Cuore Amico 2018 n.1

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Come si fa a riconoscere un infarto del miocardio? di Alessandro Carunchio Presidente Associazione Cuore Sano

Associazione dei cardiologi ospedalieri (Anmco) ha coniato lo slogan: “ il tempo è muscolo e vita”, e rende bene l’idea che un intervento precoce nell’infarto può salvare la vita e risparmiare molte fibrocellule miocardiche che altrimenti morirebbero creando una zona di cicatrice ovvero una parte del cuore che non si contrae più. L’infarto miocardico acuto è provocato dall’occlusione completa o parziale di un’arteria coronarica causata da un trombo. Questa distinzione è importante per i tempi di intervento che, nel caso dell’ostruzione totale (denominata STEMI per la presenza all’ecg di sopraslivellamento del tratto ST) devono essere precoci, per sciogliere rapidamente il trombo e ricanalizzare l’arteria. Nel secondo caso, occlusione parziale, si realizza l’infarto NSTEMI (non sopra ST all’ecg): l’arteria non e’ completamente occlusa ed i tempi di dilatazione della stessa possono essere differiti. Entrambi i tipi di infarto provocano una cicatrice permanente che può essere tanto più estesa quanto più il tempo di intervento è ritardato. Il problema si sposta, dunque, al riconoscimento dei sintomi dell’infarto. Tutti pensiamo all’infarto come ad un evento facilmente riconoscibile per la presenza di sintomi caratteristici che possono comparire dopo uno sforzo fisico o una forte emozione, spesso si risolvono con il riposo o con l’assunzione nitrati. Sede del dolore: retro sternale, qualità: costrittivo-gravativo, durata: minuti o ore, possibile irradiazione al

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giugulo, braccia, spalle, mandibola, dorso. A volte, specie nei diabetici, manca il dolore e sono presenti solo i sintomi di accompagnamento: sudorazione algida, astenia, dispnea, nausea, vomito; la pressione può essere normale o diminuita; la saturazione di ossigeno può diminuire e possono comparire aritmie (palpitazioni) o marcata riduzione della frequenza cardiaca. Questi disturbi sono molto importanti per orientare verso la diagnosi di infarto. Sintomi di un pre-infarto: dolore, malessere o senso di disagio nel petto, dolore ma solo nelle braccia o nel collo, nella mandibole, nella spalla o nella schiena, nausea, fatica, difficoltà nel respirare, ansia, traspirazione, capogiri, aritmie. La mortalità dipende dal tempo d’intervento. Nello STEMI è maggiore nelle prime due ore. L’ammalato deve essere assistito nei primi giorni in Unità di terapia intensiva cardiologica (Utic), dove vengono ricoverati altri pazienti cardiologici acuti, per il monitoraggio e l’assistenza continua. E’ importante sapere che ci sono cinque cause (“The Big Five”) responsabili di dolore toracico: sindrome coronarica acuta (= infarto cardiaco), dissezione aortica,

embolia polmonare, pneumotorace iperteso, rottura esofagea. La mortalità in ospedale è del 4-5% nello STEMI e del 2-3% nel NSTEMI, ma molti soggetti muoiono sul territorio prima dell’arrivo in ospedale. Intervento precoce ed auspicabile significa prima possibile. Ricordo che nella prima ora lo STEMI può essere evitato, ovvero si può evitare la cicatrice in una percentuale fino al 50% dei casi. Quanto sopra detto non vuole spaventare, ma, nel dubbio, in presenza di malesseri, sudorazioni fredde inspiegabili,

Non bisogna perdere tempo e, nel dubbio, è necessario correre in ospedale

affanno, cali improvvisi di pressione arteriosa, palpitazioni, non perdere tempo a cercare il medico di famiglia od un cardiologo, meglio un accesso in ospedale non necessario (col senno di poi) che un mancato o tardivo ricovero che si rivelasse necessario.

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Come viaggiare in aereo con l’insufficienza cardiaca di Gualtiero Pinci Socio Cuore Sano e grande viaggiatore

struzioni per l’uso dell’aereo da parte di chi soffre di insufficienza cardiaca. Intanto, come definire questa condizione clinica? Diciamo che si realizza quando il cuore non è in grado di sostenere con efficacia la circolazione sanguigna, con conseguente ridotta ossigenazione di vari organi. Questa ridotta ossigenazione condiziona la capacità di eseguire normali attività giornaliere e può seriamente compromettere l’esercizio di funzioni fisiche. Seguiamo allora le raccomandazioni e le istruzioni fornite, per Aeroporti di Roma, dal dr. Carlo Racani, responsabile del Servizio cardiaco di Fiumicino e Ciampino, e dal dr. Antonio S. Cesario, con la collaborazione del prof. Salvatore Di Somma, direttore dell’Associazione italiana scompensati cardiaci. I rischi. Quando si richiede al cuore di incrementare la sua attività, alcune specifiche condizioni possono causare un deterioramento della situazione clinica e il verificarsi di sintomi avversi. In particolare, i viaggi aerei potrebbero aggravare l’insufficienza cardiaca a causa di: a) riduzione della pressione ad alta quota e conseguente parziale riduzione dell’ossigeno nel sangue; b) riduzione dell’umidità in aereo, e conseguente rischio di disidratazione; c) la presenza di ulteriori malattie (anemia, problemi polmonari) possono aggravare la parziale mancanza di ossigeno; d) lo stress

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fisico e psicologico associato al viaggio, come le file al check-in e ai controlli di sicurezza, il trasporto dei bagagli e in genere l’ansia dovuta al volo. Comunque viaggiare in aereo non è controindicato a pazienti scompensati ma a condizione che siano ascoltati e messi in pratica alcuni consigli.

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problemi. I passeggeri con insufficienza cardiaca che presentano sintomi di palpitazioni, affanno e fatica durante attività fisiche non impegnative consultino un cardiologo prima di volare: sarà lui a stabilire se il viaggio sia possibile o sia il caso di rinunciarvi. Il viaggio in aereo è comunque controindicato per il passeggero che presenta sintomi anche in assenza di attività fisiche. I consigli. I passeggeri con insufficienza cardiaca che svolgono normali attività giornaliere senza fatica o fiato

corto possono viaggiare in aereo senza controindicazioni specifiche ma osservando alcune raccomandazioni. Essi porteranno nel bagaglio a mano i farmaci sufficienti per la durata del volo, i farmaci per emergenze (diuretici, nitrati come la trinitrina), un rapporto medico con dettagli sullo stato di salute, un elettrocardiogramma recente. Nella valigia messa nella stiva saranno messi farmaci sufficienti per tutta la durata del viaggio. In caso di eventuale ossigenoterapia durante il volo sarà opportuno avvisare una settimana prima del volo la compagnia aerea di cui ci si serve. Infine, ma non ultime raccomandazioni: durante il volo alzarsi e muoversi con frequenza; evitare di consumare molto cibo, caffeina e alcolici; e – inutile aggiungere – non fumare. Raccomandazioni speciali. I portatori di pace-makers o defibrillatori si tenga conto tre esigenze: che il proprio strumento sia stato controllato nei sei mesi precedenti il viaggio; che si porti con sé la relativa card; che non si passi attraverso metal detector spiegandone la ragione al personale.


Scompenso cardiaco come prevenire le recidive di Angela Beatrice Scardovi Dirigente medico Uoc Cardiologia S. Spirito e di Tiziana Di Giacomo Infermiera professionale Uoc Cardiologia S. Spirito

o scompenso cardiaco (SC) è una malattia cronica e progressiva, stadio terminale di varie patologie cardiovascolari. Rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica per frequenza, morbilità, mortalità e impatto sui Servizi Sanitari. Patologia tipica dell’anziano, è epidemiologicamente rilevante in relazione all’invecchiamento della popolazione. Le frequenti instabilizzazioni e ospedalizzazioni che caratterizzano l’andamento dello SC danneggiano la qualità della vita del paziente e dei suoi familiari, peggiorano la prognosi e comportano costi notevoli: assorbono il 2% della spesa sanitaria europea. Nella regione Lazio il tasso di riammissioni ospedaliere dopo 30 giorni dalla dimissione è pari a 11,9% e la mortalità a 30 giorni dal ricovero è del 10% . Gli strumenti per contrastare le recidive sono molteplici: ottimizzazione della terapia; riabilitazione cardiologica ambulatoriale; programmazione delle visite di controllo personalizzate sul profilo clinico (in particolare è fondamentale una visita presso l’ambulatorio SC entro 7-10 giorni dalla dimissione); gestione

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multidisciplinare delle co-morbilità; collaborazione costante tra cardiologo, medico di medicina generale, infermiere dedicato; somministrazione di terapie per via endovenosa in ambiente ambulatoriale o in day-hospital; ambulatorio infermieristico. Uno dei principali motivi di instabilizzazione è la mancata o parziale aderenza alla terapia prescritta e alle norme igienico-dietetiche consigliate. Solo l’80% dei pazienti dimessi segue la terapia nei 30 giorni successivi e solo il 60% la segue nell’anno successivo. Nel 57% dei casi la mancata aderenza è dovuta a scarsa informazione da parte del personale sanitario e nel 22% dei casi da messaggi addirittura contrastanti e confondenti ricevuti al momento della dimissione. In questo scenario l’infermiere assume un ruolo chiave nell’ambito della continuità assistenziale. La Cardiologia dell’ospedale S. Spirito ha da anni attivato un ambulatorio infermieristico dedicato allo SC nel quale l’infermiere (Case Manager) informa il paziente e i suoi familiari (counselling) sulla natura cronica della malattia e sull’importanza dell’aderenza alla terapia e alle norme comportamentali, spiega come effettuare l’autocontrollo domiciliare di alcuni semplici parametri: peso corporeo, diuresi, pressione arteriosa e frequenza cardiaca, capacità di compiere attività quotidiane abituali. In

particolare viene individuato un componente della famiglia (caregiver) che sarà il responsabile della gestione del “patto terapeutico“ stipulato tra personale sanitario e paziente. La figura del caregiver è molto importante poiché i pazienti con SC sono spesso anziani, fragili, con deficit cognitivi e non autonomi. Il counselling deve essere iniziato prima della dimissione quando vi è una maggiore ricettività nei riguardi delle raccomandazioni relative alla malattia. Nell’ambito dell’ambulatorio infermieristico si praticano anche altre attività atte a prevenire le recidive: controllo dei parametri vitali e degli esami ematici, follow-up e counselling telefonico, personalizzazione del dosaggio e delle modalità di assunzione della terapia diuretica, osservazione clinica di soggetti che hanno iniziato trattamenti nuovi (ivabradina, ARNI, NOACs) supportando l’attività del cardiologo. Nei casi in cui vi è difficoltà ad accettare la malattia e di conseguenza il trattamento e i controlli necessari è utile l’intervento dello psicologo.

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La scomparsa di Paolo De Gregorio Gravissima perdita per l’Associazione

a nostra associazione ha improvvisamente subìto, a fine gennaio, una gravissima perdita: la scomparsa di Paolo De Gregorio, titolare di un autorevole studio commercialista e, quel che qui più conta, prezioso tesoriere di Cuore Sano. Di più, il nostro carissimo De Gregorio era stato tra i soci fondatori dell’Associazione voluta nel 1994 dall’allora primario della Cardiologia del S. Spirito prof. Vincenzo Ceci e per lungo tempo presieduta da Aldo D’Alessio. Attivissimo, e sempre disponibile per sostenere le molteplici iniziative sociali, Paolo De Gregorio era uomo di straordinaria generosità umana e professionale. Entrata più tardi nella grande famiglia di Cuore Sano, per i compiti che mi sono stati attribuiti ho lavorato giornal-

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mente a stretto contatto con lui, apprezzandone i tanti consigli per la gestione dell’Associazione e del suo periodico “Cuore Amico”. Lascia in tutti noi un vuoto difficilmente colmabile. A me in particolare mancherà la sua telefonata quotidiana. Un pezzo di Cuore se ne va con lui. Il suo cuore, purtroppo malandato, ce lo ha portato via troppo presto.

ntrano in ospedale come pazienti ma, se non possono pagare le spese sanitarie, ci restano come prigionieri. La cosiddetta detenzione ospedaliera può durare anche mesi. Questa orribile trasformazione da ammalato a carcerato è stata accertata in alcuni paesi dell’Africa subsahariana, in India e in Indonesia da un gruppo di ricercatori inglesi che ne riferisce su una delle più autorevoli testate mediche del mondo, The Lancet. Gli autori dello studio hanno setacciato studi e articoli di giornale pubblicati tra il 2003 e l 2015 delle regioni sotto inchiesta, registrando centinaia di migliaia di casi ogni anno. Le vittime sono persone povere che arrivano in ospedale in situazioni di emergenza.

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Carla Maria Rossi

Del profondo cordoglio dell’Associazione, del Comitato scientifico e dei soci si è fatto interprete il presidente Sandro Carunchio, sottolineando il profondo attaccamento di De Gregorio all’Associazione “che considerava sua creatura e ne rivendicava l’importanza e la crescita in tutti questi anni”. A nome della famiglia, il figlio Fabio ha non solo ringraziato “per la vicinanza e la sensibilità” ma ha anche assicurato che, nelle more di una decisione più impegnativa, garantirà la continuità della gestione della tesoreria. Del che gli siamo tutti grati: anche noi della redazione di “Cuore Amico” che siamo orgogliosi e grati di averlo sempre avuto al nostro fianco.

In Africa l’ospedale può diventare una prigione Durante le prigionia subiscono violenze e discriminazioni. Alcune donne si prostituiscono in cambio di soldi per saldare il debito e riottenere la libertà. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici proibisce di trattenere chi non paga i debiti e considera la misura una violazione dei diritti umani. Ma in molti paesi manca una legge che vieti la detenzione ospedaliera.

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Il Natale dei soci di Cuore Sano nche quest’anno la sala d’onore dell’Ospedale Santo Spirito ha ospitato il tradizionale incontro prenatalizio organizzato dall’Associazione Cuore Sano: un’occasione preziosa per ritrovarsi insieme cardiologi e pazienti, ex pazienti, infermiere professionali, dirigenti e collaboratori della onlus nata per iniziativa dello scomparso primario dr. Vincenzo Ceci e sostenuta da centinaia di soci. A rendere l’incontro particolarmente piacevole è stata quest’anno (si cerca di alternare ogni anno cori, concertisti, recital, conversazioni con ospiti illustri) l’esibizione del pianista Carlo Cavazzani, che ha una forte sensibilità e, insieme, mostra una indubbia curiosità musicale. Parliamo non tanto dell’uso di un

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Suonando dai classici Debussy e Beethoven, al moderno Iruma, passando per Einaudi e Schumann, il pianista Carlo Cavazzani è stato il protagonista dell’incontro natalizio di Cuore Sano

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pianoforte digitale (ma il profano magari non se ne accorge) quanto perché il suo programma spazia da brani di Ludwig van Beethoven e Claude Debussy a quelli del coreano Iruma (piena New Age), dal minimalista Ludovico Einaudi e dal più noto Giovanni Allevi ai classici del romanticismo Robert Schumann e Frederich Chopin. Il concerto è

stato assai graditoMa la serata prenatalizia è stata, per il presidente dell’Acs, dr. Alessandro Carunchio, e per il primario della Cardiologia, dr. Roberto Ricci, anche e soprattutto l’occasione per fare il bilancio di un anno intenso e ricco di iniziative in cooperazione tra la Cardiologia e Cuore Sano. Intanto la nascita e il successo della cosiddetta “riabilitazione estensiva”, cioè l’aggiunta, ai corsi gestiti oramai da molti anni dalla azienda ospedaliera, di quelli organizzati direttamente dalla Associazione al medesimo costo per il paziente, nella medesima palestra, con analogo personale specializzato. E’ stato ed è così possibile soddisfare tutte le richieste di riabilitazione che sin qui era impossibile accogliere. Aggiungiamo il successo crescente della rivista Cuore Amico, che entra nel 23mo anno, e dell’edizione online; la buona ripresa dell’esperienza della Montagnaterapia; il “pieno” delle visite culturali e delle gite; l’ottima gestione della segreteria unificata CardiologiaAcs resa possibile grazie al contributo dei soci E per il prossimo anno? Certamente c’è la conferma di tutte queste iniziative, ma forse c’è in pentola qualche sorpresa. Tutto dipenderà dalla portata dell’incremento del numero dei soci, dal buon esito degli sforzi per acquisire nuove energie disponibili a dinamizzare l’Associazione, dalla fantasia – sì, ci vuole anche questa – con cui animare la politica espansiva dell’Associazione.


Cos’è e come si cura la fibrillazione atriale di Mario Costanzo Dirigente medico Uoc Cardiologia S. Spirito

a fibrillazione atriale è un’aritmia del cuore che interessa una parte specifica di quest’organo, gli atri appunto, che sono cavità cardiache posizionate al di sopra dei ventricoli. Con la fibrillazione gli atri a un certo punto iniziano a contrarsi in maniera non regolare, non sincrona con il resto del cuore e in modo accelerato. La fibrillazione atriale è l’aritmia cardiaca più comune e frequente in assoluto. Ne sono affetti vari milioni di persone in tutto il mondo. Chi ne soffre non è certo “da solo”; ed essendo una patologia molto comune le opportunità di trattamento sono diffuse e conosciute da quasi tutti i medici. Sintomo assai frequenti possono essere il battito cardiaco inaspettatamente irregolare e talvolta molto rapido; oppure sentirsi inusualmente stanchi, affaticati e/o avere capogiri; avvertire confusione e ansia; avere affanno o dolore toracico; oppure si può anche non avere nessun sintomo e non accorgersi di nulla. Il rischio di fibrillazione atriale aumenta con l’età ma è un’aritmia che può interessare anche i giovani. Chi è affetto da fibrillazione atriale ha una probabilità di avere un’ischemia cerebrale (ictus) cinque volte maggiore rispetto alla norma. Un altro problema di questa patologia è l’elevata frequenza cardiaca (tachicardia) che può generare una dilatazione del cuore e un deterioramento della sua funzione, conosciuta

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come cardiomiopatia indotta da tachicardia. Entrambi i problemi sono affrontabili con le opportune terapie. Esistono farmaci (gli anticoagulanti) che rendono il sangue meno prono alla coagulazione e quindi riducono notevolmente il rischio d’ischemia cerebrale. Esistono poi farmaci (antiaritmici) che sono in grado, con buona probabilità, di ripristinare e mantenere il normale ritmo cardiaco (sinusale) o almeno di ridurre l’elevata frequenza cardiaca evitando così il danno da tachicardia. Esistono poi procedure come la cardioversione elettrica, in grado di ripristinare il normale ritmo cardiaco attraverso l’erogazione di un’opportuna e particolare “corrente continua” sul torace mediate il defibrillatore; il sistema definito ablazione transcatetere della fibrillazione atriale è una procedura invasiva che sfrutta l’inserimento di particolari “fili” in una vena dell’inguine. Questi fili sono spinti fino a zone specifiche del cuore che vengono “bruciate” in modo da eliminare meccanicamente le aree responsabili della fibrillazione atriale. Tra i fattori di rischio della fibrillazione atriale annoveriamo la familiarità, la presenza di altra patologia cardiaca (ad esempio lo scompenso cardiaco), l’ipertensione arteriosa, le patologie croniche della tiroide, la sindrome delle apnee notturne. In buona sostanza la fibrillazione atriale può essere gestita con successo: parlar-

ne con il proprio medico o cardiologo di fiducia servirà a chiarire tutte le opportunità di trattamento, i loro benefici ed effetti collaterali ed i rischi connessi

con la patologia; il proprio medico sarà in grado di suggerire trattamenti medici o procedure per ripristinare il ritmo cardiaco normale oppure gestire la frequenza cardiaca. Il medico potrà suggerire un cambiamento dello stile di vita: diminuire il consumo di sale, smettere di fumare, diminuire il consumo di alcoolici, fare almeno 30 minuti di attività fisica al giorno. Adesso è tempo di essere onesti con se stessi, mettersi in gioco, parlare chiaramente con il proprio medico, fare la terapia di cui si ha bisogno; altrimenti una piccola fibrillazione può diventare un grosso problema.

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Scrivi a Cuore Amico Pizza napoletana, ottimo pasto ma... L

a pizza napoletana patrimonio Unesco. Grande soddisfazione dei napoletani che dicono: “Ora ne mangeremo anche di più”. Si può? Mi dica lei, grazie, Daniela Blandini.

Attenzione, non è tanto la pizza ad essere riconosciuta patrimonio dell’umanità quanto l’arte del farla. Per l’Unesco l’insieme dei gesti, canzoni, espressioni vi-

suali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. Il bancone e il forno fungono da “palcoscenico” su cui si esibisce il pizzaiolo in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. La pizza napoletana si riconosce per poche, semplici caratteristiche: cornicione morbido, alveolato, di circa 1cm, pasta

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centrale 3mm, e condimenti semplici che, nelle pizzerie storiche e puriste, sono quelli della “margherita” e della “marinara”. Bene, ottima, ma non è il caso di mangiarne di più considerando il valore nutrizionale specialmente nell’attuale contesto di obesità epidemica. I nutrizionisti ne suggeriscono il consumo di non più di una, massimo due per settimana. La pizza margherita, dal punto di vista dei valori nutrizionali è una fonte soprattutto di carboidrati: circa il 60% del peso. Questi macronutrienti sono per la maggior parte contenuti nella farina, ma anche il pomodoro del condimento contribuisce per una certa quota. La mozzarella fior di latte e l’olio extravergine di oliva sono le due fonti di grassi: il formaggio è costituito per il 17% circa

da grassi per la maggior parte saturi, mentre l’olio – che a ragione si può considerare un “grasso puro” – aggiunge alla pizza grassi “buoni insaturi”. La pizza margherita contiene anche una certa quota di proteine, apportate soprattutto dal formaggio che è costituito per il 28% da proteine. La margherita contiene dunque tutti i macronutrienti necessari per comporre un pasto (è stato calcolato che una

pizza di comuni dimensioni apporta circa 600 kcal.), ma non è un piatto davvero completo. Come calorie copre quelle di un pasto ma è una pietanza povera di fibre. Per fare un pasto equilibrato con la pizza margherita è questione di consapevolezza: meglio ordinare una pizza più piccola e un contorno di verdure di stagione fresche o al vapore, preferibilmente di colore verde. Oggi la pizza è offerta in numerosissime varianti per cui si aggiungono, ai componenti base, molti altri elementi. Già la mozzarella di bufala rispetto a quella di vacca, anche se più saporita, è più grassa e più salata (per il sale contenuto nel siero di conservazione). Quando si aggiunge del prosciutto, vale lo stesso discorso: ne esistono tipi con diverso contenuto di sale. Per quanto riguarda la quota di grassi, questa di base non è alta se l’olio è l’unico condimento, ed è di oliva che dà alla pizza anche un salutare apporto di polifenoli. L’aggiunta di mozzarella, prosciutto o salsiccia ed altri insaccati aumenta anche di molto l’apporto di grassi saturi. Infine è interessante l’uso di farine alternative come le farine integrali che apportano un maggior quantitativo di fibra alimentare. Insomma, la pizza è un prodotto accettabile sul piano nutrizionale a patto che il pizzaiolo sia consapevole della necessità di utilizzare componenti adeguati ad una sana alimentazione. Un ruolo chiave ce l’ha poi il consumatore che deve sapere cosa scegliere e quanto mangiarne per il piacere del palato ma anche per la salvaguardia della propria salute. Alessandro Carunchio


«Cardiopatico sì... ...ma territoriale!» a parabola di una vita: tutti i crismi di una futura cardiopatia nascendo e crescendo in un umido “basso” della Bari vecchia (“sono un cardiopatico territoriale”) e finalmente, a settantadue anni suonati, eccolo nella palestra di riabilitazione cardiologica del Santo Spirito “onorando, dopo trent’anni!, una promessa fatta al prof. Ceci”, l’indimenticato primario cui si deve la creazione della prima palestra in un ospedale romani, il Santo Spirito appunto. Il protagonista di questa parabola è Peppino Caldarola, direttore di “Italianieuropei” ed ex direttore de “l’Unità” (quando era ancora un grande giornale, voce autorevole di un partito). Ancora un giornalista in palestra, dunque. Non un caso che, proprio tra i giornalisti, i mali più frequenti, vere e proprie malattie professionali, siano quelli legati al cuore. Colpa dello stress, della mancanza di orari, del disordine alimentare, delle notti in bianco…E non è un caso che da questa stessa palestra siano passati (o restati) tanti colleghi: da Sandro Curzi a Vittorio Emiliani, da Tonino Tatò a Nino Bertoloni Meli, al direttore di questo periodico…

no impiantato in un altro ospedale, non al Santo Spirito. Tutto bene, ma le macchine fanno a volte brutti scherzi: qualche mese fa un sospetto infarto e comunque uno scompenso serio, ma si è scoperto che la causa stava nel marchingegno: era andato in tilt esagerando gli stimoli! Allora, finalmente, mi sono deciso a cominciare questa famosa, regolare riabilitazione.”

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Quand’è che ti sei accorto che qualcosa non funzionava? “A diciotto anni. Ero stato sempre asinto-

Peppino Caldarola, giornalista e parlamentare per otto anni.

matico, ma alla visita militare mi hanno scartato: soffio al cuore. Non ci ho fatto molto caso, privo sempre di disturbi. Sino a quando, nel 1985, il prof. Ceci aveva rilevato che i miei valori cardiologici non erano nella norma e suggerì la stuzione della valvola aortica. Già allora mi consigliò la palestra, ma io stavo dietro a giornali e riviste…D’altra parte non ci furono più problemi per tanti anni, sino all’anno scorso.” Che cosa è successo? “E’ successo che il battito cardiaco ha subìto un forte rallentamento. Il dr. Ricci (della grande scuola di Ceci, e suo successore nel primariato qui al Santo Spirito) ha prescritto il pace maker. Me l’han-

hi va piano va sano e va lontano, dice il vecchio verbo, no? Ebbene, proviamo a mutare il verbo: chi mangia piano, mangia sano e migliora in salute. Lo dicono all’unisono gli esperti. L’apripista è stato il cardiologo giapponese Takajuki Yamaji che ha seguito per cinque anni mille suoi connazionali con questo risultato: la velocità con cui spazzoliamo un pranzo è direttamente proporzionale al rischio di sviluppare la sindrome metabolica che presenta numerosi fattori di rischio. Per intenderci, non si mangia davanti alla tv, tagliare il cibo a piccoli pezzi, masticare a lungo, bere tra una portata e l’altra, persino appoggiare le posate tra un boccone e l’altro. Ma uno studio dell’inglese Journal of Epidemiology va oltre: i pasti rapidi potrebbero aumentare il ri-

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E come sta andando questa esperienza? “Un’esperienza fantastica, sia come cittadino utente del Servizio sanitario e sia come paziente di questo ospedale. Il primo effetto psicologico è stato la conquista di una relativa, per me inedita, sicurezza. E sento una nuova padronanza del mio corpo. Insomma, temo meno la cosiddetta morte improvvisa per la strada.” Hai accennato all’effetto psicologico. Gioca forse un ruolo la familiarità con colleghi in analoghe condizioni, il condividere la stessa esperienza? “Eccome! Qualche volta ci avevo provato in palestre sportive. Ambienti freddi, gelidi. Risultato negativo. Nessun contatto umano. Qui, dopo le prime pedalate in cyclette chiacchieravo con i miei nuovi colleghi come se fossero amici di vecchia data, e lo sono diventati. Una medicina, questa palestra, una vera medicina.”

Mangiare lentamente schio di sindrome metabolica sino al 35% con le conseguenze di una manifesta tendenza alla pinguedine, di un giro vita preoccupante, di valori glicemici fuori norma. C’è una spiegazione “tecnica”: il cervello impiega circa 20 minuti a mandare il segnale di sazietà. Ma se mangiamo troppo velocemente (per esempio in appena un quarto d’ora) lo stop non arriva in tempo utile e finiamo per introdurre più cibo prima di fermarci.


Se lo shock cardiogeno complica l’infarto acuto di Rita Lucia Putini Unità di Terapia Intensiva Coronarica, S. Camillo-Forlanini

è qualcosa di peggio di un infarto miocardico acuto: il peggio si consuma quando l’infarto è da uno stato di shock! Questa la realtà: tra le diverse possibili complicanze dell’infarto miocardico acuto, nessuna ha effetti devastanti (e condiziona una prognosi infausta) come lo shock cardiogeno. Nonostante i grandi progressi ottenuti negli ultimi 20 anni nelle tecniche di rivascolarizzazione e nel trattamento con supporti meccanici al circolo, lo shock cardiogeno è ancora la più comune causa di mortalità ospedaliera associata all’infarto. Come si riconosce. Lo shock cardiogeno è la condizione patologica in cui una grave disfunzione della capacitàdi contrarsi del cuore determina un inadeguato apporto di sangue ai tessuti e agli organi. La causa più frequente è rappresentata dall’ infarto miocardico acuto. Lo shock cardiogeno si manifesta nel 5-10% dei pazienti con infarto miocardico. Globalmente, nel 42% dei casi l’infarto coinvolge la parete anteriore del cuore, 38% dei casi è in sede inferiore, 19% altre sedi. Lo shock cardiogeno è la maggiore causa di morte dopo infarto miocardico con una mortalità del 70-90% in assenza di un trattamento con alta intensità di

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cura in centri esperti nella gestione di tale patologia critica. Nello scenario dell’infarto miocardico acuto, lo shock cardiogeno, e lo stato di grave disfunzione cardiaca che ne consegue, si associa ad infarti estesi che coinvolgono oltre il 40% della massa miocardica, ad infarto del ventricolo destro o alle cosiddette complicanze meccaniche dell’infarto miocardico acuto: rottura del setto interventricolare (la parete che divide i 2 ventricoli), disfunzione con grave insufficienza acuta della valvola mitrale. Lo shock cardiogeno post infartuale è più frequente nei pazienti anziani, nei diabetici e si manifesta maggiormente nei maschi per la prevalenza in questi della malattia coronarica ma le donne mostrano un’incidenza maggiore di shock postinfartuale. La grave disfunzione della capacità contrattile del cuore e la riduzione dell’apporto di sangue agli organi e ai tessuti è caratterizzato da una bassa pressione arteriosa e da segni dovuti all’ipoperfusione periferica: cute pallida e sudata, colorito bluastro delle estremità (cianosi periferica), polso tachicardico, alterazioni dello stato mentale con agitazione, disorientamento e nei casi più gravi coma per lo scarso apporto di sangue al cervello. Come ridurre la mortalità. Lo shock cardiogeno continua ad essere un difficile problema di management clinico. Richiede un approccio di gestione in tempi rapidi, con organizzazione in una Rete Territoriale e in una Rete Intraospedaliera per l’Emergenza, strutturate e codificate per il pronto riconoscimento di

questa grave complicanza e il suo trattamento. L’elemento più importante sta nella rivascolarizzazione precoce per la riapertura della coronaria ostruita dalla trombosi coronarica responsabile dell’infarto mediante angioplastica primaria, come indicato per la prima volta da studi scientifici condotti alla fine degli anni ’90. E’ intuitivo come la velocizzazione del percorso dal primo contatto medico (tempo della diagnosi di infarto) alla rivascolarizzazione con angioplastica primaria sia fondamentale per risparmiare un danno esteso al cuore e prevenire lo shock. La strategia di trattamento dello shock cardiogeno è quella di “sostenere” al meglio la funzione del cuore per garantire un’adeguata perfusione di sangue e ossigenazione agli organi per prevenire la Sindrome del danno multiorgano che consegue inevitabilmente ad uno stato di shock in assenza di trattamento. Al riconoscimento dello stato di shock deve seguire un trattamento che va programmato fin dalla prima osservazione con incrementi progressivi dell’intensità di cura, con farmaci ad azione vasoattiva potente fino ai supporti avanzati di sistemi di pompe meccaniche che sostituiscono la funzione del cuore e con supporto respiratorio. La complessità di questa gestione, che utilizza anche tecniche di supporto


meccanico al circolo con sofisticate pompe meccaniche di flusso, richiede strutture avanzate dotate di cardiochirurgia, terapia intensiva cardiochirurgica e cardiologica. L’obiettivo di un corretto trattamento dei pazienti, potrà essere realizzato solo con una gestione centralizzata, mediante l’invio ai Centri regionali di riferimento dei pazienti che accedono presso ospedali non dotati di tutte queste Unità assistenziali. Con tale proposito, nel giugno 2017, la Direzione Regionale Salute e Politiche Sociali del Lazio ha deciso l’adozione del documento “Percorso in Emergenza ed Ele-

zione del Paziente con Scompenso Cardiaco Avanzato” a cura del Centro Trapianti di Cuore, condiviso dal Gruppo di lavoro regionale Rete cardiologica, dai Centri di Cardiochirurgia e dal Centro Regionale Trapianti Lazio. Lo shock cardiogeno è un emergenza che necessita di un approccio in “team per l’emergenza” per il trattamento di tale condizione con alto rischio di morte.

Il percorso è complesso. Come insegnano le reti ospedaliere per la gestione dello shock nei paesi europei e americani in cui esse sono già attive, il lavoro delle figure professionali coinvolte in questa gestione deve obbligatoriamente essere un lavoro di squadra e crescere progressivamente a livello intraospedaliero, acquisendo le corrette conoscenze di gestione dello shock. Il supporto di adeguate scelte di politica sanitaria, ospedaliera, urbana e regionale rappresentano, di conseguenza, il prerequisito per la possibilità di realizzare gli obiettivi di cura per questa grave condizione.

Più donazioni di organi e meno “no” ai prelievi più forti donati di organi? I toscani: 61,2 per milione di abitanti, contro una media nazionale del 28,5 ad un passo dalla Francia (28,7) ma il primato è della Spagna: 44 donatori per milione di abitanti. Ma se scomponiamo il dato generale del nostro paese, al Centro-Nord i donatori sono 35,9 per milione di abitanti, quasi il doppio della media registrata nell’Unione europea che è pari a 18,4/milione di popolazione. E va anche sottolineato il dato dell’area centro-meridionale: è pari a 19,1 donatori/milione abitanti, cioè sopra la media europea. AIla Toscana seguono tre regioni intorno al 40 (Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Trentino-Alto Adige), poi Piemonte, EmiliaRomagna e Marche ciascuna intorno al 35. In zona mediana la Lombardia (28,7), la Sardegna (27,1), il Lazio

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(26,2). Le altre regioni seguono più distanziate. Queste cifre per dire che il 2017 è stato un anno eccezionale per l’Italia: mai tante donazioni e mai tanti trapianti d’organo con una riduzione delle liste di attesa (le opposizioni al donazione sono state il 28,7% tra gli italiani, nl 2016 la quota in negativo era stata del 32,8% su tutti gli accertamenti di morte nell’anno). E questo mentre sono diminuite le opposizioni all’espianto da parte dei congiunti dei deceduti: nessuna opposizione in Valle d’Aosta, solo l’8% in Trentino, tra il 21 e il 35% nel resto del Centro-Nord e in Sardegna, con l’eccezione della Liguria che va invece assimilata al Mezzogiorno e alla Sicilia (dal 36% e più) con il primato negativo della Puglia: appena il 43,4. Che cosa dicono questi dati? Per prima cosa che c’è un importante aumento della sensibilità degli italiani: oltre 2 milioni e 330mila italiani hanno espresso per iscritto il proprio consenso alla donazione di organi registrandosi alle Asl, nel Comuni o all’Ai-

do, l’associazione per la donazione di organi. Altra conseguenza: aumenta il numero dei trapianti da donatore (sia deceduto che vivente) che l’anno scorso ha superati per la seconda volta quota 3.500: 3.921 nel 2017 contro i 3.698 nel 2016. Scomponiamo le donazioni: aumentano i trapianti di reni e quelli di fegato; stabili quelli di cuore (266 due anni fa, uno in meno l’anno scorso); in calo modestissimo quelli di polmone. Di conseguenza diminuisce il numero dei pazienti in lista di attesa: 283 in meno (8.743 nel 2017 contro i 9.026 dell’anno precedente). Infine questi dati dicono che una del merito sta nella riorganizzazione del sistema con la creazione di una centrale unica nazionale e nell’insistere con l’informazione sulla importanza del consenso.

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GE Healthcare

Noi di GE ci siamo presi l'impegno di contribuire a far sì che la cura della salute sia sempre più accessibile, migliorando la qualità e riducendo i costi. Proprio come fanno i medici in ogni parte del globo. Investendo nell'innovazione, diamo supporto ai professionisti sanitari di tutto il mondo, perché facciano quello che sanno fare meglio: prendersi cura dei pazienti a livello globale. Ogni giorno, i medici lavorano per dare più salute a sempre più persone, e la tecnologia di GE Healthcare è al loro fianco.

GE imagination at work © 2017 General Electric Company GE Healthcare srl a General Electric company, doing business as GE Healthcare.


Antibiotici, usarli con giudizio di Edoardo Nevola Dirigente medico Uoc Cardiologia S. Spirito

li antibiotici sono sostanze capaci di uccidere o di inibire la crescita di una particolare classe di microorganismi: i batteri. Ad essi si deve la netta diminuzione della mortalità per malattie infettive: in Italia, si è passati da 230 decessi per centomila abitanti nel 1930 a soli 16 nel 1960. Questo successo spettacolare genera nel pubblico l’aspettativa ingenua che qualsiasi infezione possa rispondere agli antibiotici. Non è così. Essi non funzionano contro i virus, responsabili dell’influenza, di altre comuni infezioni respiratorie, e di malattie esantematiche come varicella e morbillo; né funzionano contro i funghi, i protozoi, i parassiti. Le malattie infettive non batteriche devono essere curate con altri mezzi, ma non tutti lo sanno. Ne derivano fenomeni sociali ben noti, come l’automedicazione con le compresse di antibiotici residue che ci si ritrova in casa, o le pressioni indebite sui medici di famiglia affinché prescrivano subito un antibiotico

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al primo manifestarsi di un’affezione febbrile, qualunque sia l’effettiva natura della malattia. Cosa succede se si usano gli antibiotici in modo inappropriato? Prima di tutto, non c’è alcun effetto terapeutico, ma non sempre ce ne rendiamo conto: molte malattie virali guariscono spontanea-

mente in tempi brevi, lasciandoci, se abbiamo preso un antibiotico, l’illusoria convinzione che sia merito del farmaco. Invece, non abbiamo fatto altro che esporci agli effetti collaterali: possibili reazioni allergiche, disturbi all’apparato digerente, infezioni fungine secondarie della mucosa orale o dei genitali, la temibile diarrea da Clostridium, per citare

solo quelli comuni a tutti i tipi di antibiotico. C’è poi il fenomeno della resistenza. In ogni popolazione batterica esistono cellule mutanti provviste di difese biochimiche contro alcuni antibiotici, e l’uso ripetuto e indiscriminato di tali farmaci ne favorisce la moltiplicazione a scapito delle cellule sensibili. Ciò a lungo andare rende insensibile l’intera popolazione batterica, privando l’antibiotico dell’efficacia originaria, con conseguenze molto gravi. Le infezioni da batteri resistenti richiedo-

no infatti cure lunghe e costose, lunghi ricoveri in ospedale e sono spesso una seria minaccia per la vita. I germi resistenti possono trasmettersi facilmente ai fami-

liari, agli amici e ai colleghi e costituiscono pertanto una minaccia per l’intera collettività, che contro di esse si trova disarmata. I decessi provocati da batteri resistenti si aggirano in Italia tra i 5.000 e i 7.000 all’anno. Il consumo inappropriato di antibiotici è infine un costo inutile per la collettività. In Italia, la spesa totale per antibiotici nel 2015 è stata di 900 milioni di euro- Ebbene, nel 30% dei casi l’impiego di questi farmaci era inappropriato, per un costo di circa 300 milioni; l’impatto economico delle infezioni da germi resistenti è calcolato in altri 100 milioni di euro. Tutte queste somme si sarebbero potute utilizzare per migliorare l’assistenza in settori carenti. Per evitare tutto ciò, gli antibiotici devono essere assunti solo quando sono prescritti dal medico, rispettando le dosi ed i tempi consigliati; è opportuno inoltre disfarsi degli antibiotici inutilizzati ed evitare di condividere con altri i propri antibiotici. E’ dovere dei medici attenersi scrupolosamente alle linee guida nella prescrizione di questi farmaci, mentre spetta ai pubblici poteri limitarne il più possibile l’impiego in contesti non sanitari, come la zootecnia.

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Risonanza magnetica cardiaca perché e come si esegue di Valentina Valenti Dirigente medico, specialista in cardiologia e risonanza magnetica, S. Spirito

egli ultimi decenni il rapido sviluppo scientifico-tecnologico in campo medico ha permesso che molte malattie in passato ritenute a elevata mortalità e morbilità migliorassero la loro prognosi, non solamente attraverso nuove terapie, ma anche grazie a una maggior rapidità e accuratezza di diagnosi. In questo contesto trova posto l’applicazione

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della risonanza magnetica (RM) al distretto cardiaco, resa possibile grazie alla disponibilità di magneti con gradienti più rapidi e performanti ed allo sviluppo di sequenze ultra veloci in grado di superare i limiti di acquisizione dovuti al movimento del cuore. Sebbene le potenzialità di tale metodica fossero già evidenti dalla metà degli anni ’80, è stato nell’ultimo decennio che la RM cardiaca (RMC), grazie alla sua elevata risoluzione spaziale e temporale, è stata riconosciuta come la metodica

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di riferimento per lo studio delle dimensioni e funzione del cuore. Rispetto ad altre metodiche, la RMC presenta il vantaggio di essere multiplanare, di superare i limiti dovuti all’impedenza acustica toracica, di non essere operatoredipendente, di avere un’elevata accuratezza (98% circa) e riproducibilità (variabilità intra e inter-operatore rispettivamente r: 0,92-0,99 e r: 0,87-0,98) e di essere un esame estremamente sicuro non utilizzando radiazioni ionizzanti e impiegando un mezzo di contrasto a base di gadolinio scarsamente allergizzante o nefrotossico. Dato l’impiego d’intensi campi magnetici, la RMC è controindicata in pazienti portatori di devices metallici ferromagnetici come pacemaker, neurostimolatori e protesi metalliche, sebbene negli ultimi anni si utilizzino materiali RM-compatibili. L’esame si esegue sdraiati su un lettino all’interno di un tubo aperto alle estremità ed ha una durata media di circa quaranta minuti. È pertanto poco confortevole per pazienti claustrofobici,

severamente obesi o con difficoltà a rimanere a lungo supini (scompenso cardiaco, paziente instabile, ecc). Le alte potenzialità tecniche della RMC permettono di fornire informazioni non solo anatomo-funzionali, ma anche di acquisire dati di tipo qualitativo e quantitativo sul flusso transvalvolare e a livello dei grossi vasi toracici (valutazione stenosi, insufficienze e shunts intracardiaci) senza bisogno di utilizzare il mezzo di contrasto. Tuttavia, la principale innovazione della RM è rappresentata dalla sua peculiare abilità di caratterizzare le differenti componenti tissutali cardiache identificando all’interno del miocardio sano aree di edema, fibrosi o sostituzione lipidica rivestendo un ruolo fondamentale nella diagnosi e prognosi di cardiomiopatie, masse e tumori cardiaci. La RMC, grazie all’uso del contrasto e al suo pattern di distribuzione, è l’unica metodica che permetta a oggi di visualizzare la presenza di danni strutturali del cuore, potendo differenziare lesioni acute da pregresse, aree ischemiche da infiammatorie (miocardite, pericardite, etc) e mediante l’induzione di uno stress farmacologico, consente lo studio della riserva coronarica e della vitalità miocardica similmente a quanto avviene in medicina nucleare (SPECT) ma senza l’utilizzo di radiazioni. Sebbene sia un’indagine molto utile e valida, la complessità della metodica richiede un team di professionisti esperti, sia cardiologi sia radiologi, con esperienza e competenze certificate, in grado di interpretare le immagini in maniera appropriata.


Quante iniziative sociali bollono in pentola... a primavera promette un sacco di iniziative promosse dall’Associazione Cuore Sano per ampliare ulteriormente lo spettro delle opportunità culturali, scientifiche e di socializzazione tra gli iscritti. Impossibile fornire ancora date precise, ma per alcune ci sono già orientamenti. Come, ad esempio, una nuova edizione della ormai classica Montagnaterapia: intorno a metà giugno, con la tradizionale guida e responsabilità della dr.ssa Francesca Lumia. Ma già avanti è probabile una novità assoluta: una gita a Grottaferrata con passeggiata nelle vigne, e poi visita ad una cantina con degustazione (il Frascati doc!) e pranzo sociale. Tre occasioni culturali di rilievo saranno cadenzate prima della piena estate: una visita (eccezionalmente riservata ai soci Acs) al Palazzo del Quirinale che, se è la residenza ufficiale del capo dello Stato, è anche un polo museale di notevole rilievo; una visita guidata nella Tenuta di Castelporziano, che fa parte del patrimonio della presidenza della Repubblica ed è (ecco il punto che sarà privilegiato) un inestimabile tesoro naturalistico e faunistico, dove opera anche un’azienda agricola; e infine una puntata fuori Roma, per visitare la splendida residenza imperiale di Villa Adriana, con una probabile accoppiata: un concerto della Filarmonica di Tivoli, ben nota a molti soci che l’hanno già ascoltata e applaudita nelle serate di fine anno al S. Spirito.

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La Filarmonica di Tivoli

Ma non ci sarà solo la cultura e lo svago. Sono in cantiere, nella palestra di riabilitazione del S. Spirito, due incontri clinici interattivi sulle questioni che più dappresso interessano i cardiopatici e i loro familiari. Il primo sarà a cura della dr.ssa Lumia e riguarderà principalmente gli aspetti preventivi con particolare riguardo all’alimentazione, agli stili di vita, ai fattori di riIl Quirinale

Villa Adriana

schio; il secondo, a cura dello stesso primario di Cardiologia, dr. Roberto Ricci, riguarderà direttamente le patologie cardiache: infarto, scompenso, fibrillazione atriale, ecc. Insomma, un bel programma che spingerà certamente molti pazienti della riabilitazione a iscriversi o a rinnovare per tempo l’iscrizione all’Associazione.

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S E VO L E T E S O S T E N E R C I Unicredit Banca - Via della Conciliazione, 11 - 00193 Roma Codice IBAN IT 04 V 02008 05008 000400005512 – Swift code UNCRITM1B88 Posta Posta C/C 1031536970 Cod. Fisc. Associazione (5 per mille) – 96255480582

Pillole di salute DISABILI, PIU’ DI 4 MILIONI - Si stima che in Italia vi siano quattro milioni e quattrocentomila persone con disabilità. Spesso vivono da sole e quindi in condizioni di maggiore vulnerabilità. Per giunta sono penalizzate sul lavoro: è

occupato solo il 23% degli uomini e appena il 14% delle donne. La quota di prodotto interno lordo destinato alle politiche per la disabilità è la più bassa tra i paesi dell’Unione europea. UNA EPIDEMIA SILENZIOSA - Tra i 4 e i 5 milioni di italiani soffrono di osteoporosi, malattia che rende le ossa fragili e colpisce soprattutto le donne: il 75% della popolazione femminile sopra i sessanta anni ne soffrirebbe. Un recen-

te studio multicentrico ha calcolato una incidenza di 410mila casi l’anno di fratture da fragilità ossee. L’80% di chi subisce una frattura per osteoporosi non riesce più a salire le scale, il 50% non è più autonomo.

medici ogni mille abitanti, mentre negli ospedali del Centro Italia il rapporto è di 2,3 medici ogni mille abitanti, e di 72,6 medici ogni cento letti. Ma se si sale in Valle d’Aosta il rapporto cresce a 2,8.

TROPPE FALSE MEDICINE - Il 10% dei farmaci nei paesi in via di sviluppo è falso o non raggiunge il minimo di qualità. Lo denuncia l’Organizzazione mondiale della sanità rilevando che la loro produzione avviene ben spesso in aree del mondo più sviluppate. Gli antimalarici e gli antibiotici sono spesso di cattiva qualità, mentre non c’è distinzione tra prodotti brevettati ed equivalenti. Tra le cause, il costo eccessivo delle medicine “buone”, della loro indisponibilità, della mancanza di controlli e della corruzione.

IL SEGRETO DEL FICO D’INDIA Anche l’olio di Opuntia ficus-indica,ricavato dalla spremitura dei semi del fico d’India (quei semini che taluno elimina mangiando i frutti), avrebbero un effetto benefico sulla salute aiutando il sistema cardiocircolatorio. Lo sostengono ricercatori del Cnr e delle Università di Palermo e Catania che hanno riscontrato in quest’olio quantità significative di acidi grassi insaturi e vitamina E. Al vantaggio farmaceutico (in aggiunta a integratori, o principio attivo in sciroppi) si unisce un vantaggio economico: si può estrarre anche da frutti scartati dal consumo perché troppo maturi o ammaccati.

RAPPORTO MEDICI-PAZIENTI - Anche in campo sanitario esiste un impressionante divario tra Sud, Centro e Nord del Paese. Prendiamo il rapporto tra medici e pazienti. In Calabria (tra le regioni è il fanalino di coda) ci sono 1.6

Periodico dell’Associazione Cuore Sano in collaborazione con la Uoc Cardiologia S.Spirito • Anno XXIII - n. 1 gen./mar. 2018 • Reg. Trib. di Roma n.00323/95 • Direttore responsabile Giorgio Frasca Polara • Comitato scientifico Roberto Ricci (presidente), Edoardo Nevola, Antonio Cautilli, Alessandro Danesi, Gabriella Greco, Francesca Lumia, Alessandro Totteri, Marco Renzi, Giulio Scoppola • Redazione Lungotevere in Sassia n. 3 • 00193 Roma Ospedale Santo Spirito • Segretaria di redazione Carla Maria Rossi• Recapiti: Cardiologia-reparto terapia intensiva (Utic) tel. 06.68352579; Cardiologia-reparto Subintensiva (Usic) tel. 06.68352213; Segreterie Cardiologia, Ass. Cuore Sano e redazione di Cuore Amico tel. 06.68352323 • E-mail: dmed.car@aslroma1.it • segreteriacs@cuore-sano.it • www.cuore-sano.it • Stampato dalla Stamperia Lampo


GIORGIO HA LE SUE PERSONALI ESIGENZE IN TERMINI DI TERAPIA ANTICOAGULANTE 82 anni: paziente con insufficienza renale FANV, anziano, sovrappeso, insufficienza renale moderata, molteplici comorbilità, stile di vita sedentario

L’insufficienza renale di Giorgio aumenta il suo rischio di sanguinamento nella FANV - è stato osservato che il rischio relativo di sanguinamento è superiore nei pazienti con nefropatia rispetto ai pazienti che non la presentano.1 I tuoi pazienti stanno tutti assumendo una terapia anticoagulante specifica per le loro personali esigenze? COMORBILITÀ

TERAPIE CONCOMITANTI

NON COMPLIANTE

Bibliografia: 1. Olesen JB et al. Stroke and bleeding in atrial fibrillation with chronic kidney disease. N Engl J Med 2012;367(7):625–635.

FANV= fibrillazione atriale non valvolare

INSUFFICIENZA RENALE

ETÀ AVANZATA

BASSO PESO CORPOREO



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