Intervista a Dani Mckinney

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Per le interviste agli esperti nel mondo di Tecnologie dell'apprendimento, incontriamo Dani Mckinney, docente nel dipartimento di Psicologia di Fredonia (New York). D: Sappiamo che con i suoi studenti ha condotto un esperimento legato al podcasting, come si è concluso? Con quali risultati? R: Da uno studio scientifico condotto sull’occhio umano, ne è nata una discussione sulle modalità di apprendimento di una persona dal punto di vista uditivo e visivo. Ci siamo interrogati se l'ascolto ripetuto di una lezione potesse giovare all'interiorizzazione della stessa. Proprio per questo ho provato a somministrare ai miei allievi le lezioni in formato podcast tramite iTunes (inizialmente di letteratura, poi di matematica e statistica) e ho notato che i ragazzi che seguivano con attenzione e concentrazione la lezione fatta in aula, trovavano poi giovamento dal riascolto della stessa, mentre quegli studenti abituati ad impegnarsi poco, non solo durante la spiegazione non si preoccupavano di chiedere chiarimenti sugli argomenti più difficili, forti magari del fatto di avere la lezione già confezionata sull’iPod, ma una volta a casa non l’hanno mai ascoltata. Quando il vantaggio del podcasting è proprio il fatto che durante la spiegazione in classe può accadere che alcuni ragazzi, o perché timorosi di chiedere spiegazioni per non interrompere la prof., o perché in difficoltà nel prendere appunti, si perdano alcuni concetti espressi. E qui entra in gioco la lezione in mp3, che in questi casi fa da supporto all’apprendimento degli studenti. In definitiva, il fatto di poter risentire la lezione a casa, li ha facilitati e ha permesso loro di capire meglio tutto quanto. Il podcasting è uno strumento didatticamente molto valido, ma dipende sempre dall’uso che se ne fa, e nel nostro caso l’utilizzo da parte di alcuni studenti non è stato il migliore. A questo punto mi sono interrogata su come potessi migliorarne l’uso, responsabilizzando gli studenti che si dono approfittati di questa situazione e ho concluso che avrei potuto limitare e definire bene l’ascolto delle lezioni in formato podcast, e per questo ho deciso che gli studenti avrebbero ricevuto un massimo di tre lezioni per semestre e che le avrei fornite soltanto a chi era stato assente giustificato a lezione o a chi dichiarava apertamente di non aver compreso bene certi concetti spiegati in aula. E così ho fatto. Non la ritengo una punizione, ma soltanto un modo per insegnare ai ragazzi un uso positivo e responsabile di questo strumento. Il podcast non sostituisce la lezione, ma la integra e in alcuni casi l’arricchisce. Alcune volte può accadere infatti che in classe nascano delle discussioni su certi argomenti e che quindi l’insegnante non faccia in tempo a concludere la sua spiegazione o che abbia bisogno di fornire agli studenti degli approfondimenti. Bene, con il podcasting questo è possibile. Anche se alcuni colleghi asseriscono che con le lezioni online si rischia di spingere i ragazzi a non frequentare i corsi universitari. D: Ci ha parlato finora di un podcast fatto dall’insegnante, ma di quello creato direttamente dagli studenti, che da utenti passivi diventano attivi, di quello, cosa ne pensa? R: Ho provato a far realizzare a miei studenti un podcast di argomenti storici e perfino uno incentrato sui sistemi della psiche - i nuovi strumenti del web 2.0 sono facili da utilizzare e sono a costi zero - ed i risultati sono stati positivi perché rispetto alle lezione frontale, con il podcasting si ottiene un confronto e una interazione tra i ragazzi che così si scambiano le proprie idee imparando l’uno dall’altro. Ho infatti diviso la classe in gruppi, e ciascuno di essi ha creato un podcast su un argomento di


studio specifico, quindi i ragazzi, scaricando dal web le puntate, hanno potuto scambiarsi le proprie ricerche. D: Che uso si fa dei social network nell’insegnamento e qual è la loro utilità? R: Un tempo la ricerca scientifica si faceva in biblioteca, con enciclopedie e dizionari. Le informazioni che oggi uno studente trova in Rete, sono potenzialmente sterminate. E difatti secondo l’opinione di alcuni esperti queste informazioni sono troppe e per di più di una qualità pessima e inutile, e pertanto costituiscono una distrazione rispetto al metodo tradizionale di ricerca. Ma la questione può avere più punti di vista, perché il fatto, ad esempio, che Internet ti permetta di raccogliere in pochi attimi informazioni su di un qualsiasi argomento o personaggio, può agevolare e stimolare gli studenti a cercarle, al contrario di una ricerca fatta in una biblioteca che, essendo più complicata nelle modalità, potrebbe demotivarli e farli desistere. Di fronte ad una lezione tradizionale, ci sono studenti che nel prendere appunti scrivono tutto quanto viene detto dal professore e altri invece che scrivono il minimo indispensabile. Lo stesso discorso vale per la Rete: ci saranno studenti che nel navigare raccoglieranno tutto ciò che passa sotto tiro e altri che invece sapranno selezionare le informazioni. Allora forse il vero problema non è Internet, ma insegnare a questi ragazzi a capire quali sono i concetti basilari di un argomento, a distinguere le informazioni importanti da quelle meno, affinando le loro capacità, e facendo così in modo che sappiano sfrondare le informazioni ricevute, senza tuttavia scartare quelle più importanti. Per quanto riguarda i Social Network, vi dico che io faccio uso con i miei studenti sia di Facebook che di Twitter. Twitter è utile in campo professionale perché permette di creare un curriculum con dei link alle proprie attività che potrà essere visionato dalle aziende. Inoltre su Twitter una persona può inserire soltanto l’essenziale e questa sua particolarità applicata alla didattica, potrà abituare i ragazzi alla sintesi, oltre che alla costruzione di curriculum. La cosa pregevole di Facebook è invece la possibilità di comunicare a tutto il mondo informazioni sulla propria vita, ma in questo caso alcuni giovani ne fanno un uso sbagliato, diffondendo informazioni personali, senza criterio e senza la cognizione che potenzialmente tutti possono leggerle. E un’altra cosa che mi spaventa è la quantità smisurata di informazioni che la gente condivide, rendendo il mondo più piccolo, ma sollevando problematiche serie, da considerare e studiare. D: Chi fa uso di facebook, così come di altri social network, ha coscienza che si tratta di un mondo virtuale? R: Una statistica ci dice che le persone, specialmente i giovani, controllano il profilo facebook 20 volte in media al giorno e due volte la posta elettronica. E questo è senza dubbio un utilizzo sbagliato, esagerato, ma siamo noi adulti che dobbiamo aiutare i giovani a farne un uso positivo. Google Apps, ad esempio, permette ai ragazzi di mettere in comune un documento e di lavorarci sopra tutti insieme e nello stesso tempo, anche se poi questi ragazzi abitano in luoghi molto distanti fra loro...e questa è una cosa grandiosa, perché specie in America accade molto spesso di avere allievi che non potrebbero mai ritrovarsi a casa per svolgere un lavoro di gruppo a causa delle grandi distanze, ma con Google Apps questo oggi è possibile.


Pensate che grazie alla tecnologia possiamo parlare e vederci, ma in futuro sia noi che il nostro interlocutore potremo addirittura avere un desktop comune del computer, e magari sarà pure touchscreen, e potremo dunque lavorare in simultanea come se fossimo entrambi di fronte allo stesso schermo, anche se in realtà ci troviamo in luoghi diversi. La tv digitale offre oggi 200 canali, ma dopo una selezione si finisce per guardare solo quelli che ci interessano veramente. Le informazioni che riceviamo sono tantissime e questo porterà le persone a specializzarsi. Sempre meno tuttologi, ma più persone informate e specializzate su alcuni argomenti. D: E gli aspetti negativi di tutto questo? C’è un qualcosa che non va o che va corretto? R: Come ho detto prima, la difficoltà può arrivare dal fatto che l’individuo deve imparare ad orientarsi tra milioni di informazioni che Internet ti offre, ma è quello che dobbiamo insegnare a fare ai nostri giovani. In passato inoltre, per comunicare si usavano le lettere scritte le quali impiegavano un certo tempo per arrivare al destinatario. Oggi le email sono immediate e quindi tutta questa velocità e immediatezza ci può sopraffare, ci può travolgere. Questo rischio c’è, specialmente per un ragazzo che si affaccia per la prima volta al mondo il quale potrebbe poi non avere una concezione esatta del tempo e dello spazio. In alcuni casi la tecnologia può fare pure da distrazione, perché può capitare che i giovani ne vengano assorbiti a casa o che durante una lezione si trastullino con il cellulare e inviino sms. Ma in definitiva possiamo dire che il male non è nell’oggetto in sé, ma nell’uso che se ne fa, ed è per questo che dobbiamo insegnare ai più giovani a farne un utilizzo responsabile. D: Abbiamo letto del suo impegno con i detenuti, in cosa consiste? R: Ho lavorato nelle prigioni federali, quelle in cui vengono puniti i reati contro lo stato americano. C'erano moltissimi semianalfabeti e quindi fornivo loro testi di grammatica, ma non li apprezzavano. Ho riflettutto che la lettura è lo strumento più importante per migliorare nell’espressione orale e scritta ed ho quindi deciso di stimolare i carcerati alla lettura. Li ho divisi in gruppi, in base alle loro capacità, ed ho fornito loro i libri più adatti, con il compito di leggere almeno 100 pagine a settimana, a cui ho fatto seguire test di comprensione ed esercizi scritti, con una discussione finale svolta tutti insieme. La cosa stupefacente è che tutti si divertivano ed erano curiosi e attenti, anche se quasi nessuno di loro è poi riuscito a passare l’esame finale per prendere l’abilitazione che gli avrebbe permesso, una volta in libertà, di entrare nel mondo del lavoro. Il progetto aveva comunque dato i suoi buoni frutti, perché erano stati in molti quelli che avevano sfiorato la promozione! E difatti, una volta ripetuto il percorso, alcuni detenuti sono finalmente riusciti a superare l’esame e quando l’attività è terminata hanno tutti quanti chiesto di poter continuare questo esperimento… pensate che una volta che mi ero assentata per malattia e che la lezione era quindi saltata, al mio ritorno mi riferirono di essersi sentiti molto tristi! Del resto in America la detenzione è vista come una vera e propria punizione e di programmi di recupero sociale per i detenuti ce ne sono pochissimi, anche se in questo senso le cose ultimamente stanno cambiando.


D: Allo stesso modo dei carcerati, anche i ragazzi in molte occasioni vengono lasciati a se stessi. Il ruolo dell’insegnante non dovrebbe essere quello di fare da guida? R: Certo! Ma con l’uso delle tecnologie l’insegnante si avvicina al mondo dei ragazzi. Loro sono felici di usare strumenti che fanno parte del loro ambiente di vita e tutto questo facilita il professore che può quindi istaurare un miglior rapporto con i suoi alunni.

Ti ringraziamo Danny per le belle cose che ci hai raccontato! Grazie a voi!

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