Bertolucci e Signorini

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TRA GLI ULIVI A SETTIGNANO – TELEMACO SIGNORINI di Federico Giannini È difficile descrivere a parole tutta la bellezza, tutta la quiete, tutta la suggestività della campagna toscana. Difficile immaginare cosa significhi passeggiare su vialetti polverosi che scorrono tra gli alberi, meravigliarsi di quanto siano ordinati i filari di vite, fermarsi per guardare un casolare antico o una chiesa isolata sopra una collina. L'unico modo per provare queste sensazioni è andarci, in Toscana. Ma nell'attesa bisogna trovare metodi “alternativi”. Uno di questi metodi è lasciarsi trasportare dall'arte dei pittori macchiaioli, come Telemaco Signorini, che nel suo dipinto “Tra gli ulivi a Settignano” offre una delle testimonianze più alte della sua arte. Settignano, oggi frazione di Firenze, è un borgo famoso per le sue meravigliose vedute e perché è sempre stato legato all'arte: basti dire che qui sono nati Bernardo Rossellino, Luca Fancelli ma soprattutto il grande Desiderio da Settignano. E non si contano gli artisti che ben conoscevano questo luogo, che vi hanno lavorato o vi hanno soggiornato. E anche se il trambusto della Firenze di oggi è a soli pochi chilometri, a Settignano si può ancora trovare un po' di quella campagna descritta da Telemaco Signorini nella sua opera. Una stradina bianca, come ce ne sono tante in Toscana, si arrampica sopra una collina, affiancata da nodosi ulivi tra i quali giocano due ragazzini. La campagna sullo sfondo, una casa isolata tra gli alberi e le montagne in lontananza. La pittura è lieve, delicata: ben si adatta a rappresentare la calma atmosfera della campagna di Settignano. Nella pittura dei macchiaioli la luce crea piccole macchie di colore (ecco da dove deriva il nome!), che combinate assieme fanno nascere le composizioni: il pittore coglie i colori messi in risalto dalla luce, e il compito nostro, il compito di noi osservatori, è quello di distinguere gli oggetti creati da questa particolare tecnica. Una tecnica che qualcuno considera addirittura precorritrice dell'impressionismo francese. Ma rispetto all'impressionismo, la pittura dei macchiaioli rimase più ancorata alla tradizione: il disegno alla base dell'opera, infatti, era ancora ritenuto imprescindibile (del resto quasi tutti i macchiaioli erano toscani, e si conosce quanto i pittori toscani di tutti i secoli fossero legati alla tradizione del disegno). Troviamo tutte le caratteristiche della pittura macchiaiola anche in “Tra gli ulivi a Settignano”. Una pittura che ci porta nella campagna toscana e ci fa immaginare tutto ciò di cui abbiamo parlato in apertura. Una campagna bellissima, che rimarrà viva nel ricordo dei due piccoli protagonisti del dipinto, che vivono quel “caldo sogno” che Attilio Bertolucci viveva nelle assolate campagne emiliane quando aveva l'età e la spensieratezza dei due ragazzini all'ombra degli ulivi di Settignano.


ATTILIO BERTOLUCCI, “Ricordo di fanciullezza”

Le gaggie della mia fanciullezza dalle fresche foglie che suonano in bocca... Si cammina per il Cinghio asciutto, qualche ramo più lungo ci accarezza la faccia fervida, e allora, scostando il ramo dolce e fastidioso, per inconscia vendetta si spoglia di una manata di tenere foglie. Se ne sceglie una, si pone lieve sulle labbra e si suona camminando, dimentichi dei compagni. Passano libellule, s'odono le trebbiatrici lontane, si vive come in un caldo sogno. Quando più la cicala non s'ode cantare, e le prime ombre e il silenzio della sera ci colgono, quasi all'improvviso, una smania prende le gambe e si corre sino a perdere il fiato, nella fresca sera, paurosi e felici. Bertolucci: un poeta della visione, con una scrittura antitetica all’Ermetismo, apparentemente spontanea e ricca di toni biografici, ma con una connotazione fortemente realistica. Più vicino per scelte stilistiche ed intima natura a Pascoli piuttosto che a Montale, e per questo un autore atipico, in contrasto con i poeti del suo secolo. Con una forte passione per la cinematografia, passione giovanile che trasmetterà ai suoi due figli poi divenuti entrambi registi, Bertolucci osserva con sguardo nitido e partecipe il paesaggio, il mondo intorno a lui. Egli dirà: Il nostro occhio di continuo inquadra: sia che guardi un paesaggio o, che fa lo stesso, una strada di grande città, o una stanza deserta. Alle luci, cui in un film sapientemente pensa mettiamo uno Storaro, nella nostra giornata è il giro del sole, il primo addensarsi delle ombre che ci “pensa”. Per questo la sua poetica risulta essere solo in apparenza lineare e idillica e sarebbe riduttivo considerare le sue rime unicamente come semplici bozzetti impressionistici, poiché quei versi riescono a trasmettere emozioni e sentimenti con un sapiente uso del simbolismo. E quindi il paesaggio, quel paesaggio che ritroviamo anche in questo componimento fatto di giornate calde d’estate, di cicale, libellule, di fili d’erba messi in bocca per fischiare e di trebbiatrici al lavoro, risulta inquadrato da una cinepresa densa di memoria e storia. L’autobiografismo è il tratto dominante, con il suo mondo dell’infanzia, gli affetti, i luoghi cari, i ricordi, le tradizioni familiari dei quali Bertolucci si dimostra geloso poiché divengono per lui l’unico luogo di rifugio contro l’imbarbarimento della società e lo scempio del tempo che fugge e tutto cancella. Il ricordo della sua fanciullezza, quindi, è un sogno in cui perdersi e dal quale lasciarsi cullare, anche se quella corsa a perdifiato nella frescura della sera con la quale si conclude il componimento, ci lascia paurosi e felici. DIRITTI D’AUTORE


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