’efficienza, date le risorse!) dei paesi con cui è lecito il confronto. E allora che dire? Non ci può essere nessuna svolta se non si assume il senso di una politica tecnologica. Siamo così destinati a comprare da tutti tutto quello che le più avanzate tecnologie energetiche possono offrire. Il mercato delle nuove tecnologie energetiche si va sempre più conformando come un nuovo oligopolio dove chi fissa i prezzi li impone. Ieri c’erano le Sette Sorelle, domani ci saranno i nostri vicini europei. E, continuando a perdere in competitività, perderemo posti di lavoro, anziché guadagnarne, come si dovrebbe da questa nuova “opportunità epocale”. D C’è qualcosa che il mondo dell’architettura e dell’edilizia dovrebbero fare? R L’architettura, con i suoi nuovi indirizzi nella edilizia bio-climatica e nell’urbanistica, può certamente essere pensata come un attore “in presa diretta” di tutto il processo di riconversione produttiva e tecnologica di cui abbiamo parlato finora. E poiché il “senso comune” dei nuovi processi d’innovazione attenti all’ambiente vorrebbe essere quello di promuovere un’attenzione speciale per la qualità dello sviluppo, l’architettura può contribuire in un senso più ampio a progettare la direzione verso uno sviluppo di alta qualità. Che deve essere progettato, prima ancora che realizzato. Perché è anche di “progettazione” che i nuovi processi di innovazione si vanno sempre più alimentando.
PH Raffaella Lecchi
14 — Possibilità
PlaNYC 2030 Rohit T. Aggarwala
PlaNYC è un piano mirato alle "barriere fisiche", per preservare e migliorare la qualità
tici. Ciascuna parte del PlaNYC contribuirà ottenere miglioramenti tangibili in tutti e alla realizzazione di una tabella di marcia, al tre i citati aspetti della sostenibilità. Il pro-
di vita dei cittadini di New York per i prossi-
fine di ottenere una riduzione del 30% dei
cesso di pianificazione, peraltro, è stato
mi 25 anni. Tra tali barriere, sono comprese
gas ad effetto serra, così come un miglio-
estremamente completo, grazie al con-
tre sfide fondamentali che la città si ritroverà ad affrontare in futuro:
ramento della qualità dell’aria e dell’acqua, tributo di oltre 20 enti cittadini, di centinaia di membri del personale municipale, aumentando anche l’offerta di trasporti.
1) La popolazione cittadina è in espansio-
Il piano è mirato, tramite un approccio in-
ne. Entro il 2030, si prevede che la popolazione della città sia destinata ad espan-
terdisciplinare e globale, alle tre colonne svariati gruppi di soggetti interessati e di portanti della sostenibilità, ossia sviluppo un Comitato Consultivo per la Sostenibili-
dersi fino ad un milione di persone.
economico, ambiente e giustizia sociale, tà costituito da diciassette membri.
di università locali ed istituti di ricerca, di
2) Le infrastrutture cittadine stanno diven-
grazie a 127 iniziative intraprese per mitando obsolete. Entro il 2030 quasi tutte gliorare l’ambiente fisico della città e per www.nyc.gov/html/planyc2030 le principali reti infrastrutturali della città avranno superato il secolo di vita. 3) L’ambiente, in città, è sempre più a rischio ed ha già subito gli effetti del riscaldamento globale, comprendenti l’aumento
Territorio 1. Realizzare sufficienti alloggi per la crescente popolazione 2. Assicurare un parco a 10 minuti di distanza a piedi per tutti gli abitanti 3. Bonificare tutte le aree contaminate Acqua
4. Sviluppo della rete idrica (sistemi di recupero) 5. Apertura del 90% delle vie d’acqua e protezione delle aree naturali
del livello del mare e delle temperature.
Mobilità 6. Miglioramento dei tempi di spostamento (aumento della capacità di trasporto) 7. Raggiungimento del “State of Good Repair” dei sistemi di trasporto
PlaNYC è volto ad affrontare queste sfide,
Energia 8. Aggiornamento delle infrastrutture energetiche per fornire energia pulita
suddivise in sei aree chiave: terra, acqua,
Aria
9. Ottenere l’aria migliore fra tutte le grandi città in America
trasporti, aria, energia e cambiamenti clima-
Clima
10. Riduzione delle emissioni di riscaldamento globale del 30%
Possibilità — 15
Processo, ascolto, sussidiarietà Stefano Mirti e Simone Quadri (Id-Lab) con Giovanni Oggioni TRE PUNTI CHIAVE
tematica riferita ai servizi (pubblici e pri-
In primo luogo si deve avere un’idea
vati) per la città e all’acquisizione di tutte rigida che fissa dei vincoli riferiti ad aree le informazioni girateci dall’ufficio recla- precise. Nel nostro caso, è stato proget-
teso come “prodotto”, come una mappa
chiara, definita, pratica: un obiettivo, una
mi (ovviamente limitandosi a quelle che
tato un processo, da iterarsi continua-
hanno a che fare con i servizi erogati dal mente garantendo un meccanismo di mezzi necessari al raggiungimento degli soggetto pubblico). affinamento e di miglioramento costante. obiettivi: conoscenza, denaro, materiali e finalità. Secondo: bisogna avere tutti i
metodi. Terzo: aggiusta tutti i tuoi mezzi Per sussidiarietà si intende un principio in funzione degli obiettivi (Aristotele) grazie al quale il soggetto pubblico fa in modo che singoli e gruppi possano Il Piano dei Servizi per Milano nasce da
impegnare la propria iniziativa e respon-
tre concetti chiave: l’ascolto della città ri-
sabilità, impostando ogni ambito della ferito ai Nuclei di Identità Locale, l’idea di propria vita come meglio credono, risolsussidiarietà e il concetto per cui il Piano vendo da soli i propri problemi. In questo non è un prodotto, quanto piuttosto un
modo, si uniscono il massimo di libertà,
processo continuo.
di democrazia e di responsabilità, sia personale che collettiva.
Per ascolto della città ci riferiamo a più di centocinquanta incontri pubblici in Infine, il terzo concetto chiave è quello riferitutta Milano, a un monitoraggio costante to al progetto del metodo (flusso continuo). di tutti i mass-media rispetto a qualsiasi Tradizionalmente il piano dei servizi è in-
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16 — Possibilità
Buenos Aires Daniel Chaín
Buenos Aires mostra un certo squilibrio
livello di equilibrio e di sviluppo urbano. Nelle
CITTÀ PLURALISTA
nei suoi aspetti socioculturali, economi-
opere pubbliche, così come nelle attività pri-
La città pluralista è uno spazio in cui pos-
vate. Tale legislazione integrata trae fondaattuali politiche governative sono volte al mento dal concetto di sviluppo sostenibile. ripristino dell’equilibrio. Sono cinque gli slogan su cui è basato il
sono convivere tutti i ceti sociali. Offre un
ci, abitativi e a livello di popolazione. Le
habitat dignitoso ai gruppi aventi scarse capacità economiche, ed è accessibile
Piano Ambientale Urbano:
alle persone aventi capacità differenziate.
statale risiede nel consolidamento del
CITTÀ INTEGRATA
CITTÀ SALUBRE
programma, mirato a compensare il sud-
Inerente il collegamento di tutte le aree ur-
Una parte fondamentale della strategia
detto squilibrio e ad ottenere una città che sappia essere sostenibile dal punto
La Città deve offrire condizioni di abitabane, in particolare la zona Sud, al resto bilità atte a garantire qualità ambientale, della Città. Il collegamento della città con i infrastrutture idrosanitarie e fognarie, pre-
di vista economico, sociale, ecologico, fiumi che la circondano ed il collegamentecnologico e politico. to dell’intera Città con i propri sobborghi, Buenos Aires è affetta da asimmetrie che con cui forma un’unica grande metropoli
venzione di inondazioni ed una soluzione
tendono a rafforzarsi fra loro.
CITTÀ DIVERSIFICATA
per lo smaltimento dei rifiuti.
CITTÀ POLICENTRICA
La Città deve saper essere all’altezza delLa strategia governativa consiste nel ridare In quanto consolida la gerarchia della la propria molteplicità di attività e di moequilibrio alla città tramite politiche riprese grande zona centrale e, contemporane- dalità residenziali. dal PIANO AMBIENTALE URBANO, la le- amente, promuove una rete di centri segislazione di riferimento per l’orientamento
condari, comunali e limitrofi, aventi la loro
delle azioni di pianificazione del territorio a
personale identità
www.parquecivico.buenosaires.gov.ar
Possibilità — 17
Il Pacchetto 20-20-20 La firma dei Sindaci Il 10 febbraio a Bruxelles oltre 400 città e la Commissione Europea hanno firmato il Covenant of Mayors Intervista a Domenico Mangone
DOMANDA Quali sono state le tappe di Torino che hanno già promosso azioni in del 40% delle emissioni di CO2, inciavvicinamento alla firma per Torino? RISPOSTA Il Patto dei Sindaci è stato presentato per la prima volta a Bruxelles nel gennaio dello scorso anno, nell’ambito della Settimana Europea dell’Energia Sostenibile e successivamente al Congresso Mondiale degli Architetti, tenutosi a Torino lo scorso mese di luglio. La Città vi ha aderito formalmente con una Delibera della Giunta Comunale del maggio 2008 ed una del Consiglio del gennaio di quest’anno. E poi Bruxelles per la sottoscrizione ufficiale del Patto da parte delle Città Pioniere, Torino in testa. D La Commissione Europea impone l’elaborazione di un Piano d’Azione Energetico entro i prossimi 10 mesi: quali strategie metterà in campo la Città di Torino? R Il lavoro è appena iniziato e sarà certamente complesso, anche perché ci impegna nel creare una rete di contatti con altri enti coinvolti nelle tematiche energetiche. Penso per esempio a IRIDE, GTT, AMIAT, Agenzia Energia e Ambiente di
questo campo sul territorio. Le azioni da inserire nel Piano non sono definite a priori ma saranno frutto di verifiche e confronti condivisi con soggetti istituzionali, sociali ed economici, anche esterni alla struttura comunale, nei confronti dei quali l’Amministrazione assume un ruolo di coordinamento. Principio fondamentale è l’individuazione di azioni concretamente realizzabili e per le quali sono già stati reperiti fondi (contributi regionali, ministeriali, europei). Mi riferisco per esempio alla mobilità sostenibile, per la realizzazione di azioni previste nel Piano Urbano della Mobilità Sostenibile della Città, ma anche alle azioni previste nel Piano triennale integrato della Città “Sostenibilità energetica come fattore di sviluppo”, ammesse a cofinanziamento dalla Regione Piemonte. D Il Patto tra i Sindaci è soprattutto un patto con i propri cittadini. Alcune città firmatarie, particolarmente virtuose, garantiscono una diminuzione
dendo prevalentemente su trasporti e costruzioni. E Torino? R Intendiamo proseguire sulla strada già intrapresa di disincentivazione dell’uso dell’auto privata, almeno di quelle più inquinanti. Dal prossimo autunno, il blocco di circolazione su tutta la città potrebbe essere esteso anche ai veicoli Euro 2 diesel con più di dieci anni. Non dimentichiamoci che Torino è fra le grandi città italiane quella più teleriscaldata, con una volumetria di 40.000 metri cubi. Una realtà che si incrementerà e che consentirà di ridurre di molto le emissioni inquinanti in atmosfera, grazie all’eliminazione delle caldaie tradizionali. Poi c’è il fotovoltaico. Abbiamo reso disponibili incentivi economici in conto capitale, per un totale di 200.000 euro, per i cittadini che intendano dotarsi di un impianto fotovoltaico. Inoltre, grazie al progetto “10.000 Tetti FoTOvoltaici” dell’Agenzia Energia e Ambiente, il costo dell’impianto può essere interamente coperto dalle banche.
Parliamo di sostenibilità. Facciamo sostenibilità: qui e ora
comunicazione Per modificare gli stili di vita e rivedere l’approccio ai consumi, siano essi di energia o di suolo, per avere il coraggio di innovare in un momento di profonda e generalizzata crisi, diventano essenziali il tema dell’educazione e della comunicazione, in grado di agire come acceleratori di consapevolezza culturale e di indirizzare le scelte strategiche future
la comunicazione finalizzata alla sostenibilità è (solo) comunicazione ambientale?
Per ottenere l’obiettivo della sostenibilità è necessario aumentare la percezione sociale del rischio
l’architettura, come la comunicazione, è partecipazione, diffusione, divulgazione, educazione, trasmissione
se fino ad oggi il messaggio che emerge dalla pubblicità è quello che vuole l’uomo di successo sul fuoristrada, oggi con le comunicazioni pubblicitarie dobbiamo trasmettere un nuovo stile di vita che vede l’uomo brillante in bicicletta
sviluppo sostenibile è un ossimoro
Pier giorgio turi
un modello per la trasformazione Il racconto di un grande progetto su un pezzo di città che è soprattutto un progetto di comunicazione di sostenibilità urbana.
Bds 2040 5 visioni del futuro dell’area di Basse di stura re-gener-a[c]tion challenge all energy a green heart(h) for torino bio-basse
Piero Bianucci
la scienza come sinonimo di progresso
ff-rew
PH Lucio Beltrami - DieciCento
Il punto di vista del comunicatore scientifico: gli obiettivi da tenere presenti quando si parla di sostenibilità
20 — Comunicazione
Un modello per la trasformazione L’esperienza del progetto Trasmettere la Città Sostenibile: think global, act local
L’iniziativa “Trasmettere la Città Sostenibile” nasce come un grande patto per affrontare il tema della sostenibilità urbana. Il progetto, avviato nel 2006 dalla Città di Torino e dalla Fondazione OAT, si è tradotto, in occasione del XXIII Congresso Mondiale degli Architetti UIA Torino 2008, in un ampio protocollo d’intesa attraverso il quale numerosi attori pubblici e privati hanno espresso la volontà di contribuire a un più equilibrato sviluppo della città. Alla base del progetto c’è la constatazione che a livello nazionale e internazionale il dibattito legato alla città e alla sua architettura in termini di sostenibilità, seppur ampio e ricco di sollecitazioni, si confronta con una realtà povera di esperienze concrete. Tuttavia, lavorare verso una città “sostenibile” – con tutta l’ambiguità di questo abusato termine – è un percorso ineludibile, che richiede condivisione di princìpi e vaste conoscenze per delineare strategie e defi-
PH Maurizio Pisani
Pier Giorgio Turi
nire azioni efficaci nel breve, medio e lungo termine. I temi da affrontare sono molti: dal miglioramento della qualità di vita negli spazi urbani, alla promozione di nuovi modi di costruire la città con interventi integrati sull’ambiente, sull’uso delle risorse, sulla mobilità, sui tempi, sulle
infrastrutture e sulla qualità dello spazio urbano e architettonico. Una sfida che travalica la sola dimensione tecnica e richiede nuovi atteggiamenti culturali di fronte ai grandi cambiamenti imposti dalle crisi ambientali, energetiche e finanziarie che caratterizzano questo particolare periodo storico.
PH Maurizio Pisani
Comunicazione — 21
Con questa consapevolezza è nato il progetto “Trasmettere la Città Sostenibile”, la cui regia è stata affidata a un ampio Comitato scientifico internazionale composto da esperti provenienti da Italia, Olanda, Gran Bretagna, Germania, Portogallo, Spagna, Canada e Grecia. Un gruppo multidisciplinare che ha indirizzato, secondo conoscenze e punti di vista diversi, le due iniziative principali: un workshop internazionale di progettazione su una vasta area di trasformazione a nord di Torino, Basse di Stura, e un confronto tra città e tra architetti che, in diverse parti del mondo e in differenti condizioni, si sono misurati con il tema delle trasformazioni urbane sostenibili. Il workshop internazionale di progettazione sull’area di Basse di Stura si è svolto a Torino nel febbraio 2008. È stato un momento di intenso confronto tra visioni di città del futuro immaginate per un’area di studio di scala metropolitana, vasta e complessa, da 92 parte-
cipanti provenienti da 10 paesi diversi. Le cinque visioni prodotte dal workshop sono state il motore comunicativo del confronto tra città e architetti nella sessione che si è svolta nella giornata del Congresso Mondiale UIA 2008 dedicata alla Speranza e al Futuro. Un incontro a più voci che ha visto Fabrizio Barbaso della Commissione Europea lanciare la notizia del Covenant of Mayors per coinvolgere le città europee verso la sostenibilità energetica e ambientale con risultati significativi entro il 2020, le città di Buenos Aires, Torino, New York, Tokyo e Milano illustrare i propri piani di sviluppo attenti alla dimensione della sostenibilità, gli architetti Carlos Leite e Jaime Lerner, raccontare i casi brasiliani di San Paolo e Curitiba, Mario Cucinella come testimonial del progetto “Trasmettere la Città Sostenibile”, Thomas Herzog e Michael Hopkins riflettere sui cambiamenti del modo di progettare da quando nel 1996 firmarono, insieme ad altri 40
architetti europei, la “Carta del Sole”. Gli esiti del processo avviato a scala locale e internazionale da “Trasmettere la Città Sostenibile” rappresentano oggi un possibile modello per governare il processo delle trasformazioni urbane a scala vasta garantendo attenzione alle dimensione ambientale, energetica, sociale ed economica. Un modello che ha prodotto risultati con i quali confrontarsi e che ha mosso a scala locale un ampio dibattito tra amministratori, operatori, tecnici e cittadini (anche i più piccoli attraverso la partecipazione delle scuole), suscitando echi a scala internazionale per l’originalità dell’approccio e per la sua esportabilità in altre realtà urbane. Un risultato riconosciuto dai sottoscrittori del “patto” e che ora intendono rinnovarlo per avviare la vera trasformazione di Basse di Stura, accogliendo una grande sfida: convertire un territorio della marginalità urbana in un esempio di “città sostenibile”.
22 — Comunicazione
BdS 2040 Quale visione per Basse di Stura nel 2040? www.progettotcs.it
I numeri dell’area Basse di Stura L'area Basse di Stura oggetto del Workshop BdS2040, collocata nella zona nord della Città di Torino (Circoscrizioni 5 e 6) e delimitata dalla Tangenziale Nord di Torino, da via Reiss Romoli, dalla Superstrada Torino-Caselle e dalla “Strada dell’Aeroporto” che collega Torino con Caselle, confina con i Comuni di Venaria, Borgaro Torinese e Settimo Torinese. È una parte di città estremamente eterogenea per la presenza di numerose attività miste di produzione e artigianato, residenza e fattori di pressione (campo nomadi, orti urbani, discariche abusive, tiro a segno militare, produzione pigmenti organici, area agricola coltivata a prato, mais e orzo…).
230.000 abitanti popolano l’area (popolazio-
ne di Torino: 902.612 abitanti - dati aggiornati al 31.03.2007) 540 ettari è la superficie complessiva 4 km del torrente Stura interessato dal progetto 35 cascine in parte ancora attive, e di particolare interesse “la Bellacomba”, “la Nuova” e “il Canonico” che testimoniano l’antica destinazione agricola dell’area dicembre 2009 chiusura della discarica destinata allo smaltimento e allo stoccaggio di rifiuti urbani 2015, 2020, 2030 e 2040 tappe del piano di recupero previsto da Amiat 140 ettari l’area da bonificare
I numeri del workshop 92 partecipanti provenienti da 10 Paesi 9 membri del Comitato Scientifico Internazionale 14 membri del Comitato Scientifico locale 3 ospiti internazionali, 12 ospiti nazionali, 10 tutor, 8 co-tutor, 13 eventi collaterali al workshop e di avvicinamento al XXIII Congresso mondiale degli Architetti Torino 2008 2 sessioni
al XXIII Congresso mondiale degli Architetti Torino 2008 2 mostre Trasmettere la Città Sostenibile
Trasmettere la Città Sostenibile Sottoscrittori del Protocollo di Intesa Città
di Torino, Provincia di Torino, Regione Piemonte, Ente di gestione del Parco fluviale del Po torinese, Politecnico di Torino, Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Torino, Federazione interregionale degli Ordini degli Architetti del Piemonte e Valle d'Aosta, Collegio Costruttori Edili di Torino / ANCE Torino, SiTI Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione, Legacoop Piemonte, ATC Agenzia Territoriale per la Casa della Provincia di Torino, AMIAT Azienda Multiservizi Igiene Ambientale Torino, Collegio Edile di API Torino Relatore Generale Pier Giorgio Turi (It) Comitato Scientifico internazionale Piero Bianucci (It), Chiel Boonstra (Nl), Peter Brandon (Uk), Mario Cucinella (It), Steve
Curwell (Uk), Rymal Smith (Can), Antida Gazzola (It), Alessandro Giangrande (It), Thomas Herzog (D), Andreas Kipar (D), Luca Mercalli (It), João Antonio Nunes (P), Rafael Serra (E), Enzo Scandurra (It), Gianni Scudo (It), Alexandros Tombazis (Gr) Comitato Scientifico locale Liliana Bazzanella, Gabriele Bovo, Luigina Carere, Marisa Cortese, Gianluca Cosmacini, Egidio Dansero, Luigi Fazzari, Giovanni Ferrero, Gianfranco Fiora, Agata Fortunato, Daniela Grognardi, Sergio Jaretti, Evasio Lavagno, Patrizia Lombardi, Gino Magnoni, Giulio Mondini, Ippolito Ostellino, Roberto Pagani, Massimo Pasquero, Attilia Peano, Paolo Peris, Giuseppe Portolese, Raphael Rossi, Daniele Venneri, Sergio Viale, Carla Villari Comitato Tecnico Maria Bucci, Carlo Ceste, Elisabetta Forni, Patrizia Garrone, Silvia Giordano, Mauro Giudice, Barbara Melis, Angela Molinari, Elena Picco, Laura Schranz, Marco Valle Ospiti internazionali Rohit Aggarwala (USA), Pedro Ballesteros Torres (P), Fabrizio Barbaso (It), Carlo Alberto Barbieri (It), Rafael Bellido i Carderos Cerdanyola del Vallès (E), Erik Bichard (Uk), Virginia Bombelli (It), Benedetto Camerana (It), Daniel Chain (Ar), Sergio Chiamparino (It), Helena Coch (E), Edoardo Croci (It), Mario Cucinella (It), Juergen Fahrlaender (D), Pier Carlo Fabbio (It), Marta Francocci (It), Michael Hopkins (Uk), George Kunihiro (Jp), Carlos Leite (Br), Jaime Lerner (Br), Domenico Mangone (It), Pierre Mansat (Fr), Mauro Mazza (It), Giovanni Oggioni (It), Eduardo de Oliveira Fernandes (P), Mario Viano (It) Organizzazione Fondazione OAT
Comunicazione — 23
re-gener-a[c]tion Il gruppo coordinato da Roberto Fraternali con strategie in grado di coinvolgere più e Carlo Ostorero ha proposto un sistema generazioni. Le direttrici di progetto prevedi reti fisico-digitali strutturato sulle cascine dono: la trasformazione del “Monte Amiat” esistenti che, partendo dalla cascina Fos- in ecomuseo della “memoria del luogo” e sata, penetri verso nord l’area, intercettan-
sito di produzione di energie alternative
do un percorso ciclabile e di navette ecolo-
(copertura con pannelli fotovoltaici della
giche connesso a tutti i parchi urbani. L’idea
discarica e utilizzo dell’energia eolica); la ri-
innovativa di questo sistema deriva dall’uso generazione del tessuto urbano attraverso dell’idrogeno quale prodotto di scarto, già l’adozione di “eco-isolati” che rinnovano in presente sull’area, per alimentare gratui-
chiave bioclimatica la configurazione tradi-
tamente gli autoveicoli che circoleranno zionale dell’isolato torinese; la bonifica del in zona, ma anche stazioni di rifornimento suolo con strategie di fitodepurazione e per mezzi a idrogeno per l’intero ambito
trattamento delle acque di scolo mediante
urbano. La visione generale è quella della
un sistema di bacini di filtrazione, connotati
RI-GENER-AZIONE urbanistica e sociale,
come installazioni di land art.
Laura Agosti, Agnese Gemma Barbieri, Mara Brunetto, Ferruccio Capitani, Sara Cardoso, Paolo Carli, Marco da Col, Alessandra de Matteis, Mina Fiore, Giada Grosoli, Paola Masuelli, Claudia Sofia Pereira Goncalves, Silvia Raule, Giuseppe Roccasalva, Pau Sanchis, Gianluca Santosuosso, Alessandro Timoteo Sassi, Juan Carlos Senn, Angioletta Voghera tutor
Roberto Fraternali, Carlo Ostorero
24 — Comunicazione
chaLLenge all Energy Il gruppo ha proposto la sfida al cam-
produzione e la vendita, che ha come Andrea Bossolono, Sandro Coccoi, Alessandra
biamento, affrontando tre focus: il “gre-
fulcro la presenza nell’area del Ti Lab
en flow”, ovvero il verde bio-mimetico oggi centro ricerca Telecom. che non si nasconde ma utilizza tecno- La discarica diventa invece il luogo per logie che si comportano come la natura una stazione di produzione di energia (per esempio l’idrogeno dell’elettrolisi); solare attraverso l’installazione di un la “new city life”, che propone le piatta- sistema di pannelli fotovoltaici, i terriforme per “cyber nomadi”, ovvero Bas- tori contaminati saranno bonificati e i se di Stura vista come luogo di “atter-
suoli inquinati, ricoperti da terreno fer-
raggio”, di breve permanenza per tutti
tile, potranno essere coltivati e utilizzati coloro che si spostano con una certa per produrre biomasse. Tutta l’energia frequenza; le cascine come rete di un prodotta viene destinata alle aree circopolo di innovazione sulle telecomunica-
stanti, in tal modo si ambisce a raggiunzioni per la ricerca, la dimostrazione, la gere l’indipendenza energetica locale.
De Matteis, Loredana Di Nunzio, Lazhar Djilani, Valentina Ferretti, Raffaella Gerboni, Sergio Gomez, Massimiliano Manfren, Federico Margelli, Valentina Marino, Javier Moreno, Cristina Pellerino, Alessandro Piccioni, Costanza Profumo, Silvia Rossi, David Manuel Sampaio Pereira, Carlo Spinelli, Wey Yu tutor Roberto Pagani co-tutor Elisabetta Forni, Silvia Giordano
Comunicazione — 25
a green heart(h) for Torino Il gruppo guidato da Alessandro Giangran-
rinnovabili, sia all’ex discarica Rifometal, che
de ha strutturato la proposta in “fuochi” –
diventerà la sede di un impianto che sfrutte-
corrispondenti a temi progettuali complessi rà in modo innovativo l’energia solare. – coniugando un metodo di visioning con La riqualificazione progressiva della discal’approccio Strategic Choice.
rica trasformerà il Monte Amiat in luogo di
I principali temi individuati sono stati: la
escursioni: la realizzazione di un “percorso
connessione, a sud, con il resto della cit-
dei cinque sensi”, dove le persone potrantà; la riqualificazione del waterfront dello no godere del canto degli uccelli, del coloStura e il circuito delle cascine, al centro; re e del profumo dei fiori ecc. rappresena nord, oltre la tangenziale, il tema del terà una vittoria definitiva sui rifiuti. Infine, parco agricolo - energetico. un’attività per la produzione e il commercio Una particolare attenzione è stata riservata sia al sito della discarica Amiat, che sarà tra-
di prodotti realizzati con materiali di riciclo
sarà collocata all’interno dell’edificio occusformato in un centro di ricerca sulle energie pato attualmente dagli uffici Amiat.
Davide Catenazzi, Barbara Cavallet, Milena de Mattei, Freddy Rolando Diaz, Tiziana Di Carlo, Federica Emanuel, Stefania Giannuzzi, Aurelia Lain, Ines Fonseca Leite, Julian Paloma, Marina Pelfini, Matteo Puttilli, Barbara Sembianti, Eduardo Jorge Silva Costa Pinto tutor Alessandro Giangrande co-tutor Antonio Caperna, Alessia Cerqua,
Patrizia Garrone
26 — Comunicazione
bio-basse Riccardo Balbo - con E. Bichard e S.
considerando le sostenibilità economi-
Curwell - parte da un processo di ri-ne-
ca, sociale, ambientale, energetica e
goziazione e condivisione delle risorse
della mobilità.
e dei vincoli dell’area, in opposizione a
Si affianca un programma di comuni-
pregiudizi e stereotipi, basandosi sulla
cazione che considera differenti target
teoria delle resilienze come volano di ri-
durante tutte le fasi, sino all’ipotetica
generazione urbana.
realizzazione.
Mauro Bellora, Francesco Bombardi, Marta Bottero, Ignacio Choza, Daniela Ciaffi, Giorgio Ciarallo, Marco Daghero, Elena Alda Ferrari, Sebastiao Ferreira De Almedia Santos, Tommaso Paolo Longo, Cristina Marietta, Maurizio Melgara, Diana Isabel Molina Sosa, Alessandra Oppio, Daniel Paül Agustí, Chiara Penco, Nirmala Salkic, Filipa Serra, Matteo Tabasso, Paolo Zeppetella, Cinzia Zugolaro tutor
Riccardo Balbo, Erick Bichard,
Il gruppo ha costruito delle proposte che Al tema del riutilizzo dei terreni bonificati, Steve Curwell hanno carattere di precisione e chiarez- il progetto risponde con la costituzione co-tutor Giulia Baù, Domenico Polimeni za, che pur non definendo delle forme
di un impianto integrato e convertibile
compiute (l’arco temporale conside-
per la produzione di energia sull’attua-
rato non lo consente), propone visioni
le discarica, l’estensione delle superfici
realistiche integrate di un programma- dedicata a bio-massa e la realizzazione progetto che traccia le nuove funzioni di un distretto produttivo-commercialepensate per il futuro di Basse di Stura,
artistico del riciclaggio.
Comunicazione — 27
ff-rew Un futuro per Basse di Stura è possibile solo linee di sviluppo: Eco-Distretto per la racse i prodotti di scarto della società saranno colta, l’elaborazione e la trasformazione dei considerati come nuove materie prime.
materiali riciclati; Eco-Ponte per superare
L'area diviene quindi l’occasione per inver-
le barriere ecologiche e fisiche e riconnettire il processo espulsivo degli scarti dalla tere le parti nord e sud del territorio; Area città, ridando alla città vivibilità dello spazio Eco-Industriale per ridefinire il confine tra urbano ed energia prodotta attraverso il fo-
il tessuto urbano della zona industriale di
tovoltaico, il solare termico, l'heat-storage, Borgaro Torinese e il paesaggio agricolo. l’idrogeno. L’Amiat non cesserà del tutto Al centro del parco è previsto un canale per le proprie attività nei prossimi tre anni, per
la fitodepurazione delle acque e per il con-
passare gradualmente ad una più innova-
trollo delle esondazioni. Il paesaggio della
tiva gestione dei rifiuti e ad una crescente
discarica diviene motore fisico di migliorapolitica di riciclo, con l’obiettivo di riutilizzare mento del sistema della mobilità e occasiol’80% dei rifiuti. Il verde e l’acqua sono assi ne per il disegno di percorsi tra i segni agriordinatori delle indicazioni progettuali. Tre le
coli e le preesistenze storiche del territorio.
Francine Amsler, Luisa Ballari, Claudia Bernardo Coelho, Clara De Andres, Alberta De Luca, Valentina Dessì, Andrea Esposito, Filippo Giau, Alberto Graglia, Elena Hartog, Alessandro Mazzotta, Milena Misia, Andres Javier Moncalvo, Davide Musmeci, Alberto Rosso, Raquel Santos, Elisabetta Vitale Brovarone tutor Mauro Berta, Gianluca Cosmacini co-tutor Barbara Melis
28 — Comunicazione
La scienza come sinonimo di progresso Come comunicare le trasformazioni urbane e la sostenibilità Piero Bianucci
Comunicare il progetto per la nuova destinazione delle Basse di Stura significa prima di tutto occuparsi di aspetti che riguardano la società, la politica, l’economia, il modello di sviluppo della storia recente e la filosofia dell’ambiente che sceglieremo per il futuro. C’è però anche un aspetto che tocca la comunicazione scientifica in quanto si tratta di parlare ai cittadini di ecologia, produzione e uso dell’energia, gestione delle risorse, tecnologie per il riciclaggio e la gestione dei rifiuti. Possiamo per convenzione far nascere la comunicazione scientifica con l’opera di Galileo Galilei, che polemicamente Italo Calvino considerava il più grande scrittore italiano, e individuare un ampio periodo che dal Seicento, passando per l’Illuminismo e il Positivismo, arriva al 1945, quando esplode la prima bomba atomica. Fino ad allora l’equazione scienza =progresso non era mai stata messa in discussione presso il grande pubblico. Da quel momento il problema delle
responsabilità etiche della scienza incomincia. Tuttavia l’idillio tra scienza e pubblico, mediato dai divulgatori e da un nuovo strumento come la Tv molto più penetrante della carta stampata, continua ancora sotto la spinta di conquiste spettacolari come l’esplorazione dello spazio e la scoperta dei meccanismi
Dopo l’incidente nucleare di Cernobyl la percezione positiva della scienza si incrina e monta la diffidenza dei cittadini, alimentata anche da polemiche, errori e posizioni diversificate in seno alla comunità scientifica biologici fondamentali pilotati dal DNA. Ma verso la metà degli anni Ottanta, e specialmente dopo l’incidente nucleare di Cernobyl, la percezione positiva della scienza si incrina più profondamente e monta la diffidenza dei cittadini, alimentata anche dall’affiorare di polemiche, errori e posizioni diversificate in seno
alla comunità scientifica, con una conseguente crisi di prestigio e credibilità che minaccia di travolgere i ricercatori. Se guardiamo ai temi scientifici più importanti emersi negli ultimi tempi, non si vede in sostanza nessun successo ottenuto dai comunicatori, che non sono riusciti a far comprendere i termini della questione energetica, il ruolo degli OGM, l’illusione della terapia Di Bella contro il cancro, il significato delle ricerche su clonazione e cellule staminali, il problema di gestire i rifiuti o di costruire le ferrovie ad alta velocità. Per adesso i sondaggi Eurobarometro dicono che hanno ancora una buona immagine le nanotecnologie, ma già si avvertono i primi segni di deterioramento, direttamente proporzionali al diffondersi delle conoscenze su questo settore della ricerca. Gli insuccessi nella comunicazione scientifica più recente pongono un interrogativo: come si formano le opinioni in tema di scienza e tecnologia? Il formarsi di un’opinione risulta dalla
PH Lucio Beltrami - DieciCento
Comunicazione — 29
confluenza di molti fattori: la preparazione scolastica, i mezzi di comunicazione, impulsi emotivi, le conoscenze e le pseudo-conoscenze più o meno consapevoli che ognuno di noi porta dentro di sé, i pregiudizi, l’influsso di opinion leader socialmente prossimi, come il proprio medico di base o il vicino di casa al quale viene riconosciuto prestigio culturale, sociale, economico. Le ricerche sociologiche ci dicono che in questo mix che concorre a formare un’opinione il peso dei media è assai inferiore a quanto comunemente si crede: i media riescono di solito a rafforzare atteggiamenti e credenze, ma non a cambiarli (Wolf). L’informazione tecnico-scientifica spot – dicono gli studi sociologici sul campo – conta poco perché si perde nel rumore di fondo. Riesce a influire soltanto una copertura a tappeto attuata simultaneamente da vari media. E in generale, fa notare Alan Mazur, più un tema controverso è coperto dai media, più si accentuano nel pubbli-
co gli atteggiamenti negativi, mentre l’opposizione decresce quando la copertura diventa meno intensa, come è facile verificare pensando alle oscillazioni dell’opinione pubblica riguardo alle centrali nucleari, agli Ogm, agli inceneritori / termovalorizzatori. Sembra, in definitiva, che le persone siano più condizionate dalla quan-
Sembra che le persone siano più condizionate dalla quantità della copertura mediale che dal suo contenuto tità della copertura mediale che dal suo contenuto, e che il pubblico sia affetto da uno strutturale preconcetto “conservatore” per cui in situazioni di incertezza preferisce scegliere ciò che conosce piuttosto che avventurarsi nel nuovo. Di qui il successo del “principio di precauzione”, che di per sé non dovrebbe avere senso in quanto preclude a priori la conoscenza, impedendo
una scelta responsabile basata sui fatti verificati, come vorrebbe invece il metodo scientifico. Stabilito dunque che i media non sono poi tanto potenti, occorre rilevare che è in atto una rivoluzione copernicana nell’acquisizione di informazioni scientifiche: perde punti la fonte televisiva (anche se influisce ancora sul 44% del pubblico europeo) mentre sale la ricerca attiva di informazioni tramite Internet e anche sui libri (National Science Board, Science and Engineering Indicators, 2002). Forzando un po’ le cose, si può dire che perde colpi la comunicazione scientifica top-down e dalle grandi emittenti al pubblico di massa, mentre si rafforza la comunicazione scientifica interattiva, che si avvale della forza emersa dalla teoria delle reti: come sappiamo, tra ogni abitante della terra e tutti gli altri ci sono in media solo sei gradi di interposizione, e ciò spiega l’epidemica diffusione non solo dei virus informatici ma anche delle conoscenze buone, meno buone
PH Fabio Sorano
30 — Comunicazione
e pessime immesse su Internet. Nel caso della nuova destinazione delle Basse di Stura, qualunque essa sia (parco energetico, land art, documento storico dell’era affluente o altro ancora), è evidente che la comunicazione potrà puntare sui valori del miglioramento della qualità della vita e dell’uscita da un modello di sviluppo che indubbiamente ha prodotto molti guasti. Non sembra però opportuno adot-
tare il classico modello “forte” a imbuto (o “idraulico”) della divulgazione scientifica: da un lato gli scienziati, in mezzo i comunicatori, dall’altro lato i cittadini nei quali “travasare” nuove conoscenze e nuovi valori. Più conveniente ed efficace sembra invece un modello debole, basato sull’informazione intesa come riduzione dell’incertezza, sul dialogo e sul cambiamento come frutto dell’interpretazione dei dati appresi
(non della loro semplice acquisizione). Questo modello appare tanto più necessario in un paese come l’Italia nel quale, prima ancora che trasmettere nozioni corrette, è necessario sgombrare il campo da false informazioni, pregiudizi e convinzioni di origine emotiva. Il caso Basse di Stura esige di ridefinire il concetto di rifiuti; situare storicamente quelle discariche come una fase di sviluppo acritico, ma forse
PH Lucio Beltrami - DieciCento
Comunicazione — 31
inevitabile, della società affluente; e poi di volgere in positivo espressioni deboli (sostenibilità) e con connotazioni negative (decrescita, a-crescita), mostrando che il nuovo modello sociale non è un arretramento ma un progresso. In questa direzione va, per fare un esempio, lo slogan dell’associazione “Vado al minimo”: “Spreco meno, vivo meglio”. Anche nello sviluppo acritico perseguito dai paesi industrializzati nell’ultimo mezzo secolo è possibile, e probabilmente doveroso, riconoscere un aspetto positivo. È vero che siamo vissuti e stiamo ancora vivendo molto al di sopra delle nostre possibilità a spese di risorse limitate come l’energia fossile e nucleare o le materie prime. Ma è anche vero che è stata questa grande abbuffata a portare all’accumulo di una enorme quantità di conoscenza che ora induce il mondo occidentale a cambiare (positivamente) verso un modello di sviluppo più saggio.
Questo accumulo di informazioni (bit) introduce una variabile radicalmente nuova nella storia umana: il mondo ora è fatto, oltre che di materia ed energia, di bit immateriali. La materia è un sistema chiuso: solo il riciclaggio ci salverà. Per l’energia fossile e nucleare vale lo stesso discorso. Ma non per l’energia solare che alimenta i flussi della bio-
L'accumulo di informazioni introduce una variabile nuova nella storia umana: il mondo ora è fatto, oltre che di materia ed energia, di bit immateriali. La materia è un sistema chiuso: solo il riciclaggio ci salverà sfera, dell’acqua, dell’aria. Da questo punto di vista la Terra è un sistema aperto: importa fotoni solari pregiati e restituisce (effetto serra permettendo) fotoni termici degradati. Infine i bit, l’informazione, sono qualcosa di qualitativamente diverso da materia ed
energia, che può crescere quasi senza limite, anche utilizzando i flussi di origine solare (che sono pari a circa 10 mila volte l’attuale consumo energetico del pianeta, ma hanno il problema di essere dispersi e quindi a bassa intensità, mentre noi siamo abituati all’alta intensità energetica dei combustibili fossili e nucleari). Dobbiamo dunque muoverci verso una società del sapere condiviso che sfugga alle strettoie termodinamiche implicite nei concetti di sostenibilità e decrescita. La sfida è trasmettere questo messaggio culturale di fondo, nella cui cornice si situa anche, come un piccolo tassello, la nuova destinazione delle Basse di Stura. Ricordando che nel farlo dovremo avere ben presenti quattro obiettivi: trasparenza (non si tratta di manipolare opinioni), chiarezza (che in questo caso è sinonimo di democrazia), semplicità (non semplificazione), brevità e profondità (ricordiamoci che dietro ogni parola che usiamo c’è una visione del mondo).
democrazia l’architettura è per tutti, l’architettura ci riguarda Il termine democrazia e l’aggettivo democratico non sono comunemente legati a concetti fisici. ma è democratico un luogo pubblico che non permette l’accessibilità e il godimento del suo spazio a tutti? la piazza è democratica? anche quando è solcata da parate militari?
la polis democratica è un’entità essenzialmente politica
anche quando si riesce a dimostrare che una grande opera è innocua, utile e necessaria le comunità interessate possono sempre replicare con una domanda imbarazzante: "d'accordo, ma perché proprio qui?"
se la maggioranza delle persone desiderasse un governo antidemocratico, la democrazia cesserebbe di esistere. tuttavia se si opponesse cesserebbe di essere democrazia in quanto andrebbe contro alla volontà della maggioranza.
un fattore chiave in una democrazia è la presenza, all'interno di una nazione, di una cultura democratica
manuela olangero
le parole dell’abitare le città e le case contemporanee hanno nuovi abitanti, con nuove esigenze e nuovi modi di abitare Fabrizio accatino
la casa del futuro cino zucchi Peppino ortoleva
la sostenibilità matteo agnoletto Piergiorgio tosoni
la democrazia gustavo zagrebelsky
torino: laboratorio democratico
antonella Parigi
che ci fanno gli architetti a Biennale democrazia? 5 appuntamenti a torino dal 21 al 26 aprile 2009
PH Lucio Beltrami - DieciCento
esperimenti di architettura e democrazia, a torino
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Le parole dell’abitare Nuovi bisogni, nuovi modi, nuove categorie richiedono maggiore validità e attendibilità alle parole delle politiche abitative Manuela Olagnero
In un recente scritto sull’imparare la democrazia1 Zagrebelsky indicava nella “cura delle parole” uno dei contenuti minimi necessari all’ethos democratico. Tanto più equa la distribuzione delle parole e tanto maggiore la precisione e univocità dei significati, tante più garanzie di sfuggire a inganni e sopraffazioni. Quando la politica si converte in azioni di policy le parole usate devono calarsi su oggetti dai significati stabili e condivisi. Si potrebbe dire che i nuovi bisogni e modi di abitare che stanno sviluppandosi nelle nostre città, legati alla fine di una formazione sociale che aveva riprodotto, nella domesticità abitativa, la stabilità del lavoro e della famiglia, sottopongono le politiche abitative a un severo test di validità e attendibilità delle parole con cui raccontano se stesse, le loro pratiche e i loro destinatari. La declinazione convenzionale della questione abitativa come emergenza, disagio e povertà, pur continuando a
essere adatta a evocare lo svantaggio di chi non ha una casa o vi abita senza il comfort sufficiente, non riesce più a contenere la pluralità e la difformità dei bisogni connessi a nuovi modi di abitare che si affermano negli ultimi dieci-quindici anni2. Questi nuovi bisogni non segnalano né una privazione, né un’incapacità, ma nascono da un mis-matching tra cambiamenti di ritmo del corso di vita, da un lato, e da rigidità e inerzie dell’offerta abitativa dall’altro e sono raccolti a fatica dalla grammatica, prevalentemente classificatoria, delle politiche, in cui ad esempio non figurano, o ci stanno appena entrando, termini come stress o rischio abitativo3. Si può parlare di stress quando le difficoltà dell’abitare siano addebitabili all’esercitarsi di una pressione che diventa troppo forte per essere sopportata, da individui e famiglie, a condizioni immutate; oppure quando, pur in presenza di capacità e autonomia individuale, non si riesce a raggiungere il traguardo abitativo desiderato.
Si considerino situazioni in cui sia difficile o costoso uscire da precedenti sistemazioni abitative non più compatibili con una nuova situazione (anziani che vivono soli in case troppo grandi o disabili alle prese con insuperabili barriere architettoniche) o persone che coabitano in spazi ristretti (immigrati a ridosso dell’arrivo; famiglie che crescono, ma rimangono intrappolate in alloggi troppo piccoli). Si tenga conto degli alti costi dell’accesso alla casa per quella popolazione (come giovani coppie con lavoro precario) che dovrebbe poter stare “leggera” sul territorio. Si pensi poi anche a madri o padri soli con figli piccoli, in transito da una precedente ad una futura sistemazione abitativa, ricercata come più adeguata alla nuova forma di convivenza, ma tale da non richiedere un investimento eccessivo e di lunga durata. Vi è poi un repertorio di situazioni rubricabili sotto la categoria del rischio abitativo, che ha a che fare con la probabilità di una perdita, o di una dimi-
PH Lucio Beltrami - DieciCento
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nuzione dell’equilibrio su cui si reggeva un precedente assetto abitativo. Si può perdere l’alloggio in cui si abita (perché costa troppo mantenerlo, perché non si è solvibili con la banca che ha erogato il mutuo, perché non si riesce a pagare l’affitto richiesto dal proprietario o a comprare l’alloggio di cui si era affittuari), ma anche si può mancare il turno o l’occasione per entrarci (strutturalmente l’accesso alla casa richiede lunghi tempi di attesa, titoli per competere nelle liste pubbliche o nelle preferenze dei privati, capitale sociale)4. Vi è infine una classe di richieste nel segno di una domanda di casa indirizzata a “usare” la città senza che ci si viva stabilmente: lavoratori mobili, studenti pendolari, personale impegnato in stage, persone costrette a lunghi soggiorni in città diverse dalla propria per curare familiari ammalati, ecc. Tutti costoro inseguono una soluzione abitativa provvisoria, ma spesso diversa dal “residence” o dalla camera ammobiliata. Per mettere ordine in questa scena affollata di difficoltà e connesse richieste di soluzioni, non basta, da parte delle politiche pubbliche, la semplice catalogazione di bisogni tipici, attribuibili ad altrettanto gruppi amministrati-
vamente definiti (tradizionalmente figure come l’inquilino sfrattato, l’immigrato senza tetto, l’anziano povero). Occorre innanzitutto un lessico più preciso che introduca, attraverso le necessarie specificazioni temporali (di fase della vita o di durata nella condizione, ecc.), l’idea che molte criticità abitative siano connesse a transizioni biografiche o a congiunture esterne. In tutti questi casi la casa non si configura né come destinazione finale di un percorso di investimento privato né come risultato “straordinario” di una redistribuzione della quota residua di alloggi sottratti al mercato, ma come un ponte, pensato, progettato (e magari anche dotato di regole concordate tra pubblico e privato), per sostenere il passaggio da una congiuntura all’altra nel corso della vita. L’idea della residenza temporanea combina adeguatamente la indifferibilità di specifici bisogni con l’aspettativa che essi si risolvano, sotto il controllo e la capacità progettuale dei soggetti coinvolti, entro un intervallo di tempo limitato. Ovviamente questi bisogni abitativi non possiedono la capacità di comunicare allarme sociale, o di imporre una
scala di priorità all’agenda degli interventi pubblici, che è invece tipica delle situazioni di grave disagio o povertà. Essi tuttavia mostrano che la solvibilità economica o la capacità di tenere sotto controllo gli eventi della vita non bastano a rendere i soggetti coinvolti del tutto impermeabili all’ansia, alla sfiducia o anche al deperimento delle risorse “iniziali”. Alle politiche abitative giunge dunque la richiesta non solo di modulare risposte progettate per intercettare bisogni che variano nel tempo, ma anche di impedire che, lasciata completamente sola a muoversi nei labirinti del mercato, la provvisorietà dei bisogni abitativi possa trasformarsi in precarietà della vita.
1. G. Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, Torino, 2007. 2. Quello dell’emergenza e della povertà abitative è un terreno che si sta estendendo a seguito dei processi di precarizzazione della vita di vasti segmenti della popolazione (A. Tosi, Nuove povertà abitative e nuovi requisiti di efficacia per le politiche della casa, in “Questione giustizia”, n. 1, 2008, pp.115-124). 3. Si vedano le voci stress e rischio in M. Olagnero, G. Cavaletto, a cura di, Transizioni biografiche. Glossario minimo, Libreria Stampatori, Torino, 2008. 4. M. Olagnero, La questione abitativa e i suoi dilemmi, in “Meridiana”, n. 62, 2008.
36 — Democrazia
Come sarà la casa del futuro? Ci sarà una casa per tutti? Intervista a Cino Zucchi e Fabrizio Accatino
Cino Zucchi Se la natura fosse così buona con noi, l’architettura non avrebbe ragione di esistere: essa nasce infatti come riparo dalle inclemenze metereologiche dell’ambiente in cui viviamo. Il mito della capanna primitiva descritto da Vitruvio come scaturigine dell’architettura contiene in nuce tutta l’ambivalenza che fonda la modifica dell’ambiente naturale da parte dell’uomo. L’originaria necessità di protezione diventa coscienza del proprio potere; ma essa contiene ancora l’angoscia che Madre natura distrugga il nostro operato come un’onda del mare un castello di sabbia. Da sempre riti propiziatori accompagnano in varia forma la fondazione di città, e la paura del crollo strutturale affianca da sempre l’aspirazione dell’architettura a sconfiggere la forza di gravità e a plasmare la topografia del pianeta. Pochi giorni fa in Dubai per una giuria di concorso ho potuto guardare con i miei occhi due “meraviglie” del mon-
do contemporaneo: il grande aculeo verticale del Burj Dubai e lo sconfinato complesso di isole artificiali di Palm Jumeirah; ambedue cantieri avanzati congelati improvvisamente dalla crisi finanziaria, in uno stato di “vita sospesa” che potrebbe facilmente prendere risvolti inquietanti o drammatici. Essi rappresentano bene l’ambizione dei nuovi soggetti che plasmano il territorio mondiale e al contempo l’estrema fragilità del suo equilibrio. La sfida ambientale di questo secolo legherà la necessità di dare un ambiente adeguato a milioni di persone inurbate e la capacità di imparare dall’esperienza (e dagli errori) della storia delle città europee e mondiali. Come sarà la città del futuro? Qualche anno fa, invitato a Singapore ad un forum mondiale sull’argomento, avevo con successo parlato di un “urbanista giardiniere” che sappia agire sulla città e sui territori esistenti piuttosto che rifondarli ex novo come pensava di fare il pensiero moder-
no; un urbanista che conosca l’arte dell’innesto, del diradamento, della coltivazione, dell’irrigazione, del tempo: la città non si crea né si distrugge come una macchina, ma piuttosto cresce e si modifica come un giardino, il cui ecosistema sopravvive alla durata delle singole essenze. In questo senso gli edifici e la città debbono essere “sostenibili”; ma prima di tutto deve esserlo il nostro stile di vita. I danni sull’ambiente prodotti dall’aereo privato di uno star architect che opera nel nuovo mondo possono essere di svariati ordini di grandezza superiori ai pretesi benefici del suo progetto; e il costo energetico di produzione di un pannello solare di silicio a celle non ripaga per molti molti anni i risparmi da esso creati. La parola “sostenibile” è diventata oggi uno slogan troppo facile: apre ogni porta ma non è mai definita in maniera rigorosa. Abbiamo oggi strumenti raffinati di calcolo, ma i principi di un ambiente integrato sono for-
PH Lucio Beltrami - DieciCento
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se gli stessi della sapienza antica, in un’epoca dove le risorse erano poche, costose, difficili da ottenere. Ogni utopia, ogni previsione futura ci tranquillizza per il suo carattere al contempo “dogmatico” e “irresponsabile”; ma i frammenti delle utopie passate hanno costruito per strati e frammenti sovrapposti l’ambiente in cui oggi viviamo sulla base dei valori che ogni società si dà nell’instante del suo farsi. La crisi odierna porterà forse più ragionevolezza, più modestia, ma anche la necessità di distinguere tra l’eros immediato di un rendering e di uno slogan e la seduzione più profonda delle città che conosciamo e amiamo.
Fabrizio Accatino “Parigi nel XX secolo” è un piccolo libro della metà dell’Ottocento che rileggo spesso. È un romanzo storico del futuro che possiede una straordinaria forza anticipatrice, un centinaio di pagine in cui Jules Verne disegnò la sua utopia negativa di megalopoli. Illuminata dal demone della neonata elettricità, la capitale francese si trasfigurava attraverso gli occhi dello scrittore, trasformandosi in un moloch
inorganico, capace – per mezzo delle sue nuove tecnologie – di inghiottire e stritolare i suoi stessi abitanti. Fu una visione talmente choccante che l’editore ne rifiutò la pubblicazione, lasciando il manoscritto nel cassetto per più di un secolo, ben oltre quel 1960 fino a cui aveva osato spingersi la fantasia del suo autore. La metropoli e i suoi edifici non sono oggi tanto diversi da come li descrisse Verne 150 anni fa. Per questo sorrido quando leggo di sogni naïf come le case-palafitta di Jacque Fresco, progettate “per tornare ad abitare il mare”. E provo un vago senso di noia al pensiero che la domotica consente oggi di attivare luci, impianti di riscaldamento e finestre con un semplice sms. In campo abitativo, le utopie e le soluzioni d’avanguardia restano a tutt’oggi patrimonio di pochi, anzi pochissimi. Il critico d’arte del New York Times Alastair Gordon – nel suo libro “Spaced Out”, uscito l’anno scorso – parlava di un “futuro dei super-ricchi”, descrivendo alla perfezione il nostro presente: solo chi ha risorse fuori dalla media può permettersi tecnologie da sfizio, gadget utili principalmente
a ribadire uno status. Al contrario, la realtà fuori dalla finestra ci racconta di un numero impressionante di case fatiscenti, mal coibentate, non isolate acusticamente. Nelle periferie (ma non solo) sopravvivono monoliti ciclopici come i complessi di Strahov a Praga, o il “serpentone” del Nuovo Corviale a Roma: vie Gluck che avranno senz’altro assecondato qualche avanguardia architettonica del momento ma che appaiono oggi ruderi da “Pianeta delle scimmie”, monumenti a un funzionalismo velleitario e fuori dal tempo. Dopo decenni trascorsi a edificare “macchine per abitare” ci siamo ritrovati – secondo la profezia anni Settanta dell’architetto radicale Lloyd Kahn – dentro “ambienti che solo le macchine, o gente simile a macchine, vorrà abitare”. Potrà sembrare una modesta battaglia di retroguardia, eppure immagino gli appartamenti di domani simili a quelli del presente, adeguati però ai requisiti minimi di comfort e decoro che è giusto pretendere a Duemila inoltrato. Immagino un futuro senza piani governativi straordinari per l’edilizia: solo ordinaria amministrazione, ma di qualità. Immagino anni in cui non saremo più costretti a considerare il meglio sul mercato edifici costruiti secoli fa, quando ancora “si facevano le cose per bene”. E se proprio devo aggiungerci del mio, immagino appartamenti composti da materiali modellabili nelle forme e nei colori, abitazioni di cui sarà possibile modificare struttura interna e tinte con un semplice tocco, senza affrontare lunghe e disagevoli ristrutturazioni. Magari con perimetri caratterizzati non più da angoli ma da curve, modellati sul suo occupante e non viceversa. Mi accontenterei. Drogati da decenni di positivismo architettonico e scientifico, abbiamo inseguito i sogni di Campanella e di Calvino ma abbiamo finito per risvegliarci dentro un incubo di Le Corbusier.
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Un sinonimo di sostenibile. La sostenibilità è auspicabile e/o praticabile? Intervista a Matteo Agnoletto e Peppino Ortoleva
Matteo Agnoletto Il progetto come mezzo indispensabile per il disegno della città agisce da strumento critico e articola il procedimento della ricerca: constatato il fatto rilevante della crisi della città, quale ad esempio è la crescita incontrollata della popolazione responsabile di una sproporzionata domanda di abitazioni, che consuma irreversibilmente la disponibilità di territorio, l’articolazione del progetto lavora in questa realtà per modificarla, chiarendo al contempo il proprio originale campo di ricerca. In mancanza di programmi pianificatori fondati su regole compositive efficaci, che direttamente nell’architettura della città avrebbero dovuto trovare il proprio significato, la città è diventata la causa primaria della crisi ecologica globale. Gli insediamenti urbani diffusi, concepiti durante le fasi di quell’esperienza altamente negativa della pianificazione italiana attuatasi negli ultimi trent’anni mediante lo strumento del piano particolareggiato, hanno favorito
la nascita di nuove periferie non soltanto nelle grandi città, ma specialmente nei comuni di piccole e medie dimensioni. Un fenomeno sul quale non si è ancora sufficientemente indagato per dimostrare il fallimento di pratiche progettuali, che, interessate a inutili formalismi, hanno affidato il progetto della città a speculatori immobiliari e ad amministrazioni pubbliche inadatte ad intraprendere un discorso politico adeguato sul tema. Questa crisi congiunta del territorio e della città è affrontabile con azioni correttive, attuate non solo mediante opportune scelte politiche, tecniche ed economiche, ma riconoscendo all’architettura un ruolo chiave nei processi di gestione della crisi: in quanto disciplina regolamentata e autonoma, essa fonda le proprie specifiche modalità d’intervento sull’individuazione e la successiva ripetibilità di dispositivi formali identificabili, supportati dal progetto metodologico per agire operativamente. A fronte della dispersione residen-
ziale e della proliferazione formale ad effetto avvertite tra le cause della distruzione del territorio, il progetto d’architettura supera l’inadeguatezza delle immagini urbane ricorrenti con il posizionamento di impianti architettonici alternativi, configurati nella sintesi tra la megaforma e l’invariabilità tipologica. In particolare certe esperienze degli anni Sessanta del secolo scorso, dal San Rocco di Aldo Rossi, il cui rigorismo formale è prescelto per “riconoscere la preminenza tipologica nel discorso dell’abitazione”, alle esercitazioni compiute dagli studenti di Oswald Mathias Ungers a Berlino, dimostrano per prime la coincidenza tra l’architettura della grande dimensione e il disegno della città, chiarendo altresì una netta distinzione di significato con la megastruttura, concepita per essere un modello urbano in contrapposizione alla città. L’impianto della grande casa a corte in questo caso è soggetto a cambiamenti di contenuto rispetto ai modelli storici noti, per essere consi-
derato come esemplare di una regola generale, che individua nel progetto metodologico l’atto d’intervento nella città per mezzo di forme architettoniche date, come accade ad esempio nei superblocchi viennesi di Karl Ehn. La ragione del progetto metodologico è dunque una forma che si può definire giustificata, in quanto ricollocabile in una serie di modelli analoghi. Ogni sua parte assume una precisa motivazione: la grande corte assurge un ruolo strategico nel tessuto urbano dandosi come segno riconoscibile, eludendo con il controllo formale del progetto la frantumazione causata da singoli interventi parzializzati. La proprietà accumulatrice e quindi non espansiva della megaforma, che già Fernand Pouillon aveva individuato quale soluzione definitiva e apodittica con il Climat di Algeri realizzato intorno alla piazza delle 200 colonne, interagisce alla scala urbana contrastando la deriva dello spreco di suolo e intervenendo come un segno netto e unitario, mentre alla scala architettonica si esprime con proprie intrinseche regole compositive, costringendo lo spazio chiuso e lo spazio aperto ad una reciproca correlazione.
Peppino Ortoleva Ci sono parole che sintetizzano delle idee, altre che esprimono dei valori. Non è assolutamente la stessa cosa. Socialismo, nazionalismo, dodecafonia, relatività, sono idee: una delle prove che lo sono davvero sta nel fatto che dividono le persone, che trovano dei sostenitori e degli avversari. “Io non sono venuto a portare la pace ma la spada”, dice Cristo nel vangelo di Matteo; se il cristianesimo fosse riassumibile nella sola parola “amore” non avrebbe potuto dirlo. Quando diciamo parole come bontà o libertà, la cosa non funziona allo stesso modo che per le idee, quelle vere: attorno a concetti del genere le controversie non nascono sui princìpi, semmai sulla loro applicazione. Quello che per me è buono, per te può non esserlo, e così via.
PH Gisella Molino - DieciCento
Democrazia — 39
Temo che un problema del genere, tra l’altro, tocchi ora la parola democrazia: nata come idea dirompente e minoritaria, si è imposta nel corso di un secolo e mezzo al punto che oggi tutti (o quasi) si definiscono democratici; gli antidemocratici, come i cattivi, sono sempre gli altri. Temo anche che la confusione tra idee e valori, nel senso che dicevo prima, sia un pericolo grave per una vita politica trasparente. Nessuno lo aveva capito meglio di George Orwell, come dimostrano i Princìpi della Neolingua posti in appendice a “1984” prevedeva un’involuzione terribile del linguaggio, sempre più fatto di parole banali e di giudizi semplici e unanimi (buono o cattivo, o peggio buono e “sbuono”) e quindi incapace di esprimere autentiche idee. Sostenibile, mi sembra, appunto, più che un’idea un valore generico e comune. Nessuno vuole, almeno a parole, azioni o realtà insostenibili; quello su cui ci si può dividere, e ci si divide realmente, è la definizione concreta di ciò che sostenibile lo è davvero. Il problema non è mai l’idea, sono sempre i criteri di applicazione. E qui ci troviamo di fronte a un altro ostacolo. Non si può
definire ciò che è sostenibile, davvero, se non caso per caso. Anche perchè la sostenibilità non è un attributo di un oggetto in sé, ma del suo rapporto con il contesto, con un quadro sistemico: e ciò vale per un oggetto in senso proprio come per un progetto urbanistico, o anche per una norma giuridica (un problema gravissimo della democrazia italiana, che continua a importare istituti altrui senza curarsi della loro relazione con il resto del sistema, e continua a produrre disastri, dalle authority alle primarie). Questo potrebbe sembrare il pregio maggiore del concetto: la sua umiltà, la sua concretezza; ma è anche l’insidia maggiore che esso contiene: come sempre, l’umiltà è uno stile che può nascondere le possibili diversità dietro un mistificante “in fondo siamo tutti d’accordo”. Non ci sono sinonimi per sostenibile, ed è ovvio; non ci sono sinonimi perfetti in generale, ma tanto meno per parole che hanno implicazioni complesse. C’è piuttosto un campo semantico. Io associo sostenibile a praticabile (che mette in gioco non solo una situazione, ma dei comportamenti), a responsabile. E soprattutto a possibile.
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Qual è il rapporto tra architettura e democrazia? L’architettura crea democrazia? Intervista a Antonella Parigi e Piergiorgio Tosoni
Antonella Parigi Nella città la cultura, assieme al commercio e all’abitare, costituiscono il sogno che ha spinto milioni di persone ad abbandonare la campagna e li ha spinti a vivere uno sull’altro, in certi casi. Il far coesistere in pochi chilometri quadrati popoli di nazionalità differenti e, nello stesso tempo, garantire loro lo sviluppo di un’idea di comunità, è lo sforzo che l’architettura deve compiere nelle nostre metropoli, diventate megalopoli, ormai. Se la democrazia è uno dei bersagli da centrare per vincere la complessa battaglia della mondializzazione, l’architettura dovrebbe essere una delle frecce, o almeno dovrebbe “prendere la mira” in quella direzione. È vero: siamo tutti soli, e il nostro tempo è pieno di cattivi presagi, ma potrei definire un’architettura democratica quella che ci fa sentire meno soli. Progettare quartieri o città vivibili e rispettose delle esigenze e delle tensioni abitative dei singoli è la direzione. Ecco perché
i luoghi della cultura diventano molto spesso una forza magnetica per avvicinare il maggior numero possibile di persone, abbattendo le differenze sociali: perché creano comunità, momenti di aggregazione libera. È vero: un gesto democratico dell’architettura è quello di garantire una casa per tutti, ma non basta, è un gesto a metà. Il gesto completo è che in questa casa sia previsto anche un cuore pulsante, motore attorno al quale si sviluppa la vita. L’architettura può certamente essere d’aiuto nel facilitare la creazione di spazi sociali, nella costruzione di interventi urbani che sappiano concentrare nella città i caratteri migliori dell’arte e dell’espressione umana, come i musei, ad esempio, o certe piazze conviviali. Interpellare la comunità come parte attiva nel processo di progettazione, ascoltare le richieste del cittadino di quartiere come interazione con la realtà locale è, ad esempio, una buona
messa in pratica del concetto di architettura democratica. Persino nelle città medievali si riunivano gruppi di cittadini attorno ai nuovi progetti urbanistici, uno di essi fu Dante che fece parte della commissione di Firenze sulla pianificazione dell’allargamento della città. Questo non vuol dire che l’architetto sia spodestato o che si debbano trascurare i calcoli strutturali, ma significa che la progettazione non può escludere la conoscenza, l’esperienza e i singoli bisogni locali. Un luogo da riqualificare o da costruire è prima di tutto memoria storica di chi l’ha vissuto.
Piergiorgio Tosoni Definire in modo univoco qual è il rapporto tra architettura e democrazia presuppone che si assumano definizioni relativamente semplificate delle due parole “architettura” e “democrazia” e questo espone a parecchi rischi, ma forse è un dato inaggirabile. Supponiamo quindi
PH Lucio Beltrami - DieciCento
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che sia soddisfacente pensare che architettura voglia dire l’insieme di pratiche che concorrono, o hanno concorso, all’instaurazione di spazi per la vita degli uomini; democrazia sia il quadro politico entro cui si inscrive un insieme di norme giuridiche e di procedure che regolano la vita di una comunità di cittadini, norme e procedure volte al soddisfacimento dei bisogni e all’attuazione degli ideali di quella comunità. Se questa definizione semplificata è accettabile un’architettura è democratica quando la si costruisce e la si vive nel pieno rispetto del senso civile di questo termine; questo non implica un giudizio di qualità sull’architettura stessa e di fatto viviamo “democraticamente” molti spazi realizzati nel passato da società che con i nostri principi democratici avevano pochi contatti, o forse nessuno. E questo vivere democraticamente l’architettura credo voglia dire sentirla come un ingrediente importante della propria cultura e della propria memoria soggettiva e sociale. Non è quindi l’architettura in quanto tale che può creare democrazia: è se mai una condizione democratica
che crea i presupposti perché il patrimonio costruito si ponga come valore condiviso. C’è poi una questione riferita al tempo; i tempi degli uomini e delle società sono incredibilmente brevi rispetto ai tempi delle città e delle costruzioni. Le eredità costruite si inscrivono in tempi lunghi, che ne modificano percezione e significato, anche profondamente, e nessuno può dire preventivamente che spazi e case erette all’insegna della partecipazione e della democraticità delle scelte possano continuare a testimoniare questi intenti in contesti politicamente e culturalmente diversi. E una seconda questione è invece riferita al potere e al fatto che dietro ogni atto di costruzione sono presenti risorse economiche e finanziarie molto rilevanti. Molti grattacieli newyorchesi hanno al piano terreno public space confortevoli e vivibili; si vedono baby sitter con i bimbetti, gruppetti di anziani che chiacchierano, persone che si riposano in ambienti di grande qualità architettonica e i controlli sono discreti: basta non avvicinarsi agli ascensori che portano ai piani dove si decidono, o si
sono decisi fino a qualche tempo fa, i destini dell’economia mondiale. Può quindi venire spontaneo, passeggiando per Manhattan, chiedersi che cosa significhi questa fantastica Camelot della modernità, e cercare di capire perché c’è il Terzo mondo, anche senza andare in Burkina Faso. In un dato momento è ineludibile per un progettista capire qual è la dimensione etica del suo operare e, in quel dato momento, sono le coordinate del clima sociale in cui vive a offrirgli la possibilità di orientare le sue scelte in un senso o in un altro, verso la condivisione delle domande degli esclusi o verso l’acquiescenza alle velleità dei potenti. Ma poi sono gli uomini e le società a essere più o meno capaci di democrazia: gli spazi non favoriscono né escludono in modo deterministico questa dimensione del vivere civile; possono testimoniare in modo più o meno evidente le ideologie di cui sono figli, ma poi le comunità che li vivono possono, almeno fino a un certo punto, trasformarne il significato, agire sulla loro presentificazione, sul loro modo di essere letti e vissuti.
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Torino: Laboratorio Democratico La prima edizione di Biennale Democrazia a Torino Gustavo Zagrebelsky
La Città di Torino e il Comitato Italia 150, in occasione delle celebrazioni per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia nel 2011, promuovono una serie di progetti, destinati a rinnovarsi ad anni alterni a partire dalla primavera 2009 e raccolti sotto il segno di Biennale Democrazia. Tale intento nasce dalla considerazione dell’intera vicenda risorgimentale, quale unificazione nazionale non solo statal-territoriale interamente realizzata, ma anche etico-politica, ancora sempre da perseguire come compito. La via di questa seconda dimensione dell’unificazione politica è storicamente rappresentata dalla democrazia, una forma di vita politica basata sulla dotazione di diritti e doveri civili e politici uguali per tutti i cittadini, il cui esercizio deve confluire nella vita comune. Come, anzi più di ogni altra forma di governo, la democrazia è sempre imperfetta rispetto ai suoi ideali ed è sempre esposta all’involuzione oligarchica, al rovesciamento demagogi-
co delle parti e alla copertura di altre “-crazie”. In tutti questi casi, le forme della democrazia, cioè le sue procedure, vengono svuotate e rese disponibili
La promozione della democrazia come habitus implica la diffusione, anche nella pratica, di modelli comportamentali basati, a titolo d’esempio, sulla definizione e assunzione pratica di criteri di giustizia validi in generale a favore di sostanze, cioè di poteri, non democratici. Per questo, anche quando le istituzioni della democrazia si sono affermate e i diritti democratici si sono diffusi, la democrazia vive in condizioni problematiche di insicurezza che la configurano non come un compito svolto una volta per tutte, ma sempre da svolgere e riconsiderare. Biennale Democrazia mira, nella mi-
sura del possibile, a colmare un vuoto che deriva da una percezione infondata dei caratteri della democrazia stessa, come forma di governo di cui tutti i popoli sarebbero capaci spontaneamente, cioè in ottemperanza a impulsi naturali. Di fronte alle sfide e alle crisi della democrazia, si risponde spesso con la richiesta di “più democrazia”, e non anche di “migliore democrazia”, cioè di una partecipazione ai problemi comuni più larga, più consapevole, più informata e più responsabile, soprattutto nel momento in cui la comunità nazionale si trova ad affrontare le sfide portate, in misura crescente, dal multiculturalismo e dalla forza della tecnologia, cioè dalla convivenza di esseri umani appartenenti a tradizioni culturali diverse e dalla sfida che lo sviluppo della tecnica, come dimensione totalizzante delle società sviluppate del nostro tempo, muove alla stessa natura politica dell’umana convivenza. Biennale Democrazia vuole essere soprattutto uno strumento per la
PH Mariateresa Dell'Aquila - DieciCento
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formazione e la diffusione di una cultura della democrazia che si traduca in pratica democratica, all’altezza dei problemi del momento presente. Essa concentrerà le sue iniziative in una triplice attività di diffusione e approfondimento dell’etica democratica: come habitus dei cittadini, come rispetto delle regole comuni e come consapevolezza dei caratteri della democrazia, quale ideale politico. La promozione della democrazia come habitus implica la diffusione, anche nella pratica, di modelli comportamentali basati, a titolo d’esempio, sulla definizione e assunzione pratica di criteri di giustizia validi in generale; sulla cura e la messa in comune dei diversi talenti di cui ogni individuo è dotato; sullo spirito del dialogo e dell’uguaglianza; sulla apertura, curiosità e disponibilità alla “contaminazione” nei riguardi delle identità culturali diverse; sull’atteggiamento critico nei confronti delle proprie assunzioni di partenza e sulla capacità di apprendimento da
quelle altrui; sull’atteggiamento sperimentale, disposto ad apprendere dai propri errori; sull’assunzione delle responsabilità che conseguono all’ap-
Biennale Democrazia mira a colmare un vuoto che deriva da una percezione infondata dei caratteri della democrazia stessa, come forma di governo di cui tutti i popoli sarebbero capaci spontaneamente, cioè in ottemperanza a impulsi naturali. plicazione del principio maggioritario, tanto da parte di chi sta con la maggioranza quanto da parte di chi risulta minoranza; sull’atteggiamento altruistico e sull’onestà comunicativa, attraverso una speciale attenzione alla precisione, alla comprensibilità, al carattere non violento e non suggestivo del linguaggio impiegato. L’esigenza di rispetto delle regole comuni sarà oggetto di un programma
diffusivo, rivolto non solo a sollecitare la presa di coscienza del valore della legalità, come condizione-base di una vita civile, politica e amministrativa il più possibile liberata da prepotenze, inganni, favoritismi e ingiustizie, ma anche a promuovere la partecipazione e il controllo, circa il corretto uso dei poteri pubblici e privati, incidenti sulla vita collettiva dei cittadini. La democrazia come ideale politico sarà l’oggetto di un programma di lezioni e conferenze dedicate innanzitutto alle dottrine democratiche, alla storia delle loro realizzazioni, dei loro fallimenti e tradimenti, ai problemi e alle sfide di fronte ai quali essa si trova nel mondo contemporaneo, con l’attenzione rivolta non solo alla dimensione immediatamente politica della democrazia. Tutti gli aspetti della vita collettiva, infatti, si prestano e richiedono di essere presi in considerazione dal punto di vista della democrazia: a titolo d’esempio, i caratteri delle strutture urbane e architettoniche e le maniere di viverle; i modi di organizzazione del lavoro e la tutela dei lavoratori, le istituzioni culturali, a iniziare da quelle scolastiche; i sistemi di informazione e comunicazione; i rapporti che si dicono “di genere”; i modi di convivenza interindividuale. La democrazia è diffusiva di sé; la si può cercare in tutti i rapporti sociali e la si può trovare usando tutti i mezzi della comunicazione sociale: non solo quindi lezioni e conferenze, ma anche spettacoli cinematografici, teatrali e musicali ai quali ci si rivolgerà ugualmente, non solo per raggiungere un pubblico il più vasto possibile, ma anche per toccare uno spettro di tematiche il più ampio possibile. Questo programma si svilupperà negli anni e il periodo di tempo intermedio non sarà un tempo passivo e muto, poiché sarà dedicato a promuovere esperienze e riflessioni diffuse capillarmente nel tessuto della città e della regione, così come una teoria e una pratica democratiche richiedono.
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Che cosa ci fanno gli architetti dove si parla di democrazia?
Di che cosa parliamo quando parliamo di democrazia? Ci si aspetta – giustamente - lezioni di saggi, emeriti, costituzionalisti, … a declinare il termine “democrazia” ad un pubblico attento, capace di cogliere le sfumature e comprendere le citazioni da Platone a Aristotele, da Polibio a Erodoto. Il Prof. Zagrebelsky presiede questa prima edizione di Biennale Democrazia, una tappa importante del percorso di avvicinamento che Torino sta compiendo verso il 150° anniversario dell’Unità nazionale che ricorrerà nel 2011. Ricco e autorevole l’elenco dei relatori, che presenterà le forme mutevoli che la democrazia ha assunto dall’antica Atene fino ai giorni nostri (democrazia rappresentativa, costituzionale, assembleare, referendaria, deliberativa, telematica, dei sondaggi), con doverose riflessioni sul ruolo della politica e sui possibili rapporti tra politica e magistratura, e un omaggio a Norberto Bobbio per parlare del futuro della democrazia.
Ma gli architetti sono “pratici” e consapevoli dell’urgenza di passare dalle parole ai fatti, dalla teoria alla pratica. E si tratta della pratica di tutti i giorni, o, meglio, del “praticare” strade, spazi pubblici e privati che a volte ci appaiono ostili e potremmo dire “non democratici”. Ecco il motivo per cui gli architetti occupano uno spazio a Biennale Democrazia. Perché le parole che circoleranno servano a fermarsi sul nostro quotidiano, sugli spazi fisici della città, sul diritto alla casa e sulla richiesta di luoghi d’abitazione che rispondano a nuove esigenze, nuove famiglie, nuovi nomadi, con la convinzione che anche una riflessione sull’evoluzione dei modi di abitare la città, il social housing, le nuove forme di partecipazione dei cittadini/utenti alla definizione delle proprie esigenze, una nuova qualità dello spazio residenziale e collettivo, il valore dello spazio pubblico come luogo in cui si esprime la democrazia urbana, possa essere portatrice di un utile contributo.
L’Ordine degli Architetti di Torino, attraverso la sua Fondazione, è orgoglioso di partecipare alla diffusione della cultura locale, promuovendo l'architettura come disciplina al servizio della qualità della vita.
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Roundabout
La città fragile
di Beppe Rosso e Filippo Taricco Postfazione di Marco Revelli Bollati Boringhieri 2008 pp. 96 | € 12,00 ISBN 978-88-339-1861-7 Da un acclamato spettacolo teatrale: la metropoli vista dagli zingari, le prostitute e i barboni. Zingari romeni scappati dal loro villaggio in fiamme e accampati alla periferia di una metropoli; ragazze albanesi rapite di casa e gettate sui marciapiedi; italiani che vanno in rovina e sono costretti a defecare in strada. Vite consumate nella violenza di uno spazio aperto con i tentativi di abitarlo, i gesti quotidiani e il bisogno di ritrovare una dignità e un’ironia per stemperare il dramma. Tre racconti in cui la città fragile si sovrappone alla città di sempre collocandosi al centro della narrazione, e la vita, quella più vera e umana, prende la parola al di sopra e dentro il brusio metropolitano. Beppe Rosso, attore, regista e autore teatrale, negli anni Ottanta fonda la compagnia Granbadò Produzioni Teatrali e collabora stabilmente con il Laboratorio Teatro Settimo. Come drammaturgo scrive e allestisce con il Teatro Stabile di Torino una serie di testi che affrontano il disagio del vivere contemporaneo: Camminanti, la Trilogia dell’Invisibilità, Fantasmi d’Acciaio. Filippo Taricco, autore teatrale, ha curato un volume sulla punteggiatura per la collana «Holden Maps», collaborato con Radio 3 Rai e scritto numerosi testi allestiti da acti Teatri Indipendenti e dal Teatro Stabile di Torino.
La nuova legislazione sull’efficienza energetica degli edifici Requisiti e metodi di calcolo
Rigenerazione urbana e accompagnamento sociale Il caso di via Artom a Torino
di Vincenzo Corrado e Simona Paduos
a cura di Federico Guiati
Celid 2008 pp. 192 | € 33,00 ISBN 978-88-7661-788-1
Celid 2008 pp. 156 | € 25,00 ISBN 978-88-7661-799-7
L’emanazione dei decreti legislativi 192/05 e 311/06 sul rendimento energetico nell’edilizia ha definitivamente imposto il contenimento dei consumi energetici come requisito fondamentale della progettazione edilizia. Il volume si propone come strumento di progetto: di ogni requisito energetico citato si forniscono definizione, parametri prestazionali, valori imposti e ambiti di applicazione. In appendice al volume si riporta un’analisi delle leggi regionali in recepimento della direttiva 2002/91/CE. Il CD allegato contiene i testi integrali del decreto legislativo 192/05 (così come modificato e integrato dal decreto 311/06), le parti delle leggi finanziarie 2007 e 2008 dedicate al risparmio energetico in edilizia, e i correlati decreti ministeriali attuativi.
L’esperienza della Città di Torino sul tema del recupero e della rigenerazione urbana attraverso lo sviluppo di programmi complessi, strumenti volti all’integrazione della dimensione fisica con quella sociale del progetto urbanistico. Il Programma di Recupero Urbano di via Artom rappresenta un esempio paradigmatico di questo approccio, dove ai consistenti interventi urbanistici ed edilizi (tra cui la spettacolare demolizione di due edifici) sono state affiancate azioni di accompagnamento sociale, finalizzate a sviluppare e a consolidare le relazioni con il territorio. L’informazione e la comunicazione sugli interventi previsti, la mediazione dei conflitti, la gestione di strumenti partecipativi, la promozione dello sviluppo economico e della relazione tra gli attori locali e quelli istituzionali sono le linee guida su cui si sviluppa l’attività di accompagnamento sociale, per costruire uno sviluppo locale condiviso e capace di guardare al futuro. Il volume è integrato da un CD che contiene alcuni video, realizzati nel corso del progetto, che completano i contenuti del libro.
Vincenzo Corrado, ingegnere, professore associato di Fisica tecnica ambientale presso il Politecnico di Torino, è membro del gruppo di lavoro ministeriale incaricato della redazione dei regolamenti nazionali per l’applicazione del decreto legislativo 192/05. Simona Paduos, architetto, dottoranda di ricerca in Innovazione tecnologica per l’ambiente costruito presso il Politecnico di Torino.
Federico Guiati, architetto e dirigente della Cooperativa Sociale “Biloba”, ha sviluppato la professione negli ambiti dell’accompagnamento sociale ai programmi complessi, della gestione di processi partecipativi e dello sviluppo locale territoriale. Ha seguito tutto il percorso di accompagnamento del PRU di via Artom ed è stato responsabile del cantiere sociale di via Artom dal 2001 al 2007.
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www.iisd.org
www.lifegate.it
www.seri.at
Sito del canadese International Institute for Sustainable Development, importante organizzazione non governativa che persegue gli obiettivi della sostenibilità promuovendo processi di negoziazione internazionali. Molto interessante la sezione Media, che offre la possibilità di contattare esperti su temi specifici.
LifeGate è la piattaforma per il mondo eco-culturale, nata per diffondere valori, consapevolezza, rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Attraverso un network e progetti concreti, promuove i concetti di People, Planet e Profit, propone un nuovo modello economico in cui convivono profitti, rispetto per l’ambiente e attenzione per il sociale. LifeGate ha creato un network di comunicazione (radio, portale internet, magazine) per lo sviluppo e la diffusione del mondo dell’eco-cultura e offre alle aziende servizi di Corporate Social Responsibility per un nuovo modo di fare impresa secondo elevati standard etici, sociali e ambientali.
Il Sustainable Europe Research Institute (SERI) è un “serbatoio di idee” per esplorare le opzioni di sviluppo sostenibile nelle società europee. Nato nel 1999, è un istituto virtuale basato su internet. Sotto lo slogan “Providing knowledge for better decision” (“Offrire conoscenza per decidere meglio”) l’Istituto persegue una vasta visione della sostenibilità, dal punto di vista empirico a quello degli indirizzi politici.
www.worldwatch.org
www.wupperinst.org
www.economiaepolitica.it
È il sito del Worldwatch Institute fondato da Lester Brown, istituto di ricerca indipendente riconosciuto dagli opinion leader per il valore delle sue analisi incentrate su temi critici a scala mondiale. La sua mission è promuovere la ricerca e la circolazione delle idee per costruire una società ecologicamente sostenibile che vada incontro ai bisogni umani. Pubblica una newsletter quindicinale.
Il Wuppertal Institute for Climate, Environment and Energy si occupa di ricerca su ecologia e relazioni tra ecologia, economia e società. Il sito internet soddisfa la mission di comunicare i risultati delle ricerche a differenti gruppi di interlocutori, parlando loro nel loro proprio linguaggio. Molto interessante la newsletter quindicinale.
Rivista indipendente di critica della politica economica che offre un punto di vista alternativo sulle più importanti decisioni politico-economiche che si sono imposte recentemente: privatizzazioni e deregolamentazioni, aumento della flessibilità del mercato del lavoro, politiche monetarie e di bilancio restrittive, contrazione dello stato sociale, e molte altre. Grande attenzione a contemperare la duplice esigenza dell’approfondimento scientifico e della chiarezza e accessibilità del linguaggio dall’altro.
48 — Pubbliredazionale
Hoval: pioniere nella ventilazione domestica controllata
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Con HomeVent® recupero dell’umidità e risparmio energetico
La ventilazione domestica controllata in relazione al concetto “CasaClima” proposto in Alto Adige è un tema di grande attualità per tutta Italia. Gli edifici di moderna concezione sono costruiti in modo da consentire un maggiore isolamento. Il vantaggio: il risparmio energetico. Lo svantaggio: l’eccessiva tenuta dei serramenti impedisce il ricambio d’aria, questo causa il deterioramento del clima interno e la formazione di batteri, muffe, funghi e sostanze nocive. Hoval HomeVent® risolve efficacemente questi problemi. Si tratta di un apparecchio per la ventilazione domestica controllata con recuperatore entalpico, che assicura una migliore qualità dell’aria e costi energetici contenuti. La tecnologia Hoval per la ventilazione domestica controllata è oggi utilizzata anche su larga scala: rispetto a un sistema di condizionamento dell’aria centralizzato, gli apparecchi HomeVent® possono essere adattati alle specifiche esigenze delle singole unità abitative.
Hoval HomeVent® pone nuovi standard - La regolazione dell’umidità dell’aria (con il recupero dell’umidità) aumenta il comfort; - Grazie al suo principio costruttivo l’apparecchiatura HomeVent® aumenta l’energia recuperata dall’aria in uscita (livello di messa a disposizione di calore: circa 150% invece del 90%); - Non si crea condensa, non è quindi necessaria l’installazione di un condotto per la condensa e ciò elimina la trasmissione di cattivi odori; - Il nuovo recuperatore di calore non gela, non è quindi necessario un preriscaldamento con un captatore posato nel terreno; - È un’apparecchiatura di ventilazione che può essere utilizzata in diverse situazioni d’incasso (non si crea condensa, silenziatore per le vibrazioni integrato nel ventilatore).
Il principio dell’assorbimento L’entalpia fornisce la dimensione del livello energetico dell’aria. Se, come fatto fino a oggi, si utilizza solamente il calore sensibile dell’aria da trattare, si perde una notevole quantità di energia contenuta nell’umidità espulsa. Con l’utilizzo della tecnica d’assorbimento, ben conosciuta nella tecnica di processo per il trasporto selettivo dell’umidità, un recuperatore di calore può trasformarsi in recuperatore d’entalpia. E il risultato si traduce in un calore record disponibile che oscilla attorno al 110-150%.
Struttura e funzionamento di un recuperatore di calore a entalpia Un rotore viene incorporato in un corpo estraibile e comandato tramite un motore a corrente continua EC. Il rotore è costituito da una matrice in alluminio simile a una struttura a nido d’ape rivestita da uno strato assorbente. Tramite innumerevoli e piccoli canali, l’aria ambiente è separata dall’umidità (molecole di vapore acqueo) e dal calore e immessa nuovamente nell’ambiente. Questa tecnica è ineccepibile dal punto di vista igienico, in quanto non si ha più acqua di condensa contenente sostanze in essa solubili. Lo strato assorbente è inoltre ricoperto con un secondo strato antibatterico. Guarnizioni speciali, una camera doppia di lavaggio dell’aria e la disposizione del ventilatore, evitano il passaggio dell’aria da trattare proveniente dall’ambiente nella condotta dell’aria per da reimmettere nei locali.