Dante e Canova

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LE TRE GRAZIE DI ANTONIO CANOVA di Alex Fiorini Antonio Canova è stato definito "uno dei massimi protagonisti della stagioni neoclassica e forse l'ultimo grande artista italiano di statura europea". Lo scultore di Possagno era fortemente affascinato dai movimenti sinuosi che nascono dalla danza e dal movimento, e lo possiamo notare ne “Le Tre Grazie” dove l'espressione che emerge dalle protagoniste suscita in chi osserva l'opera un sentimento di affetto e di lieta partecipazione: le dèe si abbracciano unendo i loro arti e i loro corpi in una leggiadra armonia. La morbidezza degli incarnati, unita alla tipica levigatezza con la quale il Canova realizza l'opera, è un diretto richiamo alla poetica neoclassica della quale Johann Joachim Winckelmann fu il massimo teorico. Nei suoi "Pensieri sull'imitazione delle opere greche in pittura e in scultura", l'archeologo tedesco in primo luogo esprime l'idea secondo la quale l'opera d'arte deve essere espressione del "bello ideale", e in secondo luogo che tale purezza ideale dovrebbe esprimersi sotto forma di "nobile semplicità e quieta grandezza" ("edle Einfalt und stille Größe"). Secondo Winckelmann il paradigma da prendere a esempio è l'arte greca, nella quale la bellezza delle opere emerge attraverso l'osservazione della natura, dalla quale gli artisti dovrebbero prendere spunto. Questo benché l'arte neoclassica non sia arte di osservazione ma sia arte di imitazione, intendendo però con ciò la capacità di riprodurre lo spirito dell'arte antica proponendo così all'osservatore un risultato originale. “Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l'espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un'anima grande e posata” è uno dei più celebri aforismi del critico tedesco. Una curiosità: nell'arte antica le Grazie erano rappresentate separatamente e vestite di lunghe tuniche. La classica iconografia secondo la quale le Grazie verrebbero rappresentate nude e unite nella danza si deve a Prassitele, che così inizò a raffigurarle in scultura: un'iconografia che fu poi ripresa anche dalla pittura murale romana. Le Grazie erano figlie di Zeus e di Euronimone e sorelle del dio Asòpo (una delle tante divinità fluviali della mitologia greca): erano le divinità della bellezza ma anche della felicità. Ognuna avrebbe una caratteristica peculiare: Aglaia incarna lo splendore, Eufrosine la gioia e Talia la prosperità. Alcune versioni del mito le vogliono generate da Afrodite, dea della bellezza, e da Dioniso, dio della vite ma anche della passione. In epoca moderna, vanno ricordati gli stessi soggetti ne "La Primavera" di Botticelli, e ne "Le Tre Grazie" di Tiziano, Raffaello e Rubens. Da segnalare inoltre l'Orologio delle Tre Grazie, un marmo custodito al Louvre di Etienne-Maurice Falconet del XVIII secolo. Lo scultore danese Bertel Thorvaldsen scolpì un modello de "Le Tre Grazie" ispirandosi ai modelli antichi ed entrando in competizione con Canova stesso. Per ricordare la felice riuscita del gruppo delle Tre Grazie Canova istituì tre donazioni annuali di sessanta scudi romani ciascuna, da consegnarsi ad altrettante ragazze possagnesi, povere e di buoni costumi, che si fossero sposate. Dello stesso soggetto possiamo ricordare inoltre le opere canoviane "Le Grazie e Venere danzano davanti a Marte" e la "Danza delle Grazie con amorino" oltre a tutta una serie di gessi, terracotte e marmi con soggetto ispirato da danzatrici o ninfe in movimento spesso accompagnate da amorini.


DANTE, “Guido i’ vorrei che tu e Lapo ed io”

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento, e messi in un vasel ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio, sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse ’l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch’è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d’amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i’ credo che saremmo noi.

Parafrasi Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io fossimo rapiti per incantesimo, e messi su un vascello che qualunque fosse il vento andasse per mare, obbedendo solo alla nostra volontà, in modo che la tempesta o altro tempo avverso non potessero esserci di intralcio, ma al contrario, vivendo noi sempre insieme in un’unica volontà, crescesse sempre più il desiderio di stare insieme. E poi (vorrei che) madonna Vanna e madonna Alagia insieme con quella donna che occupa il trentesimo posto il buon mago mettesse insieme con noi: e qui (sul vascello) (vorrei) parlare sempre d’amore, e (vorrei che) ciascuna di loro fosse contenta, così come credo che lo saremmo noi.


Commento Tre donne: Vanna, la donna amata da Cavalcanti, Alagia, la donna amata da Lapo, ovvero il notaio e poeta Lapo Gianni de’ Ricevuti, anche se per alcuni studiosi si tratta del poeta Lippo Pasci de’ Bardi, anch’egli in contatto con Dante. E poi la donna di Dante, quella che occupa il trentesimo posto, poiché Dante aveva scritto un’epistola in versi che elencava le sessanta donne più belle di Firenze. Non si sa chi fosse la trentesima, ma non era certo Beatrice, che occupava il nono posto. Abbiamo tre donne che sono oggetto di desiderio, ed è il desiderio d’amore ad essere l’argomento principale di questo sonetto. Il fatto che il tema amoroso sia il tema centrale ed esclusivo del componimento, è ciò che distingue nettamente la poesia degli Stilnovisti dalla precedente esperienza dei poeti siciliani e toscani. Ma ci sono anche altri tratti tipici dello Stilnovismo, come: 1) un’amicizia riservata a pochi spiriti eletti, volontariamente isolati dalla realtà storico-sociale che li circonda e che è fatta di guerre e sangue. E difatti, il riferimento “alla donna ch’è sul numer de le trenta”, è un riferimento quasi in codice, che è comprensibile soltanto a quei pochi amici che ne sono al corrente, e che sono isolati dal mondo esterno, come è ben espresso dal fatto che il luogo e il tempo della scena rappresentata nella poesia, sono indeterminati, atemporali: non a caso ricorre due volte l’avverbio «sempre», o lo spazio viene descritto come un mare quasi magico, non materiale, attraversato con un vascello che si muove per la forza di volontà e a dispetto degli agenti atmosferici. 2) l’amicizia si trasforma in una unità dei tre protagonisti che diventa superiore, spirituale, espressa bene dai versi: «al voler vostro e mio», o ancora: «vivendo sempre in un talento». Alcune curiosità In questo sonetto Dante si rifà al plazer dei poeti provenzali, un componimento in cui si era soliti elencare una serie di situazioni gradevoli che ci si augurava poi di vivere. Altra particolarità è che Dante riprende elementi dei romanzi di Re Artù, come il vascello che non è altro che la nave incantata di Merlino. Infine, in questa poesia, ci sono i tipici richiami simbolici della poetica dantesca, come il numero tre: tre sono i poeti, e tre le donne. Oppure il simbolo del cerchio: la struttura della poesia è circolare, perché il soggetto del desiderio è in primo piano all’inizio e torna in primo piano alla fine, e la voglia «di stare insieme» degli amici, produce una voglia ancora maggiore, in una sorta di “circolo virtuoso” in cui il desiderio cresce su se stesso. Tutto questo per esprimere un modello di vita perfetto, chiuso in se stesso, al riparo dai guai del mondo esterno.

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