Ritratto di Jeanne Hébuterne – MODIGLIANI di Antoniettachiara Russo
La donna amata, la propria moglie, la propria compagna di vita. Angelo del focolare, sposa che divide il letto nuziale, musa ispiratrice: molti artisti anno dedicato componimenti e dipinti alle loro amate, cercando di fissare con parole o immagini la natura dei sentimenti che li legava ad esse. Amedeo Modigliani, di origine livornese, conobbe Jeanne a Parigi, dove visse in povertà fino alla morte. Il rapporto tra il pittore e la sua compagna fu estremamente tormentato: ai continui tradimenti di lui, inaspriti dalle crisi di alcolismo, Jeanne opponeva una fedeltà e una dedizione totale. Tuttavia, l'amore di Modì per la sua compagna traspare nella messe dei ritratti, in cui a essere rappresentata, di volta in volta, è una Jeanne sempre diversa: Jeanne innocente e fresca nel suo amore giovanile, Jeanne donna sensuale e seducente, Jeanne trasformata in idolo, simulacro di una primigenia fertilità, Jeanne donna dal profilo intellettuale altissimo, Jeanne compagna dei tormenti. “Jeanne seduta di fronte all'uscio” ritrae la giovane, incinta della loro seconda creatura. La composizione del quadro è estremamente tesa sulle diagonali e gioca sull'equilibrio dei colori accesi. La torsione del corpo, bilanciata dal movimento opposto del collo e del viso, mette in evidenza il pancione della ragazza, protetto dalle braccia coperte da una camicetta bianca, resa con un bianco puro che isola visivamente la forma tondeggiante del ventre di Jeanne. Si tratta quasi di un doppio ritratto, per l'importanza assegnata a quella vita che, sebbene invisibile, cresce e modifica il corpo della donna. Modigliani sceglie di rappresentare Jeanne come simulacro della vita: il corpo della donna è esso stesso un mistero, regale e delicata nell'appoggiarsi alla sedia, sembra si stia alzando. Le parole di Saba, seppure scritte nel 1911, nove anni prima dell'esecuzione di questo ritratto, potrebbero da sole accompagnare il dipinto: oltre le spiegazioni di contesto, oltre i riferimenti iconografici, il ritratto di Jeanne e la poesia di Saba costituiscono un monumento alla donna amata, donna proprio perché in lei, solo in lei, nasce la vita, ed è proprio questo miracolo che le dona fermezza e dolcezza, timore per il futuro e coraggio di lottare e difendere il proprio nido. Sebbene la creatura di Jeanne e Amedeo non abbia visto mai la luce (Modigliani morì di tubercolosi pochi giorni dopo l'esecuzione di questo dipinto e Jeanne si suicidò il giorno dopo la sua morte), il suo ricordo e la rete delle emozioni e dei sentimenti che essa suscitò nei suoi giovani genitori rimangono ben visibili impressi sulla tela, sospesi nella tessitura visiva e compositiva del dipinto. Al di là della rappresentazione, al di là delle letture critiche che se possano fare, insieme a Jeanne è seduto di fronte all'uscio, anche la creatura che Jeanne porta in grembo; e forse, l'ultima immagine che il pittore ci restituisce della sua compagna, è proprio quella di una donna che, oltre i tormenti e le difficoltà, è al tempo stesso un essere materno che protegge e un santuario della vita che non dovrebbe mai essere né violato né offeso, ma protetto e tutelato con tenero amore.
UMBERTO SABA, “A mia moglie”
Tu sei come una giovane, una bianca pollastra. Le si arruffano al vento le piume, il collo china per bere, e in terra raspa; ma, nell'andare, ha il lento tuo passo di regina, ed incede sull'erba pettoruta e superba. È migliore del maschio. È come sono tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio, Così se l'occhio, se il giudizio mio non m'inganna, fra queste hai le tue uguali, e in nessun'altra donna. Quando la sera assonna le gallinelle, mettono voci che ricordan quelle, dolcissime, onde a volte dei tuoi mali, ti quereli, e non sai che la tua voce ha la soave e triste musica dei pollai. Tu sei come una gravida giovenca; libera ancora e senza gravezza, anzi festosa; che, se la lisci, il collo volge, ove tinge un rosa tenero la sua carne. Se l'incontri e muggire l'odi, tanto è quel suono lamentoso, che l'erba strappi, per farle un dono. È così che il mio dono t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga cagna, che sempre tanta dolcezza ha negli occhi, e ferocia nel cuore. Ai tuoi piedi una santa sembra, che d'un fervore indomabile arda, e cosĂŹ ti riguarda come il suo Dio e Signore. Quando in casa o per via segue, a chi solo tenti avvicinarsi, i denti candidissimi scopre. Ed il suo amore soffre di gelosia.
Tu sei come la pavida coniglia. Entro l'angusta gabbia ritta al vederti s'alza, e verso te gli orecchi alti protende e fermi; che la crusca e i radicchi tu le porti, di cui priva in sĂŠ si rannicchia, cerca gli angoli bui. Chi potrebbe quel cibo ritoglierle? chi il pelo che si strappa di dosso, per aggiungerlo al nido dove poi partorire? Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine che torna in primavera. Ma in autunno riparte; e tu non hai quest'arte. Tu questo hai della rondine: le movenze leggere; questo che a me, che mi sentiva ed era vecchio, annunciavi un'altra primavera.
Tu sei come la provvida formica. Di lei, quando escono alla campagna, parla al bimbo la nonna che l'accompagna.
E cosĂŹ nella pecchia ti ritrovo, ed in tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio; e in nessun'altra donna.
Commento Se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia per sua moglie, scriverebbe questa. È così che Saba si esprime riferendosi a questo componimento del 1911, dedicato alla moglie Lina, con la quale ebbe sempre un legame profondo. Per celebrare la moglie, una presenza frequente nel suo Canzoniere, Saba sceglie un modo insolito, singolare, poiché la paragona a vari animali: la gallina, la giovenca, la cagna, la coniglia, la rondine, la formica, l'ape, ovvero i sereni animali che avvicinano a Dio, come troviamo scritto nel componimento. E di ciascun animale coglie le migliori qualità, e quindi la moglie Lina ha il portamento eretto e superbo della gallina. Infatti scrive: ha il lento tuo passo di regina, ed incede sull'erba pettoruta e superba. Adesso ha quel sentimento materno, lieto e festoso della giovenca. Mentre della cagna ha la devozione incondizionata, un amore tenace, ma fatto anche di gelosia per il suo uomo. Come la coniglia inoltre, anche la moglie appare quasi indifesa, con la sua generosità totale, mite e inerme: Entro l'angusta gabbia ritta al vederti s'alza, e verso te gli orecchi alti protende e fermi; Lina è poi come la rondine dalle movenze leggere e che fa rifiorire la primavera nella vita triste e vecchia del poeta; ma la rondine in autunno riparte; e tu non hai quest'arte, dal momento che la moglie, al contrario dell’uccello migratore, non abbandona la propria casa, e quindi è fedele. È poi paragonata alla formica, la provvida formica, che previdente e laboriosa mette via le provviste per l’inverno e si trasforma infine nell’instancabile pecchia, l'ape. Tutto il componimento è pervaso da un sentimento di intensa tenerezza e dolcezza, accentuate entrambe da un tono apparentemente ingenuo, quasi infantile: il poeta guarda al mondo della natura con occhi semplici, avvertendo in essa le migliori qualità e la condizione di maggiore vicinanza a Dio. E nel cantare l’amore per la sua donna, sceglie una strada che si discosta totalmente da quella della tradizione lirica italiana, poiché eleva a poesia ciò che è quotidiano, familiare e che dagli altri è considerato come vile, facendo uso di un linguaggio tipico della lingua parlata, fatto di toni colloquiali, con un rifiuto netto del lessico ricercato di D’Annunzio. Saba infatti elimina tutto ciò che è artificioso, fa un uso sporadico delle figure retoriche, mentre ricorre alla rima baciata, disdegnata dagli altri poeti perché ritenuta banale.
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