Cavalcanti e Dosso Dossi

Page 1

APOLLO di DOSSO DOSSI di Federico Giannini Un paesaggio campestre all'imbrunire. Un dio in primo piano, solo con la sua musica, intona il suo lamento per un amore non corrisposto, finito in modo drammatico. È l'Apollo di Dosso Dossi, un Apollo che in questo dipinto smette per un attimo di essere un dio per diventare un uomo tormentato, sofferente, angosciato per un amore che non può e non potrà avere lieto fine. L'artista lascia già presagire quale sarà l'epilogo della vicenda: Dafne, la bella ninfa dei boschi amata da Apollo, è visibile in secondo piano, con le braccia protese verso l'alto che iniziano a trasformarsi in alloro. Al dio non resta altro che la magra consolazione di eleggere a pianta sacra l'alloro, che da questo momento in poi sarebbe diventato un simbolo di gloria imperitura. Apollo prova a mitigare i suoi affanni con la musica, con la sua arte prediletta. Tra le sue mani ha una lira, ma non la classica lira della tradizione greca: una rinascimentale lira da braccio, strumento con il quale i musicisti delle corti del settentrione d'Italia amavano accompagnare il loro canto. La musica era parte essenziale della vita di corte, e in particolare della corte ferrarese presso la quale Dosso Dossi lavorò: il duca Alfonso d'Este era solito intrattenersi ascoltando le rappresentazioni delle “cappelle”, gruppi di musicisti che intrattenevano i sovrani non soltanto durante le cerimonie ufficiali, ma anche in privato e durante le feste di corte. Sembra quasi di sentire le note malinconiche che escono dalla lira da braccio di Apollo: il suo è un canto accorato, dedicato alla ninfa che non vuole concedergli il suo amore. Il suo è anche un canto solitario: la città è lontana, sullo sfondo, e il dio vuole che siano soltanto le piante e gli arbusti gli unici esseri viventi che possano ascoltare il suo lamento. Intanto il sole sta ormai tramontando per lasciare spazio alla sera: gli ultimi bagliori del giorno illuminano il giovane, bellissimo e quasi effeminato volto di Apollo, un volto che ricorda le classiche composizioni di Raffaello. Gli occhi sono fissi sull'archetto e sono carichi di emotività, mentre il corpo è possente e muscoloso, e il fine manto verde calato a coprire soltanto le gambe ci lascia osservare tutto il fascino espresso dalla fisicità di Apollo. La prestanza e il vigore ispirate dal corpo del dio contrastano un po' con lo struggimento che si evince dall'espressione: anche in tale contrapposizione sta la bellezza di questo dipinto. Un dipinto, realizzato intorno al 1525, in cui i sapori raffaelleschi si mescolano a suggestioni giorgionesche: Dosso Dossi si era formato proprio studiando i capolavori del maestro di Castelfranco Veneto e aveva poi completato la sua preparazione recandosi a Roma per osservare da vicino le realizzazioni dei grandissimi del Rinascimento. E così il pittore unisce nella composizione un Apollo classico e raffaellesco a un paesaggio che ricorda alcuni dipinti di Giorgione. Il tutto per un risultato che ispira ideale bellezza e denso lirismo: due caratteristiche che fanno di questa opera un grande capolavoro.


GUIDO CAVALCANTI, “Veggio negli occhi de la donna mia”

Veggio negli occhi de la donna mia un lume pien di spiriti d'amore, che porta uno piacer novo nel core, sì che vi desta d'allegrezza vita. Cosa m'aven, quand' i' le son presente, ch'i' non la posso a lo 'ntelletto dire: veder mi par de la sua labbia uscire una sì bella donna, che la mente comprender no la può, che 'mmantenente ne nasce un'altra di bellezza nova, da la qual par ch'una stella si mova e dica: - La salute tua è apparita - . Là dove questa bella donna appare s'ode una voce che le vèn davanti e par che d'umiltà il su' nome canti sì dolcemente, che, s'i' 'l vo' contare, sento che 'l su' valor mi fa tremare; e movonsi nell'anima sospiri che dicon: - Guarda; se tu coste' miri, vedrà la sua vertù nel ciel salita - .

Parafrasi

Io vedo negli occhi della mia donna, una luce piena di sentimenti d’amore, che porta un piacere nuovo nel cuore, in modo da svegliarvi un entusiasmo vitale. Cosa mi accade, quando mi trovo di fronte a lei, io non lo posso esprimere a parole; mi sembra di vedere uscire dal suo volto e dalla sua espressione, una donna così bella che la mia ragione non può comprendere appieno, che subito ne sorge un’altra di una nuova bellezza, dalla quale sembra quasi che nasca una stella che mi dica: - È apparsa la tua salvezza -. Nel punto in cui questa donna è apparsa, si ode una voce che la precede e sembra che canti con toni benevoli esaltando il suo nome, al punto che, se la volessi misurare, capisco che la sua potenza mi farebbe tremare. E si muovono nell’anima dei sospiri che affermano: - Attento; se tu osservi costei, vedrai innalzarsi al cielo la sua potenza -.


Commento Riluce il delicato Guido Cavalcanti fiorentino, sottilissimo dialettico e filosofo del suo secolo prestantissimo. Costui per certo, come del corpo fu bello e leggiadro, come di sangue gentilissimo, così ne’ suoi scritti non so che più che gli altri bello, gentile e peregrino rassembra, e nelle invenzioni acutissimo, magnifico, ammirabile, gravissimo nelle sentenzie, copioso e rilevato nell’ordine, composto, saggio e avveduto, le quali tutte sue beate virtù d’un vago dolce e peregrino stile, come di preziosa veste, sono adorne. È questa la definizione che Lorenzo il Magnifico ha dato di Guido Cavalcanti, poeta del 1200, il quale ci ha lasciato 52 componimenti, che non costituiscono un canzoniere organico, e per questo sono stati ordinati dai critici letterari e raggruppati in base al loro stile e ai temi trattati. Minimo comune denominatore delle rime di Cavalcanti, è il dualismo tra amore ideale e amore sensibile. In conseguenza del primo, la donna angelica di Guinizzelli diventa una entità metafisica, mentre per amor sensibile si intende un sentimento irrazionale, passionale, violento, concezione che Cavalcanti riprende dal filosofo arabo Averro, il quale considerava l’amore come una passione dell’anima sensitiva, capace di oscurare la ragione umana con il turbine dei sensi e di condurre presto a morte chi ne è prigioniero. E difatti, questo dualismo, questa contrapposizione tra amore ideale e amore sensibile, non permette al poeta di liberarsi dal sentimento d’amore che lo porta gradualmente ad una situazione distruttiva. Veggio negli occhi de la donna mia, rientra tra quelle poesie in cui Cavalcanti ci dà una rappresentazione mentale della donna come oggetto d’amore. Si ritrovano qui le classiche tematiche dello Stilnovo, ovvero di quello stile che aveva cantato con rime dolci e piane la figura della donna angelo, ma allo stesso tempo si trovano tematiche nuove. Il poeta ci presenta infatti un piacer novo. In altre parole egli non fa la parte dell’amante che soffre le pene d’amore, ma veste i panni di chi finalmente è beatificato dalla donna, la quale ha il potere di salvarlo. E si va addirittura oltre, perché nei versi veder mi par de la sua labbia uscire una sì bella donna, che la mente comprender no la può, c’è la creazione di una immagine metafisica della donna, che la mente umana non può in alcun modo comprendere. In Veggio negli occhi de la donna mia sembra proprio che sia l’amore ideale ad avere la meglio sull’amor sensibile.

Guido Cavalcanti e la brigata godereccia, Miniatura del ms. 5070, c. 234 v, Bibliothèque de l'Arsenal, Parigi DIRITTI D’AUTORE


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.