Cuore Amico n. 3 2011

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Non Non una una sola sola ma ma due due cime cime per per la la

Montagnaterapia 2011

ARRIVA IL PACEMAKER ANTI-IPERTENSIONE – LAZIO, PIÙ ANGIOPLASTICHE CIOÈ MENO BY PASS ECODOPPLER: PREZIOSO PER DIAGNOSI CARDIACHE – AFFRONTARE L’INVERNO SENZA LA BRONCHITE Periodico di informazione dell’Associazione Cuore Sano – Anno X VI - n.3 luglio-settembre 2011


Ne soffre più della metà degli ultra 55enni

Arriva il pacemaker anti-ipertensione di Marco Renzi*

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ltre un milione di italiani affetti da ipertensione resistente ai farmaci ha, da oggi anche in Italia, una speranza in più. Uno stimolatore delle dimensioni di un pacemaker impiantato sottocute può fare ciò che i medicinali non sono più in grado di ottenere: riportare la pressione del sangue a valori definitivamente normali. Il dispositivo anti-ipertensione si chiama Rheos e, da dati clinici preliminari su casistiche limitate, ha dimostrato di funzionare efficacemente.Il pacemaker consiste in un generatore di impulsi, collegato con elettrodi al seno carotideo bilateralmente ed è impiantabile con un intervento chirurgico mininvasivo. Con un sistema di telemetria è possibile agire dall’esterno sulla funzionalità dello stimolatore. L’effetto della stimolazione provoca riduzione dell’attività nervosa simpatica (reni e circolo periferico), vasodilatazione, rallentamento della frequenza cardiaca e, di conseguenza, abbassamento della pressione arteriosa. L’utilizzo del pacemaker antiipertensione apre orizzonti nuovi nella terapia dell’ipertensione arteriosa . E’ importante sottolineare che, contrariamente a quanto si crede, attualmente siamo ancora lontani dall’avere a disposizione terapie risolutive per questa patologia, che rappresenta uno dei principali fattori di rischio per patologie cardiovascolari (ictus, infarto, aneurisma dell’aorta addominale) e renali. Basti considerare che l’ipertensione arteriosa colpisce il 20% della popolazione generale, e più del 50% della popolazione con età superiore a 55 anni, ma, allo stato attuale, in nessun paese al mondo si riesce a normalizzare i valori pressori in più del 40% dei pazienti ipertesi. Uno dei principali motivi di questo insuccesso terapeutico è l’efficacia solo parziale della terapia farmacologica. Pur avendo a disposizione molte classi di farmaci,

Si tratta di un’alternativa ai farmaci, che solo in una parte della popolazione rioescono a normalizzare i valori pressori. E’ ancora in fase di sperimentazione. I primi a beneficiarne saranno i cittadini di Lombardia, Toscana, Emilia

la normalizzazione della pressione arteriosa richiede spesso una politerapia. L’assunzione di 2-3 farmaci è sempre la regola per un paziente iperteso e non è infrequente dover ricorrere a 4-5 farmaci. Poiché queste terapie vanno assunte in modo cronico per decenni, sorgono numerosi problemi non solo di tollerabilità, ma anche di aderenza allo schema terapeutico. Tutti gli studi dimostrano che la non aderenza allo schema terapeutico prescritto dal medico è una delle principali cause di insuccesso nella terapia dell’ipertensione arteriosa. La possibilità, quindi, di avere un approccio diverso, per poter affrontare questo importante problema di salute pubblica, potrebbe aprire orizzonti terapeutici nuovi. Il pacemaker anti-ipertensione, infatti, essendo un dispositivo impiantabile, supera il classico concetto di farmaco e apre la strada verso terapie innovative che possono risolvere problemi importanti come quello della mancata aderenza all’assunzione continuativa dei farmaci. In questa prima fase, saranno presi in considerazioni solo quei pazienti che presentano una ipertensione “resistente”, cioè non controllabile con i farmaci che abbiamo a disposizione. In Italia, unico paese europeo, sta per essere avviato uno studio sul pacemaker anti-ipertensione, che negli Stati Uniti, negli ultimi 4 anni, è stato già impiantato su più di 300 persone. I primi pazienti a beneficiarne saranno quelli della Lombardia, della Toscana e dell’Emilia Romagna. Lo stimolatore costerà alle regioni circa 15.000 euro. Se la sperimentazione avrà successo, l’utilizzo del dispositivo potrà essere allargato a fasce sempre più ampie di pazienti ipertesi e offrire un contributo significativo a sconfiggere quello che gli americani chiamano il “Killer silenzioso”. * Dirigente medico Uoc Cardiologia S. Spirito

Il dottor Marco Renzi

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Sono più del previsto le persone a rischio di infarto ed ictus

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ove milioni di italiani ad alto rischio cardiovascolare. E questo rischio è alimentato da tre fattori: il minor tempo di istruzione (si conoscono poco o si ignorano regole elementari di vita sana), l’avanzare degli anni, l’aumento del peso corporeo. Sono i risultati di massima di una indagine su 7mila assistiti in 421 ambulatori di medici di famiglia, realizzata dall’Università di Milano (Servizio di epidemiologia e farmacologia preventiva) in collaborazione con la Società italiana dei medici di famiglia (Smig). lo studio Check, questo

è il nome della indagine, ha fornito una preoccupante novità: sono ad alto rischio uomini e donne che, secondo i parametri tradizionali, sarebbero invece considerati a rischio medio. Le diverse conclusioni derivano dall’avere incluso la proteina C reattiva (un rilevatore delle infiammazioni) nelle analisi del sangue. In base invece ai tradizionali parametri di rischio cardiovascolare globale, l’81% degli italiani sono a rischio basso; solo il 4% ha un rischio alto e assume farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale, mentre il 15% (quasi nove milioni) ha un

rischio medio. In pratica, lo studio Check trasferisce quasi interamente la quota 15% dal livello medio al livello alto di rischio. Chi sono le persone che diventano più a rischio? S’è detto dei tre fattori, si aggiunga che in gran parte “si tratta di una fascia di popolazione – è il commento del dottor Alberico Capatano, che ha presieduto il recente congresso della Società italiana di Terapia clinica e sperimentale – cui non vengono somministrate gratuitamente le necessarie terapie mediche e farmacologiche perché non considerate in pericolo”.

Pressione, punto-vita, indice di massa corporea

Tre semplici regole per salvare il cuore

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rima di ogni altra cosa (esami del sangue, visita medica, ecc.), ognuno di noi – e a maggior ragione il cardiopatico – è opportuno che verifichi in quale misura il proprio organismo rispetti tre semplici regolette che, benché arcinote, non sarà mai superfluo ricordare. Anzitutto il valori della PRESSIONE. Il valore medio, che si applica alla persona sufficientemente sana, è che la massima non superi quota 140, e che la minima non superi quota 90. Chi ha subìto un evento cardiaco o cardiovascolare è necessario che si attenga a quote più basse: massima non superiore a 130, minima non superiore a 80. E’ opportuna una misurazione settimanale, a riposo almeno da dieci minuti, seduti o supini, il braccio (indifferente se destro o sinistro) all’altezza del cuore. In caso di valori ripetutamente superiori, è il

caso di rivolgersi al proprio medico. Un altro fattore di rischio è rappresentato dal superamento del così detto PUNTOVITA. Si tratta di un accertamento estremamente semplice e assai utile ai fini preventivi: basta controllare con un metro a nastro che la circonferenza addominale, all’altezza dell’osso dell’anca, non superi i 102 cm per l’uomo e 88 cm per la donna. I

margini di tolleranza sono talmente minimi che, da più parti (soprattutto tra diabetologi e cardiologi), ci si interroga se non sia il caso di abbassare di 8 cm il limite della circonferenza addominale: 94 per l’uomo e 80 per la donna. Terza regola, l’INDICE DI MASSA CORPOREA. Con l’Imc si mette in rapporto il peso corporeo con l’altezza. Come si stabilisce questo rapporto? Con una banalissima operazione aritmetica: peso (in kg) diviso per l’altezza al quadrato espressa in centimetri (non usare la virgola). In buona sostanza se peso 80 chili e la mia altezza è 160, ecco che l’operazione sarà 80: (16x16) = 31,25, cioè l’Imc tanto per l’uomo quanto per la donna. Ed ecco l’analisi dei possibili risultati: più di 40, grave obesità; da 40 a 30 sovrappeso obeso; da 30 a 25 sovrappeso; da 25 a 18,5 normopeso, meno di 18 magro.

Si ringrazia la Abott Vascular Knoll-Ravizza per il sostegno economico per la pubblicazione di questo giornale


L’impatto del programma-valutazione esiti sulla qualità dell’assistenza medica

Lazio: più angioplastiche cioè meno bypass di Marina Davoli*

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a misura e la valutazione comparativa degli esiti degli interventi sanitari sono considerate strategie fondamentali per promuovere la qualità e l’equità dell’assistenza sanitaria. L’impatto della pubblicazione dei risultati di esito sulla qualità dell’assistenza sanitaria sono argomento di dibattito nella comunità scientifica. Negli ultimi anni sono stati sviluppati in Italia programmi nazionali e regionali di valutazione comparativa degli esiti degli interventi sanitari attraverso l’uso di sistemi informativi. In questo ambito si colloca il Programma regionale di valutazione degli esiti (P.Re.Val.E) della regione Lazio (www.epidemiologia.lazio.it/vislazio/vis_index.php). Il nostro obiettivo è valutare se la pubblicazione dei risultati del più recente P.Re.Val.E. (che risale al 2006-07) sia associata ad un cambiamento degli indicatori di qualità, al netto delle possibili differenze di case-mix dei pazienti e di un naturale processo di miglioramento nel tempo. A questo scopo sono stati selezionati due indicatori di processo, ben noti tra i professionisti per essere proxy di esito (tempestività degli interventi di rivascolarizzazione cardiaca e di chirurgia per frattura di femore) e un indicatore di processo (proporzione di parto cesareo) sul cui valore, nonostante le evidenze di letteratura, non esiste unanimità tra i professionisti. E’ stato valutato il cambiamento della performance ospedaliera nel tempo di questi indicatori, nel Lazio e confrontato con le altre regioni italiane, dove non è stata effettuata alcuna diffusione pubblica dei risultati di esito. Dopo la pubblicazione del P.Re.Val.E., la proporzione di angioplastica coronarica entro le 48 ore dopo l’infarto acuto del miocardio è aumentata del 31% (p<0.001), dal 22.5 nel 2006-07, e dal

29.4% nel 2008-09. Nelle altre regioni è stato registrato un incremento relativo pari al 21% (p<0.001), dal 22.5 e dal 27.1%. Tra il 2003 e il 2007 si osserva un trend crescente sia per il Lazio che per le altre regioni italiane; dopo il 2007 l’incremento registrato nel Lazio è maggiore di quello osservato nel resto d’Italia. Questo significa che probabilmente si possono ridurre gli interventi di bypass. La proporzione di fratture del collo del femore operate entro le 48 ore è aumentata del 34% nel Lazio, dall’11.7% del 2006/7 e dal 15.8% del 2008/9. Nelle altre regioni la proporzione è rimasta stabile (29.4% nel 2006/2007 e 28.6% nel 2008/2009). Non si osservano variazioni rilevanti fino al 2006; a partire dal 2007 nel Lazio si osserva un chiaro trend di crescita, mentre nelle altre regioni italiane l’andamento rimane stabile. La proporzioni di interventi chirurgici entro 48 ore nel Lazio nel periodo 2008-9 è solo del 16%, quasi la metà delle altre regioni. La proporzione di parti cesarei primari è aumentata lievemente nel Lazio (dal 34.5% al 35.3%) mentre nelle altre regioni ha subito una lieve flessione (dal 30.5% al 28.1%). Da qui un possibile effetto positivo della pubblicazione dei risultati del P.Re.Val.E.. L’area ortopedica sembra essere quella maggiormente interessata sebbene il valore osservato sia molto inferiore rispetto a quello delle altre regioni. La proporzione di interventi di rivascolarizzazione dopo infarto del miocardio nel Lazio è in linea con quella delle altre regioni, con un aumento più importante nel Lazio dopo il 2007. E’ in corso un’analisi specifica dell’impatto del P.Re.Val.E. sull’area cardiologica, considerando indicatori più specifici, come offerta di angioplastica su infarti più estesi (da sopraslivellamento del tratto ST) e mortalità a 30 giorni dopo infarto. Come

1) inserimento dello stent; 2) espansione dello stent; 3) lo stent rimane nell’arteria.

atteso, non si sono osservati cambiamenti nella proporzione di parto cesareo. Sebbene per un’analisi più approfondita dei possibili determinanti del cambiamento è necessario un periodo di osservazione più lungo, i risultati dello studio sembrano confermare l’utilità della valutazione di esito come strumento per il governo clinico. * Direttore Dipartimento Epidemiologia SSN-Regione Lazio

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6 In vigore la legge che fissa criteri e modi per diffondere i defibrillatori automatici

Un altro passo in avanti per la “messa in sicurezza” dei colpiti da arresto cardiaco di Antonio Cautilli*

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on dieci-anni-dieci di ritardo, è appena entrata in vigore una legge – sostanzialmente attuativa della diffusione dell’uso del defibrillatore semiautomatico da parte di personale non sanitario – che fissa criteri e modalità per favorire la diffusione di questi strumenti essenziali per salvare la vita delle sempre più numerose vittime di arresto cardiaco. Già, perché la prima legge è del 2 aprile 2001 che, all’articolo uno stabiliva che “è consentito l’uso del Defibrillatore Semiautomatico (DAE) in sede extraospedaliera […] al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardiopolmonare..” Nasceva così anche in Italia, e con grande ritardo, la speranza che la lotta all’arresto cardiaco fosse giunta ad una svolta decisiva: che cioè nel giro di poco tempo si potesse disporre sul territorio nazionale di una adeguata rete di defibrillatori in grado di salvare vite umane. E’ noto ormai da tempo che l’arresto cardiaco è una delle principali cause di morte

nei paesi occidentali: in Europa colpisce oltre mezzo milione di individui l’anno; nella stragrande maggioranza dei casi, alla base di un arresto cardiaco vi è una grave aritmia, la fibrillazione ventricolare che può essere interrotta soltanto con l’uso del defibrillatore che, erogando una scarica elettrica, è in grado di ripristinare un ritmo cardiaco valido. Ma un’arma così efficace come il defibrillatore ha il suo tallone d’Achille nel fattore tempo: per essere realmente efficace deve essere utilizzato nei primissimi minuti dell’arresto cardiaco. Da qualche anno tutte le ambulanze del 118, anche quelle senza medico a bordo, sono dotate di defibrillatore. Ma purtroppo il tempo medio dalla chiamata all’arrivo dell’ambulanza varia da 5 a 15 minuti, un tempo decisamente troppo lungo per prevenire danni irreparabili a carico del cuore e del cervello. In corso di arresto cardiaco infatti, dopo 4-5 minuti iniziano i danni cerebrali che diventano irreversibili dopo 8-10’. Durante questo tempo la sopravvivenza della vittima dipende dalla prontezza di riflessi degli astanti ca-

I tre ultimi corsi dell’anno per parenti di cardiopatici Sono previsti per fine settembre, ottobre e novembre gli ultimi tre corsi dell’anno organizzati dalla Cardiologia del S. Spirito per i familiari di pezienti cardiopatici che desiderino partecipare ai corsi di rianimazione cardiopolmonare (BLSD) per fronteggiare un’emergenza esercitandosi anche all’uso del defibrillatore semiautomatico su un manichino dalle fattezze umane. I corsi hanno una durata di cinque ore, e al termine del corso verrà rilasciato un certificato di partecipazione. Per ulteriori informazioni e per le iscrizioni rivolgersi alla segreteria del reparto di Cardiologia, tel. 06.68352323. I corsi, di cui è direttore e coordinatore il dr. Antonio Cautilli, si terranno, sempre allo stesso orario (dalle ore 14,30 alle ore 19,30) lunedì 19 settembre, lunedì 17 ottobre e lunedì 21 novembre.

paci di realizzare le manovre di rianimazione ed utilizzare un DAE per la defibrillazione. In realtà, l’entusiasmo suscitato dalla legge del 2001 era durato assai poco; salvo alcune sparute iniziative locali (dove la distribuzione dei DAE sul territorio, ed in particolari punti strategici ad alto afflusso di persone, ha realmente dimostrato un incremento del tasso di sopravvivenza dopo arresto cardiaco) ben poco si è fatto affinché la collocazione dei DAE fosse realmente capillare: molti aeroporti, stazioni ferroviarie, centri sportivi continuano ad essere sprovvisti di questo utilissimo strumento terapeutico. Finalmente, sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicata una nuova legge, sulla “Determinazione dei criteri e delle modalità di diffusione dei defibrillatori automatici esterni”, che consente di individuare i criteri e le modalità per favorire la diffusione dei defibrillatori semiautomatici e fissare i criteri per l’utilizzazione delle risorse stanziate (per il Lazio, nel triennio 2010/2012, 749.664 euro). Con questo provvedimento vengono spinte le regioni a realizzare programmi per la diffusione e l’utilizzo di DAE, indicando i criteri per l’individuazione dei luoghi dove deve essere garantita la disponibilità, nonché le modalità della formazione degli operatori addetti. Si tratta sicuramente di un piccolo passo avanti. Se non che purtroppo lo scopo di questa nuova legge è soltanto quello di sollecitare programmi, mentre da tempo si attendeva una legge che rendesse obbligatoria la diffusione dei DAE. L’auspicio è dunque che si approvino realmente programmi mirati alla collocazione capillare dei DAE attraverso una distribuzione strategica in grado di favorire la defibrillazione entro 4-5 minuti dall’arresto cardiaco, ossia prima dell’interven-


to delle ambulanze. In particolare, bisogna collocare questi strumenti – facili da usare – in luoghi di grande frequentazione o ad alto afflusso turistico. Vengono suggerite anche le aree per postazioni fisse: strutture sanitarie e poliambulatori; luoghi in cui si pratica attività sportiva agonistica e non; cinema, teatri, parchi divertimento, discoteche, strutture ricreative, stadi, luoghi dove si registrano ele-

vati flussi di persone; scali di trasporto aerei, ferroviari e marittimi; centri commerciali, alberghi, ristoranti, stabilimenti balneari e stazioni sciistiche; scuole, università, uffici, farmacie. Per le postazioni mobili sono indicati i mezzi di Polizia, Carabinieri, Vigili del fuoco e Guardia di Finanza. I defibrillatori dovranno essere collocati in posti facili da raggiungere, con un car-

tello che ne indichi la presenza con il simbolo del DAE ben visibile. Si auspica inoltre la promozione di corsi di formazione ed addestramento (come già fa da anni la Cardiologia del S. Spirito) con l’obiettivo di divulgare il più possibile tra la popolazione la conoscenza dell’utilità dell’uso dei DAE e di permetterne l’utilizzo in piena sicurezza. * Dirigente medico Uoc Cardiologia S. Spirito

Il dr. Claudio Coletta, cardiologo del S.Spirito ha scritto un romanzo, “Viale del Policlinico”

Giallo in corsia, metafora degli Anni Settanta di Roberto Ricci*

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a forma del giallo? Un escamotage per rendere una stagione, quella del post-sessantotto, per rendere testimonianza di un clima. In fondo anche per fare i conti con se stessi”. Claudio Coletta, cardiologo al Santo Spirito, ha esordito come autore di un romanzo (“Viale del Policlinico”, Sellerio ed.) che è insolito e accattivante: la vita di uno studente dentro il più grande ospedale universitario romano, l’assassinio di un luminare, una sequela di vendette. Ma se non è un giallo, o almeno non è solo questo, che cos’è? E poi: Lorenzo, il protagonista, è la maschera di Claudio? «Mi interessava il contesto, di cui può essere specchio anche la tradizionale vita ospedaliera di un tempo nemmeno troppo lontano. Certo mi sono basato anche sulla mia esperienza di studente, ma in modo vago, volutamente impreciso. No, non sono Lorenzo. L’unica storia vera, la morte del suo amico, è quella che sembra inventata. E invece lì c’è il mio vissuto, la mia memoria ancor dolente.» Allora quanto l’esperienza giovanile di Claudio Coletta – in quei tormentati Anni

corsia del famoso primario con codazzo di assistenti e allievi, e un dibattito del collettivo studentesco che sta per occupare la facoltà, Lorenzo e il suo amico facciano una scoperta raccapricciante, non è una casualità.»

Settanta e in quel Policlinico – ha pesato nella stesura del libro? «Non è una domanda facile, ma non voglio girarci intorno. D’altra parte ho già detto che sentivo l’esigenza di fare i conti con i miei (con i nostri) tormentati Anni Settanta. Come dire che molti di noi, in quella stagione, avevamo dentro un’etica del comportamento che credevamo o almeno speravamo servisse a costruire e vivere una società più giusta. Una società dove le relazioni interpersonali non fossero determinate dal solo motore economico, qualcuno direbbe da quelli che un tempo si chiamavano rapporti di classe. Purtroppo questo disegno è fallito. Che poi – nel romanzo – tra lezioni, visite in

Diciamo una metafora, dal momento che, trattandosi di un giallo pur sui generis, tutto farò tranne che anticiparne qui la trama? «Risponderò con una piccola rivelazione. Quando ho cominciato a metter mano al libro sono stato a lungo indeciso in quale tempo esatto collocare la storia: se alla morte (1970) dell’indimenticabile Janis Joplin, che lottava, con la sua voce e la sua band, per ideali di uguaglianza ancora da conquistare come la parità tra bianchi e neri; o se collocarla ai giorni del sequestro del giudice Sossi (1974), la prima clamorosa impresa delle Br. Poi ho optato per Sossi. Ma, esattamente come per l’altro evento, avevo solo da chiedermi e chiedere se fosse l’inizio o la fine di un’epoca…» (g.f.p.)

Il dottor Claudio Coletta

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Montagnaterapia alla settima edizione: un successo straordinario

Quando i cardiopatici in riabilitazione riescono a conquistare le montagne

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ontagnaterapia, edizione numero sette: forse la migliore tra le esperienze che si son vissute negli anni. Non che quelle del passato fossero da buttar via. Ma volete mettere (voi che non avete partecipato) la inedita varietà delle imprese? la molteplicità delle pratiche non solo escursionistiche ma anche naturalistiche e culturali? l’ottima resa fisica e psicologica dei sedici volontari? e, non da ultimo, l’eccezionale sostegno che ad essi hanno dato, con generosa abnegazione, i cardiologi, lo psicologopsicoterapeuta e l’infermiere professionale e la guida che hanno sostenuto la “spedizione” sulla catena del Terminillo? “Catena”? Già, perché a differenza delle altre volte, la cima e l’anticima conquistate sono state due: quella del monte Porcini (1.982 m.) e quella – la vera e propria cima è stata negata da un pericoloso nuvolone: ci si è dovuti fermare a quota 2.100 – del monte Terminillo (2.217). E, altro “primato”, sui due monti la salita (dal Rifugio Sebastiani, che è a milleotto) è stata compiuta nella stessa giornata: di mattina l’una e di primo pomeriggio l’altra. Ma...Ma con una differenza: sui Porcini son saliti tutti i pazienti e le due accompagnatrici, in buona parte muniti anche degli ormai tradizionali bastoni del Nordic Walking: mentre sulla seconda si sono arrampicati in quattro (più una accompagnatrice) e, ovviamente, le squadre mediche al completo

Sedici pazienti (tra cui sette neofiti) per due giorni a metà giugno sul massiccio del Terminillo per iniziativa della Cardiologia del Santo Spirito e dell’Associazione Cuore Sano. Ottima la resa fisica e psicologica. Il paziente e generoso ruolo dei medici, dello psicologo e dell’infermiere professionale che hanno accompagnato il gruppo. del Santo Spirito e di Rieti. Il particolare dello scarto da sedici e quattro, è segnalato forse per fare la conta dei buoni e dei meno buoni? Al contrario: per rilevare che si è trattato di una scelta autonoma di ciascun paziente, una scelta non dettata (tranne in un caso) da malori o accenni di disturbi fisico-psichici, ma, come ha sottolineato Giulio Scoppola, da una apprezzabile auto-valutazione, anche delle proprie potenzialità, ma in cui entrano evidentemente differenti elementi che fanno parte della personalità e della reattività di ciascuno. Due parole a proposito dell’unica scelta (di non fare il bis pomeridiano) in qualche modo necessitata. L’ha compiuta una accompagnatrice che di recente aveva subìto un intervento per fronteggiare alcuni problemi respiratori. I segnali di qualche sua

difficoltà si erano manifestati a metà della salita ai Porcini. Segnali invero di modesta portata, tali da non destare preoccupazione (e non da costringere la signora a rinunciare a questa prima gita) ma da esigere comunque una qualche attenzione, una – come dire ? – specifica assistenza. E allora chi meglio del dr. Scoppola, tanto per la sua professione quanto per la sua grande esperienza in montagna, poteva darle una mano, conversando a lungo con lei dei suoi problemi, mentre si saliva, e indicandole intanto, anche passo per passo, le alternative più agevoli sui sentieri. Insomma, anche lei è giunta in cima. Come è giunto indenne al rifugio, al termine del secondo e più impegnativo percorso, quel paziente (uno dei veterani e per giunta frequentatore di montagne da quand’è nato) che in discesa ha messo il piede su una pietra instabile ed ha rischiato - solo rischiato – una pur innocua scivolata. Fatto sta che, subito dopo il passo falso, il paziente si è trovato come fosse una fetta di prosciutto, “coperto” davanti da Francesca Lumia e dietro da Giulio Scoppola, che non lo hanno mollato praticamente sino al rifugio, sorvegliandolo di sottecchi, senza dar nell’aria e men che mai dichiarando la loro funzione di copertura. Anche il paziente ha fatto finta di niente per tutto il tempo, salvo poi a segnalare il piccolo ma significativo gesto durante il briefing finale in rifugio. Ah, anche quella riunioncina informale (come quella che si era svolta all’arrivo, il giorno prima) va ricor-


data, e pure per altre ragioni, quasi di auto e reciproca coscienza. Una infatti si è chiesta: perché solo due accompagnatrici di pazienti? come mai tanto disinteresse da parte dei compagni o delle compagne delle/dei pazienti? Un’altra, invece: ho lasciato tutto e tutti a casa, è la prima volta che penso solo a me stessa, e ne sono felice. Un novizio: lo ammetto, ero diffidente, ma ora sono entusiasta e farò propaganda. Un altro: ho appena compiuto sette mesi di by pass, e ce l’ho fatta, io che non credevo di potermi trovare qui… Trovarsi in cima, al rifugio, altrove. Già, perché se anche quest’anno la Montagna-

consumare una colazione al sacco, con contorno del solito pasticcione che non solo si era arrampicato su uno scomodo tronco ma per giunta ha fatto rotolare giù una scatoletta…Poi una attenta visita guidata (grazie, architetto Dionisi!) alla città medievale, ai suoi portali e alle sue splendide chiese, fatte appositamente aprire per gli ospiti; infine la cena e un buon riposo. L’indomani le due salite, con frequenti controlli di pressione e frequenza: tutto regolare, e del tutto inutilizzato quindi il grande sacco in spalla a Massimiliano Rocci, pieno di farmaci e del defibrillatore. Infine, sulla via del ritorno, due sorprese a rendere ancora più intensa questa straordinaria due-giorni. La prima sorpresa l’ha data uno dei pazienti “novizi” che è anche e soprattutto un patito della bicicletta. Aveva chiesto a una coppia di dividersi: uno dei due avrebbe guidato la sua auto, e lui sarebbe sceso

terapia è cominciata sulla Salaria con il solito appuntamento alla sede della Bmw, e se anche quest’anno la base è stata una albergo a Leonessa, tutto poi ha preso un corso più compatto che nelle analoghe esperienze degli anni passati. Già in mattinata il via tra i boschi, ad acclimatarsi e a

– discesa ripida, tutta curve, una trentina di chilometri, mica uno scherzo – con le dueruote da corsa, armato di casco, tuta a pelle, scarpine a tecnologìa avanzata. Corsa magnifica, un trionfo soprattutto per lui operato di recente e in gamba sulla sella come sui monti e come al lavoro. La seconda sorpresa appena prima di ripartire per Roma: gli strani escursionisti stavano passeggiando per il corso di Rieti e, ad un tratto chi ti si incontra del tutto casualmente su un ponticello antico? Lei, Clara Amari, a Rieti per ragioni di studio. Clara è la coordinatrice tecnica dell’area-palestra del Santo Spirito, la fisioterapista (letteralmente decana a Roma di questo ramo della professione), che con le sue colleghe “preparano” chi va in riabilitazione. Con quali risultati aveva appena dimostrato proprio la Montagnaterapia, edizione numero sette.

Chi ha sfidato il Terminillo Mai così numerosa la squadra di cardiopatici (stabilizzati e iscritti all’Associazione Cuore Sano, co-promotrice dell’iniziativa) che hanno partecipato alla 7. edizione di Montagnaterapia gli oramai lontani 16 e 17 giugno scorsi. Erano ben sedici, tutti stabilizzati, cinque donne e undici uomini tra cui il decano – per numero di partecipazioni e per età – Santo Lui, 86 anni. Nessuno ha accusato il minimo disturbo nel corso della due-giorni di allenamenti e di escursioni, né tra i neofiti di questa esperienza (sette), né tra i veterani. A sfidare dunque la catena del Terminillo sono stati Maria Adorni, Bernardino Amici, Nino Bertoloni Meli, Giorgio Buonopera, Maria Rita Colavecchi, Vittorio De Santis, Alfredo Ferranti, Giorgio Frasca Polara, Eugenio Galanti, Maria “Maruska” Gesualdi, Luciano Iotti, Santo Lui, Vera Letizia Marra, Oscar Molinari, Giuseppe Rotundi, Nilde Zummo. Con loro la moglie (sanissima) di un paziente, e un’amica di un altro fedele frequentatore della palestra. Ad accompagnarli, per il Santo Spirito, la cardiologa Francesca Lumia, responsabile medico del servizio di riabilitazione; lo psicologo e psicoterapeuta Giulio Scoppola; l’emodinamista Alessandro Danesi; l’infermiere professionale Massimiliano Rocci; e Cecilia Galligani, che opera con Scoppola e fa parte come gli altri dell’Associazione Montagnaterapia Italiana-Onlus. Alla squadra romana si sono aggiunti, in loco, lo psichiata Paolo Di Benedetto e la cardiologa Isabella Marchesi, ambedue in forza alla Asl-Rieti, nonché la preziosa e oramai storica guida del Cai Mario Sciarra. La foto di copertina e le altre immagini della Montagnaterapia sono di Luciano Iotti

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10 Un fondamentale strumento di analisi

Diagnosi cardiologica? Serve l’ecodoppler vascolare di Alessandro Totteri*

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ono trascorsi più di 150 anni da quando il matematico astronomo Christian Andreas Doppler descrisse nel 1845 l’effetto relativo al cambiamento del suono di un veicolo che passa velocemente davanti ad un osservatore, noto appunto come effetto Doppler. Nemmeno l’illustre matematico avrebbe potuto immaginare all’epoca l’utilità e lo sviluppo di questa osservazione soprattutto nella diagnostica medica. L’applicazione aggiuntiva alla metodica doppler, nel corso degli ultimi anni, della tecnica ecografica ha permesso non solo di analizzare il flusso all’interno dei vasi sanguigni delle arterie e delle vene (analisi spettrale della velocità del flusso) ma anche di visualizzare contemporaneamente i vasi lungo il loro decorso permettendo quindi una precisa valutazione diagnostica dello stato del sistema vascolare. L’ecodoppler vascolare (ora anche a colori) permette pertanto di poter analizzare dettagliatamente l’anatomia, il decorso ed il flusso dei vasi sanguigni potendo rilevare direttamente la presenza di eventuali irregolarità all’interno delle arterie. In particolare è possibile evidenziare la formazione eventuale di un ateroma (la cosiddetta “placca”) che, sviluppandosi e rigonfiandosi col tempo all’interno del vaso, provoca un ostacolo al flusso sanguigno sino, nei casi estremi, all’ostruzione dell’arteria. Analizzando la velocità del flusso lungo il decorso dell’arteria (analisi spettrale) è possibile quantificare correttamente l’entità del restringimento, riconoscendo le lesioni con indicazione a procedure interventistiche. Inoltre l’esame permette di misurare lo spessore interno dei vasi, in particolare lo spessore degli strati interni delle carotidi. Questo va-

lore, anche in assenza di placche, quando è aumentato, costituisce un elemento di previsione di sviluppo di malattia vascolare anche in altri distretti, per esempio a livello coronarico. Un aumento dello spessore medio-intimale della carotide si associa a malattia coronarica o a patologie dell’aorta addominale come l’aneurisma (dilatazione circoscritta del vaso), questo in quanto le formazioni aterosclerotiche (placche) riconoscono gli stessi fattori predisponenti: diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, familiarità per malattie cardiovascolari, fumo. In ambito venoso l’ecodoppler è utile per verificare l’insufficienza del sistema venoso soprattutto a carico degli arti inferiori, ma è ritenuto fondamentale nei casi di embolia polmonare per svelare le trombosi venose profonde delle gambe che sono la principale causa dei fenomeni embolici polmonari. Nella pratica cardiologica quindi la metodica si applica soprattutto per lo studio dei vasi epiaortici (carotidi, arterie vertebrali e succlavie), dell’aorta addo-

Il dr. Totteri mentre esegue un ecodoppler vascolare su una paziente

minale e del sistema venoso profondo in caso di embolia polmonare accertata o sospetta. Quando è indicato un ecodoppler dei vasi epiaortici? Le recenti linee-guida internazionali, pubblicate nel luglio 2011 sulla prestigiosa rivista “Circulation”, confermano sostanzialmente le precedenti indicazioni, ovvero che l’esame va effettuato: nei pazienti asintomatici nei quali si sospetta una patologia carotidea (riscontro di soffio della carotide); nei pazienti asintomatici con evidenza di patologia delle arterie periferiche, se presente un aneurisma dell’aorta addominale o nel caso di malattia coronarica accertata; nei soggetti ultra 65enni con almeno due dei fattori di rischio principali: diabete, ipertensione, dislipidemia, fumo, obesità, familiarità per eventi cerebrovascolari o per malattie cardiovascolari in parenti in linea diretta prima dei 60 anni; nei pazienti che devono affrontare un intervento di cardiochirurgia soprattutto in circolazione extracorporea; nei soggetti sintomatici per eventi cerebrovascolari (TIA , ictus); nei soggetti con lesioni carotidee note per verifica a distanza dell’evoluzione della placca. Sarà lo specialista a stabilire ogni quanto tempo eseguire il controllo. Il trattamento delle lesioni carotidee si sviluppa su due livelli: nelle lesioni non critiche (stenosi minore del 70%) il trattamento è rivolto alla rimozione e/o alla correzione dei principali fattori di rischio. I farmaci utilizzati in queste situazioni sono praticamente gli stessi che sono consigliati nella cardiopatia ischemica: farmaci antiaggreganti piastrinici, antipertensivi, statine, ecc.. Quando invece la lesione carotidea produce una stenosi superiore al 70%, se coinvolgente la carotide interna (vaso che trasporta il sangue al cervel-


lo), è indicato un intervento di rivascolarizzazione attraverso il tradizionale intervento chirurgico o, più recentemente, mediante angioplastica percutanea ed inserzione di uno stent, praticamente con la stessa procedura dell’angioplastica coronarica. Nei centri qualificati il risultato delle due diverse procedure è grosso modo sovrapponibile: la scelta della procedura va personalizzata anche in relazione alle caratteristiche anatomiche, morfologiche e di composizione (maggiore o minore contenuto di calcio) delle lesioni. Lo “stenting” carotideo è spesso, peraltro, maggiormente gradito dal paziente in quanto meno cruento e con un recupero più rapido. Un ulteriore applicazione in ambito car-

diologico è rappresentata dal monitoraggio delle complicazioni vascolari dopo procedure interventistiche: coronarografia, angiografia con puntura arteriosa diretta. Talora infatti in seguito alla puntura di un’arteria, soprattutto con l’utilizzo contemporaneo di farmaci anticoagulanti e nonostante la compressione manuale sul vaso, al termine della procedura, è possibile un’incompleta chiusura del punto di accesso sull’arteria stessa con sviluppo di ematoma (stravaso di sangue) connesso con il vaso sanguigno (ematoma pulsante). La visualizzazione ecodoppler della complicazione permette una ulteriore compressione mirata del punto dove si manifesta lo stravaso ematico (punto di comunicazione con l’arteria) con buoni ri-

sultati a breve distanza. Il maggiore ricorso, anche nel nostro centro, all’utilizzo dell’arteria radiale (più facilmente comprimibile), rispetto all’arteria femorale, ha sicuramente ridotto la frequenza di queste complicazioni. Da sottolineare infine che la metodica ecodoppler è sostanzialmente innocua (utilizzo di ultrasuoni) rispetto ad altre metodiche di diagnostica per immagini, relativamente a basso costo e facilmente ripetibile anche a breve distanza di tempo. Queste considerazioni ne fanno la metodica diagnostica di scelta per la maggior parte delle patologie vascolari, con un ruolo quindi fondamentale all’interno di una struttura cardiologica. * Dirigente medico Uoc Cardiologia, S. Spirito

Altrimenti medicinali inefficaci o tossici

Conservare bene i farmaci! Poche ma essenziali regole di Giampaolo Luzi*

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uanti acquistano un farmaco e, quando sono a casa, lo conservano bene, cioè non mettendone a rischio l’efficacia? Se vengono rispettate alcune elementari regole, i medicinali non andranno incontro a modificazioni del loro stato chimico o fisico perdendo così le proprie capacità curative o, nei casi più gravi, acquisendo caratteristiche tossiche. Vediamole, allora, queste regolette. Un luogo asciutto. Se sul “bugiardino” non ci sono particolari avvertenze, la prima cautela è la conservazione dei farmaci in luogo asciutto e con una temperature non oltre i 20-25 gradi. Meglio dunque non metterli nel mobiletto in bagno o in cucina: calore e umidità non fanno per loro. E, ancor meglio, non vanno esposti direttamente alla luce solare o artificiale, considerata la “fotosensibilità” di parecchi medicinali. Nessuna confusione. Non bisogna con-

servare le medicine laddove si depositano altre sostanze (ammoniaca, benzina, acetone) che evaporano facilmente e possono alterarne i principi attivi. Inutile aggiungere come sia necessario scegliere un posto che non sia accessibile ai bambini. Quando in frigo. Se sulla confezione è raccomandato di conservare il farmaco al fresco (2-8 gradi), lo si riponga nel frigorifero, ma non nel freezer. An-

che nel caso che faccia molto caldo (+30) è meglio riporre la medicina in frigo e, se lo si porta in viaggio, durante le soste non lo si lasci in auto se non c’è a disposizione una busta termica. La data di scadenza. Attenzione alla data di scadenza che si trova sulla scatola: essa si riferisce al prodotto in confezione integra, insomma non ancora aperta e usata. Dopo l’apertura, la validità si riduce notevolmente. Un’idea? Dall’apertura di un flacone, lo sciroppo non dura più di due mesi, e un collirio in flaconcino non più di quindici giorni. Comunque, fare sempre attenzione ai segni di deterioramento: non il solito colore o la solita consistenza? Sapore o odore strani? Probabile che il medicinale sia alterato, e quindi vada eliminato. Dove liberarsene. Mai però gettare nella spazzatura un farmaco scaduto o andato a male. Bisogna servirsi degli appositi contenitori collocati all’interno o nei pressi di ogni farmacia.

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I consigli del broncopneumologo soprattutto alle persone anziane

Come affrontare l’inverno (a scanso di bronchite) di Duilio Dainotto*

L’

arrivo della stagione invernale è un momento importante per rivalutare lo stato di salute degli anziani, specie quelli affetti da patologie croniche. L’inverno infatti è fonte di cambiamenti fisici ma anche di endemie infettive che possono provocare la riacutizzazione di una patologia che cronicamente accompagna una persona nella propria vita. La BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è tra le più frequenti malattie, quella che maggiormente risente del periodo invernale; malattia prevenibile e trattabile, caratterizzata da una limitazione al flusso aereo che non è completamente reversibile. L’OMS ha stimato che la BPCO è in aumento a livello mondiale al contrario, ad esempio, delle malattie cardio-vascolari. Si stima che nel 2020, la BPCO come causa di malattia passerà dal 12° al 5° posto. La presenza di sintomi connessi alla BPCO aumenta con l’età ed interessa più del 50% dei maschi fumatori di età superiore a 65 anni. Inoltre la prevalenza della BPCO è ora di oltre il 10% nelle persone oltre i 40 anni, ed anche nelle persone tra 20 e 45 anni è al 3,6%. La diagnosi deve essere presa in conside-

razione in tutti i soggetti che presentino affanno, tosse cronica e/o espettorazione e storia di esposizione a fattori di rischio per la malattia, in particolare il fumo di sigaretta. La BPCO è una patologia di fatto “inguaribile”: il primo approccio in grado di influenzare la storia naturale della malattia è la sospensione del fumo di sigaretta. Le varie terapie sono principalmente rivolte alla prevenzione delle riacutizzazioni e alla riduzione della gravità dei sintomi. Il grado di gravità è dato dalla intensità dei sintomi e dal grado di riduzione del flusso di aria che riusciamo ad emettere. Viene stimato che circa il 50% dei soggetti portatori di BPCO non abbia mai ricevuto una corretta diagnosi medica. È ragionevole pensare che si tratti di pazienti in uno stadio di malattia lieve, destinati ad essere riconosciuti solo in momenti successivi, alla comparsa di sintomi più gravi e invalidanti. Le riacutizzazioni, che prediligono il periodo invernale, nell’anziano possono essere particolarmente frequenti. Innanzitutto a causa del deficit immunitario che caratterizza la senescenza e che facilita le infezioni; inoltre anche le malattie croniche concomitanti, in quel periodo peggio-

rano e determinano condizioni capaci di scatenare i sintomi della BPCO, quali l’affanno e la tosse. Prima dell’inverno si devono eseguire gli accertamenti per mantenere in equilibrio la sintomatologia; si modifica il piano terapeutico; si stabilisce quale livello di vita si può mantenere in base al grado di malattia che il soggetto presenta. Esiste una regola sui tempi per le visite e gli accertamenti da eseguire ogni sei mesi: visita di controllo, studio della funzionalità epatica e renale, emocromo, monitoraggio incruento della saturazione arteriosa e glicemia. La spirometria globale con test di bronco dilatazione, oltre al test del cammino ed un prelievo di sangue per misurare ossigeno ed anidride carbonica (la emogasanalisi arteriosa), assieme ad elettrocardiogramma, vanno eseguiti ogni anno. Tali accertamenti sono necessari per confermare la terapia medica che permette al malato di BPCO di stare bene, convivendo con il minimo della sintomatologia ed il miglior indice di qualità di vita. La terapia medica di base – stabilita dallo specialista prima dell’inverno – prevede l’utilizzo di broncodilatatori o cortisonici od altri farmaci per il controllo della produzione del catarro bronchiale. Ogni persona affetta da BPCO deve considerarsi potenzialmente un soggetto “a rischio” quando si parla di influenza. I sintomi della malattia possono peggiorare e dare dei gravi stati di malessere. In autunno di ogni anno si programma la vaccinazione anti-influenzale annuale sia al malato di BPCO che ai familiari che condividono gli ambienti domestici. Qualora il medico lo ritenesse opportuno, va eseguita anche la vaccinazione antipneumococcica (ovvero contro il batterio responsabile della maggior parte delle infezioni batteriche di bronchi e polmoni), con ripetizione ogni


cinque anni. Per aumentare le difese immunitarie a carico delle alte vie respiratorie, e rendere quindi l’apparato respiratorio più resistente contro le aggressioni dei germi che in inverno sono frequenti, si assumono altri farmaci: i lisati batterici per un periodo che comprende almeno tutta la stagione invernale ed il periodo che la precede e che la segue. Ma la terapia del paziente con BPCO non è solamente una terapia farmacologica: la visita con lo specialista pneumologo deve essere anche l’occasione per eseguire una sorta di educazione sanitaria: con lo specialista si deve discutere sulla terapia che

viene assunta, per riferire le eventuali difficoltà nella sua assunzione o nei fastidi che da essa derivano; sarà scrupolo dello specialista verificare che la terapia, attraverso i dispositivi medici che la rilasciano, venga assunta in modo efficace: in caso contrario il medico deve modificare il dispositivo o la terapia stessa.Si devono stabilire i vari gradi di impegno fisico che l’organismo del malato può tollerare in base alla gravità della malattia; si deve impostare la prevenzione farmacologica da effettuare durante il periodo invernale. Prima dell’inverno si deve eseguire inoltre una analisi dello stato nutrizionale: aspetto

importante dell’assistenza globale al paziente con BPCO. Circa un quarto dei pazienti pesa meno del 90% del peso ideale. I pazienti sottopeso sono a maggiore rischio e quindi la nutrizione invernale deve essere bilanciata. L’associazione tra malattia respiratoria cronica e perdita di peso contribuisce al declino della funzionalità respiratoria. Tutto ciò rientra nel piano riabilitativo del malato affetto da tale malattia globale. L’ Associazione italiana pazienti BPCO è a disposizione per indicare i diritti del malato affetto da questo male. * Responsabile Uo dipartimentale di Pneumologia Asl RomaE

Il paziente infartuato sì, ma fortunato

Cyclette a casa? Meglio pedalare in palestra

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i notte l’attacco in casa, a via Margutta. Chiama il 118: l’ambulanza (con medico a bordo) era a un passo. Il valore del servizio permanente di angioplastica al S. Spirito «Cyclette? Ce l’ho in casa, ma ammuffisce…Qui invece mi piace pedalare: il segreto è farlo tra colleghi!». Gianfranco Arrà, 63 anni, moglie e due figlie, ha il piglio e lo humour dell’infartuato che si sente risanato. Optometrista (ha negozio e abitazione in via Margutta, un particolare che ha il suo peso, come vedremo), non aveva mai sofferto di cuore, sino all’anno scorso, anche se non si era mai sottoposto ad esami specifici. Poi, un giorno dell’anno scorso… «No, una notte. Un dolore alla bocca dello stomaco. Pensavo ad una indigestione… poi è venuto un dolore al braccio e al costato… infine ho cominciato a sudare freddo. Ho capito che stava succedendo qualcosa che non potevo controllare.»

Allora che hai fatto? Hai chiamato il 118, secondo copione? «Già, ho chiamato, col terrore però che l’ambulanza ci mettesse chissà quanto ad arrivare. E invece un colpo di fortuna: l’auto, per giunta con l’anestesista a bordo, era posteggiata a due passi, in piazza di Spagna! Mentre mi portavano qui, al

Santo Spirito, il medico ha avvertito via radio la Cardiologia. Non sono passato neppure dal pronto soccorso: mi hanno portato a fare l’angioplastica, messo uno stent sull’arteria occlusa, e infine ricoverato in rianimazione. Insomma, tutto risolto prima che sorgesse l’alba. Poi ho scoperto di essere stato tra i primi infartuati che hanno potuto usufruire del servizio di angioplastica in funzione 24 ore su 24… hai detto un prospero!» E quando sei uscito dal tunnel? «Tempo un mese ero in palestra di riabilitazione, e di qua non me ne vado sino a quando non mi cacciano. Te l’ho detto: una cosa è promettere di fare gli esercizi a casa, un’altra è stare qui con i colleghi, seguire un percorso preciso di esercizi, sentire lo stimolo delle fisioterapiste, mettersi in qualche modo in ‘competizione’ con quanti condividono prima le tue stesse angosce e poi le tue stesse speranze di essere uscito da quello che tu stesso hai chiamato il tunnel. Oh, ma una cosa ho imparato a farla anche da solo: camminare.»

Gianfranco Arrà con moglie e nipote

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PILLOLE DI SALUTE… MENO SALE, MENO INFARTI – La questione è nota: l’eccessivo consumo di sale (puoi, se vuoi, controllare a tavola, ma non puoi impedire all’industria alimentale di “migliorare” il gusto dei suoi prodotti) provoca infarti e ictus. I cardiologi ospedalieri hanno stimato che, riducendone il consumo a 5 grammi – un cucchiaino raso da caffè – e calando di conseguenza la pressione, sarebbe possibile evitare ogni anno 60mila infarti e 40mila ictus. Uno studio condotto in nove regioni conferma che in media gli italiani consumano quasi il doppio della dose consigliata: ben 9 grammi gli uomini, 7 le donne.

suo Omega 3 protegga cuore e arterie è arcinoto. Un po’ meno che protegga anche dall’ictus. Indagine del Karolinska Institutet di Stoccolma: un gruppo di suoi ricercatori ha seguito per un decennio circa 35mila donne; quelle che mangiavano

PESCE ANCHE ANTI ICTUS – Che il pesce (soprattutto ma non solo quello azzurro come acciuga, sgombro, salmone) con il

pesce almeno tre volte la settimana ha mostrato un rischio-ictus inferiore di oltre il 15% rispetto a quello di chi lo consumava solo sporadicamente.

LA SALVIA ABBASSA IL COLESTEROLO? – Per ora è una semplice ipotesi, ma di grande suggestione, sulla quale lavora un team di studiosi iraniani dell’Istituto piante medicinali. Già si sapeva delle proprietà della salvia per l’Alzheimer. Ora ci hanno provato con un (pur modesto) gruppo di persone tra i 30 e i 56 anni con trigliceridi e colesterolo alti: una capsula di 500 mg di estratto di foglie, somministrata ogni otto ore per due mesi. Benefici evidenti, e nessuno degli effetti collaterali spesso causati dai farmaci tradizionali. Le ricerche continuano con un più ampio test.

…E SALUTE IN PILLOLE CARNE ROSSA? RIDURRE, PREGO – Avete presente la famosa “piramide” dell’alimentazione mediterranea? Ebbene, una delle immagini più evidenti è che il pesce è un gradino più in basso (e dunque più abbondante) della carne, e della carne rossa in particolare. Come dire: bisogna mangiare meno carne e più pesce, e aggiungervi tanta verdura, tanta frutta e cereali, legumi, frutta secca. La conferma da un’ampia ricerca in Usa che ha coinvolto 84mila infermiere seguite per ventisei anni: chi mangiava porzioni di carne rossa ogni giorno (hamburger in testa, ma anche insaccati) presentava un rischio di circa il 30% superiore a chi ne mangiava meno di mezza porzione. Rimpiazzando poi una porzione giornaliera di carne con 6-7 noci o 20-25 mandorle, il rischio di coronaro-

patia diminuiva di 30%, e del 24% se la sostituzione era con una porzione di pesce. Col pollo -19%, con la ricotta -13%.

GLI AFFARI SULLE MEDICINE – Parere contrario della Federfarma (farmacisti associati) sull’accordo siglato tra Poste e Farmindustria (i produttori di medicine) per la consegna a domicilio di alcuni farmaci a pazienti affetti da particolari patologie. Due osservazioni molto, ma molto discutibili: si “sottraggono” proprio i farmaci ospedalieri alle “severe norme di garanzia e sicurezza che disciplinano il percorso del farmaco” (ahi, la colpa è del postino) e “per di più si rompe l’indispensabile vincolo professionale tra farmacista e paziente alla base della sicurezza di quest’ultimo”. Quanta retorica per non dire

che gli affari sono affari, e che l’intermediazione rende un sacco di soldi.

ATTENZIONE AGLI INTEGRATORI – Abbiamo scritto e ri-scritto anche in questo numero della pericolosità delle vendite per internet di farmaci e parafarmaci. Arriva una ennesima conferma: il 90% degli integratori dimagranti venduti on line è pericoloso. Una fonte ufficiale svizzera ha diffuso i risultati delle analisi di 122 prodotti intercettati nella fase di spedizione e sequestrati alla dogana. Altro che prodotti vegetali ed altre sostanze magari inutili ma innocui: in molti casi contengono principi attivi di sintesi e anche molecole vietate come la sibutramina e il rimonabant, sostanze pericolose ritirate dal commercio un anno fa in tutto il mondo.

Periodico di informazione dell’Associazione Cuore Sano • Anno XVI - n.3 - luglio/settembre 2011 • Reg. Trib. di Roma n.00323/95 • Direttore responsabile Giorgio Frasca Polara • Comitato scientifico Roberto Ricci (presidente), Alessandro Carunchio, Antonio Cautilli, Alessandro Danesi, Gabriella Greco, Francesca Lumia, Alessandro Totteri, Marco Renzi • Redazione Lungotevere in Sassia n.3 • 00193 Roma Ospedale Santo Spirito • Reparto di Cardiologia tel. 06/68352443 – 06/68352375 • E-mail: cuoresano@yahoo.com • www.cuore-sano.it • Stampa Tipolitografia Visconti - Terni


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